Working paper su Santa Marta
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Working paper su Santa Marta
Ester Chicco, Alfredo Mela Una comunità rurale del Salvador tra eredità della guerra e nuove sfide 1. Introduzione Lo scopo del presente scritto è quello di tracciare un quadro sintetico del contesto sociale, economico e culturale di una comunità situata in un’area interna del Salvador, nel quale è in corso un progetto di rafforzamento comunitario e di sostegno psicologico alla popolazione. Si tratta della comunità di Santa Marta, nella municipalità di Victoria, che appartiene al distretto di Cabañas, uno dei 14 distretti in cui è suddiviso il paese centroamericano. Il progetto in questione è promosso da una associazione di volontariato professionale, “Psicologi nel Mondo - Torino”, composta principalmente di psicologi, ma che vede anche l’apporto di educatori, sociologi ed altri soggetti interessati a prestare in forma volontaria le proprie competenze in ambiti di attività comprendenti, oltre alla cooperazione internazionale, anche l’intervento psico-sociale in emergenza e la promozione dei diritti umani1. La scelta di S. Marta come uno degli ambiti di intervento dell’associazione dipende da un duplice ordine di motivazioni. Da un lato, essa è dovuta al fatto che in tale area già da tempo opera una organizzazione con cui “Psicologi nel mondo - Torino” intrattiene rapporti di collaborazione: si tratta dell’associazione statunitense “Doctors for Global Health” (D.G.H., di cui esiste anche una sezione europea: D.G.H. Europe), che opera nel campo della promozione della salute in un’ottica ispirata ad una concezione integrale del benessere, che tende a non separare la dimensione individuale da quella comunitaria e dall’affermazione del diritto delle popolazioni alla promozione di uno sviluppo endogeno e sostenibile. La presenza di un’attività consolidata di D.G.H. nella promozione della salute fisica ha favorito l’avvio di un progetto focalizzato sul benessere psicologico e sulla salute mentale da parte degli psicologi italiani: quest’ultimo, infatti ha potuto avvalersi di una rete di relazioni già create dall’associazione nordamericana e della fiducia di cui questa già godeva. Dall’altro lato la scelta dell’area è stata motivata dalle caratteristiche specifiche del contesto sociale e culturale di Santa Marta, che fanno di esso un terreno fertile per un intervento che, pur partendo dall’esterno, si appoggi ad una rete endogena di realtà organizzate e ad una cultura della partecipazione profondamente radicata. Infatti, per le peculiarità della sua storia – e specificamente per le vicende che la comunità ha vissuto durante il periodo della guerra civile degli anni ’80 – Santa Marta presenta oggi un profilo di particolare interesse per la ricchezza delle esperienze accumulate e delle forme organizzative di cui si è dotata, oltre che per la complessità dei problemi con cui si confronta oggi come nel passato. Lo scopo di questo scritto, ad ogni modo, non è quello di illustrare il progetto in atto, ma piuttosto quello di delineare le caratteristiche dello scenario in cui esso di colloca, evidenziandone le peculiarità, ma sottolineando anche come in questo contesto siano oggi presenti problematiche e alternative di sviluppo che sono proprie di un ben più ampio quadro di ambiti territoriali dell’America Latina. Il presente articolo, dunque, dopo avere offerto un sintetico inquadramento geografico del Salvador (par. 2), illustra innanzitutto le vicende storiche che hanno caratterizzato la comunità a partire dalla fine degli anni ‘70 (par. 3). Si passa poi ad una sintetica illustrazione della sua 1 “Psicologi nel Mondo – Torino” fa parte della federazione nazionale di “Psicologi per i Popoli”, che si occupa principalmente di psicologia dell’emergenza e, con alcuni gruppi, di cooperazione internazionale. Il progetto in corso di svolgimento nel Salvador – denominato “Bienestar en El Salvador” è stato inizialmente condotto (a partire dal 2008) dall’associazione torinese, sempre appartenente alla federazione nazionale, “Psicologi per i Popoli – Torino”. Nel dicembre del 2009, il gruppo torinese ha dato vita ad una nuova associazione (“Psicologi nel Mondo – Torino”), specializzata sui temi della cooperazione: è quest’ultima, oggi, ad occuparsi del progetto. struttura insediativa (par. 4), della base economica della comunità (par. 5), delle forme di organizzazione politico-sociale che la contraddistinguono (par. 6) e delle problematiche sociopsicologiche che essa presenta (par. 7). In seguito, si fa cenno alle problematiche dell’ambiente ed ai relativi conflitti (par. 8); mentre nel par. 9 si accenna ad uno dei temi dominanti nel dibattito pubblico nel Salvador: l’incremento della violenza, specie di quella connessa alla crescita di fenomeni di devianza legati all’attività di bande giovanili (le maras). Infine, il par. 10 presenta un insieme di riflessioni conclusive, volte a delineare possibili scenari di evoluzione futura di Santa Marta, di fronte alle sfide che essa attualmente si trova ad affrontare. Le informazioni da cui derivano le analisi che saranno qui presentate derivano da fonti tanto dirette, quanto indirette. Queste ultime sono rappresentate da fonti bibliografiche, che riguardano soprattutto le problematiche generali del paese, e da siti Internet di associazioni, fonti di stampa ecc. Le informazioni relative a Santa Marta, viceversa, dipendono soprattutto da indagini che sono state condotte direttamente dal gruppo di “Psicologi nel Mondo - Torino”, attraverso una metodologia che si avvicina a quella della ricerca-azione, nel corso di un’attività che, dopo una visita esplorativa nel gennaio 2007, si è sviluppata con continuità a partire dal 20082. L’attività di ricerca si è sviluppata mediante l’osservazione partecipante (che include la partecipazione diretta ad un insieme di eventi ed iniziative che hanno avuto luogo durante la permanenza del gruppo nel Salvador), interviste a testimoni qualificati appartenenti alla comunità stessa o ad altre organizzazioni nazionali e internazionali, incontri con i gruppi ed associazioni locali (in particolare quelli citati nel par. 6) e la discussione con esperti salvadoregni, in particolare grazie ad una rete di contatti realizzati con alcune università del paese3. 2. El Salvador: breve inquadramento geografico Tra i paesi centroamericani, El Salvador è al tempo stesso quello di superficie più ridotta e quello che presenta una maggiore densità demografica. Esso, infatti, presenta una superficie di soli 21.041 kmq. - meno di 1/5 dei confinanti Honduras (112.492) e Guatemala (109.117) - ; per contro la sua popolazione è di 6.881.000 abitanti nel 2006, per cui la densità si presenta elevata (327 ab./kmq.), molto maggiore di quella dell’Honduras (64) e Guatemala (115). L’indice di sviluppo umano (ISU, stime per il 2011) è 0,674 e colloca il paese al 105 posto nella graduatoria mondiale; in tale classifica esso precede entrambi i suoi vicini che si collocano rispettivamente al 121 posto (Honduras) e al 131 (Guatemala)4. La popolazione complessiva del paese è alquanto giovane: infatti circa il 34% della popolazione aveva, al 2005, un’età inferiore a 15 anni; il 58,5% un’età compresa tra 16 e i 59 anni e solo il 7,5% un’età pari o superiore a 60 anni. La speranza di vita alla nascita è di 68 anni per gli uomini e di 74 per le donne: si tratta di valori inferiori a quelli dei paesi a maggiore sviluppo, ma consistentemente superiori a quelli dei paesi più poveri, in particolare dell’Africa subsahariana. L’incremento naturale della popolazione è del 15,6 per mille, con una mortalità infantile del 26,7 per mille. 2 Più precisamente, l’associazione ha svolto sinora il proprio lavoro attraverso due missioni annuali (in gennaio-febbraio e in luglio-agosto) nel 2008, 2010, 2011, mentre nel 2009 è stata compiuta un’unica missione estiva, più prolungata. Nel 2012 è stata svolta per il momento la missione in gennaio-febbraio e ne è prevista una seconda in luglio-agosto. 3 Un rapporto di collaborazione più continuativo e formale è stato sinora attuato con la Universidad Luterana Salvadoreña, che si è concretizzata anche con la organizzazione di seminari congiunti e con l’appoggio ad attività di ricerca- in campo sociale e pedagogico - in altre zone del paese. Oltre a ciò, sono stati presi contatti con professori di altre università, specie in ambito psicologico (la facoltà di psicologia non è invece, presente alla Luterana): l’Università statale e la UCA. 4 http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_Paesi_per_Indice_di_sviluppo_umano Dal punto di vista etnico la popolazione è composta in larga parte da meticci (88,3%); la minoranza amerinda corrisponde al 9,1%; il resto è costituito da popolazione creola o da neri portati originariamente nel paese come schiavi. Il tasso di urbanizzazione è del 60%; anche questo dato è superiore a quello dei paesi confinanti che non raggiungono il 50%. Analogamente a quanto avviene in altri contesti latino-americani, vi è una forte concentrazione urbana nella città principali; tuttavia, l’elevata densità complessiva del paese fa sì che anche i contesti rurali risultino alquanto densi. Dal punto di vista amministrativo è diviso in 14 dipartimenti; quello che comprende la capitale, San Salvador, ha da solo una popolazione di poco inferiore ai 2 milioni di abitanti. Tra i rimanenti, Cabañas, nel quale si colloca Santa Marta è quello di più ridotta popolazione (152.842 abitanti); non si tratta tuttavia del dipartimento meno densamente popolato: la sua densità, infatti, è di 138 ab./kmq., di poco superiore a quella di S. Vicente e di Morazán e decisamente superiore a quella del confinante dipartimento di Chalatenango. Cabañas è collocato nel nord del paese (fig.1a) e la sua capitale è Sensuntepeque, città che concentra anche le attività di servizio più rare della zona. Essa è sede di un ospedale ed ha un vivace mercato, 2 supermercati oltre che numerosi negozi ed attività artigianali. Fig. 1a. Il dipartimento di Cabañas (in rosso) Il dipartimento comprende 9 municipalità: Cinquera Guacotecti Ilobasco Jutiapa San Isidro Sensuntepeque (la capitale) Tejutepeque Villa Dolores Victoria Santa Marta rappresenta un cantón, ovvero una frazione, di Ciudad Victoria (fig. 1b), ubicata nella parte settentrionale del dipartimento. Fig. 1b Suddivisione amministrativa del dipartimento di Cabañas Victoria è divisa in una zona urbana e in 11 cantón: di questi, tuttavia, uno (Peña Blanca) è pressoché disabitato. Al 2011 la popolazione totale della municipalità risultava essere composta di 13.166 abitanti, di cui 1701 nella zona urbana e 11.465 in quella rurale. Nell’area urbana la popolazione maschile è di 823 e quella femminile è di 878 individui; in quella rurale la sproporzione tra maschi (5419) e femmine (6046) è assai più evidente. Fig. 2 piramide delle età di Victoria La piramide delle età del complesso del Municipio di Victoria (fig.2) evidenzia come questa sproporzione tra maschi e femmine si manifesti soprattutto a partire dai 20 anni e sia particolarmente evidente nella fascia di età lavorativa. In gran parte questo fenomeno riflette gli effetti dei processi di emigrazione verso gli Stati Uniti e l’Europa, che riguardano in misura maggiore la popolazione maschile, anche se, in qualche misura – per le fasce di età meno giovani – può incidere anche la mortalità maschile legata alla guerra civile. Al tempo stesso, la piramide delle età mostra la fortissima incidenza della popolazione inferiore ai 20 anni e la debole incidenza delle fasce anziane. Una caratteristica legata alla ubicazione geografica del Salvador, che incide fortemente sulla sua condizione sociale è la forte esposizione ai rischi di calamità naturali. Come ampia parte dell’area centroamericana, infatti, si tratta di una zona a forte sismicità (l’ultimo terremoto di particolare gravità si è verificato nel 2001), cui va aggiunta la presenza di un largo numero di vulcani attivi, nonché l’esposizione ad eventi climatici estremi, come uragani o forti precipitazioni, che causano ricorrenti inondazioni. Oltre che a cause naturali, tuttavia, il rischio ambientale è dovuto anche alla forte pressione antropica, che ha prodotto, ad esempio, un esteso disboscamento ed ha visto la proliferazione di insediamenti umani in zone improprie, quali aree sondabili o terreni franosi. La elevata presenza di terreni esposti a frane o smottamenti riguarda anche il Municipio di Victoria e, in particolare, il cantón di Santa Marta. Il cambiamento climatico, d’altra parte, sta accentuando e modificando la tipologia dei rischi. Se l’esposizioni ad uragani è sempre stata tipica dell’area centroamericana, nel periodo più recente si è assistito anche a fenomeni meno usuali come a fortissime precipitazioni causate da aree di bassa pressione. In particolare, il 10 ottobre del 2011 il paese fu colpito dalla Depressione Tropicale 12E che provocò in pochi giorni la caduta di 1504 mm. di acqua: una quantità superiore a quella registratasi in occasione dell’arrivo dell’uragano Mitch nel 1998, che rappresentò una delle calamità più gravi (non solo per il Salvador) degli ultimi 20 anni. Essa ha determinato la morte di 34 persone, smottamenti in molte aree del paese e forti danni all’agricoltura. La zona maggiormente colpita da tale calamità è soprattutto quella costiera (ad esempio quella prossima alla foce del Rio Lempa); Santa Marta, al contrario, non ha subito particolari danni. 3. Santa Marta: la guerra civile, l’esilio e il ritorno Ogni possibile interpretazione – o anche semplicemente descrizione - della struttura socioeconomica, culturale e persino fisica di Santa Marta non può fare a meno di riferirsi alle vicende della storia recente che hanno condotto all’attuale costituzione di questa comunità5. Santa Marta, infatti, è per molti aspetti un’entità sociale ricostituita, ossia profondamente ridefinita in ogni suo aspetto dalla drammatiche vicende della guerra civile. Di questo vi è una intima consapevolezza in ciascuna delle persone che abbiamo incontrato: quasi sempre i racconti delle storie individuali e collettive che abbiamo ascoltato prendono l’avvio dalla fase compresa tra la fine degli anni ’70 e il momento della firma degli accordi di pace, il 16 gennaio 1992, che hanno posto fine ad una guerra che ha sconvolto l’intero paese. Per Santa Marta la guerra ha avuto effetti distruttivi particolarmente profondi e, al tempo stesso, ha svolto un ruolo di radicale trasformazione e – come già si è accennato – di vera e propria rifondazione della struttura sociale. 5 Nel presente scritto, il termine “comunità” viene usato con un’accezione che corrisponde ad una di uso corrente in America Latina, vale a dire come villaggio rurale dotato di una identità propria e percepito come chiaramente distinguibile da altri insediamenti analoghi. Non vi è, dunque, un riferimento esplicito od implicito al modello tönniesiano di comunità; alcune riflessioni a riguardo di un possibile confronto tra tale modello e la realtà di Santa Marta saranno svolte nel paragrafo conclusivo. Prima della guerra, S. Marta aveva caratteri sostanzialmente diversi da quelli attuali: anche se, come ora, si presentava come una comunità rurale con forti tratti di autosufficienza, aveva dimensioni maggiori ed era territorialmente più frammentata. Inoltre, la proprietà della terra era in mano ad un numero limitato di proprietari agricoli (in particolare 4); le condizioni di vita della popolazione erano complessivamente peggiori e – soprattutto – si manifestavano in forme più acute le diseguaglianze sociali, accompagnate ad una forte clima di repressione di ogni tentativo di riforma sociale. Sul finire degli anni ’70, anche in questa comunità – come in molte altre del paese – si è avuta la diffusione di comunità cristiane di base, sostenuta dalla predicazione di sacerdoti vicini alle idee della teologia della liberazione. Questo ha favorito, da un lato, una maggiore e diffusa consapevolezza dei propri diritti da parte della popolazione e, dall’altro lato, un atteggiamento sempre più aggressivo da parte delle autorità e soprattutto dell’esercito, atteggiamento che si concretizzava nella cattura di soggetti ritenuti pericolosi, in rastrellamenti e in continue minacce alla popolazione. Anche a S. Marta, poi, non sono mancate in questo periodo sparizioni ed assassini politici che, a loro volta, hanno spinto la popolazione a dotarsi di una organizzazione sempre più strutturata come mezzo di autodifesa. La situazione divenne ancora più drammatica all’inizio degli anni ’80, dopo l’assassinio di Monsignor Romero e il passaggio da una fase latente di conflitto armato ad una esplicita guerra civile nel paese. L’adozione da parte dell’esercito di una strategia di “tierra arrasada” (terra bruciata) rese insopportabili le condizioni di vita della popolazione nelle aree considerate come zone di sostegno alla guerriglia e, dunque, coinvolte in un piano di sistematica distruzione. Di queste facevano parte numerose aree dei distretti interni del Salvador, come Cabañas, Chalatenango e Morazán. A S. Marta, sotto l’incalzare dell’esercito, la popolazione fu costretta a fuggire il 17 marzo 1981, per cercare rifugio nel vicino Honduras. Accanto a quella di Santa Marta, dovette fuggire anche la popolazione di Peña Blanca e parte di quella di El Zapote. Durante la marcia, tuttavia, e soprattutto durante l’attraversamento del rio Lempa, che segna il confine tra i due paesi, la popolazione della comunità fu direttamente attaccata dall’esercito con gli elicotteri e si ebbero pesanti perdite, oltre che numerose catture, che crearono fratture insanabili in molte famiglie. Grazie anche alla presenza di alcuni sacerdoti e osservatori internazionali, una parte cospicua della popolazione riuscì comunque a raggiungere l’Honduras e a trovare rifugio dapprima a los Hernández e in seguito – grazie alla intermediazione dell’agenzia per i rifugiati dell’ONU, l’UNHCR -, a La Virtud. Qui, la comunità restò per tutto il resto del 1981 e parte del 1982. Nel corso del 1981, dopo che l’offensiva dell’esercito si fu esaurita, una parte della popolazione tornò nella zona di Santa