Camillo Boito e il Moderno. Camillo Boito e piazza del Duomo

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Camillo Boito e il Moderno. Camillo Boito e piazza del Duomo
Camillo Boito e il Moderno.
Camillo Boito e piazza del Duomo. Progetti e opinioni negli anni dell’Unità.
Isabella Balestreri, Politecnico di Milano, Dipartimento ABC
Fra il 1838 e il 1864 furono presentati almeno duecento progetti per il disegno della ‘moderna’
piazza del Duomo di Milano. Il maggior numero di proposte venne da architetti ed ingegneri in
risposta a Bandi di concorso emanati dalla municipalità milanese all’indomani della caduta del
governo austriaco ma altri progetti erano precedenti, offerti a titolo personale, in modo «quasi
improvviso . Parecchi furono i «cultori dell’edilizia e dell’arte» entusiasticamente coinvolti e non
mancarono imprenditori, operatori economici e soprattutto dilettanti. Pubblicati in periodici,
monografie o fascicoli, diffusi anche in fogli sciolti , i progetti vennero esposti, giudicati da varie
commissioni e discussi in una miriade di sedi diverse per diventare oggetto di sentito interesse da
parte dell’opinione pubblica. Più precisamente, nei primi giorni del 1860, approvando l’iniziativa
della Lotteria per promuovere il finanziamento necessario alla costruzione della nuova desiderata
piazza, il Consiglio comunale enumerava i nomi degli autori dei progetti sino a quel punto
ufficialmente pervenuti al Municipio. Si trattava di Giulio Cesare Beccaria (1838), Carlo Amati
(1838), Fermo Zuccari (1857), Cesare Osnago (1858) e Gian Luigi Ponti (1859), degli ingegneri
Taccani e Carlo Caimi (1857?), degli architetti A. G. Pavesi (1857) ed Enrico Terzaghi, di […]
Bardelli e degli ingegneri municipali Antonio Valsuani e Domenico Cesa Bianchi (1859). Nel
febbraio dello stesso anno, durante una conferenza, il barone Camillo Vacani delineava una sintesi
del dibattito sulla forma della piazza e, poco più tardi, pubblicava una raccolta di 18 varianti
architettoniche sul tema: oltre ai progetti già citati comprendeva due soluzioni personali e
raccoglieva quelle di Pietro Pestagalli, due alternative firmate ancora da Carlo Caimi, quella del
figlio di Francesco Peverelli e alcune soluzioni di autori ignoti. Dopo qualche mese, in risposta
all’«Avviso» del 3 aprile 1860, i componenti della Commissione municipale appositamente istituita
si trovarono a giudicare almeno 160 soluzioni, una selezione delle quali fu posta in mostra ai
cittadini. Ancora nell’arco del 1862, quando gli amministratori avevano già ristretto il novero dei
progetti da considerare, alcuni disegni continuarono a circolare fra i banchi del Consiglio, mescolati
ad altri, nuovi e diversi, sempre oggetto di discussioni parallele. Va ricordato inoltre che le stesse
Commissioni giudicatrici, allo scopo di trovare linee di mediazione fra le idee dei partecipanti ai
concorsi, ne produssero almeno altri tre, ai quali vanno aggiunti probabilmente quelli della
Commissione d’Ornato e quelli esecutivi dell’Ufficio Tecnico municipale. In sintesi, nell’arco di tre
anni, fu oggetto di discussione una mole imponente di lavori, con disegni, testi, calcoli e computi
metrici.
Nell’ambito di questa popolata e intrecciata vicenda anche Camillo Boito ebbe una parte; grazie alla
sua poliedrica personalità intervenne a cavallo dell’Unità nazionale, a diverso titolo e in tempi
relativamente distanti. Nel 1857 firmò un articolo dal titolo Sull’architettura toscana del Medio Evo
(a questi pensieri va unito lo studio in due tavole di una nuova piazza del Duomo di Milano),
apparso fra la serie di «progetti inediti d’architettura» stampati in folio e donati periodicamente agli
abbonati del GIAA. Al testo allegò due tavole litografate recanti rispettivamente la soluzione in
pianta, in scala 1 : 800, e lo studio del ‘modulo’ del partito decorativo dell’alzato, in scala 1 : 50
(«Camillo Boito disegnò e incise»). Fra il 1860 e il 1862 intervenne più volte sulle pagine de La
Perseveranza seguendo lo svolgersi degli avvenimenti avviati con il concorso municipale pubblico.
