Escort da URL! - Affari Italiani

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Escort da URL! - Affari Italiani
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PARTE SECONDA
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- La parola a escort ed escortisti
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Lara: dal Kazakhistan alla provincia pavese
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La signora S. originaria di Mosca, trentaconque anni si siede a un
tavolo di un club privé italiano e accetta di raccontarsi. Il suo nome
d’arte è Lara, e ha un proprio sito, che pubblicizza insieme alle sue
foto su www.escortoforun.net. Il viso è sempre coperto da un mascherina.
È sposata e ha una doppia vita. È la tipica escort che viene dall’est,
ha cominciato come spogliarellista nei night della Costa Azzurra, poi
ha continuato la professione in appartamento a Tortona, e infine ha
scelto di accompagnare i clienti nei club privé della bassa lombarda.
L’escortista le telefona e la prenota per una serata. Il costo è di mille rose.
Escortista ed escort fingono di essere marito e moglie, ed entrano nel
privé dove si pratica lo scambio di coppie. Si siedono nella penombra, e aspettano l’approccio con un’altra coppia. Le coppie di scambisti di solito vengono dalla profonda provincia, sono coniugi
annoiati dal solito tran tran televisione-supermercato-outlet, e cercano
la trasgressione. Tuttavia sono reciprocamente consenzienti e si concedono corna nobilitate dal club privé.
L’approccio può durare un’intera serata o pochi minuti. È l’escortista che paga a decidere: lei e il suo falso marito si recano nella
dark room dove nella più completa oscurità si svolgono le orge. Lì,
Lara si unirà carnalmente al marito della coppia scelta, mentre la
moglie si unirà all’escortista che ha noleggiato Lara.
Lara si esprime in un italiano incerto.
Tu sei un povero cristo in poltrona? Tu sei un operaio che lavori per ottocento euro al mese e tua figlia ha quindici anni?
Bene, poi vedi in televisione una bella signorina con il nasino
all’insù, io, la Lara, che dice a Porta a Porta: «Guardi che io
prendo minimo millecinquecento euro per fare l’amore».
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Bene, bene… E io, la Lara, che dico in tv: «Per me ogni
giorno è una festa, per me ogni giorno è Capodanno, io
compro vestiti firmati così e così, quando sono venuta in
Italia avevo le scarpe bucate, adesso ho un appartamento
nel centro di Voghera, mangio nei più bei ristoranti padani, faccio la bella vita».
Be’, questo operaio metalmeccanico che guarda Porta a
Porta allora pensa: “Adesso la mia bambina che ascolterà la
TV si dirà, cazzo che bello, mia madre pulisce le scale da
mattina a sera per cinquecento euro, mio padre fa l’operaio
a ottocento al mese, ma quella vita lì la faccio anch’io così!”
Ecco perché io non potrò mai andare a Porta a Porta!
Perché io, come escort, rischio una denuncia!
Perché qui scatta l’induzione alla prostituzione!
Perché io avevo un’amica che si chiamava Pina, aveva una
villetta a Tortona, una bella macchina giapponese, un garage, aveva quarant’anni, era stata una designer. Ci siamo
incontrate al ristorante, e mi ha raccontato la sua vita orrenda: si era sposata con un delinquente, lui l’aveva mandata a lavorare per strada, era stata pestata, umiliata,
sfruttata, poi aveva lavorato in casa, era stata rapinata diverse volte, e non puoi lavorare in due in casa perché se
ti viene un poliziotto nell’appartamento tu rischi la galera,
è favoreggiamento. E lavorare da sola è pericoloso.
Posso dire che mi sono depressa? Ho capito che io non
conosco questa faccia della medaglia. Posso dire che la
maggior parte delle escort fa una vita così, come la Pina:
io invece non sono mai andata a letto con un uomo che
aveva pancia, o che aveva un alito cattivo. Mai.
Io faccio la escort di lusso. Io sono un tipo madame Mo-
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nica sulla Costa Azzurra. Ieri sera il portiere a Voghera
mi ha detto: «Buonasera signora!» Sono entrata in bar a
bere un caffè, e il barista: «Buonasera, signora!» Perché io
sono sposata.
In Italia per essere rispettati bisogna avere un marito italiano. Per di più io sono una escort laureata.
Quello che faccio di notte non lo sa nessuno, neanche
mio marito. Perché lui non potrebbe sopportarlo. Lui sa
che io faccio pubbliche relazioni. Che faccio l’interprete.
Sa che facevo la spogliarellista, che lavoravo in un night in
Costa Azzurra, è un’arte, tu ti spogli, e allora? C’è differenza come tra erotismo e pornografia, è come mangiare
e abbuffarsi.
Mio marito quando mi vede uscire sa che lavoro per
un’agenzia, che accompagno persone per pranzo e cena.
Sono accompagnatrice. E la mia agenzia non si prende
certe responsabilità, non fornisce le ragazze per andare a
letto, l’agenzia fornisce hostess. E io sono interprete e accompagnatrice padana. Punto.
