Modelli comunitari di trattamento delle tossicodipendenze
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Modelli comunitari di trattamento delle tossicodipendenze
Modelli comunitari di trattamento delle tossicodipendenze La Comunità Terapeutica, le sue origini, i suoi paradigmi e le sue prospettive Andrea De Dominicis LA PROSPETTIVA Le cosiddette strategie di riduzione del danno hanno riportato in auge il dibattito tra sostenitori dell’astinenza assoluta come condizione per un trattamento terapeutico della tossicodipendenza e coloro invece che riconoscono l’utilità di obiettivi intermedi, quali il consumo controllato di sostanze psicoattive o un loro uso più responsabile1. Le due posizioni vengono sostenute con argomentazioni scientifiche, filosofiche o morali, causando spesso polemiche di scarsa utilità per una reale comprensione del problema. Il dibattito non investe solamente il problema della tossicodipendenza ma è altrettanto vivace nel campo dell’alcolismo2 a riprova, qualora ce ne fosse bisogno, della similitudine tra i due fenomeni. Alla base c’è il problema della valutazione delle potenzialità di controllo sul comportamento dipendente che la persona possiede, quindi una vera e propria Weltanschauung3 filosofica. È la fondamentale dialettica tra destino e libertà. Ad esempio il paradigma di ricerca di Dole e Nyswander, che ha dato il via ai programmi di trattamento col metadone 4, si basava sull’ipotesi dell’esistenza di un difetto metabolico di base nell’assuntore di eroina. Il modello è sorprendentemente simile alla visione medica dell’alcolismo degli Alcoholics Anonymous (AA), basata sul concetto di allergia fisica. Le Comunità Terapeutiche nate in America invece, pur essendosi ispirate direttamente al modello di AA, hanno rappresentato per lungo tempo l’ala più intransigente nei confronti delle terapie con farmaci sostitutivi, sostenendo un approccio assolutamente astinente. È chiaro quindi che al di là dell’ispirazione ricevuta da AA e della già accennata similitudine tra alcolismo e tossicodipendenza, le CT hanno sviluppato un proprio modello, in antitesi ai trattamenti farmacologici e sostenuto dalla convinzione dell’astinenza possibile. 1 Con uso più responsabile intendiamo anche i programmi di scambio di siringhe, le fix-house, etc. 2 MARLATT G.A. ET AL . 1994 3 Visione del mondo 4 DOLE V.P., NYSWANDER M.E. 1967 Almeno nei primi anni, alla base dei trattamenti con metadone esisteva una visione della dipendenza determinata da condizioni organiche5 per cui era giustificato l’uso di farmaci sostitutivi. A una carenza dell’equipaggiamento biologico non si poteva che rispondere con un correttivo farmacologico. A questa visione si contrappose quella delle CT, per cui invece la dipendenza si caratterizzava per la sua quota di responsabilità personale e quindi non era il caso di proporre interventi che non coinvolgessero questa dimensione. Questa contrapposizione si è resa evidente negli anni ’70 negli Stati Uniti dove hanno avuto origine ambedue i sistemi di trattamento.6 A parte le considerazioni sulla competizione per l’assegnazione dei fondi tra CT e programmi di metadone, esistono sostanziali differenze alla base di modelli astinenti o non. In una tipizzazione ideale le due posizioni si fondano su modelli antropologici opposti: esiste o no un difetto organico, un limite fisiologico all’astinenza? L’uomo è dominato dal suo equipaggiamento naturale o può trascenderlo? Sia che si tratti di alcolismo che di tossicodipendenza, o nella persona esistono condizioni organiche effettivamente in condizioni di impedire l’astinenza o non esistono. Qual è il ruolo del libero arbitrio e della responsabilità personale? Sono domande a cui decenni di ricerca scientifica e secoli di dibattito filosofico non hanno dato risposta e che rappresentano un’opportunità per l’esercizio del libero arbitrio: la scelta di una propria visione del mondo. Dobbiamo muovere da questo punto per comprendere la prospettiva culturale della posizione astinente. Eppure la Zweben7 ci ricorda che Bill W. il fondatore di Alcoholics Anonymous (AA), chiese l’interessamento di Dole8 allo studio di un farmaco sostitutivo che evitasse il craving9 dell’alcolista e permettesse una maggiore tenuta dei gruppi. Ci sembra di cogliere in questa posizione un eccellente esempio del pragmatismo di AA, per cui non esiste contraddizione tra 5 Successivamente tale caratterizzazione è sfumata, assegnando al metadone una valenza più psicologica che organica. 6 La nascita delle CT negli USA verrà trattata in seguito. 7 Z WEBEN J.E. 1994, P. 7-31 8 Dole e Nyswander (1967) sono considerati gli iniziatori dei programmi metadonici negli USA. Inoltre a Dole fu offerto di integrare il Collegio Direttivo di AA come uno dei 7 membri non-alcolisti invitati a ricoprire tale carica (D OLE 1991, cit. in Z WEBEN 1994) 9 Per craving si intende il comportamento spasmodico di ricerca di alcool o sostanze psicoattive tipico della persona dipendente. una visione di determinismo fisiologico dell’alcolismo e la possibilità del suo superamento in vista dell’astinenza completa. 10 Al contrario le CT al loro nascere si sono centrate sul valore dell’autonomia e sullo sviluppo delle potenzialità umane, rifiutando completamente il concetto di malattia alla base del modello di AA. Tra le ragioni possiamo ricordare la forte carica ideale, l’aspirazione a uno status scientifico autonomo, l’influenza delle psicologie umaniste e il generale clima di ottimismo della società americana degli anni ’60. Ma probabilmente la più significativa differenza risiede nella diversità delle popolazioni a cui i due modelli si rivolgono.11 Come conseguenza le CT hanno costruito una cultura dell’intervento basata sull’astinenza assoluta quale condizione fondamentale per il trattamento. Una cultura che, come vedremo, è stata aspramente criticata come selettiva, messianica o semplicemente autoritaria. Ecco allora che nell’affrontare il discorso sulla nascita e sullo sviluppo della CT per tossicodipendenti derivata dal modello americano è fondamentale riflettere sia su quella che definiamo cultura dell’astinenza che sulle principali spiegazioni dell’abuso di droghe. Saranno questi i nostri punti di partenza prima ancora di affrontare il tema Comunità Terapeutica nei suoi aspetti storici e di modellistica generale. LA CULTURA DELL’ASTINENZA Le Comunità Terapeutiche per tossicodipendenti che si sono ispirate al modello americano si riconoscono nell’approccio drug free, cioè senza uso di farmaci sostitutivi e in cui l’uso di qualsiasi sostanza è considerato una trasgressione fondamentale. Un modello nel quale l’alterazione della coscienza o il ricorso a qualsiasi forma di lenitivo del dolore psichico è connotato negativamente in nome del valore della sobrietà. Ciò presuppone quella che abbiamo definito cultura dell’astinenza, un corpus di convinzioni terapeutiche e implicazioni morali da cui sono derivati modelli di intervento. Proprio a causa di tali implicazioni morali la questione non è semplice: si corre facilmente il rischio di semplificare (come spesso fa un 10 11 Dedicheremo ampio spazio all’approfondimento delle idee-guida di AA nella seconda parte del testo. Riprenderemo l’argomento successivamente. Per ora basti segnalare che anche il DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders dell’American Psychiatric Association) differenzia chiaramente le due popolazioni anche in relazione alla sensibilità a modelli diversi di trattamento. certo Antiproibizionismo o anche un certo Proibizionismo) e di non rendere ragione dei molteplici aspetti del problema. Non dovremmo limitarci a una valutazione etica o morale della prescrizione di astinenza in uso in molte CT senza prendere in considerazione il complesso intreccio tra personalità, funzione della sostanza e norma sociale. È questa infatti la dinamica da illuminare per una corretta comprensione dell’impostazione astinente. Per affrontare l’argomento cominciamo col prendere in considerazione l’ultimo termine della serie, la norma sociale, dicendo subito che molte delle ragioni addotte dai critici della Proibizione sono sicuramente valide e trovano un riscontro nell’analisi storica. Dobbiamo comunque riferirci non solo ai cambiamenti storici in merito alla legalità o illegalità delle droghe ma anche all’alcolismo, il parente più prossimo della tossicodipendenza sia per fenomenologia che per i numerosi parallelismi tra rituali e simbologie.12 Alcuni autori 13 hanno dimostrato con accuratezza l’omologia strutturale in termini sociali dei due fenomeni e identificato nell’uso dell’alcool l’equivalente per il mondo occidentale dell’uso di sostanze psicotrope di origine naturale per altre culture. Hanno dimostrato inoltre quanto l’evoluzione delle rispettive legislazioni rappresenti i cambiamenti delle norme e del sentire sociale di un particolare periodo storico. Nelle nostre culture l’alcool rappresenta da sempre la droga tradizionale: nell’antica Grecia i culti dionisiaci lo utilizzavano come strumento di avvicinamento al noumeno, il latino in vino veritas ne sottolineava le funzioni comunicative, le scienze dell’alimentazione ne evidenziano il valore nutrizionale e inoltre l’uso del vino è rimasto nella tradizione cristiana uno dei migliori esempi del legame simbolico tra alcool e religione. Un’ultima osservazione riguarda i termini utilizzati dal dibattito odierno sulle droghe, Proibizionismo e Antiproibizionismo, esattamente identici a quelli che hanno caratterizzato la storia dell’alcool di questo secolo. Ricordiamo brevemente che quando nel 1914 gli Stati Uniti promulgarono l’Harrison Act, una serie di misure regolamentari per industrie e farmacie che di fatto resero illegale per la prima volta l’uso degli oppiacei, si concluse il cammino che portò quello che veniva considerato un farmaco panacea a diventare la droga veleno. 12 Il parallelismo è evidente nell’uso rituale durante pratiche religiose e/o magiche, nei frequenti casi di consumo associato o sostitutivo e nelle sorprendenti similitudini nell’evoluzione delle rispettive legislazioni. 13 CAMPANILE S., MARTELLI F. 1994 Tutti sanno che Leone XIII inviò un’onorificenza all’inventore del Vin Mariani, un liquore a base di sciroppo di coca e che il cloridrato di eroina, facilmente solubile nell’acqua e prodotto nel 1898 dalla Bayer, veniva pubblicizzato come salutare sostituto della morfina. La specificità storica e sociale è chiara se teniamo presente che culture diverse hanno fatto dell’uso rituale di sostanze psicotrope una pratica sociale o il centro della loro religiosità. Basta solo ricordare il consumo tradizionale di foglie di coca masticate nei paesi andini dell’America del Sud, l’uso dei funghi con proprietà allucinogene nell’America Centrale e l’uso dei derivati della Cannabis nei paesi arabi. In molte di tali culture esiste sia a livello legale che di fatto una distinzione tra consumo tradizionale e uso illegale e le quote di territorio coltivabile vengono regolamentate ufficialmente. Dovremo allora capire quali fattori hanno modificato nelle nostre culture il significato dell’alterazione della coscienza e come è potuto avvenire il passaggio a una visione medicomorale dell’uso di sostanze. Vi hanno certamente contribuito due fenomeni storici apparentemente contraddittori: il Positivismo scientifico e il Puritanesimo dei movimenti di temperanza americani. L’analisi di Szasz,14 seppur a volte piuttosto estremista, può esserci utile al proposito. Egli infatti identifica nell’Età dei Lumi il momento storico del passaggio da una visione miticoreligiosa del mondo a una scientifica, nella fattispecie quella medica. Il trionfo della ragione segna una riduzione drastica della libertà e del pensiero magico: la scienza a partire da Cartesio trasforma il corpo vivente in organismo, studiandolo come il fisico studia un campo di forze. Nasce il determinismo, espressione delle forze che controllano l’uomo, sottraendolo al libero arbitrio carico di morale di cui è intrisa la visione mitico-religiosa. Col Neopositivismo di fine Ottocento al concetto di tentazione si sostituisce quello di forze pulsionali: l’alcolismo e la tossicodipendenza, così come altre forme di deviazione dalle condotte morali o naturali, diventeranno una malattia. Nella visione di Szasz con ciò la scienza fornisce una motivazione autorevole per la stigmatizzazione sociale dei comportamenti devianti dalla norma. Sarà nel fenomeno della Proibizione dove si incontreranno cultura positivista e una nuova, prorompente spinta religiosa: il Puritanesimo. Krout15, ripercorre le tappe della crescita del peso politico dei seguaci del puritanesimo, fino ad arrivare alla promulgazione del Volstead 14 SZASZ T. 1991 15 KROUT J. 1928 Act e quindi del diciottesimo emendamento (l’emendamento alla Costituzione americana che controllava produzione, vendita e consumo di alcolici). Il bene comune e il presunto bisogno di aiuto delle vittime dell’alcolismo diventavano i princípi ispiratori della normativa, modificando il tradizionale rispetto della libertà individuale della Costituzione americana. Il movimento delle Societies of temperance (Società di temperanza di ispirazione puritana), vere e proprie lobbies politico-morali, ebbe un ruolo centrale nell’approvazione del diciottesimo emendamento. I predecessori degli Alcolisti Anonimi, quei reformed drunkards (la traduzione non può che essere pittoresca: ubriaconi riformati) che costituirono il movimento conosciuto come Washingtonians, vi appartenevano. Essi solevano parlare pubblicamente della loro esperienza, di fronte a folle numerosissime, catalizzando l’attenzione con grande carisma e indubbie doti di eloquenza. Attraverso il racconto delle indicibili sofferenze e delle inenarrabili bassezze commesse dimostravano vividamente l’inferno dell’alcolismo, provocando conversioni istantanee all’astinenza assoluta da parte di moltissimi dei presenti. Ovviamente tali conversioni duravano poco e questa fu proprio una delle cause del loro declino. A distanza di oltre un secolo è interessante notare quanto ancora una tale modalità preventiva sia utilizzata nel campo della tossicodipendenza, ad esempio attraverso le testimonianze degli ex-tossicodipendenti. Anche la scienza venne loro in soccorso: Benjamin Rush, uno dei padri dell’Indipendenza americana ed eminente medico, sosteneva già nel 1784 una teoria medica dell’alcolismo16 che i Washingtonians abbracciarono. I complessi intrecci tra pensiero positivista e morale protestante giocarono quindi secondo Szasz un ruolo centrale nella Proibizione, prefigurando un sodalizio tra maggioranza morale e giustificazione scientifica. Il suo pensiero è servito sicuramente da guida e ispirazione per i critici del controllo sociale dell’uso di sostanze e va comunque mantenuto come uno dei termini del discorso. Ma è vero anche il contrario: il modello medico dell’alcolismo ha rappresentato la via per la liberazione da una visione fondamentalista secondo cui l’alcolismo è sinonimo di turpitudine morale. È infatti proprio una visione medica che solleva l’alcolista dalla responsabilità morale 16 Ciò che viene raramente riferito a proposito di Benjamin Rush è che il suo modello prevedeva un continuum della temperanza e non una dicotomia salute-malattia. La progressione nella qualità di alcolici assunti e nei modelli comportamentali attuati corrispondevano a diversi gradi di problematicità. Un modello quindi affine alle strategie di riduzione del danno. (cfr. MARLATT ALAN G. Jellinek (JELLINEK E.M. 1960) ET AL. 1994, P. 5-46). La prima vera teoria medica dell’alcolismo si deve a della propria condotta e dal conseguente biasimo che gliene deriva. Alla pari di un diabetico egli viene visto come avente una predisposizione innata alla malattia e, conseguentemente, non ne può essere considerato responsabile.17 La visione medica si è semmai costituita quale tertium non datur nella dialettica fra opposte concezioni etiche e le argomentazioni di Szasz trovano qui il punto di maggior debolezza. La visione medica dell’alcolismo si sviluppò nell’ambito della clinica dell’alcolismo, laddove se ne dimostravano i suoi più drammatici effetti; essa maturò sì alla luce delle ricerche in campo medico psichiatrico ma fondamentalmente come risultato dell’osservazione e del continuo fallimento terapeutico. La forte critica al controllo sociale che è alla base dell’ideologia di Szasz non gli ha probabilmente permesso di differenziare tra uso, abuso e dipendenza, riportando il fenomeno delle sostanze psicoattive a un unico livello. Se infatti la specificità storica e sociale delle norme è un valido criterio per l’analisi delle condotte d’uso, lo stesso non si può dire per quelle di abuso e per le dipendenze. A meno di disconoscere gli ultimi decenni di ricerca nel campo delle dipendenze, è ormai accertata la funzione sintomatica dell’abuso di sostanze. Semmai notevoli differenze si riscontrano nell’identificazione dei fenomeni sottostanti, dove è fiorita una cospicua tradizione di ricerca e di pratica clinica. Sarebbe per lo meno superficiale considerare l’uso di sostanze psicoattive e il conseguente minor controllo di Sé e la minor vigilanza, alla pari dell’abuso o delle dipendenze. Roger Caillois 18 nel suo studio sui giochi e gli uomini, identifica quattro tipologie di gioco, tra cui i cosiddetti giochi di vertigine. Si riferisce ad esempio al girotondo vorticoso dei bambini che li porta a perdere l’orientamento o al trattenere il fiato fino ad alterarsi visibilmente. Le osservazioni di Caillois mettono in luce la ricerca del piacere, della perdita di controllo e della vertigine contenuta in quei giochi. Non si tratta solamente di una semplice sfida ai limiti di resistenza, come invece si potrebbe credere. “...in tutti i casi si tratta di accedere a una specie di spasmo, di trance o di smarrimento che annulla la realtà con vertiginosa precipitazione“.19 La perdita di controllo si ricerca quindi attivamente, per la sua funzione autogratificante. È facile concludere con l’osservazione che gli effetti delle sostanze psicoattive appartengono 17 GABBARD G.O. 1992, p. 337 e seguenti. 18 CAILLOIS R. 1989 19 CAILLOIS R. 1989, pag. 40 alla stessa famiglia sensoriale. L’autore francese tratta infatti l’alcolismo e la tossicodipendenza come una forma degenerativa di gioco, che sfugge al controllo dell’attore. Uno studio unico nel suo genere ha causato forti polemiche20. La ricerca in questione consiste in uno studio longitudinale di oltre quindici anni su gruppi di adolescenti statunitensi di cui erano stati evidenziate variabili di personalità. Tratti quali creatività, introversione ed estroversione, atteggiamento nei confronti della novità, stili educativi sono stati correlati alle esperienze di sperimentazione di marijuana. I sorprendenti risultati della ricerca hanno mostrato che il gruppo psicologicamente più sano era quello che aveva sperimentato sostanze psicoattive senza per questo intraprendere una carriera d’abuso o di dipendenza. I maggiori problemi si riscontravano invece rispettivamente tra coloro che avevano abusato o intrapreso carriere di tossicodipendenza e coloro che avevano sviluppato una forte rigidità di giudizio nei confronti delle droghe. Ovviamente ciò non significa che sperimentare l’uso di droga fa bene alla salute mentale ma semplicemente che esiste una maggior frequenza di personalità con caratteristiche adattive nella popolazione di coloro che si accostano a esperienze di consumo senza rimanerne invischiati. Queste considerazioni dovrebbero obbligarci a una attenta riflessione sull’uso e l’abuso di sostanze psicoattive, constatando innanzitutto che il semplice fatto di usarle non è di per sé predittivo di condotte più dannose per la persona. I comportamenti esplorativi adolescenziali hanno un forte valore evolutivo: l’antropologia ha dimostrato il loro significato iniziatico nel gruppo dei pari, in un contesto socioculturale che ha modificato profondamente i suoi riti. L’esito della sperimentazione dipende da una quantità di fattori di cui solo alcuni sono stati chiariti dalla ricerca e dall’osservazione. Caratteristiche di personalità, esperienze e fattori di svantaggio sociale devono necessariamente completare il quadro fenomenologico dell’abuso e delle dipendenze. È evidente che un adolescente che cresce in un ambiente socialmente svantaggiato, dove l’abuso di droghe rappresenta un modello comportamentale frequente o dove forte è la deprivazione di opportunità di sviluppo personale, corre maggiori rischi di intraprendere una carriera d’abuso. Di fatto non può essere dimostrata una causalità circolare dall’uso all’abuso senza chiamare in causa quella complessità di fattori precedentemente accennati. Se le sostanze psicoattive non fossero in grado di scatenare tante emozioni e reazioni a livello individuale, familiare e 20 SHEDLER J., BLOCK J. 1990 sociale, il loro uso verrebbe probabilmente trattato alla stregua di altri comportamenti più o meno trasgressivi. La situazione appare più chiara nel campo dell’abuso e delle dipendenza21. La ricerca e l’esperienza clinica hanno accumulato una notevole mole di conoscenze in materia e c’è concordanza sulla sofferenza fisica e psicologica causata dall’abuso di droghe, nonché sul suo pesante effetto negativo a livello di adattamento e funzionalità sociale. La dipendenza com’è ovvio rappresenta lo stadio in cui la sostanza abusata o il comportamento (com’è il caso del gioco d’azzardo) diventano il perno attorno a cui ruota l’intera vita della persona. 22 Si può quindi ragionevolmente affermare che mentre nel campo dell’abuso di sostanze e delle dipendenze esiste una ricca tradizione scientifica, la questione dell’uso deve essere trattata a un livello etico e culturale23. È arbitrario ridurla solamente a livello psicopatologico, giuridico o economico. Se non si differenziano uso, abuso e dipendenza non è possibile comprendere il fenomeno nella sua complessità e si effettua una semplificazione ideologizzata. Ora, considerando la multicausalità dell’abuso di sostanze è evidente che la semplice modifica delle norme sociali non può rappresentare la risposta. Con ciò non si vogliono disconoscere le ragioni di una certa critica al Proibizionismo, soprattutto quelle di essere spesso espressione di una maggioranza moralmente bigotta, ma non dobbiamo per questo dimenticare che per molte strutture di personalità il conflitto con le norme sociali rappresenta il nucleo della sofferenza. Dovremmo per questo eliminare tutte quelle norme sociali con le quali un gruppo più o meno numeroso di persone entra in conflitto? E se il copione principale per queste persone non fosse definito dal contenuto delle norme ma solamente dal fatto che esistano delle norme? Otterremmo solamente lo spostamento del conflitto. Nei comportamenti dipendenti la trasgressione contribuisce alla differenziazione tra i gruppi e non risulta specificamente legata alla legalità o illegalità. Le dipendenze alimentari ad esempio offrono uno spaccato sul vissuto trasgressivo della persona, 21 Non è un caso che interventi, ricerche o strategie politiche a livello nazionale e internazionale si riferiscano sempre e solamente all’abuso di droghe e alle dipendenze. 22 Dobbiamo infatti ricordare che nell’ambito delle dipendenze si annoverano fenomeni in cui non sempre è presente una sostanza. Mentre uso e abuso qualificano comportamenti interattivi che coinvolgono persone e oggetti, il termine dipendenza si riferisce a una modalità adattiva dell’individuo. 23 Ferma restando la scarsa conoscenza dell’effetto dell’uso ripetuto. Ci riferiamo qui al già citato fenomeno del kindling. non già in relazione a una legge ma a consuetudini di vita o a modelli comportamentali. Lo stesso, e a maggior ragione, si può dire dell’alcolismo. Così come il Proibizionismo, al di là di rispondere a quella specifica lobby politico-morale che lo volle, non risolse il problema dell’alcolismo, le cose non migliorarono di certo alla sua caduta. Sarebbe quindi almeno naive pensarlo per le droghe. A nostro avviso il retroterra filosofico della posizione antiproibizionista tout court è un pensiero socialmente determinista, che assegna alle norme una ruolo centrale e non riconosce specificità e iniziativa alla persona. 24 Paradossalmente ripropone una differente sfumatura del determinismo organico della visione medica, in cui la causalità biologica viene sostituita con quella normativa. La posizione astinente delle CT americane nate da Synanon può essere compresa solamente in una triplice prospettiva: quella della specificità delle loro popolazioni, quella del forte culto del dominio di sé e dell’autodeterminazione tipico delle culture americane, sostenuto dalle promesse del nascente movimento delle relazioni umane degli anni ’50 e ’60 e certamente anche quella di una cultura protestante poco tollerante alle mediazioni e alle sfumature. L’EZIOLOGIA DELLE TOSSICODIPENDENZE Va subito detto che non esiste una teoria eziologica specifica a cui le CT si sono ispirate: semmai esse hanno sintetizzato numerosi modelli interpretativi alla luce di un deciso pragmatismo. In pratica hanno costruito processualmente segmenti di teorie esplicative utili alla pratica terapeutica, senza preoccuparsi della loro integrazione in una teoria unica né della loro generalizzabilità. Il mosaico che spesso ne è derivato ha sconcertato chi, provenendo da una formazione accademica tradizionale, è abituato a un certo rigore e sistematicità nell’organizzazione dei dati e delle osservazioni. È chiaro che una tale procedura deriva dalla prossimità che le CT hanno con l’oggetto della conoscenza, in questo caso la tossicodipendenza, e dal rifiuto di modelli aprioristici.25 Ci troviamo di fronte a quel procedimento ingenuo di produzione di conoscenza le cui premesse epistemologiche si contrappongono a quelle del metodo scientifico. Non si tratta di avere 24 Ciò a dispetto della sottolineatura sui diritti individuali della persona in quanto all’uso di sostanze. 25 Le CT sono state fenomeni spontanei e auto-organizzati al di fuori dei tradizionali circuiti scientifici. un’ipotesi, verificarla attraverso tecniche sperimentali e confermarla o confutarla, bensì di scoprire la spiegazione di un fenomeno una volta realizzatosi l’evento. È lo stesso modo in cui la gente comune comprende le ragioni di un evento constatandone gli effetti dopo che si è realizzato. Gli strumenti privilegiati della conoscenza diventano quindi l’osservazione naturale e l’esperienza diretta, cioè procedimenti induttivi. In ambito scientifico sono stati numerosi i modelli interpretativi della tossicodipendenza, frutto della ricerca e dell’esperienza clinica, anche se un eccesso di teorie dimostra la mancanza di un sostanziale accordo e l’assenza di un modello esplicativo esauriente. Una prima classificazione identifica quali principali indirizzi di ricerca, quello biofisiologico, quello individuale e quello sociale. 