Il paedagogium e la sua evoluzione

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Il paedagogium e la sua evoluzione
Il paedagogium e la sua evoluzione
Maria Francesca D’Amante
Università degli Studi Roma Tre
Department of Education
Via Manin, 53 - 00185 Roma
[email protected]
1. Il contesto storico-culturale
L’evoluzione delle istituzioni scolastiche è strettamente collegata all’evoluzione sociale, politica ed economica della realtà storica di un Paese. Ma, anche,
all’evoluzione del senso delle età che nel corso dei secoli,
dal Medioevo alla prima età moderna, uscirà da quella
confusione che le rendeva tutte uguali di fronte all’età
adulta.
Nella prima età moderna il costume scolastico era
ancora condizionato dalle modalità proprie dell’insegnamento medievale, la cui pedagogia, caratterizzata
dall’assenza di gradazione nei programmi, dalla simultaneità nell’insegnamento e dai metodi orali di ripetizione,
implicava una vistosa confusione delle età1. Agli inizi del
Medioevo, la scuola esisteva per la sola formazione dei
tonsurati, dei chierici e dei religiosi. Solo verso la fine di
quest’epoca essa si apriva ai laici, estendendosi da lì a
strati sempre più ampi della popolazione.
1
Cfr. Ph. Ariès, Padri e figli nell’Europa medievale e moderna,
Roma-Bari, Laterza, 1994.
EDUCAZIONE. Giornale di pedagogia critica, III, 2 (2014), pp. 7-28.
ISSN 2280-7837 © 2014 Editoriale Anicia, Roma, Italia.
DOI: 10.14668/Educaz_3202
Maria Francesca D’Amante
Fino ad un certo punto non si accennava minimamente a differenziazioni circa le età, le capacità, le conoscenze, mentre tale differenziazione costituirà una
peculiarità della modernità, insieme alla necessità di
esaminare e classificare, distinguere e normalizzare. La
discriminazione educativa fra i diversi ceti sociali ha
infatti carattere assolutamente moderno. Sorse dall’esigenza della cultura del tempo e si tradusse in varianti
istituzionali esplicitamente élitarie. Così, le proposte
educative erano di fatto chiuse alle classi subalterne.
Sulla base di una promiscuità fra le età, si possono
immaginare le modalità tipiche della vita scolastica dei
secoli XII-XIII, pervasa da una marcata indifferenza
psicologica nei confronti dei diversi stadi della vita
(l’infanzia non aveva tratti tipici, veniva sostanzialmente assimilata all’adolescenza e alla giovinezza2).
Tale realtà giustificava spesso le condizioni in cui versava la scuola: i locali erano perlopiù insufficienti ad
ospitare tutti gli alunni, e l’improvvisazione del maestro era quasi necessitata. Perciò egli era solito adibire
qualsiasi altro ambiente, la chiesa o il chiostro, ad aula
per la lezione. Inoltre, non godeva che di un potere minimo nei confronti degli studenti, giacché il loro rapporto non era vincolato da alcuna forma e da alcun codice di comportamento3. Di solito, egli prendeva in af2
Il sentimento dell’infanzia nascerà in epoche successive. Ancora
nei secoli XII e XIII i bambini di dieci anni e i ragazzi di quindici
erano mescolati agli adulti. Si sono interessati al tema gli storici
dell’arte e quelli della letteratura. Per un quadro generale sulla concezione
dell’infanzia nel Medioevo, cfr. P. Du Colombier - G. Barraud, L’enfant
au Moyen Age, Villefranche, Etablissement Jacquemaire, 1951.
3
Il profilo del maestro assumerà tratti differenti solo quando all’insegnamento sarà data quell’importanza legata al suo potere nel
cambiamento socio-politico: dunque, dall’età moderna, quando la scuola
iniziava ad occuparsi seriamente dell’istruzione della gioventù nobiliare,
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Il paedagogium e la sua evoluzione
fitto una schola. Così, ad esempio, a Parigi rue du
Fouarre4 divenne il vicus straminis. Lì si insediarono
maestri e scolari, senza l’obbligo di osservare alcuna
regola e disponendo solo di materiale di fortuna. Perciò
vi affluirono indifferentemente pueri e adolescentes,
juvenes e senes, giacché le differenze di età non costituivano elementi di differenziazione5.
Non vi era alcuna organizzazione per il controllo e
la gestione degli scolari. Abbandonati a se stessi, alloggiavano in dimore private o condividevano una
stanza. Nei casi migliori, vivevano in una pensione,
presso un maestro, un prete o erano parte di una casa.
Nella vecchia scuola medievale il maestro non si
interessava al comportamento degli allievi oltre l’orario scolastico. Soltanto nel 1289 divenne obbligatoria
l’iscrizione di ogni maestro ai matricula. Nel Trecento,
con l’organizzazione delle Nazioni, si ebbe il primo
tentativo di collocazione regolare degli studenti. La natio è infatti l’elemento di riferimento di quel tipo di associazione studentesca che, formatasi nell’ambito dello
Studio bolognese6, assumerà poi il nome di universitas
scholarium e servirà da modello a tutte le successive
universitates7 sorte in Italia e Oltralpe. A Parigi erano
della futura classe dirigente. Da qui in poi il maestro assumerà un’autorità
sempre maggiore nei confronti dello studente.