Marta: si voleva evitare che il territorio fosse lasciato definitivamente in mano al nemico. Tuttavia, nel mese di novembre fu lanciata una nuova offensiva che costrinse ancora una volta alla fuga le famiglie che avevano ripopolato la zona. Spinta in direzione ovest dall’avanzata dell’esercito, l’11 novembre la popolazione, accompagnata da un piccolo gruppo di guerriglieri, cadde in un’imboscata presso Santa Cruz, nei pressi di un passaggio obbligato; qui ci fu un massacro i cui superstiti furono ancora ospitati dall’accampamento di La Virtud. A causa dell’eccessivo affollamento di questo campo, l’UNHCR negli ultimi mesi dell’anno propose un ulteriore spostamento verso una zona piuttosto vicina alla frontiera del Salvador, Mesa Grande a San Marcos de Ocotepeque. Nonostante i pericoli che questa vicinanza comportava (e che, in effetti provocò negli anni a seguire numerose vittime, unitamente all’atteggiamento aggressivo dello stesso esercito honduregno) questo spostamento fu accettato dalla popolazione: l’alternativa era infatti un sito più all’interno dell’Honduras che avrebbe comportato un più drastico allontanamento dalla zona di origine. Così, a Mesa Grande fu organizzato un campo profughi diviso in 7 accampamenti, con la presenza permanente dei rappresentanti dell’UNHCR. Per quasi 5 anni quest’area divenne un luogo stabile di insediamento di rifugiati comprendente, in totale, circa 11.000 persone. In esso si trovavano non solo persone provenienti da S. Marta, ma anche rifugiati di altre zone del dipartimento di Cabañas o di altri dipartimenti, come Cuscatlán o S. Vicente. Qui venne a costituirsi, nel tempo, non solo una situazione abitativa meno provvisoria che all’inizio (nel 1984, ad esempio, vengono costruite case in legno per le famiglie) ma anche una organizzazione sociale capillare – già in parte delineatasi durante la permanenza a La Virtud - strutturata su diverse aree di intervento: scuola, sanità, attività religiose, attività produttive (ad esempio, attività artigianali per la produzione di abiti, scarpe, amache, o officine per le riparazioni meccaniche). Di grande importanza, in questa fase, è la presenza organizzata delle donne, cui si deve il forte impulso all’insegnamento popolare. A partire dal 1986, iniziarono le trattative con le organizzazioni internazionali per il rimpatrio dei rifugiati, nonostante la permanenza di condizioni critiche dovute al perdurare della guerra nel Salvador. Nonostante l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite avesse proposto anche altre alternative – come l’acquisizione della nazionalità honduregna o lo spostamento in un terzo paese – la scelta dei rifugiati fu quella di rientrare nelle aree di rispettiva provenienza. Dopo molti mesi di trattativa, il primo gruppo di rientranti poté partire il 10 ottobre 1987; di esso facevano parte le famiglie che tornarono a ripopolare S. Marta, insediandosi nei pressi del complesso scolastico, peraltro in gran parte distrutto. Il primo insediamento della “nuova” Santa Marta ammontava a 1008 persone. Con il successivo ritorno di altri gruppi e con il forte appoggio di chiese cristiane, UNHCR ed altre associazioni internazionali (tra cui i volontari statunitensi di Doctors for Global Health, oltre a rappresentanti di molte chiese protestanti, come la presbiteriana, la luterana, l’anglicana) la comunità tornò a ricostituirsi, riproducendo in patria quelle forme di organizzazione che erano state create durante l’esilio honduregno e, soprattutto, affrontando questa nuova difficile fase con lo spirito che aveva reso possibile la sopravvivenza negli anni precedenti. Inoltre l’esperienza accumulata permise di minimizzare i danni nel periodo finale della guerra, pur trascorso con una presenza costante di combattimenti nelle aree vicine. Questa sinergia tra una forte organizzazione endogena e l’aiuto internazionale, cui si deve la realizzazione di numerosi progetti, è rimasta una costante anche nella fase successiva agli accordi di pace ed ha consentito a S. Marta di consolidare la sua struttura fisica e sociale (pur con qualche incongruenza determinata da una certa casualità nella riassegnazione degli spazi ai gruppi di ritorno dall’Honduras). Inoltre, la coscienza maturata negli anni dell’esilio e il ricordo dell’esperienza compiuta – con i suoi aspetti drammatici e con la sua forte enfasi sui valori di solidarietà e di tenacia nella difesa dei propri diritti – ha continuato sino ad oggi a rappresentare il fondamento culturale di quel consolidamento, anche se, con l’allontanarsi di quella “fase eroica” della resistenza e della rifondazione, questa cultura è esposta in misura crescente, come vedremo, alle sfide derivanti dal contesto più ampio in cui la comunità si colloca6. 4. La struttura insediativa Oggi S. Marta si presenta come un insediamento rurale abbastanza compatto, che, come già accennato, dal punto di vista amministrativo rappresenta un cantón della città di Victoria, da cui dista circa 9 km. Si tratta, comunque, di una distanza piuttosto ragguardevole, dato che la strada è in condizioni tali da rendere necessario impiegare circa 40 minuti con un veicolo a motore per raggiungere la sede della municipalità. Più agevole è la strada che congiunge Victoria a Sensuntepeque, capoluogo del distretto di Cabañas, sede di un grande mercato e di altre funzioni importanti, come ad esempio quelle ospedaliere: la distanza di Santa Marta da Sensuntepeque è di circa 20 km e può essere coperta in circa un’ora con i pullman locali. 6 Per un approfondimento delle vicende relative all’esilio e al ritorno della comunità si veda Ades (2005). Secondo i dati fornitici dalla Unidad de Salud al dicembre 2010 la popolazione della comunità era di 2802 abitanti. La suddivisione della popolazione in base alle colonie, in cui Santa Marta si suddivide, è riportata nella tab.1. Tab. 1 Popolazione di S. Marta (2010) per colonie Colonia Población 5 de Noviembre Los Laureles 10 de octubre El Campo Buenos Aires La Ceiba San Felipe Las Vegas El Rodeo Brisas 67 363 354 248 321 397 374 292 117 269 Totale 2802 Fonte: Censimento della popolazione. Unidad de Salud Santa Marta (dic. 2010) Degli abitanti al 2010, 1340 sono uomini e 1462 sono donne. Ci è stato anche riferito che la popolazione al 2011 risulta essere di 2810 persone, mentre nel 2002 era di 2826. Essa, dunque, è rimasta pressoché costante nel corso degli anni 2000; a spiegazione di questa stabilità, il responsabile sanitario della municipalità ci ha detto che un ruolo importante è rappresentato dai tassi di natalità che – pur in un contesto di natalità elevata in termini assoluti – a Santa Marta sono relativamente più contenuti: sono addirittura i più bassi dell’intero distretto di Cabañas. Oltre a ciò, ovviamente, debbono essere considerati anche gli effetti della emigrazione, specie – come si è detto, per la popolazione maschile. Per quanto riguarda la piramide delle età, essa appare fondamentalmente analoga a quella dell’intero municipio di Victoria, anche se è meglio visibile la riduzione delle nascite nel periodo più recente (si veda la fig. 2) Fig. 2 Piramide delle età di Santa Marta PIRAMIDE POBLACIONAL AÑO 2010 80+ -28 75-79 70-74 29 -20 24 MASCULINO FEMENINO -18 25 65-69 -27 25 60-64 -31 46 55-59 -37 44 -32 43 50-54 45-49 -41 40-44 -46 35-39 -57 63 81 74 . 30-34 -70 90 25-29 -71 88 20-24 -147 15-19 -227 10.-14 -222 5.-09 0-4 150 234 194 -128 -107 131 107 1 Come già accennato, l’area di Santa Marta risulta divisa in numerose “colonie”, ovvero raggruppamenti – più o meno estesi e concentrati - di case: essi corrispondono per lo più a contingenti di popolazione che, nella parte finale della guerra, hanno ripopolato l’area, occupandone in tempi successivi differenti ambiti spaziali. Altre indicazioni toponomastiche vengono talora citate (ad esempio, La Tapada): esse si riferiscono ad agglomerati minori, inclusi nelle colonie. Fig. 2. Mappa schematica dell’insediamento di Santa Marta Complessivamente l’insediamento di Santa Marta sembra poter essere sommariamente diviso in due parti. Quella più alta gravita attorno alla piazza principale, presso cui fanno capolinea gli autobus diretti a Sensuntepeque e nei cui pressi si trovano l’asilo (il kinder, o parvularia) con il relativo campo giochi (columpio), l’asilo nido (guardería) ed alcune delle non molte attività commerciali. La parte più bassa ha come luogo centrale la cancha, il campo di calcio, su cui insistono anche la Chiesa, la scuola, la clinica e la clinica di riabilitazione (rehab), oltre ad alcune altre attività commerciali. Nella parte alta, ci sono le seguenti colonie: La Ceiba, Los Laureles, Buenos Aires, 5 de novembre; nella parte bassa si trovano le colonie di Las Vegas, Las Brisas, El Campo, Valle Nuevo. Quest’ultima è una zona di nuovo insediamento (che, come si è visto, non compare nella toponomastica della precedente tabella). La colonia 10 de octubre, che è la prima ad essersi reinsediata dopo il ritorno dall’Honduras nel 1987 ed ha per nome la data di quel ritorno, si trova in posizione centrale tra le due parti ed è vicina al posto della Polizia Nazionale Civile, di fronte al quale si trova anche un negozio che, nelle ore serali, funge da pupuseria (vale a dire offre pupusas, un piatto tipico del Salvador a base di focacce di mais ripiene, che si consuma collettivamente. Le pupuserie, piuttosto frequenti nei centri urbani, hanno una funzione analoga a quella delle pizzerie in Italia). Le colonie ora citate costituiscono un insediamento relativamente compatto; oltre ad esse, tuttavia, fanno parte anche altri raggruppamenti di case. I più importanti sono El Rodeo e San Felipe: entrambi sono dotati di piccoli centri scolastici, hanno un consiglio di frazione (Adesco) distinto da quello di Santa Marta, ma fanno comunque parte del cantón. Da un punto di vista sociale, la parte bassa (o, quanto meno, quella più vicina al campo di calcio ed alla chiesa) appare complessivamente meno svantaggiata di quella alta: in essa, ad esempio, si trovano alcune case di migliore fattura, mentre nella parte alta – specie a monte della piazza – si trovano abitazioni più piccole, in alcuni casi semplici capanne (in particolare nella colonia La Ceiba). Le case sorgono al centro di appezzamenti di terreno di dimensione variabile; la loro ampiezza è in parte frutto del caso, in quanto dipende dalla morfologia dei luoghi occupati dalle singole famiglie al momento del ritorno a Santa Marta durante la parte finale della guerra. Le case migliori sono costruite con mattoni di cemento, con travature in tondino di ferro e coperture in lamiera: sempre più frequente, d’altra parte, è la copertura con tegole in laterizio. Il lotto può comprendere una o più case (nel secondo caso, abitate per lo più da membri della famiglia allargata). Le abitazioni, quasi tutte con un solo piano fuori terra, hanno camere che si affacciano direttamente su un portico, che corre lungo uno o (generalmente) due lati della casa stessa. Nella zona a portico è poi spesso sistemata la cucina; poco distante stanno le latrine e la zona destinata al lavaggio degli alimenti, del vestiario e delle stesse persone. Questa tipologia, peraltro, corrisponde ad una condizione media o medio-alta; solo le case più ricche posseggono servizi igienici interni e, magari, un giardino. Viceversa le case più povere possono essere costruite semplicemente con legno e lamiera, oppure in “bahareque” (a travature di rami e legno grezzo e tamponamenti in fango essiccato) e non posseggono pavimenti in materiali solidi, ma solo in terra battuta. Esse possono essere formate anche da un unico locale, talora privo di finestre. Durante gli anni di svolgimento del progetto di “Psicologi nel Mondo – Torino” si è potuto assistere ad un lento miglioramento di parte delle condizioni abitative della popolazione. In particolare, un piano attuato dal governo di centro-sinistra del presidente Mauricio Funes (eletto nel marzo del 2009) ha permesso ad alcune famiglie di costruire una nuova abitazione o di riqualificare quella esistente. Tuttavia, poiché la possibilità di usufruire dei vantaggi previsti dal piano dipende da un complesso di condizioni, tra cui il versamento mensile di una quota in denaro di alcune decine di dollari, solo le famiglie in condizioni non totalmente problematiche hanno potuto ottenere un miglioramento della propria condizione abitativa. Per alcuni aspetti, ne risulta ancor più accentuato il divario sociali tra la maggioranza della popolazione ed i gruppi più radicalmente svantaggiati. Fig. 3 Struttura tipica di un’abitazione di livello medio Fig. 4 Casa in bahareque I punti focali dello spazio pubblico – come si diceva – sono quello adiacente al campo di calcio e la piazza superiore. Il calcio rappresenta un fattore importante di aggregazione sociale: ogni colonia possiede delle proprie squadre (maschili e femminili) e vengono frequentemente organizzati dei tornei. La piazza superiore si anima soprattutto nelle ore del pomeriggio. In alcuni periodi vi si svolge la vendita del latte di soia e delle frittelle ricavate dalla soia spremuta: è questa una iniziativa di una famiglia, che sembra riscuotere un buon successo soprattutto da parte dei giovani. In ogni caso, vi sono nei dintorni alcuni chioschi che vendono bibite: uno di questi è gestito dal gruppo dei lisiados de guerra (gli invalidi). Nella piazza, inoltre, era presente un capannone, denominato “garage”, che veniva usato in alcune occasioni per l’organizzazione di feste da ballo o altri momenti di incontro. Nel novembre 2011, su iniziativa del Municipio di Victoria, è iniziata la costruzione di una “casa comunal”, a lungo richiesta dalla popolazione di Santa Marta: si tratta di un ampio locale (di 36 metri di lunghezza) destinata sostanzialmente a feste collettive e spettacoli, dotata di un’ampia sala, servizi, spogliatoi. La conclusione dei lavori è prevista per marzo 2012. Per il resto, lo spazio pubblico è rappresentato da un ristretto numero di vie principali (in particolare quella proveniente da Victoria, che attraversa il paese sino alla piazza) e da un reticolo di vie minori e di sentieri. La via principale ha a tratti una sommaria lastricatura in pietra, leggermente migliorata nel corso degli ultimi anni; il resto delle strade e dei sentieri è in terra battuta. Alcune strutture rappresentano anche punti di incontro per la popolazione: in particolare il complesso scolastico ha una sala di incontro utilizzata anche per riunioni pubbliche; la chiesa offre possibilità di incontro per i fedeli (anche se, come si vedrà tra poco, esiste una divisione religiosa che fa sì che essa sia un punto di riferimento solo per una parte dei cattolici); la clinica ha uno spazio all’aperto con alberi di mango che offrono un ambiente piacevole per discussioni di gruppo; tra breve la “casa comunal” rappresenterà una ulteriore risorsa per i momenti festivi e l’attività culturale. Oltre ai punti di incontro fissi, vi sono poi ulteriori occasioni di socializzazione, legati a ricorrenze, come le finali dei tornei di calcio, la festa di Santa Marta (il 29 di luglio), la ricorrenza del ritorno dall’Honduras (10 di ottobre), la cerimonia tradizionale della Hallada del Niño (in gennaio)7. 5 La struttura economica Osserviamo ora in modo sintetico le questioni legate al quadro economico, iniziando a delineare alcuni elementi che riguardano lo scenario nazionale, per poi passare ad esaminare i caratteri specifici di Santa Marta 5.1 Il quadro nazionale e gli squilibri territoriali Il Salvador vede negli anni 2000 (ancor prima della crisi apertasi nel 2008) una crescita economica piuttosto debole, dopo avere attraversato una fase di sviluppo più intenso negli anni ’90, nel periodo immediatamente successivo agli accordi di pace. Questo è testimoniato dall’andamento del PIL che, dopo essere cresciuto in media del 6,2% tra il 1991 e il 1995 e dopo aver rallentato facendo registrare un tasso medio del 2,9% nel periodo 1996-2000, nel quadriennio seguente è aumentato solo dell’1,8%. Il maggiore contributo è quello del settore industriale e del settore della costruzione: in questo ultimo caso, tuttavia, il dato mediamente positivo è dovuto all’intervento pubblico dopo il terremoto del 2001; ma la rapida crescita negli anni 2001-2003 è stata subito seguita da un forte calo nel 2004. Nel totale, appare molto limitato l’apporto del settore agricolo (crescita dello 0,2% in media nei primi 4 anni del secolo; ma nei dieci anni precedenti era addirittura in calo). Per effetto di questa stagnazione, la perdita di posti di lavoro nel settore agricolo è stata di 96.880 soggetti tra il 1997 e il 2003, con un passaggio da 527.342 a 530.462 occupati (-18% del totale). Questa crisi occupazionale dell’agricoltura, accompagnata da una debolezza occupazionale che riguarda pressoché tutti i settori, alimenta l’emigrazione negli Stati Uniti, che vede protagonisti soprattutto giovani maschi provenienti dalle aree rurali del paese8. Un aspetto che emerge a livello nazionale in modo molto evidente è la forte differenza di condizioni socioeconomiche che si pone tra la città e la campagna e in modo particolare tra la capitale, San Salvador, e le zone rurali. Tra i 14 distretti in cui si suddivide il paese, quello che comprende la capitale presenta quasi sempre valori più favorevoli negli indicatori socioeconomici, mentre i distretti esterni (ed in particolare, quelli che comprendono aree montagnose, come Morazán. Chalatenango e Cabañas) presentano i valori più sfavorevoli. Così, ad esempio, di fronte ad un reddito medio familiare di San Salvador di 547,37 dollari/mese nel 2004, quello di Morazán – il più basso in assoluto – è di 270,58 dollari mese; mentre nella capitale la percentuale di popolazione sotto il livello di povertà è del 24%, nel Morazán supera il 55% (Quiteño, Vega, 2006). Di fronte ad un indice di sviluppo umano del distretto capitale di 0,788, quello di Morazán è di 0,624. Tra l’altro, i distretti agricoli più poveri sono anche quelli che tuttora portano le conseguenze più gravi della guerra civile, sia perché tra le sue cause principali vi erano le ineguaglianze derivanti dal sistema latifondistico dominante, sia perché la guerra stessa è stata combattuta principalmente proprio nelle aree montane e in quelle esterne del paese. 