Dalle basse dosi al "Silenzio Cosmico"
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Dalle basse dosi al "Silenzio Cosmico"
fisica e... dalle basse dosi al “silenzio cosmico” Nuove evidenze degli effetti delle radiazioni ionizzanti Per la salute Emiliano Fratini1,2, Daria Capece1,3 1 Centro Studi e Ricerche e Museo Storico della Fisica “Enrico Fermi”, Roma, Italia Istituto Superiore di Sanità, Roma, Italia 3 Università dell’Aquila, L'Aquila, Italia 2 I dati raccolti fin dagli anni ’50 sull’esposizione ad alte dosi di radiazioni hanno posto il DNA come bersaglio primario della radiazione (target theory) e hanno gettato le basi di un modello radioprotezionistico lineare senza soglia (LNT Model): gli effetti alle basse dosi sono estrapolati in modo diretto e lineare dagli effetti ad alte dosi. Negli ultimi decenni questo modello è stato messo in discussione dalle osservazioni di effetti non bersaglio-specifici (Non-Target Effects) osservati a basse/bassissime dosi. Questi effetti non sono dovuti esclusivamente alla risposta della singola cellula ma all’integrazione di risposte cellulari, tissutali e dell’organismo intero. 1 Introduzione Gli effetti delle radiazioni ionizzanti (RI) possono essere suddivisi in deterministici e stocastici se è possibile correlarli direttamente o meno alla dose assorbita. I primi sono attribuibili direttamente all’irraggiamento e generalmente si manifestano a breve tempo dall’esposizione, hanno una gravità proporzionale alla dose assorbita e si manifestano solamente al superamento di una dose soglia, specifica per l’effetto osservato. Al contrario, gli effetti stocastici non si manifestano immediatamente e non sono facilmente correlabili con la dose assorbita. Il modello lineare senza soglia (LNT model), usato in radioprotezione per predire gli effetti di basse dosi di RI [1], ipotizza che la probabilità che gli effetti prodotti dalla radiazione siano direttamente proporzionali alla dose, cioè il rischio per la salute cresca linearmente con la dose. Questo modello, costruito sulle basi di studi epidemiologici, che riguardano prevalentemente effetti di alte dosi ed alti ratei di dose di RI, è usato per stimare i rischi da basse dosi e bassi ratei di dose, estrapolando i dati ottenuti ad alte dosi. Negli ultimi decenni il modello LNT è stato messo in discussione in quanto si sono raccolte un gran numero di evidenze sperimentali che suggeriscono che i rischi collegati alle basse dosi di radiazioni non possono essere predetti da una estrapolazione lineare dei rischi valutati ad alte dosi. L’universalità della “target theory”, che asserisce che bersagli sensibili (target) all’interno della cellula debbano essere colpiti direttamente dalla radiazione, o indirettamente attraverso l’azione dei radicali liberi, per dar luogo a un determinato effetto biologico, è messa alla prova dalle osservazioni di effetti non bersaglio-specifici (Non-Target Effect, NTE), cioè che non richiedono l’esposizione diretta alle radiazioni. Gli effetti NTE sono particolarmente evidenti alle basse dosi ed includono il ruolo della comunicazione cellulare e le risposte a livello tissutale e sistemico. Tra i NTE possiamo considerare l’instabilità genomica, il bystander effect (BE), e la risposta adattativa (AR). Questi due effetti verranno descritti in seguito. Una migliore conoscenza degli effetti non target può avere conseguenze importanti per la valutazione del rischio alle basse dosi e, conseguentemente, sulla protezione dalle radiazioni. Alcuni effetti, quali l’instabilità genomica vol28 / no5-6 / anno2012 > 23 fisica e... Fig. 1 Modelli di rischio per la salute dovuti all’esposizione a basse dosi di radiazioni ionizzanti [9]. e i fenomeni bystander, potrebbero aumentare il rischio di cancro al di sopra delle stime fatte per estrapolazione del modello LNT, mentre al contrario altri effetti potrebbero mostrare una protezione (risposta adattativa) [2]. Questi studi possono contribuire alla valutazione della stima del rischio di cancro per l’esposizione occupazionale, medica e ambientale alle radiazioni ionizzanti, in quanto la soglia di dose per gli studi epidemiologici è di circa 100 mSv. L’estrapolazione del rischio dai dati epidemiologici dovrebbe essere fatta con la certezza che i meccanismi di carcinogenesi siano gli stessi per le alte e basse dosi; se non fosse così, l’estrapolazione e il modello LNT non sarebbero validi [3]. Negli ultimi decenni, ed in seguito a questi studi, Il modello LNT è stato fortemente contestato [4]: la varietà dei fenomeni biologici indotti dalle basse dosi, potrebbe avere un impatto sulla modulazione della forma della curva dose-effetto e causare una deviazione dal modello LNT (fig. 1). 