4
La rue du Fouarre prende il nome da rue du feurre, la paglia
su cui giacevano i primi studenti che frequentavano l’Università di Parigi.
5
Cfr. Ph. Ariès, op. cit., pp. 155-174.
6
Cfr. G.P. Brizzi, «Studenti e Università degli studenti a Bologna
dal XII al XIX secolo», in C. Chiarantoni, La residenza temporanea per
studenti, Bologna, Alinea, 1988.
7
Sulla storia dell’Università in età medievale: H. Rashdall, The
Universities of Europe in the Middle Ages, ed. by E M. Powicke - A.
B. Emden, voll. 3, Clarendon Press, 1936; J. Verger, Les universités
au Moyen Age, Paris, 1973; G. Arnaldi (a cura di), Le origini dell’Università, Bologna, Il Mulino, 1974; A.B. Cobban, The Medieval
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quattro le nazioni presenti: Normandia, Piccardia, Inghilterra e Francia8.
Non esisteva alcun tipo d’insegnamento primario
o un insegnamento di carattere generale pensato per la
prima fascia d’età. Non si pensava all’educazione dei
più piccoli e quella che oggi chiamiamo scuola primaria nacque in tarda età moderna. In epoche precedenti
si imparava a scrivere e a far di conto in famiglia o al
lavoro. I figli delle classi più agiate venivano istruiti in
casa da un precettore privato. Prima del Quattrocento,
lo studente stava in famiglia o nei pressi di una scuola
e, se ne frequentava una, entrava a far parte di corporazioni o confraternite la cui appartenenza era basata sulla condivisione di pratiche comuni: esercizi di pietà,
devozioni, banchetti.
A partire dal Quattrocento si manifestarono segni
di insofferenza verso quella solidarietà corporativa: la
preoccupazione per l’ordine e la ricerca di regolarità si
tradussero prima in un sistema di proibizioni verso quei
costumi comunitari medievali, poi nell’elaborazione di
principi e sistemi educativi riformatori.
Nel corso del Cinquecento, in seno ad una rilevante evoluzione sociale, venne poi avviata una profonda
ristrutturazione del ciclo degli studi. Con il tempo, si
poté assistere ad una progressiva crescita di interesse
nei confronti dell’istruzione e si sviluppò un pensiero
Universities, their development and organisation, London, 1975; G.P.
Brizzi (a cura di), Le università dell’Europa, voll. 6, Milano, Silvana
ed., 1990-1995; F. Cardanimaria - T. Fumagalli - B. Brocchieri,
Antiche università d’Europa. Storia e personaggi degli Atenei nel
Medioevo, Milano, Mondadori, 1991; H. De Riddersymoens (a cura
di), A History of the Universities in Europe. I. Universities in the Middle
Ages, Cambridge, Cambridge University Press, 1992.
8
Cfr. E. Durkheim, op. cit., p. 9.
10
Il paedagogium e la sua evoluzione
diverso circa i luoghi deputati al suo esercizio nel quadro dell’istituzione universitaria.
2. L’Università di Parigi
A partire dal XII secolo ebbe dunque inizio un tipo di organizzazione estremamente originale, quella
dell’Università di Parigi. E non fu opera di un solo
giorno. Quando la prima scuola di Nôtre Dame, a seguito di una sempre più consistente affluenza di studenti cristiani iniziava a diventare insufficiente, vennero autorizzati alcuni maestri privati ad aprire scuole nei
pressi delle cattedrali. Gradualmente, essi si allontanarono dal regime ecclesiastico che li amministrava e costituirono corporazioni proprie9. Ai fini della comprensione delle peculiarità del sistema scolastico medievale,
il particolare è di notevole importanza, perché permette di
rilevare le differenze rispetto a quello moderno, a cui si
giunse soltanto dopo un lento allontanamento dal primo e
in direzione di una crescente ricerca di ordine e di disciplina. Fino a realizzare, infine, un controllo sempre più
minuzioso e ben organizzato che si lascerà definitivamente alle spalle l’improvvisazione e il disordine tra
gli scolari.
Alla nascita dell’università di Parigi non esistevano
una pedagogia o dei collegi propriamente detti10. Eppure, già dalla fine del XIII secolo l’Università possedeva
una sua configurazione tipica con quattro Facultates:
9
Cfr. E. Durkheim, La vie universitaire à Paris, Paris, P.U.F.,
1938, pp. 8, 9.
10
Cfr. Ch. Tourot, De l’organisation de l’enseignement dans
l’Université de Paris au moyen-âge, Paris, E. Magdaleine, 1850, pp.
92-95.
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Arti liberali, propedeutica alle altre, ereditava la tradizione di insegnamento del trivium (Grammatica, Retorica e Logica) e del quadrivium (Geometria, Aritmetica, Astronomia e Musica), la Facoltà di Diritto, le Facoltà di Medicina e di Teologia. L’attività didattica
ruotava principalmente attorno alla lectio, alla quale si
affiancavano la quaestio e la disputatio.
