Adozione e formazione: l`importanza di accompagnare la nascita
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Adozione e formazione: l`importanza di accompagnare la nascita
Adozione e formazione: l’importanza di accompagnare la nascita della famiglia adottiva A cura della D.ssa Silvia Clementi (assistente sociale, collaboratore junior del Portale di Servizio Sociale Professionale S.O.S. Servizi Sociali On Line – www.servizisocialionline.it) www.servizisocialionline.it Il percorso formativo seguito dalle coppie che intraprendono la strada dell’adozione è la conditio sine qua non per il buon esito dell’adozione e da esso dipende tutto il cammino successivo all’arrivo del bambino. E’ qui che si deve instaurare quella relazione di fiducia reciproca con gli operatori che permetterà alla famiglia adottiva di avere quel “collaboratore” di cui avrà bisogno nei momenti di difficoltà. Durante il terzo anno di università a noi studenti di scienze del servizio sociale viene chiesto di scegliere un servizio o un ente di terzo settore all’interno del quale svolgere l’esperienza di stage. Io ho scelto il Centro Adozioni dell’Asl di Brescia perché è un ambito per il quale ho sempre nutrito un certo interesse. Durante lo stage ho avuto così la possibilità di conoscere diverse coppie adottive e di vedere da vicino e contemporaneamente da esterna l’importanza del percorso formativo seguito dalle coppie che decidono di intraprendere questa strada. E’ un cammino difficile caratterizzato da ansia, difficoltà e sofferenza per la coppia che inizia questo percorso quasi sempre con grande entusiasmo e gioia, dimenticando i problemi che sono costitutivi del cammino stesso. Grazie all’accompagnamento formativo la coppia impara ad utilizzare al meglio la dimensione del tempo. Il tempo nella genitorialità biologica è ben definito (dura circa 9 mesi in genere), nell’adozione invece, il tempo ha un valore diverso e deve essere utilizzato al meglio dalla coppia per prepararsi: pensare al bambino che arriverà, alla propria scelta, alle proprie risorse e limiti al fine di dedicare , quando arriverà il bambino, tutto il tempo esclusivamente a lui. Per comprendere meglio il significato di questa dimensione nell’adozione, può essere utile qui rifarsi alla lingua greca poiché ci sono due parole, in greco, per tradurre il termine tempo: “Kronos e Kairos”. Il Kronos è il tempo delle ore, dei minuti e dei secondi, così come noi intendiamo tradizionalmente tempo. Il Kairos è il tempo della vita, il tempo che conta per ognuno di noi, il tempo in cui accadono avvenimenti speciali e non è quantificabile, è personale ed è il tempo che ognuno di noi “si prende” nella sua mente per scegliere, meditare. L’utilizzo che ogni membro della futura coppia genitoriale fa del Kairos, permetterà di vivere in maniera diversa le varie fasi che portano alla nascita della famiglia adottiva. E’ auspicabile che la coppia inizi il percorso formativo prima di aver presentato la propria dichiarazione di disponibilità al Tribunale per i minorenni al fine di maturare il significato della propria decisione. Le coppie possono scegliere tra le molteplici iniziative formative offerte non solo dai servizi ma sempre più anche da associazioni di genitori adottivi che sono attivi sul territorio e costituiscono un’importante risorsa per tutte le comunità. La loro peculiarità è l’assenza di operatori al loro interno e l’offerta di dono, fiducia e reciprocità alle persone. Per la stesura del mio elaborato finale di laura, il cui tema è appunto “la formazione e l’adozione”, ho contattato diverse associazioni di genitori adottivi sottoponendo loro un questionario al quale mi hanno risposto o via mail o attraverso colloqui telefonici. Tra le molte mail di risposta ricevute, Gianpaolo che è presidente di una di queste associazioni, a proposito del ruolo di questi enti di terzo settore nell’adozione, mi scrive: “La preparazione della coppia è uno dei passi più importanti, successivi alla decisione di diventare genitori. Noi come associazione e come genitori adottivi, cerchiamo