7 Tale festa tradizionale ricorda il ritrovamento di Gesù tra i dottori del tempio, attraverso una rappresentazione scenica in versi. A questa, tuttavia, sono aggiunti momenti di gusto più fortemente popolare, come il combattimento – mimato da due giovani – tra l’angelo e il diavolo. 8 I dati qui riportati sono tratti dal rapporto a più mani “El Salvador por dentro”. Si tratta di una relazione di ricerca promosso da 4 associazioni (Las Dignas, Centro para la defensa del Consumidor, FESPAD, IDHUCA) e finanziato da alcune organizzazioni religiose ed umanitarie. La sua prima edizione, stampata presso i laboratori grafici della UCA, è del 2005. In ogni caso, il forte squilibrio tra città e campagna è un fenomeno strutturale nel paese: esso è evidenziato dai dati sulla distribuzione territoriale della povertà. Tab. 2. Percentuale di popolazione in condizioni di povertà totale, estrema e relativa (2003) Aree urbane Aree rurali Totale El Salvador Cabañas Povertà totale 34,0 55.8 42,9 65,0 Povertà estrema 12,2 29,1 19,2 36,6 Povertà relativa 21,8 26,6 23,8 28,4 Fonte: “El Salvador por dentro”: elaborazioni su dati PNUD e IDHES, 2003 Da questi dati, si può, tra l’altro, ricavare anche la condizione particolarmente negativa di Cabañas, che è in assoluto il dipartimento salvadoregno con i più elevati tassi di povertà totale e di povertà estrema. Per completare lo scenario, è necessario ancora ricordare un fattore fondamentale: la forte dipendenza del paese dal sistema economico internazionale e, in particolare, dagli Stati Uniti. Il Salvador, nel 2006, è stato il primo paese ad aderire al Trattato del Libero Commercio tra Stati Uniti, Centroamerica e Repubblica Dominicana (DR-CAFTA). Uno degli aspetti più immediatamente percepibili dell’integrazione internazionale del Salvador è la introduzione del dollaro come moneta di scambio nel 2001 per mezzo della Ley de integración monetaria, che ha fissato un cambio con la precedente moneta, il colón9, di 8,5 colones per 1 dollaro. Questa misura, che in un primo tempo ha dato luogo ad un bimonetarismo, con la compresenza del dollaro e del colón, ha rapidamente provocato la scomparsa di fatto della precedente valuta locale. Questa misura, se da un lato ha favorito la stabilizzazione della moneta, dall’altro lato ha provocato dei contraccolpi sul bilancio familiare, favorendo (assieme ad alte cause) l’aumento dei prezzi di beni anche di prima necessità10. D’altra parte, i livelli di inflazione del paese risultano in notevole aumento in questi primi anni del ventunesimo secolo; infatti, secondo valutazioni basate su cifre ufficiali, mentre l’inflazione accumulata tra il 1997 e il 2001 era stata del 10,8%, nel periodo 2002-2006 ha raggiunto il 19,9%. A ciò si aggiunga la forte presenza di immigrati salvadoregni negli Stati Uniti: si calcola che nel paese nordamericano ne risiedano oltre 2.200.000, con una forte concentrazione soprattutto a Los Angeles, S. Francisco e New York. Questo ha una duplice conseguenza: da un lato fa sì che le rimesse degli emigrati rappresentino una voce fondamentale dell’economia nazionale; dall’altro lato intensifica un rapporto di dipendenza del Salvador nei confronti degli Stati Uniti. Nel loro insieme le rimesse degli emigrati rappresentano oggi quasi il 20% del reddito complessivo del paese e questa cifra appare in continua crescita. Infatti, l’ammontare complessivo dei redditi inviati ai familiari dai salvadoregni residenti all’estero, che era di 1.750 milioni di dollari nel 2000, è quasi raddoppiato nel corso di sei anni, passando nel 2006 a 3.300 dollari (il 17% del PIL). 5.2 Santa Marta: agricoltura, commercio, attività artigianali Nei confronti delle altre comunità rurali del paese, Santa Marta si distacca per un’importante fattore: la proprietà collettiva della terra, gestita sotto forma cooperativa. Infatti, dopo il ritorno dall’esilio honduregno – grazie agli aiuti internazionali – è stato possibile da parte della 9 Il colòn era stato introdotto in sostituzione della precedente moneta, il peso, nel 1892, in omaggio a Cristoforo Colombo in occasione del 400esimo anniversario della scoperta dell’America. 10 Questo problema è aggravato, nel periodo più recente, dalla generalizzata tendenza mondiale ad un aumento dei costi dei beni alimentari. comunità comprare il terreno agricolo dai proprietari terrieri che lo possedevano. Si trattava principalmente di 4 famiglie: Guayabal, 2 fratelli Gonzales, Beltrán. Le acquisizioni sono avvenute dapprima gradualmente, attraverso l’acquisto di piccoli lotti e poi, dopo una trattativa, l’intero territorio agricolo è divenuto proprietà comunitaria. Questo fatto è unico nel paese: ci è stato sottolineato con orgoglio il fatto che tutto si è svolto nel pieno rispetto della legalità, a differenza di quanto è avvenuto in altre località, dove ci sono state delle vere e proprie occupazioni di terre, dando luogo a forti conflitti. Nonostante ciò, a Santa Marta si è avuta una disputa legale, relativa a parti delle proprietà acquisite: una ex proprietaria, infatti, ha iniziato un’azione legale cercando di far dichiarare nulla la cessione delle sue proprietà, che era stata operata da un intermediario che avrebbe operato in proprio senza tenere conto delle indicazioni della proprietaria stessa. Tale vicenda legale non si è ancora del tutto conclusa, ma appare destinata ad una composizione pacifica, anche perché il Governo del Presidente Funes ha provveduto a destinare fondi per la compensazione degli eredi (la proprietaria, infatti, è deceduta dopo avere iniziato l’azione legale). Al di là di questo, tuttavia, la gestione dell’attività agricola – per quanto affidata ad una cooperativa – viene di fatto condotta in forme tradizionali. Ciascun agricoltore coltiva uno specifico pezzo di terreno, dal quale trae il suo sostentamento, e lo fa secondo modalità di gestione familiare: nei periodi di più intensa attività (soprattutto da marzo a novembre) l’uomo va nei campi ed è successivamente raggiunto dalla moglie, che nel frattempo ha svolto attività domestiche. Gli indirizzi colturali sono anch’essi tradizionali: i prodotti sono principalmente mais, fagioli, sorgo e poco altro. Solo in alcune case, vi è un orto nel lotto residenziale, con animali da cortile e qualche albero da frutta. Sostanzialmente, l’agricoltura rimane volta alla sussistenza dei gruppi familiari e non produce surplus vendibili sul mercato. Anzi, molti dei generi alimentari consumati a Santa Marta – in particolare riso, frutta e verdura – provengono dai mercati di Victoria o Sensuntepeque, o sono portati nella comunità da venditori ambulanti. Alcuni tentativi di modernizzazione dell’attività agricola sono stati compiuti nel periodo recente, anche con l’appoggio di progetti internazionali. Tra questi si può citare l’introduzione di una serra (invernadero) per la coltivazione di ortaggi: essa consente di fornire la comunità di verdure, come il pomodoro o l’insalata, che sono scarsamente diffuse e che consentono di integrare una dieta che è tradizionalmente povera di vitamine, con conseguenze negative sulla salute degli abitanti. Tuttavia, si tratta per il momento di un’attività di limitato impatto economico, che non ha prodotto importanti effetti di innovazione negli indirizzi dell’attività agricola. Altro tentativo di sviluppo è stata l’introduzione di vasche per l’allevamento del pesce in abitazioni private. Una di queste è stata gestita per un certo periodo di tempo da un gruppo di donne; un altro ha gestito un piccolo allevamento di pollame. In entrambi i casi, tuttavia, si è trattato di esperienze transitorie. La debolezza dell’economia agricola di Santa Marta si accompagna ad una carenza di attività artigianali e commerciali, ad eccezione di poche unità, la cui portata è limitata esclusivamente al servizio della popolazione locale. Anche a riguardo dell’artigianato alcune iniziative hanno avuto vita breve, come quella relativa alla produzione di oggetti in ceramica. In funzione di tale carenza di iniziativa, sono pressoché nulle le attività volte a produrre beni destinati alla vendita fuori della comunità stessa. A partire dal 2010, per impulso del progetto di “Psicologi nel Mondo – Torino” è stato recentemente impiantato un piccolo laboratorio per la produzione di oggetti in legno (giochi didattici, portachiavi, puzzle ecc.). Esso è gestito da un gruppo di giovani che ha intrapreso la procedura per trasformarsi in una vera e propria cooperativa legalmente riconosciuta. E’ tuttavia presto per poter predire il potenziale impatto di questa iniziativa. Ciò che si può in ogni caso constatare è una mancanza di tradizioni produttive nei settori diversi dall’agricoltura e una difficoltà, da parte delle iniziative intraprese in campo artigianale e produttivo, ad assumere una struttura organizzativa stabile, in grado di garantire la loro continuità e a trasformarsi in fonti di reddito permanenti per chi ci lavora. 5.3 Emigrazione e cooperazione internazionale In parte, la debolezza dell’iniziativa economica va anche posta in relazione con il forte peso dell’emigrazione: come nel resto del paese, infatti, anche Santa Marta beneficia delle rimesse degli emigrati e in particolare dei soggetti che lavorano (in forme regolari o non regolari) negli Stati Uniti. A Santa Marta, come in tutto il Salvador, le rimesse degli emigranti rappresentano indubbiamente una risorsa, ma comportano anche una diversificazione sociale: chi ha parenti in America che inviano denaro gode di condizioni migliori di vita; chi non ne ha si trova in condizione di maggiore svantaggio. Peggiore ancora è la condizione delle donne che sono state semplicemente abbandonate dai compagni che sono partiti per gli Stati Uniti, spesso utilizzando per intero i risparmi familiari per pagare i mediatori dell’immigrazione clandestina (i cosiddetti coyotes). Anche chi mantiene i contatti e riceve rimesse, tuttavia, rischia di vedere nel tempo un peggioramento delle proprie condizioni economiche, se non possiede altre fonti autonome di reddito: è probabile, infatti, che le rimesse diminuiscano in proporzione del tempo trascorso dal partner all’estero (Zuercher, Bodach, 2007). Ad ogni modo, non pare che le rimesse degli emigranti stiano stimolando un consistente miglioramento dell’attività economica: i redditi ottenuti in tal modo non sembrano essere investiti nell’agricoltura o nel commercio, ma piuttosto spesi per un ampliamento della casa (magari per la costruzione di nuove stanze destinate ad ospitare il membro della famiglia in vista di un suo possibile ritorno) o in beni di non immediata necessità, come i televisori o altri beni di consumo che assurgono al ruolo di status symbol. Più recentemente, Santa Marta ha anche visto un incremento di veicoli privati: auto e motociclette. Per quanto non si abbiamo dati specifici su questo fenomeno a livello locale, appaiono coerenti con le osservazioni svolte a Santa Marta le conclusioni di uno studio dell’Universidad Luterana Salvadoreña sulle conseguenze sociali dell’emigrazione nella zona del Basso Lempa (Zuercher, Bodach, 2007). In tale lavoro, si documenta attraverso indagini sul campo che le rimesse vengono usate in primo luogo per spese di alimentazione e salute e, secondariamente, per migliorare l’abitazione: solo una quota minore è usata per l’agricoltura o altra attività produttiva. Si può ancora aggiungere che, in qualche misura, i fatto di ricevere rimesse – e, soprattutto, di riceverle regolarmente – appare tra i fattori che scoraggiano la partecipazione comunitaria degli abitanti. Un’altra risorsa per Santa Marta, come si è detto, è legata agli aiuti internazionali che, tuttavia, riguardano principalmente infrastrutture o il funzionamento di servizi; più deboli sono i tentativi di creare un’imprenditoria locale, anche sotto forma cooperativa. Questo ha consentito, ad esempio, di dar vita all’attività di un laboratorio di panetteria e pasticceria, che rappresenta una delle poche attività artigianali e commerciali di successo; in altri casi, come già si è detto, si è andati incontro ad un fallimento. Una caratteristica degli aiuti internazionali è la loro strutturazione per “progetti”: essi ciò comportano la creazione temporanea di posti di lavoro legati ad una specifica attività e ad un budget ad essa collegato. Anche se tali progetti passano in genere attraverso organizzazioni locali e implicano in genere l’erogazione di bassi salari, essi sembrano comunque creare effetti di dipendenza: una quota della popolazione – e, spesso, proprio quella più scolarizzata e dotata di competenze – entra ed esce dal lavoro legato ai vari progetti e dunque, alla conclusione di uno di essi, tende ad aspettare l’inizio di un altro, piuttosto che impegnarsi in attività innovative dal punto di vista economico. I contatti internazionali hanno poi un altro effetto economico diretto: essi infatti implicano anche il passaggio nel villaggio di molte delegazioni straniere e questo alimenta una modesta attività “ricettiva”, che va a vantaggio di alcune famiglie in grado di affittare camere o di preparare pasti per gli ospiti. Qualora questa attività fosse potenziata, migliorando le condizioni di ricettività, l’accoglienza di stranieri potrebbe evolvere dando vita a veri e propri programmi di “turismo responsabile” o “solidale”, stimolati dal desiderio di conoscere la realtà dell’area e la sua peculiare vicenda storica. Per il momento, comunque, si è ancora alquanto lontani da questa condizione, anche se, all’inizio del 2012 abbiamo avuto notizia di una iniziativa, favorita da ADES, mirata alla organizzazione di percorsi escursionistici destinati a delegazioni che visiteranno Santa Marta nei prossimi mesi. Questa iniziativa, che dovrebbe coinvolgere un gruppo di giovani, dovrebbe comportare anche la risistemazione di sentieri e l’allestimento di luoghi di appoggio e di ristoro, in modo da rendere visitabili luoghi teatro di vicende belliche. A riguardo dei progetti che implicano la cooperazione internazionale, una importante novità pare delinearsi sul finale del 2011: secondo una notizia apparsa il 7 dicembre 2011 sul quotidiano “Diario Co Latino” l’agenzia di Cooperazione Internazionale giapponese (JICA) è intenzionata a sostenere un progetto di sviluppo che dovrebbe interessare proprio l’area di Santa Marta. Si tratta di un progetto pilota, destinato a fare della comunità un prototipo esemplare di comunità rurale ad elevato sviluppo, seguendo un metodo denominato “Miglioramento di vita” o “Metodologia Kaizen” già applicata nella fase di ricostruzione post-bellica del Giappone. Esso passa inizialmente attraverso borse di studio erogate per permettere la formazione in Giappone di tecnici salvadoregni; in seguito dovrebbe svilupparsi nel corso di diversi anni, attraverso progetti che interesseranno in primo luogo l’ambito agricolo, quello della commercializzazione dei prodotti ed anche campi di interesse sanitario e sociale. Questo nuovo progetto sta suscitando forti attese a Santa Marta, anche se –attraverso i colloqui con i leader della comunitànon abbiamo potuto ricostruire esattamente né l’entità né il contenuto specifico dei progetti. E’ attesa a breve tempo una visita della “Primera Dama”, la moglie di Mauricio Funes Vanda Pignato, che è anche responsabile della Secretaría de Inclusión Social, o dello stesso Presidente della Repubblica per la firma di un protocollo che segni l’avvio ufficiale del progetto. 