Dalle basse dosi al "Silenzio Cosmico"

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Dalle basse dosi al "Silenzio Cosmico"
fisica e...
dalle basse dosi al
“silenzio cosmico”
Nuove evidenze degli effetti delle radiazioni ionizzanti
Per la salute
Emiliano Fratini1,2, Daria Capece1,3
1
Centro Studi e Ricerche e Museo Storico della Fisica “Enrico Fermi”, Roma, Italia
Istituto Superiore di Sanità, Roma, Italia
3
Università dell’Aquila, L'Aquila, Italia
2
I dati raccolti fin dagli anni ’50 sull’esposizione ad alte dosi di radiazioni hanno posto il DNA
come bersaglio primario della radiazione (target theory) e hanno gettato le basi di un modello
radioprotezionistico lineare senza soglia (LNT Model): gli effetti alle basse dosi sono estrapolati in
modo diretto e lineare dagli effetti ad alte dosi.
Negli ultimi decenni questo modello è stato messo in discussione dalle osservazioni di effetti non
bersaglio-specifici (Non-Target Effects) osservati a basse/bassissime dosi. Questi effetti non sono
dovuti esclusivamente alla risposta della singola cellula ma all’integrazione di risposte cellulari,
tissutali e dell’organismo intero.
1 Introduzione
Gli effetti delle radiazioni ionizzanti
(RI) possono essere suddivisi in
deterministici e stocastici se è possibile
correlarli direttamente o meno alla
dose assorbita. I primi sono attribuibili
direttamente all’irraggiamento e
generalmente si manifestano a
breve tempo dall’esposizione, hanno
una gravità proporzionale alla dose
assorbita e si manifestano solamente
al superamento di una dose soglia,
specifica per l’effetto osservato. Al
contrario, gli effetti stocastici non si
manifestano immediatamente e non
sono facilmente correlabili con la dose
assorbita.
Il modello lineare senza soglia (LNT
model), usato in radioprotezione per
predire gli effetti di basse dosi di RI
[1], ipotizza che la probabilità che
gli effetti prodotti dalla radiazione
siano direttamente proporzionali
alla dose, cioè il rischio per la salute
cresca linearmente con la dose.
Questo modello, costruito sulle basi di
studi epidemiologici, che riguardano
prevalentemente effetti di alte dosi
ed alti ratei di dose di RI, è usato per
stimare i rischi da basse dosi e bassi
ratei di dose, estrapolando i dati
ottenuti ad alte dosi.
Negli ultimi decenni il modello LNT
è stato messo in discussione in quanto
si sono raccolte un gran numero di
evidenze sperimentali che suggeriscono
che i rischi collegati alle basse dosi di
radiazioni non possono essere predetti
da una estrapolazione lineare dei rischi
valutati ad alte dosi.
L’universalità della “target theory”, che
asserisce che bersagli sensibili (target)
all’interno della cellula debbano essere
colpiti direttamente dalla radiazione,
o indirettamente attraverso l’azione
dei radicali liberi, per dar luogo a un
determinato effetto biologico, è messa
alla prova dalle osservazioni di effetti
non bersaglio-specifici (Non-Target
Effect, NTE), cioè che non richiedono
l’esposizione diretta alle radiazioni.
Gli effetti NTE sono particolarmente
evidenti alle basse dosi ed includono il
ruolo della comunicazione cellulare e
le risposte a livello tissutale e sistemico.
Tra i NTE possiamo considerare
l’instabilità genomica, il bystander effect
(BE), e la risposta adattativa (AR). Questi
due effetti verranno descritti in seguito.
Una migliore conoscenza degli effetti
non target può avere conseguenze
importanti per la valutazione del rischio
alle basse dosi e, conseguentemente,
sulla protezione dalle radiazioni. Alcuni
effetti, quali l’instabilità genomica
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Fig. 1 Modelli di rischio per la
salute dovuti all’esposizione a basse
dosi di radiazioni ionizzanti [9].
e i fenomeni bystander, potrebbero
aumentare il rischio di cancro al di sopra
delle stime fatte per estrapolazione
del modello LNT, mentre al contrario
altri effetti potrebbero mostrare una
protezione (risposta adattativa) [2].
