Droga - Il Calabrone

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Droga - Il Calabrone
Droga
Don Piero Verzeletti, Angelo Mattei
L’approccio a quello spaccato di società che si definisce tossicodipendenza non può
prescindere dal contesto “culturale”, dalla filosofia di vita del proprio tempo. Infatti il
“fenomeno” assume forme diverse e dipendenti dal variare del contesto. Anche la persona
che usa o abusa di sostanze stupefacenti è costretta ad adeguarsi a partire dalle qualità o dai
limiti personali. Il mercato è dominante. Si parla di fumatori, di cocainomani, di eroinomani,
di polidipendenti, di giocatori azzardati, di sballoni, ecc.
Una lunga storia (in breve)
Negli anni ’60 si hanno segnali di “fumo” – si notano le prime manifestazioni pubbliche
sull’uso di hascisc e di marijuana – il gruppo si fa forte. E si hanno i primi scontri ideologici:
rompere con il passato, libertà di espressione, essere contro…per affermare…. Anche la
letteratura e la musica diventano formatrici di un certo modo di dare un significato al proprio
esistere. La reazione ufficiale (istituzioni, partiti, ecc.) si riduce alla classica definizione: è un
fatto di ordine pubblico.
Nel corso degli anni ’70 di fatto l’uso (abuso) di hascisc e marijuana si rafforza: scuole,
ritrovi informali di gruppi politicamente collocati. E non mancano le esperienze “orientali”
mistificatorie. Tutto tace pubblicamente; qualche allarme per fatti di cronaca che hanno come
riferimento i luoghi “assembleari”, come le discoteche o party notturni dove la musica, la
irregolarità, la contrapposizione, lo sballo estremo sono il rigo su cui si scrive la melodia.
Appare anche la microcriminalità, lo spaccio in luoghi ben individuabili.
Intanto silenzio della politica: sottovalutazione? Incompetenza? Impotenza? E quindi, resa?
Dopo il clamore del ’68, negli anni ’70 –’80 lo slogan può essere: tutti a casa, ognuno per sé,
ognuno è libero di fare in proprio. Il non-contrasto favorisce.
In questo contesto entra in modo subdolo e drammatico il consumo (l’abuso) di eroina; c’è
l’eco dei soldati del Vietnam. Alcune persone o gruppi avvertono il “pericolo” e si muovono;
qualche medico, qualche sacerdote, qualche persona sensibile e attenta ai fenomeni sociali
studiano il fenomeno dipendenza, propongono e organizzano tentativi di intervento.
Primi casi accertati di overdose. Ricoveri surrettizi in ospedale. Famiglie stralunate e cariche
di difficoltà. Spuntano le prime – così chiamate – comunità che guardano ad alcune
esperienze americane. Esigenza di dare un’impronta alla propria azione di supporto; in
pratica prevaleva l’idea “fai da te”.
Ma le difficoltà, alla metà degli anni Settanta, non spaventano alcune personalità bresciane
particolarmente sensibili al tema della tossicodipendenza. Una prima esperienza di ascolto e
aiuto in città nasce con il Ceis a cui seguono presto esperienze proposte da alcuni sacerdoti.
Essi ravvivano a Brescia un concreto interesse verso le possibili azioni da adottare per
affrontare il tema del disagio e dell’emarginazione giovanile, che in quegli anni sfocia
sempre più spesso nella tossicodipendenza. In città, dove la droga circola con facilità,
un’indagine svolta nel 1977 segnala la presenza di circa quattromila consumatori di sostanze
stupefacenti, di cui 700 eroinomani. La Brescia sofferente ed emarginata si fa largo negli
angoli notturni delle vuote piazze, nelle buie periferie lontane, fra i binari morti della stazione
e sulle fredde panchine dei giardini pubblici.
Viene infine attivata la gestione di un centro di prima accoglienza, che trova ospitalità in
locali messi a disposizione dall’istituto Arici in via Berardo Maggi a Brescia.
Nei mesi successivi nasce un nuovo centro in Piazza Martiri di Belfiore (col nome di Cmas,
Centro medico e di assistenza sociale) facente capo alla Provincia e, su azione municipale,
viene aperto dal 1978 un altro centro in via Matteotti, mentre l’Ussl predispone un primo
servizio definito “Équipe di presidio metadonico” presso l’Ospedale civile. Si tratta di luoghi
di primo approccio, fra informazione e azioni di primo intervento.
Uno sguardo sospetto
La politica e la società in genere guardava a questa “tribù” di giovani definiti “i tossici” con
due visioni che si identificano:
la visione sanitaria: tu sei malato, devi curarti (e non si dice dove, come, perché…);
la visione di ordine pubblico: fanno pena, disturbano, spacciano; e così il carcere è una
prima risposta.
Negli anni spunta un tentativo di legislazione nazionale, quasi a dire: lo Stato c’é. La
filosofia è però nella linea repressiva e qualche apertura sanitaria. Prevale il carcere e il
metadone antagonista dell’eroina. I servizi sanitari (Not - Sert) hanno difficoltà a mettere la
persona al centro dei loro problemi. Anche le così chiamate comunità terapeutiche sono alle
prese con quale filosofia agire, perché:
alcune sono di stampo totalizzante e sorrette da figure dette carismatiche: stai qui, stai
lontano, impara le regole, poi…. È questione di buona volontà;
altre hanno filosofie orientative di stampo psicoterapeutico, di emancipazione.
La parola “prevenire”non entra nei dibattiti; al massimo si dice: informazione. È il tempo in
cui irrompe drammaticamente il virus HIV. L’infezione è devastante. L’allarme sale.
