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Analysis No. 307, Novembre 2016
SIRIA, UNA SCIAGURA AFGHANA?
I MUJAHEDDIN DELL’AF-PAK CON IS IN SIRIA
Claudio Bertolotti, Chiara Sulmoni
Una serie ravvicinata di attacchi nei confronti della minoranza sciita riunita nelle moschee è costata la vita a
decine di persone e confermato come in Afghanistan da qualche tempo si stia diffondendo una violenza di
matrice religiosa che dalla caduta dell’Emirato talebano nel 2001 era progressivamente diminuita. A luglio i
morti a Kabul erano stati oltre 80 e in quel caso, il commando dell’IS (Stato islamico) aveva colpito una
manifestazione di protesta contro una delle numerose discriminazioni nei confronti dell’etnia hazara. Di
confessione sciita (come parte dei tagiki), gli Hazara sono vittima dal 2011 di attentati, rapimenti e
decapitazioni non sempre ufficialmente rivendicate dai vari gruppi jihadisti presenti sul territorio.
Emarginazione e ostilità nei confronti degli Hazara sciiti sono parte della storia afghana ma lo sbarco dello
Stato islamico nella sua versione Afpak (Islamic State - Khorasan Province) e la conseguente competizione per
il controllo del territorio con gli insorti locali sunniti, ha reso il contesto e la violenza più feroci.
Claudio Bertolotti, Ph.D, ricercatore associato ISPI e ITSTIME, è Analista strategico indipendente, docente di 'Analisi
d’area', Subject Matter Expert per la NATO.
Chiara Sulmoni (MA in Near and Middle Eastern Studies) è giornalista, producer e analista freelance e segue con
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particolare attenzione l’area mediorientale e l’AFPAK.
ISSN 2282-829X
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Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI.
Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo.
Introduzione
Se i talebani afghani hanno adottato un comportamento ambiguo e
opportunista ora perseguitando gli Hazara a causa della loro confessione,
ora prendendo le distanze dagli attentati, in Pakistan la nebulosa di
gruppi e sottogruppi estremisti (nazionali e transnazionali) include
formazioni che agiscono su due fronti, colpendo da un lato istituzioni civili
e soprattutto militari, e dall’altro la popolazione e in particolare gli sciiti.
Un approccio ideologico e anche tattico più vicino a quello salafita e takfiri
dell’IS, che un paio di anni fa si è inserito in questa realtà composita
sfruttandola, pare, anche per commissionare attentati in outsourcing. In
particolare, nella provincia afghana di Nangarhar e nel Baluchistan
separatista pakistano (nella cui capitale, Quetta, ha sede la leadership dei
talebani afghani), aree di confine dove le alleanze sono più fluide e
frammentate. L’ultimo attentato con il marchio IS proprio in Baluchistan,
contro un tempio sufi, è stato perpetrato il 13 novembre facendo oltre 50
vittime e più di 100 feriti. La garanzia di sopravvivenza dello Stato
islamico dopo che sarà arrivata la resa dei conti in Medio Oriente, starà
proprio nella capacità di coinvolgere altre entità e denominazioni jihadiste
con obiettivi condivisi, attraverso le quali passare da uno scenario all’altro
su scala globale (incluso il fenomeno dei lui solitari che l’Europa ha
imparato a conoscere).
Ma tornando al cuore della questione trattata in questa analisi, la
partecipazione di numerosi combattenti afghani sciiti reclutati dall’Iran e
di jihadisti sunniti provenienti dalle file talebane (‘ufficialmente’ solo
pakistane) alla guerra in Siria, non potrà che porre le basi per una
recrudescenza delle violenze interconfessionali, che in Pakistan possono
contare su una giustificazione in più: l’amicizia tra Islamabad e Damasco.