Ma com’era avvenuta questa strutturazione degli
studi? Anzitutto, i luoghi assegnati alla trasmissione
del sapere si resero indipendenti dalle residenze studentesche. La maggior parte degli studenti era esterna
e alloggiava dove e come poteva. Ed è stato lungo il
percorso che ha portato alla creazione dei collegi. Nella
genesi del collegio troviamo gli asili per studenti poveri degli ospedali di fine XII secolo, a cui fecero seguito
i collegi di fondazioni regolari o i conventi destinati alla
formazione di monaci (di solito presenti attorno all’università). I Domenicani, i Carmelitani, gli Agostiniani
fondarono collegi destinati ai loro giovani studenti agli
inizi del XIII secolo e poco a poco ottennero cattedre
di teologia, affiancandosi all’insegnamento delle università. In alcuni casi, le nazioni stesse fondavano un
collegio. E così a Parigi si ebbero il collegio degli Inglesi, quello degli Scozzesi, quello dei Lombardi. Queste primitive installazioni costituirono la cellula germinale del collegio ancien régime, anche se non pochi
cambiamenti furono necessari per arrivare alla sua definitiva configurazione.
Una profonda trasformazione nell’organizzazione
dell’insegnamento parigino è legata anche al fatto che,
accanto ai collegi delle fondazioni regolari, agli inizi
del XIII secolo nascevano i collegi secolari11. Questi,
11
La comunità di Sorbonne, nata nel 1250 e ad imitazione dei
conventi, fu la prima dei collegi secolari.
12
Il paedagogium e la sua evoluzione
nella loro organizzazione, imitarono quelli delle fondazioni regolari, in particolare in ciò che concerneva
l’insegnamento all’interno del collegio. In principio si
trattava per lo più di ostelli o di ospizi legati a donazioni individuali o alla beneficenza destinata ad ospitare gli studenti poveri a cui si garantiva vitto e alloggio.
Nascevano così i pensionati, come “i diciotto” e Saint
Nicolas du Louvre, che solo più tardi verranno riconosciuti come collegi. Nessun insegnamento veniva offerto all’interno di questi collegi. Gli studenti dovevano recarsi presso le publicae scholae delle rispettive
facoltà per seguire le lezioni ordinarie12. In questi pensionati, gli studenti ricevevano un’educazione disordinata e spesso carente sul piano morale e religioso. I
maestri abbandonavano gli studenti a loro stessi e, per
punirli, spesso intervenivano con la frusta.
Nel 1452 la riforma del cardinale d’Estouteville
introduceva un elemento importantissimo, e si avviava
così il cambiamento dei collegi. Questi diventavano allora anche il luogo in cui si insegnava e in cui pulsava
la vita effettiva dello Studium. Ma ciò che si può cogliere nel testo della riforma è soprattutto il progresso
dello Zeitgeist, testimoniato da un nuovo sentimento
nei confronti della gioventù. Si parla allora di regimen
puerorum e di responsabilità morale dei maestri nella
cura delle anime, oltre che nell’istruzione: i bambini
«appartengono ad una aetas infirma che richiede disciplina e norme rigide».
La Riforma dimostra un’inedita sensibilità organizzativa per gli studi, con l’uso di termini allora inusuali (collegium, paedagogium, domus aristorum) e nuove istituzioni che vedevano al loro interno figure pro12
Cfr. G. Codina Mir, Aux sources de la pédagogie des jésuites,
Roma, Institutum Historicum S. I., Roma, 1968, p. 54.
13
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fessionali (magister principalis, paedagogus, regens).
La nuova organizzazione scolastica francese subentrava così alla vecchia scuola di rue du Fouarre e imponeva il nuovo modello scolastico: il paedagogium13.
3. Il paedagogium e la sua evoluzione
Il primo paedagogium nasceva nel 1392. Queste
istituzioni, già numerose alla fine del XIV sec., nel secolo successivo si moltiplicarono a dismisura. Il ragazzo vi restava fino a tredici o quattordici anni, sotto la
guida di uno o più maestri. Vi trovava nutrimento, alloggio e poteva seguire tutti i corsi preparatori alla dialettica. L’università, spesso impreparata di fronte alla
mancanza di disciplina, guardava con entusiasmo alla
formazione di questi internati, dove gli studenti dimoravano spesso, anche quando iniziavano a seguire i
corsi di Facoltà. Qui le regole contenevano la naturale
mancanza di disciplina14.
Nel corso di due secoli, il termine paedagogium
subirà progressivamente slittamenti di significato. Infatti, se nel Trecento s’intende con esso una camerata
annessa ad un collegio, nel Cinquecento indicherà un
semplice pensionato che ospita studenti che studiano in
altri collegi. Così, tra i due secoli, il termine verrà spesso
impiegato dai fondatori in modo promiscuo, anche perché, nello stesso tempo in cui sorgevano i collegi, le
scuole di rue du Fouarre erano frequentate dai borsisti.
Che, cum sociis paedagogii, seguivano alcuni corsi in
queste scuole, iuxta morem bursariorum dicti collegii.
13
Cfr. Ph. Ariès, op. cit., pp. 182, 291.
Cfr. A.F. Thery, Histoire de l’éducation en France, vol. II,
Paris, Dezobry, E. Magdeleine, 1858, p. 390.