26 Nell’indirizzo biofisiologico confluiscono le teorie delle caratteristiche biologiche innate; in quello individuale le teorie basate su un presunto difetto di personalità (ad es. teorie psicodinamiche, del controllo delle emozioni o della riduzione dello stress) e quelle che si riferiscono ai meccanismi dell’apprendimento; nell’indirizzo sociale vanno inserite invece le teorie che prendono in esame il contesto sociale nel quale l’individuo si colloca quale elemento determinante del suo comportamento. Queste ultime sono state particolarmente in auge negli anni ’50 e ’60, quando il fenomeno della tossicodipendenza era fortemente caratterizzato dall’appartenenza a culture marginali e in concomitanza con la prevalenza in ambito sociologico dell’impostazione storicomaterialista. Dimostrando la limitatezza degli approcci centrati su caratteristiche individuali biologiche, genetiche o di personalità- si sono sostenuti approcci multifattoriali su basi sociali che potessero rendere ragione delle fluttuazioni storiche del fenomeno, della complessità dei modelli di consumo e delle preferenze e identificando nella struttura sociale e culturale lo stimolo al consumo di droghe.27 La teoria dell’associazione differenziale di Sutherland28 spiega ad esempio le situazioni d’abuso legate a fattori di grande emarginazione sociale, attraverso i meccanismi di adesione a culture devianti e marginali. Le principali critiche a questo approccio, peraltro ripreso in modo sostanziale dalla Scuola di Chicago, risiedono nell’identificazione dell’origine di tali 26 SOLIVETTI 1980, FAZEY 1977 27 SOLIVETTI 1980. 28 SUTHERLAND E.H. 1939 culture marginali. Esse devono pur nascere col comportamento di qualcuno e l’enorme diffusione del fenomeno non è spiegabile con la relativa limitatezza dei gruppi marginali. Le teorie dei meccanismi d’interazione di Becker e Matza29 hanno messo l’accento proprio sui meccanismi di interazione nel processo di avvicinamento alla droga, avvicinandosi alle prospettive dell’interazionismo simbolico e del costruttivismo. Esse riescono a superare il determinismo di teorie nelle quali il ruolo del soggetto è completamente passivo, ponendo l’accento sui meccanismi attivi di costruzione del ruolo sociale. Inoltre alla loro teoria dell’etichettamento si deve il pregio di aver segnalato l’importanza dei meccanismi di difesa sociale di fronte alla diversità e alla devianza, attraverso il controllo prodotto dai meccanismi di etichettamento e stigmatizzazione. Anche le teorie dell’adattamento rinunciatario offrono interessanti prospettive per la comprensione del saldo di emarginazione e devianza che una società lascia. Infatti, pur offrendo apparentemente un sistema di pari opportunità per tutti, solo alcuni individui saranno realmente in condizioni di sfruttarle, mentre molti altri non potranno farcela. Molti meccanismi alla base dell’abuso di droghe che queste teorie hanno messo in evidenza sono utilizzati a fini terapeutici nelle CT. Ad esempio l’etichettamento emarginante viene superato grazie alla creazione di una vera e propria subcultura, dove vengono modificati sia il linguaggio che i modelli di ruolo. La forte pressione al conformismo sociale fa sì che, proprio attraverso i processi di interazione e di associazione messi in luce da quelle teorie, vengano acquisiti nuovi modelli di comportamento. La forte caratterizzazione politica di queste teorie, ispirate dalla sociologia marxista, ha permesso una loro utilizzazione come modello esplicativo e sostegno della prassi comunitaria. Esse mantengono tuttora un discreto potenziale di attrazione, anche se una maggiore professionalizzazione e complessità di funzionamento hanno avvicinato le CT a teorie meno radicalizzate. Le rapide trasformazioni sociali e i profondi cambiamenti nel fenomeno infatti, hanno facilitato in seguito un maggior successo di teorie a minore componente ideologica. Una delle più recenti rassegne raccoglie una notevole mole di dati e di letteratura disponibile sull’argomento, psicoanalitiche, proponendo comportamentiste, dell’automedicazione. 30 29 BECKER H.S. 1987, MATZA D. 1976 30 KOOYMAN M. 1993 una classificazione sistemiche, in teorie psicosociologiche biologiche, e teorie Per teorie biologiche si intendono quelle basate sull’ipotesi dell’esistenza di condizioni fisiologiche, ereditarie o acquisite, che rendono una persona vulnerabile alla dipendenza. È questa la posizione ad esempio degli Alcoholics Anonymous e la giustificazione dei programmi di somministrazione legale di stupefacenti quali il metadone. Un notevole impulso a tali teorie è derivato dalla scoperta delle endorfine, da ricerche sugli animali che hanno dimostrato la preferenza di alcune cavie per le droghe rispetto al cibo, da ricerche sulla cessazione della reazione di panico da separazione materna in seguito alla somministrazione di morfina nelle scimmie o sulla preferenza da parte degli animali da laboratorio delle stesse droghe di uso umano.31 Gli studi di Harlow32 in particolare hanno dimostrato l’esistenza di un periodo critico per lo sviluppo dei legami di attaccamento nelle scimmie rhesus. Quando avviene una separazione traumatica in questa fase, l’animale sviluppa reazioni comportamentali anormali. Da queste ricerche sugli animali è scaturito l’interesse degli studiosi sugli effetti di traumi e deprivazioni precoci sui processi di mielinizzazione delle fibre nervose nel periodo critico, o sull’incremento dell’attività dei recettori cerebrali 33. Anche Bowlby34 aveva già dimostrato nei suoi studi sull’attaccamento, l’effetto di deprivazioni o di condizioni di maternage patologico35 sui bambini, seppur le sue conclusioni non si orientano in senso biofisiologico. Le teorie eziologiche su base biologica si sono ispirate ai risultati di queste e molte altre ricerche, così come ai contributi dell’etologia, per spiegare la vulnerabilità risultante da traumi precoci. Proprio questa vulnerabilità, sia che si tratti di un fatto ereditario che acquisito, può portare allo sviluppo di comportamenti anormali, fra cui l’abuso di droghe, come tentativo di superare l’handicap. Le prime teorie psicodinamiche vedevano nell’abuso di narcotici un sostituto della soddisfazione sessuale. Parti della personalità non avevano raggiunto un soddisfacente grado di sviluppo rimanendo fissate alla fase orale. In quest’ottica il tossicodipendente soffre quindi di un inadeguato sviluppo dell’Io e di una deficiente evoluzione pre-genitale. “Si tratterebbe di soggetti nei quali l’Io ha superato le fissazioni psicotiche della prima infanzia, ma un importante trauma psichico e/o il deterioramento 31 GRIFFITH R.R., BIGELOW G.E., HENNINGFIELD J.E. 1980, cit. in KOOYMAN 1993 32 HARLOW H.F., HARLOW M.K. 1971, cit. in K OOYMAN 1993 33 KRAEMER G.W. 1985, cit. in K OOYMAN 1993 34 BOWLBY J. 1982 35 Cioè i contenuti e lo stile del rapporto madre-bambino. indotto dalla tossicità della sostanza, giocherà il ruolo di disorganizzazione dello sviluppo mentale, congelando l’evoluzione libidica in una specie di pseudolatenza drammaticamente più duratura della norma”36 Ma è particolarmente nella fase di separazione/individuazione, durante la quale si sviluppano autostima, controllo degli impulsi e funzione superegoica, che si trova il periodo critico nella storia familiare. Quando in questa fase fallisce la cura familiare, ad esempio se i genitori sono assenti o i loro messaggi sono squalificanti, il bambino può sviluppare un sentimento di colpevolezza per la perdita dell’amore, convincendosi di essere senza speranza e indegno di amore. Questa prospettiva che si rifà alla teoria dello sviluppo elaborata da Margareth Mahler, identifica in questa fase l’evento critico che può costituire il nucleo di una futura dipendenza. Hollidge37 ha sottolineato la scarsa internalizzazione di relazioni oggettuali positive e uno sviluppo sproporzionato del Super Io che può portare alle difficoltà di separazione dalla famiglia nella tarda adolescenza. Khantzian38 identifica nel fallimento della fase di separazione/individuazione, la regressione narcisistica a una soddisfazione di bisogni primari alla base della dipendenza. Sarà questo autore a porre le basi per le teorie autocurative di impostazione psicodinamica39. Kaplan e Wogan40 sconsigliano una definizione unica per le differenti personalità dipendenti, ipotizzando la centralità del Super Io nella problematica delle dipendenze. Rado aveva sottolineato la scarsa resistenza al dolore della personalità dipendente, fattore che sarà ripreso da Casriel, suo allievo nello sviluppo della Bonding Therapy41. Secondo questo autore, la persona dipendente invece di reagire con l’attacco o la fuga alla situazione di pericolo, rimane congelato, in una posizione di incapsulamento come risposta al pericolo. Il modello psicoterapeutico creato da Casriel, pur basandosi su una teoria psicodinamica degli istinti, si discosta in modo sostanziale dalla pratica psicoanalitica. Esso mira infatti all’espressione profonda delle emozioni in una stretta relazione tra terapeuta e cliente. Il ruolo 36 ROSSI R., RUSSO E. 1993 37 HOLLIDGE C. 1980 38 KANTZIAN E.J. 1980 39 KHANTZIAN E.J. 1985 40 KAPLAN C.D., WOGAN M. 1978 41 CASRIEL D. [1987] centrale delle teorie di Casriel all’interno delle comunità terapeutiche sarà ulteriormente analizzato in seguito. Kohut42 considera la tossicodipendenza alla stregua di altri disturbi della personalità narcisistica, mentre altri autori come Bergeret43 o Kernberg 44 la classificano nel novero delle Organizzazioni Stato Limite (o borderline). Una prospettiva psicodinamica delle dipendenze è la cosiddetta teoria dell’autostima, sviluppata dalla psicologia individuale adleriana. Secondo questa teoria l’autostima si sviluppa progressivamente durante la socializzazione, attraverso la sensazione di padronanza e di successo nel raggiungimento degli obiettivi. Una scarsa autostima può derivare da situazioni di iperprotezione materna, da aspettative e obiettivi non realistici ed eccessivamente elevati, o a causa di carenza di riconoscimenti in un ambiente affettivamente e socialmente deprivato. La tossicodipendenza può allora rappresentare una risposta coerente con la posizione emotiva della persona 45. La tradizionale terapia psicoanalitica è risultata altamente infruttuosa nel trattamento delle tossicodipendenze. Ciò è stato imputato al transfert eccessivamente idealizzato, alla scarsa capacità di contatto con le emozioni e al continuo esplodere di azioni (acting out) in reazione alla presa di coscienza di particolari aspetti di sé (insight). I modelli psicodinamici hanno comunque fornito abbondanti elementi teorici alla psicoterapia delle tossicodipendenze, sia per quanto riguarda la dinamica delle emozioni che per l’interpretazione dei meccanismi difensivi. Le teorie a orientamento comportamentista e le successive evoluzioni del sociocognitivismo, si basano sull’assunto che i comportamenti e le risposte emotive sono appresi o non appresi. Bandura46 considera i comportamenti anormali non come il sintomo di una malattia, ma come un problema di apprendimento sociale e che può essere trattato secondo gli stessi princípi. Le sue conclusioni già nel ’67 si adattavano perfettamente alla descrizione di una comunità terapeutica: “Non è lontano il giorno in cui i problemi psicologici non verranno più trattati negli ospedali o nei centri d’igiene mentale ma in veri e propri centri di appren42 KOHUT H., Preface in BLAIN J.D., JULIUS D.A. 1977 43 BERGERET J. 1983 44 KERNBERG O. 1967, P. 641-685 45 STEFFENHAGEN R.A. 1980 46 BANDURA A. 1967 dimento, dove i clienti non saranno più considerati pazienti che soffrono di profonde patologie psichiche ma persone responsabili che partecipano attivamente allo sviluppo delle proprie potenzialità”. In ulteriori contributi questo autore ha attribuito al giudizio personale sulla capacità di esercitare un controllo sulle proprie motivazioni e comportamenti (personal efficacy) un ruolo centrale nella determinazione degli standard di comportamento salubre47. In questa prospettiva i moderni contributi del sociocognitivismo pongono l’accento sui processi di interazione tra determinanti sociali e meccanismi psicologici individuali nel comportamento umano. Si tratterebbe quindi di porre al centro della teoria due concetti: rinforzo farmacologico e rinforzo diretto. Non sarebbe il solo effetto euforico piacevole a rinforzare il comportamento dipendente, ma l’interazione di numerosi altri fattori, legati all’ambiente dove viene vissuto il ruolo del tossicodipendente. Le teorie su base sistemica considerano la tossicodipendenza come un equilibrio patologico di relazioni nel sistema familiare. Qui la persona dipendente distrae l’attenzione da altri problemi della famiglia e funziona da collante per il sistema. Negli adolescenti il problema della droga sembra assumere la funzione di una pseudo indipendenza e pseudo individuazione quando non sono state sviluppate normali relazioni con i pari nell’infanzia. Alcuni autori48 hanno trovato una stretta relazione tra iperprotezione, separazione precoce o rifiuto emozionale nell’infanzia e tossicodipendenza. Altri49 hanno messo in evidenza la crisi familiare del sistema al rientro di uno dei suoi membri recuperato dalla droga. Le teorie dell’automedicazione sono di origine psichiatrica e basate sull’osservazione della riduzione dei sintomi depressivi o schizofrenici sotto l’effetto delle droghe. In questo approccio la dipendenza è considerata una malattia cronica, di origine organica e quindi inguaribile50 . La tendenza a ricadere dopo prolungati periodi di astinenza ha portato alla conclusione dell’inguaribilità, posizione ad esempio assunta dagli AA. In una prospettiva al confine tra teorie sistemiche e dell’automedicazione, Cancrini51 ha identificato quattro tipologie della tossicodipendenza: traumatica, dell’area nevrotica, di transizione e sociopatica. La sua analisi costituisce un modello abbastanza esteso da 47 BANDURA A. 1994 48 KAUFMAN E., KAUFMAN P. 1979 49 STANTON M.D., TODD T.C. 1982 50 JELLINEK E.M. 1960 51 CANCRINI L., D E GREGORIO F., CANCRINI M.G. 1993 comprendere gran parte delle teorie finora esposte. Se a livello dei meccanismi individuali di risposta gli approcci interazionisti o del sociocognitivismo rendono ragione dell’estrema variabilità del fenomeno, a un livello più generale sembrano necessari modelli eziologici complessi. In questo senso Peirone52 sostiene un approccio multifattoriale e aspecifico in cui l’avvicinamento alla sostanza psicoattiva si realizza attraverso una mediazione (persona o cosa). Introduce così il concetto di fattori esposizionali che aprono la porta a una complessità causale di tipo sociale, ridimensionando l’incidenza delle disposizioni individuali. La sua impostazione può essere considerata pienamente psicosociale. Sullo sfondo delle diverse teorie c’è il dibattito adattamento versus malattia, due modi diversi di organizzare, analizzare e spiegare la fenomenologia delle dipendenze. Due prospettive che determinano diversi modelli di intervento a seconda dell’orientamento assunto. Alla posizione dipendenza uguale malattia, va riconosciuto il merito ad esempio, ai tempi della fondazione di AA, di aver permesso all’alcolismo di trascendere quella veste di vizio morale che il puritanesimo gli aveva assegnato. Per questa posizione la vulnerabilità, o la malattia, è la causa dei comportamenti compulsivi della persona dipendente e quindi del suo mancato adattamento alle esigenze della vita. Ciò ha dato un grande impulso a tutte quelle ricerche miranti all’identificazione dei fattori causali e/o predisponenti e dato vita a una tradizione terapeutica centrata principalmente sulle modificazioni individuali. Con ciò si intendono sia gli approcci prevalentemente farmacologici sia quelli più squisitamente psicoterapeutici che hanno in comune la concezione di un difetto nel funzionamento dell’individuo. Il rischio implicito in questa posizione è quello di una visione troppo determinista della dipendenza, senza spazio per la responsabilità e la creatività individuale. Per la posizione dipendenza uguale adattamento, essa è invece il risultato dei fallimenti nella crescita e socializzazione dell’individuo (qualsiasi sia la loro origine) o dei condizionamenti sociali. A questa posizione va invece il merito di aver messo in luce sia il ruolo attivo dell’individuo che le influenze e le responsabilità dell’ambiente e della società. In questi casi il rischio è rappresentato da un lato dalla sopravvalutazione delle responsabilità individuali e dall’altro dal giustificazionismo derivante dal sottolineare le influenze sociali. 52 PEIRONE L. (a cura di) 1987 È evidente che nessuna delle teorie presentate è in condizioni da sola di dare una risposta esauriente al problema delle dipendenze. La predominanza di un modello esplicativo sugli altri ha seguito un’evoluzione storica, parallela alla diffusione e diversificazione del fenomeno delle dipendenze, rappresentando allo stesso tempo diversi campi di sapere. Piuttosto è conveniente considerare i diversi fattori in interazione tra loro, e utilizzare l’una o l’altra teoria per spiegare diversi aspetti dell’esperienza della persona dipendente. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha sposato una definizione circolare e complessa, al pari di quella relativa al concetto di salute, che cerca di rendere ragione dell’interazione tra fattori e della complessità diagnostica del fenomeno53 . LA COMUNITÀ TERAPEUTICA Il concetto di Comunità Terapeutica è uno tra i più controversi delle scienze sociali.54 Nonostante il disaccordo generale sui termini di una classificazione o le critiche al suo reale effetto terapeutico, 55 il concetto è vitale e al centro di un rinnovato interesse scientifico. Il termine fu coniato da Tom Main nel 1946 nell’ambito del secondo esperimento di riorganizzazione dell’ospedale di Northfield. Alla psichiatria britannica del secondo dopoguerra va dunque il merito di aver definito con questo nome gli esperimenti di modificazione del setting terapeutico istituzionale. Ma al di là del termine è difficile identificare le radici di una pratica terapeutica in cui confluiscono bisogni archetipici quali quelli di appartenere a un gruppo, di avere una famiglia o il più generale e conosciuto bisogno di comunità. Sia che si risalga alle utopie comunitarie di Robert Owens56 o che si seguano percorsi più avventurosi fino agli Esseni dell’Antico 53 Buletin of the World Health Organization 59 (2): 225-242 (1981) trad. it. in: Bollettino per le farmacodipendenze e l’alcolismo VII (1) pag. 43-90 (1984): “...la disponibilità di droghe, leggi permissive, controlli internazionali, attitudini culturali, attributi personali, substrato genetico, rapporti familiari, esperienze dell’infanzia, attività lavorative e caratteristiche demografiche sono tutti fattori implicati quali antecedenti significativi nell’impiego di droga...” (trad. it. pag.70-71) 54 Per una più completa trattazione dei modelli classificatori: LABOS 1994 55 Si veda ad esempio: A DLER H.M, HAMMETT V.B.O. 1973 56 CORULLI M., G ILARDI A. 1991 Egitto, 57 ogni ricostruzione illumina parzialmente la complessità di un fenomeno così antico. Spesso poi tali ricostruzioni suonano a forzature, quando non a tentativi di blasonare questo o quel modello. Dalle tesi medievali di un ritorno al cristianesimo primitivo fino ai kibbutz israeliani, ogni epoca storica ha sviluppato le sue utopie comunitarie, frutto dello spirito dell’epoca e di un perenne, mai sopito, bisogno di comunità. Per il nostro lavoro è sufficiente prendere atto delle naturali tendenze umane all’unirsi in gruppi e dell’uso creativo che in molte occasioni storiche se ne è riuscito a fare. Non sorprende quindi che in epoca moderna il tema comunitario sia stato riproposto con rinnovato vigore questa volta a proposito di due delle grandi problematiche sociali del secolo: la malattia mentale e la tossicodipendenza. Ed è a questi due campi che si circoscrive la nostra analisi, in quanto nello sviluppo del modello terapeutico del CeIS confluiscono sia la linea delle CT per tossicodipendenti nate negli USA negli anni ’60, che i contributi della psichiatria sociale di Maxwell Jones e dell’Human Relations Training del Tavistock Institute.58 La tradizione britannica delle Comunità Terapeutiche La Comunità Terapeutica nell’ambito dell’ospedale psichiatrico ha un suo antecedente nel metodo conosciuto come terapia ambientale sviluppato all’inizio del secolo dallo psichiatra tedesco Hermann Simon e introdotto negli Stati Uniti da William C. Menninger. 59 Le sue idee e quelle di Harry Stack Sullivan, un altro psichiatra di formazione psicoanalitica, fanno da sfondo storico alle esperienze di Northfield e al lavoro di Maxwell Jones all’Henderson Hospital. Anche il concetto di therapeutic milieu di Bettelheim, frutto della sua esperienza all’Orthogenic School di Chicago, appartiene allo stesso periodo post-bellico, a riprova della confluenza di diversi contributi al concetto di Comunità Terapeutica in ambito psichiatrico.60 Sono sicuramente due le anime presenti in questo processo, che hanno finito per compenetrarsi pur mantenendo ciascuna la sua specificità: l’approccio psichiatrico 57 Dobbiamo riconoscere l’ispirazione ricevuta dalla trattazione di G LASER F.B. (1981) anche se ciò che a noi preme non è tanto l’archeologia delle CT, bensì mettere in luce gli elementi simbolici di maggior peso di cui era portatore il modello americano e che sono entrati a far parte della cultura interna del CeIS. 58 Ciò non deve essere interpretato nel senso di in una sintesi di tali modelli, ma più semplicemente che essi hanno influenzato significativamente, insieme a molti altri, l’evoluzione dei servizi del CeIS. 59 ALMOND R. 1971 60 BETTELHEIM B., SYLVESTER E. 1948 istituzionale che si deve a Maxwell Jones e quello socioanalitico (o transizionale) originatosi a Northfield. In un certo senso ambedue si contendono la paternità del modello di CT, mentre è probabile che si siano sviluppati sinergicamente anche grazie all’impulso alla ricerca che le scienze umane ricevevano nel secondo dopoguerra. Il tentativo di creare un’istituzione terapeutica, conosciuto come l’esperimento di Northfield, rappresenta il punto di partenza di quella linea che ha privilegiato il concetto di Comunità Terapeutica come comunità transizionale orientata alla risocializzazione. “Northfield è un ospedale famoso, specializzato nella cura delle nevrosi da guerra, dove si incontrarono i fondatori del Tavistock Institute of Human Relations: persone come John Rickman, Elliot Jacques, Henry Dicks, Tommy Wilson, Isabel Menzies Lyth, Harold Bridger, Eric Trist, oltre naturalmente Wilfred Bion e Tom Main.” 61 Il primo esperimento di Northfield, quello diretto cioè da Bion, aveva dimostrato che la delega ai pazienti stessi della responsabilità della loro salute aveva dato un risultato importante. Ciò era avvenuto grazie al rifiuto di Bion di assumersi la responsabilità delle sanzioni disciplinari e dell’organizzazione e direzione della corsia ospedaliera, “Il Super Io militare, non più proiettato sui superiori, era tornato al sistema di ordine inferiore, cioè ai soldati, e la corsia di Bion divenne la più efficiente dell’ospedale”62 L’esperimento fu ripreso da Tom Main, dopo che le gerarchie militari avevano reagito negativamente al caos disciplinare provocato da Bion, allontanandolo dalla direzione. È probabilmente il secondo esperimento di Northfield quello che diede il maggior impulso alla ricerca sui piccoli gruppi e sulle dinamiche dell’organizzazione, preconizzando i temi che saranno sviluppati dal Tavistock Institute. Main in un certo senso mediò le esigenze di trasformazione della struttura ospedaliera con quelle della disciplina militare, che richiedeva una forte e chiara struttura organizzativa. Si delineava così la prospettiva socioanalitica su cui si sviluppava l’esperimento: la concezione sistemica dell’organizzazione, l’analisi delle difese di matrice kleiniana, l’intenso lavoro nei gruppi. Soprattutto prendeva forma la visione dell’intera istituzione come sistema 61 MAIN T. 1992, p. XIX 62 MAIN T. 1992, P. 132-133 globale che necessitava il trattamento, condizione fondamentale per la creazione di una cultura positiva e terapeutica per tutti (pazienti e personale). L’accento si spostò piano piano dai gruppi di terapia ai gruppi di attività, soprattutto attraverso il lavoro di Bridger e Foulkes, configurando la funzione risocializzante dell’istituzione. Ciò dipendeva dall’osservazione che i principali ostacoli al reinserimento dei pazienti derivavano dalle difficoltà ad assumere ruoli sociali e che quindi una terapia valida dovesse affrontare non solo il mondo interno ma anche, o soprattutto, le capacità sociali e le relazioni. Il lavoro di Main proseguì dopo Northfield al Cassel Hospital, ed è interessante notare come questo si sviluppò negli anni 50 verso un modello di servizio territoriale, vera e propria struttura intermedia nel senso transizionale del termine. Se la psicoanalisi inglese rappresenta il principale background del modello di Comunità Terapeutica sviluppatosi attraverso Northfield, la psichiatria istituzionale e la medicina sono stati per così dire il campo di battaglia per Maxwell Jones. Una delle più conosciute applicazioni del concetto di istituzione terapeutica, è infatti il suo lavoro pionieristico prima alla Mill Hill School e poi al Belmont e all’Henderson Hospital. Intuendo dall’esperienza l’enorme creatività delle strutture dotate di comunicazione più libera, in contrasto con i tradizionali ruoli dell’ospedale, Jones non si poneva all’inizio ambizioni psicoterapeutiche. Il suo obiettivo era quello di dotare i pazienti delle necessarie abilità sociali e favorirne la reintegrazione sociale. Fu successivamente (anche grazie alla sua collaborazione con Aubrey Lewis al Maudsley Hospital) che, al constatare l’importanza delle esperienze precedenti nelle difficoltà ad agire all’interno dei ruoli sociali, si rivolse alla psicoanalisi e intraprese egli stesso un’analisi con Melanie Klein. 63 L’influenza della teoria delle relazioni oggettuali sarà permanente nel suo lavoro. L’opera di Jones è ampiamente conosciuta nel mondo della psichiatria e della psicoterapia. Pioniere delle comunità terapeutiche, ha affrontato coraggiosamente riforme profonde del sistema assistenziale inglese negli anni successivi alla seconda guerra mondiale. Jones partecipa a pieno titolo della tradizione della psichiatria sociale che ha messo a fuoco le profonde connessioni tra sofferenza mentale e condizioni sociali.64 Jones fu critico verso il riduttivismo scientifico, e sostenitore di un approccio olistico.65 Il suo pensiero è complesso 63 MACARIO M. 1990, p. 21 64 CLARK H.D. 1976 65 JONES M. 1974 così come la sua pratica è stata creativa, contribuendo alla trasformazione dell’ospedale psichiatrico in modo determinante. Le successive applicazioni del concetto di terapia sociale gli fecero definire il suo approccio ecologia sociale. Nella sua pratica conversero influenze della teoria dei sistemi, della terapia analitica di gruppo di Foulkes e dell’approccio holding environment di Winnicott. La sua fu una filosofia democratica, egalitaria e in molti sensi profondamente spirituale. Aperto alle potenzialità inespresse dell’essere umano, fu profondamente convinto delle capacità di sviluppo dell’ambiente sociale, che, così come poteva produrre malattia, ne poteva inventare la cura. Creò il gruppo di comunità, o assemblea, come principale strumento del processo di apprendimento sociale, stravolgendo le abituali pratiche decisionali dell’istituzione psichiatrica. Anche in Italia sono state tentate applicazioni della pratica jonesiana nelle strutture psichiatriche. 