013. Diomede Dovreste proprio passare uno di questi giorni, non

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013. Diomede Dovreste proprio passare uno di questi giorni, non
013. Diomede
Dovreste proprio passare uno di questi giorni, non appena la
stagione attenua il vizio circolare delle acque, giusto per meritarsi un
mezzo marito idraulico oltre che prestante, all’agriturismo Bertazzoni
di Brazzaga. Il posto è un vero incanto. Si nasconde in uno splendido
boschetto di pioppi bianchi che sembrano messi tutti lì in fila, fin dalle
elementari. Diligenti come pioppi giapponesi in attesa dell’eternità.
Sotto i pregiati tavoli di rovere ci sono anche gli zampironi alla
citronella, quelli gialli, predisposti per impoltronire le zanzare feline di
Po Vecchio. 1 Allo stesso modo d’ogni avventore passato, presente o
1
Aedes albopictus, Skuse 1894, bel tipo di zanzarina particolarmente arrivista, rompipalle
quanto un tifoso esagitato e davvero incontentabile. Predilige pungere di giorno poiché la
notte va a Palazzo Calciolari, al contrario del tifoso e della comune Culex pipiens, Linnaeus
1758. In ogni caso più svelta d’entrambi a lasciare il segno. Qualche fumogeno per lo più,
ma frequenta anche spranghe, motorini e badanti moldave. Gira in bande partigiane che
indossano cappottini zebrati per distinguersi, per cui se ne fotte dell’inverno reo. Originaria
delle sue parti è giunta da noi in catene nel Novantotto, montando pneumatici albanesi. Poi
il mercato delle pellicce è fallito e lei è scappata in montagna. Da allora non sembra avere
concorrenti credibili. Tutti al bar dello stadio. Fu così che una mattina, quando divenne
chiaro a tutti che le nubi grigie incombenti all’orizzonte non erano solo i vapori di scarico
del pulmino comunale, quello giallo, i brazzaghesi le dichiararono guerra senza ultimatum.
Sì è vero, potevamo anche allestire una mezza unità diplomatica di copertura, come hanno
fatto i Giapponesi a Pearl Harbor. Troppo diligenti quelli. E siccome l’avevano già fatto
loro… Sarà per un’altra volta, ci tranquillizzammo a vicenda. Si valutarono dunque le varie
proposte. L’idea di sterminio era comune, le differenze stavano tutte nel metodo. Un primo
gruppo che chiamerò A, capitanato da Sganzerla, voleva inviare feroci agenti travestiti da
bimba con bombe a mano nascoste nel paniere dei funghi e la fiamma ossidrica da zainetto.
Avrebbero bruciato anche le foglie dei pioppi. Bocciati. Un secondo gruppo B, ispirato da
don Curato, propose invece una campagna di sensibilizzazione con feroci agenti travestiti
da bimba infiltrati presso le comunità locali, per esortarle ad astenersi. Come con l’aids.
Solo che non si trovavano i profilattici salva fame da occultare nello zainetto. Bocciati.
Essendosi poi notato che in presenza di cicloni la zanzara rimaneva come… infastidita, io
proposi un rito sciamanico per far giungere gli uragani tropicali anche qui, con cadenza
periodica da concordarsi a parte. Lo facevo io e non c’era nulla da pagare. Rimandato a
Biella. Si preferì piuttosto autorizzare cacciatori e calciatori a sparare in aria ogni volta che
ne incontravano una durante i loro pii pellegrinaggi. Se poi pallini e palloni ricadendo
l’avessero anche presa malamente in faccia, nessuno avrebbe reclamato il rigore.
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venturo e d’ogni presumibile nutria sottintesa nei paraggi. Così ci si
abbandona tutti in allegria, uomini e gattopardi, e non si mortificano i
sogni del barista buon uomo. Che a sua volta sta lì in fila diligente fin
dalle elementari, come un barista giapponese in attesa dell’eternità.
Dopo pranzo si può sonnecchiare sull’ottomana cortesemente
messa a disposizione dalla signorina Aldobrandi. Mentre le zanzare
riflettono a fondo sull’esistenza spicciola, le sanguisughe s’attaccano
troppo all’apparenza succiola e le brave giovenche da marito, pronte
comunque ad ogni convenienza a chiocciola, nel dormiveglia onirico
sembra quasi che vogliano tutte trascinarti in vacanza a Cecciola.