2 Effetti “targeted”: il danno al DNA e le vie di segnalazione e riparazione Come detto sopra gli effetti “targeted” della radiazione, sono quelli che 24 < il nuovo saggiatore necessitano l’esposizione diretta del nucleo e l’interazione diretta o indiretta della radiazione ionizzante con il materiale genetico. Pertanto la radiazione può provocare un danno diretto sull’acido nucleico, come rotture a singolo o doppio filamento (SSB, Single-Strand Break; DSB Double-strand break) o un danno indiretto provocato dall’interazione del DNA con prodotti della radiolisi dell’acqua (es. il radicale . OH, che è una componente dei ROS, Reactive Oxigen Species). Il danno derivato da ROS prodotte durante l’irraggiamento, spesso a carico di singole basi o di un solo filamento dell’acido nucleico, è un danno che si sovrappone a quello fisiologico dovuto al metabolismo ossidativo della cellula. Va sottolineato che dosi acute di 100 mGy di raggi γ non aggiungono al livello spontaneo di danno ossidativo endogeno più del 10% [5]. I sistemi di riparazione del danno ossidativo sono: la reversione diretta, per opera di enzimi specifici (MGMT, O6-Methyl-Guanine DNA Metil-Trasferase); l’asportazione della sola base danneggiata (BER, Base Excision Repair); l’asportazione dell’intero nucleotide danneggiato (NER, Nucleotide Excision Repair); la riparazione di basi che non si appaiano correttamente (MMR, MisMatch Repair). Questi sistemi, essendo coinvolti anche nella riparazione di danno fisiologico al DNA, sono caratterizzati da una grande accuratezza [6]. Al contrario le rotture a doppio filamento, DSBs, sono più complesse da riparare, e richiedono altri meccanismi di riparazione. Il meccanismo più efficiente, la ricombinazione omologa (HR, Homologous Recombination), è comunque soggetto a errori; le altre vie di riparazione, l’unione delle estremità non omologa (NHEJ, Non-Homologous End Joining) e l’allineamento dei filamenti singoli, sono intrinsecamente molto più inclini all’errore. Mentre i danni non riparati portano generalmente alla morte cellulare, i danni riparati male inducono mutazioni e quindi la possibilità di cancerogenesi. Inoltre, in presenza di alte dosi di RI o di radiazione densamente ionizzante (es. particelle α), si possono avere modificazioni del DNA più complesse come i danni ravvicinati, anche detti clusterizzati o LMDS (Locally Multiply Damaged Sites), come lesioni singole (a singolo o doppio filamento) raggruppate nel breve spazio di uno o due giri d’elica di DNA. Queste lesioni difficilmente inducono il cancro perché attivano una segnalazione intracellulare che induce il blocco della replicazione e la morte cellulare [7]. Un ruolo importante nei meccanismi cellulari di prevenzione della e. fratini, d. capece: dalle basse dosi al “silenzio cosmico” Fig. 2 Descrizione sintetica e schematizzata della cascata di segnalazione intracellulare a seguito di danno al DNA, con enfasi sul ruolo centrale della proteina ATM. cancerogenesi è giocato dalle vie di rilevazione e segnalazione del danno (fig. 2). Anche queste vie, come quelle coinvolte in modo più diretto nella riparazione, possono influenzare gli effetti delle radiazioni. Una proteina chiave nelle vie di rilevazione e segnalazione del danno è la chinasi ATM (Ataxia Telangectasia Mutated) e, come dice il nome, mutazioni in ATM causano gli effetti che portano alla radiosensibilità tipica della Ataxia Telangectasia. L’analisi della fosforilazione di ATM e di altri sensori del danno al DNA come l’istone γH2AX sono ampiamente usati come indice di danno e di attivazione delle vie di segnalazione e riparazione, e sono