Introduzione

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Perché i numeri sono sempre stati affascinanti
Annunci pubblicitari che seguono i consumatori mentre navigano fra diversi siti web; aggiornamenti accurati, in tempo reale, sull’effcacia della
vostra campagna di marketing; la capacità di tenere nel mirino gli individui in assoluto più redditizi della vostra base clienti: queste sono solo tre
delle migliaia di obiettivi che oggi è possibile realizzare grazie all’analisi
dei dati (analytics), espressione con cui si designano sinteticamente l’arte e
la scienza dei numeri a nostra disposizione in tutto il mondo.
Si potrebbe pensare, dunque, che i numeri abbiano assunto improvvisamente una connotazione «sexy», intrigante, ma non è affatto così.
Probabilmente è corretto ipotizzare che i nostri piccoli numeri intriganti abbiano fatto la loro apparizione nel marketing dopo l’invenzione
delle prime campagne di direct-response. Nel 1872, Aaron Montgomery
Ward inventò il catalogo di vendita per corrispondenza, che fu copiato da
Richard Sears e Alvah Roebuck nel 1886. Benché non vi sia alcuna prova
concreta di come questi pionieri delle vendite su catalogo misurassero i
risultati e ottimizzassero le attività operative, è però certo che sapevano
farlo; e il fatto che entrambi i cataloghi abbiano prosperato per oltre un
secolo (per essere poi rimpiazzati dai loro equivalenti online) suggerisce
che probabilmente svolsero un buon lavoro.
In verità, Claude Hopkins, in Scientifc Advertising (1923) 1, un precursore di questo libro, dichiara: «È ormai arrivato il momento in cui la pubblicità è riconosciuta come una scienza. Essa si basa su solidi principi ed è
ragionevolmente esatta. Cause ed effetti sono stati accuratamente analizzati e compresi. La corretta prassi metodologica è stata sperimentata e sta1 Trad. it. La scienza della comunicazione: il testo-base della pubblicità moderna, a cura
di Domenico Colella, Rimini, Guaraldi, 1999.
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bilita in modo defnitivo. Sappiamo quali sono le cose che hanno maggiore
effcacia e agiamo sulla base di leggi fondamentali».
Hopkins e in seguito John Caples, in Tested Advertising Methods (1932) 2,
si occuparono prevalentemente di vendita per corrispondenza e di altri strumenti di direct-response. Per loro la faccenda era semplice perché sapevano
a chi inviavano i cataloghi o le comunicazioni per direct mail; non dovevano far altro che controllare se i destinatari fnissero realmente per effettuare acquisti. Tutto funzionò bene fnché non vennero alla ribalta i mass
media, cioè la radio e poi la televisione. A quel punto non si poteva più dire
facilmente chi erano, di preciso, coloro che ascoltavano o guardavano una
determinata trasmissione. Per mantenere i medesimi livelli di affdabilità
di cui il marketing aveva goduto fno a quel momento bisognava sviluppare
nuove tecniche adeguate ai nuovi media.
Le prime applicazioni di tecniche matematiche più avanzate si ebbero
negli anni Cinquanta, quando per la prima volta furono applicati al marketing i modelli della ricerca operativa e della scienza del management che
si erano ampiamente diffusi, dopo la seconda guerra mondiale, nel campo della produzione e delle attività manifatturiere. Tali modelli, benché
molto primitivi secondo gli odierni parametri di giudizio (oggi sappiamo
quanto a lungo qualcuno ha guardato una pubblicità online, su quali parti
ha cliccato e quali azioni, eventualmente, sono state determinate dalla visione di quella pubblicità), cominciarono a offrire una conoscenza accurata
sui risultati relativi a brand awareness, brand consideration e, in defnitiva,
vendite e proftti.
Il terzo stadio nell’evoluzione dell’analisi dei dati si ebbe durante gli
anni Novanta, quando il Customer Relationship Management (CRM) divenne una vera ossessione per molti operatori di marketing. Le possibilità
offerte da nuovi, importanti database trasformarono il direct marketing – e
con esso i nostri affascinanti numeri – ed è facile capirne la ragione. Nel
suo libro del 1996 The Loyalty Effect 3, Frederick Reichheld mostrò che
un miglioramento di appena il 5 per cento nei tassi di customer retention dà luogo generalmente a un aumento dei proftti compreso fra il 25
e il 100 per cento. In quello stesso anno fu pubblicato il libro di Garth
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Trad. it. Metodi pubblicitari di successo, Milano, Franco Angeli, 1960.