di dare una mano alle coppie che intraprendono il cammino. Le posizioni su cui viaggiamo sono un po’ diverse da quelle dei servizi sociali, si pongono su due livelli diversi. Noi come associazione viaggiamo su un piano più emozionale, cercando di far vedere la meta come un’aspirazione possibile e non solo come un percorso denso di ostacoli e difficoltà. Parlando delle nostre esperienze e dei nostri vissuti, le persone che decidono di diventare genitori adottivi possono confrontarsi”. Sembra indispensabile quindi che i servizi ripensino alle proprie funzioni e ai servizi erogati, tenendo in considerazione l’esistenza di queste nuove forme associative presenti sul territorio. La formazione, indipendentemente dall’ente che la eroga (asl, enti autorizzati, associazioni) deve permettere alla coppia di vivere un’esperienza di empowerment, in altre parole di sentirsi maggiormente “capace di fare”. “Lo strumento principe, per l’acquisizione di nuove risorse che permettono il passaggio dalla pensabilità positiva all’apertura della reale possibilità di realizzare un desiderio, è la formazione, poiché permette di acquisire competenze mancanti o sviluppare quelle già presenti”. (Gheno S., 2005) Durante la formazione le coppie comprendono il loro “poter fare”, gli operatori rafforzano la propria concezione di “saper fare” degli aspiranti genitori adottivi in un processo virtuoso che genera un aumento di empowerment non solo per le coppie ma anche per gli operatori stessi.1 “Le persone che pensano di poter realizzare un compito in modo efficace ottengono risultati migliori rispetto a coloro che pensano di non poterlo realizzare. E’ importante far sentire le persone rilevanti, autonome, in grado di determinare il corso delle decisioni e delle azioni, di esercitare il controllo sul proprio destino, costruirlo e non subirlo, di dare senso e significato a ciò che si fa, liberando l’espressività e le potenzialità della coppia stessa”.2 Durante la formazione gli operatori sostengono lo sviluppo di un’elevata stima e fiducia nelle coppie che prendono coscienza delle proprie strategie utilizzate in passato per superare eventi drammatici, esplicitando le capacità di resilienza insite in ogni persona. Affinché tale processo possa realizzarsi, però, occorre che la formazione sia pensata e realizzata in ottica relazionale, non centrata cioè sull’operatore come se fosse lui l’unico depositario del sapere, ma centrata sulla relazione e sull’idea che il momento di formazione delle coppie sia un incontro di più saperi tra loro diversi che se messi in moto, grazie proprio alla relazione, producono capitale sociale. Beatrice, futura mamma adottiva al termine del percorso formativo ha affermato: “Il percorso formativo ci sta cambiato tantissimo come coppia, ci sta aiutando a metterci in discussione e stiamo 1 L’idea di fondo è: tutte le persone hanno empowerment (empowerment come condizione soggettiva). Gli operatori cedono quindi il potere (empowerment come processo), per permettere alle coppie di esperire il loro attraverso la relazione. In questo modo gli operatori ricevono, grazie a tale scambio, nuovo potere. Si verifica così un empowerment relazionale, ossia un potenziamento per entrambe le parti che sono in relazione tra loro, derivante proprio dallo scambio relazionale. 2 Tratto dall’articolo “Una speciale “patente di guida” per la disponibilità all’adozione internazionale” di Carboni S., che è una suora, psicologa e pedagogista responsabile di un Ente Autorizzato in Emilia-Romagna. imparando a riflettere di più sulle nostre possibilità e i nostri limiti. La formazione ci sta unendo molto, ci sentiamo sempre più forti e indistruttibili (che presunzione eh?). Ti trovi a combattere contro mille problemi, magari anche contro i tuoi stessi parenti o amici e sei tu con tuo marito, armati e pronti a sorvolare ogni ostacolo… non è cosa da poco”. Il fallimento adottivo che si presenta come una situazione problematica diffusa tra le persone coinvolte è collegato al sostegno ricevuto dalla coppia nella fase precedente