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Retroscena
Negli ultimi mesi le proteste dei cittadini si sono moltiplicate ma il
‘governo condiviso’ di Ashraf Ghani e Abdullah Abdullah è un governo a
metà, incapace di fare fronte alle necessità e ai costi di un numero sempre
crescente di sfollati interni e profughi di ritorno, gravato da inefficienze e
rivalità politiche che compromettono anche il lavoro e la sopravvivenza
delle forze di sicurezza impegnate a contrastare l’avanzata dei movimenti
insurrezionali (talebani, IS e offshots), più forti che mai. Nella speranza e
nell’illusione di poter sfuggire a un futuro a tinte fosche, sono molti gli
afghani – giovanissimi – che scelgono di emigrare verso l’Europa e per gli
hazara, comunità fra le più povere del paese, la tappa temporanea per
prossimità territoriale e religiosa è l’Iran, dove spesso però si ritrovano
confinati nell’illegalità, diventando facili prede di reclutatori che li
mandano a combattere in Siria, al fianco di miliziani sciiti di diversi paesi
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inquadrati nelle varie milizie sotto la guida delle Guardie della
Rivoluzione e al fianco dell’esercito di Bashar al-Assad. In ragione delle
cifre di cui si parla – migliaia di ‘ragazzi’ - e dell’efficienza necessaria per
organizzare tali passaggi in Siria, questo fenomeno potrebbe essere
definito una ‘tratta di combattenti’, che a volte ha il suo inizio dentro i
confini dell’Afghanistan.
Pare che gli afghani, guerriglieri tenaci da sempre, in mancanza di
un’adeguata preparazione militare, sul terreno si distinguano per la loro
ostinata resistenza, senz’altro determinata anche dalla volontà di
sopravvivere in un teatro di guerra dove nella maggior parte dei casi
(anche se non in tutti) sono capitati per caso, vittime sacrificali e
sacrificabili di una guerra che non gli appartiene ma di cui sono solo
pedine.
Afghani in Siria con il regime di Bashar al-Assad
I principali gruppi di opposizione armata condividono la comune
preoccupazione verso la campagna iraniana di reclutamento di soggetti
afghani per la guerra in Siria1.
Lo stesso governo di Kabul, a cui è nota la presenza di cittadini afghani in
Siria, ha mostrato imbarazzo per il fatto che questi ultimi stiano
combattendo una guerra a favore di un governo straniero, soprattutto
quando sul fronte interno è confrontato con un numero insufficiente di
reclute per le forze di sicurezza afghane impegnate nella lotta contro i
talebani e la crescente diffusione di gruppi affiliati allo Stato islamico.
Ufficialmente – ha dichiarato il portavoce del ministero degli Affari Esteri
Shekib Mustaghni – «il governo afghano sta operando attraverso i canali
diplomatici e la ‘High Commission for Refugees’ delle Nazioni Unite» per
risolvere tale questione2.
Quel che è emerso è il significativo coinvolgimento di organizzazioni
non-governative nell’opera di reclutamento di afghani, principalmente di
etnia Hazara, da parte delle ‘Guardie della Rivoluzione’ iraniane, e
l’impiego di queste reclute all’interno della milizia sciita multinazionale
schierata al fianco del regime siriano del presidente Bashar al-Assad3.
NOW News, Afghanistan arrests Iran official for recruiting Shiite fighters, 29 agosto
2016, in
https://now.mmedia.me/lb/en/NewsReports/567310-afghanistan-arrests-iran-official-fo
r-recruiting-shiite-fighters.
2 VOA News, Syrian Opposition Relays Concern to Kabul Over Afghan Fighters , 26
giugno 2016, in
http://www.voanews.com/a/syrian-opposition-relays-concern-to-kabul/3392753.html.
3 The Guardian, Afghan refugees in Iran being sent to fight and die for Assad in Syria ,
5 novembre 2015, in
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In conseguenza della trasformazione della guerra civile interna in Siria in
una ‘proxy war’, il governo iraniano ha predisposto l’impiego di unità di
difesa a sostegno dell’esercito siriano per un totale di 50.000 unità. La
prima milizia afghana sarebbe giunta sul fronte siriano nel 2012, insieme
ad altri combattenti sciiti stranieri libanesi, pachistani e iracheni ma, di
fatto, Teheran ha smentito un impiego ufficiale di afghani: la posizione
ufficiale iraniana è che si tratti di ‘volontari’.