66 Soprattutto la psichiatria di Basaglia utilizzò, anche se in modo critico, molti degli elementi metodologici del suo modello. Pur senza approfondire l’argomento, va ricordato che Basaglia criticò aspramente il revisionismo del modello jonesiano, riconoscendo alla malattia mentale una natura di classe e all’istituzione psichiatrica una funzione di controllo sociale.67 Rapoport, antropologo che studiò per tre anni la nuova struttura creata da Maxwell Jones nell’Henderson Hospital, identifica le quattro caratteristiche fondamentali della Comunità Terapeutica: democratizzazione, permissività, comunitarietà di intenti e di scopi e confronto con la realtà. 68 Nel modello di Jones sono centrali sia il coinvolgimento del paziente che la riduzione dello squilibrio di potere all’interno dell’istituzione. L’apprendimento sociale nel modello inglese, definito anche democratico, rappresenta il processo fondamentale della CT. Jones lo definisce come: “[...] il cambiamento degli atteggiamenti, convinzioni e valori della persona attraverso l’esperienza, risultante dal processo di comunicazione a più vie possibile nella situazione di gruppo e che coinvolge i processi cognitivi dell’individuo”.69 66 CIBIN M., RICCI G.P., ZAVAN V. 1992, P. 19-22 67 BASAGLIA F. 1968 68 RAPOPORT R.N. 1960 69 JONES M. 1976 Le ulteriori caratteristiche distintive sono la responsabilità condivisa, la presa di decisioni in comune, il consenso, la leadership multipla. Nel suo lavoro Jones considerò centrale l’umanizzazione degli ospedali e delle professioni. Lo scopo era di riconoscere il paziente come persona e dimostrare le capacità dei suoi pari nell’aiutarlo. La meta finale era che ogni persona raggiungesse la pienezza dello sviluppo. Nella sua evoluzione come psichiatra cercò di colmare il vuoto tra teoria dell’apprendimento, teoria sistemica e psichiatria tradizionale. La linea psicoanalitica più fedele al modello psicodinamico sviluppatosi dall’esperienza di Northfield criticò Jones, soprattutto sul tema della democratizzazione. Secondo Main infatti, il livellamento dei ruoli tra staff e pazienti, rappresenterebbe soltanto una difesa dall’angoscia di persecuzione insita nel ruolo e non una reale opportunità di apprendimento.70 Lo stesso concetto viene sottolineato da H. Bridger: le differenti posizioni gerarchiche in un sistema organizzato non dovrebbero essere eliminate in modo fittizio. È dall’esplorazione delle relazioni che scaturiscono importanti elementi di apprendimento, che una pratica di democratizzazione fittizia può invece impedire. 71 Ma al di là del dibattito teorico e delle critiche che le due scuole si sono scambiate, va ricordato che esse si sono sviluppate in campi diversi: Northfield era un ospedale militare per reduci dal fronte, persone che potevano essere definite come nevrotici da guerra (o disturbo post-traumatico da stress che dir si voglia). La principale funzione della terapia era di facilitare la risocializzazione. Jones lavorò principalmente in istituzioni psichiatriche, con una popolazione psicopatologicamente più danneggiata e conseguentemente in un sistema più chiuso. Le sue influenze sono state particolarmente importanti in primo luogo per la psichiatria istituzionale, mettendo in crisi i modelli custodialistici o repressivi. Oltre a ciò va sottolineato il contributo al dibattito sulle relazioni di potere nella terapia e sul significato politico del lavoro sociale. La comunità terapeutica per tossicodipendenti Dai pionieristici passi mossi in opposizione al mondo professionale e sostenuti da una fede messianica nelle risorse del tossicodipendente all’attuale complessità di approcci, le comunità terapeutiche per tossicodipendenti che si riconoscono nell’approccio drug free si sono poste come soggetti sempre più maturi nel panorama del trattamento delle tossicodipendenze. 70 MAIN T. 1992, p. 141 71 H.BRIDGER, comunicazione personale Tenendo conto delle notevoli differenze, col termine CT viene definita una modalità di trattamento delle tossicodipendenze in regime residenziale. La prima associazione di CT della nuova generazione americana, nacque col nome di Therapeutic Communities of America (TCA) nel 1975. Già allora i residenti presenti nelle diverse organizzazioni federate erano circa 8.000, 2.000 i membri dello staff e un budget federale di 50.000.000 di dollari. 72 Nel 1976 si tenne in Svezia il primo congresso mondiale delle CT. Negli stessi anni l’International Council for Alcoholism and Addiction, (ICAA), promuoveva la nascita di una sezione dedicata alle CT, da cui prenderà forma successivamente la World Federation of Therapeutic Communities (WFTC). Gli sforzi della neonata TCA furono diretti a una sistematizzazione delle strategie operative e al raggiungimento di un accordo sul modello di CT. Venivano riconosciute le radici nei movimenti del self help, il carattere tribale dell’organizzazione, il bisogno di autonomia e di formalizzazione del modello. 73 Si sottolineava la necessità di strategie di ricerca adeguate al funzionamento della CT che permettessero di rendere visibili i risultati e quindi rendere conto dei finanziamenti pubblici ricevuti. Lo stretto legame con le strutture del governo americano è una caratteristica distintiva del movimento nascente. Infatti anche la prima CT ufficiale, Daytop Lodge, ispirata al modello di Synanon, nacque grazie a un progetto finanziato dal National Institute for Mental Health. 74 Gli Stati Uniti con la legge del 1970, avevano modificato la politica nel campo delle tossicodipendenze, fino ad allora predominio esclusivo della repressione. Erano nati così i due sistemi di trattamento che rimasero contrapposti per lungo tempo: la CT drug free e i programmi di metadone. Lo sforzo di quegli anni, quelli delle CT della prima generazione come vennero definite, furono tutti orientati alla dimostrazione della validità del modello, al tentativo di raggiungere una classificazione valida e conseguentemente al riconoscimento della sua identità. 72 GISSEN M. 1978 73 DE L EON G., BESCHNER G.M. 1976 74 BASSIN A. 1978 Nel 1976 una prima definizione di comunità terapeutica emerse dalla Planning Conference of Therapeutic Communities of America: “Tu solo puoi farlo, ma non da solo! Questo riassume l’approccio essenziale delle CT che possono essere descritte da diverse prospettive: metodologiche, per obiettivi, storiche, strutturali ed esperienziali”. Quella prima definizione fu una risposta ai problemi creati dalla recessione americana del 1974-76 che mise in discussione gli alti costi delle terapie residenziali rispetto ai metodi ambulatori o alle terapie metadoniche. Inoltre la Planning Conference rappresentò una risposta alle critiche di scarsa scientificità, scarsa valutabilità dei risultati e alta perdita di utenza che venivano mosse alle CT. Nel 1981 la Federazione Mondiale delle CT (WFTC) adottò dopo vivaci discussioni una definizione estesa del concetto, che rispettasse le differenze e le originalità di un modello ampiamente sviluppato. “L’obiettivo primario di una CT è la crescita personale dell’individuo. Ciò è possibile grazie al cambiamento nello stile di vita attraverso una comunità di persone impegnate, che lavorano insieme per aiutarsi l’un l’altro. La CT rappresenta un ambiente altamente strutturato con confini morali ed etici precisi. Essa utilizza sanzioni e privilegi come parte del processo di recupero. Diventare parte di qualcosa più grande di se stessi è uno dei fattori centrali della crescita. Le persone sono membri della comunità, come in una famiglia, e non pazienti di un’istituzione. Ciò significa giocare un ruolo significativo nella gestione della CT e agire come un modello positivo di ruolo da emulare. I residenti e lo staff agiscono come facilitatori, sottolineando la responsabilità personale per la propria vita. I membri della comunità sono supportati dallo staff e il lavoro è condiviso. La pressione del gruppo dei pari è spesso il catalizzatore che permette la trasformazione del criticismo in cambiamenti positivi. Alte aspettative e alto livello d’impegno sono i supporti per tale cambiamento. La consapevolezza dei problemi personali si ottiene attraverso il lavoro di gruppo e le interazioni interpersonali ma l’apprendimento attraverso l’esperienza, attraverso i successi e i fallimenti, è considerato il più potente strumento per il cambiamento. La CT sottolinea l’integrazione dell’individuo nella comunità di appartenenza. L’autorità è orizzontale e verticale, e si incoraggia il processo di partecipazione nella presa di decisioni quando ciò è fattibile e coerente con la filosofia e gli obiettivi della CT.” 75 La definizione è ampia e almeno apparentemente non differisce in modo sostanziale da quella offerta da Maxwell Jones per le esperienze democratiche inglesi: “La CT è un gruppo di persone che si uniscono con un obiettivo comune e che possiedono una forte motivazione al cambiamento. Il suo scopo è la crescita della persona come processo individuale e sociale. Il compito è quello di aiutare un individuo a raggiungere il suo potenziale.” 76 In realtà sono molte le differenze tra i due modelli anche se i processi comunitari fondamentali possono essere descritti in modo simile. Le definizioni generali che abbiamo presentato sono quelle accettate dalle rispettive Federazioni (...). Ricorrono com’è evidente i temi del cambiamento, della comunanza di obiettivi e dell’aiuto reciproco. In ambedue le linee essa viene a rappresentare un’alternativa ai modelli tradizionali di trattamento, in un caso delle malattie mentali e nell’altro della tossicodipendenza. Donald Ottenberg, Direttore dell’Eagleville Hospital di Philadelphia e una delle menti più lucide nella teoria e pratica delle CT, riassume gli elementi salienti del processo di recupero di una CT: “... se ci chiediamo che cosa trova un tossicodipendente che chiede aiuto alla comunità, io direi un risveglio della speranza. L’opportunità di sentirsi simile agli altri, essere accettato come membro di un gruppo o di una famiglia [...] amare ed essere amato, poter esercitare l’odio e la rabbia, fare pace con se stesso [...] sperimentare la possibilità di vivere e svilupparsi senza ricorrere a sostanze chimiche [...] la CT, prima un rifugio, poi per breve tempo una casa, rende possibile un nuovo inizio.” 77 75 KERR D.H., cit. in K OOYMAN M. 1993 76 BRIGGS D., Observations, Reflections and Recommendations, Report for Centro italiano di Solidarietà, [non pubblicato] 77 OTTENBERG D.J. 1976 Lewis Yablonsky, sociologo e studioso di vasta esperienza nel campo delle CT, ne sintetizza le caratteristiche principali: “Il vero metodo della Comunità Terapeutica unisce il metodo fondamentale degli Alcoholics Anonymous, basato sull’uso di tossicodipendenti in via di recupero come coterapeuti all’interno di un gruppo di sostegno, alla concezione medico psicologica della necessità vitale per il tossicomane di comprendere i propri problemi sociopsicologici vivendo in una comunità senza droghe per un ragionevole periodo di tempo. In base alla mia esperienza ho concluso che sono necessari alcuni fattori basilari perché un’organizzazione possa essere definita una Comunità Terapeutica: entrata volontaria, uso di metodi di gruppo, in particolare il gruppo di incontro, uso appropriato di tossicodipendenti come coterapeuti e una struttura sociale aperta che permetta al tossicodipendente che entra di salire i gradini dell’organizzazione fino a occupare posizioni terapeutiche di responsabilità.”78 Lewis Yablonsky è una figura centrale nello sviluppo del movimento delle CT americane. La sua formazione in Psicodramma realizzata con J.L. Moreno, gli fece apprezzare le qualità dei residenti come coterapeuti. Le sue ricerche sulle bande giovanili e l’interesse per modelli non tradizionali di riabilitazione, nonché la sua formazione criminologica e l’esperienza come consulente del Dipartimento di Giustizia Criminale dello Stato di New York, lo portarono a collaborare strettamente con Synanon di cui è senz’altro uno dei maggiori conoscitori. Contribuì a dotare la struttura della CT americana di un’impostazione riabilitativa, ad esempio attraverso la progressione nei privilegi e nella libertà. A Synanon dedicheremo ampio spazio: per ora basti ricordare che a quell’organizzazione si sono ispirate praticamente tutte le CT nate in America negli anni ’60. Sin dalla sua fondazione, ruppe con la tradizione degli Alcoholics Anonymous da cui Charles Dederich, il suo fondatore, era fuoriuscito. Nonostante ciò sono stati molti gli elementi che dal programma per alcolisti più diffuso nel mondo, si sono trasferiti in Synanon. La base non professionale, la 78 YABLONSKY L. 1989 centralità dell’autoaiuto, concetti come toccare il fondo o attacco alle difese, sono passati quasi senza modifiche da un programma all’altro. La dialettica fra i due modelli In un’acuta analisi della diffusione delle CT per tossicodipendenti a livello internazionale e sulla loro ispirazione al modello inglese o americano, Eva Tongue e Zsuzanna Adler79 notano che: “... una delle caratteristiche che la maggior parte delle CT hanno in comune è il momento della loro creazione. Tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 appaiono come una risposta alla diffusione e all’incremento dell’abuso di droghe, espressione di organizzazione civile in risposta ai problemi sociali. Si possono considerare i differenti modelli di CT in base ai conflitti tra i differenti approcci. Il modello americano differisce dall’approccio tradizionale di Maxwell Jones per due fattori. Primo: per il modello americano l’intervento e la pressione di fattori esterni per l’entrata al trattamento è considerato un fattore terapeutico. Ciò implica un alto livello di motivazione e conseguentemente una forte selezione. Nel modello ispirato da M. Jones viene invece sottolineata la libera volontà nell’ammissione, senza forzature esterne. Secondo: le differenti teorie sull’eziologia della tossicodipendenza e il carattere democratico o totalitario dell’istituzione. Nel modello americano il tossicodipendente è considerato una persona emozionalmente infantile all’interno di un corpo da adulto, con una socializzazione difettosa. Chiaramente da questa impostazione derivano corrispondenti strutture organizzative. L’obiettivo della CT diventa allora la maturazione della persona, derivandone procedure iniziali di controllo di tipo genitoriale nella speranza dello sviluppo di un autocontrollo autonomo. Queste forme di modificazione del comportamento hanno certamente una componente autoritaria, che varia però enormemente da una comunità all’altra. Per il modello ispirato da Jones invece devono essere ripudiate tutte quelle forme di coercizione di tipo genitoriale. Viene allora sviluppato un modello 79 TONGUE E., A DLER Z. 1978 ispirato alle idee originali di Jones, dove la responsabilità e l’autorità non risiedono in un individuo solo ma sono condivise da molti in rappresentanza dell’intero sistema.” Proprio da questo punto sono scaturite le maggiori critiche degli inglesi al modello di Comunità Terapeutica destinato ai tossicodipendenti.80 Diverse sono le condizioni in cui i due modelli si svilupparono e diversi i contesti storici e culturali. Il modello inglese, figlio della psichiatria e della psicoanalisi britannica, vide la luce all’interno delle ricerche condotte sui breakdown nervosi dei soldati e sul saldo di emarginazione sociale lasciato dalla Seconda Guerra Mondiale; quello americano nacque come risposta auto-organizzata a una patologia sociale, espressione della mentalità pragmatica del Nuovo Mondo. Nel primo il sapere scientifico tradizionale trova da se stesso le vie per modificarsi; nel secondo la risposta è di tipo controculturale, inizialmente anti-istituzionale. Nel modello inglese il cambiamento poggia su di una solida tradizione intellettuale e scientifica e si pone come alternativa senza rompere con il passato; nel modello americano l’anti-intellettualismo e l’anti-professionalismo sono gli elementi caratteristici di una minoranza auto-organizzata. Per gli inglesi la leadership è del sistema sociale e va continuamente negoziata e modificata; per gli americani essa è una dote naturale dell’individuo e va esercitata in modo positivo. Il confronto potrebbe proseguire per arrivare a una comparazione di culture, quale quello tipicamente britannico di Hinshelwood: “All’interno di limiti chiaramente definiti, la CT si sviluppa creativamente. In questo senso non ne esistono due uguali. Il significato individuale è nelle variazioni. La versione americana è radicalmente differente. Piccoli Synanon sono sorti un po’ dovunque come piccoli cloni.”81 Per molto tempo non ci fu comunicazione e scambio tra i due modelli. Fu il Centro Italiano di Solidarietà di Roma (CeIS) a promuovere durante il Congresso Mondiale delle Comunità Terapeutiche del 1984, il primo confronto approfondito tra le esperienze inglesi e quelle 80 JONES M. 1984 81 HINSHELWOOD R.D. 1986 americane. 82 Questo ha rappresentato un momento chiave nell’evoluzione dell’intero movimento mondiale delle CT. Considerazioni Molti degli elementi che caratterizzano la comunità per tossicodipendenti possono essere compresi solo alla luce dei loro antecedenti per meglio coglierne il significato. Ma la storia è anche interpretazione di fatti, attribuzione di significati: gli elementi vengono selezionati e organizzati in una forma coerente, correndo il rischio, purtroppo di costruire genealogie. È un po’ ciò che è successo a F.B. Glaser nella sua ricostruzione storica del modello americano di CT.83 La sua ricerca, senz’altro suggestiva, è diventata un classico dell’archeologia delle comunità anche se criticabile84. Anche noi dobbiamo correre qualche rischio nell’esaminare l’evoluzione della CT identificandone gli elementi fondamentali e le loro trasformazioni. Ma più che un’operazione archeologica la nostra vuole essere una ricerca delle componenti culturali e dei paradigmi organizzativi che caratterizzano il modello di CT, dal momento che non ci muove il bisogno di dimostrare alcuna nobile ascendenza. Per questo è necessaria l’analisi delle fonti di ispirazione del modello americano di CT, soffermandoci in particolare sull’autoaiuto e Alcoholics Anonymous (AA). Le ragioni di questa scelta metodologica risiedono nella consequenzialità storica dei fenomeni: tra AA, Synanon e Daytop corre una linea diretta di idee e strumenti, confermata sia dalla tradizione orale che da numerose ricerche. In successivi passaggi l’esperienza e i metodi si sono trasmessi, modificandosi grazie a nuovi contributi e al mutare delle condizioni storiche e sociali ma mantenendo una identità di fondo. Alla base dell’autoaiuto e del fenomeno Alcoholics Anonymous vi sono elementi culturali e teorie psicologiche che sono state trasmesse al modello americano di CT. La loro visione del mondo e il metodo maturato con l’esperienza costituiscono il background che le CT hanno 82 OTTENBERG D.J. 1984 83 G LASER F.B. 1981 84 In particolare quella di voler blasonare il modello americano ricostruendogli un’ascendenza storica. poi capitalizzato. Solo attraverso questo percorso si possono cogliere gli elementi essenziali e come essi sono stati adattati e trasformati85 . IL MODELLO AMERICANO IL SELF HELP Col termine self help si definisce la pratica dell’auto-mutuo aiuto basata sull’utilizzazione dell’esperienza personale, realizzata in gruppi omogenei per problematica. Il dibattito è vivace, non essendoci ancora accordo sulle caratteristiche specifiche, sui criteri di definizione e sulla portata operativa. Il fenomeno è particolarmente significativo negli USA dove già nel 1976 Katz e Bender avevano calcolato circa 500.000 gruppi dedicati alla pratica del self help in campi estremamente diversi.86 Jacobs e Goodman hanno stimato nel 1989 più di sei milioni di partecipanti annuali ai gruppi che in generale, escludendo movimenti estesi quali AA, possiedono una dimensione locale. Oltre ad Alcoholics Anonymous e Recovery Inc., i due più antichi self help groups rispettivamente per alcolisti (1935) e pazienti psichiatrici (1937), sono nati gruppi per persone depresse, obese, per giocatori d’azzardo, omosessuali, dipendenti da Internet87, e per una infinità di altri problemi o forme di stigmatizzazione sociale.88 L’appartenenza a gruppi stigmatizzati infatti è una delle caratteristiche distintive dei gruppi di autoaiuto. L’origine del gruppo di self help come metodo d’approccio a problemi umani non può essere identificata in un momento preciso: i piccoli gruppi basati sulla condivisione e su comuni interessi si trovano praticamente in tutti gli stadi della storia dell’umanità. È di Alcoholics Anonymous il merito di aver utilizzato, e soprattutto ritualizzato, la pratica dell’autoaiuto per una problematica sociale estremamente diffusa quale l’alcolismo. Successivamente le rapide trasformazioni degli anni ’50 negli USA crearono le condizioni per il vertiginoso sviluppo dei self help groups. Fattori quali la diffusione della psicoterapia di 85 Lo sforzo di ricostruzione e l’identificazione degli elementi antropologico-culturali è stato indirizzato alla maggiore fedeltà possibile alla letteratura e alle informazioni disponibili, senza riuscire tuttavia a evitare quella dose di soggettività propria di ogni ricostruzione. 86 K ATZ A., BENDER E. 1976 http://www.safari.net/~pam/netanon/index.html 88 G ARTNER A., REISSMAN F. [s.d.] 87 gruppo, il fallimento dei sistemi di assistenza sanitaria pubblica e l’erosione della tradizionale funzione di sostegno della famiglia hanno ampiamente contribuito a questo fenomeno di autoorganizzazione sociale. Lo sviluppo circoscritto localmente spesso rappresenta un limite per il costituirsi dei self help groups in veri e propri gruppi di pressione politica. L’estrema concentrazione sulle responsabilità individuali e la resistenza a intervenire politicamente, sono state alcune delle maggiori critiche rivolte al self help movement, e in particolare agli Alcoholics Anonymous. Tale atteggiamento è stato definito dall’ala più radicale della psicologia di comunità americana come blaming the victim (biasimare la vittima). In pratica viene criticato il fatto che AA non prenda in considerazione i fattori sociali dell’alcolismo, soprattutto quelli di svantaggio o di influenza sociale, e che si rifiuti di prendere posizione nel dibattito politico. Per queste ragioni la psicologia e la sociologia più impegnate politicamente hanno visto nella pratica dell’autoaiuto uno strumento di conservazione, soprattutto negli anni ’50 e ’60 in cui più forte era il dibattito sul ruolo politico della scienza. Va detto però che l’astensione di AA dal prendere posizioni politiche ha il suo fondamento nella preoccupazione del movimento di garantire la libera adesione e l’anonimato. Ciò è stato il frutto della crescita di AA e dell’esperienza dell’estrema diversità dei suoi membri. Le Dodici Tradizioni sono il risultato di questo equilibrio che i fondatori vollero dargli. Le nuove tendenze del self help, orientate a una maggiore incidenza sulle politiche sociali, sembrano essere state influenzate da queste critiche. Ne sono un esempio i movimenti di autoaiuto dei genitori di portatori di handicap, la National Organization for Women, l’Abused Women’s Aid in Crisis e moltissime altre organizzazioni i cui obiettivi superano i tradizionali confini dell’autoaiuto, ponendosi come soggetti politici con l’obiettivo di ottenere trasformazioni sociali. È il caso in Italia dell’Associazione delle Vittime di Ustica, dei gruppi nati in difesa dei consumatori, delle madri coraggio e così via. Questi gruppi hanno però sviluppato caratteristiche di funzionamento che utilizzano solo in parte le dinamiche dell’autoaiuto. Tra i molti meccanismi di aiuto presenti nei gruppi self help, ne segnaliamo alcuni tra i più conosciuti: l’opportunità che offrono a persone con un forte vissuto di isolamento e di emarginazione di identificarsi in un gruppo; la possibilità di esercitare una leadership positiva; l’incremento delle proprie abilità attraverso l’acquisizione di informazioni e la condivisione di problemi risolti.89 Katz offre una sintesi dei processi fondamentali dei self help groups: identificazione con i pari o con un gruppo primario facilitazione della comunicazione proprio a causa della parità tra membri l’offrire opportunità di socializzazione positiva rottura delle difese psicologiche attraverso l’azione del gruppo, la discussione aperta e il confronto creazione di un sistema positivo di status sociale, in cui ogni membro può raggiungere il suo posto; tale status è determinato da e congruente con gli obiettivi del gruppo il gruppo stesso agisce come setting istituzionale o terapeutico attraverso la simulazione o lavorando su materiale della vita quotidiana. Un tale metodo ha rivoluzionato i tradizionali sistemi di cura, rappresentando in alcuni casi un valido supporto ad altre forme terapeutiche, e in altri la miglior modalità di cura ( come nel caso dell’alcolismo). Da questo successo sono emerse le principali sfide al mondo professionale. Il rapporto tra professionisti della salute e le nuove figure professionali quali gli helpers90 dei gruppi di autoaiuto, diviene una delle questioni centrali. Alcuni autori suggeriscono la complementarità tra modelli di approccio, riconoscendo alla psicoterapia il compito di intervenire sulle ragioni profonde della psicopatologia e ai gruppi di self help quella della remissione dei sintomi e di costruire la rete di supporto necessaria alla terapia.91 Altre posizioni sostengono invece la completa indipendenza dell’approccio autoaiuto dal mondo professionale. In questi casi, dove più forte è l’ortodossia del modello, si evidenzia l’originaria funzione dell’helper nel gruppo di autoaiuto, fondamentale per il recupero personale e per il miglioramento della stima di sé attraverso l’esercizio di un ruolo positivo. L’aiuto dato agli altri è il fondamento del vostro stesso recupero: questo precetto del programma degli Alcoholics Anonymous, definito paradossalmente altruismo egoista, è un elemento che ha caratterizzato tutta le metodologia self help. Le Comunità Terapeutiche americane, nate in un contesto squisitamente non professionale, nel corso del loro sviluppo hanno realizzato una sempre maggiore integrazione col mondo 89 Quello che A. Bandura definisce apprendimento vicario e M. Jones apprendimento sociale. Cioè colui che aiuta, tradizionalmente un membro anziano dotato di capacità di gestione di un gruppo. 