La prima ricerca con l`Infant observation: il saggio di Esther Bick del

Transcript

La prima ricerca con l`Infant observation: il saggio di Esther Bick del
Dina Vallino
La prima ricerca con l’Infant observation: il saggio di
Esther Bick del 1964
Una duplice verifica osservativa - cambia la concezione psicoanalitica del lattante
Premessa di Marco Macciò: La prima versione dello scritto che segue venne presentata da Dina Vallino agli studenti del corso di training della SPI nel novembre del 2007. Iinedito, fa parte del progetto di un libro sul pensiero di Esther Bick che Dina Vallino ed io abbiamo portato avanti in questi anni, ma che non abbiamo fatto in tempo a terminare. Seguirà la
pubblicazione sul Sito di altri due capitoli : uno sul saggio della Bick del 1968 e uno sulla sua
conferenza del 1975. Il saggio di Bick del 1964, che viene qui presentato, è celeberrimo e fa
epoca in quanto presenta per la prima volta al publico la metodologia e alcune acquisizioni della infant observation , destinata a diventare , per l’osservazione della relazione madre-bebè,
tipica della psicoanalisi . L’Autrice volge però la sua attenzione ad un aspetto non centrale
nel saggio di Bick: alcune sue generalizzazioni che riguardano aspetti della relazione precoce.
L’ importanza del saggio bick iano, dall’angolatura che Dina Vallino ha assunto , sta a suo avvisoo nel fatto che centinaia di osservazioni in famiglia portano Bick:
a) ad affermare che il neonato ha subito capacità di comunicazione ( a due livelli) e quindi, mentre si confuta l’idea , ancora viva negli anni Sessanta, propria della psicologia scientifica (Piaget) e di molti psicoanalisti ( anche Winnicott) quanto alla impossibilità della comunicazione con la madre nei primi 3 mesi di vita, si conferma la ipotesi di Bion che
la ricerca di contenimento per le sue angosce da parte del neonato può essere intesa realisticamente come avente la caratteristica di una proto-comunicazione alla madre .
b) a confermare empiricamente che la presenza dell’holding corporeo materno nella relazione madre- bebè è fondamentale per un buon sviluppo del bambino (viene osservato il
buon adattamento reciproco, l’instaurarsi di un “rapporto intimo”, che diviene d’amore a 5
mesi); invece la carenza di holding si accompagna a stati di disagio nei lattanti , che vengono descritti come pianto frequente,disperazione, impazienza e attacchi al proprio corpo.
c) a definire la depressione materna operativamente come fastidio per lo “stretto contatto corporeo” col neonato, mancanza di calore e distacco emotivo, indifferenza e noncuranza per il pianto e
presentazione del proprio corpo come oggetto parziale.
La prima ricerca con l’Infant observation: il saggio di Esther Bick del 1964
Note sulla Infant Observation nel training psicoanalitico è il titolo del celeberrimo saggio di Bick del
1964 (in Bonaminio V. e Iaccarino B. (a cura di), L’osservazione diretta del bambino, Torino, Boringhieri
1984), che per la prima volta rese nota a un pubblico di lettori l’esistenza di un particolare metodo per la
osservazione infantile, progettato però “più che come strumento di ricerca” (p. 71) in psicologia, come
complemento per la formazione degli psicoterapeuti infantili e degli psicoanalisti.
Brevemente Bick sostiene che per la psicoterapia di bambini piccoli occorrono capacità che sono potenziate
dalla conoscenza derivante dalla osservazione di neonati e poi lattanti e dell’evolvere delle loro relazioni
con la madre. In particolare “si sviluppa negli allievi analisti la capacità di intuire i vissuti del loro piccolo
paziente... di percepire il neonato che era stato e che continuava a vivere in lui” (p. 71). E’ pure arricchita
la capacità di comprendere il comportamento non verbale e il gioco dei bambini, così come l’incapacità di
giocare (p. 70-1). Infine l’aver sperimentato un rapporto con i genitori in famiglia è utile per tutti coloro
che avranno a che fare nel loro lavoro professionale con genitori di bambini sofferenti.
1
L’osservatore deve essere partecipe
Bick prosegue sostenendo che l’atteggiamento dell’Osservatore deve essere “partecipe” (partecipant).
Evidentemente la polacca Bick è qui sotto l’influsso dell’antropologo polacco Malinowsky, che aveva
raggiunto a Londra la celebrità imponendo nella sua disciplina la nozione di “osservazione partecipe”: lo
studioso non deve limitarsi a raccogliere informazioni da altri, ma recarsi direttamente sul campo, vivendo
per uno o due anni presso la popolazione oggetto di studio. Bick rinnova la nozione: l’osservatore non deve
essere freddo, distaccato, al contrario vi è l’esigenza che l’osservatore
“si senta sufficientemente dentro la famiglia da provare l’impatto emotivo” (emotional impact).”
