Santella, uomo di grande coscienza e cultura
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Santella, uomo di grande coscienza e cultura
10 “PERSONE” NOTTE&GIORNO giovedì 21 marzo 2013 REGISTA, ATTORE E SCRITTORE, PREPARA CON MARISA LAURITO LO SPETTACOLO “LA SIGNORA DELLE MELE” Santella, uomo di grande coscienza e cultura di Giuliana Gargiulo del giornale “L’alapa” (lo schiaffetto che il padrone dava allo schiavo per farlo diventare liberto) e la volontà di fare teatro». Che cosa riuscisti a fare nel teatro? «Per i tempi di allora un progetto anticipatorio. Mettemmo in scena al Teatrino dell’Accademia di Belle Arti, con gran consenso di tutti, “Piccola città” di Thorton Wilder». Hai poi continuato ad essere attore regista per tutta la vita: hai predilezioni in merito? «Sono un attore un po’ anomalo, perché non so cosa sia il narcisismo degli attori, anzi a dirla tutta in scena mi imbarazzo... Sostanzialmente mi considero più regista». Il teatro: come diventò la tua maniera di essere? «Avevo cominciato fin da piccolissimo a fare recite con i coetanei, poi ebbi occasione di vedere alcuni spettacolini. In pratica sono un autodidatta che però ha fatto, prima degli altri, spettacoli di Jonesco, Beckett, Shakespeare, Moliere... Mi sono formato leggendo “La ricerca del teatro perduto” di Eugenio Borla su Grotosky, poi ho visto il Living Theatre... Sono andato avanti mettendo in pratica tutto questo tipo di formazione». Che cosa ha rappresentato per te dirigere per undici anni il teatro Ausonia? «È stato lo svecchiamento della cultura. Per la prima volta all’Ausonia mettemmo in scena “La cantatrice calva” di Ionesco e “Giorni felici” di Bechett». Un’amarezza ce l’hai? «Sì, perché quando venne chiuso l’Ausonia non fu scritto un rigo in proposito, nonostante in quel teatro avessero cominciato i vari Mo- er undici anni ha diretto il teatro Ausonia producendo spettacoli interessanti e in anticipo sui tempi ma anche ospitando nomi che sarebbero diventati punti di riferimento nel mondo dello spettacolo: Enzo Moscato, Silvio Orlando, Annibale Ruccello e così via. Regista, attore, scrittore, Mario Santella (nella foto) è un maestro, che ha attraversato tutto il mondo dello spettacolo, senza mai tradire il significato della cultura, di volta in volta lottando con coscienza civile. Preparato, gentile, senza recriminazioni o false ambizioni , l’indomani del “Baudelaire” con Giuseppe Zeno e la regia di Bruno Garofalo al teatro Nuovo, sta per debuttare con Marisa Laurito ne “La signora delle mele”. Con la sapienza della parola e della conoscenza Mario Santella ripercorre la sua storia. Come e dove è cominciata la tua vita? «A Campobasso, da figlio unico, in una famiglia di sani principi, poi arrivato a Napoli a 14 anni, passando dalla totale libertà vissuta in strada al cambiamento traumatico della grande città, causa di non pochi smarrimenti. Ero un bambino sognatore, socievole e pieno di amici, che per l’unico rimpianto di non saper suonare, salito su una sedia dirigevo un’orchestra immaginaria. Forse un segno premonitore della scelta di diventare regista?». Che successe crescendo? «Frequentavo il Liceo Umberto, dove il mio compagno di banco era Vittorio Mezzogiorno, con il quale cominciammo a progettare spettacoli, occasioni culturali e altro ancora. Una vera e propria folgorazione, che sfociò nella formazione di un comitato studentesco, indirizzato ad una Sezione cultura, di cui ero responsabile, con la creazione P GASTRONOMIA scato, Ruccello, Orlando, Ciruzzi e cosi via. Furono anni difficili perchè nello stesso arco di tempo persi i genitori, fini il matrimonio con Maria Luisa e feci il grande errore di liberarmi anche del teatro. Ero in crisi... anni allucinanti in cui buttai tutto a mare». In