To The Name I Love

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To The Name I Love
To The Name I Love
(ode a Cinzia)
Deriva dall'antico nome greco Kynthìa, che significa "del monte Cinto" e che era uno dei nomi
con cui veniva chiamata Artemide, la dea greca della luna e della caccia (nata appunto sul monte
Cinto, nell'isola di Delo nell'Egeo).
Cinzia è anche il nome della donna cantata dal poeta latino Sesto Properzio nelle sue elegie.
La sua è l'intelligenza del cuore, che comprende con immediatezza l'essenzialità delle cose. Ed è
l'amore ad essere al centro dei suoi interessi.
Onomastico: 23 maggio
Non è che ci sia un motivo particolare per dichiarare questo amore.
Infatti, non è mai stato un vero amore.
Sono quelle cose che uno si sente dentro, come la vocazione o la squadra
del cuore. Quel genere di cose che, a pelle, inconsciamente, ti fanno salire in
paradiso o scendere all’inferno nel breve tempo di un battito di palpebre, senza
che tu te ne renda conto.
Paradiso, in questo caso.
Questo scritto è semplicemente dedicato al nome che io amo*.
***
In genere, si è portati a ricordare con piacere i nomi delle persone che ci
sono piaciute, e a odiare i nomi di coloro con cui abbiamo vissuto situazioni
spiacevoli. E qui risiede il motivo principe di questa Ode: “Cinzia” è il nome
che mi ha provocato sensazioni positive da sempre, ben prima di poterlo
associare con un particolare viso.
Personalmente io ho sempre preferito i nomi femminili “che esistono
soltanto al femminile”: per fare un esempio, Laura, oppure Elisabetta. Quelli
che esistono in entrambi i generi sono, secondo me, un po’ meno “ispirati”,
dolci… in una parola, belli.
E, sempre personalmente, ci sono alcuni nomi, legati a momenti della mia
vita, che mi piacciono: nomi femminili come Cristina o Irene o Laura, e anche
nomi maschili come Fabrizio oppure Marco. E’ facile farsi condizionare dai
ricordi e dire “sì, quello è un bel nome”, soltanto perché abbiamo conosciuto in
passato una persona simpatica o attraente che portava quel nome.
Ma il nome significa anche qualcosa? E’ vera l’equazione nomen=omen?
Forse sì, forse no…
Forse, c’è un minimo di verità in più, che non nell’oroscopo.
Ad ogni modo, dei nomi di cui sopra io non sapevo nulla (e di alcuni
avrei fatto volentieri a meno di saperne di più...) fino a quando non ho
incontrato quelle determinate persone.
Così non fu per C**.
***
Per quel che mi posso ricordare, la prima ragazza di nome Cinzia che mi
capitò di incontrare fu una delle “microgirl”. A meno che non siate un mio
amico del 1985 che in quei tempi bazzicava per la ridente località ligure di
Ceriale, non potete sapere che cosa significhi questa parola, quindi è necessaria
una minima spiegazione.
Si trattava di un gruppo di ragazzine, di alcuni anni più giovani di noi,
caratterizzate da un’altezza media inferiore alla media. Ma erano carine,
simpatiche… due erano sorelle fra loro, belle in carne, un’altra più magra, e poi
c’era Cinzia. Occhioni che oggi forse si potrebbero accomunare a quelli di
Britney Spears. E forse anche il suo spessore mentale. Non ricordo molto di
quei giorni: probabilmente anche il mio spessore mentale non era granché, a
quei tempi. Comunque lei era caruccia, forse un po’ rozza, ma anche “di
tendenza”: ricordo le nostre discussioni e i nostri battibecchi su paninari e dark.
E un’unica volta che io e lei siamo usciti insieme: ci siamo fatti un giro in
centro e lei era vestita di nero, con una gonna lunga.
Intanto, era già passato un anno e mezzo. Oggi, son trascorsi quasi
vent’anni e io non ho mai più rivisto questa ragazza.
Un paio d’anni dopo la mia cerchia di conoscenze s’era decisamente
allargata. Avevamo un campionario di nomi non indifferente: dai più banali
come Monica o Alessandra, a una sfilza di Mauri e Massimi. Qualcuno di
questi nomi lasciò anche un segno. Ma un giorno, al concerto di Madonna
(quello famoso, quello del 1987), un’amica portò una amica che si chiamava
Cinzia. “E’ di Asti”, disse. Chissà che faccia aveva… ricordo solo che era
carina, simpatica, alta, capelli chiari. Boh… A quel concerto ebbi sinceramente
altro a cui pensare, ed era la musica! Però… quell’alito leggero che ti sfiora,
quando pensi a un pomeriggio di fine estate… di quell’estate, porta quel nome.