Tutto normale, dunque. Con in più uno stuolo di roditori privati
che si radunano a comporre rime in mandrie circolari, con camionate
di trivelle baciate nel garage. Che non s’è ancora capito se portino
rogna agli argini da marito, se aggravino stomaci e cacciatori vaganti,
o siano di semplice impiccio ai brazzaghesi petulanti. Se siano state
educate inoltrando esemplare «compermesso…» col buongiorno del
mattino, oppure istruite di contrabbando represso, che tuttavia resiste
florido, fluviale e vespertino. Se preferiscano il liscio spinto al ritmo
infido della mazurca cosacca. Se spiino davvero le badanti moldave
come garantisce l’Egidio, che se n’è infilate due in mansarda per le
controanalisi comode. Ma che da allora trova buchi a non finire nel
giardino inglese, nell’emmenthal svizzero, nel bilancio aziendale… O
se infine si curino dei ghiribizzi propri, le castore in rima e le moldave
appresso, come vorremmo fare un po’ anche tutti noi provetti roditori
temporaneamente esenti da marsupio espresso. Come i maiali per
esempio, che rosicchiano in ogni dove e nessuno mai a biasimarli. O
come tutte quelle manzette a spasso sotto i portici del centro, che se
non stai un poco attento ti divorano tanto di mutande, con te dentro.
Il cibo è assolutamente biologico al cinquanta per cento e non
può che essere ottimo per questo. Potrete inoltre ammirare stupefatti
la più vasta collezione ittica imbalsamata d’Italia, contemplante fra le
molte incredibili attrazioni, un’intera piovra dei Caraibi che distende
caparbia i propri tentacoli attraverso le ventimila stanze dell’edificio. 2
2
Cfr. J. Verne, Vingt mille lieues sous les mers, Hetzel, Parigi 1870; ed. italiana suggerita
Ventimila leghe sotto i mari, Einaudi, Milano 2005, a cura di L. Tamburini, con saggio di
D. Del Giudice. Si racconta che il signor J. Verne si fosse messo in fila coi pioppi per dire
la sua in proposito, quando fu attaccato da un circolo di nutrie giapponesi che volevano
scavare buchi eterni nel suo paltò privato. Egli scappò allora a gambe levate, lasciando sul
posto, bianchi, i pioppi con tutta quanta la loro diligenza. Si rifugiò quindi all’agriturismo
Bertazzoni, e fu lì che conobbe la piovra da cui trasse ispirazione per il celebre episodio
cinematografico del combattimento col Nautilus, sottomarino sul genere U-boot Tipo I, ma
appena più agile, come il Tipo II, appositamente studiato fin dalle elementari per le azioni a
breve raggio contro i voluminosi Persiani consacrati al Monopoli d’ogni epoca e luogo.
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Nonché la mascella dello squalo ringhiante Rimes, al di fuori d’ogni
misura mai certificata per una mandibola maschia della sua specie. 3
Una targhetta d’argento inchiodata al muro mostra scompigliata una
dicitura redatta in stile p-liberty: «Per poco fu primate da Gìnes, ma è
uno puntato, il Rìmes, e pasturando Pale-Ale al gà pardü tœtt al mèij.
Provate col primaticcio Pinocchio.» Pure Pinocchio però, poveretto…
Il menù della casa è a prezzo fisso. Sulla cartellina c’è scritto
risotto «a piacere» col pennarello. Ma è assolutamente consigliata la
salsiccia, qualora s’intenda fare a meno di calzare orecchie d’asino
fin dalle elementari. Poi si veleggia sul nostrano. Pulenta cùnsa cun
gràs pistà, salàm casalìn, cicciole bionde, pane riscaldato in casa ad
eloquenti riccioli… Sorbir di cappelletti in brodo solo su prenotazione.
Cose sane insomma. Tutto a quarantacinque euro, bevande escluse.
È chiaro che ci si attiene al lambrusco della cantina sociale,
travasato in vecchie botti di ciliegio per fare coreografia preconciliare.
«Che l’acqua resti a camminare svelta sotto i ponteggi dei medesimi
permanenti e testardi fiumi!» recitava parafrasando chissà da dove 4
l’anziano proprietario, che aveva studiato dalle orsoline. Prima del
Concilio senza dubbio, ma non saprei dire se del Vaticano I o II. 5
Da quando poi Bertazzoni padre è retrocesso nel campionato
cadetto, a dirigere le operazioni ginniche è salito in cattedra Diomede
Bertazzoni detto Sandokan, o «il buon Dio», acuto analista di galline
ovaiole, perché coi cristiani fatti certe cose da filiera non si osano più.
Neanche con le faraone egizie. Primo, perché sono varietà forestiera
e protetta. E poi perché è un peccato mortale, oltre che un’idea dai
magri risvolti contraccettivi. Meglio un giro in moto. Una ricognizione
in tiro per farsi notare dalla «paperella sveglia», come definisce lui la
gnocca da aperitivo che salterella digiuna. Giusto un passo, prego
passi, che poi entro sera passo di nuovo e si ripassa insieme.
3
Cfr. H. Hemingway, The old man and the sea, romanzo inizialmente pubblicato sulla
rivista Life nel 1952, grazie al quale l’autore ottenne il «Premio Pulitzer» nel 1953 e il
«Premio Nobel» nel 1954. Nel 1955 gli fu assegnato anche il premio «At‘ze un bèl fitàdar»,
da Santiago Bertazzoni (padre) in persona, pesantemente risentito per il fatto di non essere
stato citato in qualità di soggetto ispiratore della vicenda. Il premio com’era prevedibile non
fu mai ritirato. Troppo tardi, gli scrisse in seguito il furbacchione imboscato chissà dove.