l’adozione. Realizzare l’accompagnamento della coppia significa “andare insieme, mettere insieme”, seguire e quindi essere al fianco della coppia sin dall’inizio della scelta. Per realizzare tale sostegno è indispensabile informare e formare la coppia adeguatamente. I genitori adottivi adeguatamente accompagnati e con una buona formazione alle spalle, diventano utenti esperti della loro situazione, potendo così anche mettersi a disposizione di altri che stanno iniziando lo stesso loro percorso. A questo punto si può comprendere meglio il senso dei vari momenti d’incontro che le asl propongono alle coppie prima della propria dichiarazione di disponibilità in Tribunale. Così facendo sono le coppie a rivolgersi in prima istanza ai servizi ricoprendo una funzione di committenza verso il servizio stesso (funzione che diversamente svolgerebbe il Tribunale attraverso il mandato d’indagine ai servizi). E’ così che si esercita quella care necessaria ad accompagnare gli utenti verso un apprendimento che li porta a diventare non degli utenti ma dei committenti. Franca e Giacomo sono due genitori adottivi che ho conosciuto agli incontri di gruppo promossi da un’associazione e circa l’importanza della formazione dichiarano: “Il risultato dell’adozione così come quello della genitorialità biologica si vede solo nel tempo. Sicuramente la formazione e soprattutto il sentirsi sostenuti nelle varie sfaccettature del percorso, teoricamente, dovrebbe migliorare la situazione o quantomeno facilitarla”. E ancora, Sonia mamma adottiva, al termine di un gruppo formativo organizzato dall’asl, durante una riflessione sul senso del percorso formativo sostiene: “Non si nasce sapendo fare i genitori adottivi e non è una cosa che s’impara in famiglia con l’esperienza. E’ necessario capirla e prepararsi a viverla il meglio possibile”. Uno dei problemi che ho avuto modo di osservare all’interno del Centro Adozioni, è la difficoltà di realizzare una continuità del percorso formativo per la coppia durante la fase dell’indagine psicosociale. Spesso, il momento d’indagine, è visto dalla coppia, come una mera valutazione da parte dei servizi al fine di ottenere una sorte di abilitazione a diventare genitori adottivi, ma un’interpretazione più moderna della legge prevede che: se la coppia viene guidata verso una effettiva e profonda presa di coscienza della complessità dell’adozione, il decreto di idoneità perderebbe la sua valenza di autorizzazione e di “patentino” per diventare la formalizzazione della coscienza della coppia stessa e coloro che accompagnano nel percorso sin dall’inizio resterebbero i referenti prioritari delle problematiche successive. Martino e Antonella furono convocati dall’assistente sociale per il primo colloquio dell’istruttoria. Erano ansiosi e preoccupati; avevano paura di dare un’immagine negativa della loro coppia, perché avevano la tendenza ad interrompersi a vicenda e a discutere animatamente di ogni cosa. Avevano deciso così una strategia: in quella occasione avrebbe parlato Martino sulla storia della coppia e Antonella sui motivi dell’adozione; erano informati molto bene sui colloqui tenuti nel loro servizio territoriale e avevano potuto prepararsi questo momento. Tutto andò come avevano previsto, fino a che l’assistente sociale fece una domanda che non rientrava nella loro previsione; disorientati iniziarono a parlare entrambi contemporaneamente. Antonella lasciò continuare Martino ma, come era solita fare, dopo poco integrò il discorso che concluse Martino. La psicologa scherzando disse che avevano un modo molto articolato di discutere che era segno di una buona integrazione di coppia. Martino e Antonella iniziarono a ridere e raccontarono all’assistente sociale e alla psicologa la loro strategia. Questo è l’esempio di come un aspetto che per la coppia potrebbe rappresentare un limite, è interpretato da altri come una risorsa. Nei colloqui d’indagine psicosociale, la coppia si trova a dover raccontare la propria storia davanti a due sconosciuti che poi dovranno dare una valutazione in merito alla