seguito che cosa è stato difficile? «Diventato freelance è stato difficilissimo ricominciare, forse anche per avere un nome che ha rappresentato qualcosa... Per cui venivo chiamato poco e ho lavorato poco! Per me è un vero handicap essere stato qualcuno e non essere chiamato a lavorare». Come è andata che ad un certo punto hai debuttato nella scrittura? «Già a venti anni ero molto combattuto tra scrittura e teatro... Scrissi a ventidue anni “L’amore più strano”, il mio primo romanzo, diventato poi qualche anno fa “Nel sole e nelle vene”. Persi un’occasione non ascoltando i suggerimenti di Feltrinelli e mentre stavano per na- scere i miei gemelli Samos e Valia, mi misi a lavorare come commesso da Guida. Devo aggiungere che l’editoria a Napoli è un vero problema». E oggi come vanno le cose? «È un deserto. Basta pensare a quello che era un tempo via Martucci con il teatro Esse, il Tin e altri spazi culturali». Scriverai ancora? «Sto scrivendo “Tormentato dalla vita, piena di zanzare”, che è una citazione della canzone di DallaDe Gregori “Dove vanno i marinai”». Quali sono le cose che non accetti? «La sottocultura, l’ignoranza e la barbarie della non conoscenza. Lo diceva anche Dante: “Fatti non foste a vivere come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”. Purtroppo non conta il valore nè il merito ma le raccomandazioni e i salotti! E pensare che la cultura è la vita, l’aria che respiro e dovrebbe essere così per tutti». Cosa stai facendo attualmente? «Con la regia di Bruno Garofalo sto provando “La signora delle mele”, una commedia musicale con Marisa Laurito, ispirata al film “Angeli con la pistola”». Se dovessi raccontarti? «Sono com’ero da ragazzino, un sognatore con i piedi per terra, anche ottimista nonostante tutto e con l’aspirazione all’alto. Credo di essere una persona perbene. Non invidio nessuno e non recrimino niente. Tutto quanto ho vissuto è frutto delle mie scelte. Quello che vale è il rispetto e la stima e da quanti hanno lavorato con me ho sia l’uno che l’altra». Per concludere: che cosa rappresenta Napoli per te? «È la Sirena Partenope. Sono stato sedotto da questa città cosmopolita e internazionale». “COSA MI METTO???” DI FABRIZIA SPINELLI Il ritorno delle punte D opo essere state messe nell’ombra per anni dalle punte tonde e dalle open toe, le decollete con tacco a stiletto e punta tornano in scena da gran protagoniste. Questa primavera quindi, lasceremo a casa zeppe e plateau, e tireremo nuovamente fuori dagli armadi in cui le avevamo dimenticate le ladylike, letteralmente le scarpe da signora. Un restyle completamente moderno per un vero e proprio tuffo nel passato: Louis Vuitton propone delle pumps altissime in delicate nuances pastello, con la punta in mentallo; Gucci osa con la stampa pitonata multicolore; in stile pin-up il modello di Miu Miu, a quadretti bianchi e blu, o bianchi e rossi, con un fiocco dietro la caviglia; Valentino sceglie colori romantici; Sergio Rossi opta per dei toni molto decisi, come il rosso e l’arancione; molto particolari quelle trasparenti con finiture in pelle lucida di Manolo Blahnik. Chi è sempre rimasto fedelissimo al modello è lo shoe designer francese Christian Louboutin, che ha fatto delle Pigalle (disponibili in tacco 10 e 12 e nelle versioni con spikes e borchie) un’icona, proponendole in ogni sua collezione, una stagione dopo l’altra. Le pointy toes, senza dubbio molto belle e dalla forma accattivante, hanno però il gran difetto di non essere proprio comodissime, caratteristica che le ha fatto conquistare il soprannome di “taxi-to-table”, ovvero calzature da indossare esclusivamente per spostarsi dal taxi al ristorante. Il trucco è quello di portare sempre in borsa delle ballerine ripiegabili. Vi lascerete nuovamente