Rimase soltanto una cupa amarezza nei fondi del caffè e qualche inservibile agendina nera
tutta scarabocchiata, che finì ad arrostire le castagne a san Martino. Ed. italiana, Il vecchio e
il mare, Medusa 1952; ultima ed. Mondadori, Milano 2006.
4
Cfr. Eraclito. Dell'origine, (o giù di lì) a cura di A. Tonelli, Feltrinelli, Milano 2005.
5
Il mistico D. Brown, cfr. Il codice da Vinci, Mondadori, Milano 2004, parla addirittura di
Nicea. Del primo in particolare, avvenuto attorno al 325 in un bar di Nicea. Io tendo a
diffidare degli spiriti critici, di Nicea I e dei bar in generale. Inoltre, data la complessità del
trattato, si consiglia la versione a fumetti. Non ci sono i balloons, ma potete metterli voi «a
piacere», come il risotto Bertazzoni. Le orecchie d’asino sono in dotazione nel pacchetto.
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Per dirla tutta aveva ripassato anche un po’ di genetica una
volta, poiché si era messo in testa d’incrociare i millepiedi femmina
coi maiali roditori di suo zio, in modo da ottimizzare la produzione del
prosciutto dolce. Avrebbe brevettato la specie meticcia Kilocoscia
kilocoscia, Diomede 2000. Mille coscette euforiche zampettanti come
garibaldini al trotto, pronte per farsi affettare a turno. Mille prosciuttini
tutti lì insieme, diligentemente inguainati nella seta giapponese. Con
una filiera di pertugi piazzati nel bel mezzo della questione idrica,
cinquecento più o meno, in attesa dell’eternità fin dalle elementari.
Arrivava così ad assopirsi contemplando tanta comodità per morbide
coppie salterine. Solo che più o meno cinquecento erano anche le
bocche che poi si mettevano a criticare. E strepitavano, sbraitavano
una sull’altra… mentre il sogno si faceva un pollaio. Meglio investire
sulla pecora, allora. Più tradizionale. Mille teneri prosciutti inguainati
alla pecorina… ecco. Più diligente. Secondo me avrebbe dovuto
provare col ramo trote salmonate, invece. Molto più giapponese. 6
6
N.d.C. Pare che non esista una trota davvero incrociabile con un salmone, per quanto troia
possa essere. Troppo schivo lui come carattere. La «trota salmonata» non sarebbe altro che
una Salmo trutta, Linnaeus 1758, che ricorda il salmone solo perché da piccoli hanno
frequentato le elementari insieme. Oltre a fare Salmo di primo nome mica a caso. Sarà stata
adottata. E poi non abita nemmeno in Giappone. Di trote giapponesi, per quanto io mi sia
documentato a suo tempo sui 109 episodi di Sampei, credevo non ci fosse traccia. Trovai
invece parecchi salmoni giapponesi, Oncorhynchus masou, Brevoort 1856, che con le trote
spartiscono solo l’acqua di scarico dei fiumi con la permanente, e con le anguille qualche
misteriosa gita in bermuda attillate ai Caraibi. Stavo quasi per desistere, quando qualcuno
m’infilò un biglietto anonimo sotto la porta. Si parlava di una cugina eccentrica della Salmo
trutta, la gairdneri, Richardson 1836, detta anche «trota iridea» o «trota americana» per via
di certe strisce rosse che amerebbe indossare sui lombi. Niente stelle però. Ebbene, forse
delusa dalla politica ittica del suo paese, costei si decise un giorno ad emigrare in Giappone.
Una volta arrivata, notò tuttavia che i suoi piccoli assumevano inspiegabilmente un colorito
slavato, sul giallo pastello. Molti rododendri s’accapigliarono allora per brevettarne il
nome, senza accorgersi in realtà che era solo meno abbronzata. Le strisce non c’erano più,
si potrebbe obiettare… Si faccia maggiore attenzione, per cortesia. Forse i Carabinieri in
vacanza al mare portano strisce anche sulle bermuda? Abbastanza rinfrancato, rintracciai un
Oncorhynchus mykiss, Walbaum 1792, spesso detto Salmo mykiss, ma anche «trota iridata»
o «trota arcobaleno». Decidetevi allora… È fin dalle elementari che m’angustiate.
Esattamente da quando la maestra mi assegnò la mia prima ricerca sulle trote. E siccome tra
sottospecie meticcie, Salmi alla pecorina, sermoni salati e Oncorhynchus del Carso ne
avevo davvero a sufficienza, muoia Salomone con tutta la Spalding, mi sono detto. Di
nuovo qualcuno accorse in mio aiuto e m’infilò un Codice da Vinci anonimo sotto la porta.