Trad. it. Il fattore fedeltà: clienti, dipendenti, investitori fedeli per la redditività d’impresa, presentazione di Gianflippo Cuneo, Milano, Il Sole-24 Ore Libri, 1997.
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Hallberg All Consumers Are Not Created Equal4, nel quale si dimostrava
(come spiegheremo nel Capitolo 2) che una minuscola frazione dei clienti
di un’azienda rappresenta, di solito, una quota sproporzionatamente elevata dei suoi ricavi. In seguito a tali scoperte le aziende fecero voto di
impegnarsi a conoscere i propri clienti più redditizi. Introdussero le carte
fedeltà, che consentivano di acquisire i dati delle transazioni, e investirono
massicciamente nelle tecnologie informatiche di data warehouse in grado
di registrare in un solo database tutte le informazioni sui clienti. Con i
modelli del lifetime value calcolarono il valore dei clienti nel lungo periodo
e con quelli di anti-attrition furono in grado di stimare la probabilità che
un individuo cessasse di essere un consumatore attivo. La rivoluzione del
CRM potenziò notevolmente gli strumenti e le tecniche per l’effcacia del
marketing, e la capacità di classifcare e selezionare grandi quantità di dati
fu presto messa alla prova nei riguardi delle informazioni sui clienti fornite
dai media digitali.
Con le comunicazioni digitali – cioè, con tutto quanto viene mandato
sul web – si può misurare qualunque cosa. Tutto produce dati e i volumi
sono enormi: si pensi che il database digitale di Google, che probabilmente è il più grande, acquisisce quotidianamente oltre un miliardo di search
a livello mondiale. Questa impressionante quantità di dati può offrire alle
aziende una visione senza precedenti sulle modalità con cui i clienti si
relazionano con i brand e, in ultima analisi, sul modo in cui tale relazione
porta a un incremento dei ricavi.
Gli ambienti e-commerce ci mettono a disposizione un sistema a circuito chiuso che, in termini di effcacia di marketing, ci consente quasi di
raggiungere uno stato di pura felicità: sappiamo a quali media sono stati
esposti gli individui, come sono arrivati a un determinato sito web e che
cosa fanno una volta arrivati lì. Insomma, siamo in grado di seguire passo
per passo l’intero comportamento di quegli individui, fno alla loro effettiva decisione di procedere all’acquisto.
Inoltre, i dati digitali sono disponibili in tempo reale. Non dobbiamo
più attendere settimane o mesi per capire quale sia stato l’impatto delle nostre attività di marketing, ma possiamo rendercene conto quasi all’istante e
questo ci permette di ottimizzarle immediatamente. Il mondo digitale ha
dato la carica alla rivoluzione matematica del marketing.
4 Trad. it. I consumatori non sono tutti uguali. Differential marketing, Milano, Lupetti, 1999.
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Nel 2008, durante una conferenza al Council on Foreign Relations, Sam
Palmisano, all’epoca CEO di IBM, spiegò meglio di chiunque altro le caratteristiche di questo nuovo mondo, affermando: «Tutto diventerà intelligente: nuovi modelli di calcolo possono gestire la proliferazione di dispositivi, sensori e attivatori per utenti fnali e connetterli a sistemi di supporto;
tali supercomputer, in combinazione con i metodi advanced analytics, sono
in grado di trasformare montagne di dati in informazioni che possono
tradursi in azioni, rendendo più effcienti, produttivi e reattivi – in una
parola, più intelligenti – i nostri sistemi, processi e infrastrutture».
Consideriamo, per esempio, il brand Zara, fore all’occhiello del gruppo
spagnolo Inditex SA. Mediante l’integrazione dell’analisi dei dati in ogni
singola parte del proprio business, l’azienda ha realizzato ciò che, nel settore dell’abbigliamento, si riteneva fosse impossibile: passare dal tavolo del
designer ai negozi nell’arco di qualche settimana. Non è raro, infatti, che
gli altri operatori del settore lavorino da nove a dodici mesi per approntare
la linea d’abbigliamento natalizia.
