Re Giovanni - Shakespeare and Florio

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Re Giovanni - Shakespeare and Florio
Il “mistero” della morte di Michel Agnolo Florio.
Come noto, sulla vita di Michel Agnolo Florio abbiamo notizie certe solo per il periodo degli
anni trascorsi a Londra, dopo il suo esilio dall’Italia nel 1550 e quello degli anni del suo secondo
esodo in Svizzera nel 1554, assieme alla moglie, sposata in Inghilterra, e del figlio John di neppure
due anni. Quest’ultimo, terminati gli studi in Svizzera e in Germania, tornò poi in Inghilterra nel
1571 dopo la morte di Maria e l’avvento al trono di Elisabetta. Nel ricostruire la biografia di Michel
Agnolo, per il periodo successivo a quello trascorso a Soglio, ci si è trovati nella necessità di
stabilire con certezza dove e quando il grande umanista pose fine ai suoi giorni.
Ritornò in Inghilterra Michel Agnolo Florio o morì a Soglio?
Questa la domanda che per anni molti si sono posti. Taluni storici, in carenza di notizie
sicure, hanno ipotizzato che il Florio rimase a Soglio per morire al termine del suo ufficio pastorale,
quindi appena oltrepassati i cinquanta anni di età. Tempo addietro il prof. Guido Scaramellini,
storico delle valli alpine della Lombardia (Valtellina, Valchiavenna e le valli dei Grigioni, che
comprendono la Valle di Bregaglia divisa oggi dal confine di stato) ci fece avere un certificato
anagrafico svizzero che attesta la morte del pastore Florio nel 1576. Altri ricercatori hanno ritenuto
di fissare la sua scomparsa nel 1573.
Occorreva quindi approfondire questo dato fondamentale, la cui attendibilità pregiudicava la
ricostruzione degli ultimi e più importanti periodi della sua biografia. Con questo intento ho ritenuto
estendere le mie indagini in Valbregaglia coinvolgendo in queste ricerche le istituzioni locali
preposte agli archivi di quella bellissima valle alpina.
Devo ringraziare la cortesia e la fattiva disponibilità del pastore della comunità di Bondo, il
Sig. Stefano d’Archino, per aver raggiunto un primo significativo risultato, che ci permette ora di
poter acquisire tra breve anche ulteriori elementi di conferma. Appare così accertato, come
supponevamo, che Michel Agnolo Florio non terminò i suoi giorni a Soglio. Questo nuovo
elemento conoscitivo ci consente ora di riconsiderare quelle teorie che avevano come presupposto
la conseguenza logica del suo ricongiungimento al figlio John, ipotesi che non potevano essere
prima sostenute, nel caso invece si fosse accertato il suo decesso a Soglio. Vediamo di cosa si tratta.
In una pubblicazione del 1935 il pastore Jak. R. Troug di Chur pubblicò una elencazione dei
nomi dei titolari delle chiese evangeliche delle comunità dei Grigioni dal XVI al XX secolo in un
libro dal titolo “Die Pfarrer der evang. Gemeinden in Graubunden und seinen ehemaligen
Untertanenlanden”. Alla pagina 214 del libro, nella sezione riferita agli anni del XVI secolo, risulta
– nella lingua tedesca del tempo – quanto segue:
1555 – 1577 Mich.Angelus Florius von Florenz, 1548 in Rom gefangen, als Flüchtling in London 1550-54
Nachfolger von Bern. Ochino, 1554-55 in Antwerpen, kam 27.V. 1555 nach Soglio, zog 1577 nach England. –
Apologia. Chamogasko 1557.
(1555 – 1577 Mich. Angelus Florius, fiorentino, imprigionato a Roma, quindi esule a Londra dal 1550 al 54, successivamente da
Berna (con) Ochino dal 1554 al 55 venne da Antwerpen il 27 maggio 1555 a Soglio, si trasferì in Inghilterra nel 1577. – (Scrisse)
Apologia ).