Era a fumetti colorati ma senza gli usuali balloons e non riuscivo davvero a decodificarne il
nesso in causa. M’è toccato d’indossare le orecchie d’asino fornite nel pacchetto. Posso
infine aggiungere a mia discolpa che la trota iridea giapponese è anche detta «albina», e che
gli esemplari della sua specie sono più propensi a discendere i corsi d’acqua che a risalirli.
Verrebbe allora spontaneo chiedersi, a parte il fatto che pure io sarei più propenso al
riguardo, ma chi ce l’ha portata ‘sta troia monaca su in montagna?
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Per quanto sia un tipo d’uomo dai tempi abbastanza indefiniti
per certi versi, uno da infinito, participio e gerundio appoggiati tutti sul
morbido, il Dio resta pur sempre un sovversivo di mezzo. Uno spirito
libero che lavora nell’ombra dalle diciannove e trenta alle ventuno,
per non prestarsi al gioco sporco dei padroni. Dimentica spesso però
il particolare d’essere diventato lui il nuovo padrone. «Miseri dettagli
da nulla» annota sulle porte di casa degli amici provvisti di consorte
insipida. «Ordinari accidenti» fa incidere sulle medagliette ricordo per
le lezioni di ripasso. «Attributi di second’ordine» gli hanno tatuato una
notte che era sbronzo, dove Dio solo può intuire. Il tipo alto. Va detto
però che visitando femmine d’ogni marca e modello, può godere per
principio di tutte le attenuanti orarie consentite dall’etichetta instabile.
E poi è risaputo, le puledre ferrate allungano vezzose il collo dietro
gli angoli, non appena le educande lo adagiano sul cuscino di piume
d’oca, oscillando tenere... Devono solo stare attente, tutte quante, a
non farselo tirare più del dovuto. Il resto poi viene da sé.
Gli affari procedono comunque a meraviglia, anche perché il
padre resiste ancora dietro le quinte e la madre lavora a pieno ritmo
in cucina, sfornando a ripetizione un’infinità di torte da campionato
del mondo. Così il ragazzo ha potuto dedicarsi serenamente alla sua
attività prediletta, almeno fino allo spiacevole incidente con l’orata: le
gare di pesca. Diomede adorava i pesci d’ogni specie e raccontava a
tutti come fosse un fatto normale per uno come lui, abituato fin dalle
elementari ai climi asprigni della Malesia. Tra ruvidi squali bianconeri,
murene smunte di laguna, quelle gialle, polipi al nero di seppia e ricci
di palude tendenti al castano-biondo. Poi ha smesso, malgrado abbia
conservato il gran titolo di Sando-khan, impavido eroe dallo sguardo
malinconico, condottiero magnetizzato dalla sciabola adunca. Prima
guida alla riscossa delle giovani tigrotte ruggenti in quei paradisi da
copertina patinata, o lucido-brillante. Come il menù per i giapponesi.
E bisogna ammettere che sapeva organizzare competizioni
grandiose, veri e propri eventi giubilanti. Accorrevano in tripudio i più
famosi medagliati della pianura, con agnelli e salmoni da riporto. Un
reparto di muratori bergamaschi, attrezzati di cazzuola da pesca e
ricchi doni, scendeva a valle in file interminabili di furgoni colorati. Si
poteva riconoscere fra i tanti, qualche irsuto pensionato di montagna
avvezzo a ben più ardue battaglie con le trote affumicate, completo
di cappello da alpino calzato alla gardenese e doposci di montone da
latte allacciati dietro il ginocchio. Dopo la festa avrebbe portato alla
sua Heidi una borsina piena di trote salmonate, per liberarle poi la
settimana successiva nel ruscello. Alla bambina piangeva il cuore nel
vederle boccheggiare così, tutte giapponesi, in gabbia. Circoli privati
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aprivano allora viziosi un po’ in tutti i buchi praticabili, improvvisati da
temibili bande di roditori petroliferi in perlustrazione avanzata.
Nel Novanta i goliardi locali sfilarono agghindati da Re Magi. E
siccome l’oro buono stava tutto in riparazione dall’orologiaio, mentre
l’incenso se l’erano già fumato in canonica, tutti e tre armati di birra.
Nessuno prestò loro attenzione né s’accorse dell’allusione blasfema,
poiché il paese intero traboccava di carbonella al rosmarino, la birra
era media e i tre coglioni per coerenza si mimetizzarono nel muschio.
Purtroppo, verso l’ora più felice del giorno, 7 in una di quelle
esaltanti vigilie che avevano saputo rendere meno insopportabile il
nostro comune attendere l’eterno, a Diomede capitò una disgrazia.
Fu prescelto infatti in qualità di primo fattore ausiliario nella meschina
attuazione di taluni sciagurati malauguri, scagliati fuori posto da una
delle tante suggestioni muliebri che s’industriano a slavare l’universo.