91 Si veda ad esempio GUELFI G.P. 1992 90 professionale anche se esistono interessanti eccezioni (ad es. Amity in Arizona o Delancey Street a San Francisco).92 Nate nello stesso periodo storico di massima evoluzione dei gruppi di self help negli USA, le comunità terapeutiche sono loro debitrici di molte caratteristiche. Prima fra tutte il considerare come sorgente della terapia il gruppo dei pari, cioè persone con la stessa problematica che si aiutano mutuamente. In ogni definizione di CT ricorrono infatti il tema del problema comune e l’importanza dell’aiuto reciproco. Seconda caratteristica è l’enfasi sul valore dell’identificazione tra pari e con modelli di ruolo credibili. Questo è un vero e proprio caposaldo della struttura della CT di matrice americana: come vedremo soprattutto nelle pagine dedicate a Daytop, ogni aspetto della vita comunitaria è basato su processi di identificazione e imitazione e sulla mobilità sociale ispirata proprio dai modelli di ruolo. Terza caratteristica è il considerare l’aiuto dato agli altri come uno degli strumenti principali del proprio recupero e indicatore della crescita personale. Uno dei tre precetti su cui si basa la filosofia non scritta delle CT (onestà, responsabilità, interesse per gli altri) si richiama appunto a questo principio. Anche la valutazione dell’efficacia nell’esercizio dei ruoli gerarchicamente più elevati viene effettuata sulla base della capacità del residente di occuparsi responsabilmente degli altri. Infine dall’approccio self help le CT hanno ereditato il modello subcultura organizzata e un certo anti-professionalismo e anti-intellettualismo che le hanno portate a sottolineare il ruolo dell’ex-tossicodipendente nella terapia. Da questa breve discussione risultano evidenti i principali elementi di continuità tra autoaiuto e comunità terapeutiche. È indubbio che gran parte del potenziale che ha permesso alle comunità di diffondersi così rapidamente a livello mondiale si trovi proprio nelle dinamiche dell’autoaiuto. Prima di dedicarci con maggiore attenzione alla storia e allo sviluppo di AA vogliamo aggiungere un’ultima considerazione sull’argomento self help. Che le dinamiche dei gruppi di mutuo aiuto, almeno così come sono state sviluppate negli USA, abbiano radici in pratiche di culto religioso è abbastanza certo. È anche certo che esse vennero sperimentate e sviluppate durante l’attività missionaria in Estremo Oriente. 93 Si è affermato che ciò sia stato possibile grazie alla specifica forma organizzativa delle società 92 Amity è rimasta maggiormente fedele all’impostazione di Synanon, di cui ha saputo egregiamente evitare la degenerazione in setta. È infatti attivamente inserita nei circuiti associativi internazionali. Delancey Street ha mantenuto invece un’impostazione prettamente self help. 93 PETERSON J.H. JR 1992 orientali. Ci si riferisce in particolare alla loro struttura cellulare che permette una rapida comunicazione e una forte adesione. Infatti, contrariamente al familismo latino94, in cui è più forte l’individualismo, l’unità familiare orientale è funzionale a princípi sociali e morali sovraordinati. Vale la pena a questo punto notare una singolare coincidenza storica. Le moderne tecniche di marketing multilivello hanno numerose affinità con le dinamiche dell’autoaiuto e hanno visto la luce in Oriente, esattamente durante la guerra di Corea. Da quelle intuizioni si è poi via via sviluppato il marketing multinazionale di numerose grandi imprese americane. Innanzitutto se ne può dedurre che il self help richiede caratteristiche di forte coesione sociale per svilupparsi. Un forte senso del gruppo e una certa mistica della nazione sembrano essere positivamente collegati con la sua diffusione. Inoltre, seppur con contenuti differenti, è necessario un pragmatismo dei valori collegato ai bisogni individuali. Infatti, nel marketing multilivello come in tutte le forme di self help, l’aiuto all’altro non è la pratica di un valore sovraordinato ma una transazione vantaggiosa per ambedue le parti. Avremo modo di ritornare su questi aspetti culturali dell’autoaiuto, soprattutto ripercorrendo lo sviluppo delle CT. 94 Cioè un certo atteggiamento di porre gli interessi della propria famiglia al di sopra di tutto. ALCOHOLICS ANONYMOUS 95 Alcoholics Anonymous (AA) è senza dubbio il più esteso movimento di autoaiuto del mondo. Ad esso si sono ispirati direttamente o indirettamente tutti i gruppi nati successivamente e che si sono dedicati ad altre problematiche. Storicamente si considera il 10 Giugno 1935 come data di fondazione di AA, data che coincide con il primo giorno di sobrietà di uno dei due fondatori (Robert Holbrook Smith, alias Dr. Bob).96 I quattro momenti fondanti nella storia dell’idea di AA si possono identificare ne: la conversazione tra Carl Gustav Jung e Rowland H. (uno dei primi alcolisti coinvolti nella nascita di AA) nel 1931; l’incontro tra Ebby T. (un altro alcolista) e Bill Wilson (Robert Griffith Wilson, alias Bill W., l’altro fondatore e principale leader storico di AA) nel 1934; l’esperienza spirituale di Bill W. e la scoperta dell’opera di William James97 durante il ricovero nel Charles B. Towns Hospital alla fine del 1934; l’incontro tra Bill W. e il Dr. Bob nel maggio del 1935.98 Bill W. Bill W. era nato nel 1895 nel Vermont. Nella sua biografia ricorda con precisione l’esperienza della prima bevuta. Durante una riunione sociale di ex-commilitoni, dopo aver provato così forte la sensazione di essere solo nella folla, quel drink bevuto aveva avuto un effetto incredibile: “... era un miracolo! Non c’era altra parola! Un miracolo che lo stava trasformando mentalmente, fisicamente e, come presto capì, spiritualmente!”. Da quel momento Bill W. cercò disperatamente di catturare di nuovo quella elusiva, e in ultima istanza illusoria, sensazione di libertà. La sua carriera di alcolista era iniziata. Seguirono gli anni degli scarsi affari, delle sbronze colossali, delle liti e delle notti in prigione per ubriachezza. 95 Abbiamo preferito ripercorrere la nascita degli AA come una vera e propria saga, per non privare la descrizione di quella vitalità che li caratterizza. 96 ROBERTSON N. 1988 97 W. James, filosofo e psicologo americano degli inizi del secolo, è considerato il fondatore della psicologia della religione, soprattutto attraverso la sua opera più famosa The variety of religious experience. 98 K URTZ E. 1979 Fu nel 1933 che conobbe il Dr. Silkworth, lo psichiatra che avrebbe avuto una influenza decisiva sia nella sua vita che nella nascita della teoria medica di AA sull’alcolismo. Egli era infatti convinto che l’alcolismo fosse una malattia, una sorta di allergia fisica all’alcool, da cui derivava la compulsione al consumo una volta ingerita una minima quantità di alcool. La diagnosi non servì a scoraggiare Bill W. che tornò a bere e tempo dopo, quando inevitabilmente fu ricoverato di nuovo, il Dr. Silkworth gli comunicò chiaramente che il suo era un caso senza speranza. Ma anche questo non servì e quel periodo fu il più buio dell’alcolismo di Bill. Nel novembre dello stesso anno ricevette la visita di Ebby T., un vecchio compagno di scuola e di bevute, anche lui diagnosticato come un caso di alcolismo senza speranza. Sobrio, e dopo aver rifiutato il bicchiere, Ebby iniziò a parlargli della sua esperienza religiosa, delle sue scoperte interiori e della fine del suo bisogno di bere. “Incredibile! Religione!” pensò Bill W. Era troppo anche per lui. Ebby andò avanti spiegandogli con calma della sua esperienza nell’Oxford Group, dell’importanza di confessare i propri difetti, di riparare ai danni fatti e di scegliere il proprio concetto di Dio, o come specificò, di un potere più grande di noi. Seppur scettico Bill fu incuriosito dal comportamento di Ebby, e volle conoscere la fonte della sua sobrietà. Fu così che si avvicinò all’Oxford Group. 99 Nella Calvary Church Bowery Mission di New York ebbe il suo primo contatto con quel movimento che avrebbe influenzato profondamente Alcoholics Anonymous. Ma fu durante un ricovero in ospedale, in piena crisi di astinenza che l’accresciuta consapevolezza, la profondità della sofferenza e, probabilmente, il delirio causato dai sedativi, gli fecero sperimentare la sensazione del crollo, di essere completamente senza speranza. Questo è il momento a cui Bill W. fa risalire il suo cambiamento. Fu proprio Ebby T. il giorno dopo a portargli una copia del libro di W. James The variety of religious experience, l’unica fonte esterna citata nella letteratura ufficiale di AA. Il ruolo delle tesi del filosofo americano nello sviluppo del programma di AA fu di enorme importanza, fornendogli soprattutto un valido supporto intellettuale. James sosteneva la natura psicologica del fenomeno di conversione religiosa, analizzandone e descrivendone minuziosamente i processi attraverso cui poteva avvenire. Soprattutto distinse una forma immediata e una progressiva di raggiungere l’esperienza spirituale. 99 L’Oxford Group viene descritto successivamente. È comunque al citato saggio di Kurtz che si può fare riferimento per approfond imenti sulla natura religiosa di AA. Bill collegò la sua esperienza a quanto gli aveva raccontato Rowland, un suo vecchio amico alcolista che era stato per oltre un anno in terapia a Zurigo con Carl Gustav Jung. “L’unica via di salvezza per la tua malattia inguaribile è una vera, profonda esperienza spirituale di conversione. È l’unica possibilità di sopravvivere”. Questa era stata la diagnosi di Jung alla malattia di Rowland H. Fu così che Bill all’uscita dall’ospedale si associò attivamente all’Oxford Group e iniziò a lavorare con un gruppetto di altri alcolisti, riunendoli nella sua casa e cercando di trasmettere loro con entusiasmo la sua scoperta. Cercava di redimerli, comunicandogli la sua illuminante esperienza. I risultati erano scarsi, forse perché, come il Dr. Silkworth gli fece notare, Bill cercava di applicare direttamente il metodo dell’Oxford Group, gli alti princípi etici, cercando una conversione immediata. Lo psichiatra era convinto che avrebbe dovuto cercare di abbattere prima le loro difese, spingerli cioè a vivere quell’esperienza di essere senza speranza che lui aveva vissuto. Bill si sentì incompreso e criticato proprio nel suo zelo missionario. Senza più il supporto della moglie e dello psichiatra di fiducia, rinunciò alla missione e tornò al mondo degli affari. Ma presto si presentò quella storica occasione che lo avrebbe portato per ragioni di affari ad Akron, nell’Ohio, dove sarebbe nato il movimento di AA. Dr. Bob Fu proprio in quella città, in preda alla tentazione di bere di nuovo, di fronte alla porta di un bar, che Bill W. sentì che l’unica salvezza era trovare un altro alcolista con cui parlare. Come membro dell’Oxford Group non ebbe problemi a rintracciare il rappresentante locale del gruppo per chiedergli di metterlo in contatto con un alcolista. Fu Henrietta Seiberling, una pia donna affiliata all’Oxford Group che da tempo si impegnava a salvare un suo amico alcolista, a metterlo in contatto con il Dr. Robert Holbrook Smith, un chirurgo del Vermont nato nel 1879. Avvenne così l’incontro tra i due fondatori di Alcoholics Anonymous. Dr. Bob ascoltò scettico, ma con cortese pazienza, quell’uomo di New York che gli parlava della strana diagnosi di ossessione/compulsione, dell’esperienza di Ebby T., della sua esperienza spirituale e di come avesse potuto, alcolista com’era, salvarsi la vita. Lo sorprese il fatto che non cercasse di convincerlo, né giudicasse moralmente il suo comportamento. Soprattutto lo sorprese il suo ringraziamento, per averlo ascoltato e per avergli fatto molto più bene di quanto lui ne avesse fatto a Bob. La carriera da alcolista del Dr. Bob nulla aveva da invidiare a quella di Bill W. Durante gli ultimi due anni aveva anche lui frequentato assiduamente l’Oxford Group, un po’ per far contenta sua moglie, una donna devota e fervente praticante del Gruppo, un po’ per il suo reale interesse alle questioni religiose. La conversazione andò avanti per ore e Bob si sentiva, per la prima volta nella sua vita, veramente compreso. C’era qualcuno che conosceva il significato delle parole che usava; qualcuno che poteva capire veramente ciò che gli succedeva. Invitò Bill W. a fermarsi con lui e la moglie qualche giorno ad Akron. La presenza di Bill W., le continue discussioni, il processo di identificazione che si stava realizzando fecero crollare poco a poco le sue difese ad accettarsi senza speranza. Il 10 Giugno 1935, dopo aver operato in ospedale sull’orlo di una crisi di delirium tremens, Dr. Bob sperimentò il crollo e decise che avrebbe messo in pratica i princípi dell’Oxford Group. Fece il giro delle persone a cui aveva mentito o che aveva danneggiato, gli parlò della sua malattia e si impegnò a riparare i suoi errori. Era nato il programma degli Alcoholics Anonymous. “I due uomini si misero strenuamente al lavoro, convinti dalla prova dei fatti che se volevano conservare la sobrietà dovevano passarla ad altri. Così cominciò il periodo pionieristico di AA, che si concluse nel 1939 con la pubblicazione del Grande Libro degli Alcolisti Anonimi. Quando la stampa americana cominciò a occuparsene ci fu un autentico diluvio di richieste di aiuto: nel 1941 gli alcolisti recuperati erano più di 8.000 e AA era già un’istituzione nazionale.” 100 I gruppi crebbero e dovettero affrontare numerosi problemi di natura economica, dottrinale e organizzativa. Nel 1944 c’erano 360 gruppi attivi negli Usa con circa 10.000 membri. Negli anni successivi furono elaborate quelle linee che dall’inizio avevano intuitivamente guidato il lavoro di AA. Le Dodici Tradizioni approvate durante il primo convegno nazionale nel 1950, rappresentano una guida al comportamento dei gruppi e insieme ai Dodici Passi presentati nel Grande Libro, costituiscono la base e lo stile del programma di AA. Alla fine di quell’anno morì Dr. Bob e Bill W. rimase da solo alla guida di AA. Gli ultimi anni della sua vita lo videro trasformarsi in una specie di guru per le migliaia di persone che AA aveva aiutato. I suoi esperimenti con l’LSD, le sedute spiritiche che organizzava nella sua casa e i suoi disinvolti comportamenti extraconiugali causavano sconcerto. Era ormai 100 Alcolisti Anonimi 1980 diventato un simbolo e non poteva più sedere in un gruppo senza essere riconosciuto e senza che gli venisse chiesto di parlare. Nel quartier generale di AA a New York venne costituito un gruppo ad hoc, proprio per permettergli di continuare a essere un membro come gli altri e vivere il gruppo in quella dimensione che lui stesso aveva intuito centrale per il recupero dell’alcolista: l’anonimato. Morì di enfisema polmonare il 24 gennaio del 1971, dopo essere diventato il leader degli Alcoholics Anonymous, un sogno che aveva da sempre, segretamente coltivato. AA è nato e si è sviluppato come un movimento. Le sue caratteristiche rendono difficile la valutazione del grado di successo, difficoltà che si ripresenta nel caso dei gruppi di autoaiuto in generale. 101 Alcuni ricercatori hanno comunque utilizzato indicatori indiretti per la valutazione, quali l’incremento e la diffusione dei gruppi e la frequenza dei meeting, realizzando studi sulle dimensioni del movimento e quindi sulla sua forza come modello e risorsa per il trattamento dell’alcolismo. Interpretando AA come una subcultura autoregolata di alcolisti sobri, Leach, Norris, Dancey e Bissel hanno evidenziato i risultati di trent’anni di lavoro di AA (1935-1965): 12.040 gruppi funzionanti; 15.991 incontri settimanali; 347 club sociali; 356 comitati di servizi; 13.396.200 comunicazioni e pubblicazioni distribuite102. Sono cifre degne della maggiore attenzione umana e scientifica. Le idee guida del programma degli AA Il problema dell’alcolismo è stato quindi l’occasione per la nascita dell’autoaiuto come vero e proprio modello terapeutico. Ciò avvenne grazie al contributo di personalità eccezionali quali quelle dei due fondatori di Alcoholics Anonymous, agli insuccessi della terapia medica tradizionale e alle influenze del periodo storico e dei movimenti religiosi con cui AA venne in contatto. Quel pomeriggio del novembre 1934 Bill W. ebbe l’intuizione fondamentale: un alcolista stava parlando a un altro alcolista. Accanto a questa scoperta sorprendentemente semplice, Bill W. cita le altre idee chiave nella nascita del programma degli AA: l’alcolismo come malattia inguaribile e l’esperienza spirituale come unica forma di salvezza. Alla prima idea contribuirono non solo i numerosi e fallimentari tentativi di smettere di bere, ma soprattutto la chiara, determinante diagnosi della sua malattia comunicatagli dal suo psichiatra. Fu proprio quest’ultimo a scrivere il capitolo del Grande Libro intitolato Il punto di 101 102 Sull’argomento si può consultare LEVY L. in G ARTNER A., REISSMAN F. [s.d.] L EACH B., NORRIS J.L., D ANCEY T., BISSELL L. 1969 vista del medico. Anche Carl G. Jung aveva espresso, come abbiamo precedentemente ricordato, lo stesso convincimento dell’inguaribilità dell’alcolismo. L’intervento del sapere medico è stato determinante per l’intera storia dell’alcolismo: diagnosticandolo come malattia esso cessa di essere sinonimo di turpitudine morale. Piuttosto, alla pari del diabetico, l’alcolista non può più essere considerato responsabile della sua malattia. È interessante notare che per AA ciò non rappresentò né una deresponsabilizzazione né una visione strettamente determinista.103 Piuttosto prese forma una posizione esistenziale di accettazione della malattia che modificava sostanzialmente il modo di essere nel mondo dell’alcolista, in maniera molto simile al processo di accettazione di sé e sospensione del giudizio descritto dagli junghiani. 104 Da dove derivi la convinzione della necessità di una esperienza spirituale quale unica possibilità di salvezza dall’alcolismo è meno chiaro. Bill W. la fa risalire alla sua lettura del famoso libro di W. James The variety of religious experience, e in effetti l’autore è l’unico citato nella letteratura degli AA, a proposito delle differenti forme in cui può avvenire la scoperta di Dio. Un’ipotesi più plausibile è quella che fa risalire i riferimenti all’opera del famoso filosofo americano al bisogno di costruire una rispettabilità intellettuale agli AA, e la centralità dell’esperienza spirituale come risultato del cammino personale di Bill W. e delle influenze dell’Oxford Group. Da queste esperienze Bill W. trasse tre idee che sarebbero diventate centrali nel programma degli AA: il cambiamento avviene solo quando la persona ha raggiunto un grado di completa disperazione; ciò rappresenta un’accettazione dei propri limiti; è necessario appellarsi a un potere superiore o almeno richiedere l’aiuto di un altro essere umano. È in queste idee che il programma di Alcoholics Anonymous getta un ponte tra scienza e religione. La causalità medico psichiatrica dell’alcolismo viene inserita in un contesto filosofico e religioso, trascendendo ciascun sapere e ricomponendo la scissione dell’Età dei Lumi. Gregory Bateson la considera una nuova epistemologia, affine a quella cibernetica.105 La sua analisi delle premesse simmetriche con cui l’alcolista si relaziona con la realtà, spiega 103 Come ci si sarebbe potuti aspettare seguendo l’analisi di Szasz del ruolo del sapere medico nell’alcolismo. Si veda ad esempio D UCCOLI D. 1991 105 Il saggio di Bateson sull’alcolismo è senz’altro uno dei migliori esempi di analisi epistemologica dei fondamenti religiosi di AA. Molte delle sue conclusioni sono applicabili alla tossicodipendenza. 104 il fenomeno dell’orgoglio, la necessità della resa e la ricerca di un rapporto complementare, espressa dal riconoscimento del bisogno di un potere superiore. Da questo bisogno, che si esprime nell’accettazione della dipendenza, deriva un rapporto non antagonista col mondo. Questo stesso bisogno di complementarità è presente nelle comunità di tutti i tempi e particolarmente forte in quelle nate per i tossicodipendenti. 106 Bill W. descrisse accuratamente l’egocentrismo ontologico dell’alcolista e il bisogno di trascendenza per uscirne. Il punto critico di rottura è quel processo descritto come deflation (sgonfiarsi), espressione che successivamente verrà trasformato nel programma di AA in hitting bottom (toccare il fondo). “... egoismo ed egocentrismo! Queste sono le radici dei nostri guai [...] prima di tutto dobbiamo smettere di giocare a essere Dio [...] L’alcolista è un esempio estremo di una volontà sfrenata, benché lui non lo creda”. 107 È la negazione (denial), che impedisce all’alcolista di prendere atto della propria realtà. Solo l’identificazione, resa possibile dalla testimonianza, permette di rompere il meccanismo del diniego, apre la strada alla resa (surrender) e permette la complementarità. La testimonianza, elemento mutuato dalla pratica dell’Oxford Group a cui Bill W. apparteneva, rappresenta un potente strumento per il processo di identificazione, quando si realizza l’onestà condivisa della mutua vulnerabilità apertamente riconosciuta. Appaiono qui con chiarezza i legami, analizzati più avanti, tra Alcolisti Anonimi e uno dei più attivi movimenti di rinnovamento religioso sviluppatosi nel XX secolo: l’Oxford Group. Abbiamo già indicato nell’appartenenza attraverso l’identificazione e nell’esercizio di una leadership positiva, due delle qualità fondamentali dell’approccio self help. Carl G. Jung, i cui contatti con Bill W. sono accertati,108 definì il movimento nascente come un muro protettivo formato da una comunità umana. Anche l’esercizio della leadership positiva è fondamentale in AA ed è legato a quella originaria intuizione dell’importanza del rapporto diretto di aiuto tra due alcolisti. Il dodicesimo passo del programma degli Alcolisti Anonimi recita: Avendo ottenuto questo risveglio spirituale noi abbiamo cercato di trasmettere questo messaggio ad altri alcolisti. Nel Grande Libro un capitolo è dedicato proprio al vademecum dell’aiuto, provvedendo istruzioni e motivazioni per l’impegno ad aiutare gli altri alcolisti. L’attenzione 106 AA non solo ha influenzato attraverso Synanon la nascita delle comunità terapeutiche, ma ha anche dato vita a un programma, Narcotics Anonymous, rivolto ai tossicodipendenti. 107 K URTZ E. 1979 108 The Bill W. - Carl Jung letter 1963, p. 6, cit. in K URTZ E. 1979 all’impegno verso gli altri, fondata non su princípi morali o religiosi ma su una vera e propria prescrizione terapeutica, rappresenta una caratteristica fondamentale sia per AA sia per le comunità terapeutiche. L’influenza dell’Oxford Group Fondato agli inizi del secolo da Frank Buchman, un pastore di formazione luterana ma più sensibile alla religiosità puritana, l’Oxford Group rappresentò un tentativo non denominazionale, teologicamente conservatore e di stile evangelico, di rivivere l’impeto e lo spirito della cristianità primitiva. Può a ragione essere inserito in quel filone storico del rinnovamento religioso di matrice protestante conosciuto come Revivalism. La testimonianza pubblica, la profonda emozionalità, le conversioni istantanee, la fede sentita, il cambiamento (the twice born people),109 tutti elementi caratteristici dei revival protestanti, si ritrovano pur con parziali modifiche, nelle pratiche del Gruppo.110 Anche il movimento dei Washingtonians111, antesignani nel XIX secolo degli Alcolisti Anonimi, fu un’espressione revivalistica dei movimenti di temperanza americani.112 Benjamin Rush, uno dei padri dell’indipendenza americana ed eminente medico e studioso dell’alcolismo, fu tra i sostenitori dei Washingtonians. È interessante ricordare che fu proprio lui, anche se i fondatori di AA sembra non ne fossero a conoscenza, a definire per la prima volta l’alcolismo come una malattia. Uno degli effetti sociali del Revivalism fu l’apparizione delle religious societies, primi esempi di volontariato organizzato. Tra queste ricordiamo l’Esercito della Salvezza, una delle più conosciute organizzazioni di assistenza agli emarginati, e l’YMCA (Young Men Christian Association), da cui derivò l’Oxford Group. 113 Questo raggiunse un livello di grande diffusione in Europa (specialmente in Inghilterra) e negli USA. Bill W. e Dr. Bob, i due fondatori di AA ne facevano entrambi parte. Delle numerose pratiche utilizzate dall’Oxford Group, alcune ci interessano particolarmente, in quanto si tratta di quegli elementi che in modo diretto sono stati utilizzati nel programma degli Alcolisti Anonimi, e che successivamente sono entrati a far parte, mutatis mutandis, della pratica delle CT di matrice statunitense. Condivisione, cambiamento, 109 Le persone nate due volte. G ASTALDI U. 1989 111 I reformed drunkards o ubriaconi riformati. 112 K ROUT J. 1928 113 La fondazione dell’Oxford Group avvenne a opera dello stesso Buchman e del Rev. S.M. Shoemaker ambedue impegnati nelle attività dell’YMCA. 110 testimonianza, restituzione, resa, accettazione della guida divina e di valori assoluti, sono gli elementi che hanno influenzato direttamente le idee degli Alcolisti Anonimi. La condivisione rappresenta uno degli elementi centrali della pratica dell’Oxford Group. Gli house parties praticati dal Gruppo, rappresentavano una evoluzione dell’incontro tipico del revivalismo, e avevano l’obiettivo di rafforzare il senso di appartenenza dei membri, così come di trovare nuovi adepti. Il fatto di incontrarsi al di fuori dei luoghi di culto e in gruppi ridotti, era una delle innovazioni introdotte da Buchman nel periodo di attività missionaria in Cina. Egli aveva notato che una tale pratica riduceva le resistenze legate alle grandi assemblee e al formalismo dei riti liturgici. È ragionevole dedurre che Bill W., a cui gli house parties erano ben noti, utilizzò la stessa modalità, passata a essere poi una tradizione. La testimonianza personale era il metodo principale, una franca e onesta dichiarazione pubblica dei peccati, azioni sbagliate secondo coscienza e malattia dell’anima, più che deviazioni dottrinali. Il peccato infatti era ciò che non permetteva un genuino contatto con l’altro e il godimento della grazia divina. L’introspezione era fortissima: si praticava quella che Frank Buchman chiamava chirurgia dell’anima.114 La testimonianza terminava con il riconoscimento dell’intervento di Dio nella propria vita e con la lode e la magnificazione del Suo agire. Il concetto di peccato per l’Oxford Group merita un breve approfondimento. Sulla scia di una tendenza religiosa degli inizi del secolo, l’Oxford Group utilizzava una terminologia scientifica piuttosto che teologica. Termini quali chirurgia dell’anima, diagnosi spirituale, metodo dei casi, utilizzati ripetutamente nell’opera di Walters, richiamano una sorta di modello medico del peccato. 