5.3 Le ineguaglianze sociali Benché ad un primo contatto superficiale la comunità possa apparire relativamente omogenea da un punto di vista sociale – data la proprietà collettiva della terra e la scarsa presenza di attività imprenditoriali individuali – in realtà esistono numerose cause di disparità, che si rendono visibili soprattutto con la presenza di gruppi nettamente più sfavoriti e, in parte, anche con quella di gruppi che hanno raggiunto un grado di benessere leggermente più elevato. Per questi ultimi, le ragioni possono dipendere dal fatto di ricevere rimesse da parenti emigrati, o dalla compresenza nella stessa famiglia di più fonti di reddito. Il fenomeno della emarginazione sociale, invece, appare più complesso e crea una distinzione più profonda con il resto della comunità. Esso non sembra riassumibile unicamente nella dimensione economica, ma in genere dipende da una molteplicità di cause. Le famiglie emarginate, spesso, fanno parte degli stessi ceppi famigliari: all’interno di queste spesso manca del tutto la presenza maschile ovvero sono frequenti i casi di alcolismo, di disgregazione e di violenza famigliare. Certamente, questi fenomeni non sono unicamente concentrati nelle famiglie più povere; in queste ultime, però – assommandosi alla quasi totale mancanza di risorse – spesso favoriscono anche un graduale distacco dalle reti sociali della comunità e, in alcuni casi, conducono anche a comportamenti conflittuali nei confronti di altre famiglie. A loro volta, questi atteggiamenti sono occasione (o pretesto) per lo sviluppo di processi di stigmatizzazione da parte del resto della comunità. Così, ad esempio, nei confronti di una famiglia in condizioni di particolare emarginazione, abbiamo sentito dire che essa ha comportamenti asociali, che “non partecipa ai progetti comunitari” e così via. Grazie anche a questo tipo di giustificazioni – e nonostante che i valori ufficialmente condivisi da tutti siano orientati alla solidarietà e all’egualitarismo – non abbiamo potuto riscontrare a Santa Marta una particolare sensibilità ai temi dell’emarginazione di una parte della popolazione (una parte certo minoritaria ma per nulla irrilevante), come pure non esistono iniziative concrete a loro favore. Considerazioni analoghe possono essere svolte anche a riguardo delle persone – e in modo particolare dei bambini - con gravi disabilità e problemi di salute mentale. Alcune di queste, d’altra parte, si trovano nelle stesse famiglie a maggior grado di emarginazione. Per lo più il problema della disabilità è relegato in un ambito familiare: i bambini con handicap gravi non vanno alla scuola e restano isolati nelle proprie case, affidati alle cure delle mamme o delle nonne. L’atteggiamento dominante nei loro confronti è impregnato di fatalismo, anche se ufficialmente si incolpano le istituzioni di mancanza di volontà politica su questi temi. 6. I rapporti con lo stato, l’organizzazione dei servizi e la società civile Non rappresentando una municipalità autonoma, Santa Marta non ha una struttura comunale elettiva. La forma di organizzazione maggiormente istituzionalizzata è la ADESCO (associazione per lo sviluppo comunitario), che – nata subito dopo gli accordi di pace - dal 1998 è dotata di personalità giuridica e si occupa in generale dei temi legati allo sviluppo economico e ai servizi. La municipalità di Victoria, cui la comunità afferisce, ha attualmente una maggioranza politica del partito di destra ARENA. Tale partito, già egemone durante la guerra civile e, poi, ancora in tutte le elezioni presidenziali prima del 2009, è anche il partito maggioritario all’intero dell’intero Dipartimento di Cabañas. Poiché all’interno di Santa Marta la grande maggioranza della popolazione vota per i candidati del partito di sinistra (l’FLMN, ovvero il Fronte che ha diretto politicamente la guerriglia e che, dopo gli accordi di pace, si è strasformato in partito politico) si configura un contrasto continuativo della comunità con la propria municipalità, reso più acuto dal fatto che il sistema comunale salvadoregno non prevede una rappresentanza delle minoranze nel consiglio comunale, oltre che dalla tendenza delle amministrazioni comunali ad occuparsi quasi esclusivamente delle parti del territorio da cui proviene il proprio consenso elettorale. La contrapposizione politica, del resto, viene vissuta in qualche modo come una diretta continuazione, pur su diverso piano, del conflitto armato: come tale, esso appare per il momento insanabile e continua a dominare specie nell’immaginario delle generazioni che hanno vissuto la guerra. Un episodio minore, ma significativo di tale clima, è avvenuto nel gennaio 2012 in vista delle elezioni amministrative e della camera dei deputati: ad una famiglia che aveva cercato di alzare una bandiera di ARENA nel proprio cortile (quella di porre bandiere di partito nelle abitazioni è un costume diffuso nei periodi preelettorali) è stato impedito di farlo e il gesto è stato visto come una provocazione contro la comunità. Questa situazione – che ci è stata più volte rappresentata nel corso delle interviste e degli incontri a Santa Marta - legittima agli occhi di molti la convinzione secondo cui ogni prospettiva di sviluppo dipende dalle risorse endogene della comunità, dalla rete di organismi della società civile locale (che, di fatto, sostituiscono la presenza di un’autorità locale autonoma) e dalla capacità di far funzionare in modo ampiamente autogestito i servizi presenti, facendo leva anche sull’aiuto internazionale. D’altra parte, se è vero che le politiche municipali sembrano avere un ruolo molto limitato, è anche vero che a livello locale lo stato centrale è invece in qualche modo presente, in particolare con la scuola, il posto di polizia, la figura del medico nella clinica e poche altre figure legate alla sanità. In ogni caso, di fronte alla debolezza strutturale del proprio sistema economico, Santa Marta ha di fatto sviluppato, grazie al sostegno internazionale ma anche alle capacità di mobilitazione delle proprie risorse umane, un sistema dei servizi comparativamente migliore rispetto ad altre analoghe comunità dell’area ed inoltre presenta un’articolazione piuttosto complessa della società civile, in parte finalizzata proprio al miglioramento dei servizi. Ciò premesso, passiamo dunque ad esaminare con maggiore dettaglio alcuni aspetti dei servizi presenti e delle strutture associative. 6.1 La scuola. In Salvador, il livello di scolarizzazione è fortemente segnato dal divario tra città e campagna. Il numero di anni scolastici mediamente seguiti dalla popolazione a scala nazionale è 5,8 ma, nelle aree rurali, è solo 3,9 mentre in quelle urbane è 7 e nell’area metropolitana di San Salvador è addirittura 7,5 (Rivas Villatoro, 2008). Nonostante ciò, la situazione di Santa Marta è nettamente migliore di quello mediamente osservabile nelle campagne salvadoregne. Il complesso scolastico di Santa Marta è oggi pienamente integrato nel sistema nazionale, ma deve la sua origine all’auto-organizzazione sorta nel periodo dell’esodo in Honduras. Nei campi profughi nasce e si sviluppa un movimento di maestri popolari; l’istruzione viene impartita, dapprima in modo improvvisato e poi via via in modo più consapevole e strutturato, da chi, adulto o ragazzo, ha raggiunto un qualche grado di scolarità, secondo il principio che chi ha qualche conoscenza la trasmette a chi ne ha meno. Il metodo di studio è sempre molto attivo, partecipativo ed integrato nella vita e nei problemi della comunità. Gli insegnanti non sono forniti dallo stato, ma sono membri della comunità11. Quando la comunità rientra dall’Honduras, il sistema della scuola non cambia, ma dopo la firma degli accordi di pace gli insegnanti si pongono il problema di ottenere un riconoscimento del loro ruolo dallo stato e riescono ad entrare all’università a San Salvador e ad ottenere che vengano istituiti corsi nei fine settimana per poterli seguire. In questo modo alcuni di essi giungono finalmente a conseguire il titolo per l’insegnamento. All’inizio lo stato paga solo pochi stipendi, che gli insegnanti dividono tra di loro, ma nel corso degli anni la situazione si regolarizza. Al momento attuale nel capoluogo c’è una scuola che copre tutte le classi, dal primo grado al baccellierato (anche se, in realtà, gli insegnanti non hanno un titolo sufficiente per insegnare nelle classi del baccellierato), cui occorre aggiungere la parvularia (detto anche kinder, corrispondente alla nostra scuola dell’infanzia) per i bambini di 4-5-6 anni e la guardería , asilo nido per i bambini di 2-3 anni. Quest’ultima, però, non appartiene alla scuola, ma è un progetto svolto in collaborazione con l’ISNA, (Istituto salvadoregno per l’infanzia e l’adolescenza) ed è suddiviso in 2 sezioni con maestre retribuite. In alcune frazioni (ad esempio, San Felipe) ci sono scuole in cui vengono impartiti però solo i primi anni di insegnamento. Dal sesto grado in poi i ragazzi si devono recare a Santa Marta, con grossi problemi di spostamento, per cui sono ben pochi quelli che continuano. Al termine del baccellierato, molti sono i ragazzi che si recano a San Salvador per continuare gli studi frequentando una delle università della capitale (in modo particolare l’Università statale e l’Università Luterana, che pratica basse tariffe ed organizza corsi al sabato per studenti lavoratori) e la comunità fa molti sforzi per aiutarli in questo loro intento. Inoltre, alcuni studenti si iscrivono in università cubane, principalmente per studiare medicina. In totale, gli studenti universitari dell’area di Santa Marta sono quasi un centinaio. Quelli che studiano a San Salvador mantengono stretti legami con la comunità alla quale ritornano nei fine settimana e dove organizzano i Circoli di studio in alcune colonie. Organizzano la celebrazione di ricorrenze storiche, dibattiti e altre attività, soprattutto nel mese di dicembre e gennaio quando sono in vacanza. Ciò che caratterizza ancora oggi la scuola è la consapevolezza di giocare un ruolo importante nella comunità, interrogandosi sulla possibilità e la modalità di intervenire per aiutare i ragazzi e le loro famiglie nell’affrontare per esempio i temi della violenza, della emigrazione, del futuro. Il salone della scuola è spesso utilizzato in occasione di incontri ed attività non unicamente legate all’istruzione, ma di interesse per tutta la comunità. Il livello di frequentazione della scuola è molto alto ed è stata favorito ulteriormente dall’iniziativa – pur ritenuta di sapore un po’ populista – del governo attuale di dare gratuitamente agli alunni libri, quaderni ed uniformi 11 Secondo i dati riportati da Ades (2005), A Mesa Grande la popolazione infantile scolarizzata, nel settembre 1983, era di circa 2650 alunni. Le attività educative per adulti coinvolgevano 1600 persone. scolastiche. Tuttavia, a questo sforzo non corrisponde un effettivo apprendimento da parte di tutti; specie la competenza nella lettura e nella scrittura non è uniformemente presente (in base a prove effettuate dal nostro stesso gruppo) presso gli allievi delle scuole primarie. Molti rimangono indietro e, pur frequentando le lezioni, non esprimono alcun interesse per lo studio. Del resto, i programmi sono spesso svolti in modo rigido ed astratto, non sempre avvalendosi dei sussidi didattici che pur sono presenti nella scuola primaria e nella stessa parvularia. E’ attualmente in corso un progetto di revisione dei curricoli scolastici ministeriali, per adattarli alle esigenze del contesto locale, come peraltro previsto dallo stesso ministero. Non sembra, tuttavia, che tale progetto incida per il momento in modo decisivo sulla qualità dell’apprendimento: d’altra parte, esso riguarda piuttosto l’introduzione di insegnamenti legati alla storia locale piuttosto che un effettiva modificazione delle metodologie formative. 6.2 La sanità. Alla base del sistema sanitario di Santa Marta ci sono i promotori di salute (con un ruolo analogo a quello svolto, in Italia dagli assistenti sanitari); essi hanno in cura un settore del villaggio, visitano regolarmente le famiglie, casa per casa, si occupano in particolare delle donne incinte e dei neonati, attuano un programma capillare di educazione sanitaria, fanno le vaccinazioni (alle persone e agli animali), controllano le condizioni igieniche delle abitazioni e individuano i casi di denutrizione o di malnutrizione. Sono attualmente 3 e sono stipendiati dallo stato. In passato erano stati affiancati di promotori “popolari”, che tuttavia ad un certo punto sono stati costretti ad interrompere la propria attività, non avendo i requisiti formativi per svolgerla. A Santa Marta c’è un posto di salute relativamente efficiente e ben funzionante (la clinica), dove sono presenti la farmacia, un modesto laboratorio analisi, il medico, un dentista, una infermiera. A questo personale si è aggiunto talora personale volontario (medici o studenti di medicina), inviato da D.G.H. Tuttavia, con il governo attuale è iniziata una politica di potenziamento del sistema sanitario che ha reso meno necessario il ricorso ad aiuti esterni. Tale politica – in parte ispirata al modello cubano – implica un maggior coordinamento delle attività sanitarie e un ruolo più attivo di medici ed infermieri sul territorio. Gli effetti di tale politica hanno cominciato ad essere visibili anche a Victoria, dove il coordinatore del sistema locale è un giovane medico residente a Santa Marta, che sta cercando di qualificare l’attività di tutti i centri medici della municipalità. Accanto alla clinica c’è un piccolo centro, nato su impulso di D.G.H. e gestito da due giovani di Santa Marta, che hanno ricevuto una formazione – pure non completa e formalizzata – in tema di tecniche di riabilitazione e massaggio. Esse ricevono ogni giorno un certo numero di pazienti, specialmente donne, cui praticano massaggi e fanno eseguire semplici esercizi. Per alcuni mesi, la clinica ha visto anche una presenza settimanale di una fisioterapista abilitata, specie in appoggio ai bambini con disabilità motorie, ma questa pratica è presto terminata. Da alcuni anni, però – anche con l’aiuto del gruppo di psicologi italiani – l’attività della clinica si è arricchita con la organizzazione di attività di gioco e di psicomotricità per bambini di diverse età (0-2 anni; 2-4 anni) con le loro mamme. In alcuni momenti, sono stati organizzati anche gruppi di rilassamento per giovani e di movimento per anziani. Come per la scuola anche la gestione della sanità, soprattutto ad opera dei promotori di salute continua ad essere percepita in continuità con l’organizzazione che la comunità si è data nei campi profughi. Molta importanza pertanto viene data alle campagne di educazione sanitaria, e al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione come requisito indispensabile al conseguimento e mantenimento di una buona salute. L’attività dei promotori di salute si affianca alla promozione di modelli di comportamento non sessisti e di stili di vita più adeguati in campo sessuale condotta da gruppi molto attivi nella comunità come gli studenti universitari, le donne contro la violenza e il Cocosi (Comité contra el Sida), un organismo composto da giovani che si occupano in particolare dei malati di AIDS, della lotta contro la violenza interfamiliare e di genere, attraverso incontri capillari con gruppi di abitanti di Santa Marta, utilizzando per la diffusione delle proprie attività anche un giornalino (Abriendo brecha), forum, ed una radio (Radio Victoria) che ha molto seguito anche al di fuori della comunità. Questo comitato, iniziato da volontarie americane legate inizialmente a D.G.H., si è sempre più allargato e raggruppa molti giovani, studenti e no, di cui alcuni sono stipendiati si dedicano quindi a queste attività a tempo pieno. 6.3 L’associazionismo ADES è una organizzazione non governativa locale, fondata nell’aprile del 1993. E’ stata creata principalmente con lo scopo di promuovere lo sviluppo economico delle aree marginali, soprattutto le comunità più colpite dall’eredità della guerra nel nord del dipartimento di Cabañas. L’organizzazione ha sede a Sensuntepeque. ADES è attiva in una molteplicità di campi: dall’economia alla scuola e, in generale, a tutto quanto si riferisce alla promozione della qualità della vita nelle aree in cui opera. A sua volta riceve finanziamenti da organizzazioni internazionali, come ad esempio organismi pubblici per la cooperazione di alcuni paesi europei, fondazioni bancarie e talora anche gruppi indipendenti, come la Companion Community Development Alternatives (CoCoDA), un’organizzazione non governativa statunitense, con sede ad Indianapolis, che sostiene progetti nel Salvador e in altre aree dell’America Latina. Tra i numerosi altri gruppi presenti a Santa Marta deve essere ricordata l’associazione delle donne, che raggruppa diverse decine di donne e che affronta le problematiche di genere e, in particolare, le questioni della violenza machista nella famiglia e nella società. Vi è poi il gruppo per la memoria storica, che sta raccogliendo testimonianze orali a riguardo della guerra civile e che intende promuovere la pubblicazione di scritti per documentare il passato della comunità e per stimolare una riflessione critica sul presente. Un’altra associazione diffusa in tutto il paese, ma presente anche a Santa Marta, è l’ALGES (Asociación Lisiados de Guerra El Salvador), che riunisce persone invalide a causa delle vicende belliche. Essa svolge un’attività di sostegno nei confronti dei propri iscritti e promuove l’inserimento lavorativo. La ricchezza dell’associazionismo e la sua presenza attiva rappresenta uno dei punti di forza più importanti per la comunità; d’altra parte, tale propensione per l’azione collettiva organizzata – per quanto a Santa Marta presenti caratteri particolarmente evidenti – va connessa ad un carattere culturale più ampiamente diffuso nel Salvador. Un aspetto che tuttavia si è avuto modo di notare (e che sotto alcuni profili evidenzia la natura relativamente complessa della società locale) è una tendenza dei diversi gruppi ed associazioni ad una forte specializzazione funzionale legata al proprio campo di intervento. In tal modo, nonostante le dimensioni ridotte dell’insediamento e nonostante che le relazioni dirette tra soggetti attivi nella comunità siano molto intense, accade di osservare una certa difficoltà dei gruppi a relazionarsi reciprocamente, per promuovere progetti ed attività di natura trasversale. Questo fenomeno, del resto, riguarda anche le attività svolte dalle unità di servizio ed è una causa, tra le altre, di una non completa utilizzazione delle potenzialità esistenti: così, ad esempio, il debole sviluppo di relazioni tra la scuola, la clinica e lo stesso centro di riabilitazione ha reso sinora abbastanza difficoltoso lo svolgimento di attività preventive e di intervento nei confronti di bambini con difficoltà motorie o cognitive. Queste difficoltà – talora percepite dagli stessi operatori, in altri casi semplicemente ignorate – hanno fatto sorgere tentativi di coordinamento, come nel caso del “Comité 16 de Enero”, che comprende membri di varie istituzioni ed associazioni ed opera nel campo della salute mentale o, più recentemente, la “Equipo educativa”, promossa da ADES, che intende porsi come centro di coordinamento e di servizio sui temi dell’educazione. Tuttavia, la semplice moltiplicazione di gruppi, istanze organizzative, momenti di coordinamento (si contano, al momento, almeno 24 realtà associative o istituzionali nel cantón) finisce col rendere ancora più complessa una gestione efficace delle attività, sovraccaricando di impegni gli operatori e, in particolare, quelli che ricoprono una molteplicità di incarichi, creando talora una impressione di sproporzione tra lo sforzo soggettivo e i risultati oggettivamente raggiunti. 