“Per esemplificare: un figlio più grande potrebbe monopolizzare l’osservatore come alleato contro la coppia
madre-figlio minore; la madre potrebbe tentare di instaurare con lui un rapporto di dipendenza; l’osservatore
potrebbe essere indotto dal lattante a porsi come sostituto materno”. Bick conclude che rimanere “osservatore
partecipe e privilegiato e quindi anche pieno di gratitudine” (p. 72), per la concessione che gli è stata fatta dai
genitori, è difficile e si può imparare soltanto nel corso del tempo.”
Non proseguirò nel considerare il metodo dell’infant observation, quale è contenuto nel saggio del 1964.
Rimando al libro di Haag, che invece concentra la sua attenzione su questo aspetto (Haag M. et Vingt
Contributions (2002), La Methode d’esther Bick pour l’observation règulière et prolongée du tout-petit au
sein de sa famille. Autoedition, Paris 2002).
Quando l’osservatore entra in crisi
In situazioni particolari, come quando la madre soffre di depressione post-partum, l’osservatore può
essere preda “di una forte tensione emotiva”. Bick sottolinea che “le inadeguatezze delle cure materne
prestate al bambino” suscitano turbamento nell’Osservatore, che ha quindi difficoltà nel tollerare tali
comportamenti materni. La madre talvolta sembra chiedergli aiuto; anche il neonato talvolta sembra aver
bisogno di essere difeso e l’Osservatore può sentirsi identificato con lui (p. 74). Scrive: “L’osservatore si
sente portato a stimolare la vitalità della madre, ma allo stesso tempo è spinto a identificarsi con il disagio
e il risentimento vissuti dal bambino” (p. 73-4). L’Osservatore non sa che fare, è sconvolto. E’ evidente
che si presenta un problema di responsabilità etica per l’Osservatore.
La domanda che sorge spontanea nel lettore sul che fare (l’osservatore deve intervenire? sino a che punto? oppure deve rimanere neutrale e indifferente?) rimane sostanzialmente inevasa. Ovvero Bick sembra
sottovalutare il problema: sembra suggerire che è l’osservatore a sbagliare nel giudicare troppo severamente
la madre, che l’osservazione insegna a dare valutazioni meno rigide (p.86), a capire che le madri trovano
soluzioni personali, che ogni coppia è unica e ogni bambino ha un modo assolutamente personale di mettersi
in rapporto con la madre; inoltre il proseguimento dell’osservazione sembra avere un effetto benefico sulla
madre depressa (p. 76). Tutte riflessioni accettabili, ma che forse sottovalutano la gravità del problema.
Haag, che appare giustamente sensibile ai problemi etici, non sembra accorgersi che qui c’è un problema
irrisolto di natura etica (op.cit. 2002). (Uno dei contributi di Dina Vallino all’infant observation consiste
nell’affrontare esplicitamente il problema etico dell’osservazione in famiglia).
Osservare i nodelli di comportamento e di adattamento reciproco
Da questo punto in avanti il saggio di Bick si propone di far cogliere al lettore quanto sia cospicua “la
ricchezza dei dati ricavabili dalla osservazione”(p. 76). Una osservazione condotta per due anni è composta
da diverse decine di singole osservazioni di un’ora. Funzione determinante del Gruppo di discussione è di
tenere a mente la serie di osservazioni e di confrontarle tra loro, E’ questo lavoro nel Gruppo che permette
a poco a poco di cogliere i modelli di comportamento del lattante nei confronti della madre e i modelli di
comunicazione tra loro. Scrive Bick:
“Ciò che intendo sottolineare è l’importanza di osservare in modo continuativo una specifica coppia. Perché
un certo modello di comportamento diventi veramente significativo è necessario che si ripeta in molte osservazioni, in situazioni identiche o analoghe... L’allievo analista può osservare le modificazioni che intervengono
nell’adattamento reciproco all’interno della coppia e le potenzialità di crescita presenti nel rapporto, ossia quella
duttilità e quella capacità di adattamento reciproco che caratterizzano una relazione soddisfacente. L’interesse
del seminario è quindi rivolto in pari misura all’indagine del passato e a previsioni circa il futuro” (p. 81-2).”