14
14
Il paedagogium e la sua evoluzione
In seguito alla necessità primaria di assicurare agli
studenti poveri una dimora, subentrava quella più pressante d’imporre ad essi uno stile di vita con abitudini e
una vita in comune orientata ad una prassi regolamentata. Furono allora sottoposti ad ordinamenti, per sottrarli ad eventuali tentazioni laiche, attraverso obblighi
e principi atti a disciplinare il comportamento sociale e
morale. Occorre precisare che l’università di Parigi, in
principio Universitas magistrorum et scholarum, fu
sempre, in realtà, una università di maestri e non di
studenti, contrariamente a ciò che accadeva a Bologna,
dove il potere era saldamente nelle mani degli studenti.
Lo statuto di riforma del cardinale d’Estouteville ricordava anche che, per seguire i corsi di arti, ci si doveva recare obbligatoriamente nelle scuole di rue du
Fouarre.
La storia di questo quartiere volgeva però al termine. Infatti, nello stesso tempo in cui l’internato riduceva le possibilità di disordine (generate per lo più dalla presenza dei martinets), le lezioni affollate e animate
di rue du Fouarre – il luogo magico descritto da Jean
de Jandun15 in cui si respirava il profumo del nettare filosofico e in cui si apprendevano i principi della religione, i segreti della natura, dell’astrologia, della matematica e i sani principi della morale – andavano
estinguendosi. Là arrivavano maestri esperti che insegnavano la logica e gli elementi delle scienze preparatorie e là, dopo qualche decreto di routine, i laici magistri iniziarono a servire solo per gli atti di determinazione e per gli esami di baccellierato e di magistero.
Come dimostrano gli statuti dei collegi parigini, i
borsisti dovevano essere già istruiti in grammaticalibus
et in summulis et parvis logicalibus. La grammatica la15
Ibid., p. 382.
15
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tina veniva a costituire il primo stadio dell’istruzione
per chiunque volesse intraprendere gli studi maggiori.
Dagli inizi del XVI secolo, un nuovo passo era
compiuto verso l’insegnamento di grammatica: dopo il
medioevo, questo insegnamento è monopolio dei monasteri e delle piccole scuole di grammatica, gli esternati di Parigi in cui una folla di ragazzi si preparava,
attraverso lo studio del Trivium, ad entrare nella Facoltà di arti. Seguendo l’esempio degli ordini mendicanti,
la grammatica era insegnata anche in alcuni collegi secolari che ammettevano ormai, accanto ad altri borsisti,
un certo numero di borsisti di grammatica. Tra questi,
quelli di Sorbonne e Navarre16. E sorgevano così le
prime differenze tra i collegi (inizialmente concepiti come semplici residenze per studenti che frequentavano le
Università) e i paedagogia o domus, che entrarono
nell’organizzazione universitaria parigina quando si
stabilì che le lezioni di grammatica non potessero essere
più impartite all’interno delle scuole private, bensì solo in
scuole apposite per l’insegnamento della grammatica.
L’esempio della Sorbonne venne presto imitato, e
il quartiere degli studi, la montagna Sainte-Geneviève,
vide nascere molti collegi in cui i borsisti di arti e teologia trovavano vitto e alloggio. Gli studenti di arti andavano a seguire le lezioni in rue du Fouarre e qui si
16
Nel collegio fondato da Robert Sorbonne, la borsa consisteva
in una somma che ogni settimana lo studente riceveva per provvedere
al suo nutrimento. Essa poteva corrispondere ad un minimo di 2 s. p.
fino ad un massimo di 8 s. p.; solitamente era di 3 o 4 s. p. Nella
maggior parte dei collegi vi erano borsisti di teologia e borsisti di arti.
Questi, di numero maggiore, erano chiamati a scegliere i primi. I
borsisti dovevano essere originari della città o della diocesi alla quale
apparteneva il fondatore. Il reddito non doveva superare una certa
somma per ottenere la borsa. Cfr. Ch. Thurot, op. cit., p. 124.
16
Il paedagogium e la sua evoluzione
sedevano a terra o sulla paglia17. Quelli di teologia si
recavano nelle scuole di teologia dei conventi o nei
grandi collegi18, che ospitavano i giovani poveri animati dagli spiriti più inquieti. Strane esistenze, insomma:
giovani senza famiglia, senza amici, senza conoscenza
del mondo, e che avevano sempre vissuto nelle soffitte
del quartiere latino studiando al chiaro di luna e uscendo solo per disputare nel fango di rue du Fouarre o di
place Maubert19.
4. Dall’esternato all’internato
Non tutti i collegi godevano però del “pieno esercizio”, ossia di tutto il ciclo d’insegnamento, ma solo i più
rinomati, tanto che, dopo la fine del XV secolo, se ne
contavano soltanto diciotto. E lì obbligatoriamente dovevano recarsi gli studenti dei piccoli collegi per seguire le
lezioni20. È questo il momento in cui inizia ad emergere
una differenza fondamentale tra quanto avveniva in passato e ciò che possiamo definire il destino degli Studia: la
concentrazione dell’insegnamento tra le mura dei collegi.
Questo elemento di novità ebbe come conseguenza la
concorrenza tra i collegi per il reclutamento dei migliori reggenti delle università e portò con sé un elemento
importante per il destino dei collegi parigini, il regime
dell’internato. Insomma, nel momento stesso in cui avveniva il dislocamento dell’insegnamento nei collegi, aveva luogo una trasformazione essenziale: il passaggio
17
18
Cfr. supra, n. 5.