La pubblicazione dell’elenco si rese opportuna perché da allora tutti gli atti anagrafici
originali esistenti presso le varie chiese delle valli vennero raccolti e conservati negli archivi del
sinodo di Coira, dove è oggi possibile risalire ai documenti originali, dai quali Jak R. Troug trasse le
notizie riportate nel libro in questione.
In base a ciò, ora sappiamo per certo che il pastore Michel Agnolo Florio lasciò Soglio nel 1577 per
fare ritorno in Inghilterra. E questo rappresenta il risultato più importante. D’ora in poi si pone al
nostro impegno l’esigenza di individuare i riscontri della sua successiva esistenza e della
prosecuzione della sua attività a Londra, fino alla fine dei suoi giorni.
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Prima di dare risposte anche a queste ricerche, ancora in corso, è utile ricordare che la
presunzione che egli sia deceduto nel 1576 a Soglio, in Val Bregaglia, deriva dal fatto che essendo
in quell’anno cessato il suo incarico di pastore di quella comunità, questa circostanza venne poi
considerata da taluno come data della sua morte. Tuttavia chi si occupò di lui prima ancora che si
creasse questo erroneo convincimento, non condivideva affatto tale presunzione. E’ il caso di Santi
Paladino, nella sua opera edita nel 1955 dall’editore Gastaldi di Milano, che afferma testualmente:
“Quando, dunque nel 1575 in Inghilterra non vi fu più alcun pericolo per i protestanti, Michel Agnolo Florio
ritornò con la famiglia a Londra.” E più oltre: “Non aveva ancora cinquant’anni quando, ritornato a Londra,
abbandonava ogni attività politico-religiosa per dedicarsi esclusivamente ai suoi quaderni contenenti numerose
opere drammatiche e molti sonetti che bisognava limare e riordinare nella nebulosa calma londinese dopo la lunga e
movimentata esistenza di perseguitato”. (pag. 20)
Poi, parlando del trasferimento del figlio da Oxford a Londra nel 1590, afferma: “ Trasferitosi a
Londra, intorno al 1590 John Florio lavorò alla traduzione di quel lavoro paterno che fu causa di tanti mali per lo
sfortunato fiorentino.” E più oltre: “… era ancora vivo Michel Agnolo Florio nel 1591? Probabilmente sì,
poiché pare che un Florio sia morto a Londra nel 1605 a ottantacinque anni di età.” (Pagg. 30 e 31)
Santi Paladino, che fu, come noto, forse l’unico a dissertare con serietà e intelligenza sulle
poche cose note, utili alla ricostruzione della biografia di Michel Agnolo Florio, osserva nel suo
libro a proposito della propria vecchiaia giunta ben oltre gli ottanta anni:
“Una cronaca inglese del tempo, occupandosi del venerabile Michel Agnolo Florio, riporta la seguente frase
pronunciata dall’ottantenne predicatore:” Non mi resta molta vita ché ormai sbattuto e pesto sono dalla
incartapecorita vecchiezza” e , pressappoco nella stessa epoca, al sonetto n° 62 si leggono le seguenti testuali parole:
“ .... ma quando il mio specchio mostra me stesso, quale mi sono veramente, sbattuto e pesto dalla incartapecorita
vecchiezza ….”.
Non è possibile pensare che Michel Agnolo al suo ritorno in Inghilterra, non ancora sessantenne
abbia potuto comporre questi versi ancora inediti per poi, nelle sue prediche ai fedeli protestanti,
servirsi delle più esaltanti e felici espressioni shakespeariane. Evidentemente l’autore parlava di sé
stesso all’epoca dei sonetti. D’altra parte come poteva un uomo sulla trentina, quale era all’epoca
William Shakespeare, considerarsi sbattuto e pesto con il volto dalla pelle così grinzosa. (Opera citata,
pag. 131).