Questi studi possono contribuire alla
valutazione della stima del rischio di
cancro per l’esposizione occupazionale,
medica e ambientale alle radiazioni
ionizzanti, in quanto la soglia di dose
per gli studi epidemiologici è di circa
100 mSv. L’estrapolazione del rischio dai
dati epidemiologici dovrebbe essere
fatta con la certezza che i meccanismi
di carcinogenesi siano gli stessi per
le alte e basse dosi; se non fosse così,
l’estrapolazione e il modello LNT non
sarebbero validi [3].
Negli ultimi decenni, ed in seguito
a questi studi, Il modello LNT è stato
fortemente contestato [4]: la varietà dei
fenomeni biologici indotti dalle basse
dosi, potrebbe avere un impatto sulla
modulazione della forma della curva
dose-effetto e causare una deviazione
dal modello LNT (fig. 1).
2 Effetti “targeted”: il danno al
DNA e le vie di segnalazione e
riparazione
Come detto sopra gli effetti “targeted”
della radiazione, sono quelli che
24 < il nuovo saggiatore
necessitano l’esposizione diretta
del nucleo e l’interazione diretta o
indiretta della radiazione ionizzante
con il materiale genetico. Pertanto la
radiazione può provocare un danno
diretto sull’acido nucleico, come rotture
a singolo o doppio filamento (SSB,
Single-Strand Break; DSB Double-strand
break) o un danno indiretto provocato
dall’interazione del DNA con prodotti
della radiolisi dell’acqua (es. il radicale
.
OH, che è una componente dei ROS,
Reactive Oxigen Species).
Il danno derivato da ROS prodotte
durante l’irraggiamento, spesso a carico
di singole basi o di un solo filamento
dell’acido nucleico, è un danno che si
sovrappone a quello fisiologico dovuto
al metabolismo ossidativo della cellula.
Va sottolineato che dosi acute di
100 mGy di raggi γ non aggiungono al
livello spontaneo di danno ossidativo
endogeno più del 10% [5].
I sistemi di riparazione del danno
ossidativo sono: la reversione
diretta, per opera di enzimi specifici
(MGMT, O6-Methyl-Guanine DNA
Metil-Trasferase); l’asportazione
della sola base danneggiata (BER,
Base Excision Repair); l’asportazione
dell’intero nucleotide danneggiato
(NER, Nucleotide Excision Repair); la
riparazione di basi che non si appaiano
correttamente (MMR, MisMatch Repair).
Questi sistemi, essendo coinvolti anche
nella riparazione di danno fisiologico al
DNA, sono caratterizzati da una grande
accuratezza [6].
Al contrario le rotture a doppio
filamento, DSBs, sono più complesse da
riparare, e richiedono altri meccanismi
di riparazione. Il meccanismo più
efficiente, la ricombinazione omologa
(HR, Homologous Recombination), è
comunque soggetto a errori; le altre vie
di riparazione, l’unione delle estremità
non omologa (NHEJ, Non-Homologous
End Joining) e l’allineamento dei
filamenti singoli, sono intrinsecamente
molto più inclini all’errore. Mentre
i danni non riparati portano
generalmente alla morte cellulare, i
danni riparati male inducono mutazioni
e quindi la possibilità di cancerogenesi.
Inoltre, in presenza di alte dosi di RI
o di radiazione densamente ionizzante
(es. particelle α), si possono avere
modificazioni del DNA più complesse
come i danni ravvicinati, anche detti
clusterizzati o LMDS (Locally Multiply
Damaged Sites), come lesioni singole
(a singolo o doppio filamento)
raggruppate nel breve spazio di uno o
due giri d’elica di DNA. Queste lesioni
difficilmente inducono il cancro perché
attivano una segnalazione intracellulare
che induce il blocco della replicazione e
la morte cellulare [7].
Un ruolo importante nei meccanismi
cellulari di prevenzione della
e. fratini, d. capece: dalle basse dosi al “silenzio cosmico”
Fig. 2 Descrizione sintetica e
schematizzata della cascata di
segnalazione intracellulare a
seguito di danno al DNA, con
enfasi sul ruolo centrale della
proteina ATM.
cancerogenesi è giocato dalle vie di
rilevazione e segnalazione del danno
(fig. 2). Anche queste vie, come quelle
coinvolte in modo più diretto nella
riparazione, possono influenzare gli
effetti delle radiazioni. Una proteina
chiave nelle vie di rilevazione e
segnalazione del danno è la chinasi
ATM (Ataxia Telangectasia Mutated)
e, come dice il nome, mutazioni in
ATM causano gli effetti che portano
alla radiosensibilità tipica della
Ataxia Telangectasia. L’analisi della
fosforilazione di ATM e di altri sensori
del danno al DNA come l’istone γH2AX
sono ampiamente usati come indice
di danno e di attivazione delle vie di
segnalazione e riparazione, e sono
generalmente proporzionali alla dose
nell’intervallo tra i 10 mGy e 1 Gy.