115 L’ammissione del peccato assomigliava all’identificazione delle cause della malattia e alla loro rimozione. È evidente quanto questa impostazione sia stata utilizzata dagli AA, che pur non riferendosi all’alcolismo come peccato, concepiscono la cura attraverso strumenti spirituali. Strettamente collegato alla pratica della condivisione, il cambiamento era inteso come rinascita. Il cambiamento inteso in questo senso, rimane quasi immutato nella concezione degli Alcolisti Anonimi e delle CT americane. Nella pratica dell’Oxford Group il cambiamento era repentino, illuminante, drammatico, emozionale e spesso pubblico: esso ricorda l’acuta descrizione di W. James del fenomeno dell’esperienza immediata di 114 L’espressione è anche il titolo di uno dei testi fondamentali dell’Oxford Group, Soul Surgery di Walters (1940) citato da PETERSON J.H. JR 1992 115 PETERSON J.H. JR 1992 conversione religiosa e le spettacolari conversioni dei meeting revivalistici. I nati due volte sono coloro che grazie a una esperienza illuminante e totale, raggiungono una nuova consapevolezza e una modificazione del focus della propria esistenza. Nell’idea del Gruppo, una volta che la persona fosse cambiata, sarebbe stata libera dal peccato per il resto della propria vita. Ciò provocava una grande diffidenza verso le modalità con cui altre persone raggiungevano la fede. La visione progressiva del cambiamento, quello cioè che non deriva da un’illuminazione improvvisa, trovò spazio nella concezione del gruppo solo successivamente, grazie all’opera del Rev. Shoemaker. Il cambiamento poteva avvenire però solo a condizione di arrendersi. La deflation116 descritta da Bill W. rappresenta proprio questa conditio sine qua non per la cura, traduzione secolarizzata della salvezza religiosa. Differenti autori hanno analizzato questo fenomeno così speciale. Il Reverendo C.S. Shoemaker, leader spirituale dell’Oxford Group negli USA, distingue tra la resa come atto di volontà e l’esperienza di abbandono alla volontà divina. 117 È lui che introduce, quel concetto che diventerà centrale nelle CT: act as if (fai come se), concetto già anticipato nell’opera di W. James. In altre parole è possibile sperimentare la fede sia attraverso un’illuminazione repentina che attraverso la decisione di agire come se si avesse fede. L’illuminazione giungerà allora come conseguenza del comportamento. In una prospettiva psicodinamica H. Tiebout analizza il fenomeno della resa come una riduzione dell’Ego sovradimensionato dell’alcolista,118 sorprendentemente simile alla concezione empirica di Bill W. Altri autori, riferendosi alla teoria di Kohut sui disturbi della personalità narcisistica, hanno seguito la stessa impostazione nell’analisi della personalità dell’alcolista.119 Il fatto di arrendersi consisterebbe quindi in una riduzione della discrepanza tra Sé ideale e Sé reale. In una prospettiva epistemologica fondata sulla teoria dei sistemi, G. Bateson riconduce il processo di resa nell’alcolista all’abbandono della premessa simmetrica in favore della premessa complementare, cioè l’Io come parte di un sistema indefinitamente più ampio (il potere più grande di noi di AA).120 Proprio in questo cambiamento di atteggiamento 116 Cioè lo sgonfiamento dell’ego nel linguaggio di Bill W. SHOEMAKER REV . S.M. in PITTMAN B. 1988 118 T IEBOUT H.M. in P ITTMAN B. 1988 119 CIBIN M., RICCI G.P., Z AVAN V. 1992 120 BATESON G. 1988 117 esistenziale, l’autore identifica la caratteristica fondamentale del successo di AA, nonché lo stimolo a una riflessione sulla cultura occidentale centrata sull’autonomia personale. È interessante notare quanto il fatto di arrendersi e rinunciare quindi alle certezze individuali, sia stato recepito senza variazioni dalle CT. Il metodo dell’intervista d’ingresso rappresenta proprio questa profonda, drammatica e dolorosa esperienza di sgonfiamento, necessaria per l’accettazione nella CT del nuovo membro. 121 Clinebell ha messo in luce gli effetti della resa psicologica dell’alcolista: “L’esperienza di resa da un lato rappresenta una rinuncia inconscia alle difese narcisistiche infantili mentre dall’altro è una richiesta di aiuto che permette la scoperta di una nuova famiglia: il gruppo.”122 È questa probabilmente la chiave di lettura più pragmatica del processo di resa dell’alcolista al gruppo. In questo modo AA operava la secolarizzazione della conversione religiosa. Pur rimanendo la necessità di abbandonare i meccanismi di diniego e quindi di arrendersi, per AA il cammino di conversione (o di cura come sarebbe più esatto dire), può realizzarsi anche non in modo repentino e drammatico, bensì attraverso il 24 hours program, cioè giorno per giorno. La pratica della restituzione (making restitution) è un altro elemento che deriva direttamente dall’Oxford Group. Nella pratica del Gruppo la riparazione implicava l’insufficienza del semplice pentimento e la necessità di una concreta azione riparatrice. Infatti quando il Dr. Bob scelse la sobrietà: “... visitò i suoi creditori e coloro che aveva danneggiato. Dr. Bob fece il giro: confessò a ognuno la sua reale condizione, la sua malattia; poi garantì che avrebbe provveduto a riparare praticamente in ogni singolo caso”. È questo il principio ispiratore del nono Passo “Noi abbiamo fatto direttamente ammenda verso le persone che abbiamo leso ...”. Le implicazioni per le CT sono evidenti. Nella loro cultura la priorità spetta al comportamento e le azioni implicano conseguenze. Queste devono essere valutate nella loro dimensione concreta e, laddove sia possibile, riparate. L’ultimo elemento, forse quello che ebbe maggior peso nella nascita di AA e che fu oggetto delle maggiori controversie, è la questione della guida divina e dei valori assoluti che ispiravano la pratica dell’Oxford Group. Furono le differenti impostazioni su questo punto in particolare che portarono alla separazione tra i due movimenti. AA rappresenta un 121 122 Una vivida testimonianza si può trovare nel filmato a cura di BOGGIO M. Farsi uomo oltre la droga, 1982 CLINEBELL H.J. JR 1963 collegamento tra medicina e religione e il ruolo centrale spetta semmai al concetto di spiritualità. “Molti di noi pensano che la presa di coscienza di un Potere più grande di noi sia l’essenza dell’esperienza spirituale. I soci più religiosi la definiscono appunto coscienza di Dio. Noi desideriamo dire, sottolineandolo enfaticamente, che qualunque alcolista, capace di affrontare onestamente il suo problema alla luce delle nostre esperienze, può recuperarsi, se non rifiuta totalitariamente qualunque principio spirituale”.123 Fu proprio l’estrema attenzione alla pluralità e a evitare qualunque dogmatismo, che spinse Bill W. ad aggiungere nella stesura dei Dodici Passi, al termine Dio la frase così come noi possiamo intenderLo. L’approccio equilibrato che Bill W. tentò di mantenere lungo tutto l’arco dello sviluppo di AA, non fu privo di critiche. Era sua convinzione che i quattro valori assoluti propugnati dall’Oxford Group (assoluta onestà, purezza, mancanza di egoismo e amore) fossero troppo per la personalità dell’alcolista, una personalità tutto o nulla come lui la definiva. Il tema centrale della spiritualità di AA, l’accettazione di non essere Dio e quindi della propria limitazione umana, era quanto bastava a creare le condizioni per una crescita spirituale evitando una pericolosa ricerca di perfezione. La destra e la sinistra del movimento di AA criticarono per opposte ragione tale posizione. Gli uni ritenendo che il programma si era troppo laicizzato e aveva abbandonato le originarie radici nella religiosità dell’Oxford Group. Gli altri ritenendo che il programma limitasse eccessivamente l’applicazione della filosofia di AA al campo dell’alcolismo, mentre nella loro interpretazione i Dodici Passi erano originalmente una filosofia di vita. Fu questa la posizione di Charles Dederich, il fondatore di Synanon, a cui egli diede inizialmente l’impronta di una comunità di vita alternativa e successivamente ne provocò la trasformazione in una vera e propria setta. Considerazioni Da quanto finora descritto emerge il carattere innovatore dell’approccio di AA al problema dell’alcolismo. Dobbiamo anche ricordare che alla sua nascita, nel 1935, l’America usciva appena dal periodo del Proibizionismo, col fallimento di una politica che aveva limitato la 123 Alcolisti Anonimi 1980, p. 309 sfera della libertà individuale in nome di una crociata morale. 124 L’alcolismo era considerato un difetto morale alla stregua delle perversioni e di altri comportamenti peccaminosi. Era naturale che la religione si occupasse del problema125. La medicina era impotente, e ancora i farmaci psicotropi non avevano fatto il loro ingresso nella terapia. Ma nonostante sia stata messa in luce la fondamentale continuità tra il movimento religioso dell’Oxford Group e AA, il significato dell’esperienza creativa di AA supera di gran lunga la contingenza storica. La pratica clinica ha messo in evidenza il ruolo centrale dell’angoscia esistenziale negli alcolisti. Il bisogno di dipendenza, negato dall’etica protestante del successo individuale e dell’indipendenza mascolina, sembra avere una gran parte nel ruolo che l’alcool assume per l’alcolista. Esso diventa lo strumento che permette, sia pure a caro prezzo, un contatto con la Divinità, col sentimento di appartenenza oceanica descritto da Maslow. La pratica creata da AA sembra tracciare un nuovo collegamento tra uomo e Divinità, recuperando rituali e simbologia di molte pratiche religiose. Soprattutto sembra rispondere al bisogno di riconciliazione con un’istanza sovraordinata. Se questa sia poi un Super Io eccessivamente severo o un potere più grande di noi è questione di fede o convinzioni. Tutto ciò non fa che rafforzare il dubbio se con l’alcolismo e la tossicodipendenza ci si trovi realmente di fronte a una malattia o a un difetto di personalità o se non si tratti invece della manifestazione di bisogni negati e più profondi, quali quello di una stretta relazione con la Divinità o con la specie. È una domanda a cui non possiamo ancora rispondere: certo è che l’approccio scientifico non ha saputo dare risposte soddisfacenti a questi problemi e per lo meno ci deve essere consentito il beneficio dell’incertezza. Ripercorrendo la storia di Alcoholics Anonymous dobbiamo confrontarci col tema dell’autonomia e della dipendenza, dell’individuo e del gruppo. C’è qualcosa che sfugge alla definizione scientifica della sinergia nel funzionamento di un gruppo o a fenomeni quali la coscienza di gruppo. Grandi autori, come W. Bion o M. Jones, vi si sono avvicinati rispettosamente, riconoscendo il limite della conoscenza scientifica. Al perché funzioni il gruppo di AA non è possibile rispondere con certezza. Certo è che ha costruito empiricamente, per prove ed errori il suo sistema di lavoro, aprendo la strada a un nuovo modo di intendere la terapia. Strada su cui ancora stiamo camminando. 124 K ROUT J. 1928 La ricerca sui gruppi di AA ne ha analizzato anche l’aspetto liturgico: ad esempio WHITLEY O.R. 1977 ha dimostrato la similitudine con l’Incontro Metodista. 125 SYNANON A Synanon sono debitrici un po’ tutte le comunità terapeutiche per tossicodipendenti per le quali ha rappresentato la matrice originale. “In fondo io credo che non c’è niente di più semplice di Synanon. Non è altro che un gruppo di gente con problemi di carattere, messi insieme, che lavorano nei synanon games, una forma di intercomunicazione di gruppo scoperta per tirar fuori, più velocemente di ogni altro metodo, la stupidità dalla testa della gente. È solo quando ci si inizia a chiedere perché funziona, come funziona e che cosa sia o no questa stupidità, che iniziano le dispute. Allora Synanon diventa non solo difficile, ma impossibile da spiegare.” 126 Con queste parole Guy Endore descriveva l’essenza indecifrabile del movimento californiano. Soprattutto esprimeva chiaramente quella posizione pragmatica e di diffidenza rispetto alle teorie e alle analisi teoriche. Furono i synanon games a diventare il perno del successo di Synanon, rappresentando un modello originale e rivoluzionario di terapia di gruppo che rompeva con tutti gli schemi della psicoterapia tradizionale. “I games sembrano semplici in fondo. Cos’è dopo tutto un gruppo di quindici persone sedute in circolo, che si guardano e si sorridono? Non c’è nessuna figura autoritaria come uno psicologo o uno psicanalista. Ma non confondeteli con la terapia di gruppo. È un gioco, è uno sport. È un esercizio vigoroso per la mente e per le emozioni. [...] come ogni sport ti lascia piacevolmente esausto e rinfrancato [...] è una lotta per la leadership, un attacco alle razionalizzazioni [...] può permetterti profondi insight.”127 Abraham Maslow notava: “... un buon nome per questi gruppi può essere terapia senza fronzoli, l’eliminazione delle difese, delle razionalizzazioni, veli, evasioni e considerazioni della gente [...] c’è qualcuno che si è suicidato per un trattamento tanto duro? [...] 126 127 E NDORE G. 1968 E NDORE G. 1968 49 tutto questo contrasta con la mia formazione di psicologo e pone una questione: quanta sincerità può tollerare la gente?” 128 I games si differenziavano dalla tradizionale terapia di gruppo a cui Maslow era abituato e ponevano numerosi quesiti alla psicoterapia. Sembravano contraddire tutti i suoi princípi, dal rispetto della volontà di partecipazione dei membri al ruolo del terapeuta. Proprio la violenta sincerità praticata nei synanon games poneva il problema della capacità di tolleranza delle persone. Maslow coglieva così una delle qualità di fondo di quel tipo di gruppo, quella che Endore aveva definito ginnastica delle emozioni. Nei synanon games si fondono le tecniche di attacco alle difese praticate dagli Alcoholics Anonymous, l’assoluta onestà dell’Oxford Group, le influenze della psicoterapia liberatoria di gruppo, in una sintesi originale creata da una personalità fuori dall’ordinario: Charles E. Dederich. Dirigente di seconda categoria di una compagnia petrolifera e alcolista inveterato, Dederich dopo due matrimoni falliti e una vita in pericoloso declino, venne in contatto con Alcoholics Anonymous, a cui riconobbe il merito di averlo aiutato a smettere di bere. Ma fuoriuscì ben presto dal programma perché riteneva che il problema dell’alcolismo e della tossicodipendenza richiedessero un trattamento residenziale. Inoltre sembrava che qualsiasi approccio che non fosse stato sviluppato interamente da lui stesso, risultasse limitante per il suo Io prorompente. Lo sviluppo di Synanon conferma quest’idea: Dederich sembrava aver bisogno di un impero basato sulle sue idee personali. 129 Synanon nasceva come primo modello residenziale per tossicodipendenti e alcolisti, figlio ribelle degli AA. L’accento si sposta dalla spiritualità all’autorealizzazione grazie anche alle influenze della psicologia umanista. Sono quelli infatti gli anni di Maslow, Rogers, Laing, della diffusione della psicoterapia di gruppo, della cultura dello sviluppo delle potenzialità della persona e della formazione alle relazioni umane.130 Una ventata di ottimismo riguardo alle possibilità di sviluppo dell’uomo travolge l’America sull’onda dell’euforia post-bellica. Se per AA l’ispirazione proveniva dalla psicologia della religione di James, per Synanon il filosofo preferito fu Emerson, il padre del self reliance. 131 Dai suoi pensieri Dederich trasse l’importanza della verità e il concetto di un Dio presente in ogni essere umano. 128 MASLOW A. 1965 Y ABLONSKY L. 1989, p. 36 130 A LBEE G.W. 1967 131 Cioè l’affidarsi a se stesso più che a Dio. 129 50 Dal gruppetto iniziale di alcolisti che si riuniva in un piccolo appartamento vicino alla spiaggia di Ocean Park in California, si sviluppò lentamente un nuovo modello di gruppo, frutto delle innate abilità analitiche e della leadership di Dederich: il già ricordato synanon game. Le riunioni si svolgevano una volta alla settimana e tutti guardavano a Dederich sempre più come al loro leader naturale. Questi affinava le sue abilità nella gestione dei gruppi e lentamente si crearono le condizioni che avrebbero dato vita al modello dell’organizzazione. Il gruppo acquisiva quelle caratteristiche tribali a cui Dederich assegnava un’importanza fondamentale. Fu preso in affitto un vecchio magazzino che divenne il club. Era l’estate del 1958 e nasceva Synanon. “La Fondazione Synanon è un’entità senza fini di lucro [...] che apparentemente produce un effetto benefico su alcuni alcolisti e tossicodipendenti [...] abbiamo qui un’organizzazione basata su una struttura familiare che richiama le tribù primitive [...] [...] essa contiene anche elementi della famiglia tradizionale dell’Ottocento, il tipo di famiglia che produceva personalità autonome [...] e sembra che il tossicodipendente abbia bisogno di una struttura familiare più o meno autocratica come ambiente pre-condizionante [...] se sembra paradossale che un ambiente autoritario produca personalità autonome, occorre ricordare che gli uomini dell’Ottocento, Emerson, Thoureau, erano il prodotto di strutture autoritarie [...] [...] il carattere autocratico della famiglia richiede che i membri svolgano dei compiti [...] come pulire, preparare i pasti, al di là dell’insofferenza a sentirsi dire cosa devono fare [...] sembrano stimolarsi così le tendenze creative e generose [...] viene incoraggiata la ribellione verbale all’autorità che sembra attenuare la tensione interna, mentre l’obbedienza nell’agire sembra esercitare i muscoli del dare. Un altro espediente di successo è la strigliata, che al di là dei toni duri, ottiene risultati favorevoli tra i residenti. Potrebbe darsi che questo risvegli nelle persone il desiderio di trovarsi al centro dell’attenzione [...] 51 Un altro elemento di successo è il synanon game, una sorta di psicoterapia di gruppo [...] in questi agisce il synanista che, nel tentare di aiutare gli altri, si basa prevalentemente sulla propria esperienza.”132 Abbiamo citato questo esteso brano di una conferenza di Dederich del 1958 perché in esso sono contenuti la maggior parte degli elementi di base di Synanon. Chi ha dimestichezza con le CT avrà colto immediatamente l’identità dei processi descritti da Dederich con la pratica comunitaria. Cerchiamo di vederli in maggior dettaglio. Il primo argomento introdotto riguarda l’apparente successo ottenuto da Synanon con alcolisti e tossicodipendenti. Dederich era interessato a sperimentare una nuova forma di vivere insieme, un’esperienza antropologica innovativa. In realtà, nella sua personalità conflittuale, egli si percepiva come un leader, un Maestro, un innovatore e Synanon rappresentava la sua creazione sociale. La tribù era l’elemento fondamentale, di cui sembravano beneficiare alcolisti e tossicodipendenti. Conseguentemente la comunità diventa famiglia sostitutiva, in condizioni di offrire ai residenti la possibilità di crescere in un ambiente sicuro.133 Si delinea qui la teoria evolutiva implicita nel modello di CT, che vede nel tossicodipendente una persona immatura, bisognosa di crescere emozionalmente e nel controllo del proprio comportamento. La comunità si offre allora come esperienza emozionale correttiva attraverso la riedizione del rapporto educativo.134 Ma non è solo la famiglia nucleare che interviene nel rapporto, bensì la tribù, e in particolare la tribù primitiva. Si tratta del ritorno alle condizioni antropologiche primordiali, ai processi sociali non contaminati dalla modernità del mito del buon selvaggio di Rousseau. È inutile sottolineare quanto ciò fosse espressione della cultura delle comuni di vita alternativa che esplodeva in quegli anni. Il secondo elemento consiste nel concetto di famiglia autocratica dov’è implicita la teoria educativa su cui si basava Synanon. Il sistema di norme rigide, determinato dall’alto, presupponeva il rispetto anche senza il consenso, e ripagava l’obbedienza con l’affetto e l’accettazione del gruppo. Questo modello educativo, passato in eredità alle CT, rappresenta 132 D EDERICH C. cit. in YABLONSKY L. 1989 Questo concetto verrà ripreso praticamente in tutte le CT per tossicodipendenti e in proposito si può consultare K OOYMAN M. 1993 134 Il concetto è stato utilizzato, seppur con significato differente, a proposito della psicoterapia o dell’esperienza comunitaria di M. Jones. Per quest’ultimo, contrariamente a Dederich, l’impostazione educativa non deve essere autoritaria per permettere quella sperimentazione necessaria all’app rendimento sociale. 133 52 l’oggetto principale della critica da parte degli inglesi, per i quali le norme devono invece svilupparsi attraverso il consenso ed essere democraticamente condivise.135 L’impostazione autoritaria che Dederich diede alla comunità era funzionale alle sue tendenze al dominio. Questo fenomeno ricorre frequentemente nella storia anche attuale delle comunità per tossicodipendenti e rappresenta uno degli aspetti più controversi. Inoltre nel concetto di famiglia autocratica che produce personalità autonome è implicita una visione conflittuale dell’indipendenza, che risulta così il frutto di una battaglia dell’individuo. Sono evidenti in questa concezione i riflessi dell’esperienza personale di Dederich in materia di dipendenza. Un terzo elemento è rappresentato dall’autogestione e autosufficienza della struttura comunitaria in cui il lavoro ha una funzione essenzialmente educativa. Esso permette di misurare e incentivare i cambiamenti attitudinali e comportamentali e di esercitare il senso di responsabilità. L’annotazione di Dederich in merito all’insofferenza del residente nel ricevere ordini, illustra con chiarezza una delle principali dinamiche delle CT. L’autocrazia praticata in Synanon aveva una chiara matrice riabilitativa. In effetti per lungo tempo la tossicodipendenza è rientrata nella categoria di comportamenti definiti psicopatici o antisociali, per i quali, com’è noto, una delle principali caratteristiche diagnostiche è considerato lo scarso senso etico e la scarsa capacità di dilazionare gli impulsi. Certamente questa è una delle categorie diagnostiche più controverse, per il fatto di includere nella valutazione aspetti normativi e morali. È lecito di conseguenza domandarsi fin dove è da considerarsi patologico il rifiuto (o la scarsa internalizzazione) delle norme sociali dominanti e se la funzione della terapia debba essere quella di riadattare persone al sistema. Inoltre c’è da riflettere attentamente sull’opportunità di utilizzare gli stessi criteri diagnostici per l’intera popolazione dei tossicodipendenti. Per quanto riguarda l’incoraggiamento alla ribellione verbale nei gruppi, ricordiamo che esso viene considerato uno dei principali strumenti terapeutici della CT. Dederich gli assegnava una funzione omeostatica e una rieducativa. Seppur frutto dell’empiria, l’impostazione è dichiaratamente comportamentista e riabilitativa, puntando a far scaricare tensioni e a esercitare nuovi comportamenti (aggiungeremmo più socializzati). Lo scarico della tensione permette da un lato il controllo sociale della comunità mentre dall’altro attacca 135 Questa rimane una delle sostanziali differenze tra i due modelli e sono evidenti filosofie educative contrapposte che rispecchiano culture diverse (si consulti SUGARMAN B. 1986). 53 direttamente le difese del tossicodipendente.136 Alla dilazione dell’espressione emozionale viene inoltre assegnata una funzione socializzante basata sulla separazione tra sfera privata delle emozioni e sfera pubblica del comportamento.137 Continuando nell’analisi delle parole di Dederich troviamo il riferimento alla strigliata come espediente di successo. Le sanzioni disciplinari sono un altro elemento passato a far parte delle CT gerarchiche. Il loro obiettivo è lo sviluppo della consapevolezza degli effetti del proprio comportamento.138 Intuitivamente il fondatore di Synanon aveva colto due aspetti importantissimi della relazione terapeutica col tossicodipendente: il bisogno di contenimento e la dinamica intrapsichica della ricerca di attenzione. È fuori di dubbio la scarsa ritenzione che ottengono con i tossicodipendenti i trattamenti psicoterapeutici tradizionali e anche la moderna clinica psichiatrica riconosce la necessità di un mix di struttura riabilitativa e intervento terapeutico.139 È lecito supporre che Dederich avesse colto nella pratica giornaliera l’utilità di un certo autoritarismo (o direttività come verrà poi definito) soprattutto per l’effetto che otteneva di tranquillizzare il residente. Se infatti accettiamo l’idea che nei primi anni di diffusione della tossicodipendenza ci fosse una maggior incidenza di disturbi della socializzazione, cioè di personalità antisociali, risulta chiaro l’interfaccia con una struttura autoritaria. Se il problema risiedeva in una funzione morale insufficiente la comunità provvedeva dal di fuori a porre quelle regole che il residente non era capace di darsi. Anche nell’ipotesi psicodinamica di un’eccessiva severità del Super Io, con cui la personalità antisociale lotterebbe attraverso un comportamento diametralmente opposto, vediamo che l’affidamento della funzione punitiva all’esterno di sé ha comunque una funzione tranquillizzante. Essa permette la rielaborazione del rapporto con le figure parentali in una situazione terapeutica. Il secondo aspetto riguarda la forte richiesta affettiva e di attenzione a cui le sanzioni disciplinari sembravano dare una risposta. Anche qui Dederich aveva colto una delle principali difficoltà nella psicoterapia tradizionale delle tossicodipendenze. La voracità affettiva del tossicodipendente è ben nota: egli riesce frequentemente a trascinare in una spirale di complicità il terapeuta, che tenta di soddisfare le sue richieste. Inoltre, almeno per il tossicodipendente degli anni di Dederich, valeva la definizione meglio una punizione di 136 L’abuso di gruppi catartici come efficaci strumenti di solo controllo sociale è uno degli aspetti più delicati e controversi delle CT. 137 Anche qui si tratta di un elemento a forte caratterizzazione culturale che implicitamente rafforza la separazione tra mondo interno e comportamento sottolineando la centralità dell’istanza egoica di controllo razionale. 