Le notizie corrono sugli schermi e sulla stampa; appaiono i protagonisti della scienza medica
e farmaceutica. I colpevoli o vittime, secondo la conoscenza collettiva, sono i giovani tossici
e gli omosessuali. Avviene una decimazione dei diversi gruppi di consumatori. E si fa
silenzio sulle infezioni degli eterosessuali, salvo accorgersi allorquando i gruppi suindicati e
segnati a dito si danno regole di comportamento avveduto nelle pratiche di assunzione di
eroina (sempre più sporca) che si trova sul mercato. Nella pratica sanitaria per frenare
l’ecatombe c’é una ricerca scientifica con farmaci che tendono a frenare l’attività del virus e
quindi a prolungare il tempo di vita.
In questo contesto negli interventi della politica, assonnata e forse rassegnata, c’è un
sussulto: avvengono proposte di collaborazione tra pubblico e privato, tra i Sert e le
cosiddette comunità.
La “strada” resta fuori dall’attenzione, proprio là dove si immischiano bisogni delle persone
con problemi di tossicodipendenza, le aree di mercato che nel frattempo si sono atomizzate e
la presenza dell’ordine pubblico. Saranno gli avveduti che si butteranno nella mischia per
creare luoghi di pausa per l’igiene della persona e soprattutto per una relazione che faccia
percepire di non essere abbandonato.
Naturalmente il dibattito tra esperti si diffonde non solo in città ma dovunque anche nei
piccoli centri. Entra in scena l’idea: legalizzare o no. Dibattito che ancora oggi vige nel
sottofondo del silenzio sui fenomeni diversi che si affacciano.
Gli anni 2000 vedono nel palcoscenico soprattutto adolescenti. Entra prepotentemente l’uso abuso di cocaina, quasi a dire: ritorniamo allo scoperto, vogliamo essere protagonisti anche
se non sappiamo per che cosa. Non a caso si diffonde la pratica degli sport estremi.
E con la cocaina c’è l’assunzione di cocktail: si definisce polidipendenza. Fumo e alcool –
cocaina- sostanze sintetiche dagli effetti alteranti del pensiero, della percezione del tempo e
dello spazio, l’esaltazione delle emozioni che richiedono sempre più stimoli.
… e a Brescia
Di seguito una breve analisi del fenomeno tossicodipendenza a Brescia, realizzato a partire
dai dati forniti dai servizi specialistici presenti sul territorio. Gli utenti in carico ai servizi per
le tossicodipendenze a Brescia, a partire dall'anno 2001, evidenzia un incremento dell'utenza
complessiva di pari al 51,7%. In particolare, l'utenza dei tossicodipendenti è aumentata del
12,6%, mentre quella degli alcoldipendenti registra un aumento pari al 262,7% (Uso, abuso,
dipendenza da sostanze - Sintesi dati 2011 – ASL Brescia). In questi ultimi anni Brescia ha il
triste primato dei consumatori di cocaina. Nel 2010 si registravano a livello nazionale
percentuali di utilizzo di cocaina nell'utenza dei Servizi specialistici del 15,2% contro il 39%
registrato nei Servizi presenti sul territorio Bresciano. Nel 2001 i cocainomani bresciani
erano il 17%, a livello nazionale il 5,9%.
Cifre che in otto anni hanno compiuto un notevole balzo in avanti. Contemporaneamente,
rispetto alla media nazionale è presente un minor uso di eroina che, nel 2010, registra un
70,1% nazionale contro un 50,9% bresciano. Nel 2001 il 78% degli utenti dei Sert di Brescia
abusava di questa sostanza (83,7% in Italia), nel 2008 la percentuale è scesa al 57% (71% la
media nazionale).
L'abuso di cannabis e derivati è in costante lieve crescita, passando dal 3% nel 2001 al 6%
del 2008 arrivando all’8,8% sul territorio bresciano nel 2010 rispetto al dato nazionale di un
9,2%.
Rispetto all’alcool: le classi d'età maggiormente rappresentate dagli alcoldipendenti sono
quelle comprese tra i 30 ed i 50 anni. Anche nel caso degli alcoldipendenti il sesso maschile è
maggiormente rappresentato. Il rapporto maschi/femmine, che nel 2004 era di una femmina
ogni 2 maschi, vede nel 2011 il netto favore della preponderanza maschile passata dal 66%
all'82,4%, dato che pare essersi stabilizzato negli ultimi 3 anni.
Un capitolo a parte merita la popolazione detenuta nei due carceri cittadini che presenta
caratteristiche leggermente diverse. Dei soggetti seguiti dall'assistenza penitenziaria, il 94% è
di sesso maschile, la maggior concentrazione è nelle fasce d’età tra i 30 e i 44 anni, il 30% è
di origine straniera e utilizza soprattutto cocaina (47%).
Le pratiche preventive o di recupero costruite con il precedente fenomeno dell’uso di eroina
non rispondono affatto alla nuova esperienza. C’è l’esigenza di metodi diversi e rispondenti.
I Sert vedono ridotti i loro pazienti. Le cosiddette comunità si riducono o si svuotano. È il
tempo di una riflessione e di una pratica di prevenzione. Ciò significa porre attenzione alle
giovani persone affinché prendano contatto con sé stessi – con i loro malesseri – e si prefiguri
lo star bene.
E questa è la sfida che sta davanti alle istituzioni, alla politica, alle agenzie di educazione, ai
privati che hanno a cuore la sapienza e la felicità delle generazioni che interrogano il loro
futuro.
Contributo pubblicato in
“Malabrixia!, dizionario della Brescia che non ci piace”, a cura di Carlo Alberto Romano,
Liberedizioni