Le vie di segnalazione del danno,
in gran parte indotte proprio da
ATM fosforilato, attivano processi
di risposta che includono l’arresto
del ciclo cellulare, il rimodellamento
della cromatina e l’induzione della
riparazione [8].
Una ridotta attivazione dei sensori
del danno e delle vie di segnalazione
a seguito di esposizione a RI può
avere gravi conseguenze per la salute.
Questo è dimostrato da rare malattie
genetiche recessive che sono associate
con la suscettibilità al cancro e con
la radiosensibilità. Nella popolazione
esposta a radioterapia, c’è un’enorme
variabilità nella risposta clinica, e questo
e dovuto in parte a variazioni nei geni
chiave delle vie di segnalazione e
riparazione del danno al DNA [9].
Negli ultimi decenni sono stati
identificati geni responsabili della
sensibilità alle radiazioni i cui prodotti
(RNA o proteine) sono coinvolti nel
rimodellamento della cromatina, nella
degradazione delle proteine e nel
processamento degli RNA [10]
Da tempo è noto che il danno
da radiazioni ionizzanti non è
esclusivamente a carico del nucleo e del
genoma, e che le radiazioni ionizzanti
inducono lesioni a tutti i costituenti
cellulari (acidi nucleici, proteine e lipidi).
La radiazione è in grado di modificare
la struttura secondaria e terziaria
delle proteine compromettendo la
loro funzione. Nelle membrane della
cellula e degli organelli, i ROS prodotti
dalla radiazione degradano i lipidi
polinsaturi formando malondialdeide;
quest’aldeide, molto reattiva, può
causare stress tossico nelle cellule,
formare addotti covalenti con proteine
e reagire con adenina e guanina nel
DNA, formando addotti mutagenici.
Per di più, i ROS possono danneggiare
i canali ionici compromettendo
l’omeostasi e la permeabilità della
membrana cellulare, come anche
causare la depolarizzazione della
membrana mitocondriale e il rilascio
del citocromo C nel citoplasma, fattore
che può indurre l’apoptosi o l’ulteriore
incremento di produzione di ROS [11].
Anche le vie di rilevamento,
segnalazione e riparazione del danno
non sono limitate al nucleo, essendo
le cellule in grado di attivare sistemi
di detossificazione che consentono di
ridurre i livelli di ROS.
3 Effetti “non-targeted”
Come detto prima, gli effetti
non-target sono caratterizzati dal
fatto di non richiedere l’irradiazione
diretta del nucleo cellulare e di essere
particolarmente significativi alle basse
dosi. Tra questi effetti ci sono l’effetto
bystander quando cellule danneggiate
sono in grado di segnalare il danno a
cellule vicine, o anche a grandi distanze,
e la risposta adattativa, quando
l’induzione di sistemi di segnalazione e
di riparo consente di prevenire il danno
dovuto a successive dosi di RI.
Una caratteristica comune di questi
fenomeni è la mancanza di una linearità
con la dose [12].
3.1 Effetti “bystander”
La traduzione alla lettera dall’inglese
di bystander (spettatore, astante) indica
in modo chiaro che gli effetti dovuti
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Fig. 3 Meccanismo d’azione
dell’effetto bystander: la cellula
irradiata produce fattori solubili
che attraverso giunzioni
intercellulari o il mezzo di
coltura raggiungono cellule
vicine inducendo un danno e/o
una risposta (SCE = Scambi di
cromatidi fratelli).
a questo fenomeno sono indotti in
cellule che non sono state direttamente
colpite dalla radiazione ma che si
trovano nelle vicinanze di cellule
irradiate o che ne condividono il terreno
di coltura. Gli effetti biologici più
comunemente osservati sono: danno
al DNA, le alterazioni cromosomiche
come incremento della frequenza di
micronuclei, aumento di scambi tra
cromatidi fratelli (SCE, Sister chromatid
Exchange), ma anche riduzione della
sopravvivenza clonogenica e induzione
di apoptosi [13].