Nonché di cadere vittima accessoria d’un attardato straccivendolo
miseramente trasfiguratosi, in rosa, da arguto arnese del destino. 8
Aurelio Beltrami era stato il suo primo maestro d’impanatura e
mulinello. Da quel giorno il Dio aveva deciso d’attaccare la canna da
pesca al chiodo, assieme all’insegna che si può leggere ancora sul
portone: «Vietato l’ingresso all’abominevole Armando, inchiericatosi
a tradimento per soli trenta Campari abbondantemente fuori corso.»
Oltre ad aver omesso il carattere liberty, e non si sa ancora se
per un moto d’orgoglio o dabbenaggine, la svolta era stata notevole.
Soprattutto se si considera che la pesca occupava metà della sua
giornata. Alle femmine, la metà avanzata, si è in seguito sacrificato
per celebrare supino la memoria orizzontale dell’amico scomparso.
In quest’ottica emotiva ha poi arricchito le serate all’agriturismo con
sexy sorprese ed estrazioni erotiche. Abbassando la testa per via del
cartello, ricordatevi dunque di ringraziare con un generoso brindisi il
vilipeso Armando, senza il quale non potreste godere oggi di tanta
elettrizzante vista ad un così modico prezzo. Bevande escluse.
7
N.d.C. credo proprio che il maestro faccia qui riferimento a Mezzogiorno e mezzo di
fuoco, film di M. Brooks del 1974. Me lo ricordo come fosse ieri verso mezzogiorno. C’era
un’atmosfera da film western in giro, tipo un solo sviluppino contro tutti, quando gli ingrati
abitanti del villaggio se ne restano impietriti dietro ingombranti persiane, e solo una mezza
mignotta che ti ama davvero convince in sottoveste tua moglie slavata ad aiutarti. A te che
sei uomo intero d’altri tempi, perché io avrei scelto la meticcia, non resta che completare la
missione e andartene via per sempre, consacrato e slavato, gettando la stella nella polvere.
Meglio vestirsi da Zorro per carnevale. Un bel mantello nero… due baffetti lucidi... Da non
confondersi, come molti invece fanno, con La Piovra del cuoco, film per la tv andato in
onda a ranghi ridotti tra il 2008 e il 2010 ogni mezzogiorno su Rai 1, in attesa del ritorno
dello storico sceriffo del paese. Questa poi è tornata travestita da Zorra.
8
Cfr. accidente 002, Le mutevoli prospettive della pesca.
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Sandokan Diomede incarna la terza generazione degli amatori
brazzaghesi. L’ultimo rampollo di una stirpe macellaia che s’è andata
via via impoverendo di classe, fin quasi a lasciarsi mettere in dubbio
nel proprio ruolo d’istituzione pubblica dal sottile tornaconto estetico.
Il suo istruttore Aurelio aveva appreso i rudimenti dal prototipo
di tutti i guzzatori della Bassa, Mosè «il siupafemmino», epica figura
da mischia, talmente maschio che allo stesso modo del geometro
non sopportava nemmeno un mezzo indizio di femminilità congiunta.
Per quanto, già sacramentato in biblica gloria, non poteva che farsi
un caratterino da spartiacque eletto, non poteva che germogliare sul
dividendo esatto. E vantava di gamba e di sporta un brugo d’opzioni
redditizie. Dai prelati guasti rispetto a quelli buoni, qualcuno anche
da sugo, fino ai galli d’avanzo nelle mucchie sulle faraone estere.
Non per forza era costretto alle macchie del mar Rosso, come tanti
invece speravano fin dalle elementari. A parte qualcuna da sugo. Lui
aveva risolto per le coscette inguainate, che scostava con assiduità
sfoderante cinque o sei volte al giorno. Si spingeva fino a nove il
lunedì, poiché dopo le feste i mariti collassano per tradizione, mentre
le mogli si risvegliano sempre più apprensive del solito. Kilocosce su
kilocosce d’abat-jour diligenti, tutte lì in fila sul comò di ciliegio, che ti
pregano come ciglia di sbatterle su e giù dalla vita eterna. E accendi,
e spegni… una porcilaia intermittente d’apprensioni zampettine che
non si finisce più di sgranarle a coppie. Qualcuna anche nel sugo.
Non si può certo dire che il Dio sia cresciuto a sua immagine e
somiglianza, ma quando sogna ubriaco o quando lo racconta al bar,
più o meno sveglio e ben al di sopra d’un tasso ancora solubile nel
sangue, s’azzarda al garino. Sono le intenzioni che contano nella vita
e Diomede di quelle buone ne ha sempre avute da rivendere a tutti.
La vicenda del sexy agriturismo ha poi contribuito a sollevarne
le quotazioni di mercato, stramazzate al di sotto dei minimi storici
anche a motivo di quella macchia che gl’imbrattava il bavero imberbe
d’un rosso da sugo, sul basso etrusco. Ricercando se stesso aveva
infatti militato nelle fila del consorzio terrorista padano «’At’tafàtt», 9
da lui fondato, pare, in piena autonomia decisionale. Dato però che
nel menù operativo della carta si proponeva di potare tutti i bastoni
da ruota, estirpandone fusto e radici intime, il sospetto non poteva
che risalire alla lungimirante regia occulta del cavalier Calciolari.