generalmente proporzionali alla dose nell’intervallo tra i 10 mGy e 1 Gy. Le vie di segnalazione del danno, in gran parte indotte proprio da ATM fosforilato, attivano processi di risposta che includono l’arresto del ciclo cellulare, il rimodellamento della cromatina e l’induzione della riparazione [8]. Una ridotta attivazione dei sensori del danno e delle vie di segnalazione a seguito di esposizione a RI può avere gravi conseguenze per la salute. Questo è dimostrato da rare malattie genetiche recessive che sono associate con la suscettibilità al cancro e con la radiosensibilità. Nella popolazione esposta a radioterapia, c’è un’enorme variabilità nella risposta clinica, e questo e dovuto in parte a variazioni nei geni chiave delle vie di segnalazione e riparazione del danno al DNA [9]. Negli ultimi decenni sono stati identificati geni responsabili della sensibilità alle radiazioni i cui prodotti (RNA o proteine) sono coinvolti nel rimodellamento della cromatina, nella degradazione delle proteine e nel processamento degli RNA [10] Da tempo è noto che il danno da radiazioni ionizzanti non è esclusivamente a carico del nucleo e del genoma, e che le radiazioni ionizzanti inducono lesioni a tutti i costituenti cellulari (acidi nucleici, proteine e lipidi). La radiazione è in grado di modificare la struttura secondaria e terziaria delle proteine compromettendo la loro funzione. Nelle membrane della cellula e degli organelli, i ROS prodotti dalla radiazione degradano i lipidi polinsaturi formando malondialdeide; quest’aldeide, molto reattiva, può causare stress tossico nelle cellule, formare addotti covalenti con proteine e reagire con adenina e guanina nel DNA, formando addotti mutagenici. Per di più, i ROS possono danneggiare i canali ionici compromettendo l’omeostasi e la permeabilità della membrana cellulare, come anche causare la depolarizzazione della membrana mitocondriale e il rilascio del citocromo C nel citoplasma, fattore che può indurre l’apoptosi o l’ulteriore incremento di produzione di ROS [11]. Anche le vie di rilevamento, segnalazione e riparazione del danno non sono limitate al nucleo, essendo le cellule in grado di attivare sistemi di detossificazione che consentono di ridurre i livelli di ROS. 3 Effetti “non-targeted” Come detto prima, gli effetti non-target sono caratterizzati dal fatto di non richiedere l’irradiazione diretta del nucleo cellulare e di essere particolarmente significativi alle basse dosi. Tra questi effetti ci sono l’effetto bystander quando cellule danneggiate sono in grado di segnalare il danno a cellule vicine, o anche a grandi distanze, e la risposta adattativa, quando l’induzione di sistemi di segnalazione e di riparo consente di prevenire il danno dovuto a successive dosi di RI. Una caratteristica comune di questi fenomeni è la mancanza di una linearità con la dose [12]. 3.1 Effetti “bystander” La traduzione alla lettera dall’inglese di bystander (spettatore, astante) indica in modo chiaro che gli effetti dovuti vol28 / no5-6 / anno2012 > 25 fisica e... Fig. 3 Meccanismo d’azione dell’effetto bystander: la cellula irradiata produce fattori solubili che attraverso giunzioni intercellulari o il mezzo di coltura raggiungono cellule vicine inducendo un danno e/o una risposta (SCE = Scambi di cromatidi fratelli). a questo fenomeno sono indotti in cellule che non sono state direttamente colpite dalla radiazione ma che si trovano nelle vicinanze di cellule irradiate o che ne condividono il terreno di coltura. Gli effetti biologici più comunemente osservati sono: danno al DNA, le alterazioni cromosomiche come incremento della frequenza di micronuclei, aumento di scambi tra cromatidi fratelli (SCE, Sister chromatid Exchange), ma anche riduzione della sopravvivenza clonogenica e induzione di apoptosi [13]. L’induzione di questi effetti è stata descritta in relazione a radiazioni di diversa qualità, sia di basso che di alto LET, Linear Energy Transfer [14,15]. Esperimenti pionieri sul bystander effect, utilizzando particelle-α, hanno messo in evidenza che a dosi molto basse, un gran numero di cellule pur non essendo colpite direttamente dalla radiazione venivano