Passò più di un altro anno, ed ecco che comparve un’altra Cinzia.
A oggi, devo dire che lei è “l’incarnazione” più efficace di come io mi
immagino una ragazza carina di nome Cinzia. Anzi, a dire il vero, fino a due
anni fa… ma su questo ci torneremo dopo.
Tuttavia, quando le quattro amiche comparvero in compagnia non fu
esattamente così. Era un periodo cupo, il freddo era fuori e dentro di me.
C’erano delle ragazze interessanti, e loro non erano tra queste: un po’ zarre,
appariscenti, abitavano in una zona tamarra della città, e una di esse dopo poco
si fece una fantomatica e misteriosa operazione al naso, che ancora adesso
suscita ilarità in quella cerchia di amici.
Però… lei non era male. Biondina, piccolina, begli occhi. Un po’… poco
formosa, diciamo così. Un po’ priva di carattere, diciamo pure.
Ma a me non è che importasse poi nulla di tutto questo. Scherzavamo…
una volta le avevo nascosto le chiavi di casa, mentre eravamo in birreria, e lei le
aveva poi trovate l’indomani e… mi aveva odiato, ma chi se ne importava!
Poi io iniziai a uscire con una ragazza, e lei con un ragazzo che, di
persone prive di carattere, in effetti se ne intendeva un po’. E, siccome io e
questo ragazzo eravamo e siamo carissimi amici, tutti insieme iniziammo a
frequentarci molto. E passarono alcuni anni.
Il nostro rapporto fu sempre improntato sugli scherzi, anche cattivi, e
sulle battute. Quando le nostre coppie andavano bene, ci divertivamo e
facevamo delle lunghe gite al mare o in montagna. Quando le cose andavano
male, lei prendeva spesso posizione contro di me, anche se sempre con un
“basso profilo”. E, da parte mia, io riscontravo quel qualcosa di così
“squisitamente succube” nel suo modo di fare (nei confronti soprattutto del suo
ragazzo) che esprimeva una tenerezza di fondo.
Ad ogni modo, dopo tre-quattro anni i due si lasciarono. Lei iniziò a fare
la vamp fuori stagione e… insomma, ci si perse poi di vista. Non prima, però,
che qualcosa dentro di me, nuovamente single, mi facesse convincere che “io e
lei eravamo fatti l’uno per l’altra”, come diceva chi, in compagnia, vedeva che
entrambi avevamo gli occhi azzurri.
Naturalmente non se ne fece nulla. Non mi piaceva lei, forse questo era
chiaro ad entrambi. Ovviamente neanche io le piacevo: avevamo soltanto
ballato insieme un lento, tantissimi anni prima. Ma la magia di quel nome aveva
iniziato a farsi strada. Le morii un po’ dietro, e poi continuammo a frequentarci
per un altro paio di anni: mi è rimasta particolarmente impressa a un
matrimonio di amici, quando indossava un vestito rosa che ben si intonava,
indubbiamente, con l’essere “etereo” di cui doveva per forza essere portatrice
una “Cinzia”. A dimostrazione che forse il suo nome voleva dire davvero
qualcosa, ho saputo dopo qualche anno che si è sposata, scegliendo come
giorno il 14 febbraio…
Ci misi qualche tempo a rendermi conto, a mettere a fuoco queste
sensazioni.
Passò qualche mese, e ricordo che in quel periodo incontrai la prima
Cinzia brutta! Era la segretaria di una ditta per cui lavoravo.
Che contraddizione insanabile! Alta, grassa… anche se a onor del vero
c’era una certa dolcezza nei suoi occhi e nella sua voce.
E c’era stata anche quella ragazzotta robusta, decisamente un
maschiaccio, ma tanto simpatica e a suo modo tenera: scherzavamo sempre…
era un’amica della mia ragazza di quegli anni, e a me piaceva prenderla in giro
perché era tanto più giovane di noi. Si è poi sposata con un simpatico
“orsacchiotto” di quella compagnia, e penso sia una bella coppia, ben assortita.