138 K OOYMAN M. 1993 139 G ABBARD G.O. 1992 54 niente, che altro non era che l’internalizzazione di modelli genitoriali in cui l’unico interesse espresso era quello che passava per la sanzione. Queste intuizioni di Dederich erano in linea con una teoria educativa di matrice autoritaria, in cui gli elementi disciplinari si prestavano a compiere una funzione di controllo sociale, di conformazione agli standard di comportamento accettabili e di limitazione degli acting out. Purtroppo quella stessa matrice autoritaria ha portato a eccessi in materia disciplinare che vengono commessi in molte CT, spesso originati dall’abuso di potere dello staff.140 Infine Dederich illustra i synanon games da cui sono derivati tutti i modelli di gruppo d’incontro praticati nelle CT. Come abbiamo ricordato è stata questa probabilmente la principale scoperta metodologica di Synanon. Le esperienze dei National Training Laboratories sono contemporanee alla nascita dei synanon games e, nonostante molte differenze, esistono numerosi punti in comune. Ambedue ad esempio si centrano sul qui e ora e hanno come obiettivo in comune l’autoconsapevolezza attraverso una comunicazione aperta. Ma mentre per i primi l’obiettivo era l’apprendimento di atteggiamenti e metodi cooperativistici, nei synanon games si puntava all’insight individuale. Inoltre mentre nei Tgroups le consegne e la durata erano ampiamente flessibili, con l’obiettivo di ridurre al minimo le sovrastrutture cognitive, nei synanon games spazio, tempo e materiale di lavoro erano chiari e definiti. È ovvia la diversità dei partecipanti e soprattutto il sistema complessivo in cui erano inseriti. I synanon games funzionavano all’interno di una struttura di vita comunitaria a cui erano funzionali per la gestione e l’esplorazione delle emozioni. Nonostante le molte critiche di cui è stata oggetto, Synanon è probabilmente una delle poche organizzazioni che si è moltiplicata in modo così fecondo. Abraham Maslow, Carl Rogers, Daniel Casriel, 141 Lewis Yablonsky, per citare solo alcuni nomi, furono tra gli studiosi che più direttamente analizzarono il funzionamento di questa sintesi originale tra autoaiuto e società tribale. Graduati142 e fuoriusciti di Synanon hanno creato e diretto le principali comunità terapeutiche degli USA negli anni ’70 e ’80. Pochissime altre organizzazioni sono riuscite a sintetizzare in un gigantesco laboratorio vivente, psicologia umanistica e religiosità, comportamentismo ed educazione morale. La Synanon Foundation crebbe a dismisura: nel 1966 ben 3.800 acri di terreno con relative fattorie erano diventati di proprietà dell’organizzazione e la popolazione aveva raggiunto 140 Il fatto di gestire strumenti di controllo del comportamento mette infatti lo staff a rischio di abusi, come ha fatto notare N ADEAU L. 1985. 141 Ritroveremo Casriel nella nascita di Daytop Lodge e nello sviluppo della Bonding Therapy. 142 Il termine si riferisce a quei residenti che avevano ultimato il trattamento terapeutico. 55 qualche migliaio di unità. Il suo sviluppo prese la forma di un impero a livello mondiale. A metà degli anni ’70 Synanon si presentava come una religione. Gli eccessi di Dederich e il suo assoluto potere all’interno dell’organizzazione, avevano rotto tutte quelle regole di salvaguardia di una comunità terapeutica verso gli abusi di un leader carismatico, che per diverse ragioni era diventato incapace di continuare a essere la principale fonte degli standard etici e morali della comunità. Synanon, chiudendosi al mondo esterno, aveva perso ogni dimensione di scambio effettivo col mondo. Rifiutò sempre di aderire a qualsiasi federazione o associazione internazionale di comunità terapeutiche, così come qualsiasi finanziamento pubblico che la obbligasse a rendere visibili procedure e risultati. Non si era mai percepita come parte di un movimento più ampio ma si era sempre considerata il movimento.143 Non c’era modo di cooperare con Synanon se non facendone parte. La trasformazione da organizzazione innovatrice e creativa a fenomeno di culto della personalità dipese dai semi dell’autoritarismo che da sempre portava al suo interno. Essi portarono alle note tristi vicende del 1980, quando Dederich e due membri di Synanon furono accusati di tentato omicidio nei confronti di Paul Marantz, un avvocato di Los Angeles che aveva osato vincere una causa penale per 300.000 dollari contro Synanon. 144 La condanna di Dederich rese pubblica la degenerazione e gli abusi che ormai erano diventati il quotidiano di Synanon.145 Quelle drammatiche vicende sollevarono numerosi interrogativi e critiche soprattutto legate all’autoritarismo della struttura comunitaria americana. D. Ottenberg nella sua lucida analisi delle differenze tra comunità terapeutiche e sette religiose conclude: “La comunità terapeutica è protetta dal pericolo di trasformarsi in una setta finché rimane aperta al mondo esterno. Gli standard etici devono essere chiaramente definiti e prevedere limiti per l’autoritarismo nel rispetto dei fondamentali diritti della persona.”146 143 Dopo la morte di Dederich la Synanon Foundation continuò a esistere con ben definite caratteristiche di setta religiosa. O TTENBERG D.J. 1982. La causa si riferiva al plagio commesso nei confronti di due residenti. 145 Dalle proibizioni di fumare per tutti, alla vasectomia, allo scambio dei partner sessuali, Dederich era diventato ormai padrone e signo re assoluto di Synanon. 146 O TTENBERG D.J. 1982 144 56 DAYTOP “C’è molto nel programma di Daytop che richiama alla mente la cultura americana di alcuni anni fa. L’enfasi per il lavoro, l’interesse per gli altri, l’uguaglianza, sono valori familiari agli americani. È interessante notare che Daytop a un certo punto è diventato un movimento social-radicale: il materialismo egoistico e l’emarginazione presenti nella nostra società sono nettamente inferiori ai valori della solidarietà e onestà che esistono a Daytop. Sotto questo aspetto Daytop e altre CT sono simili a certi movimenti comunitari.”147 Durand Dassier148 presenta un’analisi delle principali fonti di ispirazione: “Daytop è in molti aspetti un prodotto spontaneo della cultura americana. La tendenza a creare raggruppamenti, i processi di discussione, la riduzione della vita privata, la tolleranza confessionale, lo spirito di competizione e la mobilità sociale, la centralità del lavoro, sono tutti elementi che informano i modelli di funzionamento della comunità. Le altre fonti possono essere identificate negli Alcoholics Anonymous, nella psicologia di Carl Rogers e nel behaviorismo.” Daytop è la comunità terapeutica che maggiormente ha influito nella diffusione mondiale di questo modello di trattamento delle tossicodipendenze. È impossibile affrontare un discorso sulle CT senza tenere in considerazione la profonda e duratura impronta che ha saputo imprimere. La sua storia muove dall’esperimento di Daytop Lodge per svilupparsi sorprendentemente grazie all’efficacia dimostrata dal modello. L’esperimento di Daytop Lodge L’esperimento di Daytop Lodge, come fu chiamato all’inizio, è del 1963. Nacque sui risultati di una visita di studio a Synanon nel 1952 per iniziativa dell’Ufficio per la Libertà Condizionale della Corte Suprema di New York. L’équipe era composta da Joseph Shelly, 147 148 SPINDLER G., SPINDLER L. Prefazione in SUGARMAN B. 1974 DURAND DASSIER J. 1971 57 responsabile dell’ufficio, Alexander Bassin, criminologo esperto nella terapia di gruppo e segretario esecutivo della Società Americana per la Terapia Centrata sulla Persona, Daniel Casriel, psichiatra e creatore della Bonding Therapy e Herbert Block, criminologo.149 Le risposte del sistema assistenziale americano erano in quegli anni assolutamente inefficaci, come d’altronde nel resto del mondo, considerando la novità del fenomeno droga e l’opinione corrente sui tossicodipendenti era una volta drogato, drogato per sempre. Il Lexington Hospital, che sarebbe diventato un importante centro di ricerca, e Fort Worth, struttura di custodia, erano le uniche due opportunità di recupero per un numero sempre crescente di consumatori di droghe. Il progetto per una half-way house150 destinata ai tossicodipendenti in libertà sulla parola, era in quel periodo un’idea azzardata e innovativa, completamente fuori dai canoni tradizionali di funzionamento della giustizia americana. Il progetto di Shelly, Bassin e Casriel151 mirava a riprodurre a New York ciò che avevano visto funzionare con risultati così sorprendenti sulla West Coast: Synanon. Nel 1963 il National Institute for Mental Health (NIMH) finanziò con 390.000 dollari il progetto. La difficoltà maggiore all’inizio fu di trovare un direttore adeguato, che possedesse l’esperienza necessaria in un modello così fuori dall’usuale. Dederich aveva chiesto la gestione completa della struttura e rifiutava qualsiasi legame amministrativo con la struttura pubblica, in linea con la sua idea di assoluta indipendenza. Trattandosi di fondi pubblici ciò non era ovviamente possibile. Quattro differenti direttori assunsero l’incarico nel primo anno di vita di Daytop Lodge, senza riuscire a imporre alcuna disciplina o a evitare l’ingresso di alcool e droghe. Fu David Deitch, un fuoriuscito di Synanon per contrasti con Dederich, a determinare la trasformazione della prima casa in una comunità terapeutica. Per circa quattro anni, Deitch e i suoi assistenti, per i quali rappresentava un amico, un consigliere e un modello di ruolo, gestirono le case, che intanto erano diventate due con circa 250 ospiti. Ciò andò avanti fino al novembre del 1968, quando si accrebbero le incomprensioni tra il Consiglio di Amministrazione e Deitch e i suoi direttori. Su questa fase esistono interpretazioni molto diverse. Alcuni hanno sottolineato il deterioramento di una situazione di potere che aveva portato all’eccessiva mitizzazione di Deitch e a eccessi sullo stile di Dederich. Altri, più 149 BASSIN A. 1978 Casa di semi-libertà. 151 Herbert Block era intanto deceduto. 150 58 moderatamente, vi hanno visto una mancanza di mediazione e di comunicazione efficace tra prima linea e stato maggiore. La situazione terminò comunque con l’allontanamento di Deitch e di gran parte dello staff della CT.152 Alla guida dell’istituzione, che intanto aveva modificato il suo nome in Daytop Village, gli successe lo psichiatra Daniel Casriel, figura centrale nell’organizzazione della teoria terapeutica delle CT. Casriel infatti trasse dall’esperienza di Synanon e di Daytop la sua teoria dell’incapsulamento emotivo del tossicodipendente e il perfezionamento della tecnica dell’urlo. Fu in quel periodo che Casriel sviluppò il concetto dell’immaturità di fondo del tossicodipendente e del suo bisogno di un rafforzamento dell’Io, impostazione già presente, come abbiamo visto, nel modello di Synanon. È forse questa la caratteristica più comune tra le CT che si sono ispirate al modello americano. Il modello di funzionamento di Daytop Daytop ha sempre rappresentato un oggetto di ricerca estremamente interessante. Atipicità della struttura, efficacia nei risultati, semplicità e chiarezza dell’organizzazione hanno attirato sin dall’inizio i ricercatori. Una certa apologia del successo ha sempre caratterizzato i suoi esponenti, attirando loro critiche feroci e adesioni entusiastiche. Senza dubbio l’aura di ottimismo e baldanza che circonda i suoi sostenitori può facilmente generare reazioni di diffidenza e scetticismo, soprattutto da parte di esponenti della cultura latina. È per queste ragioni che le descrizione del modello che segue si è basata su due autori differenti per certi versi su posizioni diametralmente opposte. Durand Dassier, sociologo e ricercatore francese, non ha risparmiato critiche a Daytop e il suo punto di vista è tipicamente latino. La sua analisi è il frutto di una lunga ricerca partecipata, realizzata vivendo nell’organizzazione. Barry Sugarman rappresenta invece il sociologo ufficiale di Daytop ed è autore di un testo descrittivo dell’organizzazione che ne divulgò internazionalmente l’esistenza. Le sue analisi sono certamente meno critiche ma sono fonte di elementi fondamentali per la comprensione del funzionamento di Daytop. 152 Da queste schegge sarebbero nate molte delle cosiddette CT della seconda e terza generazione negli Stati Uniti, come ricorda SUGARMAN B. 1974. 59 “... Daytop si presenta come una cellula sociale coerente, con struttura mobile, gerarchica e atipica, che vive in regime di autogoverno. Il suo obiettivo è la riabilitazione di tossicodipendenti attraverso la loro partecipazione alla vita interna, caratterizzata da una relazione di interdipendenza. Dal punto di vista economico è simile a un’impresa privata, il cui obiettivo è la prestazione di servizi in cambio del lavoro dei residenti.”153 L’autore francese di cui abbiamo riportato la citazione, coglieva alcune delle caratteristiche macrostrutturali di Daytop. Come per Synanon, l’autarchia della struttura è una delle condizioni di funzionamento. La gerarchizzazione dei ruoli fu uno dei frutti dell’impostazione criminologica del modello e delle esigenze di funzionamento pratico. Durand Dassier mette in luce anche la dimensione economica e privatistica dell’organizzazione, in controtendenza rispetto all’impostazione europea del diritto al trattamento terapeutico pubblico. Il modello organizzativo è altamente strutturato, complesso e sotto alcuni aspetti simile al modello di Goffmann di una istituzione totale.154 La mancanza di vita privata è assoluta e gli ospiti devono rispettare l’estrema precisione del programma delle attività, che svolgono tutti insieme e in periodi di tempo precisati. Ma contrariamente all’Asylum, la superstruttura di controllo totale vaticinata da Goffmann, all’interno di Daytop non esiste distinzione tra personale e ospiti, per quanto i primi godano di maggiori privilegi. Se infatti nell’analisi di Goffmann lo staff riproduceva internamente all’istituzione la classe dominante e puntava a mantenere i residenti in uno stato di subordinazione, in Daytop chi oggi ricopre ruoli di maggior responsabilità ieri era seduto al posto dei residenti e questi possono aspirare a diventare domani come lui. Questa caratteristica di mobilità si basa sulla cultura della democrazia americana e semmai rende più simile Daytop a certe comunità monastiche che a prigioni od ospedali. Barry Sugarman notava che: “Il Programma è il termine più usato dagli ospiti e dallo staff di Daytop per definire l’insieme della filosofia, dei valori e dei metodi di lavoro della comunità.”155 153 D URAND D ASSIER J. 1971 GOFFMANN 1972 155 SUGARMAN B. 1974 154 60 L’uso del termine non è nuovo, dal momento che fu coniato dagli Alcoholics Anonymous e si giustificava nella volontà dei fondatori di non creare una vera e propria istituzione. Col termine programma si esprimeva la cultura pragmatica e anti-istituzionale degli AA che vedevano, e tuttora vedono, nei Dodici Passi solamente uno strumento, un percorso di recupero per l’alcolista.156 Daytop recuperò la terminologia in quanto il trattamento veniva considerato semplicemente un episodio nella vita del tossicodipendente e non una scelta di vita.157 Inoltre il termine ha una forte valenza tecnologica che riflette l’ispirazione comportamentista. “... qualsiasi parte il tossicomane cerchi di recitare, verrà smascherata. Inesorabilmente i suoi interlocutori (sei o sette membri della comunità che lo intervistano) seguono una precisa strategia che lo induce ad ammissioni che mettono a dura prova il suo orgoglio. Il principale obiettivo è quello di convincere il tossicomane a fare un sacrificio, e il colloquio è un attacco alla vecchia immagine per fargli raggiungere la consapevolezza della sua immaturità.”158 Sugarman ci introduce al rituale di ingresso in Daytop che ripropone l’esperienza di deflation159 descritta dal fondatore degli AA. Che tale esperienza avvenga è considerata una condizione fondamentale per essere ammessi. Le difese, i trucchi, le immagini che erano servite al tossicodipendente per proteggersi e garantirsi l’immunità da un contatto genuino con se stesso, vengono attaccate e distrutte, con un metodo che può apparire brutale.160 Lo smascheramento delle difese mirava a stabilire un contatto col nucleo debole del nuovo membro, evitando compatimento e vezzeggiamento. Solo ciò permetteva l’avvio del percorso comunitario. Il variopinto apparato difensivo del tossicodipendente, che utilizza meccanismi molto diffusi quali la razionalizzazione, la negazione, la seduzione, la proiezione e il ritiro, non è sostenuto da un nucleo centrale forte. Attaccandolo direttamente, in questo caso puntando alle 156 La maggior parte delle CT hanno utilizzato la stessa terminologia, pur avendo invece raggiunto un discreto grado di istituzionalizzazione. 157 K OOYMAN M. 1993 158 SUGARMAN B. 1974 159 Sgonfiamento dell’ego. 160 Chi ha esperienza di comunità comprende a cosa ci riferiamo. L’intervista avveniva in un contesto fortemente ritualizzato, dove sei o più residenti guidati da un membro dello staff sedevano in emiciclo e di fronte ai quali veniva introdotta la persona che chiedeva di entrare. Questi doveva dimostrare la propria onestà, abbandonare scuse e difese psicologiche e mostrare di percepirsi senza speranza. Gli intervistatori, conoscendo per propria esperienza i trucchi del tossicodipendente, attaccavano con forte violenza verbale i miseri tentativi del nuovo adepto, il quale in men che non si dica si ritrovava completamente smontato psicologicamente. A questo punto poteva essere accolto a pieno titolo nella famiglia che lo riceveva con grande calore umano. 61 difese, al momento dell’ammissione si mira a farlo entrare immediatamente in contatto col nucleo debole, per agganciarlo affettivamente. Il legame che stringe con i membri della comunità, e in particolare quello con il big brother (fratello maggiore) che gli viene assegnato, sono i principali garanti della sicurezza della persona dopo che si è mostrata così debole. L’intervista d’ingresso ha molti altri significati. Da un lato essa rappresenta una sorta di cerimonia iniziatica dove, sottolineando lo stato infantile in cui si trova la persona, si celebra attraverso un atto di coraggio il suo ingresso nel mondo degli adulti. Il superamento dell’intervista di ingresso viene salutato con calore dal resto della comunità che accetta il nuovo membro come pari. Essa richiede l’abbandono delle difese (deflation) e la resa a un potere più grande, in questo caso la comunità stessa. Rappresenta quindi una conversione all’ideologia della comunità. Evidentemente si tratta di un’esperienza provocata, che raramente riflette l’effettiva percezione di sé del nuovo residente. Frequentemente infatti si realizza un’adesione superficiale al rituale, urlando ed esprimendo sentimenti di dolore in modo affettato. Dobbiamo infine ricordare che i residenti di Daytop provenivano (e provengono tuttora) in massima parte dal circuito giudiziario, con un’alta incidenza di comportamenti aggressivi e delinquenziali. L’intervista d’ingresso risultava per loro un attacco all’immagine esteriore e una conseguente sottomissione al nuovo gruppo. È quindi evidente che l’ammissione di debolezza permetteva di stabilire una nuova gerarchia in cui il nuovo membro occupava il gradino più basso. Le regole cardinali di Daytop impediscono l’uso di qualsiasi droga e il ricorso alla violenza. Nella prima regola viene incluso l’uso dell’alcool, almeno fin verso la fase conclusiva del programma, e di qualsiasi farmaco o prodotto chimico non indispensabile per ragioni di salute. In questo senso viene somministrata una vera e propria dose massiccia di sobrietà. Il no all’uso di qualsiasi forma di violenza si giustifica col bisogno di imparare ad affrontare la tensione e superare le frustrazioni invece di reagire impulsivamente con la fuga (droga) o con l’attacco violento. Accanto a queste due regole fondamentali ne esistono moltissime altre che sarebbe difficile elencare. Basti ricordare l’obbedienza alle direttive, il lavorare con impegno, il divieto di prendere cose senza permesso esplicito, l’aver cura dei membri più giovani, l’improntare le 62 relazioni sulla base del valore della solidarietà, il non mantenere segreti né stringere accordi negativi per violare le regole, l’assoluta onestà e moltissime altre. La cultura di Daytop è profondamente razionale nel senso che esistono motivazioni precise per ogni norma, tutte derivanti dalla stessa premessa generale di un gruppo di persone che ha un problema in comune e che cerca di uscirne con le proprie forze. Il gruppo è l’unità di base del lavoro terapeutico nella comunità. Una breve rassegna delle tipologie di gruppo sviluppate nei primi anni di esistenza di Daytop, evidenzia la prima sofisticazione del modello dei synanon games. Il ruolo centrale spetta ai gruppi di incontro, derivati direttamente dalla pratica dei synanon games. Regolare la tensione, sviluppare l’autoconsapevolezza e praticare terapia della realtà,161 sono gli obiettivi principali. La funzione catartica risponde sia alle esigenze di mantenimento del controllo sociale162 che all’obiettivo di prendere coscienza della natura profonda delle emozioni. Questi gruppi permettono anche di calibrare il comportamento a livello individuale attraverso la possibilità di rispecchiarsi negli altri. In questo senso producono degli effetti di modificazione cognitiva e di incremento delle abilità, attraverso il meccanismo del coping.163 Da questa prima struttura di gruppo, distinta in due tipologie (gruppo a partecipanti fissi una volta alla settimana e gruppo a partecipanti a rotazione due volte) si sono sviluppate numerose variazioni tra cui, la più conosciuta è la maratona. Questo gruppo di lunga durata venne sviluppato da Casriel come strumento di approfondimento delle emozioni personali. “Originariamente le maratone duravano trenta ore, generalmente dal venerdì sera alla domenica mattina. L’obiettivo era di rompere le difese attitudinali ed emotive al fine di aiutare una persona a cogliere le proprie emozioni più profonde, a lungo sepolte [...] è difficile descriverne le emozioni [...] la gente sentiva il vincolo d’affetto [...] i loro visi erano pieni di vita nonostante la stanchezza [...] era come se fossero fatti [...].” 164 Accanto ai gruppi d’incontro e alle maratone, modelli senza dubbio più elaborati rispetto al game, esistono numerose altre forme di gruppo i cui obiettivi sono per lo più legati a 161 Approccio sviluppato da W. Glasser che considera indispensabili spontaneità e simmetria relazionale nella terapia. La questione del controllo sociale non deve essere considerata solamente nel suo aspetto negativo. Daytop, come le CT e le organizzazioni in generale, ha sviluppato i propri meccanismi di controllo interno. Inoltre dobbiamo ricordare che, sia a causa del tipo di residenti che per la sua intensità emozionale, è un’organizzazione altamente infiammabile. Ne consegue la necessità di un efficace controllo interno. 163 L’apprendimento per imitazione attiva. Vediamo qui un elemento di diretta derivazione dall’approccio self-help. 164 CASRIEL D.[1987] 162 63 situazioni specifiche (gli incontri speciali, le riunioni di lavoro) o che sottolineano momenti particolari (ad esempio il gruppo dell’intervista d’ingresso). B. Sugarman metteva in luce alcune caratteristiche del comportamento del tossicodipendente: “I tossicomani, quando vogliono qualcosa, la vogliono subito, e senza sacrificio; non ammettono di dovere modificare nulla del loro comportamento, anzi molti sono soddisfatti di sé. Non hanno fiducia in nessuna autorità e virtualmente in nessun altro e hanno difficoltà ad assumere responsabilità positive. Le dedizione alla droga rappresenta l’inserimento in un gruppo, con un linguaggio diverso. Li accompagna una sensazione di incapacità di affrontare le situazioni, di essere senza valore, un fallito, di non poter essere mai compreso.” Cosa fa accettare a una persona con tali caratteristiche di rimanere in un sistema tanto esigente come quello di Daytop? “... la paura di tornar fuori, l’identificazione e il legame affettivo che stringe con qualcuno che diventa un modello di ruolo, la fiducia che sente forse per la prima volta, la sfida .” 165 Durand Dassier indica alcuni degli elementi terapeutici della struttura: “... i fattori ecologici, cioè le qualità dell’insieme organizzato, con il suo alto potere di coesione e di riduzione della dissonanza; l’omogeneità del percorso terapeutico per tutto il gruppo che porta con sé un’alta dose di conformismo; il sentimento di appartenere, di potersi esprimere, di essere accettato .” 166 Esiste una teoria psicologica che sostiene la struttura terapeutica di Daytop, una teoria estremamente semplice e costruita empiricamente. Vi hanno contribuito in larga misura le intuizioni di Dederich e l’esperienza di Synanon, così come vi è rappresentata l’eredità degli Alcoholics Anonymous. I suoi principali postulati sono: Le immagini esteriori e il bisogno di estirparle. I tossicodipendenti, che hanno un bassissimo concetto di sé, tendono a coltivare immagini esterne di se stessi che compensino l’insicurezza interiore. Queste immagini esterne vengono attaccate per portare la persona a 165 166 SUGARMAN B. 1974 D URAND D ASSIER J. 1971 64 confrontarsi con se stessa senza più le difese irreali che ha sempre usato. È il surrender degli Alcoholics Anonymous, a cui Henry Tiebout ha assegnato un ruolo centrale nella terapia. 167 La resa è alla comunità che provvede al rinforzo affettivo. Come si può notare sono andate perdute le connotazioni religiose che facevano della resa un atto di conversione. Affrontare i sentimenti. L’eredità più diretta che Synanon ha lasciato a Daytop consiste nella dinamica di espressione e conoscenza dei sentimenti alla base del comportamento di una persona. Essa deriva dalla chirurgia dell’anima di Frank Buchman, il fondatore dell’Oxford Group, che predicava la necessità di effettuare un inventario spietato di se stessi per raggiungere la salvezza. Se la pratica dell’assoluta onestà e del riconoscimento delle proprie debolezze aveva per l’Oxford Group un significato religioso, già da Synanon era passata a essere la via regia per lo sviluppo della persona. Infatti Dederich aveva sperimentato che il genuino contatto con se stessi sembrava rafforzare la personalità del tossicodipendente. Lo spietato inventario divenne allora la pratica dell’attacco alle difese e del confronto permanente delle azioni e degli atteggiamenti. Daniel Casriel, nella sua esperienza con Daytop, integrò la sua teoria psicodinamica della personalità con l’esperienza di Synanon, creando le basi teoriche per i gruppi. La sua teoria dell’incapsulamento spiegava il deficit evolutivo e della comunicazione del tossicodipendente e convalidava l’uso dei gruppi di incontro. La lotta, la fuga e il ritiro. Un ultimo postulato fondamentale della teoria psicologica di Daytop riguarda i meccanismi messi in atto dal tossicodipendente di fronte alle situazioni di pericolo. Contrariamente alla maggior parte degli esseri umani che risponde aggredendo o fuggendo dalle situazioni vissute come pericolose, il tossicodipendente ha elaborato precocemente un meccanismo che Casriel definì ritiro. Si tratta in pratica del disinvestimento della carica emotiva di una situazione pericolosa, di una sorta di fortezza vuota nella quale si trincera il tossicodipendente. Questo meccanismo di distacco, di farsi scivolare addosso le cose, di negarne il significato e la carica emozionale, permette alla persona che lo mette in atto di ottenere perennemente una illusione di vittoria, rafforzando un Io aleatorio. Su questo meccanismo, il cui ruolo è centrale nella teoria dell’incapsulamento, la comunità interviene in modo massiccio, sottoponendo l’individuo a una continua pressione alla consapevolezza e ponendolo in situazioni in cui il ritiro è impossibile. È quello che Bratter definiva 167 T IEBOUT H. 1953 65 contraddittorio permanente.168 L’ossessiva mancanza di vita privata gioca un ruolo fondamentale nell’abbattimento del meccanismo di difesa del ritiro. Il metodo terapeutico di Daytop potrebbe definirsi con ragione una forma di terapia istituzionale. Si tratta in un certo qual modo di una terapia totale, che coinvolge il residente in una vera e propria subcultura terapeutica. Non esistendo dicotomia tra terapeuta e paziente il vero elemento curativo è la relazione reale tra persone in un sistema di vita organizzata.169 Come già per AA la relazione terapeutica è tra pari e non si conta sulla conoscenza specialistica proveniente dall’alto (il terapeuta tradizionale) né si fa della salute mentale una condizione necessaria. Il recupero del tossicodipendente è un processo vivo e conflittuale e nella cordata terapeutica c’è posto per tutti. Dederich aveva già capito la potenza di quel sistema quando affermava che: “Nelle sessioni dei synanon games il conduttore non cerca di convincere gli altri di essere una personalità stabile. Infatti possono essere proprio gli istinti distruttivi di una persona riabilitata o ancora in trattamento che lo trasformano in un buon strumento terapeutico: combattendo il fuoco con il fuoco.” Considerazioni Abbiamo passato in rassegna, seppur in modo generale, gli elementi fondamentali che hanno caratterizzato la prima fase di sviluppo di Daytop. Prima di presentare una riflessione generale sulla cultura che lo sostiene e i suoi successivi sviluppi, cercheremo di mettere a fuoco alcune delle principali differenze con Synanon. Ci è di aiuto ricordare ciò che accadde quando, progettando la creazione di Daytop Lodge, l’équipe del Dipartimento di Giustizia Criminale di New York chiese l’intervento diretto di Dederich. “Primo, Synanon non dovrebbe rappresentare una scelta per tutta la vita, ma i tossicodipendenti dovrebbero passarci solo un tempo e poi ritornare alla vita reale rafforzati; 168 169 BRATTER T. 1979 È l’impostazione sostenuta da Glasser nella sua Terapia della realtà. 