A.-F. Thery, op. cit., p. 361.
19
Cfr. J. Michelet, Histoire de France, Bruxelles, Société Belge
de Librairie, 1840, t. IV, p. 223.
20
Cfr. H. Rashdall, op. cit., p. 528.
17
Maria Francesca D’Amante
dall’esternato all’internato21. Il che comportava una disciplina e un controllo salutare sul profitto nello studio
e sul comportamento.
Verso la fine del XV secolo, i paedagogia o pensionati, per accogliere tanti studenti, si moltiplicarono
notevolmente. L’esperienza dell’internato otteneva così
sempre maggior successo, sia come paedagogium sia
come collegio. E la fine del XVI secolo vide i collegi,
organizzati come paedagogia, ammettere anche gli
studenti agiati che pagavano la pensione e l’insegnamento di grammatica. Questa possibilità si dimostrò
molto fruttuosa, tanto che molti collegi presto aderirono a tale sistema di regime economico22.
Regime di internato e dislocamento dell’insegnamento verso i collegi vanno di pari passo. Del resto, tale regime si rivelava molto più pratico. Era infatti possibile seguire i corsi di arti all’interno degli stessi collegi, così come si faceva per i corsi di grammatica e di
teologia. In accordo con questa politica, la facoltà di
Arti, nel 1463, prendeva provvedimenti idonei per trattenere il numero maggiore di studenti all’interno del
collegio e per costringere i martinets ad avere una residenza fissa. Verso la fine del XV secolo, la maggior
parte degli studenti erano di fatto inclusi nel regime del
pensionato, e nel 1524 tale obbligo veniva esteso anche ai maestri. Erano però rimasti alcuni collegi dei
poveri che continuavano a funzionare esclusivamente
come pensionati, tra cui quello di Sainte Barbe, che
godevano del guadagno ricavato dagli studenti che vi
alloggiavano.
Nel XVI secolo, nel momento in cui i primi Gesuiti arrivarono a Parigi, l’evoluzione dei collegi era
21
22
18
Cfr. E. Durkheim, op. cit., pp. 141-143.
Cfr. G. Codina Mir, op. cit.
Il paedagogium e la sua evoluzione
sostanzialmente terminata e fissata in tipologie precise.
I collegi con pieno esercizio diventavano i collegi in
cui si offriva solo una parte dell’insegnamento o nessun insegnamento (se gli studenti seguivano in altri
collegi le lezioni che in questi non si davano); i collegi
fondati (alcuni ospitavano pensionati accanto ai propri
borsisti); i collegi non fondati (destinati esclusivamente a pensionati paganti). Gli studenti venivano distinti
in borsisti, convittori e camerati. Tra i martinets, o
esterni liberi, vi erano i galoches, studenti esterni che
frequentavano i corsi per professione23.
La formula “dislocamento/internato” racchiudeva
l’efficacia del sistema parigino, improntato alla disciplina e al controllo posto in atto da figure come i censori e i controllori (sotto la supervisione di un Rettore).
Questi giudicava ed esercitava il suo potere di coercizione su tutti i principali dei collegi, sui reggenti, sui
lettori, sugli studenti, su tutto il personale dell’università e proprio in ragione delle linee di comportamento
che egli poteva autonomamente adottare. L’alunno che
viveva in collegio era meno esposto al rischio di commettere disordini. L’università favorì con tutte le forze
il movimento che spingeva gli studenti ad internarsi
nei collegi e finì per fare dell’internato un obbligo.
Si combatteva dunque per eliminare i martinets,
cercando di porre tutti gli studenti sotto il controllo di
una comunità regolarmente organizzata (come un collegio), o di una personalità come il Maestro dell’università. Le lezioni tenute all’interno dei collegi, se
costituivano inizialmente semplici ripetizioni, poco a poco si moltiplicarono e presero sempre più importanza,
sostituendo ed eliminando quelle di rue du Fouarre, le
cui scuole chiudevano i battenti (mentre l’internato si
23
Cfr. Ibid., pp. 56-60.
19
Maria Francesca D’Amante
espandeva). Il pensionato era in pari tempo anche una
scuola in cui lo studente trovava tutto ciò di cui aveva
bisogno per la sua vita spirituale e materiale. I maestri
che insegnavano nelle scuole pubbliche diventarono
funzionari speciali legati ai collegi, per cui non erano
più gli studenti ad andare nelle scuole, ma i maestri a
recarsi nei collegi. Il mondo dello studente, dunque,
era ormai confinato tra le mura del collegio.
All’inizio l’internato integrale rappresentava una
realtà ibrida, legato alla fusione di due regimi difficilmente conciliabili: da una parte la scuola, dall’altra il pensionato. Questo, per ospitare moralmente il ragazzo, per
sostenerlo e sorvegliarlo, non doveva essere troppo
esteso, cosicché il maestro poteva essere molto vicino
agli studenti e ne poteva comprendere la natura. Nello
stesso tempo – per una sorta di necessità di uniformità e
di omologazione – il regime ideale del pensionato era
rappresentato dalla dispersione degli studenti in una moltitudine di piccoli stabilimenti le cui dimensioni, senza
confondersi con quelle della famiglia, se ne allontanavano il meno possibile.