Quando io accompagno lo sponsor a cena, lui paga la mia
compagnia e poi alla fine se lui mi propone di andare in
motel, io posso rispondere sì come rispondere no, non è
sicuro al cento per cento.
E adoro mio marito. Gli dico: «Esco di casa con te, sono
sempre felice di tenerti per mano, non ti faccio mancare
niente». Io lo amo, lui è tutta la mia famiglia. Padre svizzero, madre francese, nato qui in Italia. Molto intelligente,
lavora coi computer, è uno scienziato. Molto spirituale. E
fine. E ci siamo innamorati. «Voglio farti felice», m’ha
detto. «Io ti compro una casa a Mosca.» E m’ha comprato
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un palazzo. «Io non voglio che tu stai con me perché non
sai dove andare, non hai un tetto, un lavoro, non voglio
che questo scalfisca il nostro amore», m’ha detto. «Voglio
che tu stai con me spontaneamente. Ecco, qui c’è anche
la mia carta di credito. E adesso sei libera.»
Ho pensato spesso che volendo potrei mandarlo al diavolo, e invece sto con lui, e se vado nei privé è perché è
un mio piacere, mi diverto un mondo, mi piace quando un
grande uomo generoso di qualche studio legale importante si abbassa per togliermi gli stivali.
Una sera, al privé di Binasco ho conosciuto un industriale,
uomo tenebroso, brizzolato.
Non abbiamo scopato, abbiamo proprio fatto l’amore:
anche se poi mi ha pagato, naturalmente.
Alla fine mi ha chiesto il numero di telefono. «Quanto
vuoi per darmelo», mi ha detto, «in una scala da uno a
dieci? Nove e mezzo?»
«Non è sufficiente», ho risposto, e stavo per andarmene.
Lui s’è alzato dal divano, m’ha bloccato e io allora: «Vieni
qua vicino come un gattino, abbassati, in ginocchio, a
quattro zampe…»
Lui s’è messo in mezzo al privé a quattro zampe, e io gli
ho detto: «Prendi il mio numero di telefono con la bocca».
Poi: «Miao miao, fai miao».
E lui ha fatto: «Miao…».
Mi piace comportarmi così. Mi piace. Io non sono sfruttata, umiliata, picchiata, è tutto il contrario. Lo sponsor
ha bisogno di me, e non il contrario. Io mi sento potente.
Ho potere su un uomo che ha quattromila operai in una
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fabbrica tessile in India. E si siede nel mio privé, solito
cocktail, solito divano, incontra una dama come me, e gli
rimane un ricordo bellissimo.
Poi ci rivediamo. Una volta, una seconda volta, una terza
volta, magari può nascere qualcosa. Per me sarà piacevole.
Ogni rapporto è una piccola storia, sì, io vado nei privé
per spirito della caccia, ormai ho tanti di quegli sponsor
fissi che potrei ritirarmi, faccio l’amore ogni sera, come
una donna normale, e con tutti gli sponsor abbiamo i nostri ritmi, i nostri giorni della settimana, abbiamo la nostra
canzone, abbiamo il nostro privé. Mi piace che sia così. Mi
piace molto. A me gli uomini piacciono. Quando un
uomo è un mandrillo, nessuno ha da ridire. Quando una
donna fa lo stesso, la chiamano escort. E a me piacciono
gli uomini. E la grana.
Faccio la raccolta dei biglietti da visita dei miei sponsor.
Degli scontrini di privé, di motel, di night.
Prendiamo il Giurista: c’è scritto «l8.30 albergo Plaza,
Tortona.» Mi piacerebbe scrivere un libro, da presentare
alla Vita in diretta.
Non sarebbe la storia della mia vita, ma quella dei gioielli
che mi hanno regalato gli sponsor, ho già il titolo: Gioielli
a una sconosciuta. Oppure: Tutti i cadeaux della mia vita.
Ogni gioiello è una storia d’amore: ma non lunga, che non
finisce più, un mattone. No, tipo novella.
Una storia d’amore bella, sintetica, bellissima, romantica,
fuori dal comune. Poi alla fine salta fuori il bracciale.
Storia di un bracciale di Cartier.
Storia di un anello di smeraldi.
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Storia di orecchini di perle.
Ho anche delle bellissime lettere che mi hanno scritto gli
sponsor: e che fanno commuovere. Ma quelle non le posso
divulgare, sarebbe come un medico che pubblica le cartelle
cliniche dei suoi pazienti, quando ne leggo qualcuna alle
mie amiche, vedo che hanno gli occhi un po’ bagnati.
Tornando al mio libro, non farei mai racconti lunghi,
poche pagine ciascuno. A me non piace fare soffrire la
gente. Un libriccino che puoi cominciare e finire in una
sera, al posto di guardare un film.
Però non so scrivere a macchina. E odio il computer. Ho
una gelosia tale verso quello di mio marito, che mi parte
da dentro, perché lui quando è a casa passa tutto suo
tempo davanti allo schermo, ha il comando vocale, ci
mette dentro direttamente le fotografie, si collega con la
banca, e mi lascia sempre sola.