Tra la letteratura per l`infanzia e il cibo, l`alimentazione, e anche la

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Tra la letteratura per l`infanzia e il cibo, l`alimentazione, e anche la
Tra la letteratura per l’infanzia e il cibo, l’alimentazione, e anche la fame, ci sono forti, rilevanti connessioni.
Sono, del resto, inevitabili, perché la fiaba, per esempio, non può mai sottrarsi ad un’ipotetica onirica fatta di
Paesi della Cuccagna, di colossali mangiate, di venti orcheschi pronti a riempirsi dei poveri “cristianucci”, capitati
per caso in quel castello. Nelle fiabe raccolte nel Casentino da Emma Perodi, il cibo è una specie di destino ultimo, è un eterno spartiacque alimentare che può perfino produrre un’alternativa tra salvezza e perdizione quando
una coppia di coniugi cristianissimi si concede al peccato perché il diavolo offre una splendida serie di abbondanti manicaretti. È un Casentino pieno di odori e di sapori, dove basta fermarsi un poco lì, nel canto del fuoco,
perché una buona massaia metta in padella una fragrante frittata con la salsiccia. Perché c’è molta fame, per solito, però ci sono anche i grandi ritmi di un calendario alimentare dove le molte quaresime fanno rifulgere a rari
carnevali. Così, incredibili frati mangioni si alternano a donzelle che non mandano giù neppure un brodino di
pollo, mentre osti della malora fanno rosolare porcellini accanto al tavolo in cui si trama una losca congiura. C’è
Pinocchio, in verità, a condensare in sé fami ancestrali e perfino rifiuto del cibo, quando si legge della sua cupa
rinuncia all’osteria del “Gambero Rosso”, in questo senso il burattino è il vero proletario di un’Italia postunitaria
dove la fame è molto vicina alle feste e ai tornei, dove si sfila il costume e si partecipa a pranzi interminabili.
Si potrebbe, e forse in fondo si dovrebbe, anche scrivere una storia alimentare della letteratura per l’infanzia, a
partire dalle geniali considerazioni di Piero Camporesi che stabilì una profonda connessione tra fami ataviche,
ricorrenti carestie, catastrofi e un certo tipo di immaginario che, dai ventri orribilmente vuoti, non fa uscire il
sogno di intingoli prodigiosi, ma proprio il suadente appello di Morgane e Melusine. La fame davvero collettiva,
quella che per Camporesi avvolgeva quartieri, strade, vicoli, città intere, è propedeutica all’invenzione di storie. È
una strategia della nascita del racconto che può essere continuamente rivisitata e ridefinita con nuovi contributi: nelle “leggende metropolitane” nate entro le infernali trincee della Prima Guerra Mondiale, l’immensa fame
proponeva temi di tragenda medievale: non si sognavano leccornie, ma angeli guerrieri che calavano dal cielo
per aiutare i fanti sepolti nel fango e guidarli all’attacco. In uno dei romanzi di guerra più famosi, Niente di nuovo
sul fronte occidentale, di Remarque, l’ora del rancio dei fanti tedeschi ha il triste afflato regressivo di una scampagnata di maschietti, tutti davvero convinti di vuotare la gavetta e poi di morire, in una successioni di fasi in cui la
propria giovane scomparsa e l’ultima scampagnata alla chiusura di un anno scolastico, sono eventi intrecciati.
Per gli scolari-soldatini del libro Cuore, di De Amicis, la scampagnata, la gita scolastica eretta a rito di iniziazione, dopo tanti racconti mensili, è ritmata da un curioso, detagliatissimo succedersi di alimenti, come nel regolamento alimentare di una caserma. Mangiano insieme cibi da maschi, e trincano anche, perché la passeggiata
sulle colline fa riflettere sulle divisioni di classe che verranno ribadite e per sempre fissate dopo la conclusione
dell’anno scolastico, quando i ricchi continueranno gli studi e i poveri andranno a lavorare, e che si divori, quindi tutti insieme.
Apoteosi del rituale di un cibo iniziatico che non può avere nessuna forma di credibile surrogato, è quella che
si compie dell’isola di Jackson, la piccola isola nel fiume, a due passi da casa, in verità, ma lontanissima come
quella non trovata da Guido Gozzano, dove Tom e i suoi amici, partiti per diventar pirati, si trasformano in
cuochi quando comprendono che la vera liberazione dalle zie e dalle mamme non consiste dello scambiarsi finte
sciabolate, ma nel friggere uova e prosciutto in padelle veritiere. Non è chiaramente, ideologicamente dichiarata,
l’importanza alimentare di questa simbolica fuga piratesca: non ce n’è bisogno, è tutto implicito.[...]