Questi erano dunque i primi collegi. Un luogo in cui
un numero ristretto di borsisti trovava asilo. In una prima
fase, la costruzione dei grandi centri di cultura apparsi in
età moderna costrinse la maggior parte dei ragazzi ad
uscire dalla famiglia e a radunarsi attorno a questi potenti
centri di insegnamento: nei primitivi collegi, semplici
pensionati dove l’insegnamento propriamente detto rivestiva un ruolo secondario. In una seconda fase, l’assorbimento delle scuole da parte dei pensionati delineava
invece la fisionomia del sistema di internato e, in seguito, del sistema scolastico. L’internato integrale poteva rappresentare un prolungamento dell’idea monastica che, per contagio naturale, dal campo religioso si
20
Il paedagogium e la sua evoluzione
estendeva anche a quello scolastico. Perciò risulta notevole la somiglianza tra i due regimi.
L’internato integrale rappresentava lo strumento naturale di realizzare, in modo assorbente, la nozione cristiana di educazione. Giacché, in relazione all’obiettivo
che perseguiva – la formazione dell’uomo nella sua integralità –, il cristianesimo doveva necessariamente tendere
a far sviluppare il ragazzo in un sistema che lo accogliesse in tutta la sua esistenza: fisica, morale, intellettuale (al
fine di formarlo completamente e senza trascurare nessun
aspetto della sua personalità).
Se i primi collegi avevano qualcosa del carattere
democratico che presentavano gli hospitia privati delle
origini, la Facoltà di arti iniziò presto a sorvegliare la
vita interna dei collegi, a riformare i regolamenti, a
controllare i modi con cui i “principali” e i “provvisori” esercitavano le loro funzioni. Nel momento in cui
l’Università intervenne nella vita interna dei collegi,
già era avvenuta la fusione tra pensionati e università.
Il pensionato, per poter assolvere alla sua funzione
educativa, aveva bisogno di essere un organismo flessibile e morbido, al fine di poter variare in base alle circostanze, ai momenti, ai mezzi, alla natura degli studenti.
Al contrario, l’azione dell’università aveva come fine
quello di sottomettere tutti i collegi ad un regolamento
uniforme. E quando un’autorità è alimentata da questo
spirito di regolamentazione, tende naturalmente a ricondurre il tutto ad un’unica norma: tentando sì di evitare i
possibili danni per lo studente, ma limitando insieme la
libertà della persona.
Per tale ragione, si manifestava una spiccata tendenza ad imporre un regime di esistenza uniforme, lasciando il minor spazio possibile alle irregolarità. Se
gli studenti fuori dal collegio non potevano più essere
facilmente sorvegliati e controllati come all’interno, la
21
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vita al di fuori non poteva essere contenuta e sottoposta
alla norma. Le uscite erano occasione di eccessi. Si iniziò
allora a sopprimere poco a poco tutto ciò che era occasione di uscita, dispute pubbliche, processioni, corse
all’esterno. L’esito naturale di questa evoluzione fu il trasferimento dell’insegnamento all’interno dei collegi. E
nacque l’internato integrale, che derivò dall’amore
esagerato per l’ordine, dalla passione per la regolamentazione uniforme di cui l’Università del XV secolo si
fece carico24. Parafrasando Ariès, il governo – autoritario e gerarchico – che andava affermandosi attraverso
l’organizzazione moderna dei collegi e dei paedagogia
“a pieno esercizio”, permetteva l’istituzione di un sistema disciplinare sempre più rigoroso che poggiava su
tre elementi costitutivi: la sorveglianza continua, la delazione istituzionalizzata, l’uso delle punizioni corporali25.
È bene precisare che il modello parigino era assolutamente unico. Infatti, il collegio in sé è un’istituzione non riconducibile ad un unico modello. Uno storico inglese ha compiuto una classificazione in sette
categorie di collegi26, e ha ripercorso l’evoluzione di
quella istituzione sulla base delle stesse diverse denominazioni da essa assunte. Vediamo infatti che, nel
corso del tempo, essa è stata denominata domus, aula,
bursa, contubernium, a seconda del contesto storicogeografico e culturale e delle sue finalità.
24
Cfr. E. Durkheim, op. cit., pp. 135-145.
Cfr. Ph. Ariès, op. cit., p. 293.
26
Cfr. J.M. Fletcher, The history of academic Colleges:
Problems and Prospects, in D. Maffei - H. De Ridder-Symoens (a
cura di), I collegi universitari in Europa tra il 14o e il 18o secolo: atti
del Convegno di studi della Commissione internazionale per la storia
delle università: Siena-Bologna, 16-19 maggio 1988, Milano, Giuffrè,
1991, pp. 13-22.
25
22
Il paedagogium e la sua evoluzione
5. All’interno dei collegi
Il metodo dei collegi parigini era quello previsto
negli statuti di Sorbonne, Navarre e Harcourt. Celebri
dopo la loro nascita, ottennero presto un posto speciale. Esisteva dunque un modello comune dei collegi di
Parigi e concerneva il modo di insegnare e la modalità
di vivere all’interno degli istituti della ville27. Questi
collegi-tipo, per la perfezione dell’organizzazione o
per il livello dei loro studi, attiravano lo sguardo di tutti gli altri collegi. Soprattutto quelli di Sorbonne e di
Navarre fecero sentire, a partire dal XVI secolo, la loro
influenza sugli altri28.