danneggiate [16]. Gli stessi esperimenti hanno mostrato anche un andamento della relazione dose-risposta non lineare, con una forte crescita iniziale seguita da un plateau. Una ulteriore caratterizzazione di questo effetto ha messo in evidenza una dipendenza dalla dose e dalla qualità della radiazione, ma soprattutto dal tipo di cellula trattata e dalle condizioni in cui le cellule si trovano al momento del trattamento (ad esempio la fase del ciclo cellulare, la densità 26 < il nuovo saggiatore cellulare ed il grado di contatto tra cellule). Mothersill e Seymour hanno dimostrato che cellule coltivate in terreno precedentemente irraggiato non presentavano l’incremento di danno tipico del BE, mettendo così in evidenza non solo l’importanza della dose e del tipo di radiazione ma anche del sistema cellulare. Un meccanismo d’azione (fig. 3) proposto prevede che le cellule irradiate producano dei fattori solubili che diffondendo nel terreno di coltura si legano a recettori di membrana o citoplasmatici delle cellule non colpite dalla radiazione inducendo l’effetto bystander. Questi effetti diminuiscono se le cellule che ricevono la radiazione sono prive di mitocondri e se si è in presenza di molecole (scavenger) capaci di catturare i ROS. Perciò agenti candidati a essere induttori di danno e delle relative risposte nelle cellule non-target sono i ROS e i RNS (Reactive Nitrogen Species), poiché è stato dimostrato che producono danno al DNA e che sono prodotti da basse dosi di radiazione. Ad oggi, un ottimo candidato a mediatore è l’ossido nitrico (NO). Altri studi hanno mostrato che anche le citochine, in particolare interleuchine (ad esempio IL-8) e il Fattore di Necrosi Tumorale (TNF-a), sono prodotte nelle cellule irradiate e possono sostituire o coadiuvare i ROS e i RNS nell’indurre l’effetto nelle cellule vicine. L’effetto bystender è amplificato nel caso in cui le cellule sono ad alta densità e quindi a stretto contatto; in questo caso la diffusione dei fattori induttori di danno può essere facilitata da canali intercellulari (Giunzioni GAP) che ne veicolano il trasporto da una cellula all’altra [17]. L’evento che induce la sintesi e la liberazione di questi fattori solubili da parte delle cellule colpite da radiazione non è ancora noto. Alcuni marcatori di danno al DNA mostrano una stretta correlazione tra l’induzione del BE e la presenza di rotture a doppio filamento del DNA (DSB). Ma la possibilità di irraggiare singoli compartimenti cellulari tramite “microbeam” ha mostrato che l’irraggiamento del citoplasma di per se è sufficiente a produrre un effetto bystander e quindi l’intera cellula, e non solamente il nucleo, ha sensori del danno da irradiamento [18]. Un importante candidato è il mitocondrio, in quanto la depolarizzazione della membrana mitocondriale porta alla produzione di ROS. Il sistema d’irradiamento con “microbeam” è estremamente utile per gli studi sul BE poiché permette di colpire con un numero esatto di particelle ionizzanti una specifica cellula oppure, come detto in precedenza, un compartimento cellulare specifico. In questo modo è stato dimostrato che il e. fratini, d. capece: dalle basse dosi al “silenzio cosmico” numero di cellule che subiscono l’effetto bystander è indipendente dal numero di particelle che attraversano una cellula irradiata; pertanto si è fatta chiarezza sul motivo della mancanza di linearità con la dose [19]. Inoltre potendo indirizzare la radiazione su di una sola cellula è stato possibile valutare a che distanza potessero arrivare i fattori induttori del BE: in vitro i fattori rilasciati riescono ad attivare la risposta in un gruppo di trenta cellule adiacenti a quella bersaglio, ma in colture tridimensionali il segnale può arrivare fino a 1 mm di distanza. Sembra quindi che la struttura tissutale consenta di stabilizzare o rafforzare il segnale per propagarlo a maggiori distanze. La conseguenza principale del BE è una riduzione dell’efficienza clonale nelle cellule non colpite da radiazione. Questa ridotta capacità delle cellule di formare colonie è dovuta ad una instabilità genomica (aumento di frequenza di SCE e micronuclei) che, nelle cellule