6.4 La religione Nel riferirsi alla struttura associativa della comunità non può mancare un cenno al ruolo della religione e alla presenza delle chiese. A Santa Marta esiste oggi la presenza di due realtà religiose parzialmente contrapposte. A differenza, tuttavia, di quanto avviene in altre parti del paese e, specialmente della capitale – dove esiste un notevole pluralismo data la presenza di numerose chiese protestanti e, soprattutto di nuove confessioni evangeliche – nella comunità entrambe le chiese sono cattoliche, ma di queste una è quella “ufficiale” (appartenente alla diocesi di San Vicente), mentre una seconda deriva da una separazione della prima di un sacerdote (padre Luís Quintanilla) che, essendo stato diffidato dal vescovo di proseguire la sua predicazione, ha fondato una chiesa cattolica “non romana”, detta “Iglesia Católica Apostólica Salvadoreña del Magnificat”12, assumendo il ruolo di vescovo di tale chiesa. La scissione non ha tanto un fondamento dogmatico, quanto una base politico-sociale che deriva ancora una volta dalle divisioni che la chiesa cattolica ha subito durante la guerra civile e che si esprime nel modo di interpretare il Vangelo ed il ruolo stesso della Chiesa. In qualche misura, la chiesa di padre Quintanilla è (o è percepita come) erede delle comunità di base del periodo prebellico e bellico; di lui si dice – da parte dei suoi sostenitori - che cerca di spiegare il Vangelo ponendolo in relazione con la realtà sociale del paese e che si trova, dunque, in linea con la figura di monsignor Romero e degli altri sacerdoti che difesero le popolazioni più povere e perseguitate durante la guerra. Essa non ha molte alleanze, anche perché mantiene una identità propriamente cattolica; tuttavia sembra avere contatti con la chiesa luterana e, in particolare, con la figura – molto popolare – del vescovo luterano di San Salvador. La chiesa di padre Luís Quintanilla non possiede una sede propria a Santa Marta e svolge le proprie attività (del tutto analoghe a quelle della chiesa cattolica romana) in case private. I suoi seguaci, che rappresentano una parte cospicua dei fedeli, sperono di poter usare in futuro la nuova casa comunale. La chiesa cattolica “ufficiale”, che fa parte della diocesi di S. Vicente, usa l’edificio adiacente alla clinica che fu eretto dopo la guerra con un notevole sforzo di tutta la comunità. La messa viene detta, a turno, dai sacerdoti della parrocchia di Victoria e si limita alla predicazione “ordinaria” ed alla pratica dei sacramenti: vi sono, comunque, gruppi di fedeli impegnati nella preparazione delle cerimonie, nei canti (che sono quelli voluti dalla diocesi: è stata bandita la pratica di usare canti popolari durante i culti). La scissione, avvenuta nel 2010, va comunque considerata l’epilogo di una lunga serie di incomprensioni tra la comunità di Santa Marta e le gerarchie cattoliche; anch’essa fa parte di quel clima di divisione politica, sociale e culturale che attraversa tuttora il paese e, soprattutto, le zone più colpite dalla guerra. In ogni caso, la divisione appare dolorosa, anche perché passa all’interno delle diverse colonie e degli stessi gruppi familiari. 12 Si veda nel sito http://iglesiacriatianacatolicaapostolica.blogspot.com/ la dichiarazione di apertura della diocesi di cui padre Quintanilla è stato proclamato vescovo. Dai contenuti del sito risalta soprattutto il riferimento alla figura di Monsignor Romero e la fedeltà al suo insegnamento, specie per quanto riguarda la difesa dei poveri. E’ invece difficile scorgere altri tipi di differenziazione dalla Chiesa Cattolica Romana.. 7. L’eredità della guerra: la dimensione psico-sociale Se la struttura organizzativa rappresenta per molti aspetti un’eredità positiva del periodo della guerra, non si può dimenticare che, in definitiva, la guerra ha rappresentato una vicenda altamente drammatica, con conseguenze tuttora permanenti. Tuttavia, tali conseguenze – data la distanza che ormai ci separa dal periodo della guerra e la presenza di molte altre cause “ordinarie” di criticità sociale e di stress – non possono essere agevolmente isolate da un più ampio contesto di difficoltà. Ad ogni modo, appare evidente una differente esposizione e reazione della popolazione alle conseguenze della guerra in funzione dell’età delle persone stesse. Schematizzando, si potrebbero dunque distinguere a tale proposito, tre differenti generazioni, con distinte forme di relazione con le ricadute psicosociologiche del periodo della guerra. La generazione anziana (che, data la struttura demografica della comunità, può coincidere con quanti oggi hanno un’età superiore ai 50 anni) è quella che ha direttamente agito nella guerra civile o che, comunque, ha sopportato in modo più diretto e drammatico le sue conseguenze, ad esempio, vedendo uccisi (e, spesso, assistendo all’uccisione) il proprio partner, ovvero i figli o i parenti. L’elaborazione di tale esperienza varia fortemente nei singoli casi individuali e in funzione della loro connessione a reti relazionali e comunitarie. Da un lato, si incontrano soggetti che hanno assunto direttamente il compito di testimoniare la propria esperienza, di trarne stimoli per un impegno diretto nella comunità e nelle sue strutture organizzative (ad esempio, partecipando al Gruppo della Memoria Storica, ad Adesco, all’associazione dei lisiados ecc.). Dall’altro lato, vi sono soggetti che, più semplicemente, si occupano del lavoro agricolo o delle attività artigianali, pur evidenziando di riuscire a convivere con i ricordi della guerra e delle sue atrocità. Tuttavia, non mancano nemmeno persone che – dopo avere avuto un ruolo attivo nella guerriglia – hanno avuto un difficile reinserimento dalla comunità, dalla quale sono comunque rimasti distanti per molti anni. Tra questi soggetti sono presenti fenomeni negativi, quali l’alcolismo, o la presenza di sintomi che potrebbero rinviare al PSTD13: insonnia, incubi ricorrenti, difficoltà relazionali ecc. Tali disturbi sembrano essere ancora più presenti nei soggetti più anziani, soprattutto in caso di malattia o quando sentono che si avvicina il termine della propria esistenza, creando situazioni di grossa sofferenza all’interno del nucleo familiare in cui sono inseriti. La generazione “di mezzo” corrisponde alle persone tra i 22-25 e i 45 anni: i più giovani sono addirittura nati nel campo profughi di Mesa Grande; i meno giovani hanno comunque vissuto in età infantile o adolescenziale la loro esperienza in Honduras, frequentando le scuole popolari, partecipando alle attività collettive e, poi, vivendo in prima persona l’epopea del ritorno a Santa Marta e della riorganizzazione della comunità. Molte delle persone che svolgono oggi i ruoli più importanti nella comunità appartengono a questa generazione: rispetto a quelli della generazione precedente, essi hanno spesso il vantaggio di una migliore istruzione (che, tra l’altro, consente loro di rapportarsi in modo più agevole con le presenze internazionali) e sono, in generale, meno direttamente legati all’eredità della guerra. I loro ricordi comprendono talora elementi 13 Il disturbo post-traumatico da stress (o Post-Traumatic Stress Disorder, PTSD) è un disturbo correlato alla esposizione di un soggetto (come vittima o anche solo come testimone) ad uno o più eventi traumatici, di natura individuale o collettiva (quali eventi bellici, catastrofi naturali, ovvero aggressioni, abuso sessuale, ecc.) le cui conseguenze possono persistere per molti anni. Nell’insorgenza di tale sindrome, tuttavia, l’esposizione al trauma deve connettersi con caratteristiche individuali della personalità del soggetto e/o con altri fattori ambientali. fortemente traumatici, ma evidenziano anche la consapevolezza di avere vissuto l’infanzia, o l’adolescenza, in un contesto “eroico”, della cui eredità si sentono pienamente responsabili. Le generazione più giovane corrisponde a quanti sono nati dopo il ritorno della comunità a Santa Marta e, che dunque, hanno un’età inferiore ai 22-24 anni. Per essi, la guerra rappresenta un’esperienza vissuta in modo indiretto e conosciuta attraverso i racconti dei più anziani o dei fratelli maggiori. Il riferimento a quell’insieme di valori “fondanti” della comunità è meno scontato, mentre in modo più diretto operano su di loro sollecitazioni provenienti dall’esterno e veicolate dai mezzi di comunicazioni di massa, o dalla presenza di soggetti che hanno fatto l’esperienza dell’emigrazione negli Stati Uniti o ancora – per gli studenti universitari – dall’esperienza di vita e studio nella capitale. Questa situazione fa di questa generazione un potenziale veicolo di innovazione e di evoluzione dei modelli di convivenza, con tutte le opportunità, ma anche con tutti i rischi che questo comporta. Essi, infatti, saranno presto posti di fronte al dilemma tra il restare a Santa Marta, cercando di definire il proprio ruolo e di trovare fonti di sostentamento economico in condizioni difficili, oppure emigrare. Inoltre, dal punto di vista culturale, debbono in qualche modo scegliere tra una interiorizzazione di valori ereditati dalle generazioni più anziane (sia pure rielaborandoli in forma innovativa) oppure operare una netta rottura, cercando la propria affermazione in forme individuali o, nel caso più negativo, venendo attratti da forme di organizzazione deviante alternativa a quella comunitaria, come quella rappresentata dalle maras. Se quanto ora detto può valere in termini generali, a riguardo dell’eredità della guerra occorre tuttavia sottolineare un elemento importante, che non si evidenzia immediatamente al primo contatto con la comunità, ma emerge gradualmente a mano a mano che si creano rapporti di fiducia con le persone. Benché gran parte della popolazione abbia condiviso alcune esperienze di fondo nel periodo della guerra civile, vi sono anche grandissime differenze nei destini familiari ed individuali. Alcuni gruppi familiari non sono fuggiti in Honduras, ma hanno vissuto nella zona in condizioni di continuo pericolo e di fuga incessante. Altre persone sono state coinvolte in specifici massacri nei primi anni di guerra. Alcuni hanno assistito, o sono stati coinvolti in episodi particolarmente efferati. Altri hanno avuto partenti uccisi dalla stessa guerriglia in situazioni di contrapposizioni interne o per vendette personali. Di tutto ciò si parla malvolentieri al di fuori della propria famiglia, perché non si riesce a comunicare davvero ciò che si è vissuto a chi non lo ha provato, o perché si sente vergogna, o ci si stente in qualche modo non connessi con la memoria “ufficiale”. In famiglia, invece, ci sono persone – specie anziane - che ritornano continuamente sulle vicende della guerra, in certa misura “scaricando” sulle persone più vicine un peso che resta insopportabile nonostante il passare del tempo. In tal modo, tuttavia, si produce un processo di “trasmissione intergenerazionale del trauma” (fenomeno, del resto, ormai ampiamente documentato dalla letteratura internazionale14), vale a dire una traumatizzazione secondaria di soggetti che, pur non essendo stati diretti testimoni delle vicende belliche, ne sono comunque colpiti, manifestando effetti analoghi a quelli delle vittime dirette. Sempre a riguardo delle problematiche di ordine psicosociologico, non si può poi fare a meno di fare cenno ai problemi relativi alla struttura del sistema familiare, che a Santa Marta presenta caratteri analoghi a quelli evidenziati in molti altri contesti salvadoregni o, anche latinoamericani. Il sistema familiare della comunità è caratterizzato da una particolare fragilità 14 Per “trasmissione intergenerazionale del trauma” si intende la trasmissione di sintomi di malessere psicologico, caratteristici delle vittime dirette del trauma, anche a discendenti di tali vittime, che non sono state esse stesse esposte ad eventi traumatici. Per una rassegna di studi si veda Danieli, 1998. Il fenomeno è stato studiato innanzitutto sui superstiti dell’Olocausto, ma anche su quelli di altri genocidi, sui discendenti di popoli originari, su figli di veterani di guerra ecc. ed instabilità, in quanto spesso la convivenza tra uomini e donne (quasi mai sanzionata oggi da un matrimonio, né civile né religioso) ha spesso un carattere temporaneo dato che l’uomo, dopo alcuni anni di convivenza, in molti casi abbandona la compagna per tentare la fortuna negli Stati Uniti o, comunque, per formare nuove unioni. Nel frattempo, sono nati quasi sempre diversi figli: la numerosità della prole sembra tuttora rappresentare un fattore socialmente sanzionato in modo positivo e solo con lentezza si intravede una tendenza alla riduzione dei tassi di natalità o, comunque, alla procreazione, da parte delle donne, in età meno prossima all’inizio della fertilità (tendenza peraltro incoraggiata dalle campagne di organismi come il CoCoSi e che, in ogni caso, spiega un tasso di natalità meno elevato che in altri contesti, come già evidenziato in precedenza). Nell’indebolimento della famiglia e nell’acutizzazione delle ineguaglianze di genere gioca pesantemente quella tipologia di valori e di comportamenti tipici del maschio salvadoregno (ma comuni anche a molti altri contesti latino-americani) che Martín-Baró (1968, 1972, 1988) chiama “machismo abandónico”. Lo psicologo salvadoregno descrive il machismo come un complesso di idee con profonda risonanza affettiva, che comprende quattro elementi: a) una forte valorizzazione dell’attività sessuale del maschio: il machista sembra costantemente impegnato a conquistare donne per poi abbandonarle; b) una forte aggressività, sia nel comportamento sessuale sia in termini più generali. Il maschio deve comportarsi da dominatore (della donna, ma anche, più in generale, nella famiglia e nel suo ambiente sociale); c) il “valeverguismo” ovvero l’indifferenza o disprezzo per tutto ciò che implica affettività sensibilità e impegno verso un progetto di vita più ampio; d), il “guadalupismo”, ovvero idealizzazione con accenti quasi religiosi della figura della madre e del suo onore15. La presenza di relazioni di genere improntate al machismo implica numerose conseguenze negative non solo sulle relazioni di genere (che sono caratterizzate da una forte ineguaglianza e da elevati tassi di violenza), ma più in generale sull’intero quadro delle relazioni interfamiliari. Sulla donna grava il duplice peso del lavoro (nella maggior parte dei casi, del lavoro agricolo), della conduzione del nucleo familiare e del rapporto con i bambini. E tale peso è spesso aggravato dall’elevato numero dei figli, dalla giovane età della donna e dalla condizione di solitudine in cui la donna stessa si trova. Si incontrano di frequente situazioni in cui è difficile per le mamme stabilire relazioni di cura attente ed adeguate nei confronti dei bambini piccoli, che sovente, nel primo anno di vita, vengono lasciati molto a lungo nelle loro amache, mentre le mamme sfaccendano e i fratellini giocano in cortile, senza ricevere gli stimoli di cui avrebbero bisogno per la loro crescita. Sicuramente tutto ciò è dovuto alla necessità delle mamme di occuparsi della difficile e faticosa conduzione della vita domestica e dei figli più grandicelli, ma a volte questa situazione può essere legata ad una sottovalutazione dell’importanza di stabilire relazioni significative di accudimento e di gioco nei confronti dei bimbi più piccoli o ad una incapacità di farlo, nel momento in cui si sentono troppo sole o troppo in difficoltà. Forse anche in conseguenza di tutto ciò si può rilevare tra i bimbi appena un poco più grandi una presenza diffusa di problemi di ritardo motorio, di difficoltà di apprendimento, di linguaggio, di socializzazione ecc. 15 Sempre secondo Martín Baró, i quattro caratteri del machismo hanno come equivalente femminile la sindrome dell’ “Hembrismo” nella donna latinoamericana e, in particolare, salvadoregna. Gli elementi stereotipati che la compongono sono: a) L’ “Enclaustramiento Familiar”: la donna deve restare legata alla casa ed accudire il marito ed i figli. b) La “Necesaria Virginidad”: la donna deve giungere vergine al matrimonio. c) La strumentalità: il ruolo della donna è strumentale rispetto a quello dell’uomo e dei figli. d) La sensibilità emotiva e la religiosità. 8. Ambiente e conflitti ambientali Il tema ambientale sta assumendo nel Salvador – come del resto a livello mondiale – un ruolo sempre più importante; esso riguarda da vicino anche la comunità di cui qui si sta parlando. Ancora una volta, tuttavia, il tema merita di essere affrontato ponendo l’attenzione in primo luogo su uno scenario spaziale più ampio, che, tuttavia, si interseca in modo evidente con le questioni più specificatamente locali. 8.1 Un quadro nazionale Già si è accennato ai gravi problemi ambientali che gravano sul Salvador a causa della forte pressione antropica, che riguarda non solo le concentrazioni urbane, ma anche alcune zone rurali ed ha favorito - accanto al commercio incontrollato del legname – il disboscamento di molte aree e la loro esposizione ai processi erosivi. Secondo i dati di Navarro (2003), meno del 3% del bosco originale può essere oggi riconosciuto come tale. A ciò si aggiunge l’uso indiscriminato di diserbanti e additivi chimici per l’agricoltura, la scarsità dell’acqua e la sua contaminazione per il deposito di rifiuti domestici e industriali. La stessa guerra civile che ha colpito il paese dal 1980 al 1992 ha contribuito al degrado ambientale, sia con l’inquinamento delle acque per opera dei proiettili in esse caduti, sia attraverso la spoliazione della vegetazione16. Sempre secondo Navarro (2003), all’inizio del XXI secolo circa il 46,8% della popolazione non aveva accesso diretto all’acqua potabile. La situazione di degrado, cui è esposta gran parte del territorio, spiega perché i conflitti ambientali (ed in special modo quelli che riguardano la difesa dell’integrità del suolo e la disponibilità dell’acqua) si intreccino strettamente con i conflitti che derivano dai forti squilibri nella ripartizione delle risorse del paese, sia tra classi e gruppi sociali, sia tra uomini e donne, sia ancora a scala territoriale. Questa situazione espone il paese alla penetrazione delle imprese multinazionali: principalmente quelle statunitensi, anche se nel periodo più recente si rafforza la presenza di imprese cinesi e di altri paesi dell’estremo Oriente. Lo stato stesso, d’altra parte, si fa promotore di interventi ispirati al modello neoliberista dell’economia e volti ad accrescere l’integrazione del paese nel sistema internazionale. Tra i progetti in discussione nell’ultimo decennio, alcuni dei più importanti hanno per oggetto proprio lo sfruttamento di risorse naturali o, comunque, sono caratterizzati da gradi elevati di rischio ambientale. Tra questi si possono indicare il progetto di costruzione di nuove centrali idroelettriche sul rio Lempa, il corso d’acqua più importante del paese, che potrebbero comportare spostamenti di popolazione – come già avvenne nel 1977 per la costruzione della centrale Cerrón Grande, per realizzare la quale furono spostate 13.339 persone (Gómez, Kandel, 2000) – e la sottrazione di risorse idriche all’agricoltura delle comunità circostanti 17. I rischi sarebbero particolarmente gravi in quanto il Lempa è un fiume di forte importanza per tutto il paese e un impoverimento della sua portata avrebbe conseguenze negative a scala nazionale. Oltre allo sfruttamento delle risorse idriche per scopi energetici, un’altra importante causa di rischi per l’ambiente e di conflitti socio-ambientale è costituita dai progetti di sfruttamento minerario. Nel 2006, in base a dati del Ministero dell’Economia erano state concesse ben 23 licenze ad imprese minerarie per l’esplorazione di miniere d’oro o di altri metalli; la maggior parte di queste erano ubicate nelle zone di montagna corrispondenti, come abbiamo visto in 16 Sul rapporto tra guerra civile e degrado ambientale si veda Weinberg, 1997 sul sito http://www1.american.edu/ted/ice/elsalv.htm (ultima consultazione 26-6-2011). 