9
Slogan tipico che esprime risentito sdegno e che s’accompagna in senso di dura protesta
all’azione enigmatica d’indossare un copricapo dalla caratteristica foggia mediorientale. La
traduzione letterale «…che ti ha fatto» non ha poi alcun vero significato pratico, qualora
estrapolata dal contesto. Serve una manzuola di riferimento o non se ne fa nulla. Carne da
stracotto, da brasato, da arrosto… uguale. È sufficiente che sia vacca al punto giusto.
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In verità un po’ di merito gli va pure attribuito. Perché a ben
vedere Diomede ha redento le coscienze di tutti i bestemmiatori del
paese, i quali grazie a lui possono ora esprimere la propria creatività
al taglio senza dover ricorrere per giustificarsi ad ignobili espedienti
quali «fio», «pio», «tio», «zio» o Similari. Se il prete si volta di scatto
congelandovi gli ormoni rimasti in gita, o se vostra moglie vi riassesta
il colletto della camicia con un consiglio precipitoso sulla nuca, si può
sempre sostenere che l’imprecazione sfuggita di conseguenza fosse
indirizzata al terrorista deficiente. Non certo al buon Dio che se ne
sta, onnipotente, su nell’alto dei cieli e ancor di più. Sul Giulio Cesare
come tipo. Tanto più che il ragazzo porta un nome di per sé esplicito
invito al vituperio sciolto. In tal proposito… riaccompagnando a casa
la figlia di Sganzerla mentre il fantasista si assesta una martellata
franca sulla tre quarti del pollice sinistro, dovesse capitarvi d’essere
travolti da un «Diiiomeeedeee!» ancorché proferito in assoluta buona
fede, niente paura… il padre sa tutto. L’ha avviato lui il business.
Per gettare fumo negli occhi e confondere le menti sulle sue
reali intenzioni, Diomede architettava tranelli da chiesa e da mercato.
Chiedeva l’elemosina durante l’Offertorio e poi scappava in direzione
Mantova Sud. Per andare a puttane, sosteneva il primo banco. Forse
per portarci le moldave, precisava il secondo. A volte si nascondeva
nel banco di Bottardi, allora suo compare di briscola, per saltar fuori
come una molla modenese non appena qualche signorina in doppio
petto si avvicinava, incuriosita dalla montagna cresciuta di colpo tra
le calze multicolori. Con preminenza affatto casuale del rosa.
Un’altra sua esclusiva attività era stata per un certo periodo il
terrorismo della semina. Se un povero contadino seminava avena o
granoturco, poteva anche far dire una messa al giorno o irrigare il
campo con autobotti d’acqua di Lourdes, ma era assolutamente certo
che da lì a poco sarebbero cresciute soltanto barbabietole. E di
quelle buone. O al contrario, se l’idea era quella di testare le rape da
zucchero, potevano spuntare senza una regola fissa, patatine rosse
del Suriname già salate, caramelle al rabarbaro, o strane piantine a
foglia palmata, ottime per il tè, per quanto andassero a ruba appena
germogliavano e non si trovava mai il tempo per gustarsele in pace.
Diomede, coadiuvato nottetempo da brigate di roditori ribelli e
avvolto in una barriera portatile di nebbia antiriverbero, provvedeva a
sostituire il mangime con varie semenze di contrabbando che teneva
nascoste insieme alle moldave in buchi fatti a caso sugli argini, nei
giardini all’inglese, nelle forme dell’emmenthal svizzero, nei bilanci
aziendali, sempre pronte per ogni evenienza. Come avevano fatto a
loro volta i partigiani con le bombe a mano sottratte ai tedeschi.
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Non s’inventa più niente… Si scatenavano allora travolgenti
epidemie d’asparagite finocchina, di borlottanza lattugata. I contadini
non capivano più cosa producessero i campi, tra zucche pisellare ed
erba medica incarotita, e nessuno si curava della frutta di stagione.
Intollerabile fu allora la dilazione delle code al mercato, causa dibattiti
improvvisati per carenza di vitamine. Gli incauti turisti che aspiravano
a una semplice erbetta da passeggio, furono costretti ad emigrare in
Egitto dai locali della Crusca, puritani fin dalle elementari.
In quel triste frangente, oltre ad avviare una feroce campagna
denigratoria contro gl’incolpevoli castorini, si era iniziato a sostenere
che Diomede fosse figlio illegittimo d’una cooperativa reggiana. Lui
per discolparsi si mise a replicare ermeticamente che siamo tutti figli
della cooperativa, che la cooperativa è la nostra grande madre e ci
nutre tutti quanti, che la cooperativa risponde perfettamente ad ogni
bisogno passato, presente e venturo, facendo vacillare non poco il
nostro senso d’appartenenza. E questo avveniva solo perché una
parte politica industriosa si era appropriata libertinamente dei registri
anagrafici dell’altra, mentre questa sonnecchiava in comodi baffi da
sole e mutandoni da spiaggia. La questione dell’identità, come per le
verdure, si fece discutibile. Chi sono? Da dove vengo? Dove vado?