bystander, può essere correlata a una disregolazione dell’espressione di alcuni micro RNA e in un’ipometilazione globale del loro genoma [20]. Sebbene le cellule bystander possono andare incontro a trasformazione maligna in vitro, con un evidente collegamento all’oncogenesi, spesso mostrano l’attivazione di diversi meccanismi protettivi come la morte cellulare programmata (apoptosi) e il differenziamento cellulare terminale [21]. In questi casi il BE si evidenzia non come una induzione di danno, ma come una sorta di effetto protettivo eliminando le cellule predisposte a sviluppare la trasformazione neoplastica. Le osservazioni fatte in vitro sono state confermate anche in esperimenti in vivo. In particolare, sono stati valutati danno al DNA, apoptosi, e alterazioni della proliferazione cellulare. Cambiamenti nella metilazione del DNA e nell’espressione dei microRNA potrebbero essere di vitale importanza per il mantenimento dell’instabilità genomica nei tessuti bystander. 3.2 Risposta adattativa e ormesi Attualmente si discute anche sulla possibilità che bassi livelli di radiazione possano avere effetti benefici sulla salute, e perciò sulla possibile evenienza che il modello LNT possa essere iperprotettivo [2]. Un fenomeno cellulare correlato agli effetti benefici è la risposta adattativa. La risposta di adattamento alle radiazioni è definita come l’induzione di radio-resistenza ad alte dosi di radiazione a seguito di una preesposizione a basse dosi. A livello sperimentale è stato osservato in cellule e tessuti, che una piccola dose di radiazione (detta priming dose) riduce gli effetti biologici di dosi successive di radiazioni (challenging doses) generalmente più alte (fig. 4). Gli effetti modulati dalla risposta adattativa, maggiormente indagati finora, sono quelli visti anche negli altri fenomeni (es. bystander effect) e sono collegati con il danno al DNA: induzione e riparazione di DSBs, aberrazioni cromosomiche, formazione di micronuclei, mutazione genica, trasformazione cellulare, letalità cellulare. Un elemento molto importante e peculiare della risposta adattativa è l’aumento di attività delle proteine coinvolte nella detossificazione da ROS. Proprio per questo nei modelli predittivi della AR occorre considerare oltre al danno al DNA e alla letalità cellulare, anche l’efficienza di riparazione al DNA e l’induzione di enzimi antiossidanti [22]. Per avere una risposta adattativa è richiesto un intervallo di tempo (generalmente 4-6 ore), tra la dose “priming” e quella “challenging”. Si ritiene che in questo intervallo la cellula debba produrre gli enzimi necessari ad aumentare la propria capacità di riparazione del danno e di detossificazione. Questo fenomeno è, in effetti, presente anche dopo trattamento con agenti chimici, ed è Fig. 4 Risposta adattativa: Cellule pre-trattate con una bassa dose di radiazione o agente mutageno (a) sono più protette dal danno biologico di una dose successiva più alta, rispetto alle stesse cellule non pre-trattate (b). vol28 / no5-6 / anno2012 > 27 fisica e... stato riportato anche un fenomeno di adattamento trasversale tra i diversi agenti. Ad esempio, Löbrich e colleghi hanno dimostrato che cellule trattate con piccole dosi di perossido d’idrogeno riparano più efficientemente DSBs indotte da 10 mGy di raggi X. Il perossido d’idrogeno a basse concentrazioni produce esclusivamente SSBs e danni alle basi del DNA attraverso la generazione di radicali liberi dell’ossigeno, ma non produce DSBs. Perciò bassi livelli di ROS, attivando un gruppo di geni specifici per la riparazione, inducono una risposta che è richiesta per la riparazione delle DSBs indotte da radiazione [23]. Il meccanismo della risposta adattativa è strettamente connesso all’ormesi. L’ormesi, che deriva dal verbo greco ormao che significa stimolare, avviene con un meccanismo di sovra-compensazione dovuta a una perturbazione dell’omeostasi. Punti caratteristici di questo fenomeno sono: lo scompenso dell’omeostasi, una modesta sovra-compensazione fino al ripristino dell’omeostasi e la natura adattativa del processo. L’ormesi, al contrario della risposta adattativa che è un fenomeno cellulare e