possibilità di adottare uno o più figli. Se la coppia vive questo momento anche come possibilità di sostegno da parte degli operatori, riuscirà ad aumentare ulteriormente la conoscenza di sé sia come singolo che come coppia e comprenderà al meglio le risorse interne presenti. Attraverso il racconto delle difficoltà passate nel corso della propria vita, la coppia può apprendere nuove informazioni di sé che prima non conosceva e vivere così un’esperienza di empowerment. “Da sempre le storie costituiscono il modo con il quale la persona, come un intero popolo, fa memoria di se stessa, ritrova la continuità della propria esistenza, l’unità della propria persona, la propria identità”.3 Dall’altra parte se, anche gli operatori vivono questo momento non solo come un giudizio, ma anche come un sostegno, riusciranno ad assumere un atteggiamento di ascolto attivo e di empatia, cogliendo al meglio il punto di vista della coppia. L’indagine psicosociale così intesa, rappresenta un momento di formazione reciproca, della coppia e degli operatori, fondamentale per instaurare una relazione di fiducia autentica di lunga durata, tra futuri genitori e operatori. Sono proprio i genitori adottivi a sottolineare la necessità di costruire un legame con gli operatori. Durante un convegno organizzato da un’associazione di genitori adottivi Luca, padre adottivo in attesa della seconda adozione, all’interno del suo intervento sul proprio percorso adottivo ha affermato: “Penso che la formazione possa essere uno strumento di supporto per una buona riuscita dell’adozione tuttavia l’elemento più importante è la creazione di legami con famiglie e operatori da consultare in caso di bisogno, per non rimanere soli”. Dopo aver partecipato ad un primo momento di gruppo in genere le coppie vanno alla ricerca dell’incontro con altre coppie che sono nella loro stessa situazione perché hanno appreso l’importanza del fare assieme, del “non sentirsi soli”. Franca e Giacomo sono due genitori adottivi che alla mia domanda sulle modalità che hanno loro consentito una formazione, hanno risposto: “La formazione e la conoscenza consentono di essere molto più aperti verso le numerose sfaccettature dell’esperienza adottiva. Abbiamo cercato, compatibilmente con le nostre capacità e le nostre conoscenze, di accrescere la nostra formazione da “autodidatti”, soprattutto attraverso le esperienze degli altri. Questo ci ha conseguentemente reso più pronti al confronto, sia come coppia verso l’esterno, che come singoli individui all’interno della coppia, fornendoci anche spunti di discussione tra noi e gli aspetti delle nostre personalità fino a quel momento sconosciute, forse anche a noi stessi. La nostra è un’esperienza vissuta “work in progress”, con la vita nel suo procedere, più o meno complicato. Siamo tuttora sempre alla ricerca di confronti ed esperienze che possano aiutarci ad affrontare anche i momenti spesso complicati del quotidiano”. L’accompagnamento al percorso adottivo aiuta le coppie a comprendere se stanno percorrendo la strada giusta e fornisce loro una reale possibilità di scelta, perché solo grazie al sapere e alla conoscenza è possibile scegliere/optare. 3 Tratto dagli atti del convegno organizzato dall’associazione AFAIV “Adozione e affido. Sfide e risorse per la famiglia” tenutosi a Varese il 19 maggio 2012. Tutti i servizi che si occupano di adozione dovrebbero offrire alle coppie la relazione, certi che il modo migliore per accompagnare la nascita della famiglia adottiva sia proprio la care, il prendersi a cuore ogni singola situazione affinché ognuno possa sentirsi competente della propria esperienza e non da solo. La modalità con cui si realizza l’accompagnamento è fondamentale ma l’aspetto a mio avviso più importante è permettere alle coppie di vivere un’esperienza di potenziamento (empowerment) durante il percorso adottivo, per far sì che siano loro stesse capaci di attivarsi in futuro dinanzi al fronteggiamento di eventuali problemi. Lo strumento più utilizzato per accompagnare la nascita della famiglia adottiva è il