Commentò il panorama del cospicuo numero di proposte pervenute; si espresse sul nuovo piano
«concreto» elaborato dalla commissione giudicatrice sulla base di «criteri» estratti da ventotto
progetti ritenuti degni d’attenzione e quindi affrontò nuovamente le questioni relative al secondo
concorso che aveva visto un numero più esiguo di partecipanti. Nell’estate del 1863, giunti ormai al
‘testa a testa’ fra i progetti degli architetti Mengoni e Pestagalli, si fece relatore presso il Consiglio
comunale di una serie di istanze di privati cittadini animati dal desiderio di esprimersi, fra l’altro,
contro la costruzione della Galleria. In sintesi, Boito fu architetto fra i «cultori dell’edilizia e
dell’arte», fu polemista e fu politico; come in altre occasioni, interpretò questi ruoli con un
atteggiamento personale tutt’altro che semplice, offrendoci più di un motivo per approfondire una
vicenda ancora non completamente esplorata dalla letteratura.
Il suo progetto per la piazza, ad esempio, si lega certamente all’interesse del «GIAA» per la
questione ma non dovette godere di notorietà fra i contemporanei. Il già citato barone Vacani nel
1860 non lo comprese nella sua rassegna illustrata, a differenza dei progetti di Fermo Zuccari,
Cesare Osnago e Vincenzo Marchetti pubblicati fra il 1857 e il 1859 nelle pagine della rivista. E
anche gli Atti del Consiglio comunale, a partire dal 1859, non fanno riferimenti alla soluzione.
Difficile capire se a quella data si trattasse di omissione, censura o appunto mancata conoscenza, sta
di fatto che secondo un articolo di Guido Marangoni, pubblicato in Emporium nel 1908, un progetto
di Boito doveva trovarsi fra le decine di tavole esposte nelle sale dell’Accademia di Brera nel 1860
in seguito alla partecipazione al primo Concorso municipale. La notizia viene ripresa da Giuseppe
Miano nel 1969 nella scheda biografica del DBI dichiarando però un mancato riscontro nelle fonti.
Nel 1991, forse nel tentativo di ricostruire il quadro, nella Cronologia contenuta in Omaggio a
Camillo Boito gli si attribuisce l’articolo uscito nel 1859 sul GIAA dal titolo Sulla nuova piazza del
Duomo; testo e relativo progetto nella realtà risultano però firmati con le cifre C. O. corrispondenti
alla figura del sopra citato ingegner Cesare Osnago.
D’altronde va sottolineato come nell’arco degli avvenimenti post risorgimentali lo stesso Boito non
abbia dato rilievo e notorietà alla sua proposta dell’agosto 1857. Una soluzione che nella
definizione planimetrica della piazza riprendeva quasi completamente uno dei progetti di Carlo
Caimi, già «Ispettore di prima classe alle pubbliche costruzioni di Lombardia» per il Governo
austriaco, con lo scopo però di ‘applicarvi’ in alternativa la «stupenda bellezza dell’architettura
italiana del medio evo» e, nella fattispecie, quella «toscana». Un’idea architettonica che trovava
origine e motivo nel saggio ripubblicato separatamente e a distanza di poche settimane nelle pagine
de Lo spettatore» (27 settembre) e che lo aveva condotto a delineare l’architettura della piazza del
Duomo milanese affinché «[quei] pensieri non rimanessero senza l’incarnazione di un disegno».
Un’operazione che ancora una volta attesta del suo atteggiamento a proposito della circolarità fra
studio del passato e intervento sul presente, cioè secondo Guido Zucconi la sua cifra caratteristica, e
che in quell’occasione gli fece scrivere: «Ma che vale distendersi in parole quando c’è bisogno della
matita?».