Come ampiamente riportato dalla stampa internazionale, l’Iran starebbe
dunque reclutando combattenti tra i circa tre milioni di afghani in Iran,
prevalentemente soggetti socialmente vulnerabili e in difficili condizioni
economiche, molti dei quali hanno lasciato l’Afghanistan per sfuggire alle
persecuzioni e ai conflitti di un paese stravolto da decenni di guerra4.
Ai combattenti afghani il governo iraniano prometterebbe uno stipendio
mensile – 50 dollari al giorno per i combattenti e 400 dollari al mese per le
famiglie – o una compensazione economica in caso di morte o inabilità,
oltre al permesso di residenza e sostegno alle famiglie in Iran, come
riconoscimento del loro impegno nella guerra contro lo Stato islamico e la
difesa di Damasco5.
L’organizzazione umanitaria ‘Human Rights Watch’ (HRW) valuta in
10.000 i combattenti afghani in Siria ma, secondo il ‘Tehran's
Marz-e-Oboor Weekly’, questi ammonterebbero a un totale compreso tra
12.000 e 14.000; e se una componente sarebbe composta da volontari, in
parte reclutati nelle moschee iraniane e in parte forzati attraverso
l’arresto e la deportazione, un’altra aliquota proverrebbe dall’Afghanistan
attraverso l’opera di reclutamento condotta da iraniani o collaboratori
afghani che approfitterebbero della disastrata situazione economica per
far leva sui più giovani e disperati 6.
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Dopo due settimane di addestramento di base a cura delle ‘Guardie della
Rivoluzione’, le reclute verrebbero inviate direttamente in Siria per un
impiego minimo di 12 mesi come unità di fanteria leggera, con un livello di
capacità operativa di base e inadeguati a confrontarsi con i combattenti
dello Stato islamico, meglio addestrati e motivati; una parte di questi
https://www.theguardian.com/world/2015/nov/05/iran-recruits-afghan-refugees-fight-s
ave-syrias-bashar-al-assad.
4 BBC News, Syria war: The Afghans sent by Iran to fight for Assad , 15 aprile 2016, in
http://www.bbc.com/news/world-middle-east-36035095.
5 CS Monitor, Iran steps up recruitment of Shiite mercenaries for Syrian war, 12 giugno
2016, in
http://www.csmonitor.com/World/Middle-East/2016/0612/Iran-steps-up-recruitment-ofShiite-mercenaries-for-Syrian-war.
6 Human Rights Watch report, 29 genaio 2016, in
https://www.hrw.org/news/2016/01/29/iran-sending-thousands-afghans-fight-syria.
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lascerebbe però il campo di battaglia cercando asilo politico in Europa 7.
Dal punto di vista dell’impiego sul campo, le brigate afghane sono
guardate con sospetto dagli omologhi siriani e iraniani a causa del basso
livello operativo e perché giudicate non adeguatamente addestrate e
composte da soldati troppo giovani.
Le aree d’operazione che più recentemente hanno visto l’impiego di unità
afghane sono state Palmira, Aleppo, Homs, dove è stato registrato il più
alto numero di perdite afghane in Siria. Media iraniani e fonti ufficiali di
Kabul hanno ammesso che centinaia di combattenti afghani sarebbero
stati uccisi in Siria nel corso dell’ultimo anno.
I mujaheddin dell’Af-Pak con lo Stato islamico in Siria
Anche sul fronte anti-Assad, quello dello Stato islamico e degli altri gruppi
di opposizione armata jihadisti, combattono soldati provenienti
dall’Af-Pak e dall’Asia centrale, in numero approssimativo di 27/31.000,
giunti in Siria e Iraq dall’inizio della guerra siriana nel 2011. 14.000 di
questi proverrebbero da paesi dell’Asia e sarebbero prevalentemente
inquadrati nelle unità affiliate all’IS.