La validità della documentazione fornita dalle autorità Cantonali di Bondo, che attestava la
morte di Michel Agnolo nel 1567, fornita un paio di anni fa all’amico Saul dal prof. Guido
Scaramellini di Chiavenna, è stata considerata piuttosto discutibile perché tiene conto dei dati
ufficiali dell’epoca in cui nelle valli dei Grigioni e della Valtellina imperversavano le feroci
persecuzioni da parte dei cattolici. Il confine tra le valli dei Grigioni e il ducato di Milano e la
Valtellina era molto incerto e sia i Micheletti (milizie spagnole) che gli spadai ( spie della polizia e
del cardinale Carlo Borromeo), lunga mano dell’Inquisizione, si davano a sanguinose incursioni che
culminarono negli anni successivi con il “Sacro Macello della Valtellina”, così chiamato dallo
storico Cesare Cantù, in cui trovarono la morte circa seicento cittadini di Sondrio, Teglio e Tirano.
Non è un mistero che certe annotazioni sui libri anagrafici di quelle valli in quel tempo
rispondessero alla necessità di far perdere le tracce di quei valligiani perseguitati, che trovavano
rifugio nelle città dei vicini cantoni già riformati. Evidentemente il nostro potrebbe essere un caso
del genere con la variante che per Michel Agnolo, che all’epoca aveva un figlio già rientrato ad
Oxford, la destinazione fosse l’Inghilterra.
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Quindi, se non si sono reperiti fino ad oggi documenti ufficiali attestanti l’effettivo ritorno in
Inghilterra del Florio, che ben difficilmente avrebbero potuto essere registrati in quell’epoca così
tragica, oggi ci troviamo costretti a prendere in considerazione qualsiasi altro elemento che possa
comunque consentirci di formulare deduzioni accettabili. Per la cronaca informo che mi vedrò
nuovamente con il pastore Stefano d’Archino per vedere se sia possibile rintracciare presso il
sinodo di Coira i documenti testuali dai quali furono tratti gli estremi sopra indicati. Parlo
ovviamente degli elementi anagrafici originali tenuti dalle chiese del tempo, perché di Michel
Agnolo a Soglio non rimase più nulla dal momento che, come noto, tutta la numerosa raccolta di
testi, documenti, quaderni, libri e raccolte di proverbi e aforismi che aveva raccolto e scritto durante
gli anni della sua vita in Italia e a Soglio, la ritroviamo per intero qualche anno dopo proprio a
Londra nella disponibilità dei figlio John. Anche questo elemento confermerebbe un trasloco in
Inghilterra. Un’ultima osservazione: nel lungo elenco di Jak. R. Truog, per ogni singolo nominativo
titolare della chiesa di Soglio, viene indicato il rispettivo periodo pastorale, facendo precedere al
nome gli anni di nomina e di cessazione del proprio servizio. Per coloro, per i quali la cessazione
corrisponde con il loro decesso, a fianco della data di cessazione, a questa è affiancata da una
piccola croce, che si ripete per i più. La mancanza di tale indicazione a fianco dell’anno di
cessazione sta a significare che il pastore cessato dall’incarico non è deceduto, bensì che avrà avuto
altra destinazione. Per Michel Agnolo Florio, la data di cessazione (1577) è priva di questa
particolare indicazione, il che conferma che in quella data era ancora in vita. Di croci Michel
Agnolo Florio ne ebbe a sufficienza in vita; almeno in quella occasione gli venne risparmiata la
crocifissione.
Vediamo ora altri riferimenti tra i più eloquenti:
Dalle cronache ufficiali del periodo elisabettiano qualche elemento chiarificatore si ricava dai
resoconti di personaggi che frequentavano l’Ambasciata francese a Londra nel 1583 in occasione
delle trattative tra la delegazione dell’ambasciatore Michel de Castelnau e il collegio degli esperti
della corona inglese, impegnati a redigere il testo del contratto matrimoniale in vista delle auspicate
nozze tra la regina Elisabetta I e il principe Francesco, duca di Aleçon, fratello del re di Francia.