L’induzione di questi effetti è stata
descritta in relazione a radiazioni di
diversa qualità, sia di basso che di alto
LET, Linear Energy Transfer [14,15].
Esperimenti pionieri sul bystander
effect, utilizzando particelle-α, hanno
messo in evidenza che a dosi molto
basse, un gran numero di cellule pur
non essendo colpite direttamente dalla
radiazione venivano danneggiate [16].
Gli stessi esperimenti hanno mostrato
anche un andamento della relazione
dose-risposta non lineare, con una forte
crescita iniziale seguita da un plateau.
Una ulteriore caratterizzazione di
questo effetto ha messo in evidenza
una dipendenza dalla dose e dalla
qualità della radiazione, ma soprattutto
dal tipo di cellula trattata e dalle
condizioni in cui le cellule si trovano al
momento del trattamento (ad esempio
la fase del ciclo cellulare, la densità
26 < il nuovo saggiatore
cellulare ed il grado di contatto tra
cellule). Mothersill e Seymour hanno
dimostrato che cellule coltivate in
terreno precedentemente irraggiato
non presentavano l’incremento di
danno tipico del BE, mettendo così in
evidenza non solo l’importanza della
dose e del tipo di radiazione ma anche
del sistema cellulare.
Un meccanismo d’azione (fig. 3)
proposto prevede che le cellule
irradiate producano dei fattori solubili
che diffondendo nel terreno di coltura
si legano a recettori di membrana o
citoplasmatici delle cellule non colpite
dalla radiazione inducendo l’effetto
bystander. Questi effetti diminuiscono
se le cellule che ricevono la radiazione
sono prive di mitocondri e se si è in
presenza di molecole (scavenger)
capaci di catturare i ROS. Perciò
agenti candidati a essere induttori di
danno e delle relative risposte nelle
cellule non-target sono i ROS e i RNS
(Reactive Nitrogen Species), poiché
è stato dimostrato che producono
danno al DNA e che sono prodotti da
basse dosi di radiazione. Ad oggi, un
ottimo candidato a mediatore è l’ossido
nitrico (NO). Altri studi hanno mostrato
che anche le citochine, in particolare
interleuchine (ad esempio IL-8) e il
Fattore di Necrosi Tumorale (TNF-a),
sono prodotte nelle cellule irradiate e
possono sostituire o coadiuvare i ROS e
i RNS nell’indurre l’effetto nelle cellule
vicine. L’effetto bystender è amplificato
nel caso in cui le cellule sono ad alta
densità e quindi a stretto contatto; in
questo caso la diffusione dei fattori
induttori di danno può essere facilitata
da canali intercellulari (Giunzioni GAP)
che ne veicolano il trasporto da una
cellula all’altra [17].
L’evento che induce la sintesi e la
liberazione di questi fattori solubili da
parte delle cellule colpite da radiazione
non è ancora noto. Alcuni marcatori
di danno al DNA mostrano una stretta
correlazione tra l’induzione del BE e la
presenza di rotture a doppio filamento
del DNA (DSB). Ma la possibilità di
irraggiare singoli compartimenti
cellulari tramite “microbeam” ha
mostrato che l’irraggiamento del
citoplasma di per se è sufficiente
a produrre un effetto bystander e
quindi l’intera cellula, e non solamente
il nucleo, ha sensori del danno da
irradiamento [18]. Un importante
candidato è il mitocondrio, in quanto
la depolarizzazione della membrana
mitocondriale porta alla produzione di
ROS.
Il sistema d’irradiamento con
“microbeam” è estremamente utile
per gli studi sul BE poiché permette
di colpire con un numero esatto di
particelle ionizzanti una specifica cellula
oppure, come detto in precedenza, un
compartimento cellulare specifico. In
questo modo è stato dimostrato che il
e. fratini, d. capece: dalle basse dosi al “silenzio cosmico”
numero di cellule che subiscono l’effetto
bystander è indipendente dal numero
di particelle che attraversano una cellula
irradiata; pertanto si è fatta chiarezza sul
motivo della mancanza di linearità con
la dose [19]. Inoltre potendo indirizzare
la radiazione su di una sola cellula è
stato possibile valutare a che distanza
potessero arrivare i fattori induttori del
BE: in vitro i fattori rilasciati riescono
ad attivare la risposta in un gruppo
di trenta cellule adiacenti a quella
bersaglio, ma in colture tridimensionali
il segnale può arrivare fino a 1 mm di
distanza. Sembra quindi che la struttura
tissutale consenta di stabilizzare o
rafforzare il segnale per propagarlo a
maggiori distanze.