tentare dalle care vecchie decollete? Prendi spunto quotidianamente su www.cosamimetto.net IN VIA CARLO POERIO SI È TENUTA LA DEGUSTAZIONE DI PRODOTTI TIPICI ITALIANI “Le Fripier”, grande passione per la cucina di Mimmo Sica S econdo appuntamento a “Le Fripier 2000 in design”, in via Carlo Poerio 86, con la degustazione di prodotti tipici italiani. Ospite lo chef internazionale Giacomo Macrì (nella foto) che ha presentato, con Classe Italia, alcune creazioni basate sull’abbinamento di prodotti dell’agricoltura biologica piemontese e veneta con i tipici prodotti campani, in particolare latticini e formaggi. «“Non alchimie o giochi di magia” è il principio che sottende tutte le mie creazioni - ha detto lo chef Con ciò intendo dire che i miei “piatti” sono il frutto di una continua ricerca ispirata da una passione e da una cultura per l’arte gastronomica. In cucina, quindi, non facciamo miracoli, non curiamo malati, non salviamo vite umane, ma facciamo solo da mangiare senza inventare niente. Rispettiamo, però, rigorosamente la naturalità del prodotto che abbiniamo ad ingredienti che ci piacciono. A chi mi chiede di definire il mio tipo di cucina dico che è “fusion” nel senso che mischia tutto quello che c’è nel mercato. Per questo motivo amo molto la cucina orientale perchè unisce tutte le spezie. Il piatto che preferisco è il baccalà dissalato, cioè un baccalà messo sotto sale e lasciato in acqua per 24-36 ore. Lo usiamo moltissimo nel mio ristorante. Amo moltissimo le verdure di stagione e uso tutto quello che la terra dà di stagione». Giacomo Macri ha cominciato la carriera nel 1983 nel ristorante “Da Mario”, uno dei locali storici di Montegrotto Terme facendo tesoro delle esperienze. Lì ha avuto l’opportunità di confrontarsi con le esperienze dei numerosi chef di diversa nazionalità che si alternavano ai fuochi del ristorante euganeo. Nel 2001, in un altro rinomato locale, “Al Bosco”, ha acquisito le conoscenze specialistiche del banqueting, cavallo di forza del ristorante. Dal 2005 al 2007 è stato lo chef del ristorante “Da Nicola” a Montegrotto. Nel 2010 decise, con il fratello Salvatore, di aprire un ristorante, “La Corte di Trambacche”, a Trambacche di Veggiano in provincia di Padova, ormai conosciuto come il ristorante dei Macrì. «Ho voluto riproporre agli amici napoletani, nel salotto de “Le Fripier”, prodotti di alta gastronomia selezionati da “Classe Italia”, con l’aiuto, questa volta, del loro collaboratore ed executive chef Giacomo Macrì - ha detto il “rigattiere” Edoardo Della Ragione - è anche una manipolazione, per così dire, del prodotto in barattolo che rappresenta una lettura diversa data dallo chef che, in ogni caso, parte sempre dalla materia prima del luogo. Abbiamo girato per due giorni per i mercati e abbiamo selezionato prodotti campani doc che il padovano Macrì, con forti influenze asiatiche, ha rivisitato abbinandoli a quelli scelti da “Classe Italia”. Mi riferisco, soprattutto, alla collezione piemontese di frutta sotto grappa, di pesche e pere sciroppate, di albicocche con Dolcetto d’Alba, di salami con tartufi, di fichi da abbinare ai formaggi. Quello di stasera è un evento che è riduttivo definirlo degustazione di prodotti tipici italiani perchè le influenze sono tante. Sono convintissimo che i nostri ospiti, peraltro rivelatisi dopo il primo incontro, molto competenti, colti e abituati a sapori nuovi, sapranno apprezzare le creazioni di Giacomo Macrì senza mai dimenticare i nostri gusti campani». Antonio Baiano di “Classe Italia” ha informato che quest’anno esporranno alla fiera di Seul e che il 22 aprile sarà inaugurato a Milano, in via Guicciardini, il “Classe Italia Restaurant”, chiamato “CI Restaurant”. 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