Della delegazione francese giunta da Parigi faceva parte anche il filosofo Giordano Bruno, da
tempo a Parigi, esule proveniente dal regno di Napoli.
Questa decisione, a prima vista sorprendente, sembra fosse stata presa, o forse suggerita,
dall’ambasciatore a Londra. Questi infatti sarebbe venuto a conoscenza che il padre del suo
consulente inglese, Michel Agnolo Florio, fosse ben conosciuto e apprezzato dalla regina Elisabetta,
della quale era stato insegnante di italiano e latino negli anni 1550-’54, allorché la futura regina era
ancora una fanciulla. Pertanto l’incarico di affiancare il filosofo nolano alla delegazione francese
rispondeva alla opportunità nelle trattative di poter contare sull’introduzione di cui godeva la
famiglia Florio presso la corte della regina Elisabetta. La cordialità manifestata da Castelnau al
figlio di Michel Agnolo fu tale che il prof. John – che in quel tempo risiedeva a Oxford - finì per
abitare stabilmente presso l’ambasciata francese, per tutti i mesi durante i quali si svolsero le
trattative. (1)
Le cronache del tempo riportano che fu in quella occasione che John Florio apprese da
Giordano Bruno, che lui considerava suo padre, conosciuto a Parigi, come il proprio maestro.
(1) Samuel Haynes & William Murding, “Burghley Papers. A collection of State Papers relating to Affairs in the Reigns of King
Henry VIII, King Edward VI, Queen Mary and Queen Elizabeth I …. Left by WilliamCecil lord Burghley and now remaining
atHatfield House, Two vol. London – William Bower, 1740 – 1759.
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Il pastore svizzero Paolo Castellina, nel suo libro “La vicenda di Lady Jane Grey”, Tempo di
Riforma, 2009, nel commentare il libro scritto da Michel Agnolo sulla morte della regina dei nove
giorni, riferisce che l’editore del volume, nella sua prefazione scrive che l’originale di quell’opera
fu trovato nella casa di un grande benefattore del Florio ( Pietro Martire Vermigli) ai tempi della
scomparsa di Edoardo VI e da questo conservato gelosamente per ben cinquanta anni. L’editore
conclude che essendo l’originale pervenuto nelle sue mani ed essendo intervenuta anche la morte
dell’autore, “ …. l’opera è stata giudicata degna di essere pubblicata.”
Considerati i tempi tecnici delle formalità di successione e di edizione degli scritti, si
dovrebbe ritenere che la morte di Michel Agnolo dovrebbe essere avvenuta attorno al 1605, anno
che corrisponde grosso modo a quello indicato anche da Santi Paladino.
Concordo con quanto dice Tassinari quando afferma che John Florio fa ritorno in Inghilterra
nel 1571. A conferma di ciò osservo che in quell’anno egli avrebbe conosciuto Philiph Sidney, che
aveva appena terminato i corsi al Christ College di Oxford, e proprio da lui potrebbe aver avuto il
suggerimento di trascorrere un periodo di studio a Padova, cosa che in quell’epoca era consueto per
i giovani rampolli della nobiltà colta. Nel frattempo John Florio inizia a frequentare il Magdalen
College per perfezionare il suo inglese e i suoi studi. Negli anni seguenti, l’amico Philip, tornato da
Padova, capeggia la Lega dei Protestanti contro la Spagna e il Papato, finché nel 1577 riceve
l’incarico diplomatico di organizzare la resistenza nelle Fiandre. Per questo motivo deve recarsi a
Parigi e a Venezia. Probabilmente è questa la circostanza per cui John, appresa la cosa, lo informerà
che a Venezia potrà incontrare Giordano Bruno, appena giuntovi da rifugiato e perseguitato dal
Santo Uffizio. Storicamente le date coincidono, non solo ma, in concomitanza di questi eventi suo
padre Michel Agnolo si apprestava a lasciare Soglio e fare ritorno in Inghilterra; anche questa data
coincide. Ma non basta questa coincidenza perché a ciò si aggiunge la fortunata circostanza che,
questa volta Philip non parte da solo ma lo seguono, per interesse culturale, la sorella Mary,
contessa di Bedford, illustre poetessa, e il cognato, il conte Henry Herbert Pembroke, che da
bambino era stato allievo proprio di Michel Agnolo allorché, a tre anni, viveva assieme al gruppo
dei rampolli reali a corte e in estate a Hatfield House in campagna. (1)
L’incontro tra Philip Sidney, i coniugi Pembroke e Giordano Bruno avviene a Venezia e
possiamo immaginare che si sia svolto nella più calda cordialità. Questo felice incontro è
testimoniato dal fatto che lo stesso avrà poi un promettente seguito quando, come sopra ricordato, il
filosofo nolano, esule a Parigi, verrà inviato in missione a Londra nel 1583, dove sarà a sua volta
ospite dei conti Pembroke nella loro residenza di Wilton. Le cronache letterarie del tempo
riferiscono che Giordano Bruno esprimerà in quella occasione, con una sua ode dedicata a Philip
Sidney, il proprio compiacimento per il romanzo cavalleresco “The Arcadia.”