Se collochiamo questa riflessione nella storia della psicologia possiamo coglierne a pieno la portata
rinnovatrice: l’adattamento tra neonato e madre dipende anche dalla comunicazione tra loro. Nel 1964 si
dava ancora per certo che prima del quarto mese non c’è comunicazione nella coppia.
2
Le osservazioni e riflessioni che il saggio ci offre sono così numerose e complesse che non siamo riusciti
a dare conto di tutte1.
Due osservazioni “storiche”: depressione materna a confronto con situazione meno
problematica
Le due pagine di osservazioni (74-76) dedicate alla relazione tra la madre e il neonato K sino a un mese
e mezzo permettono di rendersi conto nei particolari più minuti della vita quotidiana delle manifestazioni
della depressione materna: noncuranza abituale per i pianti del bambino, mancanza di calore e interesse
per il figlio tenuto il più possibile a distanza. Si nota nel neonato disagio e risentimento (74,) piange a
lungo, si attacca al seno in modo disperato, si divincola quando viene cambiato, è molto impaziente (75-6).
Similmente si comporta un altro lattante, trascurato poiché c’è un fratello: piange molto e viene lasciato
piangere e quindi si incollerisce e si colpisce e graffia. (83).
Nel prosieguo Bick riporta pressoché totalmente, a confronto, il resoconto della prima osservazione
(avviene quando il neonato Charles ha 10 giorni), non condotta personalmente da lei, ma da un osservatore
principiante che tuttavia “è riuscito, pur nello stato di tensione in cui si trovava, a notare e trascrivere molti
particolari” (81). Si tratta di un testo che posiamo tranquillamente definire “storico”, poiché, a quanto ci
risulta, è la prima pubblicazione integrale di una singola infant observation di un’ora. Malgrado la madre
presentasse qualche tratto depressivo, il suo comportamento verso il neonato appare assai differente da quello
delle madri precedentemente considerate. La madre si interessa costantemente del pianto del bambino, di
trovare il modo di farlo cessare e, nel farlo, gli parla affettuosamente. Quando Charles piange “incollerito”
allorché gli è tolto anzitempo il capezzolo dalla bocca e , più tardi, quando sazio e appoggiato alla spalla
materna viene messo nella culla, ma si sveglia e comincia a piangere agitando mani e piedi, vediamo
che la madre invece di lasciarlo piangere come la madre precedente, lo riprende in braccio dalla culla, lo
cambia e lo cosparge di talco parlandogli affettuosamente. Infine lo ripone nella culla ove si addormenta.
Abbiamo qui un altro contributo innovatore: le infant observations permettono di accedere per via osservativa alle risposte del bambino ad una madre depressa.
Conferma osservativa di Winnicott e di Bion
Il quadro teorico entro cui Bick inserisce questa e le altre osservazioni riportate è quello fornito da
Bion e da Winnicott (83). Il richiamo ci pare corretto, poiché la madre di Charles, invece di respingere le
proiezioni del neonato o di farsene travolgere, si lascia occupare dalla sua angoscia e cerca di modificarla
(Bion) ed è anche capace di holding, cioè sa che l’angoscia del neonato dipende spesso dalla mancanza di
contatto con il suo corpo (Winnicott).
Possiamo dire che l’infant observation impone a Bick di utilizzare la nozione di holding materno di
Winnicott, in quanto il contatto corporeo con la madre appare effettivamente la via per riuscire a calmare
le angosce del neonato. Non intendo sostenere che Bick accetta la teoria di Winnicott volta a spiegare
perché l’holding materno è necessario per la buona crescita del neonato nei primi mesi di vita (teoria assai
complicata), ma che ne accetta la definizione, quale risulta ad es. da un saggio di Winnicott del 1955, ove
sostiene di
“essere maggiormente interessato al fatto che la madre sappia tenere ( to hold) il bambino piuttosto che lo faccia
mangiare”. Senza dubbio è importante la soddisfazione istintuale (della fame), ma occorre anche“qualcuno che
prende in braccio il bambino e che si adatta bene ai suoi bisogni in continua trasformazione” (195, Influenze
di gruppo e il bambino disadattato). Inizialmente è così che si esprime l’amore di una madre (Winnicott, 1955,
p. 195). “
La natura della depressione materna
Vediamo che le osservazioni in famiglia permettono a Bick di arricchire la nozione di tenuta materna di Winnicott. L’holding è qualcosa che nasce dalla capacità materna di stretto contatto corporeo col
bambino, dalla qualità della madre di essere “calorosa” verso il neonato. Non c’è solo empatia, identificazione. Abbiamo qui raggiunto probabilmente la parola più adatta per definire la tenuta materna. La parola
“calorosa” è propria della psicologia popolare, del suo sapere millenario, ma in Bick diventa un fatto scelto.
