Baudolino tra mito e menzogna Hannibal: la

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Baudolino tra mito e menzogna Hannibal: la
8
febbraio2001
NARRATIVA
COMICSWORLD
Baudolino tra mito
e menzogna
Dedicato a chi
si ritrova a spasso
Un memorabile personaggio al centro dell’ultimo romanzo di Umberto Eco
n Paolo Boschi
Con Baudolino Umberto
Eco mostra, per l’ennesima
volta, di saper dosare al meglio la sua attività di romanziere: dall’esordio con il successo internazionale de Il nome della rosa (datato 1980),
passando attraverso le ermetiche trame de Il pendolo di
Foucault (1988), fino a
L’isola del giorno prima
(1994), il docente di semiotica presso l’università di Bologna, nato ad Alessandria nel
1932, non ha mai sbagliato un
colpo, attendendo sempre
l’idea giusta e mettendosi alla
prova con gli intrecci ed i sottogeneri più disparati. Con
Baudolino Eco si gioca anche la carta del romanzo picaresco d’ambientazione medievale, narrato attraverso un
funzionale filtro dialogico:
protagonista assoluto della
storia è Baudolino, che racconta le complesse vicende
della sua vita a Niceta Coniate, storico bizantino nonché
cancelliere del basileo di Bisanzio, il tutto nel bel mezzo
dell’assedio di Costantinopoli. Il dialogo si apre in profumo d’antico, con una vecchia
pergamena che contiene il
primo (sgraziato) esercizio di
scrittura del protagonista,
che ci introduce ex abrupto
nella trama principale. È Baudolino stesso a spiegare al
suo interlocutore che da quel
primo timido tentativo scrittoriale molte pergamene ed infinite storie sono seguite, e la
lunghissima conversazione
con Niceta frammista alla fuga dalla città in fiamme servirà anche a lui a capire i lati
oscuri del proprio passato.
Baudolino, d’estrazione contadina, nasce in un oscuro villaggio del Basso Piemonte,
nella zona dove è destinata a
sorgere, qualche anno dopo,
Alessandria: la sua indole fantasiosa e millantatrice conquista addirittura Federico Barbarossa, finito per caso a bussare alla porta dei suoi genitori, Il ragazzo diventa addirittura l’adorato figlio adottivo del
grande imperatore. Per perfezionare il suo addottrinamento Federico invierà a Parigi un
Baudolino adolescente a Parigi: il giovane protagonista
non arriverà mai a terminare
il suo curriculum di studi, ma
inizierà a vergare su carta gli
sterminati parti della sua fantasia e conoscerà quelli che
diverranno i suoi inseparabili
compagni d’avventure.
La “creazione” per antonomasia a cui Baudolino finirà per
dare dignità “ufficiale” sarà la
mitica lettera del Prete Gianni, favolosa figura di re cristiano a capo di un leggendario
regno del lontano Oriente,
che di lì a poco mosse il desiderio di tanti viaggiatori, tra i
quali perfino Marco Polo. Ed
è per trovare tale fantomatico
regno che l’imperatore Federico partirà per riconsegnare
al sovrano orientale la più
straordinaria reliquia della
cristianità, il santo Graal (altra estemporanea invenzione
di Baudolino): l’ormai anziano imperatore morirà nel corso del viaggio in modo misterioso, tenterà invece di arrivare alla meta Baudolino, lungo
un percorso che passa in rassegna una ad una le mitiche
creature destinate ad animare
i bestiari medievali. E non è
tutto qui, perché il dialogo di
Baudolino con Niceta ha molte sorprese in serbo: alcune
per lo stesso protagonista,
che colma (talvolta dolorosamente) i lati oscuri del proprio passato, in vista dell’ultimo viaggio, che prelude ad un
oblio della storia nei suoi confronti, o forse al suo ultimo
atto di disinformazione culturale. Baudolino è un romanzo in multiforme cambiamento: pagina dopo pagina, attraverso un caleidoscopio di invenzioni linguistiche esilaranti, Eco riesce a cavalcare alla
bisogna il registro del fantastico, del gotico, dell’avventuroso, narrando di volta in volta, lungo i quaranta capitoli
del romanzo, genesi di reliquie, amori impossibili, viaggi picareschi, efferate battaglie, storie di odio e d’amicizia, saporiti aneddoti.
Un grande romanzo felicemente sospeso tra realtà e
fantasia, tra mito e menzogna.