Non sappiamo se all’incontro di Venezia partecipò anche Michel Agnolo Florio; tuttavia ciò
parrebbe probabile considerando che Michel Agnolo, ancora a Soglio, non distava che poche ore di
carrozza e di burchiello da Venezia. E’ facile immaginare che, data la fortunata e fortuita
circostanza, ambo le parti fossero ansiosi di rivedersi, pupillo e docente, dopo ben ventitre anni di
eventi turbinosi.
(1) Max Meredith Reese, “Shakespeare. His World amd his Work”, London, Edward Arnold Edit.
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Passiamo ad altro riferimento interessante.
Dal mio saggio sui riferimenti di carattere storico rilevati nelle opere della drammaturgia,
traggo, tra i tanti, il caso che riguarda il personaggio “cardinale Pandolfo”, legato papale nell’opera
“Re Giovanni”. Per chi non abbia precisa memoria dell’intreccio dell’opera, è bene qui – per
chiarezza - tratteggiare in estrema sintesi le vicende storiche, cui il dramma ripercorre i tragici
eventi.
Re Giovanni, detto “Senza terra”, quinto figlio di Enrico II Plantageneto, regnò dal 1199 al
1216 succedendo al prestigioso fratello, Riccardo I “Cuor di Leone”. Re Giovanni è ricordato
soprattutto per la concessione, cui lo costrinsero i baroni ribelli, della Magna Charta Libertatum del
1215. Era detto”Senza terra” perché, alla morte del padre,Enrico II, non era ancora investito di
alcun feudo terriero. Alla morte del fratello Riccardo fu posto nel possesso del regno (1199) nonché
dei ducati di Normandia e d’Aquitania di spettanza del nipote Arturo, che in seguito il re pensò bene
di uccidere. Filippo Augusto, re di Francia, gli mosse guerra e riuscì a togliergli quasi tutti i domini
inglesi sul suolo francese lungo la Manica. Sorto nel frattempo un dissidio col papa Innocenzo III,
questi lo scomunicò e lo dichiarò decaduto dal trono. Il re francese già si preparava ad eseguire la
sentenza pontificia e impossessarsi della corona inglese, quando il re Giovanni, per imposizione del
legato pontificio, cardinale Guala Bicchieri di Vercelli, si sottomise al volere del papa sventando il
tentativo francese. Allora i baroni, capitanati da Stephen Langton, si levarono in armi ed imposero
al re la Magna Carta. Il re non tenne fede a tale impegno e ne sorse così una guerra civile, durante la
quale egli morì, era il 1216.
Alla sua morte, divenne re a soli nove anni il figlio Enrico III. Come tutore ebbe Guglielmo
detto il Maresciallo. I realisti lottarono a lungo contro i francesi e i baroni ribelli, finché nel 1263 il
giovane re fu vinto e fatto prigioniero dai baroni sotto la guida di Simon di Monfort conte di
Leicester.