Sebbene i numeri non possano essere confermati, nel 2013 i talebani
pachistani hanno dichiarato che centinaia dei propri combattenti erano
impegnati in battaglia in Siria contro il regime di al-Assad, sotto la
bandiera del ‘fronte islamico siriano’ legato ad al-Qa’ida; una parte di
questi sarebbe tornata nei propri luoghi di origine dopo un periodo di
impiego in guerra.
Da una parte, i combattenti talebani pachistani avrebbero stabilito i
propri campi di addestramento, un centro di comando e controllo e un
ufficio in Siria; dall’altra parte i talebani afghani, attraverso il Consiglio
supremo (Shura), hanno formalmente negato la loro partecipazione alla
guerra sul fronte siriano al fianco dei gruppi ribelli 8.
Dopo la frammentazione del Teherik-e Taliban-e Pakistan (TTP, i talebani
pachistani) nel 2015, l’Islamic Movement of Uzbekistan, uno dei principali
gruppi operativi nell’Af-Pak al fianco dei talebani e di al-Qa’ida, ha
annunciato la sua fedeltà allo Stato islamico. Una decisione la cui
conseguenza ha portato alla scissione del movimento, una parte in
The New York Times, Afghans Go to Syria to Fight for Its Government, and Anguish
Results, 28 luglio 2016, in
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http://www.nytimes.com/2016/07/28/world/asia/afghanistan-syria-army-war.html?_r=0
8 Al-Jazeera, Pakistan Taliban says its fighters in Syria, 16 luglio 2013, in
http://www.aljazeera.com/news/middleeast/2013/07/20137167916826540.html, e Erez
Zen Channel, Taliban Pakistan is Sending Hundreds of its Fighters to Syria to Hasten
Sharia Implementation, 14 luglio 2013, in
https://www.youtube.com/watch?v=IBNjtLu7aYY.
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supporto e un’altra in contrapposizione all’IS, ai talebani e ad al-Qa’ida.
Un cambio di equilibri conseguenza della frammentazione dello stesso
movimento talebano afghano provocata dalla morte del suo carismatico e
storico leader mullah Mohammad Omar.
Fu il leader dell’IMU, Usman Gazi, a dichiarare nel settembre 2014
fedeltà allo Stato islamico «nella lotta tra fedeli del vero Islam e non
musulmani, in linea con i principi del movimento e con il sacro dovere».
La conseguenza di tale decisione fu un terremoto all’interno del già
frammentato fronte insurrezionale che aprì a nuove correnti e posizioni
sull’onda travolgente dell’IS.
La composizione dell’IMU, in linea con una policy aperta e inclusiva, è
estremamente eterogenea e comprende soggetti uzbechi, tagichi, kirghisi,
uiguri, ceceni e arabi. È inoltre interessante notare come, già nell’agosto
2014, alcuni report confermassero la nomina di un tagico a ‘emiro di
Raqqa’, la più grande provincia siriana sotto il controllo dello Stato
islamico, da parte del capo dell’IS Abu Bakr al-Baghdadi. Ad oggi sarebbe
confermata la presenza di combattenti dell’IMU in Siria e Iraq, la maggior
parte dei quali tra le fila dello Stato islamico; nel corso del 2015-2016 è
stata inoltre riportata la presenza in Siria e Iraq di soggetti uzbeki,
afghani e altri provenienti dall’Asia centrale 9.