Umberto Eco, Baudolino, Milano,
Bompiani, 2000; pp. 528
Se la prosa ironica e pungente di Daniel Pennac incrocia i
disegni vividi e grotteschi di Jacques Tardi, può succedere
che dalla strana coppia nasca un albo a fumetti atipico
quanto imperdibile, un volume dedicato “ai licenziati, ai
silurati, agli espulsi, ai
flessibilizzati, ai
ristrutturati, ai fusionati, ai
globalizzati, agli
esuberati”, insomma, a
tutti quelli che si ritrovano
a spasso”. Perché Gli
Esuberati, come spesso
capita nella narrativa di
Pennac, non trascura di
affrontare, sull’impianto di
un avvincente giallo en
bandes dessinées,
tematiche sociali di
drammatica attualità, nel
dettaglio la disoccupazione
e la serie di problemi ad
essa correlati. Lo scrittore
francese, noto per la saga
di Malaussène ambientata nello stravagante e multietnico
quartiere di Belleville, ha trovato l’ideale punto d’incontro
con il fumettista transalpino in un altro luogo urbano
canonicamente vario e colorato, come il Jardin de Plantes, lo
zoo parigino dove esercita la veterinaria Lili con un Capitano
di lungo safari (che legge sovente i Miserabili) ed in cui
finiscono le indagini dell’ispettore Justin, che peraltro è il
fidanzato di Lili. L’evento che catalizza il fattore giallesco del
fumetto è la presenza di uno sconosciuto, un apparente e
taciturno homeless da disoccupazione, che si autorinchiude
in una gabbia catalizzando l’interesse dei vampireschi mass
media e di tutta Parigi sul suo dramma personale. Che le
cose siano più complicate di quanto sembri lo si scopre
quando l’emarginato di cui sopra, sedicente homo labore
carens europeus, viene ritrovato cadavere nella gabbia: si
tratta di suicidio o di omicidio? Tenterà di dare una
soluzione (molto interessata) al mistero l’ispettore Justin: ma
a chiudere la storia sarà la tigre Georges con un’atipica
amministrazione di giustizia sociale. Gli Esuberati
conferma l’eclettismo di Pennac, romanziere affermato,
insegnante e saggista (Come un romanzo): lo scrittore
transalpino ha architettato una storia a fumetti stringente
ed originale, ricca di colpi di scena, animata da dialoghi
diretti ed espliciti, divertenti ma capaci al tempo stesso di
fornire ottimi spunti di riflessione.
D. Pennac – J. Tardi, Gli Esuberati, Milano, Feltrinelli, 2000; pp. 80
P.B.
NELLESALECINEMATOGRAFICHE
LASCORCIATOIA
Hannibal: la Firenze
di Ridley Scott
L’intricato approdo
di uno strozzino
L’autore di Blade Runner ha ritratto gli aspetti più dark del capoluogo toscano
n Paolo Boschi
Tutti sapevamo che Hannibal
“The Cannibal” Lecter sarebbe tornato, prima o poi. E che
il sequel de Il silenzio degli
innocenti, pur firmato da un
regista del calibro di Ridley
Scott, non poteva in nessun
modo eguagliare l’originale
poteva immaginarlo chiunque avesse letto Hannibal di
Thomas Harris. Il film di Ridley Scott, tranne il finale, risulta ossequioso alla fonte letteraria, pur se semplificato ed
inevitabilmente frammentario. Si comincia in sordina con
il nostro psichiatra antropofago preferito che si è scelto come raffinato buen retiro nientemeno che Firenze, la culla
del Rinascimento, ed ambisce
a diventare il nuovo responsabile della biblioteca Capponi.
Ma l’inquirente fiorentino Rinaldo Pazzi ha scoperto che
dietro l’erudito che si fa chiamare dott. Fell si nasconde
uno dei dieci latitanti più pericolosi attualmente ricercati
dall’Fbi, oltre al fatto che sulla
testa di Lecter pende la taglia
miliardaria dell’unico paziente sopravvissuto al suo trattamento psichiatrico, rimasto
sfigurato e costretto alla sedia
a rotelle. La facoltosa vittima
si chiama Mason Verger ed è
fermamente intenzionato a
c a t t ur a r e L e c t e r pr i m a
pagina precedente
dell’Fbi, per attuare nei suoi
confronti un truculento contrappasso. Per quanto riguarda Clarice Starling, dopo
l’exploit di sette anni prima la
sua carriera è andata in progressiva in discesa ed ora fa
parte di una squadra d’assalto
dell’Fbi. Messa sotto inchiesta dopo una disastrosa operazione antidroga, a Clarice
su pressione di Verger (conscio dell’attrazione a suo tempo dimostratale da Lecter)
viene offerta come scomoda
via d’uscita di ritrovare lo psichiatra-cannibale. Nel frattempo l’antieroico protagonista, ormai bruciata la sua
identità fiorentina, torna negli
States per risollevare lo spiri-
to di Clarice, cacciandosi dritto nella trappola ordita ai suoi