Questi, in sintesi, gli avvenimenti della storia inglese del XIII secolo, che l’autore del dramma
ebbe la possibilità di apprendere sulla base delle “Cronache” di Raphael Holinshed e del dramma di
autore anonimo “The Troublesome Teign of John King of England” del 1591. In ogni caso, era a
sua disposizione in famiglia lo storico inglese Samuel Daniel, essendo questi della partita come
cognato di John Florio.
Nell’opera in questione, le parti principali dei protagonisti dell’opera corrispondono ai veri
nomi dei personaggi storici e così pure agli avvenimenti sopra ricordati, a parte qualche vistoso
anacronismo, come il tuono dei “cannoni” evocato dal re Giovanni per spaventare l’ambasciatore
francese Monseur Chatillon e lo sventolio delle “bandiere” che gli eserciti in Europa iniziarono ad
usare solo nel XV secolo. Ma la cosa che più colpisce, riguardo alla fedeltà storica, è la strana
individuazione di uno fra i personaggi più importanti, il cardinale legato del papa Innocenzo III, il
cui ruolo, sia nella parte descritta nell’opera, sia nella realtà degli accadimenti storici, assunse una
rilevanza fondamentale nella imprevista quanto felice composizione della controversia tra il Re
Giovanni e i baroni ribelli.
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Costui era il cardinale Guala Bicchieri, diplomatico vercellese, nominato cardinale nel 1205.
Tre anni dopo venne inviato a Parigi come legato del papa. All’inizio del 1215 papa Innocenzo III
lo invia in Inghilterra, dove era in corso la guerra civile tra i realisti e i baroni ribelli che tentavano
di rovesciare re Giovanni e ottenere la sospensione dell’arcivescovo di Canterbury Stephen
Langton.
Per la chiesa di Roma era fondamentale pervenire ad una composizione delle ostilità perché queste
ostacolavano i piani vaticani per l’organizzazione di una crociata allora in preparazione. Il cardinale
Guala Bicchieri, malgrado la scomunica, si schierò a fianco del re contro i baroni, che invece
appoggiavano le mire del principe francese Luigi (il futuro Luigi VIII) al trono inglese.
L’improvvisa e rigida presa di posizione del cardinale ebbe un inatteso successo, coronato da un
accordo tra le parti per la stesura della famosa “Magna Charta”, fondamento delle libertà
costituzionali inglesi, mediando abilmente tra la monarchia e i baroni.
Era il 15 Giugno 1215; ma il re Giovanni non tardò a disattendere gli accordi e la guerra civile
riprese. All’inizio del 1216, i baroni ancora una volta ribelli occupavano Londra offrendo il trono
inglese al figlio del re di Francia, (Filippo II Augusto), Luigi, il quale nel frattempo aveva invaso
l’Inghilterra. Nel corso di questi sfortunati eventi re Giovanni trovò la morte. Il figlio del defunto
monarca, Enrico III, divenne re a soli nove anni ed ebbe come tutore Guglielmo il “Maresciallo”,
che riprese le ostilità contro i francesi e i baroni ribelli, che durarono fino alla firma del trattato di
Lambeth del 1219. Nello stesso anno il cardinale Guala Bicchieri, che aveva condiviso gli eventi
assieme al tutore del re minorenne, terminata con successo la missione, fa ritorno in Italia.