Conclusioni e valutazioni
Nel complesso, una presenza significativa in Siria di combattenti afghani
e pachistani al fianco dello Stato islamico non indicherebbe l’esistenza di
un diretto collegamento tra talebani afghani e Tehrikh-e Taliban Pakistan,
sebbene non possano essere sottovalutate le conseguenze sul medio-lungo
periodo di una partecipazione rilevante di soggetti afghani o pachistani
che, prima o poi, faranno rientro nei propri paesi portando con sé
un’elevata expertise operativa e ideologica. La vera incognita sarà la
fedeltà al movimento talebano di questi guerriglieri ‘mobili’, che sono stati
esposti a una ideologia extra-territoriale e quindi più militante rispetto a
quella nazionale e locale dell’Afpak. È qui che può crearsi la saldatura,
all’interno dello Stato Islamico – Khorasan Province (nella cui base
prevalgono i secessionisti della Tehrikh-e Taleban Pakistan). C’è da dire
che questa realtà fatica ad attecchire su un territorio spesso inospitale – le
aree di confine in particolare – caratterizzato da forti rivalità per il
controllo delle vie di comunicazione e di scambio. Inoltre il concetto di
Claudio Bertolotti, Gli jihadisti dall’Af-Pak alla Siria, in “Osservatorio Strategico” n.
5/2016, CeMiSS, Roma, novembre 2016, in
http://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/DocumentiVis/Osservatorio_Strategico_
2016/OS_05_2016_File_Singoli/11_Bertolotti_OS_05_2016_IT_Finale.pdf.
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unità della comunità islamica (umma), centrale nella dottrina dello Stato
islamico difficilmente può fare presa dove i rapporti vengono regolati da
codici tribali come il pashtunwalì dentro il quale il movimento talebano è
nato e si muove, mentre la violenza brutale e indiscriminata contro la
popolazione e gli usi e costumi locali non contribuisce al reclutamento di
nuovi combattenti, che in un futuro poco distante potranno provenire
dalla Siria e dall’Iraq, a seguito della scompaginazione dell’IS nel Medio
Oriente e dalla necessità per i foreign fighter, di trovare un nuovo rifugio
non potendo tornare nei paesi d’origine. Se già oggi oltre il 20% dei
presunti 45.000 insorti attivi in Afghanistan sarebbe di origine straniera,
resta ben poco all’immaginazione. Il pericolo Stato Islamico per Kabul
risiederà soprattutto negli attentati spettacolari in aree urbane, che
dimostrano la capacità di oltrepassare le linee di sicurezza afghane, ma
non una reale penetrazione territoriale, vista anche l’ostilità aperta con i
talebani presenti in forze in larghe fasce del paese. A dominare le forze
insurrezionali in Afghanistan rimarranno quindi questi ultimi, impegnati
però a difendere i propri ‘feudi’ da nuove compagini armate slegate dal
contesto sociale. L’inasprimento di questo conflitto ‘multifrontale’ e anche
dispersivo è già sfociato in una competizione per la ‘reputazione’, con i
talebani e l’IS-KP che fanno a gara per rivendicare gli stessi attentati. Il
pericolo imminente è che l’innesto di dinamiche siriane e irachene come
l’odio confessionale possa essere sfruttato da potenze regionali, vecchie
volpi e vecchie facce delle proxy-war come l’Iran, che da un lato arruola
sciiti afghani e pakistani per la guerra in Siria e dall’altro – come dichiara
l’ex-capo dell’intelligence afghana Rahmatullah Nabil – sosterrebbe con
soldi e armi i talebani sunniti quale forza di contrasto all’IS-KP.
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Le forze di sicurezza afghane, sotto pressione e mal rifornite, decimate
dalle frequenti diserzioni e spesso bloccate nelle basi assediate dai
talebani, controllano già con difficoltà la situazione, rendendo sempre più
marginale e vulnerabile il governo di Kabul. Il mese di ottobre appena
trascorso ha segnato il picco di violenza degli ultimi due anni (più o meno
dall’arrivo dell’IS-KP). Per questo motivo la presenza afghana in Siria
potrebbe essere foriera di nuove sciagure in patria, soffiando sulle ceneri
di un infinito e doloroso ‘conflitto dei vinti’.
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