Vediamo allora in che cosa consisteva il sistema
di questi collegi e il loro regime di disciplina.
Intanto, sarà utile evidenziare il processo evolutivo del regime disciplinare all’interno degli istituti. Essi
stabilivano, seppur vagamente, un genere di vita e le
relative sanzioni penali. Per fare qualche esempio: vigeva il divieto di bere in osteria e di frequentare luoghi
malfamati; di dormire fuori casa di notte e di fare rumore o schiamazzo; di introdurre donne (ad eccezione
di Harcourt e di Seez, dove era però vietato avere rapporti carnali con donne introdotte con un pretesto); a
tutti era comune il principio essenziale di vivere amicaliter, nel rispetto degli usi della vita comune. Vigeva
l’obbligo di decenza nell’abbigliamento, con particolare attenzione a quando ci si presentava a tavola (piedi
coperti, niente stracci né abiti troppo corti o indecenti).
Le prescrizioni iniziali non facevano quasi mai riferi27
Vedi il quadro contenuto in R. Goulet, Compendium recenter
editum de multiplici parisiensis universitatis magnificentia… (T.
Denis, Paris, 1517; per questo, cfr. G. Codina, op. cit.).
28
Cfr. A. Renaudet, Préreforme et humanisme, Paris, Slatkine,
1981.
23
Maria Francesca D’Amante
mento alla specifica condizione scolastica del borsista.
Erano regole che si ispiravano a quelle religiose e si
applicavano agli adulti, in nome di quella già ricordata
indifferenza verso la natura dei bambini e dei ragazzi.
Nel XIII e XIV secolo si compì, con queste norme
disciplinari, un passo avanti rispetto alla condizione
precedente di libertà, ma davanti a quella nuova esigenza di gradualità, distinzione, controllo e gerarchia
che emergeva nel Quattrocento, esse risultavano insufficienti. Vennero pertanto modificate in direzione di un
movimento che portava la società verso le forme politiche dell’assolutismo e che coinvolgeva inevitabilmente la vita dei collegi, inquadrata in un regime di autorità che avrebbe prodotto, nel tempo, una vera e propria forma di potere politico. Le autorità del collegio,
per regolamento, venivano elette dai borsisti, secondo
le norme minuziosamente stabilite dalle Costituzioni di
ogni collegio – alla maniera dei monasteri –, ma vari
abusi, alla lunga, finirono per demolire questo sistema
democratico. Di conseguenza le autorità, più che venire elette dagli studenti, cominciarono ad essere nominate dall’alto29. Se in principio i lectores erano compagni a cui si portava rispetto in modo fraterno e a cui si
rendevano omaggi con il potum amicabilem, come ad
Harcourt, in seguito questa libertà goliardica tra professori e allievi venne caratterizzata da una forte sepa29
Vi furono casi eccezionali di collegi che provarono ad adottare
sistemi alternativi. Segnaliamo il caso del vescovo di Clermont, che
scelse per il suo collegio di Parigi un’ingegnosa procedura elettorale.
Questa prevedeva che il principale fosse estratto a sorte da tre borsisti di
teologia. Ma non sarà così nei collegi della Compagnia di Gesù, anche se
all’inizio Nadal vide la possibilità di far eleggere dagli studenti il
rettore dell’università di Messina. Presto cambiò parere, e il generale
della Compagnia nominò i rettori di tutte le università dei gesuiti. Cfr.
M. Scaduto, Le origini dell’Università di Messina, in «Archivum
Historicum Societatis Iesu», XVII (1948), p. 110.
24
Il paedagogium e la sua evoluzione
razione. Il collegio non fu più amministrato da un capo
designato dai suoi pari, bensì dal principale, che controllava i suoi reggenti. E questi, a loro volta, sorvegliavano e punivano gli studenti.
Si finisce così per limitare l’iniziativa degli studenti.
Difficilmente lo studente poteva sfuggire al controllo.
Nasceva un’attenzione eccessiva per il dettaglio. Del resto, il dettaglio era già da tempo categoria della teologia e
dell’ascetismo. Ogni dettaglio è importante perché, in
rapporto a Dio, nessuna immensità è più grande di un
dettaglio. Ma nulla è abbastanza piccolo per non essere
stato voluto da una delle sue piccole volontà30.
Sull’eminenza del dettaglio verranno a porsi tutte le
meticolosità della pedagogia dei collegi. L’invadenza dei
regolamenti tenderà ad impadronirsi dell’individuo. I collegi inizieranno ad adottare sistemi disciplinari mirati.
Famoso quello del collegio di Montaigu, che introdusse un regime di delazione e una disciplina particolarmente rigida, dall’accentuato fervore ascetico e religioso. Il principale Standonck, Pater pauperum31, al fine
di condurre una direzione ascetica, istituì figure specifiche per il mantenimento della disciplina, i correctores. Fissò con cura l’impiego del tempo, con un orario
che andava dalla sveglia (alle quattro circa) al momento in cui si poteva andare a dormire. La giornata prevedeva lezioni fino alla messa delle sei: al suono della
campana (pulsu), gli studenti dovevano scendere ad
publica loca; dopodiché, dalle otto alle dieci, si teneva
30
Cfr. M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della
prigione, Torino, Einaudi, 2005, p. 152.