E poi ne conobbi anche un’altra, che curiosamente lavorava vicino a una
famosa “Trattoria Cinzia” qui, in città. Un jeans, carnagione scura, mattinate
invernali… Soltanto flebili attimi di una vita passata, che mi riportano a quegli
anni e a quelle circostanze.
Qualche tempo dopo, in un’altra compagnia, incontrai un’altra Cinzia.
Erano due sorelle, che curiosamente portavano lo stesso nome di due delle
quattro amiche del gruppo di cui sopra.
Non ricordo quasi nulla dei primi anni in cui venni a contatto con questa
ragazza, tranne il nome. Lei era piuttosto… come dire… non tanto timida, ma
sempre sulle sue. Simbionte di sua sorella maggiore. Ed entrambe erano tutto
tranne che persone di compagnia. E quella compagnia era fatta di persone ben
più vivaci di loro, con cui ci si divertiva molto, e di ragazze interessanti.
Ci furono tuttavia dei momenti tristi, in quella comitiva. E passarono un
po’ di anni prima che io ricominciassi a vedere le persone nella giusta luce. Fu
allora che mi accorsi che, sebbene un po’ vuota, la sorella di nome Cinzia era
tutto sommato carina e ben tornita. Siamo entrati un po’ più in confidenza, da
allora.
Ma ormai io avevo capito che il motivo era un altro.
Forse questo era accaduto quando, in quegli anni, avevo scoperto che la
cantante dei “Cattivi Pensieri”, un gruppo musicale italiano di livello
relativamente basso, si chiamava Cinzia. La musica che facevano era semplice,
stupidina, ma originale. La voce di lei era da rockettara, ma dolce e romantica.
Io non sapevo il suo nome. Ma quando lo scoprii, mi parve ovvio che si
dovesse chiamare così.
Le mandai un’email dove le scrissi “siete molto bravi, e tu hai un nome
stupendo”. Sì, stavo male, in quegli anni!
E poi passò.
Nel solito Ospedale dove lavoravo da anni, una cara amica un po’ più
grande di me aveva una nuova collega dal nome Cinzia. E fu la seconda
cozza… ma non l’ultima: anche se, va detto, che queste due signore avevano
anche una certa età. E, più o meno negli stessi tempi, fui un giorno “fulminato”
da una bellissima ragazza alta, ricciola, coi capelli castano chiari.
“Che bella”, pensai. Scambiai due parole con i suoi colleghi d’ufficio,
quando lei fu uscita. “Si chiama Cinzia”, mi dissero. Bingo!
Ma fu soltanto un’avvisaglia… un trailer. Ogni tanto la vedo ancora, e
ricordo con piacere che fu proprio quando conobbi lei che nella mia mente
scattò, definitivamente, l’associazione “Cinzia=dea”.
E, quella stessa estate, feci conoscenza con due ragazze toscane,
originarie di Certaldo (amena località nei pressi di Firenze). Carine, simpatiche,
con quella parlata toscana che, da sola, ti fa venire voglia di passarci insieme, se
non tutta la vita, almeno qualche anno… e una di loro si chiamava Cinzia.
(Se Cinzia e Susy di Certaldo stanno leggendo queste mie righe…)
E arriviamo così al Natale 2000, in cui scoprii che questo nome era molto
diffuso anche al sud, in mezzo a Giuseppine, Rosarie e quant’altro.
Non avrei mai pensato che al paese di mia madre ci potessero essere
persone interessanti… non so perché, forse per l’esperienza maturata da
piccolo. Ma la morte di un caro zio mi portò a frequentare il posto un po’ di più.
Lei era bionda, amica di una mia cugina di secondo grado (decisamente
più piccola di me), ma piuttosto vivace. E carina: non me ne resi conto subito,
ma aveva qualcosa di Uma Thurman. Ci vedemmo per qualche giorno, un
cinema, una partita a bowling… poi ci scambiammo dei messaggini. C’era un
certo feeling. Ma non ci fu un seguito: eravamo troppo lontani, e in fondo anche
molto diversi. E la parlata napoletana non è simpatica come quella toscana.
Se si esclude un’amica di un’amica, portata a una festa di compleanno
all’incirca nel 2001, non ci furono, per un po’, altri contatti con le Cinzie.
Questa ragazza, poi, era molto alta e anche un po’ curiosamente strana!
Così giungiamo a uno dei momenti più belli della mia vita.
Di nuovo, va ribadito, non perché ci fosse una persona che… o una
situazione che… o altro. No, è quella cosa che è nel destino.