tissutale, si riferisce al livello sistemico, perciò è caratterizzato dalla comunicazione cellulare a breve e lunga distanza e può includere anche fenomeni bystander positivi. I fenomeni ormetici sono generalmente indagati in vivo, e si manifestano come effetti benefici delle radiazioni su altre patologie e più in generale sull’aspettativa di vita. Alcuni studi hanno mostrato come il basso rateo di dose di radiazioni stimoli il sistema immune e, ad esempio, 28 < il nuovo saggiatore prolunghi l’aspettativa di vita di topi con il diabete [24]. Questa stimolazione avviene probabilmente tramite l’azione di ormoni (es. leptina) che agendo in modo paracrino o endocrino agiscono a breve o lunga distanza [25]. Un aspetto cruciale è il ruolo di alcuni elementi delle vie di segnalazione dello stress nelle alterazioni dell’aspettativa di vita dimostrato a seguito d’irraggiamento a basse dosi. Analisi specifiche hanno mostrato un incremento dell’espressione di geni legati all’autofagia, suggerendo che le basse dosi possono estendere l’aspettativa di vita anche stimolando il ricambio delle proteine intracellulari [26]. Sebbene i meccanismi molecolari alla base dell’ormesi siano ancora molto vaghi e difficili da identificare, gli studi degli ultimi anni hanno messo in evidenza alcune condizioni per cui basse dosi di radiazione mostrano protezione. Non solo le dosi devono essere al di sotto dei 50 mSv, ma anche il rateo della dose è di fondamentale importanza. Inoltre, anche se gran parte delle evidenze sperimentali sono state ottenute con radiazioni a basso LET (raggi x, raggi γ, paricelle β), ci sono dati che mostrano ormesi dovuta a radiazioni ad alto LET (es. neutroni [27]). Da anni Sykes e colleghi stanno studiando gli effetti della risposta adattativa alle basse dosi di radiazione, focalizzando l’attenzione su dosi estremamente basse (1 µGy, 10 mGy, 250 mGy). Il loro approccio si basa su esperimenti in vivo utilizzando un topo transgenico, pKZ1, come modello sperimentale irradiato con dosi rilevanti sia per la sicurezza e salute occupazionale (OH&S) sia per l’esposizione della popolazione. Le finalità di questi lavori sono l’analisi in situ del danno a livello del DNA e del destino cellulare tramite studi temporali e di risposta adattativa. Il modello murino da loro utilizzato, permette di rilevare il danno prodotto anche da piccolissime dosi di radiazioni in quanto in presenza di danno al DNA avviene una inversione cromosomica del gene pKZ1 che permette alla cellula di produrre di una proteina facilmente identificabile. Un incremento delle inversioni di pKZ1 è stato trovato con alte dosi di raggi X, e di agenti alchilanti e mutageni, ma anche con l’invecchiamento; mentre una diminuzione del numero d’inversioni è stata trovata con basse dosi di raggi X (1–10 mGy), ed agenti mutageni. Ma la cose più sorprendente, rilevata in situ tramite saggio pKZ1 su milza e prostata a seguito di esposizione a basse dosi di raggi X, è un andamento non lineare del danno al DNA. Questi studi hanno mostrato una tendenza alla protezione per le dosi comprese tra i 0.1 e 100 mGy. Pertanto queste dosi potrebbero essere le più efficienti nello stimolare una risposta adattativa. In effetti, esperimenti di risposta adattativa, in cui queste dosi (0.1–100 mGy) sono seguite da una dose alta (1Gy), mostrano la capacità di indurre protezione e riparazione anche verso dosi più elevate [28]. Per studiare se questa complessa relazione dose-risposta possa essere un effetto permanente, sono stati eseguiti saggi d’inversione di pKZ1 protratti nel tempo e si è visto che la risposta temporale delle inversioni nella milza è dipendente dalla dose impartita: in particolare alla dose di 0.01 mGy si ha un incremento delle inversioni nei primi e. fratini, d. capece: dalle basse dosi al “silenzio cosmico” tre giorni, seguito da un ritorno ai valori del controllo al settimo giorno. Questo effetto di diminuzione della frequenza di inversioni di pKZ1 alle basse dosi, rispetto al controllo non irradiato, può essere interpretato come diminuzione del numero di cellule che presentano inversioni, grazie all’eliminazione tramite apoptosi delle cellule