17 Sui progetti di nuove centrali idroelettriche, alcune di rilevanza binazionale, in quanto interessano anche paesi confinanti, si veda il sito della Comisión Ejecutiva Hydroeléctrica del Rìo Lempa (CEL) http://www.cel.gob.sv/index.php?option=com_content&view=article&id=81&Itemid=156 ultima consultazione il 27-6-20119. precedenza, ai dipartimenti con condizioni economiche e sociali più sfavorevoli. Ad oggi sono ancora in discussione 26 richieste, ma l’apporto delle attività minerarie all’incremento del PIL del paese si sta prospettando del tutto deludente18. 8.2 Il caso del progetto per la miniera d’oro “El Dorado” in Cabañas Fra i diversi episodi che si riferiscono a conflitti relativi ad un possibile sfruttamento minerario, il caso più grave e di maggiore rilevanza si riferisce al progetto di una miniera d’oro nel dipartimento di Cabañas e più precisamente in un villaggio appartenente al comune di S. Isidro (circa 11.000 abitanti in complesso), il progetto “El Dorado”. Nel 2002, l’impresa multinazionale canadese “Pacific Rim” chiede ed ottiene una licenza di esplorazione mineraria dal governo dell’epoca, sotto la presidenza di Francisco Flores. Nel 2005 viene presentato un documento di valutazione ambientale: tale studio identifica nell’area un potenziale estrattivo (oro ed argento) di notevole interesse; in seguito a ciò l’impresa presenta una valutazione di impatto ambientale e chiede di poter ottenere una licenza per l’avvio dell’attività produttiva (Alterinfos, 2006). Da parte della popolazione dell’area e dei comitati ambientalisti (in particolar modo il CAC Comité Ambiental de Cabañas e l’organizzazione non governativa ADES – Associaciòn de Desarrollo econòmico y social) inizia immediatamente una fase di protesta che, denunciando i limiti degli studi presentati dall’impresa, evidenzia i danni ambientali che si produrrebbero nell’area stessa e – ancora una volta – sull’intero bacino del Lempa. Le preoccupazioni riguardano molti aspetti: - In base ai calcoli di ADES, la miniera “El Dorado” userebbe in media sei milioni di litri d’acqua al giorno. Tenendo anche conto degli altri progetti minerari presenti nel paese, qualora tutti fossero approvati, verrebbe compromessa la risorsa idrica necessaria per il 75% circa della popolazione del paese; - Per l’estrazione aurifera sarebbe necessario sbancare intere colline e sottrarre ad ogni altro uso un’area di notevoli proporzioni; - I metodi usati per l’estrazione dell’oro comporterebbero ingenti rischi di inquinamento del suolo e delle acque; - I deboli impatti occupazionali, dato che la manodopera qualificata sarebbe essenzialmente di origine nordamericana. Parte di queste preoccupazioni sono avvertire dallo stesso governo salvadoregno, sotto la presidenza di Antonio Saca, nel 2008, e saranno ulteriormente ribadite dal presidente eletto nel 2009, Mauricio Funes. Il rischio di veder vanificate le prospettive di attività produttiva porta l’impresa ad intraprendere nel dicembre 2008 una controversia giudiziaria con il governo salvadoregno, invocando il già ricordato trattato del libero commercio CAFTA, chiedendo una forte somma quale rimborso delle spese sostenute e dei mancati guadagni. Dopo un primo arbitraggio del Centro Internacional de Arreglo de Diferencias Relativas a Inversiones (CIADI), favorevole a Pacific Rim, il governo ha presentato nel 2010 nuove obiezioni e la vicenda sinora non è ancora giunta al suo termine. Tuttavia, ciò che occorre qui mettere in risalto è come – proprio a partire dal 2009 – la conflittualità provocata dal progetto “El Dorado” abbia assunto un livello di intensità particolarmente drammatico, favorendo una crescita della violenza e una vera e propria 18 Si consulti il sito ministeriale http://asamblea.gob.sv/noticias/archivo-de-noticias/prosigue-estudio-de-la-mineria-y-elagua/?searchterm=mineria (ultima consultazione 1-7-2011). spaccatura delle comunità locali. Per capire questa evoluzione occorre tener conto di un elemento: di fronte ai forti rischi ambientali e ai deboli benefici sociali, l’apertura della miniera comporterebbe, da parte di Pacific Rim, il pagamento di una quota compensativa di notevole entità per i municipi delle aree circostanti, che inciderebbe fortemente sui loro deboli bilanci attuali. Oltre a queste somme “in chiaro” è altamente probabile che altre regalie siano già state offerte (o lo sarebbero nel futuro) “in nero” ai personaggi-chiave della struttura economica e politica dell’area. In sostanza, una parte della comunità – in sé ridotta, ma in parte ampliata dal vigente sistema delle clientele a base politico-familiare - verrebbe comunque ad ottenere benefici indiretti dalla cessione di un bene comune ambientale ad uno sfruttamento di natura chiaramente distruttiva. Questa prospettiva è causa di divisioni profonde nell’intera area interessata ed ha portato ad un confronto aspro tra favorevoli e contrari alla miniera, tale da rappresentare esso stesso un fattore di dissipazione di un ulteriore bene comune, questa volta di natura sociale, rappresentato dalla coesione interna delle comunità e dalla volontà di cooperazione dei soggetti in vista dello sviluppo locale. Uno sviluppo drammatico del conflitto si verifica il 18 giugno 2009, con la sparizione di un militante del comitato ambientalista (ed animatore di una campagna d’opinione contro uno dei sindaci dell’area), Marcelo Rivera, il cui corpo sarà poi ritrovato privo di vita e con segni di tortura all’inizio di luglio. Nel giro di pochi mesi, a questo primo assassinio ne seguiranno quelli di altri due militanti del CAC, Ramiro Rivera e Dora Alicia Sorto. Dopo un periodo di relativa calma, più recentemente, nel giugno 2011, è stato rapito ed ucciso Juan Francisco Duràn Ayala, che pochi giorni prima aveva partecipato ad una affissione di manifesti antiminiera nella città di Ilobasco. Dopo il primo omicidio, era stata condotta una inchiesta da parte della polizia e della magistratura locale, che aveva condotto all’arresto di 4 persone e del coinvolgimento di una quinta, già detenuta in carcere, accusati di essere gli autori materiali del crimine. Occorre evidenziare che le persone incriminate sono membri di una “pandilla”, vale a dire di una unità del crimine organizzato; tali bande sono in effetti responsabili di una parte cospicua degli omicidi che ogni anno si compiono nel paese centroamericano e che ne fanno uno degli stati con più alti tassi di omicidi al mondo (69,9 per 100.000 abitanti nel 2010)19. Incolpare dei pandilleros come esecutori di un assassinio è un fatto usuale nel paese, ma ha uno scarso significato in assenza di una ricerca dei mandanti. In questa direzione, tuttavia, l’investigazione si è presto esaurita ed è stata avanzata dai responsabili delle indagini l’ipotesi che alla radice di questo, come pure dei successivi omicidi, vi fossero delle ragioni di ostilità tra gruppi familiari, piuttosto che conflitti ambientali. In questo quadro, tuttavia, altri elementi si sono aggiunti: tra questi le ricorrenti minacce di morte, ricevute in forma anonima a più riprese, a partire dal 2009, dai giovani giornalisti di una radio comunitaria locale, Radio Victoria, che sin dall’inizio ha sostenuto le ragioni dei movimenti contrari alla miniera, dando ampio spazio alle loro posizioni nel corso delle trasmissioni. Avendo potuto seguire da vicino questa situazione, abbiamo potuto constatare direttamente gli effetti sociali e psicologici di tali minacce: se da un lato il gruppo di redazione della radio ha scelto di resistere ad ogni pressione, mantenendo invariata la propria linea, dall’altro lato ogni suo componente deve affrontare non solo una esposizione quotidiana al rischio (per sé e per i propri familiari), ma anche un isolamento rispetto alle comunità in cui sono inseriti e persino rispetto agli altri membri del gruppo. Infatti, l’impossibilità di riconoscere la fonte da cui provengono le minacce finisce con l’alimentare un clima di sospetto generalizzato che rende difficile per ciascuno condividere con altri i propri pensieri ed emozioni e, in particolare, di mostrare segnali di debolezza e di preoccupazione, che possano essere interpretati come indizi di scarsa affidabilità. Il movimento anti-miniera ora sta puntando le sue carte sull’approvazione di una legge che metta al bando la possibilità di dare permessi di sfruttamento minerario su tutto il territorio 19 Si veda il sito http://www.contrapunto.com.sv/ultimas-noticias/bajo-la-tasa-de-homicidios-en-2010 nazionale. Il governo, tuttavia, sembra intenzionato a rinviare la questione, anche se – per il momento – non si propone neppure di concedere permessi. Nella campagna elettorale in vista delle elezioni politiche e comunali del 2012, il movimento svolge una forte pressione contro tutti i candidati che esprimano un atteggiamento positivo nei confronti delle miniere. La questione è tuttavia ancora aperta: tutti sono consapevoli che la cospicua presenza di minerali auriferi a El Dorado rende improbabile una rinuncia definitiva da parte di Pacific Rim. 8.3 Altre problematiche ambientali Già si è accennato alle preoccupazioni per progetti che riguardino l’uso a scopi energetici del bacino del Rio Lempa. Un tema che è ha destato forti preoccupazioni nella zona di Santa Marta negli anno passati (e che adesso appare più distante) riguarda la costruzione di una centrale idroelettrica sul rio Lempa, in un ambito territoriale non lontano dalla zona di S. Marta, a cavallo della frontiera tra il Salvador e l’Honduras. La realizzazione della centrale, denominata “El Tigre” comporterebbe la creazione di una diga e l’allagamento di una ampia area (si veda la fig. ), con forti danni per l’ambiente e con un pesante impatto negativo sugli abitanti dell’area, rappresentati in particolare da una popolazione di circa 20.000 appartenenti al gruppo etnico lenca. Per questo motivo il progetto, già avanzato da una decina di anni e destinato a ricevere finanziamenti per un totale di circa 3 milioni di dollari dalla banca mondiale e da altri organismi internazionali ha incontrato la forte opposizione delle associazioni ambientaliste di entrambi i paesi e delle popolazioni delle aree confinanti, incluse quelle del dipartimento di Cabañas. Nell’agosto 2007, il governo dell’Honduras ha manifestato l’intenzione di lasciare cadere il progetto, tenendo conto – appunto – della forte opposizione che esso suscita e della presenza nel paese di progetti alternativi20. Fig. 3 Manifesto delle organizzazioni contrarie alla realizzazione del progetto per la centrale idroelettrica “El Tigre” 20 Su questo tema si veda: http://www.prensalatina.com.mx/Article.asp?ID=%7B5E885472-CD4A-4B80-A5FD239A10ABF9CE%7D&language=ES Un altro progetto parzialmente controverso è quello della strada Longitudinal del Norte: si tratta di un’arteria, lunga oltre 300 chilometri, destinata a collegare la municipalità di Metapan, nel dipartimento di Santa Ana, a nord-ovest, con la municipalità di Concepción de Oriente, nel dipartimento di La Unión, ad est, rappresentando così un’alternativa più settentrionale alla Panamericana, la strada più importante che attraversa il paese da est ad ovest. Secondo il governo salvadoregno presieduto da Antonio Saca, che lo ha avviato, la costruzione della strada Longitudinal del Norte dovrebbe avere un costo complessivo di 233.6 milioni di dollari e sarà finanziata dalla “Millenium Challenge Account”, un programma di aiuti statunitense per i “progetti di sviluppo” nei paesi in via di sviluppo (si veda la fig.4). Fig. 4. Immagine illustrativa del progetto della “Longitudinal del Norte” Anche quest’ultimo progetto ha suscitato resistenze nelle popolazioni interessate dal tracciato stradale, per il possibile impatto sull’ambiente. Tuttavia, il progetto presenta anche evidenti vantaggi nella interconnessione delle aree interne poste nella zona nord del paese. Esso, in ogni caso, è stato ripreso anche dal governo di Mauricio Funes ed è in esecuzione in questo momento; nel dipartimento di Cabañas taglia la strada tra Sensuntepeque e Victoria poco a monte della capitale distrettuale. Ciò che accomuna molti dei progetti che destano maggiori preoccupazioni è il fatto di essere pensati come opere destinate a recare vantaggi soprattutto al di fuori delle zone più direttamente coinvolte, scaricando su di esse i danni che derivano da uno sfruttamento delle risorse locali, in una situazione che non prevede in alcun modo il coinvolgimento delle popolazioni interessate nella discussione sull’opportunità di realizzare tali progetti e sulle modalità della loro interazione con il territorio. In tal modo, dunque, essi sembrano destinati a dar luogo a processi di globalizzazione che attribuiscono alle aree interne del paese un ruolo passivo e subordinato e che, dunque, anziché ampliare il quadro delle opportunità per uno sviluppo sostenibile, lo impoveriscono accrescendo la vulnerabilità del territorio e la sua dipendenza da decisioni assunte ad un livello nazionale ed internazionale. 8.4 Santa Marta: il degrado ambientale Tornando a Santa Marta, occorre riconoscere che le cause di rischio ambientale non sono unicamente legate a dinamiche internazionali, ma dipendono anche dalle pratiche diffuse nella popolazione. In particolare, un aspetto che colpisce immediatamente chi giunge per la prima volta è la diffusa presenza di immondizia, che è presente in tutto le strade ed i luoghi pubblici e che, nel periodo delle piogge, viene trascinata nei piccoli corsi d’acqua, inquinandoli ed ostacolandone il flusso. Il problema non è costituito dalla frazione organica vegetale, dato che questa viene facilmente eliminata dagli animali, e nemmeno dalle latte che hanno contenuto bevande (in quanto si tratta dell’unico tipo di rifiuti che viene raccolto e riciclato), ma piuttosto dalla plastica. Quest’ultima è onnipresente, specialmente sotto forma di bottiglie, piatti e sacchetti e non viene in alcun modo raccolta; semmai, le donne finiscono coll’accumularla davanti alla propria casa e bruciarla periodicamente. Questo fa sì che, soprattutto nella stagione secca, il fumo denso della plastica bruciata ristagni nell’aria, mescolandosi con la polvere: l’effetto di questa pratica è gravemente dannosa per la salute, specie di quella delle donne. Non a caso, l’incidenza di malattie respiratoria è particolarmente alta. Nel corso degli anni più recenti, abbiamo avuto l’occasione di discutere numerose volte con leader e gruppi locali del problema dell’immondizia. La risposta rinvia sempre, da un lato, alla mancanza di volontà politica dell’amministrazione comunale di fornire un servizio di rimozione dei rifiuti in forma gratuita. Nella zona urbana di Victoria, infatti, la raccolta esiste, ma non si estende sino a Santa Marta. Accanto alle argomentazioni che rinviano alla divisione politica, vi sono poi quelle che indicano come causa del degrado la scarsa coscienza della popolazione. Di fatto, alcuni incontri di “coscientizzazione” sono stati effettuati, ma l’assenza di iniziative concrete rende poco produttive queste iniziative. Anche in questo caso appare evidente lo iato esistente tra l’atteggiamento ideologico che porta ad attribuire una rilevanza virtuale al tema della protezione dell’ambiente e la debolezza di una iniziativa di carattere “imprenditoriale” (sia pure di natura comunitaria) che cerchi di risolvere effettivamente il problema. 9. Globalizzazione e criminalità organizzata Già si è accennato nei punti precedenti al fatto che S. Marta si trova oggi di fronte a nuove sfide e a nuovi problemi, parte dei quali non dipendono tanto dalla sua specifica storia, quanto da trasformazioni che stanno avvenendo nel più ampio contesto in cui la comunità si colloca, a livello nazionale o internazionale. Lo scenario complessivo, come è facilmente intuibile, è quello di una rapida avanzata dei processi di globalizzazione, che per un paese come il Salvador rinvia in primo luogo alla interazione con gli Stati Uniti e con le politiche neoliberistiche perseguite negli anni ’90 e 2000 tanto dalle amministrazioni statunitensi, quanto dagli stessi governi salvadoregni. Una ulteriore sfida che il Salvador è costretto ad affrontare in questi anni – e che, in qualche misura, costituisce una faccia occulta, ma non meno reale, dei processi di globalizzazione – è l’aumento dell’insicurezza e della violenza, ed in particolare di quella legata al rafforzamento delle bande giovanili presenti ormai in ogni parte del paese (comprese le zone rurali, come Santa Marta). 9.1 Il quadro complessivo Come è noto, tratta di un problema di livello internazionale: la questione della presenza di elevato tassi di violenza è, secondo valutazioni pressoché unanimi espresse da diverse fonti, un problema di importanza capitale non solo nel contesto salvadoregno, ma in tutta l’America Centrale e in particolare nei tre principali stati dell’area nord del subcontinente: Guatemala, El Salvador e Honduras. Esso sta dando luogo ad una diffusa percezione di crescente esposizione dei cittadini al rischio di subire violenza: non a caso questo problema è ormai divenuto uno dei più rilevanti temi di confronto delle forze politiche nei paesi in oggetto. Che questa percezione abbia un fondamento nei fatti lo si può ricavare, a riguardo dell’area centroamericana, dalla seguente tabella, che evidenzia i tassi di omicidio su 100.000 abitanti in ciascun paese, con riferimento agli anni 2002-200421. 