31
Possiamo dire, sulla base di un confronto degli statuti dei più
importanti collegi parigini, che il termine veniva usato solo in questo
collegio. Negli altri si useranno termini analoghi.
25
Maria Francesca D’Amante
la grande lezione mattutina; dalle tre alle sei la grande
lezione del pomeriggio32.
Agli ospiti del collegio di Montaigu il principale
impose una vita morigerata e consacrata allo studio33.
Essi osservavano una perenne quaresima. Qualcuno si
asteneva completamente dal vino e le ore del sonno
erano rigorosamente misurate34. La disciplina spietata
di Montaigu ha lasciato segni sulla formazione di uomini che, più tardi, portarono oltre le mura di quel collegio i frutti di quanto avevano sperimentato di persona. Tra questi Erasmo, Calvino e Loyola.
L’organizzazione interna dei collegi, che nel tempo si fece fortemente gerarchica, poggiava sul potere di
tutte le figure previste dal “sistema”. Alla testa di ogni
collegio si trovava sempre un’autorità suprema a cui
erano conferiti pieni poteri, ed era conosciuta con diversi nomi. In generale era indicata con i nomi di Primarius, Principalis, Magister o, nel Rinascimento, con
quello di Gymnasiarcha.
Questa autorità è conosciuta anticamente con termini che riflettono un’origine monastica: provisor, prior,
praepositus. Molto raramente, per indicare il capo di
un collegio parigino, appare il termine rector35. Non
così in Italia, dove il nome è corrente e prevarrà, in se32
Cfr. Ph. Ariès, op. cit., pp. 193-195.
Cfr. D.M. Felibien, Histoire de la ville de Paris, 1725, p. 717. 34
Omnes e carnibus, alios etiam a vino abstinere, somno brevissimo indulgere disciplinis insuper […] impetum lasciviae frangere
(Ibid., p. 719).
35
Possiamo segnalare le occorrenze del termine Rector nelle
Costituzioni S.J. del 1558: pars quarta c. 2, n. 5: […] et Rectores qui
ad id munus conveniens habeat talentum, constituet […]; c. 6, n. 6:
[…] juxta Rectoris collegii arbitrium audiant […]; c. 6, n. 9: Rector
autem collegii id curae habeat […]; c. 10, n. 3: […] Praepositus
Generalem Rectorem […]; c. 10, n. 4: […] ut ille cui Rectoris officium
[…]; c. 10, n. 5: Rectoris officium erit […].
33
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Il paedagogium e la sua evoluzione
guito, anche nei collegi dei gesuiti. Perciò sarà detto
modus italicus. Al fianco del superiore del collegio si
trovavano vari officiales, che si occupavano degli studenti dal punto di vista degli studi o della disciplina,
preannunciando in parte ciò che farà più tardi il prefetto nei collegi dei gesuiti. Per fare qualche esempio: nel
collegio di Sorbonne vi era un maître des étudiants o
magister studentium, titolo che somiglia a quello del
maestro delli studii che Jeronimo Nadal introdurrà nel
collegio di Messina. Tutti i maestri, come il Principale36, dovevano distinguersi per virtù, zelo, buon costume e disciplina, e dare buon esempio agli studenti37.
Da queste figure principali si dirama tutta la rete
di controllo e di disciplina all’interno degli istituti: una
sorveglianza serrata, caratteristica della modalità parigina, alla quale tutti i collegi e gli studenti venivano sottoposti. Oltre ai visitatori o riformatori, nominati d’ufficio
dall’università, ogni principale è tenuto a controllare
personalmente, o tramite altri, lo stato del suo stabilimento. È per questo che egli ha il diritto e il dovere di
fare il giro delle stanze, delle classi e di tutte le dipendenze della sua casa per riprendere i comportamenti
dei suoi inferiori. I collegiali sapevano bene a che cosa
attenersi, e restavano tutto il giorno in guardia per non
trovarsi spiacevolmente in imbarazzo in occasione di
queste visite non inattese38.
36
Il ritratto del Principale ideale viene tracciato in numerosi
documenti. Deve credere in Dio, possedere una solida dottrina, cercare
il bene dei suoi studenti e fuggire ogni specie di profitto e d’interesse.
37
Già lo statuto di riforma del 1452, in nome della santa
ubbidienza, incaricava i pedagoghi di preoccuparsi dei progressi degli
allievi nella disciplina e nelle virtù. C. E. Du Boulay, Historia universitatis parisiensis, t. V, Paris, 1670, p. 571.
38
Visitet Primarius saepe disciplinorum, etiam regentium cameras et classes, ut videat si mundae sint, puerique proficiant, ac saepe
saepis ex improviso (Cfr. Ratio atque institutio Studiorum S.I.).
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Maria Francesca D’Amante
Insomma, quando i famosi collegi dei gesuiti prenderanno corpo, gran parte della statuizione in materia
sarà compiuta. Non avranno allora che da riprenderla e
da perfezionarla: per ciò che attiene agli studi e per ciò
che si configura come canone di studio. L’antico internato troverà così configurazione stabile e produrrà frutti duraturi per lungo tempo.
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