Quesiti che tendevano a rettificarsi sotto i nostri occhi in Quanto mi
costa andarci, lì dove vado? Sempre ammesso che poi ci vado? Mi
conviene noleggiare il pulmino giallo con un mutuo o saccheggiare
direttamente la banca? Quanto vuole signorina? Sconti famiglia? Noi
che c’illudevamo d’avere ancora reminiscenze condivise, come una
cooperativa solidale e un arbitro affrancato da impegni di marcatura,
non potevamo capire, intrappolati nel nostro orizzonte Star. Possibile
che i reggiani ci abbiano fregati tutti? c’interrogavamo allora in circoli
privati. Veniamo forse, Iddio ci scampi, tutti da Reggio nell’Emilia?
Il problema è rimasto irrisolto, e come ogni autentico problema
irrisolto è stato ben presto spedito impacchettato dalle parti di Biella,
con imballaggio di rinforzo costituito da una distratta e quanto mai
salutare alzata di spalle. Del tipo scoreggino, concluderebbe senza
farsi supplicare il mio amico Morselli. Ma lui è un tipo impulsivo. 10
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Non me ne vogliano gli onorevoli abitanti della cittadina in esame, ma un detto va inteso
e accettato per quale si dice, esibendo comunque tutte le precisazioni del caso. Malgrado
ciò, m’impegno a sorvolare fin da ora su certi riferimenti a dir poco antipatici. Quanto alla
tipologia «scoreggina» dell’alzata di spalle, non si tratta altro che d’una finta di corpo ben
piazzata. Si fa credere al volgo di non prestare cura verso qualcosa, mentre se ne fa un’altra
clamorosa di copertura. Come appropriarsi delle bandiere o delle fidanzate degli avversari,
dei loro simboli Panini, di quegli elementi insomma che con le loro idee originali ne hanno
scritto la storia o riscaldato letto e minestrone. Resta nell’aria un retroscena di zolfo, che ai
nasi più naviganti non potrà certo lasciarsi scambiare a lungo per frittura d’ideali.
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Poi il tempo è trascorso come lui solo sembra saper fare, tutto
lì in fila. Diligente come un tempo giapponese in attesa dell’eternità.
E ha risolto anche le macchie più viziose, quelle gialle, i sospetti più
beceri e le disgrazie addizionali. La verdura ha riscattato le proprie
generalità, a discapito d’un rimpianto pizzico di fantasia che farebbe
ancora bene a tutti quanti. Mentre il vero Sandokan è tornato in video
per un sequel con barba e capelli posticci. Io preferisco ricordarlo nel
corpo a corpo mistico con la tigre Zanzara del circo Orfei. Quella col
paltò striato. O quando gridava «Brooke! …Brooke!» tutto occhioni
straziati e rancore fiammeggiante, come un invasato dall’alto d’una
scogliera malese a strapiombo sull’eternità dei miei sogni canditi. 11
Oggi Diomede è andato a funghi di buon’ora perché stasera
all’agriturismo è in programma un addio al celibato organizzato da
Cristo Giovannini. Senza vantarne i diritti ha tuttavia fischiettato con
troppa passione tutto il lato A del motivetto allegro A Passion Play, 12
opera d’uno stagionale dal marcato piglio progressista, così i funghi
conservatori e allineati sono scappati tutti in alta montagna. Chissà
quando mai faranno ritorno. A meno che non s’incrocino con qualche
trota salmonella per la strada, mi sa che li abbiamo persi per sempre.
Il buon Dio finirà come suo solito a strisciare tra gli scaffali del
supermercato di Reggiolo, in bermuda dalle strisce incognite per non
farsi riconoscere mentre compra quelli secchi. Spero almeno che li
immerga nell’acqua tiepida e che poi li risciacqui per bene. L’ultima
volta ho mangiato tronchi impanati nella sabbia. È in gioco l’onore del
paese, con l’intera affluenza turistica primavera/estate/autunno. Per
l’inverno invece non ci sono problemi. La macellazione clandestina
dei maiali, abbinata alla rituale apertura delle botti di contrabbando,
supplisce ogni carenza di tesori. In fondo è l’atmosfera piratesca che
ci salva, anche senza cassette di rhum, manopole uncinate o bende
di traverso. Perché se dovessimo fermarci alla nebbia, resteremmo
tutti lì in fila, gialli di spavento, per il resto dell’eternità.