Nella prima delle due scenette che andrò a descrivere, il destino l’ho
cercato io. E ho scherzato con lui.
Nella seconda, qualcosa è andato storto, ma la strada è stata giusta…
oserei dire perfetta, fino alla fine.
Si parlava, a casa di amici.
Una ragazza, fidanzata con un mio caro amico, voleva far conoscere ad un
nostro amico single una donna.
- Allora, io la invito la prossima volta, tu ci sei? – gli domandava.
Lui faceva il titubante come al solito (è fatto così).
Io seguivo il discorso. Speravo ci fosse qualcosa anche per me!
- Va bene, la prossima volta ti faccio conoscere la mia amica Cinzia, così
se ti piace…
Si accese la lampadina. Mi inserii nel discorso.
- La prendo io! Se si chiama Cinzia, la compro io, sulla fiducia! – dissi.
Tutti mi guardarono attoniti.
Dopo di quel giorno, la gente iniziò a domandarsi quale donna del mio
passato mi ricordasse una “Cinzia”, e non avendone memoria, iniziò a farmi
domande. Vagli a spiegare che, infatti, non c’era.
Ovviamente, l’amica di questa tizia non comparve mai. A volte di certa
gente non ci si può proprio fidare.
Ma… dopo qualche tempo circolò una Catena di S.Antonio via Internet,
originata da lei, e tra i destinatari… tale “Cinzia B…”
“Eccola!” pensai.
In un attimo le scrissi. “Tu devi essere l’amica di…”
Lei rispose perplessa. Però rispose. Poi si informò su chi ero, dalla sua
amica. Poi mi scrisse l’amica. Insomma: non era lei, era un’altra ragazza con lo
stesso nome, collega (oltreché amica) dell’altra!
Andava bene lo stesso. Ci scrivemmo per un po’. Poi ci incontrammo per
andare al cinema. Era simpatica, spigliata, sola, un po’ così…
Siamo tuttora amici, non è successo nulla di più. Ma è stato divertente. Se
avessi voluto davvero fare colpo forse non avrei dovuto dirle “mi piace il tuo
nome”, non è una cosa sensata da dire a una donna, soprattutto per quello che
evoca (“chi ti ricordo?” E poi, vaglielo a spiegare…)
E infatti a quella dopo non glielo dissi.
Eravamo al matrimonio civile di due cari amici. Un’esperienza nuova,
diversa dal normale. Un caldo mattino di inizio settembre, tutti vestiti bene.
Amici di lunga data. Tante coppie e qualche solitario.
Pregustavamo la mangiata in montagna.
Eccole. Tre ragazze un po’ più giovani, vestite in maniera carina. Una
alta, le altre due più piccole. Tutte belline. Sedute al fondo della sala,
nell’ufficio del Comune.
La cerimonia. Poi si partì. In macchina con me c’era la mascotte della
nostra compagnia, questa ragazzotta relativamente inaccasabile, benché col
nome toscano pure lei.
Un’oretta di strada. Gli aperitivi fuori del ristorante.
Arrivarono gli altri invitati, e tutti si entrò nel locale.
Io la seguivo con lo sguardo. Chissà se me l’avrebbero presentata, chissà
che compagnia frequentava…
Chissà chi era.
- Quella ragazza ti sta guardando… - disse un mio amico ad un certo
punto, a tavola.
- Eh…?
- Sì, è lì, dietro di te…
Mi girai, e lei era lì, praticamente schiena a schiena con me, ad angolo.
Quei capelli castani scuri, mossi e pettinati “da grande festa”. Un bel viso.
Camicetta bianca. Il tempo di fare un po’ di casino e…
- Io sono Dario…
- Io mi chiamo Cinzia!
Curioso, mentre scrivo queste parole sento il cuore battere come in quel
momento.
E…
- Abiti a Torino?
- No, io abito a Cuorgnè…
“Cosa? In quella città che porta a quel posto stupendo che è Ceresole, al
Parco del Gran Paradiso? E ti chiami Cinzia? E mi fissi da lontano?”
Era vero. Era tutto vero.
Era ormai un po’ di mesi che le cose andavano per il verso giusto. E
quello era più di quanto potessi chiedere.
Tutto il giorno a parlare, a farsi foto, a farsi fare delle foto.
A scansare i commenti degli amici. A scambiarsi i numeri di telefono. A
oscillare sul dondolo, ormai lasciati soli da tutti gli altri, per parlare.