66 secondo, i metodi dovrebbero essere sottoposti al vaglio di ricercatori esterni. Noi siamo sicuri che l’approccio di Dederich è corretto, allora perché non permetterne l’analisi? Terzo: vorremmo capire perché Synanon rifiuta qualsiasi contributo che venga da professionisti formati accademicamente. Se il problema della droga richiede di guardare all’intera persona, perché non approfittare anche di contributi diversi? Quarto: ci sembra che la disciplina interna di Synanon stia diventando troppo dura. L’umiliazione sembra essere il punto centrale di molte tecniche. Infine Synanon dovrebbe decidersi a lavorare a New York dove la concentrazione di tossicodipendenti è la più alta del paese, accettando di amministrare fondi pubblici in qualità di servizio alla popolazione.”170 Significativamente nessuna di queste critiche o condizioni fu accettata da Dederich facendo sì che il cammino delle comunità terapeutiche si differenziasse dall’inizio. Infatti sono qui sintetizzati gli elementi caratteristici della successiva evoluzione delle CT. La durata limitata del trattamento, che non doveva implicare una scelta di fede, era per Daytop una condizione di base. Nascendo in realtà come servizio semipubblico e dipendendo dal finanziamento statale, Daytop si configurava come un servizio e non come un obiettivo di vita. Il riconoscimento della validità di un approccio scientifico, soprattutto per l’analisi della metodologia utilizzata, rifletteva la situazione di compromesso tra anti-professionalismo e coinvolgimento delle scienze sociali nella nascita di Daytop. Il programma terapeutico era stato pianificato e praticamente disegnato a tavolino dall’équipe dell’esperimento di Daytop Lodge. Era logica quindi l’apertura verso le professioni sociali tradizionali. Il rispetto dei diritti umani era una condizione necessaria per una struttura che nasceva con fondi pubblici. Potere e violenza interna dovevano essere regolamentati e soggetti a controllo. I margini di tolleranza erano gli stessi che si potevano applicare nell’ambiente carcerario. Infine la necessità di rendere conto alle strutture pubbliche erogatrici di fondi era implicita nelle premesse di Daytop. È da queste divergenze che si può comprendere il diverso cammino intrapreso da Daytop che si sviluppò come il principale programma di comunità terapeutica per tossicodipendenti mentre Synanon si trasformava in una setta. 170 O’B RIEN W., H ENICAN E. 1993 67 Il movimento delle Comunità Terapeutiche si è diffuso in modo capillare a livello mondiale ed è opportuno accennare brevemente agli elementi che hanno caratterizzato il suo sviluppo. Mullen ricostruisce il processo di sviluppo delle CT includendo nella prima generazione quelle che derivarono direttamente da Synanon (Daytop, Phoenix House, Odissey House, ecc.). Queste, pur mantenendone i princípi generali, si orientarono al finanziamento pubblico e alla specializzazione nell’assistenza di eroinomani.171 Specializzazione e finanziamento pubblico rappresentano fondamentali differenze tra Daytop e Synanon. La specializzazione portò al confronto negli ambienti scientifici e alla conseguente visibilità dei metodi. Il finanziamento pubblico garantì invece il controllo. Daytop fu probabilmente salvaguardata dagli abusi di potere accaduti a Synanon proprio dalla stretta collaborazione con le strutture pubbliche. Le CT che seguirono questa linea diventeranno portatrici del modello predominante.172 Deitch identifica nella forte carica ideale e nell’orientamento radicale le caratteristiche della prima generazione di CT, fortemente influenzata dai movimenti culturali degli anni ’60, dal clima di emarginazione in cui vivevano i tossicodipendenti e dal rifiuto dell’egemonia del modello medico psichiatrico.173 Fu quella prima generazione che diede l’impulso alla diffusione delle CT in tutto il mondo, forte della convinzione di essere un vero movimento di alternativa culturale e l’unica speranza di sopravvivenza per i tossicomani. Un fattore chiave nello sviluppo del modello di CT è stata l’apertura al mondo professionale. Ciò ha rappresentato dall’inizio una rottura con la tradizione anti-professionale di Synanon. Ma non tutti hanno condiviso tale scelta. Mullen ad esempio sosteneva che proprio la rottura della dicotomia noi-loro, tipica del modello medico-paziente, è stata la fondamentale qualità rivoluzionaria di Synanon e che le successive evoluzioni hanno allontanato la CT dalle sue originarie radici.174 Altri autori hanno sostenuto invece una posizione possibilista e cercato di gettare un ponte tra professionisti ed ex-tossicodipendenti.175 Esperienze innovative erano state realizzate in 171 MULLEN R. 1992 Parallelamente si svilupparono altre organizzazioni che non confluirono nelle varie Federazioni e che si evolsero mantenendo i princípi ispiratori dell’organizzazione-madre Synanon, evitandone i più grandi errori. Ricordiamo ad esempio Amity e Delancey Street. Queste due organizzazioni sono rimaste più fedeli all’approccio comunitario del tipo self help, senza mai riconoscersi nell’establishment del movimento delle CT. 173 D EITCH D. 1990 174 MULLEN R. 1992 175 In particolare MOWRER O.H. in GARTNER A. - REISSMAN F ., [s.d.] 172 68 questo senso da Ottenberg già dal 1966 all’Eagleville Hospital di Philadelphia.176 Il Centro di Riabilitazione dell’ospedale utilizzò sin dall’inizio un approccio interdisciplinare che utilizzava ex-alcolisti ed ex-tossicodipendenti in qualità di consulenti e leader dei gruppi. Rosenthal sosteneva che il futuro delle CT era legato alla loro capacità di rendere esplicito il modello di trattamento e di professionalizzare la pratica clinica. 177 Sono evidenti due anime tra le quali quella più moderata ha influenzato con maggior successo l’evoluzione del modello. Infatti la seconda generazione di CT, quella sviluppatasi dal 1976 al 1985, si caratterizzò proprio per la sensibilità al problema della formazione dello staff, per la collaborazione col mondo professionale e per approcci più integrati e complessi. Successivamente ci si è riferiti alla diffusione delle CT in termini di terza e quarta generazione, indicando con queste le ulteriori diversificazioni. In sintesi possiamo riassumere i principali elementi che contribuirono all’evoluzione della CT dal modello originale: integrazione tra cultura self help e pratica clinica professionale modifiche del modello terapeutico in direzione di un maggior coinvolgimento della famiglia di appartenenza dell’utente influenza del modello inglese e dell’approccio open systems, che ridusse sensibilmente il rischio di trasformare la CT in un’istituzione totale maggior riconoscimento da parte del sistema pubblico di assistenza e finanziamento dei servizi, che obbligarono le CT a rendere pubbliche metodologie e risultati. Questi fattori in particolare favorirono la trasformazioni del modello di CT da organizzazione relativamente chiusa e autarchica a complessa agenzia di servizi integrata nella comunità territoriale. Di contro ci sembrano utili alcune riflessioni di Ottenberg su cosa invece non può cambiare in una CT: “L’obiettivo di una CT è quello di fornire un metodo e un ambiente per la crescita personale che mira a un effettivo reinserimento sociale. Essa è un’esperienza transizionale, non un obiettivo in se stessa. Inoltre il residente, che 176 177 O TTENBERG D.J. 1977 Citato in OTTENBERG D.J. 1986 69 sceglie liberamente di entrarvi, è e deve rimanere il principale protagonista della terapia.”178 Le CT sono oggi più trasparenti all’esterno e non sono più quei piccoli lebbrosari dove entrava solo chi era malato. La formazione degli operatori ha raggiunto un’ampiezza che non può più essere paragonata ai modelli semplificati di addestramento utilizzati quindici o vent’anni fa. I sistemi pubblici di assistenza hanno stabilito modalità di collaborazione sempre più strette. Ciò ha portato le CT a configurarsi sempre più come agenzie di servizi più che comuni di vita alternative o sanatori. Nell’impatto che le CT ebbero in Europa fu il mondo professionale a giocare un ruolo centrale. Le ragioni sono state di diversa natura: dalla resistenza del sistema pubblico a riconoscere figure professionali non tradizionali alla mancanza di organizzazioni self help in grado di provvedere tossicodipendenti recuperati.179 È così che furono le CT americane a fornire la spinta per la diffusione del modello gerarchico in Europa, fenomeno che suscitò reazioni contrastanti. Sono opportune a questo punto alcune riflessioni sulla cultura implicita nel modello di Daytop che ci permetteranno di meglio comprendere l’applicazione del programma americano in Europa e in particolare in Italia.180 Si tratta di ampliare la visione all’orizzonte culturale e sociale in cui la CT americana è nata e si è sviluppata. Come già segnalato per il fenomeno degli Alcoholics Anonymous, Daytop rappresenta una subcultura organizzata nata in maniera spontanea senza la tipica burocrazia dell’assistenza sanitaria pubblica, fatto peraltro tipicamente americano. Esso infatti è l’eredità della cultura della frontiera, della self made community che anticipa lo Stato. Come in ogni cultura è necessario analizzare il tipo di relazioni che si instaurano al suo interno e i meccanismi di adeguamento all’ideologia dominante. Al pari del processo di acculturazione che realizza un emigrante all’entrare a far parte di una nuova cultura, il nuovo entrato a Daytop deve creare un nuovo sistema di relazioni che gli permettano di far fronte ai bisogni emozionali (appartenere e comunicare) e modificare la propria marginalità rispetto al sistema, attraverso i meccanismi del conformismo sociale. 178 O TTENBERG D.J. 1992 K OOYMAN M. 1993 180 Ci baseremo nei paragrafi seguenti sull’analisi antropologico culturale che Durand Dassier espone nel suo libro, a cui rimandiamo il lettore interessato a un approfondimento. 179 70 La vita privata viene ridotta al minimo, limitandosi in fondo all’abbigliamento o all’intimità di una doccia. Tutto il resto del tempo è dedicato alle attività in comune. Sembra quasi che non esista nemmeno la possibilità di sognare in solitudine. Questo modello relazionale obbliga a rendere pubblico tutto ciò che è personale. All’estremo opposto si trovano le culture mediterranee, latine e cattoliche, dove mai si laverebbero i panni sporchi in pubblico. Questo fa sì che al di fuori del privato, si indossi una maschera che rende difficile la spontaneità con gli altri. In questo senso la cultura dell’America del Nord pervade Daytop differenziandosi nettamente dai modelli latini. Infatti la sfera privata nella vita americana è in generale ridotta all’attività sessuale, mentre il resto delle attività della vita sono aperte agli occhi degli altri: i giardini non hanno recinti ed è raro vedere sbarre alle finestre. Nelle culture latine invece il mondo privato funziona da paraurti tra norma sociale e realtà personale, lasciando un ampio scostamento tra Sé privato e Sé pubblico. Daytop azzera queste differenze, portando ogni cosa al dominio di tutti. Quante più sono le cose da nascondere, tanto più ci si deve difendere dagli altri che potrebbero scoprirle. Questo è alla base delle caratteristiche di dominanza interpersonale tipiche delle relazioni nei paesi latini. Il segreto, quando comunicato ad altri, assegna un potere nella relazione. In Daytop, annullando culturalmente il valore del segreto, vengono impediti i contratti di mutua protezione. L’unica relazione di potere può essere quella legata all’aiuto, che è peraltro transitoria. La relazione dominante diventa così quella simmetrica, al contrario di quanto accade nelle culture latine, dove le persone tendono a imporre una legge personale agli altri. Questo produce un effetto molto più tranquillizzante di quanto permetta la simmetria tra pari. La mobilità lavorativa all’interno di Daytop è altissima: una persona non occupa lo stesso posto per più di cinque mesi. Ciò rispecchia la maggiore mobilità nel mondo del lavoro nordamericano al contrario di quanto avviene nell’Europa latina. In realtà all’interno della situazione lavorativa, il residente è solo con se stesso, in permanente sforzo di superamento dei propri limiti e alla ricerca del successo. Lavorare per compiacere gli altri o ottenere protezione è considerato infantile e segno di immaturità. Al contrario nelle culture latine la mobilità lavorativa è un concetto che si sta affacciando timidamente, mentre ancora è forte la cristallizzazione lavorativa e la ricerca del posto fisso. 71 La corsa per lo status è un gioco terribile della cultura americana. Si lotta per se stessi e ogni colpo è permesso. La stima di sé è riflessa nello status che si raggiunge. Se per il comune cittadino ciò è rappresentato dai segnali esterni quali il denaro, per il residente di Daytop è una promozione, segno di maggiore maturità. In questo senso un avanzamento può difficilmente essere frutto di abili calcoli. Nelle culture latine il successo è legato alla rete di relazioni che si riesce a stabilire, e che funziona da protezione per l’individuo. Lo status raggiunto definisce il potere, mentre per la cultura americana il dominio è su un insieme produttivo che riporta all’uomo economico. L’autostima riflessa socialmente nella società americana è strettamente legata allo status e al possesso di beni. All’interno di Daytop si trasforma nel livello di maturità raggiunta, livello che viene continuamente corretto dalle relazioni con gli altri. Nelle culture latina l’autostima aveva origine nel passato, nel possesso dei beni familiari e nella famiglia stessa. Col tempo l’orgoglio di casta ha lasciato il posto a quello corporativo e successivamente a quello della funzione che si compie socialmente. Il rispetto, più che derivare da una valutazione positiva di sé, si origina dal rispetto manifestato dai subordinati e dall’insieme dei segni esteriori del ruolo sociale. Nel contesto latino la trasgressione delle norme produce colpevolezza e rimorso ai quali la religione cattolica, i direttori spirituali e la confessione offrono una soluzione e il perdono. Il concetto di colpevolezza sociale si è sviluppato relativamente poco forse proprio a causa della grande disponibilità di strumenti del perdono. L’ascesi protestante, dominante nella cultura americana, spinge invece a una colpevolezza la cui risposta è solo nell’impegno a superarsi e nell’attività riparatrice. Nell’America del Nord, a causa delle influenze del protestantesimo, il rimorso per la trasgressione gioca un ruolo maggiore. In Daytop questa responsabilità sociale viene sovradimensionata e sottolineata in tutte le occasioni e attività. Mentre nell’ambiente latino il calore deriva dai segreti gelosamente custoditi, dalla tolleranza nella relazione con se stessi, dalla complicità reciproca e dall’importanza della rete di relazioni gerarchiche, l’intimità a Daytop ha la sua origine nella simmetria relazionale e nella chiarezza assoluta delle persone che non può esistere, paradossalmente, senza l’intolleranza generale verso ciò che non è perfettamente chiaro. 72 LE COMUNITÀ TERAPEUTICHE IN ITALIA Lo sviluppo delle comunità terapeutiche per tossicodipendenti in Italia è un fenomeno relativamente recente e ha seguito il più complessivo sviluppo del movimento del volontariato. Diversi autori ne hanno identificato le radici nella cultura cattolica dell’assistenza ai bisognosi e nella sua secolare tradizione. 181 Ed è indubbio che esso intervenne in modo rilevante nello sviluppo del movimento italiano delle CT, soprattutto grazie al suo ricco apporto motivazionale.182 Il fenomeno droga apparve in tutta la sua drammaticità sociale proprio negli anni in cui un profondo dibattito attraversava il mondo del volontariato. Era la fine degli anni ’60 e due fenomeni di grande rilevanza storica e sociale vi contribuirono: i risultati del Concilio Vaticano II del ’64, che aveva centrato l’attenzione sul ruolo politico del credente,183 e il movimento del ’68 originatosi nei campus americani e che, attraverso la Francia, si era diffuso in Europa. Il Concilio aveva avuto un profondo impatto sul volontariato di matrice cattolica, più cospicuo numericamente di quello d’ispirazione laica. Da sempre impegnato in quella che verrà poi definita solidarietà corta,184 cioè beneficenza e carità, non si poneva generalmente obiettivi di soluzione delle cause, quindi di mutamento sociale.185 Il Concilio ribadì con forza il rapporto tra fede e opere ed esaltò la difesa dei deboli, quei nuovi poveri di potere come felicemente li definì Paolo VI. Le provocazioni furono raccolte principalmente dai giovani delle associazioni cattoliche mentre gli adulti dovettero confrontarsi con le loro presunte certezze che ora si incrinavano anche dal punto di vista teologico. Si trattava infatti di rivedere il proprio ruolo di cristiani e accettare un coinvolgimento personale nelle questioni sociali: non si poteva più esercitare la carità e non tentare di rimuovere le condizioni alla base dell’ingiustizia. I fermenti del ’68, sottolineando la dimensione politica presente in ogni azione sociale, funzionarono da detonatore per quella crisi. La presa di coscienza dell’impossibilità di una posizione neutrale aprì un doloroso processo che produrrà la trasformazione dei modelli 181 Si vedano ad esempio L AI GUAITA M.P. 1987; CORULLI M., GILARDI A. 1991; CANCRINI L., D E GREGORIO F., CANCRINI M.G. 1993 182 SCIDÀ G. 1993, P. 153-167 183 Una delle conseguenze più significative fu la Teologia della Liberazione. 184 T AVAZZA L., PIONATI F., MANGANOZZI G.P., SARDO C., DE MARTI S S. 1990 185 Quella che verrà definita solidarietà lunga cioè che punta allo sviluppo e alla soluzione dell’ingiustizia. 73 culturali e di azione delle iniziative sociali. Purtroppo dalla stessa crisi nasceranno quelle ideologie esasperate che sostennero il terrorismo politico. In un testo della Caritas Italiana del 1975, frutto di tale processo di rivisitazione, traspare con estrema chiarezza il dibattito interno al mondo del volontariato cattolico: “Le cause dell’emarginazione sono complesse. Ma è importante che il volontario rifiuti il ruolo di tappabuchi, di complice silenzioso delle insufficienze del sistema, di ambulanza della storia. Il volontariato deve farsi carico di conoscere i meccanismi strutturali che producono emarginazione; deve integrare sempre il suo servizio personale con un ruolo politico; deve accompagnare sempre il suo impegno di carità con un parallelo impegno per la giustizia sociale. E in una visione politica, i volontari sono impegnati a cambiare l’attuale assetto assistenziale, in un piano organico di servizi sociali. Il volontariato singolo potrà svolgere al massimo una splendida testimonianza. Difficilmente nel contesto attuale diviene elemento di cambiamento.”186 Fu il mondo cattolico a raccogliere con maggior sensibilità gli stimoli di questa ricca stagione storica e a creare le condizioni per lo sviluppo di una nuova prospettiva dell’azione volontaria: il passaggio da un’azione riparatoria a una propositiva e liberatoria, la solidarietà lunga di domani. Si aprono così le porte a una grande varietà di modelli d’azione, più o meno orientati politicamente ma tutti ugualmente sostenuti da antropologie umanistiche e di liberazione. 187 La comparsa delle CT in Italia In questo contesto di fermenti culturali e civili nascono le prime esperienze di comunità terapeutiche italiane, la cui successiva proliferazione è stata sorprendente: nel 1984 ne venivano censite 125, 188 380 nel 1989,189 642 nel 1992190 e ben 712 nel 1994.191 186 CARITAS ITALIANA 1975 cit. in: TAVAZZA L., PIONATI F., MANGANOZZI G.P., SARDO C., DE MARTIS S. 1990, pag. 40 Il mondo del volontariato laico tardò maggiormente a organizzarsi, soprattutto a causa del predominante impegno politico delle sue iniziative. Con ciò non se ne vogliono sminuire i contributi ma solamente rendere ragione dello specifico sviluppo delle iniziative di assistenza sociale. 188 GRUPPO ABELE 1984 189 CORULLI M., GILARDI A. 1991 190 Fonte: Osservatorio permanente sul fenomeno droga, Ministero degli Interni, febbraio 1993 191 Cifra che non include i Centri di Accoglienza e le Comunità di Reinserimento. Fonte: Osservatorio permanente sul fenomeno droga, Ministero degli Interni, Giugno 1995 187 74 Nel 1995 l’Osservatorio permanente del Ministero degli Interni sul fenomeno droga, rapportando il sistema di rilevazione al criterio indicato nell’Atto di Intesa tra Stato e Regioni per la definizione dei criteri e modalità per l’iscrizione all’albo regionale degli enti ausiliari, ha deciso di utilizzare il criterio della residenzialità. Ciò ha provocato una diminuzione del numero delle strutture censite come comunità terapeutiche anche se complessivamente continua a incrementarsi il numero delle strutture socioriabilitative non pubbliche. L’Osservatorio infatti nota che: “A differenza dei presidi sanitari -il cui aumento è peraltro più contenuto- la diffusione delle strutture socioriabilitative ha un andamento progressivo e continuo...”192 Le comunità italiane si sono imposte progressivamente come soggetti credibili nel panorama dell’assistenza, grazie alla loro capacità di rispondere rapidamente alle nuove emergenze. La maggior parte delle iniziative promosse da esponenti ecclesiali non rientravano nelle strutture ufficiali della Chiesa, bensì hanno sempre goduto, in gradi diversi, di una certa autonomia. È più preciso infatti parlare, come abbiamo visto, di matrici sociali cristiane che di dirette derivazioni delle strutture ecclesiali. 193 A riprova va ricordato che molti dei leader storici delle comunità, hanno spesso sofferto di un certo isolamento, quando non di forme di discriminazione, da parte delle strutture religiose ufficiali. Il tutto è avvenuto in quel quadro di trasformazione dei modelli di azione volontaria a cui abbiamo accennato e che non ha seguito un percorso omogeneo e sincronico. 194 È difficile infatti parlare delle CT italiane come di un insieme organico e coerente. Mentre lo sviluppo del movimento americano può essere riportato in massima parte a un’unica matrice, Synanon, le comunità italiane hanno seguito linee diversificate di sviluppo. L’unico aspetto comune è, come già accennato, la loro origine nella cultura assistenziale cattolica. 195 Al loro apparire negli anni ’70 non gli venne tributato alcun onore. La legislazione in vigore, cioè la legge 1041 del 1954 che disciplinava gli stupefacenti, ne considerava reato 192 Relazione sui dati relativi allo stato delle tossicodipendenze in Italia, sulle strategie adottate e sugli obiettivi raggiunti nel 1995, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli Affari Sociali, Roma 1996, P. 57-62 193 CeIS, PUG 1972 194 L’esperienza più significativa che si discosta da tale matrice, pur mantenendo una forte centratura su valori educativi, è San Patrignano. Per un approfondimento si può consultare il numero monografico di SOCIOLOGIA E RICERCA SOCIALE, anno XV, N.45, 1994, Franco Angeli, Milano 195 Un’ulteriore conferma della maggior lentezza del mondo laico a raccogliere la sfida dei nuovi bisogni assistenziali nel campo delle tossicodipendenze è la comparsa tardiva di modelli laici di CT, quali quelle orientate psicoterapeuticamente o quelle promosse dalle istituzioni pubbliche. 