La conseguenza principale del BE è
una riduzione dell’efficienza clonale
nelle cellule non colpite da radiazione.
Questa ridotta capacità delle cellule
di formare colonie è dovuta ad una
instabilità genomica (aumento di
frequenza di SCE e micronuclei)
che, nelle cellule bystander, può
essere correlata a una disregolazione
dell’espressione di alcuni micro RNA e
in un’ipometilazione globale del loro
genoma [20].
Sebbene le cellule bystander possono
andare incontro a trasformazione
maligna in vitro, con un evidente
collegamento all’oncogenesi, spesso
mostrano l’attivazione di diversi
meccanismi protettivi come la morte
cellulare programmata (apoptosi) e il
differenziamento cellulare terminale
[21]. In questi casi il BE si evidenzia
non come una induzione di danno, ma
come una sorta di effetto protettivo
eliminando le cellule predisposte
a sviluppare la trasformazione
neoplastica.
Le osservazioni fatte in vitro sono
state confermate anche in esperimenti
in vivo. In particolare, sono stati valutati
danno al DNA, apoptosi, e alterazioni
della proliferazione cellulare.
Cambiamenti nella metilazione del
DNA e nell’espressione dei microRNA
potrebbero essere di vitale importanza
per il mantenimento dell’instabilità
genomica nei tessuti bystander.
3.2 Risposta adattativa e ormesi
Attualmente si discute anche sulla
possibilità che bassi livelli di radiazione
possano avere effetti benefici sulla
salute, e perciò sulla possibile
evenienza che il modello LNT possa
essere iperprotettivo [2]. Un fenomeno
cellulare correlato agli effetti benefici è
la risposta adattativa.
La risposta di adattamento alle
radiazioni è definita come l’induzione
di radio-resistenza ad alte dosi di
radiazione a seguito di una preesposizione a basse dosi. A livello
sperimentale è stato osservato in
cellule e tessuti, che una piccola dose di
radiazione (detta priming dose) riduce
gli effetti biologici di dosi successive
di radiazioni (challenging doses)
generalmente più alte (fig. 4).
Gli effetti modulati dalla risposta
adattativa, maggiormente indagati
finora, sono quelli visti anche negli
altri fenomeni (es. bystander effect)
e sono collegati con il danno al
DNA: induzione e riparazione di
DSBs, aberrazioni cromosomiche,
formazione di micronuclei, mutazione
genica, trasformazione cellulare,
letalità cellulare. Un elemento molto
importante e peculiare della risposta
adattativa è l’aumento di attività delle
proteine coinvolte nella detossificazione
da ROS. Proprio per questo nei
modelli predittivi della AR occorre
considerare oltre al danno al DNA e
alla letalità cellulare, anche l’efficienza
di riparazione al DNA e l’induzione di
enzimi antiossidanti [22].
Per avere una risposta adattativa
è richiesto un intervallo di tempo
(generalmente 4-6 ore), tra la dose
“priming” e quella “challenging”. Si
ritiene che in questo intervallo la
cellula debba produrre gli enzimi
necessari ad aumentare la propria
capacità di riparazione del danno e di
detossificazione. Questo fenomeno
è, in effetti, presente anche dopo
trattamento con agenti chimici, ed è
Fig. 4 Risposta adattativa: Cellule
pre-trattate con una bassa dose
di radiazione o agente mutageno
(a) sono più protette dal danno
biologico di una dose successiva
più alta, rispetto alle stesse cellule
non pre-trattate (b).
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fisica e...
stato riportato anche un fenomeno
di adattamento trasversale tra i
diversi agenti. Ad esempio, Löbrich e
colleghi hanno dimostrato che cellule
trattate con piccole dosi di perossido
d’idrogeno riparano più efficientemente
DSBs indotte da 10 mGy di
raggi X. Il perossido d’idrogeno
a basse concentrazioni produce
esclusivamente SSBs e danni alle basi
del DNA attraverso la generazione di
radicali liberi dell’ossigeno, ma non
produce DSBs. Perciò bassi livelli di
ROS, attivando un gruppo di geni
specifici per la riparazione, inducono
una risposta che è richiesta per la
riparazione delle DSBs indotte da
radiazione [23].