Ci incontrammo poi l’indomani. La portai in compagnia. Andai a trovarla
su da lei, e lei venne giù qualche volta da noi. Stavamo bene, era divertente.
Non so, forse non eravamo pronti. Magari abitavamo troppo lontano.
Forse le ho fatto un’impressione negativa. Forse non mi sono fatto avanti.
Ma quando prendevo la superstrada di Caselle e dicevo tra me e me “La
mia ragazza si chiama Cinzia… Potrò dire finalmente: Cinzia ti amo… La gente
dirà: stiamo aspettando Dario e Cinzia…”, mi commuovevo.
Andò avanti poco più di un mese. In particolare, lei mi portò finalmente
in un pub irlandese che si trova dalle sue parti, e che io avevo sempre solo visto
sulla strada, senza esserci entrato. E, curiosamente, io avevo spinto per andarci
con alcuni amici, per festeggiare uno di noi che si sposava… soltanto qualche
mese prima, e poi non se n’era fatto nulla.
A volte le cose sono nell’aria.
L’anno scorso le ho spedito una foto di quelle fatte al matrimonio, e così
ci siamo sentiti. Poi gli auguri di Natale. Sono stato anche alcune altre volte
nella sua città e al “Liquorificio Cinzia”, un bar dal nome fatidico che è situato
sulla fatidica strada di Ceresole.
E’ stata la volta in cui sono andato più vicino a un sogno.
Ad ogni modo, non ho desistito.
A parte che, quando mi sono vestito da femminuccia all’ultimo Carnevale,
e la gente mi ha chiesto “come ti chiami?”… io ci ho pensato un attimo e gli ho
risposto come era ovvio.
Forse era un nome che mi era molto vicino in una vita precedente, forse
era proprio il mio.
E poi…
Alle ultime elezioni, non è che ci fosse granché scelta. Tolto ciò che era
invotabile, mi rivolsi al meno peggio. Nel meno peggio, non riuscivo a
decidermi. Cercai un’ispirazione. Lista col nome di una pizza… lista di uno coi
baffi… lista di un famoso ex-magistrato…
Scorsi rapidamente gli elenchi dei candidati.
“Cinzia… del 1980, scorpione…”
“Trovata!”, pensai tra me e me.
Entrai nel seggio e diedi il mio voto, soddisfatto.
Qualche tempo dopo, un amico mi domandò se mi interessava “iscrivermi
a un partito, per fare qualcosa contro il malcostume ecc.ecc.”
Io gli dissi che ero scettico…
- Ma che partito è?
Era proprio “quel” partito.
- Ah, ma pensa, io ho già votato per loro alle ultime regionali.
- Ah, sì? Il mio amico vuol sapere per chi hai votato…
- Una certa Cinzia…
- Ma… mi sta domandando se la conosci personalmente… dice che non è
tra i capi-lista…
- No, figurati... è che mi piaceva il nome, il segno zodiacale…
Okay, qua mi sono comportato da cittadino-non-modello.
Ma è come una vocazione, non si discute.
Non si discute. E’ il brivido che ti percorre quando entri in una casa, in un
ufficio, in una riunione e qualcuno ti dice “lei è Cinzia”… ed accade, senza
nemmeno il bisogno di guardare in faccia il soggetto.
Quel brivido che ti prende quando ti torna alla mente il ricordo di
qualcosa che c’è stato, o che c’è tuttora.
Nel mio caso, che ci sarà. Ne son convinto.
Ogni tanto qualcuno ti domanda “ma tu, che nome daresti ai tuoi figli?”
Sono quelle domande epocali (si fa per dire) a cui è difficile dare una
risposta, ma può essere divertente provarci, per gioco.
E io rispondo sempre: “Cinzia, se femmina”. Se maschio, la scelta è più
variegata. E anche se a chiedermelo sono persone che mi hanno visto soffrire
per la “portatrice di pace”, la mia risposta non cambia… almeno ho la
soddisfazione di spiazzarle!
In fondo, c’è gente che ha chiamato la propria figlia Elisa, pensando alla
famosa fiction TV: avrebbero potuto ispirarsi alla sua regista***!
* omaggio alla canzone dei REM dal titolo simile.
** questo sembra essere il diminutivo più in uso tra amiche e/o sorelle di cui una porta il
nome Cinzia.
*** Cinzia Th. Torrini.