75 l’uso e il possesso. La droga aveva status di vizio morale, come già era stato per l’alcolismo in altre epoche. Dal punto di vista sanitario l’unica offerta era l’approccio psichiatrico organicista, il cui unico contributo fu quello di sostituire, come già successo negli Stati Uniti, la concezione di immoralità con quella di malattia. Il tossicodipendente poteva solamente essere rinchiuso in un carcere o internato in un ospedale psichiatrico. Le droghe, da carattere distintivo della cultura hippy, cominciavano a diffondersi in modo allarmante cogliendo di sorpresa una società che non riusciva a comprenderne il significato. Le risposte furono infatti di natura morale o sanitaria. Ma le droghe diventarono ben presto un elemento simbolico di comunicazione tra il mondo dei giovani e la società degli adulti. Se inizialmente il loro uso esprimeva nuovi bisogni, soprattutto di tipo relazionale e comunicativo, ben presto diventarono il meta-messaggio di una generazione delusa e sconfitta. Se negli anni ’60, un periodo storico che vedeva ormai raggiunto il traguardo della soddisfazione dei bisogni materiali, le droghe leggere ben si prestavano a svolgere una funzione espansiva della coscienza e della comunicazione fortemente ricercata dai giovani, nei ’70 furono quelle pesanti a funzionare da lenitivo per la delusione degli ideali sconfitti. Fu questa l’eredità che raccolsero le comunità terapeutiche, il cui sviluppo coincide con quella che è stata descritta come la fase dei giovani contro.196 Le CT italiane nacquero con questi giovani, portatori dell’eredità ideale ed emotiva del movimento. “L’utopia del ’68 è sconfitta in modo irrimediabile, non ci sono brecce di apertura nella società, tutta la società si chiude a riccio e respinge l’ideologia della condizione giovanile. Nel ’75 i giovani sconfitti cospargono le proprie ferite con sostanze stupefacenti...”197 Il volontariato si contrapponeva al determinismo della psichiatria e della criminologia, raccogliendo per primo il valore comunicazionale dell’uso di droghe. Fu un sodalizio fortunato quello che vide stringersi attorno a figure carismatiche centinaia di giovani sconfitti, quegli stessi poveri di potere e di speranza di cui aveva parlato Paolo VI. Molte caratteristiche erano comuni all’impostazione dei diversi gruppi nascenti: una critica radicale alle condizioni di vita alienanti proposte dalla società dei consumi; 196 197 CALVARUSO C. 1991 CALVARUSO C. 1991 76 il bisogno di rinnovamento espresso attraverso la riscoperta di relazioni umane più significative; il rifiuto di spiegazioni organicistiche psichiatriche o criminologiche dell’origine della tossicodipendenza, bensì la focalizzazione su fattori sociali ed esistenziali. Sono questi gli elementi che riflettono un’origine comune e che rendono il fenomeno comunitario un’espressione storica. Solo successivamente le metodologie si differenzieranno, parallelamente al processo di individuazione e specializzazione che ciascuna realtà associativa ha realizzato. I tentativi di classificazione La ricerca scientifica ha tardato a dedicare impegno e attenzione al fenomeno comunitario. Probabilmente l’aura mistica che avvolgeva le comunità non ha facilitato il compito. Ma accanto a questa spiegazione ci sono sicuramente altri fattori da considerare. La grande fluidità delle iniziative, sorte in massima parte al di fuori dei tradizionali circuiti di ricerca scientifica, si organizzava su basi etiche ed epistemologiche in contraddizione con quelle dominanti in ambito scientifico, privilegiando la componente di servizio e di militanza sociale. La diffidenza da parte delle comunità nei confronti del mondo professionale, le cui ragioni sono da ricercarsi sia nella forte identificazione con l’utenza che nelle differenze culturali, impedì una comunicazione sin dall’inizio. Infine, salvo rare e preziose eccezioni, la scarsa flessibilità del mondo accademico tradizionale a elaborare nuove strategie di ricerca in grado di cogliere le potenzialità del nascente movimento, ritardò il processo di integrazione a cui oggi assistiamo. Ciò nonostante vale la pena riassumere brevemente ciò che la ricerca ha messo in luce rispetto ai modelli di funzionamento delle comunità terapeutiche italiane. C. Kaneklin propone una tipologia basata sulle diverse qualità della meta-struttura comunitaria. Da un lato evidenzia la funzione di adattamento a modelli comportamentali, una sorta di risocializzazione intensiva alle norme sociali dominanti. Dall’altro segnala la funzione nutritiva dell’ambiente e ne sottolinea i rischi regressivi e di eccessiva idealizzazione.198 198 K ANEKLIN C. 1988 77 M. De Bernardt, dopo aver evidenziato le caratteristiche di militanza delle comunità e il carattere di mutevolezza operativa creato dal continuo processo di apprendimento empirico messo in atto, propone di utilizzare come criterio di analisi la plasticità o rigidità dell’organizzazione. L’autrice critica l’eccessiva centratura sul metodo, sostenuta frequentemente, come una difesa di fronte al rischio di insuccesso.199 R. Merlo propone di utilizzare, oltre alle categorie descrittive per tipologia, anche il sistema di regole con cui la comunità, come sistema autoreferenziale, funziona. In questo senso suggerisce di guardare alla comunità terapeutica come insieme altamente differenziato e come organismo sociale che lavora in modo autoreferenziale e congruente col sistema in cui è immerso.200 Altri autori hanno preferito le distinzioni chiuso oppure aperto, gerarchico o democratico, mettendo così l’accento sulla maggior o minore apertura del sistema, sul livello di permeabilità delle barriere o sulle caratteristiche del modello di gestione.201 Contessa nel suo Prigioni, monasteri, fabbriche presenta un’analisi dei modelli organizzativi delle comunità, auspicandone la laicità e la chiarezza dei metodi come garanzia di non ideologizzazione.202 Quale esponente della psicologia di comunità italiana non ha risparmiato scetticismo e diffidenza nei confronti dei modelli più gerarchizzati. Cancrini ha recentemente all’autopresentazione del utilizzato sistema, per la distinguendo le classificazione, comunità in criteri legati esplicitamente o implicitamente terapeutiche. Nelle prime i criteri di funzionamento sarebbero legati all’acquisizione di una consapevolezza dei problemi psicologici che si trovano alla base della tossicodipendenza e a un contratto terapeutico basato su una permanenza temporale limitata. Nelle seconde sarebbero qualificanti l’accettazione incondizionata dell’utenza, l’universalità dei valori di riferimento e il proporsi come alternativa di vita.203 Cagossi ha rivendicato l’uso della definizione terapeutica solamente per quelle realtà che si ispirano a precisi modelli psicoterapeutici, mentre negli altri casi afferma che sarebbe più giusto definirle di accoglienza o di vita.204 Più recenti ricerche utilizzano modelli complessi nei quali l’elemento centrale è identificato nelle strategie operative che la comunità utilizza. In questo senso la ricerca del Labos 199 D E BERNARDT M. 1988 MERLO R. 1988 201 COSTANTINI, MAZZONI S. 1984 202 CONTESSA G. 1988 203 CANCRINI L., DE G REGORIO F., CANCRINI M.G. 1993 204 CAGOSSI M. 1988 200 78 rappresenta un valido sforzo di operazionalizzare i modelli classificatori205 e mettere in luce la dimensione evolutiva delle esperienze comunitarie. È evidente da questa rapida panoramica, che le prospettive in cui gli autori hanno analizzato il fenomeno CT sono estremamente diverse tra loro. Sin dall’inizio le aree professionali italiane più aperte al modello di intervento della comunità terapeutica sono state l’approccio psicosociale e quello sistemico. Ambedue, riconoscendo la multicausalità del problema, hanno da sempre dimostrato interesse verso modelli più eclettici di trattamento. In quest’ottica possiamo usare le parole di Peirone: “ [...] il modello dell’operatività per i tanti tipi di comunità terapeutiche è uno solo ed è psicosociale [...] evidentemente la CT compensa, mediante la propria azione terapeutica, carenze psicosociali altrettanto simili.”206 La sua definizione identifica uno dei processi fondamentali delle CT, riconosciuto in tutta la letteratura pur rappresentando solo parzialmente la dinamica comunitaria. La sua è infatti una visione compensativa della CT, simile a quella della comunità come famiglia sostitutiva. Piuttosto, come vedremo, si dovrebbe parlare di funzione transizionale, in cui la comunità gioca il ruolo di nuova opportunità di socializzazione. La differenza non è da poco, in quanto proprio una forte centratura sulla funzione nutritiva e affettiva dell’ambiente ha spesso condotto all’involuzione della comunità.207 La storia della relazione tra mondo scientifico, strutture assistenziali pubbliche e comunità terapeutiche è costellata di crisi, incomprensioni e momenti di proficue collaborazioni. Molte comunità terapeutiche sono rimaste per lungo tempo avvolte in una atmosfera misteriosa che le ha fatte somigliare a istituzioni totali. Le differenze d’impostazione che all’inizio costituivano gli elementi di una cultura polivalente dell’intervento socioriabilitativo, sono spesso diventati elementi di conflitto. La lotta per la sopravvivenza e per il reperimento delle risorse necessarie è spesso stata causa di divisioni, purtroppo a volte utilizzate per fini politici. La forte componente motivazionale che le ha animate ha spesso sfiorato il messianismo rendendo difficili sinergie e scambi. L’esperienza accumulata e, seppur con livelli sensibilmente differenziati tra comunità e comunità, il processo di revisione interna, hanno fatto sì che si realizzasse un avvicinamento tra realtà diverse e col mondo scientifico. Le comunità, da iniziale movimento di protesta e 205 LABOS 1994 PEIRONE L. 1987 207 San Patrignano rappresenta un chiaro esempio dei problemi creati da un’impostazione troppo familiare. 206 79 denuncia, da esempio scandaloso di un fare terapia che rompeva con le tradizioni, sono diventate una realtà riconosciuta e operante. Esse sono oggi soggetti politici a tutti gli effetti, in condizioni di influenzare scelte politiche e legislative, come è stato ampiamente dimostrato dal dibattito che ha preceduto la legge 162/90. Il problema attuale è semmai quello di raccogliere la sfida di una nuova mission, di una motivazione organizzativa che tenga conto di una nuova situazione storica e sociale. Le inevitabili differenze tra modelli devono essere considerate un contributo che arricchisce l’inesausto dibattito sul fare comunità. TRA CONTINUITÀ E INNOVAZIONE In questa discussione il modello americano costituisce un polo significativo, rappresentando dialetticamente la tesi di un modello efficace, dove l’antitesi è stata una concezione più latina, più democratica e forse più speculativa del lavoro comunitario. È per questo che è utile riesaminare alcuni degli elementi caratteristici del modello americano alla luce delle modifiche sopravvenute nel tempo. Il confronto potrà mostrarci cosa è stato assorbito nel processo di latinizzazione della comunità terapeutica per tossicodipendenti e quali elementi sono entrati a far parte dell’attuale modello di lavoro. Inoltre, e senza celebrazioni retoriche, è importante riconoscere qual è il debito nei confronti del modello americano e dove e come è avvenuta una differenziazione. Per rispondere a queste domande ci serviremo di una serie di riflessioni, lasciando al lettore il compito della sintesi. Dal nostro punto di osservazione possiamo anticipare alcune considerazioni. La prima riguarda il debito più consistente nei confronti del modello americano, che a nostro avviso è costituito dalla scoperta delle dinamiche terapeutiche degli ambienti organizzati. Il concetto di struttura e relativi processi terapeutici è stata una delle eredità più feconde dell’incontro col movimento delle comunità americane. 80 Questo ha permesso la costruzione progressiva di un modello di lavoro basato sull’uso del gruppo e della struttura come sistema organizzato. Questo approccio rimane costante pur nella specificità di ciascun periodo di vita della CT. Sin dall’inizio l’obiettivo fu quello di equilibrare le caratteristiche riabilitative della struttura (norme, valori, codici di comportamento) e l’attenzione all’individuo nella sua specificità esistenziale. Nel raccogliere questa sfida ci si è allontanati dal primato della norma caratteristico del modello americano. La seconda osservazione riguarda la differenza più significativa tra la concezione di comunità terapeutica implicita nel modello americano e quella che è venuta consolidandosi in Italia. Si tratta della differenza tra un sistema chiuso e uno aperto, caratteristica che trascende la contrapposizione tra gerarchico e democratico. La rottura con il modello americano risiede nel paradigma organizzativo sviluppato nel corso degli anni, cioè quell’insieme di premesse teoriche e operative alla base delle scelte e strategie. L’operatività della comunità terapeutica è una delle opzioni possibili all’interno di un’ampia serie di strumenti e non la panacea per tutti i mali, così come la tossicodipendenza rappresenta un fenomeno storico-sociale all’interno del processo di cambiamento delle nostre società. Proprio perché il modo di essere comunità sociale si è modificato nel corso dei secoli, la comunità terapeutica deve intensificare gli scambi con l’ambiente a beneficio dei suoi utenti. Un’ultima considerazione riguarda le differenze nella cultura organizzativa tra il modello americano e quello italiano. La cultura di un’organizzazione non è un elemento autonomo che si produce in un vuoto strutturale. Piuttosto essa è il prodotto delle interazioni tra risorse umane, esperienza maturata, struttura organizzativa e ambiente sociale ed è impossibile, se non per questioni contingenti, assegnare priorità all’uno o all’altro elemento. La cultura organizzativa che viene promossa dal movimento americano delle CT rimane tradizionalmente ancorata a leggi immutabili, quali l’opposizione incondizionata alla riduzione del danno, il centralismo gestionale e, soprattutto, l’assoluta certezza di essere depositari del metodo terapeutico per eccellenza. La cultura organizzativa delle CT italiane è in parte il frutto di anni di elaborazione del modello originale di comunità terapeutica, in parte espressione delle influenze esercitate dai mutamenti sociali e in parte vera e propria azione creativa. Tutto ciò di fronte agli inquietanti 81 segnali di disagio che i giovani inviano in modi sempre diversi. Segnali che evidentemente non arrivano a tutti. Questo cammino ha portato le CT a sperimentare assetti organizzativi instabili e permeabili al processo di trasformazione delle nostre società. È ancora necessaria la condizione “drug free”? È lecito a questo punto chiedersi cosa rimane della condizione drug free del trattamento terapeutico dopo che molti anni sono passati dal primo modello di comunità terapeutica. La ricerca e l’esperienza clinica hanno dimostrato che la popolazione dei dipendenti da eroina non è affatto omogenea e che è opportuna una gamma di approcci diversi che incontrino i bisogni dell’utenza. Con la rinascita dell’interesse negli ultimi anni per i trattamenti a base di metadone sono state riconsiderate vecchie questioni e aperti nuovi interrogativi. Le originali ipotesi di Dole e Nyswander208 di una deficienza fisiologica negli assuntori di eroina a giustificazione della somministrazione di metadone hanno lasciato il posto a impostazioni più pragmatiche e meno ortodosse delle terapie con farmaci sostitutivi. Inoltre esistono sufficienti evidenze che attraverso il trattamento scalare o di mantenimento metadonico possono essere ottenuti in un caso un efficace supporto a intraprendere programmi di riabilitazione psicosociale e nell’altro il mantenere una vita normale senza uso di droga. Dopo il citato lavoro di Dole e Nyswander sono seguiti molti anni durante i quali la somministrazione di un narcotico a un tossicodipendente era non solo contro la legge ma anche contro l’etica, condannata molto più severamente dalla classe medica che dagli addetti al controllo dei narcotici. Il quadro si è modificato nei primi anni ’70, quando è avvenuta la crescita esponenziale dei programmi di trattamento con metadone negli USA e in molti altri paesi. Pur rimanendo l’astensione da ogni stupefacente l’obiettivo principale della maggior parte dei programmi terapeutici, si è fatta strada una visione maggiormente processuale e integrata, meno radicalizzata su visioni estreme. Il dibattito è stato, ed è tuttora, vivace e spesso polemico, a dimostrazione della forte valenza scientifica, politica e morale dell’argomento metadone. Permangono posizioni decisamente ispirate a una visione medica della tossicodipendenza e conseguentemente 208 D OLE V.P., N YSWANDER M.E. 1967 82 centrate sull’esclusione di indicatori non clinici nel trattamento,209 così come rifiuti aprioristici di qualsiasi trattamento con farmaci sostitutivi. Abbiamo già ricordato come le Comunità Terapeutiche sin dalla loro nascita abbiano rappresentato l’ala più intransigente in opposizione ai trattamenti metadonici e il paradosso del fatto che, pur affondando le radici nell’autoaiuto e negli Alcoholics Anonymous, abbiano sviluppato un’ideologia centrata sull’autonomia e sullo sviluppo delle potenzialità umane, abbandonando il concetto di malattia alla base del modello di AA. Hanno costruito così una cultura dell’intervento che giustificava i suoi propri modelli nell’astinenza assoluta quale condizione fondamentale per il trattamento. Se dal lato dei sostenitori dell’intervento farmacologico si è sempre criticato (spesso con ragione) l’eccessiva selezione e le scarse opzioni alternative offerte dalle CT, queste ultime hanno sempre sostenuto la limitatezza, quando non l’inefficacia del farmaco e rifiutato quali indicatori per la riuscita del trattamento il grado di inserimento in attività socialmente produttive o la diminuzione del comportamento criminale associato all’uso di droghe. È evidente che nell’ultimo ventennio le Comunità hanno enormemente sviluppato il loro patrimonio di competenze ed expertise dimostrando concretamente l’efficacia di interventi drug free. Parallelamente la persistenza e maggior complessità della tossicodipendenza hanno richiesto un rinnovato impegno della medicina e della psichiatria che possono contribuire in modo decisivo alla creazione di servizi efficaci. Ne è un chiaro esempio la necessità di una sempre maggiore attenzione ai disturbi psichiatrici diffusi tra gli utenti dei servizi. 210 È in atto dunque un processo di permeabilizzazione e integrazione tra modelli diversi che si giustifica nella complessità stessa del fenomeno. De Leon, Sacks e Hilton211 hanno messo in luce le possibilità di adattamento dei princípi e dei metodi delle Comunità Terapeutiche tradizionali con i trattamenti di disassuefazione e mantenimento di metadone, sfatando molti dei luoghi comuni sull’incompatibilità tra modelli centrati sull’astinenza e trattamenti farmacologici sostitutivi. Sorensen, Deitch e Acampora212 avevano rilevato la complementarità di servizi offerti dai trattamenti farmacologici e quelli delle Comunità Terapeutiche, la cui piattaforma comune era comunque la ricerca della condizione drug free. Segnalavano inoltre le avvenute modifiche nella cultura delle CT, che da una fase in cui la differenziazione e validazione interna del 209 N EWMAN R.G., pp. 4-8 POZZI G., BAGICALUPI M., SERRETTI A., TEMPESTA E. 1993 211 D E LEON G., SACKS S., HILTON R. 19XX 212 SORENSEN J., DEITCH D., A CAMPORA A. 1984 210 83 modello derivata dall’antitesi col mondo professionale, erano passate a un maggior grado di maturità e sofisticazione operativa. Caratteristica distintiva delle CT è, insieme a molte altre, la grande attenzione ai processi motivazionali del cliente, su cui si gioca gran parte della capacità di attrazione e successo del trattamento. Correttamente Van Bilsen e Van Emst 213 identificano nel motivational milieu (ambiente motivante) una delle variabili centrali per un trattamento efficace, ambiente non necessariamente drug free. È in quest’area che si stanno concretamente sperimentando modelli innovativi di lavoro che si avvalgano del patrimonio di esperienza e competenze del mondo professionale pubblico e del privato sociale. Si può ancora parlare di comunità terapeutica? Nel concludere queste pagine mi sono accorto che le domande a cui volevo dare una risposta sono aumentate e di quanto sia difficile comunicare efficacemente l’esperienza del processo di sviluppo così turbolento degli ultimi vent’anni. Si può tentare di descrivere un processo di cambiamento in termini di passaggi di stato, determinati in parte dalla matrice informazionale delle cose e in parte dagli eventi imprevedibili. Ma così facendo, nello sforzo di fissare immagini e tappe storiche, contributi teorici e influenze culturali, nel nostro caso abbiamo staticizzato una realtà, allo stesso modo in cui è possibile rappresentarci l’esistenza delle particelle subatomiche solamente attraverso la fotografia delle loro traiettorie negli acceleratori. Spero che a questo punto risulti chiaro perché, invece di tentare di costruire un elegante modello che comprendesse i diversi e spesso contraddittori aspetti dello sviluppo delle CT, io abbia preferito presentare tanti fotogrammi. La loro sequenza potrà dare, almeno è ciò che spero, un quadro vivo del cambiamento. Tutti noi abbiamo visto cambiare molte cose nell’ambiente circostante durante questo ventennio. La tossicodipendenza è passata da una fase di fatto controculturale a oggetto di consumo, radicandosi nelle nostre società in modo sempre più capillare. Conseguentemente il ruolo del tossicodipendente ha subito profonde modifiche sia nel senso di nuove costellazioni motivazionali che di nuovi e diversi scenari sociali. Inoltre pensiamo a quanto si è modificata 213 V AN BILSEN H.P.J.G., VAN EMST A.J. 1986, P. 707-713 84 la percezione sociale del fenomeno grazie all’influenza dei media, delle campagne informative, della generalizzazione dei pattern di consumo delle cosiddette droghe leggere. L’auge di cui godono le strategie di riduzione del danno esprime questo passaggio da una ipotesi massimalista di eliminazione della tossicodipendenza come problema sociale a ipotesi minimaliste di contenimento dei danni e di controllo sociale del fenomeno. L’ampia e variegata offerta di servizi rappresenta un’ulteriore elemento di trasformazione: più o meno coscientemente, tossicodipendenti e familiari sanno di poter scegliere opzioni diverse e ciò ha contribuito a sdrammatizzarne il vissuto. Non esiste più un’ultima spiaggia ma si può scegliere tra diversi approdi. La legislazione in materia di stupefacenti ha seguito le modifiche del fenomeno: da una legge criminalizzante (la 1041) che esprimeva rozzamente l’esigenza di punire un vizio, si è passati a una legge tollerante (la 685) che in un certo modo rifletteva le incertezze e le crisi degli anni ’70, fino ad arrivare all’ibridazione curativo-repressiva della legge 162 che tenta di mantenere in equilibrio esigenze di controllo sociale e spinte riparatorie del senso di colpa collettivo. Sul versante sociale la crisi del welfare state ha reso più che mai attuale la necessità di forme concrete di solidarietà e qui il ruolo delle organizzazioni non profit è risultato (e risulta) centrale. In una società che tende ad approfondire lo iato tra coloro che possono pagarsi la salute e coloro che devono accontentarsi degli insoddisfacenti servizi pubblici, il terzo settore, come fu definito per primo da P. Drucker,214 può giocare un ruolo determinante. A livello internazionale la globalizzazione dei sistemi di comunicazione ha favorito enormemente l’incremento delle occasioni di scambio, confronto e collaborazione tra organizzazioni non profit e con le agenzie internazionali, provocando crisi e riadattamenti continui nel sistema dei rapporti. Questo è stato lo spazio in cui si è realizzato lo sviluppo dell’organizzazione che abbiamo descritto. Il modello terapeutico delle CT italiane si è sviluppato dialetticamente tra una cultura dove il primato è assegnato all’individuo (quella latina) e una basata invece sulla norma (quella anglosassone), e solamente differenziando strategia e tattiche si può comprendere come sia stata e sia possibile tuttora un’integrazione di culture così diverse. L’obiettivo è stato da sempre quello di offrire un oggetto transizionale per le situazioni di disagio, e questa rimane la strategia di fondo. Preoccupata dell’efficacia ha potuto sposare 214 D RUCKER P. 19XX 85 antropologie così diverse senza porsi il problema dell’ortodossia. Le tecniche, o i modelli terapeutici, rappresentano le tattiche e alcune, come la CT, si sono dimostrate vincenti in un determinato momento storico. Centrata sulle potenzialità dell’uomo, l’organizzazione ha costruito una visione dinamica e processuale del cambiamento il cui obiettivo non può che essere la qualità della vita umana. Comunicazione, scambio, solidarietà, costituiscono i fondamenti di una pratica di servizio di mutuo arricchimento che possiamo chiamare democrazia solidale, dove le opportunità di crescita e di sviluppo devono esistere per tutti. Democrazia perché la relazione di aiuto deve essere paritaria, né assistenziale né demagogica, riconoscendo -come faceva Bill W.- che ogni relazione è uno scambio. Il rispetto delle differenze individuali protegge dal rischio di massificazione, lasciando al singolo il compito di definire il suo progetto di sviluppo. Solidale, perché prende a riferimento valori di giustizia e pari opportunità in una concezione non caritatevole bensì politica delle relazioni umane. La comunità terapeutica, così come l’abbiamo analizzata e seguita nel suo sviluppo, oscilla oggi tra una visione tecnocratica, tutta centrata sulla sofisticazione metodologica e una spiritualista, che la vede luogo di rigenerazione della persona. A metà strada deve esistere una concezione pragmatica che la includa nel repertorio più o meno ampio delle metodologie dell’intervento sociale. La sfida deve giocarsi sulla missione che un’organizzazione vuole esercitare e non sulla difesa a oltranza dell’ortodossia di una pratica terapeutica. Semmai è lecito chiedersi verso quali modelli ci si sta dirigendo. La plasticità nella scelta dei metodi richiede nuove competenze negli operatori che devono rigenerarsi attraverso la formazione continua. Sta emergendo una nuova figura professionale con competenze complesse e trasversali che superano il concetto di specializzazione. Quando la comunità terapeutica opera come sistema aperto è capace di raccogliere i segnali dell’ambiente e rispondere creativamente. Questo implica l’esistenza di professionalità transdisciplinari che sappiano imparare e dis-imparare, continuamente sostenute da un sistema di gestione orientato all’efficienza. 215 I nuovi assetti delle politiche sociali prefigurano sempre maggiori sinergie tra pubblico e privato e in questo campo la comunità terapeutica deve dar mostra del suo spessore metodologico. Ciò implica identità forti che sappiano dialogare con altri paradigmi 215 Motivazione, promozione dello sviluppo personale e acquisizione delle abilità necessari sono elementi indispensabili per l’efficienza dell’operatore. 86 terapeutici, quali quelli delle terapie farmacologiche, anche costruendo, per usare un termine oggi in voga, virtual corporations216 . Le nuove sfide sociali col loro carico di sofferenza e drammaticità ci pongono ancora una volta di fronte all’urgenza di creare modelli, iniziative, risposte. Basti pensare ai problemi dell’occupazione, degli immigrati, degli anziani. C’è bisogno di dis-imparare i modelli tradizionali di assistenza sociale per creare opzioni adatte ai tempi. Lo sviluppo tecnologico e la globalizzazione dell’informazione richiederanno forse la creazione di setting terapeutici virtuali dove sarà necessario modificare radicalmente la relazione d’aiuto. Può non essere pazzesco parlare di comunità terapeutiche virtuali. Chi ha scelto di lavorare ottimisticamente pur essendo consapevole della cecità delle nostre società, ha davanti la sfida della comunità terapeutica dopo. 216 Corporazioni virtuali o aggregati temporanei. 87 BIBLIOGRAFIA ACAMPORA A. - STERN C. Evolution of the therapeutic community, Walden House, San Francisco 1991 ADLER H.M. - HAMMETT V.B.O. Crisis, conversion and cult formation: an examination of a common psychosocial sequence, American Journal of Psychiatry N.130, pag.861-864 (1973) ALBEE G.W. American psychology in the sixties, American Psychologist N.18, pag. 90-95 (1967) Alcolisti Anonimi, Bulzoni, Roma 1980 ALMOND R., La Comunità Terapeutica, Le Scienze N.34 (1971) Analisi dei questionari inviati al personale formato nell'ambito dei progetti UNFDAC-CeIS, CeIS, Roma 1992 (non pubblicato) ANDREINA G. La giovane democrazia sfida la droga, Il Delfino N.63 (1987) ANGLIN S.W. - NUGENT J.F. - NG K.Y. 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