danni: ma è il dott. Lecter,
non dimentichiamolo, e con
un piccolo inaspettato aiuto di
Clarice saprà riconquistare
l’ambita libertà. Di grande effetto la Firenze ritratta da Ridley Scott nei suoi scorci da
cartolina medievale, goticamente dark, umida ed oscura
sulla falsa riga (mutatis mutandis) della Los Angeles di
Blade Runner. Il regista britannico ha offerto una visione
turisticamente edulcorata del
capoluogo toscano: Palazzo
Vecchio è lo sfondo dell’impiccagione di Giannini davanti ad una folla entusiasta di
giapponesi seduti sulle scale
della Loggia de’ Lanzi, il salone dei Cinquecento è il palcoscenico dell’erudizione del
protagonista nei panni del
dott. Fell, e poi la farmacia di
via della Scala (fondamentale
per risalire a Lecter), gli Uffizi, il Ponte Vecchio, un’opera
nel chiostro di S.ta Croce
(con la Cappella Pazzi sullo
sfondo), gli oscuri portici di
piazza della Repubblica e la
fontana del Porcellino. Firenze è l’indiscussa protagonista
di quaranta minuti e rotti di
Hannibal, ideale vetrina promozionale della città nel mondo, non dei tanti stereotipi italioti profusi nella pellicola, a
prescindere dalle prove marginali dei tanti interpreti nostrani reclutati per le sequenze fiorentine, girate nell’estate scorsa. Nel cast Anthony
Hopkins giganteggia fin dai titoli, mentre risulta un po’ monocorde la bella Julianne Moore, sostituta di Jodie Foster.
Hannibal è un film di luci ed
ombre che, pur non convincendo, resta sempre il sequel
del film giudicato, forse con
fretta eccessiva, come il migliore del primo secolo di cinema: come prescinderne?
HANNIBAL, regia di Ridley Scott,
con Anthony Hopkins, Julianne Moore,
Ray Liotta, Giancarlo Giannini, Gary
Oldman; horror/thriller; Usa; C.
Elmore Leonard, nato a New Orleans nel 1925, nel corso di
una carriera ormai trentennale si è affermato come uno dei
migliori esponenti del genere thriller a livello mondiale, da
sempre in possesso di uno stile in grado di rendere con
grande sottigliezza i dettagli dello slang, oltre ad una
notevole sensibilità del ritmo narrativo. Due doti che hanno
reso molti dei romanzi di Leonard appetibili per una
traslazione cinematografica: dal suo Rum punch Tarantino
ha tratto Jackie Brown, da Fuori dal gioco è stato
realizzato Out of sight. Anche La scorciatoia –
recentemente pubblicata in una nuova edizione dalla Est
dopo l’uscita del sequel Chili con Linda (Tropea) – è stato
traslato sul grande schermo nel 1995 da Barry Sonnenfeld
in Get Shorty, con un John Travolta in gran forma
coadiuvato da un cast composto da Gene Hackman, René
Russo, Danny DeVito e Dennis Farina. Protagonista de La
scorciatoia è Ernest “Chili” Palmer, ex malavitoso di
Brooklyn ora ingaggiato come a Miami come esperto in
recuperi finanziari (in pratica fa lo strozzino). Nel suo lavoro
è un professionista, ma Chili in fondo è anche dotato di
buon cuore, oltre a nutrire uno sterminato amore per il
cinema, di qualunque genere. Quando arriva a Los Angeles
inseguendo Leo, lavandaio in fuga stile Fu Mattia Pascal,
quasi per caso Chili decide di fare una puntatina ad
Hollywood per riscuotere un credito da Harry Zimm, regista
e produttore di B-movies: in casa di Zimm, in crisi finanziaria
perché si è già giocato tutti i soldi del suo prossimo film,
Chili decide di aiutarlo a risolvere i suoi problemi ed entrare
nel giro della celluloide, coronando il suo sogno di sempre.
Un po’ anche perché ha conosciuto Karen Flores, l’attrice
dei suoi sogni, ed anche lei non è rimasta indifferente al suo
fascino. Così, destreggiandosi tra vari delinquenti, Chili
aiuta Zimm a trovare i soldi per finanziare il film,
‘costringendo’ inoltre la star del momento Martin Ritt ad
accettare il ruolo da protagonista: inutile dire che nel film
nel film sullo schermo finirà proprio la sua storia, perfino
con il volto di Harvey Keitel (come suggerito da Chili) per il
ruolo rivestito dal trucido Ray Bones. Sospeso a metà tra il
thriller malavitoso e la commedia hollywoodiana, La
scorciatoia è un romanzo che ritrae in modo lucido e
terribilmente divertente il mondo del cinema, con contagiosi
dialoghi a tema, un grande ritmo narrativo e personaggi
ottimamente caratterizzati.
Elmore Leonard, La scorciatoia, Milano,
Marco Tropea Editore (Est), 2000; pp. 240
P.B.
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