11
Cfr. E.C.G.M. Salgari, La tigre della Malesia, prima pubblicazione avvenuta a puntate
sulla rivista La Nuova Arena tra il 1883 e il 1884, raccolte poi in Le tigri di Mompracem,
Donath, Genova 1900; la versione cinematografica che prediligo tra le tante realizzate è
Sandokan, di S. Sollima del 1976, adattamento dell’omonimo sceneggiato televisivo; il
seguito La tigre è ancora viva: Sandokan alla riscossa!, del medesimo autore è del 1977.
Altri sequel per quanto mi riguarda non ci sono mai stati. James Brooke 1803-1868 è stato
un avventuriero e un politico britannico, Rajah bianco di Sarawak dal 1842, ha combattuto
la pirateria. Nello sceneggiato è l’antagonista di Sandokan e contro di lui pensavo che
questi inveisse nella scena della scogliera, quando la Tigre aveva appena perso l’amata
Marianna, figlia del medesimo Brooke, morta di colera nella foresta. «Brooke! …Brooke!»
Maledetto Brooke… l’ho odiato per quindici anni… Poi anche da noi è arrivato Beautiful.
12
Jethro Tull, A passion play, Chrysalis 1973.
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Bisogna comunque che gli parli a quel caro ragazzo, uno di
questi santi giorni, perché se accettate il mio invito non mi faccia fare
altre pessime figure con funghi allucinogeni infilati nel sugo per la
polenta, o con i soliti travestiti carpigiani in bella mostra sul bancone
della lap-dance. Con quella barbetta di mezza giornata sul mento…
In ogni caso dite pure che vi mando io. E una porzione di
quello buono non tarderà allora ad arrivare, spillata dalle odorose
botti di ciliegio in antichi recipienti di coccio squillante. Tutti lì in fila
ad aspettare il proprio turno fin dalle elementari. Diligenti come cocci
giapponesi in attesa dell’eternità. O almeno d’un momento ciascuno.
Quando un incantevole sorriso appena increspato, a mezza bocca di
moldava che si direbbe perplessa a tratti, vi verrà incontro. Quasi
volesse sussurrarvi tenera, senza trovare il coraggio di farlo, anche
se probabilmente è solo perché non conosce ancora bene la lingua:
«Dimitri… ma io chi?» 13
13
N.d.C. Avrei voluto rifarmi per concludere a Il marchese del Grillo, film del 1981 di M.
Monicelli. Mi tocca invece sviscerare le pendenze della nutria. Myocastor coypus, Molina
1782, bel tipo di castorina particolarmente arrivista, rompipalle quanto un tifoso esagitato e
davvero incontentabile. Predilige rosicare di giorno poiché la notte va a Palazzo Calciolari,
al contrario del tifoso e del più comune Castor, Linnaeus 1758, in ogni caso più svelta
d’entrambi a lasciare il segno. Qualche fumogeno per lo più, ma frequenta anche trivelle,
motovedette e badanti moldave. Gira in bande partigiane che indossano giubbotti di pellicce
pregiate per distinguersi, per cui se ne fotte dell’inverno reo. Originaria delle sue parti è
giunta da noi in catene nel Novantotto, montando pneumatici sudamericani. Poi il mercato
delle pellicce è fallito e lei è scappata in montagna. Da allora non sembra avere concorrenti
credibili. Tutti al bar di Nicea. Fu così che una mattina, quando divenne chiaro a tutti che le
code grigie incombenti all’orizzonte non erano solo i vapori di scarico del pulmino
comunale, quello giallo, i brazzaghesi le dichiararono guerra senza ultimatum. Si è vero,
potevamo anche allestire una mezza unità diplomatica di copertura, come hanno fatto i
Giapponesi a Pearl Harbor. Troppo diligenti quelli. E siccome l’avevano già fatto loro…
Sarà per un’altra volta, ci tranquillizzammo a vicenda. Si valutarono dunque le varie
proposte. L’idea di sterminio era comune, le differenze stavano tutte nel metodo. Un primo
gruppo che chiamerò A, capitanato da Sganzerla, voleva inviare feroci agenti travestiti da
bimba con bombe a mano nascoste nel paniere dei funghi e la fiamma ossidrica da zainetto.
Avrebbero bruciato anche le foglie dei pioppi. Bocciati. Un secondo gruppo B, ispirato da
don Curato, propose invece una campagna di sensibilizzazione con feroci agenti travestiti
da bimba infiltrati presso le loro comunità, per convincerle ad astenersi. Come con l’aids.
Solo che non si trovavano i profilattici salva denti da occultare nello zainetto. Bocciati.
Essendosi poi notato che in presenza di cicloni la castorina rimaneva come… infastidita, il
maestro propose un rito sciamanico per far giungere gli uragani tropicali anche qui, con
cadenza periodica da concordarsi a parte. Lo faceva lui e non c’era nulla da pagare.
Rimandato a Biella. Si preferì piuttosto autorizzare cacciatori e calciatori a sparare in aria
ogni volta che ne incontravano una durante i loro pii pellegrinaggi. Se poi pallini e palloni
ricadendo l’avessero anche presa malamente in faccia, nessuno avrebbe reclamato il rigore.
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