21 Altre fonti, come l’ Instituto de Medicina Legal Alberto Masferrer, a riguardo del Salvador, indicano valutazioni ancora più ampie sul numero degli omicidi commessi in quegli anni e, a proposito del 2005, parlano di 3812 assassini. Tab. 3 Tassi di omicidio 2002-2004 nei paesi dell’America centrale (omicidi ogni 100.000 abitanti) Anni 2002 2003 2004 n. assoluto 2004 GUATEMALA EL SALVADOR HONDURAS NICARAGUA PANAMA COSTARICA 32 38 39 4346 29 35 44 2756 56 34 28 1847 10 15 14 841 11 11 10 311 6 7 6 311 Fonte: Comisión des Jefes de Policía de Centro America y El Caribe Ciò che appare preoccupante, per il Salvador, non è solo l’elevato tasso di delittuosità, ma anche il suo andamento crescente negli anni considerati: un andamento che è andato aggravandosi nel periodo ancora più recente e che, secondo le testimonianze raccolte, fa parte di una percezione comune. Una delle frasi ricorrenti nelle conversazioni, infatti, riguarda la preoccupazione per un paese in cui “avvengono almeno 10 delitti ogni giorno”22. Nel dibattito politico e sui mezzi di comunicazione molta enfasi viene posta nell’attribuzione di responsabilità di tali elevati livelli di violenza alla diffusione di bande principalmente giovanili, denominate “maras”23 o “pandillas”. Non si tratta di organizzazioni criminali paragonabili ai cartelli della droga: nell’area centroamericana tali cartelli sono soprattutto quelli messicani. Esse tuttavia gestiscono lo spaccio locale di stupefacenti e sono dedite a vari tipi di attività illegali, tra cui le rapine, le estorsioni, il taglieggiamento delle attività economiche. Esse, inoltre, hanno un ruolo fondamentale nella corruzione politica. Sul questo fenomeno esiste ormai un’ampia letteratura; tra le fonti che lo documentano vorremmo qui citare in particolare l’ampio progetto di ricerca finanziato dalla Missione della Chiesa Svedese, svolto da Università e centri di ricerca dei Gesuiti in 4 paesi (Guatemala, El Salvador, Honduras, Nicaragua) e pubbicato in 4 volumi presso le edizioni della UCA (Universidad Centroamericana “José Simeón Cañas”, di San Salvador) con il titolo complessivo “Maras y Pandillas en Centroamérica”. Nel più recente di tali volumi (Cruz, 2006), si esprime il parere che l’incidenza effettiva dei delitti direttamente riconducibili alle maras tenda ad essere sopravvalutato dalle fonti di polizia e si afferma che, probabilmente, il peso complessivo non supera il 30%. Ciò non di meno resta il fatto che l’attività di queste organizzazioni appare responsabile di un numero imponente di omicidi, cui si aggiunge una quantità impressionante di altri reati più o meno gravi (furto, rapine, assalti, taglieggiamenti, risse ecc); sì che, secondo un’inchiesta realizzata nel 2001, circa ¾ dei salvadoregni dichiarano di essere stati quanto meno vittima della richiesta di danaro da parte di uno o più pandilleros e, in molti casi, in forma ripetuta. Sulla consistenza numerica delle pandillas esistono diverse valutazioni: negli scorsi anni, il presidente del Consiglio Nazionale della Sicurezza pubblica, Oscar Bonilla, ha presentato in sede ufficiale una stima secondo la quale il numero degli aderenti a queste organizzazioni è circa 13.000 (Guevara, 2008). Secondo Cruz (2006), nessuna valutazione precisa può essere proposta con Basandosi su fonti della Policía Nacional Civil, Ranum (2007), parla di 3906 omicidi nel 2006, con un tasso del 57 su 100.000 abitanti. I dati, dunque, sembrano evidenziare un ulteriore incremento degli omicidi negli anni più recenti. 22 Si deve tuttavia osservare che, secondo i dati riportati da Romano (2007), risulta che i tassi di omicidio, attorno alla metà degli anni ’90 erano decisamente più alti, anche se con un andamento calante: infatti, tale tasso (sempre riferito a 100.000 abitanti) era di 164,5 nel 1994; 149,7 nel 1995, 139,0 nel 1996 e 134,0 nel 1997. In termini assoluti, si poteva parlare in quel periodo di circa 21 morti violente ogni giorno. 23 : L’origine del termine “mara” è complessa. In ogni caso, secondo informazioni desumibili da Wikipedia, mara significa banda, gang, in Caliche (una forma di slang diffuso nel Salvador, che ricalca costruzioni linguistiche risalenti a dialetti atzechi) ed è tratto dal nome marabunta, che designa un tipo di formica particolarmente pericolosa (http://en.wikipedia.org/wiki/Mara_Salvatrucha). sicurezza, anche tenendo conto della crescente clandestinità del fenomeno: in ogni caso, la sua consistenza viene valutata tra le 10.000 e le 35.000 unità. Le maras salvadoregne sono divise in due principali organizzazioni: la Mara Salvatrucha e il Barrio 18: esse raggruppano, rispettivamente, il 55% e il 33% delle 309 clikas che, secondo fonti della polizia, operavano nel paese nel 2002; oltre a queste, vi sono organizzazioni minori, come la Maquina e la Mao Mao. La due principali organizzazioni hanno origine negli Stati Uniti, presso emigrati salvadoregni (in particolare la Mara Salvatrucha, che riflette l’organizzazione del quartiere della 13 strada di Los Angeles) o, presso gruppi integrati di salvadoregni e messicani (la Barrio 18, che si riferisce alla 18 strada della stessa città). Negli ultimi anni, esse tendono ad estendere la loro influenza a scapito delle formazioni minori. La distribuzione territoriale delle bande è ineguale, evidenziando una più forte concentrazione nell’area metropolitana e nella zona orientale del paese (si veda la tab. 4): tuttavia, la tendenza appare quella di una maggiore diffusione in ogni area del paese, dato anche i crescenti tassi di mobilità che caratterizzano l’attività delle pandillas. Nonostante la più debole numerosità delle bande, la zona occidentale è tuttavia caratterizzata da più elevati tassi di violenza. Tab. 4 Distribuzione spaziale delle clikas, secondo il tipo di organizzazioni e le aree geografiche Area metropolitana Nord Est Ovest Zona pericentrale Totale Mara Salvatrucha Barrio 18 63 42 Altre 12 Totale 117 8 49 20 30 170 1 13 5 5 37 11 86 36 59 309 2 24 11 24 102 Fonte: Cruz 2006, p. 48 (elaborazione su fonti della PNC, 2002) Nonostante il forte ruolo generalmente attribuito, nello sviluppo delle maras, all’immigrazione di ritorno dagli Stati Uniti, il fenomeno ha radici autoctone che risalgono al periodo finale della guerra e agli anni immediatamente successivi. Nel valutare il fenomeno, va posta una netta distinzione tra le pandillas che hanno origine nelle scuole e quelle di strada. Le prime si nutrono della rivalità tra studenti dei diversi complessi scolastici e la loro attività è strettamente legata al periodo scolastico. Esse sono responsabili di risse, atti di bullismo anche gravi ecc., ma non sono vere e proprie organizzazioni criminali. Le seconde hanno un’attività stabile e la loro evoluzione recente le avvicina sempre più a vere e proprie strutture organizzate orientate allo svolgimento di attività illegali, con alta presenza di atti violenti. La tendenza generale, infatti, va nel senso di una professionalizzazione dell’attività criminale. Questo è testimoniato innanzitutto dalla la riduzione del peso di motivazioni valoriali, sociali e simboliche (la solidarietà e l’identità di gruppo, l’identificazione con un territorio da controllare) a vantaggio di quelle strumentali ed economiche (l’accesso a risorse economiche e di potere legate al controllo di traffici illeciti) (Santacruz, Concha-Eastman, 2001). Diminuisce in parallelo anche l’età dei partecipanti, così pure si assiste ad un aumento della violenza letale e allo sviluppo di più stretti contatti con la criminalità organizzata a scala internazionale. Si riducono anche alcuni aspetti più palesemente sub-culturali ed identitari, nel tentativo - operato dalle organizzazioni più consolidate - di mimetizzarsi, al fine di potere svolgere in modo più agevole la propria attività. In tal senso, ad esempio, va letto il crescente divieto ai membri delle pandillas di tatuarsi il viso o parti visibili del corpo, come pure quello di consumare droghe pesanti durante la settimana, o lo stesso tentativo di infiltrarsi nelle ONG che si occupano di programmi di riabilitazione. La risposta dello Stato si è soprattutto concentrata su programmi repressivi, come il programma “Mano Dura”, avviato nel luglio 2003 dal governo, e il successivo programma “Super Mano Dura” (settembre 2004). Entrambi i piani si basano su ripetute e spettacolari operazioni poliziesche, appoggiate dalla emanazione di leggi speciali, sulla cui costituzionalità gli organi della magistratura hanno espresso forti dubbi. La fretta di raggiungere risultati spendibili anche sul piano elettorale porta a campagne che conducono alla incarcerazione di un numero ingente di presunti pandilleros (circa 18.800 tra luglio 2003 ed agosto 2004), seguiti dalla scarcerazione rapida della grande maggioranza di essi, anche a causa della scarsa consistenza giuridica delle prove raccolte. Nonostante l’avvio, in tempi più recenti di deboli programmi statali di riabilitazione – che cercano di offrire opportunità a chi intende uscire dalle pandillas – il piano di azione resta soprattutto repressivo ed evidenzia oltretutto una forte inefficienza, in quanto non ha inciso sinora sul costante aumento dell’intensità della presenza delle bande giovanili. Più recentemente, all’attività riabilitativa dello stato, si è affiancata anche una presenza, sui temi della prevenzione e della riabilitazione, di alcune ONG internazionali. In alcuni casi, si possono segnalare delle “buone pratiche”, ma le difficoltà che esse incontrano e la scarsità dei mezzi con cui queste associazioni operano non sembra sinora consentire il raggiungimento di risultati sistematici e durevoli. Il tema della criminalità rappresenta uno dei principali argomenti della propaganda politica dei partiti. Al momento in cui era partito di opposizione l’Fmln accusava la destra di operare una politica puramente repressiva ed anche poco efficace. Divenuto partito di governo, è stato il turno della destra di accusare il Fronte di debolezza e di indicarlo come responsabile del continuo aumento della criminalità. In un primo tempo, il presidente Funes ed il ministro competente, come pure il capo della polizia nominati dal presidente all’inizio del proprio mandato hanno comunque tentato di marcare una differenza di impostazione in merito alla politica contro la criminalità, rafforzando la dimensione dell’intervento preventivo. All’inizio del 2012, in prossimità delle elezioni, tuttavia, il presidente ha sostituito nuovamente ministro e capo della polizia – come di sua competenza in base alla Costituzione – nominando nei ruoli due personaggi di provenienza militare. Questo ha generato malcontento in una parte dei suoi sostenitori: la mossa, tuttavia, appare intenzionata a privare i suoi avversari di una possibile accusa di debolezza nei suoi confronti. I prossimi mesi dimostreranno se una nuova politica di “mano dura” avrà miglior successo di quelle dei precedenti governi. 9.2 La situazione di Santa Marta A Santa Marta la situazione appare certamente meno preoccupante che nelle aree urbane, ma comunque il problema delle maras desta qualche preoccupazione. Secondo le testimonianze raccolte attraverso colloqui con testimoni locali, attorno al 2010 i pandilleros sono solo circa una quindicina (del resto, in proporzione alla popolazione, si tratterebbe di un peso percentuale abbastanza vicino al dato nazionale), ma sono considerati responsabili quanto meno indiretti di 6 omicidi nel 2007, di cui l’ultimo avvenuto vicino al campo di calcio nel dicembre 2007. Oltre a ciò, gestiscono il traffico di droga – peraltro di dimensioni non particolarmente rilevanti - e sembrano avere una certa influenza sugli adolescenti: il rischio è che questa influenza si consolidi e che possano rappresentare un modello di vita e di promozione sociale credibile per le generazioni più giovani. Secondo una testimonianza raccolta, poi, la stessa cultura guerrigliera potrebbe avere aiutato in modo indiretto l’affermarsi delle pandillas, sia per alcuni contenuti simbolici che le sono propri (come la violenza, ma anche il machismo), sia anche perché avrebbe favorito la diffusione conoscenze ed abilità pratiche legate all’esercizio della violenza (ad esempio, relative all’uso e persino alla costruzione artigianale di armi da fuoco). Le maras appaiono il fattore principale di una percezione di insicurezza che – con alti e bassi – coinvolge la stessa comunità: esse sembrano avere un ruolo di catalizzazione di percezioni di questo tipo, peraltro motivate anche da altri agenti di una violenza che – come si diceva precedentemente appare diffusa nell’intero paese. A Santa Marta il problema della possibile crescita dell’insicurezza è guardato come attenzione, anche se si valuta che il numero assoluto dei pandilleros sia da ritenersi ancora esiguo e che la vigilanza comunitaria renda difficile per loro di svolgere un ruolo determinante. Si ritiene, però, che esso potrebbe aggravarsi nel futuro – come si sta acutizzando nel paese – e potrebbe generare un effetto disgregante sul tessuto della comunità. A parte lo sconcerto destato dalla violenza omicida, si ritiene preoccupante l’aumento del consumo di droga, e si pensa che non debbano essere sottovalutati neppure alcuni fenomeni minori, come il fatto che le pandillas possano creare una rivalità violenta tra i giovani appartenenti alle diverse colonias del cantón (ad esempio, in alcuni momenti, ai giovani delle colonie situate attorno al campo di calcio è stato chiesto un obolo per potersi recare alla piazza e lo stesso avviene per i movimenti in senso inverso). Secondo testimonianze pressoché unanimi, i promotori delle pandillas locali sono giovani rimpatriati dagli Stati Uniti o, comunque, venuti a Santa Marta dalla capitale dopo avere avuto problemi con la legge. Anche per quanto riguarda gli esecutori materiali degli atti di violenza si tende a ritenere che vengano dal di fuori. Tuttavia, secondo le affermazioni di un membro della polizia locale, intervenuto ad un forum organizzato dagli studenti l’8-1-2008, essi possono, comunque, avvalersi di informazioni sulle vittime che vengono loro fornite da membri della comunità stessa. Nel corso del medesimo incontro pubblico, è stato anche citato con preoccupazione il fatto che il contingente di polizia locale sia stato ridotto da 17 agenti ad 8 proprio negli anni in cui il fenomeno delle bande è divenuto sempre più capillare. Le strategie per contrastare il fenomeno, evocate nel corso degli incontri avuti a Santa Marta, appaiono sostanzialmente congruenti con quelle tratteggiate a conclusione dell’indagine pubblicata dalla UCA. La diffusione delle pandillas deve essere contrastata, anche attraverso un rafforzamento della presenza delle forze di polizia (qualcuno di ha parlato della necessità di circa 15 nuovi agenti). Tuttavia, è necessario congiungere a questa attività di controllo del territorio e di repressione un lavoro di prevenzione sociale e culturale24, che dovrebbe partire dalla famiglia, avere un cardine fondamentale nella scuola, ed appoggiarsi ad una interazione tra istituzioni e gruppi organizzati (ad esempio, quelli degli studenti e altre aggregazioni giovanili). In generale, poi, si invoca la necessità di mantenere saldo il riferimento a valori solidaristici, propri della comunità, come antidoto ad una penetrazione della cultura della realizzazione di sé attraverso le scorciatoie dell’attività criminale e della violenza. A partire dal 2010 abbiamo potuto notare una certa attenuazione delle preoccupazioni per le maras in ambito locale. Il controllo da parte della polizia sembra essere stato più efficace e, di fatto, gli atti di violenza del 2007 non si sono ripetuti in seguito. Tutto ciò, tuttavia, non significa che il tema sia venuto meno nell’immaginario collettivo: nessuno è convinto che il relativo isolamento e il controllo comunitario siano sufficienti ad esorcizzare le paure ed esprimono l’idea che occorra non abbassare affatto la guardia. 24 Vale la pena di sottolineare che, nella letteratura sul tema, si suole distinguere tra una prevenzione primaria, secondaria e terziaria. La prima ha un carattere sociale generale e si rivolge ad ampi gruppi di popolazioni in condizioni di disagio. La seconda è mirata a gruppi più specifici, a rischio di esposizione all’influenza delle bande: adolescenti dei quartieri più poveri che hanno abbandonato gli studi, vittime di violenza familiare ecc. La terza consiste nella riabilitazione di soggetti che, dopo aver fatto parte delle bande, ne sono usciti e cercano di reintegrarsi diversamente nel contesto sociale (Samayoa, 2004). 