Il meccanismo della risposta
adattativa è strettamente connesso
all’ormesi. L’ormesi, che deriva dal
verbo greco ormao che significa
stimolare, avviene con un meccanismo
di sovra-compensazione dovuta a una
perturbazione dell’omeostasi. Punti
caratteristici di questo fenomeno sono:
lo scompenso dell’omeostasi, una
modesta sovra-compensazione fino
al ripristino dell’omeostasi e la natura
adattativa del processo. L’ormesi, al
contrario della risposta adattativa che
è un fenomeno cellulare e tissutale,
si riferisce al livello sistemico, perciò
è caratterizzato dalla comunicazione
cellulare a breve e lunga distanza e può
includere anche fenomeni bystander
positivi.
I fenomeni ormetici sono
generalmente indagati in vivo, e si
manifestano come effetti benefici
delle radiazioni su altre patologie e
più in generale sull’aspettativa di vita.
Alcuni studi hanno mostrato come il
basso rateo di dose di radiazioni stimoli
il sistema immune e, ad esempio,
28 < il nuovo saggiatore
prolunghi l’aspettativa di vita di topi
con il diabete [24]. Questa stimolazione
avviene probabilmente tramite l’azione
di ormoni (es. leptina) che agendo in
modo paracrino o endocrino agiscono a
breve o lunga distanza [25].
Un aspetto cruciale è il ruolo di alcuni
elementi delle vie di segnalazione
dello stress nelle alterazioni
dell’aspettativa di vita dimostrato a
seguito d’irraggiamento a basse dosi.
Analisi specifiche hanno mostrato
un incremento dell’espressione di
geni legati all’autofagia, suggerendo
che le basse dosi possono
estendere l’aspettativa di vita anche
stimolando il ricambio delle proteine
intracellulari [26].
Sebbene i meccanismi molecolari
alla base dell’ormesi siano ancora
molto vaghi e difficili da identificare,
gli studi degli ultimi anni hanno messo
in evidenza alcune condizioni per cui
basse dosi di radiazione mostrano
protezione. Non solo le dosi devono
essere al di sotto dei 50 mSv, ma anche
il rateo della dose è di fondamentale
importanza. Inoltre, anche se gran parte
delle evidenze sperimentali sono state
ottenute con radiazioni a basso LET
(raggi x, raggi γ, paricelle β), ci sono
dati che mostrano ormesi dovuta a
radiazioni ad alto LET (es. neutroni [27]).
Da anni Sykes e colleghi stanno
studiando gli effetti della risposta
adattativa alle basse dosi di radiazione,
focalizzando l’attenzione su dosi
estremamente basse (1 µGy, 10 mGy,
250 mGy). Il loro approccio si basa
su esperimenti in vivo utilizzando
un topo transgenico, pKZ1, come
modello sperimentale irradiato con
dosi rilevanti sia per la sicurezza e
salute occupazionale (OH&S) sia per
l’esposizione della popolazione. Le
finalità di questi lavori sono l’analisi
in situ del danno a livello del DNA e del
destino cellulare tramite studi temporali
e di risposta adattativa. Il modello
murino da loro utilizzato, permette
di rilevare il danno prodotto anche
da piccolissime dosi di radiazioni in
quanto in presenza di danno al DNA
avviene una inversione cromosomica
del gene pKZ1 che permette alla cellula
di produrre di una proteina facilmente
identificabile.
Un incremento delle inversioni
di pKZ1 è stato trovato con
alte dosi di raggi X, e di agenti
alchilanti e mutageni, ma anche
con l’invecchiamento; mentre una
diminuzione del numero d’inversioni è
stata trovata con basse dosi di raggi X
(1–10 mGy), ed agenti mutageni.
Ma la cose più sorprendente, rilevata
in situ tramite saggio pKZ1 su milza
e prostata a seguito di esposizione a
basse dosi di raggi X, è un andamento
non lineare del danno al DNA. Questi
studi hanno mostrato una tendenza
alla protezione per le dosi comprese
tra i 0.1 e 100 mGy. Pertanto queste
dosi potrebbero essere le più efficienti
nello stimolare una risposta adattativa.