gruppo perché favorisce l’incontro e il confronto con altre persone aventi delle comunanze. Tutte le persone che hanno raccontato la loro esperienza di preparazione all’adozione, hanno evidenziato l’importanza di aver instaurato dei legami, grazie ai vari gruppi, con altre coppie. Il gruppo aiuta quindi le persone a sentirsi meno sole e a sostenersi a vicenda. I gruppi organizzati dai servizi hanno in genere una durata breve, di 4 o 5 incontri da circa 3 ore ciascuno e sono composti da circa una decina di coppie disposte a cerchio. Sono presenti due operatori: l’assistente sociale e lo psicologo, in alcuni casi è presente anche un osservatore. 4 Entrambi i conduttori cercano di attivare una dinamica relazionale e interattiva tra i partecipanti, stimolando gli scambi verbali, sottolineando i passaggi significativi riguardanti le difficoltà a pensare, nonché mantenere un buon clima di gruppo. Gli operatori seguono una scaletta ben precisa e ad ogni incontro ci sono quindi degli argomenti prefissati da trattare; il gruppo è molto strutturato, tant’è vero che gli operatori concordano precedentemente anche le modalità interattive per lavorare con il gruppo. Questa metodologia serve per aiutare le coppie a ragionare su un tema spesso nuovo a cui non avevano mai pensato fino ad ora (ad es. il tema dell’abbandono, della famiglia d’origine del bambino ecc). Nonostante il gruppo presenti una certa struttura, le coppie dopo aver rotto il ghiaccio, parlano molto, se i due conduttori sono abili nell’utilizzo di tecniche d’azione. Gli operatori, dopo aver introdotto il tema da trattare con una domanda, lasciano che le coppie discutano tra loro intervenendo solo per dipanare eventuali dubbi rispetto ad alcuni concetti (es. cosa vuol dire stato di abbandono?...). Per evitare che il gruppo diventi una lezione frontale e per stimolare un maggior dialogo interno al gruppo, in genere, i conduttori propongono tecniche di azione come ad es. lettura di storie, riflessioni in sottogruppi, fotolinguaggio, role-playing, che consentono di creare delle dinamiche relazionali. Utilizzando tale metodologia, visti anche i tempi ristretti della durata dei vari incontri, il gruppo si costituisce più velocemente e si crea un clima di condivisione maggiore nonché un’alleanza che non è mai automatica. Pasquale, al termine di un gruppo afferma: “Il gruppo ti permette di vedere con i tuoi occhi che non sei solo ad affrontare questo percorso. Ti permette di acquisire consapevolezza che anche gli altri 4 La presenza di due figure professionali diverse, che si alternano dando informazioni, risposte e/o attivando la dinamica gruppale mira a favorire, tanto per le coppie che per gli stessi operatori, la possibilità di sperimentare in itinere l’integrazione dei loro ruoli e le modalità di pensiero ad essi connessi. In particolare, all’assistente sociale spetta il compito di affrontare le tematiche relative alla realtà esterna: aspetti legislativi, istituzionali, temporali, l’aspetto relazionale (aspetto sociale dell’adozione), ecc.; allo psicologo invece spetta prevalentemente il compito di rilevare ed affrontare le tematiche riguardanti lo sviluppo interno, degli adulti partecipanti e dei bambini. hanno gli stessi tuoi dubbi e le stesse tue paure. Ti permette di confrontarti su argomenti molto profondi e che toccano la sfera personale. Ti permette di far crescere e maturare la tua scelta di diventare genitore adottivo”. Vorrei concludere con la testimonianza di una mamma adottiva che ha voluto fornirmi il suo prezioso contributo sul tema mandandomi una mail per la quale la ringrazio, perché secondo me è significativa delle difficoltà che la famiglia adottiva si trova ad affrontare. La formazione non è la soluzione a tutti i problemi ma sicuramente aiuta la coppia a sapere come attivarsi per il fronteggiamento degli stessi. Mail di una mamma adottiva: “Contribuisco volentieri ad arricchire la sua conoscenza sull'argomento, non per desiderio di protagonismo, ma perchè ritengo fondamentale che emergano problematiche che, per superficialità