pretumorali, fenomeno che in vitro è stato verificato da Portess [29]. è ragionevole ritenere che anche dosi molto basse come quelle dovute al fondo naturale di radiazioni possano avere effetti su cellule, tessuti e organismi viventi. L’evoluzione degli organismi viventi per miliardi di anni in presenza di radiazione di fondo ha portato molto probabilmente all’integrazione di questo stimolo giornaliero nei normali processi biochimici e fisiologici cellulari e sistemici. In questo contesto si inseriscono gli studi effettuati in condizioni di ridotto fondo di radiazione ambientale da Satta e colleghi. I Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS) dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), costituiscono un sito unico al mondo per studiare gli effetti del basso fondo di radiazione ambientale. Questi laboratori si trovano sotto a uno spesso strato di rocce calcaree, circa 1400 metri, che permette di ridurre il flusso di raggi cosmici e perciò la radiazione ambientale rispetto alla superficie. Gli esperimenti fatti su cellule di lievito (Saccaromyces cerevisiae), fibroblasti di criceto (V79) e una linea linfoblastoide umana (TK6), suggeriscono che il fondo di radiazione naturale possa avere un ruolo importante nel determinare una serie di processi adattativi cellulari, e in particolare che cellule cresciute a un livello di radiazione al di sotto del fondo ambientale naturale • sono meno protette da danni al DNA, indotto da agenti chimici e fisici; • presentano una maggiore sensibilità all’apoptosi; ed infine, • presentano una ridotta capacità di “scavenging” di agenti ossidanti [30]. 4 Conclusioni Nonostante le correnti stime di rischio assumano che qualsiasi esposizione a radiazione ha un rischio proporzionalmente lineare alla dose, negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza della presenza di incertezze circa le conseguenze per la salute di esposizioni a basse dosi e bassi ratei di dose di radiazioni sia naturali che artificiali. Gli studi epidemiologici tradizionali e gli esperimenti di tumorigenesi su animali non hanno il potere statistico richiesto per stabilire il rischio di cancro alle basse dosi. Sebbene attualmente si pensa che la radiazione causi un danno al DNA lineare alla dose, le nuove evidenze descritte in questo articolo mostrano che sia il danno sia la risposta a questo non sono necessariamente lineari con la dose. Inoltre, negli ultimi due decenni, abbiamo assistito ad un importante cambio di prospettiva: da una visione estremamente DNA-centrica, si è passati ad una visione più complessa in cui hanno un ruolo importante anche target “complementari”, che determinano risposte cellulari molto eterogenee e dipendenti dal sistema biologico. Il ruolo del DNA rimane fondamentale ma non esclusivo, in quanto deve essere integrato in un sistema “sensore” delle modifiche cellulari prodotte dalla radiazione. Tramite esperimenti in vitro e in vivo con basse dosi e bassi ratei di dose sono stati individuati nuovi fenomeni (es. bystander effect, risposta adattativa), che portano a una deviazione della curva doserisposta rispetto ai valori estrapolati dal modello LNT. La segnalazione cellulare si va affermando come un aspetto fondamentale nelle risposte radiobiologiche dove le cellule non rispondono come elementi isolati, ma come sistemi integrati in reciproca comunicazione mediante la trasmissione di segnali biochimici. Questa segnalazione può portare a effetti “bystander” che risultano spesso in un incremento del danno coinvolgendo anche cellule non direttamente colpite dalla radiazione, ma possono presentare anche componenti positive che, coadiuvate da una risposta adattativa a livello cellulare ed ormetica a livello sistemico, possono produrre un effetto protettivo e spesso benefico negli organismi colpiti da basse dosi di radiazione. Inoltre sono state identificate alcune soglie di risposta alla dose, ma rimane una lacuna nella conoscenza di come i livelli di risposta alla radiazione, sia cellulari sia tissutali e sistemici, interferiscano con il rischio di cancro alle basse dosi. Per colmare questo vuoto di conoscenza sarà necessario studiare i meccanismi