La madre fredda, distaccata, distante non è semplicemente tale, ma lo è perché
“non può sopportare lo stretto contato fisico” (close physical contact) col suo lattante… “si sente tesa e ansiosa
di avere il bebè così stretto al suo corpo” (so close to her body) p. (83 ) (trad. nostra).
3
ed è in questo sentimento che si esprime la sua depressione. Siamo a un passo, che Bick non compie, dal
definire il primo amore materno come amore anche per il corpo del neonato.
La madre c’è per il neonato quando è capace di close physical contact: questa è, potremmo dire, la pulsione più importante d ella madre nei primi mesi di vita.
Al contrario, scrive Bick:
“Non è difficile riconoscere le situazioni in cui la madre è emotivamente distaccata dal bambino ed
è quindi incapace di comprendere e soddisfare i suoi bisogni lasciando che il piccolo usi il suo seno, le sue
mani e la sua voce come oggetti parziali” (p. 73).
E’ questo un altro effetto della depressione materna. Bick qui sembra cambiare la celebre nozione
kleiniana di oggetto parziale , riconfermata invece più avanti per i primi mesi di vita del lattante (p. 88). M.
Haag , prima di concludere con uno studio sull’oggetto parziale in diversi autori (Klein, Meltzer, Harris)
(op.cit., p. 271-274), suggerisce che il testo della Bick rappresenta una innovazione teorica rispetto a Klein:
andrebbe interpretato secondo una comunicazione orale che ella gli fece nel 1977:
la madre depressa, “incapace di essere la madre del bebè, gli offre sì un seno, biberon, braccia, grembo,
ma dietro di questi non c’è madre” (op.cit. , 190).
Sembra una notazione estremamente acuta: non si sono oggetti parziali se il corpo materno è offerto
generosamente, con calore e se c’è un vivo interesse per il pianto del neonato.
Consideriamo ora un secondo contributo di Bick alla nozione di holding.
Un errore di Winnicott
Bick sostiene che l’osservazione in famiglia continuata per mesi permette di evidenziare modi tipici
di comunicazione di una mamma e del suo lattante (pattern of communication) (p. 83). Per Bick tali
comportamenti comunicativi tipici permettono all’allievo psicoterapeuta di intuire la capacità o meno di
“adattamento reciproco all’interno della coppia”, così importante perché la relazione tra madre e bambino
sia soddisfacente (p. 82). Si noti a questo proposito quanto Bick indica di passaggio che,
entro i loro “modi preferenziali di comunicazione, può essere osservato il ruolo fondamentale della madre
di “tenere” ( holding) nel senso di Winnicott e di contenere proiezioni ( containing projections) nel senso di
Bion” (p. 83, trad. nostra).
Mentre il riferimento a Bion non fa problema, sorprende invece in questo contesto il riferimento a
Winnicott, poiché per lui nei primi 3 mesi circa non vi è comunicazione del lattante verso la madre. Di
Winnicott esiste una affermazione del 1969 che sembra proprio fare riferimento critico alle pagine di Bick
che stiamo analizzando, anzi si tratta dell’unico riferimento all’Infant Observation che abbiamo trovato
nei suoi scritti.
“E’ difficile acquisire dati certi in un campo del genere ( la comunicazione) attraverso lo strumento
della baby-observation, anche se sembra che, effettivamente, alcuni bambini guardano in modo significativo
il viso della madre persino nelle prime settimane” (Esperienza di mutualità tra mamma e bambino, 1969,
in Esplorazioni psicoanalitiche, Cortina, Milano 1955)
Malgrado questa mezza ammissione, Winnicott respinge l’osservazione suddetta. Dice infatti che si può
osservare l’inizio della comunicazione tra mamma e lattante soltanto nel quarto mese e precisamente quando
“il bambino guarda il viso della madre e allunga la mano così che, per gioco, nutre la madre mettendole il dito in bocca” (op. cit.).
La scoperta osservativa della comunicazione tra neonato e madre
A confronto con l’autorità di Winnicott e di tutta la psicologia del suo tempo, è convincente la pretesa di
Bick di poter osservare pattern of communications tra madre e bebè? Certamente vediamo un atto comunicativo della madre di Charles, che mentre lo tocca con le mani o lo mette al seno gli parla affettuosamente
come se lui potesse capire. Ma il problema è se c’è una comunicazione del neonato verso la madre.
4
Una comunicazione precoce di Charles si può forse vedere a 10 giorni: piange quando la mamma si
allontana, ma, quando sente la voce della mamma che dall’altra stanza gli parla per tranquillizzarlo, si
calma per un attimo e fa un gorgoglio di gioia (p. 79).