e ordinario senso di pudore non vengono descritte nella loro drammaticità. Noi, nonostante tutte le nostre ottime intenzioni, nonchè il supporto dell'associazione delle famiglie adottive, stiamo incontrando difficoltà enormi. Il discorso è ampissimo, ma voglio sottolineare alcuni punti fondamentali che questa storia mi suggerisce di indicare per una corretta preparazione delle coppie per l'adozione: La coppia deve essere molto affiatata e sostenuta da incrollabili (e sottolineo incrollabili) valori umani e morali. Fondamentale "affrontare e preparare" le relazioni con i parenti e in particolare i nonni o comunque chi ha contatti frequenti o di collaborazione con i genitori e con il bambino.... possono essere deleteri per il consolidamento dei rapporti con i genitori adottivi. Per cui, oltre al corso alla coppia, sarebbe necessario se non un incontro o di preparazione o addirittura di "allontanamento" per soggetti che non preparati all'adozione possono rivolgersi ai bambini con atteggiamenti altamente protettivi e destabilizzanti per l'affermazione dei ruoli genitoriali, creando una condizione di confusione costante su chi "è cattivo" perchè da delle regole e chi "è buono" perchè "lo capisce e sa quanto ha sofferto" (devastante). Osservare fino a che punto la coppia dispone di sufficiente "dinamismo" e fantasia per poter rendere accattivante la relazione con un figlio e soprattutto quando questo inizia a voler "conoscere di più il mondo " e quindi anche la sua storia. Un figlio adottivo in una famiglia di pantofolai può "esplodere" .... ed ha perfettamente ragione!!!! Il figlio adottivo "vuole vivere di più" rispetto a un figlio naturale, vuole riscattare questa sua "differenza", come lui la sente a livello inconscio creandogli una costante inquietudine ed è necessario potergli offrire proposte nuove, mirate e costruttive all'interno di un progetto educativo che possa orientarlo su strade positive. Agli operatori vorrei dire: Quando la coppia viene a chiedere aiuto non sottovalutare i suoi segnali... se è arrivata a farlo è perché non ne può proprio più.... Non lasciatela sola, perché tende comunque a isolarsi per l'enorme peso che deve sostenere. Fate in modo di avere un ampio bacino di proposte da offrire alle famiglie ed ai ragazzi che avranno bisogno di orientarsi. Il livello di sofferenza è estremamemte alto e le coppie in difficoltà non hanno bisogno di incontrare "operatori", ma "amici esperti" che gli facciano capire che qualcuno s’ interessi di loro. Ci sarebbero ancora tante cose da dire, ma desidero sottolineare che gli elementi fondamentali nel vostro ruolo sono il rispetto e l'attenzione verso le persone e, come dice Ernesto Olivero del "Sermig", se si vuole fare del bene, bisogna fare le cose bene”. Ritengo infine, che le coppie adeguatamente accompagnate diventino più aperte alle relazioni, più responsabili/attive sul piano civico mostrando voglia d’impegnarsi nel sociale, siano in due parole capitale sociale. Bibliografia: -Bombardieri M., Con ali di farfalla. Reggere ai dolori della vita, Paoline, Milano, 2011 -Cassani Bortoloso M. La formazione delle coppie adottive: racconto di una esperienza, in Barbero Avanzini B., Giustizia minorile e servizi sociali, Franco Angeli, Milano, 1997 -Folgheraiter F., Saggi di Welfare, Erikson, Trento, 2009 -Galli J., I gruppi informativi-formativi sull’adozione, in Galli J. E Viero F. (a cura di), I percorsi dell’adozione. Il lavoro clinico dal pre al post adozione, Armando, Roma, 2005 -Paradiso L., Prepararsi all’adozione. Le informazioni, le leggi, il percorso formativo personale e di coppia per adottare un bambino, Unicopli, Milano, 1999 Le seguenti associazioni sono hanno collaborato rispondendo ad un questionario da me predisposto per raccogliere opinioni e informazioni circa la formazione nell’adozione, via mail e attraverso colloqui telefonici: Adottiamo (Nichelino – Torino) Celine (San Casciano – Firenze) Gruppi Volontari per l’Affidamento e l’Adozione (Torino) L’Altro Marsupio (Treviglio - Bergamo) Petali dal Mondo (Tradate – Varese)