molecolari che sono alla base dei fenomeni coinvolti nella risposta alle basse dosi di radiazione. Mentre gli studi sull’effetto bystander stanno facendo luce sui meccanismi e sul ruolo, sia positivo sia negativo, della comunicazione cellulare nella risposta tissutale e sistemica, i meccanismi vol28 / no5-6 / anno2012 > 29 molecolari che intervengono nella risposta adattativa si perdono spesso nelle normali risposte fisiologiche che mantengono l’omeostasi della cellula. Pertanto sono richieste tecnologie e modelli cellulari e animali sempre più sensibili che permettano di rilevare modulazioni significative anche a bassissime dosi, come nel caso del modello transgenico murino pKZ1. Un altro approccio interessante è quello di valutare gli effetti della riduzione del fondo naturale di radiazione. Come visto, il fondo naturale di radiazione garantisce uno stimolo quotidiano che permette alle cellule di rispondere prontamente a un eventuale danno. Esperimenti, in vitro e ancor di più in vivo, in assenza della stimolazione del fondo naturale di radiazione, potranno far luce sui meccanismi molecolari, cellulari, tissutali e sistemici, evoluti dagli organismi per rispondere anche alle più basse dosi di radiazione. Gli argomenti trattati nel presente articolo sono di interesse del progetto Silenzio Cosmico, finanziato dal Centro di Studi e Ricerche “Enrico Fermi”, che si occupa di valutare se il fondo naturale di radiazioni esercita un’azione adattativa sui sistemi viventi rispetto ad esposizioni acute ad agenti genotossici. Bibliografia [1] “The 2007 Recommendations of the International Commission on Radiological Protection”, Ann. ICRP, 37 (2007). [2] M. Tubiana, A. Aurengo, D. Averbeck, R. Masse, Radiat. Environ. Biophys., 44 (2000) 245. [3] L. Mullenders, M. Atkinson, H. Paretzke, L. Sabatier, S. Bouffler, Nature, 9 (2009) 596. [4] “Low-dose Extrapolation of Radiation Related Cancer Risk”, Ann. ICRP, 35 (2005). [5] J. P. Pouget et al., Radiat. Res., 157 (2002) 589. [6] J.P.-M. Melis, M. Luijten, L. H. F. Mullenders and H. van Steeg, in DNA Repair and Human Health, a cura di S. Vengrova (In Tech) 2011. [7] D. Averbeck, Mutat. Res., 687 (2010) 7. [8] S. C. Short, S. Bourne, C. Martindale, M. 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Dal 2011 è titolare di un grant del Centro “E. Fermi” per studiare gli effetti biologici dovuti ad una riduzione del fondo naturale di radiazione ambientale (MUrine coSmiC siLEnce project). Laureato in Biologia nel 2007 con una tesi sul metabolismo delle poliammine in condizioni fisiologiche e patologiche (cancro), ha conseguito il Ph.D. nel 2010 con uno studio sulle principali alterazioni genetiche e metaboliche, a livello molecolare e cellulare, di organismi esposti alla radiazione dell’ambiente spaziale (progetto ASI). 30 < il nuovo saggiatore [17] E. I. Azzam, S. M. de Toledo, T. Gooding, J. B. Little J.B., Radiat. Res., 150 (1998) 497. [18] C. Shao, M. Folkard, B. D. Michael, K. M. Prise Targeted, Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A., 101 (2004) 13495. [19] O. V. Belyakov, A. M. Malcolmson, M. Folkard, K. M. Prise, B. D. Michael, Br. J. Cancer, 84 (2001) 674. [20] M. A. Kadhim, R. Lee, S. R. Moore, D. A. Macdonald, K. L. Chapman, G. Patel, K. M. Prise, Mutat. Res., 688 (2010) 91. 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Satta et al., Radiat. Environ. Biophys., 41 (2002) 217. Daria Capece Campi di attività di Daria Capece sono gli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti sugli organismi viventi e lo studio delle basi molecolari dello sviluppo dei tumori. Dal 2011 è titolare di un grant del Centro “E. Fermi” per studiare gli effetti biologici dovuti a dosi estremamente basse di radiazioni ionizzanti ambientali, incluse le radiazioni cosmiche (MUrine coSmiC siLEnce project). Laureata in Biotecnologie nel 2006 con una tesi sul ruolo della metilazione come possibile meccanismo di silenziamento dell’espressione del gene REN/KCTD11 nei tumori umani, ha conseguito il Ph.D nel 2010 con uno studio sulla caratterizzazione di una nuova isoforma di splicing del gene Ikaros over-espressa nei disordini linfoproliferativi.