In effetti, esperimenti di risposta
adattativa, in cui queste dosi (0.1–100
mGy) sono seguite da una dose alta
(1Gy), mostrano la capacità di indurre
protezione e riparazione anche verso
dosi più elevate [28].
Per studiare se questa complessa
relazione dose-risposta possa essere un
effetto permanente, sono stati eseguiti
saggi d’inversione di pKZ1 protratti
nel tempo e si è visto che la risposta
temporale delle inversioni nella milza
è dipendente dalla dose impartita: in
particolare alla dose di 0.01 mGy si ha
un incremento delle inversioni nei primi
e. fratini, d. capece: dalle basse dosi al “silenzio cosmico”
tre giorni, seguito da un ritorno ai valori
del controllo al settimo giorno. Questo
effetto di diminuzione della frequenza
di inversioni di pKZ1 alle basse dosi,
rispetto al controllo non irradiato, può
essere interpretato come diminuzione
del numero di cellule che presentano
inversioni, grazie all’eliminazione
tramite apoptosi delle cellule pretumorali, fenomeno che in vitro è stato
verificato da Portess [29].
è ragionevole ritenere che anche
dosi molto basse come quelle dovute
al fondo naturale di radiazioni possano
avere effetti su cellule, tessuti e
organismi viventi. L’evoluzione degli
organismi viventi per miliardi di anni
in presenza di radiazione di fondo
ha portato molto probabilmente
all’integrazione di questo stimolo
giornaliero nei normali processi
biochimici e fisiologici cellulari
e sistemici. In questo contesto si
inseriscono gli studi effettuati in
condizioni di ridotto fondo di radiazione
ambientale da Satta e colleghi.
I Laboratori Nazionali del Gran Sasso
(LNGS) dell’Istituto Nazionale di Fisica
Nucleare (INFN), costituiscono un
sito unico al mondo per studiare gli
effetti del basso fondo di radiazione
ambientale. Questi laboratori si trovano
sotto a uno spesso strato di rocce
calcaree, circa 1400 metri, che permette
di ridurre il flusso di raggi cosmici
e perciò la radiazione ambientale
rispetto alla superficie. Gli esperimenti
fatti su cellule di lievito (Saccaromyces
cerevisiae), fibroblasti di criceto (V79)
e una linea linfoblastoide umana
(TK6), suggeriscono che il fondo di
radiazione naturale possa avere un
ruolo importante nel determinare una
serie di processi adattativi cellulari, e
in particolare che cellule cresciute a un
livello di radiazione al di sotto del fondo
ambientale naturale
• sono meno protette da danni al
DNA, indotto da agenti chimici e
fisici;
• presentano una maggiore sensibilità
all’apoptosi; ed infine,
• presentano una ridotta capacità di
“scavenging” di agenti ossidanti [30].
4 Conclusioni
Nonostante le correnti stime di
rischio assumano che qualsiasi
esposizione a radiazione ha un
rischio proporzionalmente lineare
alla dose, negli ultimi anni è cresciuta
la consapevolezza della presenza di
incertezze circa le conseguenze per la
salute di esposizioni a basse dosi e bassi
ratei di dose di radiazioni sia naturali
che artificiali. Gli studi epidemiologici
tradizionali e gli esperimenti di
tumorigenesi su animali non hanno il
potere statistico richiesto per stabilire
il rischio di cancro alle basse dosi.
Sebbene attualmente si pensa che
la radiazione causi un danno al DNA
lineare alla dose, le nuove evidenze
descritte in questo articolo mostrano
che sia il danno sia la risposta a questo
non sono necessariamente lineari
con la dose. Inoltre, negli ultimi due
decenni, abbiamo assistito ad un
importante cambio di prospettiva:
da una visione estremamente
DNA-centrica, si è passati ad una
visione più complessa in cui hanno
un ruolo importante anche target
“complementari”, che determinano
risposte cellulari molto eterogenee
e dipendenti dal sistema biologico.
Il ruolo del DNA rimane fondamentale
ma non esclusivo, in quanto deve
essere integrato in un sistema “sensore”
delle modifiche cellulari prodotte
dalla radiazione. Tramite esperimenti
in vitro e in vivo con basse dosi e bassi
ratei di dose sono stati individuati
nuovi fenomeni (es. bystander effect,
risposta adattativa), che portano a
una deviazione della curva doserisposta rispetto ai valori estrapolati dal
modello LNT.