10. Note conclusive: prospettive dello sviluppo comunitario In conclusione, è bene mettere a fuoco alcuni aspetti fondamentali che emergono da un’analisi della struttura sociale ed economica di Santa Marta, dalle sue forme di organizzazione socio-politica, dalle tendenze evolutive riscontrabili tanto nella dimensione materiale, quanto in quella immateriale. Sotto molteplici punti di vista, Santa Marta si presenta oggi come un laboratorio di fortissimo interesse nel quale è possibile esaminare tanto l’importanza dell’eredità del passato (e in particolar modo di quella che si riferisce alla guerra civile e alle vicende degli anni ’70-’80), quanto le sfide del presente e le possibili alternative di percorso per il prossimo futuro. L’aspetto di maggiore interesse sta nel fatto che questa comunità ha in larga parte conservato e riprodotto i caratteri sociali e culturali che si sono formati nella fase della guerra e, soprattutto, durante l’esilio in Honduras, ha ripreso le forme organizzative sorte in quello specifico e le ha adattate alle esigenze della ricostruzione delle “nuova” Santa Marta, trasformandole in elementi stabili della società civile e, in qualche caso, in istituzioni. Tale adattamento è stato reso possibile grazie alla formazione di una rete di soggetti che, di fatto, rappresentano i leader riconosciuti della comunità, sia che tale riconoscimento abbia anche qualche appoggio formale (come nel caso degli Adesco, della dirigenza scolastica o degli operatori della clinica), sia che si basi unicamente sul consenso informale della popolazione. Oltre a ciò, è di grande interesse la presenza continuativa di progetti appoggiati da diversi tipi di organizzazioni internazionali, ma attivamente assunti e gestiti dai soggetti locali. Questa presenza internazionale (soprattutto nordamericana, ma anche europea e latinoamericana) data dal periodo della guerra civile ed è, dunque, un fatto completamente interiorizzato dalla comunità. Tuttavia, a differenza di quanto avviene in altri contesti, il rapporto con “gli internazionali” è nella maggioranza dei casi basato su un piano di parità e di interscambio attivo e non dà luogo a fenomeni generalizzati di passivizzazione della popolazione locale. Ciò dipende, da un lato, dalla tipologia di associazioni internazionali presenti a Santa Marta (spesso animate non solo da un generico impulso di solidarietà, ma dalla condivisione di alcuni valori di fondo) e, dall’altro lato, dal fatto che i soggetti locali più attivi hanno ormai acquisito una competenza nell’interscambio, il che li porta a valutare con realismo le potenzialità ed i limiti di queste relazioni e a contribuire a definirne le modalità. Se tutto ciò è vero in linea di massima, tuttavia è necessario sottolineare come esista, a Santa Marta, una fondamentale differenza tra i progetti di tipo educativo, sanitario o culturale, da un lato, e quelli di natura soprattutto economica, dall’altro lato. Mentre a riguardo dei primi la capacità di autodeterminazione della comunità appare relativamente solida, per i secondi si è dimostrata sinora meno efficace. Molti dei tentativi di creare attività imprenditoriali (anche in forme cooperative) capaci di operare con continuità sono caduti nel vuoto o hanno dato risultati inferiori al previsto. Questo in alcuni casi può dipendere dall’impostazione del progetto, voluta dai donatori: ad esempio, quello relativo all’ invernadero, di cui già si è detto, è stato creato attraverso l’uso di tecnologie sofisticato di controllo computerizzato delle funzioni delle serre. Ciò richiedeva una continua manutenzione, con livelli di costo inaccettabili; per questo il progetto ha dovuto essere rivisto e si trova attualmente in fase di riorganizzazione. In altri casi, tuttavia, a questo concorre forse anche una insufficienza nell’appoggio alle iniziative da parte delle varie organizzazioni (e in particolare ADES); in generale ci sembra che sia mancata una capacità di dar seguito in forme auto sostenibili ai progetti avviati grazie ad aiuti esterni. Spesso si ha l’impressione che alle dichiarazioni di principio sulla necessità di rafforzare l’iniziativa economica della comunità non corrisponda una capacità di tradurre in pratica le idee. In tal modo, a mano a mano che si esauriscono i fondi di un progetto, comincia l’attesa per un altro di natura differente; nel febbraio 2012 quella per i futuri progetti promossi dalla cooperazione giapponese domina l’immaginario collettivo. I caratteri ora richiamati (in particolare, l’articolazione della società civile e degli stessi gruppi dirigenti; l’interazione con organizzazioni internazionali) rappresentano delle risorse importanti per Santa Marta e, sotto molti aspetti, la differenziano in modo determinante dall’immagine stereotipata di una comunità rurale relativamente autosufficiente, quale potrebbe risultare da una superficiale lettura secondo schemi ispirati alla dicotomia “comunità-società” (di ispirazione tönniesiana) o a quella “società tradizionale” - “società moderna”. Ovviamente, non si può dire che siano del tutto assenti in questo contesto dei tratti tipicamente “comunitari”. La famiglia allargata, pur secondo un modello diverso da quello delle società tradizionali europee, sembra mantenere un peso rilevante ed è un supporto fondamentale specie per le donne ed i bambini - di fronte all’instabilità delle relazioni di coppia – ma anche per gli anziani e altre figure deboli. La solidarietà su basi non contrattuali è ampiamente diffusa e contribuisce, tra l’altro, anche allo svolgimento di funzioni tipicamente “moderne”, come mantenere allo studio un ampio numero di studenti universitari. Anche la fiducia interpersonale ha un ruolo essenziale e su di essa si basano il prestigio e la capacità di influenza di molti leader comunitari. Tuttavia, altri aspetti che si penserebbe di vedere presenti in una struttura sociale di tipo rurale appaiono fortemente in ombra. Il riferimento alle tradizioni popolari, ad esempio, compare piuttosto raramente nel discorso pubblico25: i temi che dominano rinviano molto spesso solo alla tradizione recente e alla mitologia formatasi durante la guerra e l’esilio o, tutt’al più, a fasi della storia precedente che si riallacciano a queste ultime (ad esempio, nel programma delle commemorazioni degli studenti è compreso il ricordo delle stragi compiute sotto la dittatura di Martinez, negli anni ’30 del secolo scorso). Anche la religione non sembra essere un fattore unificante della società locale; semmai, troviamo qui ancora presente una spaccatura che si è venuta formando prima e che si è approfondita durante e subito dopo la guerra: quella tra chi si riallaccia idealmente alle comunità cristiane di base e all’insegnamento di Monsignor Romero e chi si riconosce nell’insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica (manca, peraltro, qui la presenza di altre confessioni religiose). Dunque, la lettura in termini di dicotomia comunità-società non appare efficace: non solo S. Marta presenta una forte miscela tra i tratti che questa tradizione interpretativa vorrebbe in antitesi, ma addirittura si potrebbe dire che alcuni aspetti che sembrerebbero più vicini alla polarità “comunitaria” (come la solidarietà su basi di reciprocità, o la leadership informale) si presentano non tanto come eredità del passato, quanto come prodotto di una rielaborazione consapevole, operato da una leadership riflessiva e supportato da stimoli e schemi cognitivi “moderni”, in parte provenienti da contatti internazionali. E gli aspetti che rinviano piuttosto alla polarità “societaria” non compaiono affatto ad uno stato iniziale, ma in alcuni casi, anzi, già evidenziano un qualche grado di problematicità e manifestano esigenze di rinnovamento: si pensi all’articolazione dell’organizzazione sociale per ambiti funzionali (scuola, sanità, economia…) che per molti aspetti già appare non indenne da un eccesso di compartimentazione e da una difficoltà per i soggetti di intraprendere iniziative integrate di tipo intersettoriale. Qualcosa di analogo, poi, potrebbe essere detto a riguardo della diffusione di stili di vita individualistici e consumistici: pur nella limitazione imposta dalla scarsità dei redditi disponibili, l’aspirazione a possedere beni di consumo tipici di questa fase di globalizzazione planetaria (ad esempio cellulari di recente fabbricazione, computer, cosmetici) si esprime in forme equiparabili a quelle che si osservano in ambito urbano e l’attenzione agli interessi individuali convive benissimo con manifestazioni di solidarietà di gruppo. 25 In privato abbiamo potuto constatare che esistono racconti e leggende popolari, come pure tipiche “figure della paura”. Tra queste, la più frequentemente citata è quella della Ziguanaba (una strega che attrae in forme seducenti gli uomini che percorrono le strade al calar della notte, per poi rivelarsi un mostro spietato), come pure quella del figlio stesso della Ziguanaba, il Cipitillo, un folletto burlone. Abbiamo constatato che esistono raccolte di racconti (Melara Mendez, 1996) e che alcuni di questi personaggi (ad es. il Cipitillo) sono stati rilanciati da programmi televisivi. Per questo motivo, presso i giovani, questi personaggi sono conosciuti più in base alla loro rappresentazione da parte dei media, che attraverso una trasmissione orale. Tuttavia, ci è stato riferito che il gusto per il racconto di paura non è mai venuto meno e si esplica, ad esempio, in occasione delle veglie funebri, che spesso sono occasioni sociali per i visitatori della famiglia del defunto trascorrere la notte mangiando, bevendo caffè e chiacchierando. In parte, poi, gli aspetti contraddittori osservabili a Santa Marta possono essere collegati ad aspetti tipici di una cultura “guerrillera”, profondamente interiorizzata dalle generazioni che hanno avuto l’esperienza della guerra e dei campi in Honduras. Si tratta di una cultura che enfatizza schemi valoriali ispirati alla solidarietà, all’autodeterminazione, all’egualitarismo e che, invece, lascia minor spazio all’iniziativa individuale, specie se non approvata preventivamente dalla comunità e dai suoi leader. Questo orientamento favorisce, da un lato, l’organizzazione e la partecipazione ma, dall’altro lato, tende anche, in alcuni casi, a produrre modalità decisionali ridondanti e poco efficienti, che determinano una forte sproporzione tra l’impegno soggettivo (in termini di partecipazione a riunioni, discussioni, moltiplicazione di istanze organizzative) e i risultati oggettivamente conseguiti. Insomma, il particolare tipo di modernizzazione che viene proposto non è esente da rischi di burocratizzazione, anche nelle attività non formalizzate; queste forme, d’altra parte convivono con altre modalità di trasformazione, che sono invece tipiche della esposizione della comunità alla economia e alla cultura globale. In sostanza, dunque, nonostante le sue ridotte dimensioni, S. Marta si presenta come ormai come un sistema sociale relativamente complesso, che – anzi – proprio da tale complessità trae da un lato elementi di forza e, dall’altro lato, alcuni fattori di debolezza e di instabilità. Ed è proprio da questa considerazione occorre partire per cercare di capire verso quali possibili scenari potrebbe evolvere il “laboratorio Santa Marta” e quali variabili endogene ed esogene possono influenzarne il percorso evolutivo. Un primo e fondamentale fattore da prendere in considerazione riguarda l’evoluzione del sistema economico della comunità in un contesto caratterizzato dalle sfide della globalizzazione. Come già si è messo in rilievo, nonostante la presenza di alcune condizioni favorevoli (la proprietà comunitaria delle terre) e nonostante la presenza di tentativi di innovazione, la base economica è in gran parte rappresentata ancora da un’agricoltura gestita in forme tradizionali, destinata per lo più all’autosussistenza. Oltre a questa, l’unica altra fonte di ricchezza è rappresentata dalle rimesse degli emigranti; tuttavia, come già si è messo in luce, il loro apporto non sembra essere indirizzato in modo consistente allo sviluppo dell’attività agricola, né all’avvio di altre attività economiche; semmai, consente il miglioramento del livello di consumo di alcune famiglie. In qualche misura, una lenta evoluzione è possibile; tuttavia, il problema è quello di comprendere se essa sarà sufficiente a garantire un futuro alle giovani generazioni (contenendo le spinte all’emigrazione) e, soprattutto, se un modello di sviluppo economico basato su risorse endogene potrà competere con le pressioni determinate dalle spinte alla globalizzazione. Queste ultime, d’altro canto, si presentano con volti diversi; per molti aspetti S. Marta sembra esposta ad entrambi i versanti di quelle che Davis (2007) definisce “competing globalizations” e che considera tipiche soprattutto delle grandi aree metropolitane. Per un verso, infatti, è esposta ai possibili contraccolpi della ulteriore penetrazione nel paese del’economia globale “legittima”, che nell’ambito regionale in cui la comunità è inserita - si presenta soprattutto sotto forma di grandi progetti di sfruttamento economico di risorse ambientali (le risorse aurifere, per l’escavazione, o quelle idriche, per la produzione di energia) o di interventi infrastrutturali. Progetti di questo tipo, più che ad innovare il sistema economico, sembrerebbero atte soprattutto ad accrescere il grado di dipendenza del paese, ad impattare duramente sugli equilibri ambientali (peraltro già precari) e ad agire in forma scardinante sul sistema sociale e sulla cultura locale. Contro tali progetti esiste una diffusa mobilitazione nelle aree interessate, ma è difficile dire sino a che punto questa potrà risultare determinante nel bloccare tali iniziative. Per altro verso, tuttavia, vi è anche un altro tipo di globalizzazione, la cui capacità di penetrazione è indubbia: si tratta di quella “illegittima”, di cui la diffusione delle maras è il fenomeno più appariscente. La creazione di un circuito di attività illegali, capaci di distribuire redditi ad alcuni soggetti, ma distruttive nei confronti dei legami comunitari, potrebbe consolidarsi in modo graduale e produrre effetti devastanti se non affrontata in modo efficace. Anche di questo pericolo la comunità appare consapevole; in questo caso, però, la mobilitazione è soprattutto di carattere “interno” e deve sapere coinvolgere le risorse già disponibili, trovando misure adeguate di prevenzione e di contrasto al fenomeno. Con riferimento ad entrambi i versanti, tuttavia, la reazione non può essere solo di natura difensiva ma deve riuscire a produrre anche un progetto innovativo, che offra nuove prospettive alla società locale e soprattutto alle generazioni più giovani. Contrastare le forme negative di globalizzazione è necessario, ma non sufficiente: una nuova apertura all’esterno è non solo inevitabile, ma anche utile per un progetto orientato alla sostenibilità. Essa dovrebbe implicare un miglioramento dei trasporti e delle comunicazioni (a partire dal collegamento ad Internet che la comunità ha in progetto di attivare a brevissima scadenza), ma anche la capacità di utilizzare stimoli esterni per il miglioramento dell’economia locale. Tale apertura, peraltro, dovrebbe essere a doppio senso: non si tratta solo di ricevere stimoli, ma anche di offrirne, presentando ad altre comunità e ad altri contesti gli aspetti di maggior valore e, per alcuni aspetti, irripetibili dell’esperienza sin qui compiuta e dei risultati raggiunti. Santa Marta oltretutto possiede risorse culturali specifiche per affrontare questa apertura; ad esempio, ha una consolidata capacità di interagire con operatori internazionali ; evidenzia un livello culturale migliore di quello presente in contesti analoghi; ha un forte senso di appartenenza e sviluppate capacità di auto-organizzazione. Dunque, si tratta di avviarsi senza timori verso una nuova fase del “laboratorio Santa Marta”; vi è la necessità di una difesa flessibile dei caratteri positivi del percorso seguito e di una sua evoluzione endogena, anche se parzialmente accompagnata da interventi esterni, centrati sulla base strutturale, ma al tempo stesso sulla valorizzazione/ innovazione di alcuni tratti culturali, specie per quanto si riferisce alla cultura organizzativa. Qui più facilmente che altrove tali interventi esterni possono assumere il carattere di un vero e proprio interscambio: l’esperienza di Santa Marta può insegnare qualcosa di importante anche in altri contesti e l’interazione con organizzazioni internazionali può essere utile non solo a rafforzare la società locale, ma anche a farla entrare in un più ampio circuito di interscambio, mirato alla circolazione di buone pratiche di sviluppo comunitario. Tuttavia, perché l’interazione con l’esterno possa produrre risultati positivi è necessario che si mantenga in equilibrio con l’evoluzione endogena della struttura comunitaria. Infatti, nonostante le condizioni favorevoli prima sottolineate, anche per Santa Marta non è assente il rischio di una eccessiva dipendenza dall’attesa di “progetti” provenienti dal circuito della cooperazione internazionale (quella sindrome che ironicamente un nostro interlocutore ha definito “proyectitis”). Un’attesa che può rallentare la ricerca di soluzioni autonome e può indurre nuove differenziazioni tra chi è più vicino alle fonti di finanziamento e chi ne è escluso. Questo tipo di deformazione – del resto assai comune nelle relazioni cooperative tra Nord e Sud del mondo – può essere evitata solo con un effettivo rafforzamento della leadership comunitaria, con un incremento della capacità di valutare in modo critico e realistico le prospettive di sviluppo e, soprattutto, della efficacia nella traduzione in azione integrata delle iniziative discusse nelle diverse istanze istituzionali e della società civile locale. Una ulteriore evoluzione, infine, sarebbe necessaria ad un livello intermedio tra la comunità e il circuito internazionale, vale a dire quello del sistema politico ed amministrativo a scala nazionale e municipale. L’eccesso di polarizzazione politica, che domina la vita pubblica nell’intero paese e che impedisce il consolidarsi di relazioni istituzionali almeno parzialmente autonome rispetto ai conflitti partitici, rappresenta oggi un ostacolo ad ogni iniziativa autenticamente innovativa, che intenda andare al di là dell’eredità negativa della guerra. In definitiva, essa appare coerente con il mantenimento dello status quo e dei privilegi dei gruppi dominanti. La consapevolezza di questa situazione sembra diffondersi nella popolazione salvadoregna, ma non manca il rischio che – come in altri paesi – essa finisca col tradursi solo in discredito della politica e non in una spinta al consolidamento della democrazia e all’aumento della trasparenza. Anche in questo senso sarebbe necessario che l’esperienza di comunità capaci di esprimere valori civici e iniziative di autogestione (come è Santa Marta, ma come sono anche altre realtà del paese) non resti isolata in ambito locale, né si esprima solo in un circuito di relazioni internazionali, ma sappia anche manifestarsi come forza di rinnovamento del sistema politico ed amministrativo del paese. Riferimenti bibliografici Ades (2005), Una Sistematisación de la Educación popular en el Cantón Santa Marta Cabañas, El Salvador. 1978-2001 (a cura di Sarak K. Loose), San Salvador. Alterinfos (2006). El Salvador: Movilizaciones contra la explotaciòn minera, retrieved from the Web 28-6-2011 http://www.alterinfos.org/spip.php?article483. Cruz J. M. (2006), Maras y pandillas en Centroamérica. Las respuestas de la sociedad civil organizada, vol. 4., UCA, San Salvador. Danieli Y.E. (1998), International handbook of multigenerational legacies of trauma, Plenum, New York. Davis D. E. 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