Quanto al testo dell’opera “John King”, i vari personaggi compaiono tutti con il loro nome, o
con il loro titolo, come “il re di Francia”, “Luigi il delfino”, o “principe Enrico” ecc. L’unica
eccezione è riservata al legato pontificio, il quale viene indicato con l’inatteso nome di “Cardinale
Pandolfo”. Trattandosi di un’opera storica sembrerebbe logico attendersi la pedissequa osservanza
della fedeltà di tutti i nomi dei personaggi coinvolti nelle vicende rappresentate, come d’altra parte
per tutti i restanti personaggi richiamati. E’ evidente quindi che dovrebbe essersi verificata, al
tempo in cui l’opera venne concepita (anno 1590 e seguenti), una qualche motivazione che
giustificasse la sostituzione del nome di un personaggio che influì in modo così determinante nel
corso degli eventi. Per quanto si possa immaginare, appare difficile trovare qualche spiegazione
plausibile, dovendosi anche escludere – considerato il nome insolito di Pandolfo – anche il ricorso
ad un anagramma. Non è da escludere un eccesso di prudenza, che potrebbe aver consigliato di non
fomentare col ricordo, negli ultimi tormentati anni del XVI secolo, l’avversione ancora latente dei
protestanti verso le massime cariche cattoliche.
Per quanto io sappia, non risulta che di questo singolare caso si sia mai fatto carico alcun
commentatore se non per limitarsi a porre, a fondo pagina di un testo, una generica nota del tipo:
“Storicamente, Pandolfo non fu né cardinale, né - come lui stesso afferma - arcivescovo di Milano.
Vi è confusione col famoso cardinale Guala, il quale ecc. …….”.
Il caso mi ha subito interessato perché ormai ho imparato che nelle pieghe dei testi e nei riferimenti
sia storici che di ambientazione, l’autore nasconde spesso nei suoi lavori notizie e anagrammi che
attendono solo di essere individuati e compresi. E’ il caso del re Gonzago e della regina Batista
nell’Amleto, di Valdes nel “Pericle, principe di Tiro (Atto IV, sc. I) e dello stesso duca di Alençon
nell’Enrico VI.
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Ricerche fatte presso gli archivi vaticani, hanno permesso di stabilire che nel 1182 il papa
Celestino III elevò al rango di cardinale il vescovo Pandolfo Masca ( Pisa 1101- Roma 1201).
Appartenente ad una nobile famiglia pisana, si era posto in vista a Roma come titolare della Basilica
dei Dodici Apostoli. Successivamente per le sue doti di negoziatore fu destinato al sevizio del Duca
di Milano quando nel 1176 l’imperatore Federico Hoenstaufen , detto Barbarossa, scende in Italia
per affrontare l’esercito della Lega Lombarda accampato a Legnano, dove - dopo furibonde
battaglie - viene sconfitto dai lombardi stretti attorno al “Carroccio”. Il vescovo Pandolfo Masca
prese parte alle trattative con tre prelati germanici invitati ad Anagni in rappresentanza di Federico
Barbarossa e la pace fu suggellata a Venezia. La cronaca riporta che il papa giunse nella capitale
veneta cavalcando una mula bianca ai piedi della basilica di San Marco e l’imperatore gli andò in
incontro e, tenendogli la staffa, lo aiutò a scendere.
A riconoscimento delle doti di negoziatore, nel 1182, il Pandolfo fu elevato da Celestino III al
rango di cardinale. Poi nel 1196, sempre dal papa viene inviato a Lerici per porre fine alla guerra tra
Pisa e Genova e dove crescevano i risentimenti antimperialisti sull’esempio di quanto avvenuto a
sostegno della Lega Lombarda. A Lerici egli promosse così la Lega di San Genesio, chiamata anche
Lega Toscana, col favore della Chiesa di Roma, nell’ottica di restituire, come in passato, il potere ai
Comuni, depositari della tradizione e della volontà popolare. L’anno dopo, approfittando della
occasionale debolezza del potere imperiale per la morte dell’imperatore e le guerre nel centro
Europa, i Sanminiatesi distrussero la locale roccaforte del dominio imperiale. Forti di questo
successo, i consoli di Firenze, Lucca, Siena, Prato, Volterra, Pistoia, San Miniato e Poggibonsi si
riunirono a San Genesio nella chiesa di San Cristoforo, alla presenza del cardinale Pandolfo Masca
e giurarono per la reciproca difesa, stretti in una lega Guelfa. Ancora oggi in Toscana e
particolarmente a San Genesio è vivo il ricordo di quegli avvenimenti tanto che si celebrano
annualmente in quella cittadina le virtù delle libertà comunali della Regione.