La segnalazione cellulare si va
affermando come un aspetto
fondamentale nelle risposte
radiobiologiche dove le cellule
non rispondono come elementi
isolati, ma come sistemi integrati in
reciproca comunicazione mediante
la trasmissione di segnali biochimici.
Questa segnalazione può portare
a effetti “bystander” che risultano
spesso in un incremento del danno
coinvolgendo anche cellule non
direttamente colpite dalla radiazione,
ma possono presentare anche
componenti positive che, coadiuvate da
una risposta adattativa a livello cellulare
ed ormetica a livello sistemico, possono
produrre un effetto protettivo e spesso
benefico negli organismi colpiti da
basse dosi di radiazione. Inoltre sono
state identificate alcune soglie di
risposta alla dose, ma rimane una
lacuna nella conoscenza di come i livelli
di risposta alla radiazione, sia cellulari
sia tissutali e sistemici, interferiscano
con il rischio di cancro alle basse dosi.
Per colmare questo vuoto di
conoscenza sarà necessario studiare
i meccanismi molecolari che sono
alla base dei fenomeni coinvolti nella
risposta alle basse dosi di radiazione.
Mentre gli studi sull’effetto bystander
stanno facendo luce sui meccanismi e
sul ruolo, sia positivo sia negativo, della
comunicazione cellulare nella risposta
tissutale e sistemica, i meccanismi
vol28 / no5-6 / anno2012 >
29
molecolari che intervengono nella
risposta adattativa si perdono spesso
nelle normali risposte fisiologiche che
mantengono l’omeostasi della cellula.
Pertanto sono richieste tecnologie e
modelli cellulari e animali sempre più
sensibili che permettano di rilevare
modulazioni significative anche a
bassissime dosi, come nel caso del
modello transgenico murino pKZ1.
Un altro approccio interessante
è quello di valutare gli effetti della
riduzione del fondo naturale di
radiazione. Come visto, il fondo naturale
di radiazione garantisce uno stimolo
quotidiano che permette alle cellule di
rispondere prontamente a un eventuale
danno. Esperimenti, in vitro e ancor di
più in vivo, in assenza della stimolazione
del fondo naturale di radiazione,
potranno far luce sui meccanismi
molecolari, cellulari, tissutali e sistemici,
evoluti dagli organismi per rispondere
anche alle più basse dosi di radiazione.
Gli argomenti trattati nel presente articolo sono di interesse del progetto Silenzio Cosmico, finanziato dal Centro di Studi
e Ricerche “Enrico Fermi”, che si occupa di valutare se il fondo naturale di radiazioni esercita un’azione adattativa sui sistemi
viventi rispetto ad esposizioni acute ad agenti genotossici.
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Emiliano Fratini
Campi di attività di Emiliano Fratini sono gli effetti biologici delle
radiazioni ionizzanti ed il metabolismo cellulare, in particolare nei
mammiferi. Dal 2011 è titolare di un grant del Centro “E. Fermi”
per studiare gli effetti biologici dovuti ad una riduzione del fondo
naturale di radiazione ambientale (MUrine coSmiC siLEnce project).
Laureato in Biologia nel 2007 con una tesi sul metabolismo delle
poliammine in condizioni fisiologiche e patologiche (cancro),
ha conseguito il Ph.D. nel 2010 con uno studio sulle principali
alterazioni genetiche e metaboliche, a livello molecolare e
cellulare, di organismi esposti alla radiazione dell’ambiente
spaziale (progetto ASI).
30 < il nuovo saggiatore
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Daria Capece
Campi di attività di Daria Capece sono gli effetti biologici delle radiazioni
ionizzanti sugli organismi viventi e lo studio delle basi molecolari dello
sviluppo dei tumori. Dal 2011 è titolare di un grant del Centro “E. Fermi”
per studiare gli effetti biologici dovuti a dosi estremamente basse di
radiazioni ionizzanti ambientali, incluse le radiazioni cosmiche (MUrine
coSmiC siLEnce project). Laureata in Biotecnologie nel 2006 con una tesi
sul ruolo della metilazione come possibile meccanismo di silenziamento
dell’espressione del gene REN/KCTD11 nei tumori umani, ha conseguito il
Ph.D nel 2010 con uno studio sulla caratterizzazione di una nuova isoforma
di splicing del gene Ikaros over-espressa nei disordini linfoproliferativi.