Dal punto di vista metodologico vediamo Bick usare un linguaggio che le è imposto dalle osservazioni.
Le osservazioni sono così ricche che Bick può immergersi in ciò che in esse è evidente o traspare, dimenticando tutte o quasi le teorie da lei conosciute, tanto è esuberante ciò che viene osservato.
Vediamo ancora un esempio di comunicazione (a un’età imprecisata).
Una madre, incapace di tollerare lo stretto contatto corporeo col bambino, è solita, dopo la poppata,
tenendolo un po’ separato da sè, aprire e chiudere la bocca guardandolo negli occhi. Il neonato risponde
nello stesso modo.
Oppure gli parla e il bambino risponde con suoni.
Qui, rispetto all’esempio precedente, Bick risulta assai più convincente quanto all’esistenza di una comunicazione: ciò che colpisce non è naturalmente che la madre si rivolga a lui in vari modi invitandolo
a comunicare, ma che il lattante appaia rispondere effettivamente, ogni volta nel modo corrispondente.
Questo lattante sembra comunque accettare e adattarsi anche ad una madre con qualche difficoltà al
contatto corporeo, ma generosa nella comunicazione con lui ad un altro livello. La prova è che sarà un
lattante che nei mesi successivi mostrerà di privilegiare i modi di comunicazione visivi e uditivi piuttosto
che corporei, come fanno invece altri lattanti osservati.
Nell’esempio di Bick rimane non esplicitato il contenuto della comunicazione, che non è subito evidente.
A noi pare che qui la comunicazione non abbia da comunicare qualcosa, ma sia piacevole per se stessa:
permette al neonato e alla madre di sentirsi ciascuno esistere per l’altro.
Secondo Bick un modello tattile di comunicazione prevale invece nel comportamento di James: l’osservazione inizia quando ha un mese e il neonato al seno,
“con gli occhi aperti, tocca alternativamente con la mano destra il seno e alternativamente un bottone del
vestito della madre. L’osservazione successivamente rivelò che questo toccare il corpo materno era un comportamento che il bambino attuava regolarmente ogni volta che si trovava vicino a lei”. A due mesi, in braccio
all’osservatrice, la guardava ma non la toccava; tornato in braccio alla madre cercò il seno, prese un braccio
della madre con la mano e poi la posò su quella della madre e la muoveva ritmicamente mentre succhiava. A
5 mesi accarezzava il seno con ampi movimenti e l’osservatore commenta: “mentre lo guardavo mi chiedevo
se il bambino non stesse accarezzando coscientemente la madre” ( p.85).
Diremo dunque che il saggio del 1964 di Bick comincia a far vedere in modo rinnovato il lattante: un
soggetto a pieno titolo, che non ha soltanto cieco bisogno di holding, non è un essere alieno alla comune
umanità poiché chiuso nel narcisismo primario, ma un essere che cerca la comunicazione.
Conclusion1e
E’ dunque con il pensiero psicoanalitico di Bion del 1961 e 1962) e di Bick (osservazioni) che il grande
tema della comunicazione neonatale si affaccia sulla scena della psicologia internazionale, in anticipo di 10
anni rispetto a quello che sarà il tema fondamentale della Infant Research: lo studio della comunicazione
tra mamma e lattante, a partire da lavori di Stern (1974) e Trevarthen (1978) sulle proto-conversazioni con
alternanza di turni nel secondo mese di vita e di Meltzoff sull’ imitazione (1983) (per una discussione
critica vedi: Macciò M. e Vallino D., Le origini di Infant observation e Infant research: una nota storica,
in Quaderni di psicoterapia infantile n.65, Borla, Roma 2012).
La conferma osservativa bickiana del ruolo cruciale rappresentato dall’holding materno nello sviluppo
del bambino comporta anche una convalida empirica della critica di Winnicott alla Klein, che trascurerebbe di considerare l’influsso della relazione con la madre sulla crescita del bambino. Ciò viene taciuto da
Bick. E’ come se Bick non fosse ancora pronta ad accettare che le osservazione infantili da lei condotte
impongono di pensare che la patologia del bambino inizi per lo più a motivo di un ambiente inadeguato
psicologicamente. Ciò infatti metterebbe i risultati dell’ infant observation in contraddizione con la teoria
kleiniana, prospettiva che la Bick sembra non aver mai potuto accettare. Che sia stata questa l’obiezione
di Bowlby alla Bick nel 1960, allorché non le rinnovò l’incarico di insegnamento?
5
6