Che cosa signifca tutto ciò per voi e per me, personalmente? Grazie
all’analisi dei dati e all’interconnettività di cui parlava Palmisano, immaginate come sarà il vostro frigorifero in un futuro non tanto lontano: non
solo vi avviserà quando state per rimanere senza latte e burro, ma sarà
anche in grado di stilare la lista della spesa e di trasmetterla al vostro supermercato che vi consegnerà a casa i prodotti ordinati.
Che cosa ne sarà della privacy?
Tutto ciò è molto bello e interessante, ma ha un prezzo. Alcune persone
si preoccupano del fatto che gli esperti di marketing possono raccogliere
tutti questi dati sui loro acquisti e sulla loro navigazione in Internet.
Nel Capitolo 8 tratterò estesamente il tema della privacy, ma permettetemi qui un breve accenno: la mia posizione potrebbe sorprendervi. Sono
convinto che la gente abbia validi motivi per ribellarsi alla raccolta indiscriminata di dati a fni commerciali, perché tale raccolta è in buona parte
occulta e non soggetta a regole precise, e ciò è sbagliato.
Tuttavia, sono in corso alcuni cambiamenti. In mancanza di altre norme, e poiché i consumatori – a ragione – ci hanno manifestato la loro
preoccupazione, i settori della pubblicità e del marketing hanno cominciato autonomamente a regolarsi. Ci siamo impegnati a non raccogliere informazioni personali identifcabili (Personal Identifable Information, PII)
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senza il consenso dei consumatori e offriamo loro la possibilità di venire
cancellati da qualsiasi archivio di dati, ma in primo luogo ci impegniamo a
spiegare loro i motivi per cui raccogliamo le informazioni.
Confdo che tale spiegazione aiuterà la gente a capire che ciò che a prima vista può apparire come un’intrusione va in effetti a suo vantaggio.
Mi rendo conto che ciò fa pensare a Orwell, ma considerate un aspetto:
ben poche persone – al di fuori del campo del marketing – comprendono
che la pubblicità è necessaria per fnanziare la creazione di contenuti, specialmente in un’epoca in cui ci si aspetta di poter usufruire di contenuti
gratuiti in maggiore quantità e di qualità migliore. I consumatori hanno
manifestato ripetutamente l’intenzione di non accollarsi l’intero costo dei
contenuti di cui usufruiscono, che si tratti di guardare la loro trasmissione
televisiva preferita o di trascorrere il tempo sui siti web che prediligono.
Senza la pubblicità, la maggior parte dei siti web sarebbe visibile solo a
pagamento e lo stesso accadrebbe per tutti i canali televisivi.
Per conservare la gratuità della maggior parte dei contenuti, i media
sostenuti dalla pubblicità non dovranno scomparire, ma oggi abbiamo la
possibilità di rendere un po’ meno fastidiose le loro interruzioni pubblicitarie. Poniamo il caso che siate un venticinquenne appassionato di videogiochi e che le reti televisive debbano trasmettere 6 minuti di pubblicità
per fnanziare la produzione del vostro spettacolo preferito della durata di
30 minuti. Preferireste avere 6 minuti di pubblicità sulle ultime novità in
fatto di videogiochi oppure sorbirvi 6 minuti di pubblicità generica? La
maggioranza degli appassionati di giochi sceglierebbe la prima opzione,
ma affnché ciò si verifchi è necessario che permettiate agli esperti di math
marketing, il «marketing matematico», di indagare sui vostri gusti, abitudini e preferenze, in modo che essi ne sappiano abbastanza per trasmettervi gli spot di vostro interesse. E se accordate quel permesso, potreste
effettivamente vedere meno spot pubblicitari. Le pubblicità personalizzate
hanno infatti un ritorno migliore per gli inserzionisti e quindi questi ultimi pagheranno di più per uno spot personalizzato di 30 secondi – o per
un banner pubblicitario online – che per uno generico. Ciò signifca che
potreste vedere meno annunci pubblicitari, per i quali però i fornitori di
contenuti riceveranno più soldi. Pare proprio un buon affare per tutti.
Ed è anche un altro benefcio potenziale di tutti quei piccoli numeri
intriganti che si trovano là fuori, se sapremo coglierli.
Dopo queste poche pagine a mo’ di preparazione, vediamo di metterci
al lavoro.