Quindi, “un cardinale Pandolfo” era effettivamente esistito e quel nome non era stato posto a
caso. Quel nome non era passato anonimo attraverso gli anni, ma anzi aveva lasciato di sé stima e
ricordi nel suo paese, in specie come negoziatore tra l’Imperatore e i Comuni lombardi e toscani.
Quattrocento anni dopo, quando l’anima del cardinale Pandolfo poteva venire ricordata forse solo
nelle preghiere dei fedeli delle Leghe lombarda e di San Genesio, accadde che nella mente di taluno
in quel di Londra, si fosse ravvisata l’opportunità di ricorrere ad un nome accomodante da utilizzare
in un’opera drammatica, per alterare i connotati ad un personaggio che era il caso di non ricordare.
Certamente non mancavano in Inghilterra personaggi storici adatti alla bisogna, specie tra la
gerarchia ecclesiastica desiderosa di perorare la causa della pace. Malgrado ciò, qualcuno propose il
nome di un improbabile cardinale vissuto nel XII secolo in Toscana e nel ducato di Milano.
C’è da chiedersi: chi poteva avere notizie su codesto prelato pisano sconosciuto vissuto quattro
secoli prima in Italia? Non vi sono documenti o notizie al riguardo; rimane il fatto incontrovertibile
che il nome di costui figura bellamente tra i protagonisti principali della tragedia shakespeariana
“Re Giovanni”.
Appare certamente molto improbabile che William Shakespeare possa avere raccolto
autonomamente notizie sul conto di qualsivoglia cardinale tra i tanti prelati della chiesa cattolica
tantomeno quelli del medioevo italiano. Oggi però, almeno noi, siamo in grado di formulare ipotesi
del tutto plausibili.
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La felice scelta di quel nome non poteva che essere attribuita all’ex francescano predicatore Michel
Agnolo Florio, probabilmente l’unico a Londra che ebbe la ventura di vivere nelle medesime
località sia toscane che in quelle del ducato di Milano, dove il ricordo del cardinale Pandolfo Masca
era ancora vivo per la sua opera pacificatrice, nell’ambito della stessa chiesa, cui aveva in gioventù
appartenuto.
L’importanza di aver stabilito l’origine di questa singolare vicenda non sta certo nella
ricostruzione dei suoi termini storici, pur nella costante esigenza di perseguire ogni opportuna
verità, ma risiede nella conseguente dimostrazione del fatto che la decisione di “battezzare” con il
nome di “Pandolfo” il pacifista cardinale Guala Bicchieri di Vercelli, poteva essere presa soltanto
da chi fosse in grado di individuare la figura di un equivalente porporato di pari dignità e
competenza.
Concludendo quanto sopra esposto, ritengo di poter giungere alle seguenti conclusioni:
a) Con ogni probabilità, Michel Agnolo Florio non morì a Soglio nel 1567;
b) Sussistono fondate motivazioni per ritenere che egli visse almeno fino agli ultimi anni del
secolo;
c) Che dal giorno del suo ritorno a Londra fino all’anno 1592 ( anno di riapertura dei teatri dopo la
peste ) sono ben quindici anni, durante i quali egli poté affiancare il figlio John nella traduzione
del materiale prodotto in Italia e a Soglio ( quaderni, appunti, trascrizioni, raccolte di aforismi e
proverbi, sonetti ecc.). Questa sua collaborazione appare assolutamente indispensabile per
chiunque non abbia vissuto a lungo nei luoghi dove si parlavano dialetti assai differenti nei vari
stati italiani del tempo e queste capacità e conoscenze di costumi non poteva averle che Michel
Agnolo perché il figlio John conosceva sì le lingue europee ma non certamente i tanti dialetti
locali come il siciliano, il veneto, il fiorentino ed il lombardo.
Corrado S. Panzieri