paese basco - CPA Fi-Sud

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paese basco - CPA Fi-Sud
Campagna di denuncia e di mobilitazione
CONTRO L’ARTICOLO 270 DEL CODICE PENALE
E GLI ALTRI REATI ASSOCIATIVI
PAESE BASCO
LABORATORIO EUROPEO DELLA REPRESSIONE
L’ATTACCO ALLA LIBERTÀ DI ASSOCIAZIONE
CONTRO LE LOTTE DEL MOVIMENTO BASCO E DEI MOVIMENTI EUROPEI
[email protected]
http://www.inventati.org/reati_associativi
ALCUNE NOTE INTRODUTTIVE
a cura del Comitato Promotore della Campagna Contro l’Articolo 270 e i Reati Associativi
Così come in Italia stiamo assistendo a un uso sempre più disinvolto e massiccio dei reati associativi contro le
soggettività in lotta, e a un continuo riaggiornamento, sempre in senso liberticida, degli stessi, anche sul piano
europeo registriamo in questi anni una proliferazione dell’uso e della produzione delle cosiddette leggi
“antiterrorismo”.
A livello planetario del resto, gli attentati dell’11 settembre hanno rappresentato solo la foglia di fico per coprire un
processo di esecutivizzazione avviato da tempo, e che ha visto come sbocco inevitabile la promulgazione delle “liste
nere del terrorismo” e dei vari “terrorism act” dagli USA, al Regno Unito, all’Europa tutta.
Leggi, queste, tutte con la medesima logica, del resto dipendente dalla comune esigenza di esercitare un controllo
preventivo su qualsiasi dinamica di dissenso esterna alle compatibilità istituzionali che in qualche modo potrebbe per
il futuro suggerire un percorso di ricomposizione di classe.
Parliamo dunque dell’esigenza di disinnescare tutte quelle esperienze di contrapposizione alle regole del capitale che
si manifestano strutturalmente come conseguenza della crisi, ormai assodata, e della situazione di precarietà dilagante
per sempre più ampi strati della popolazione, anche di quella occidentale.
Un’esigenza quindi di governare le contraddizioni a prescindere dal fatto che a farlo siano posti governi di destra o
della cosiddetta “sinistra”. Di governarle con un processo di esecutivizzazione e di costruzione di stati di polizia.
Un’esigenza che è da decenni anche il fulcro del processo di costruzione dell’Unione Europea.
Dagli accordi di Shengen, alla polizia europea, allo spazio giuridico europeo, fino alla nuova Costituzione europea,
che sancisce l’asservimento dell’Europa alle leggi del profitto, negando il diritto all’autodeterminazione dei popoli, i
diritti sociali, l’esercizio di un controllo politico, e sancendo uno stato di apartheid per gli immigrati, e una politica di
aggressione militare in coordinamento con la NATO.
In questo contesto il Paese Basco, tanto nelle sue 4 province occupate dalla Spagna, quanto nelle sue 3 province
occupate dalla Francia, rappresenta il laboratorio privilegiato di sperimentazione di una serie di leggi liberticide e
soprattutto della logica del “tutto ciò che si oppone è terrorismo”.
Una logica che abbiamo cominciato a subire anche in Italia all’interno di varie inchieste, e che è poi stata scritta a
chiare lettere all’interno della legge Pisanu.
Una logica che contro il movimento indipendentista basco viene applicata da alcuni anni.
L'intero movimento è stato attaccato e criminalizzato dal Tribunale Speciale Antiterrorismo spagnolo, in combutta col
potere politico, con la strumentale accusa di "terrorismo". Con l’accusa di sostenerlo sono state messe fuorilegge le
organizzazioni giovanili, i loro membri arrestati, chiusi o sgomberati i loro luoghi di aggregazione, illegalizzati i
partiti politici che rappresentano l’opzione indipendentista.
I teoremi orditi contro quel movimento hanno prefigurato la sperimentazione di nuove leggi "antiterrorismo",
recentemente varate anche in Europa, ed in Italia con l’inasprimento dell’articolo 270 del codice penale attraverso la
legge Pisanu.
Complessivamente in tutta Europa si mira all’abolizione del dissenso, negando in pratica la libertà d’associazione.
Parallelamente gli stati francese e spagnolo stanno sperimentando sui militanti baschi anche il nuovo trattato europeo
per le estradizioni, che in linea con le tendenze dell’occidente tutto, stabiliscono l’estradizione automatica di
chicchessia, dietro semplice richiesta degli organi di polizia di un paese, a livello esecutivo e senza alcuna “garanzia”
processuale, anche quando chi viene estradato non deve rispondere di nulla davanti alla “giustizia” del paese che lo
estrada.
Ancora su un altro piano, lo stato spagnolo è all’avanguardia per quanto riguarda la gestione dei prigionieri politici,
con politiche particolarmente selvagge di isolamento dei militanti dal loro contesto familiare, sociale, politico. Ed è
all’avanguardia nella pratica della tortura dei militanti arrestati, in particolare con metodi pesanti ma che lasciano
pochi segni e quindi più difficilmente dimostrabili.
Lo stato francese, che in questo periodo si distingue per la sua disponibilità a eseguire le richieste degli organi
repressivi degli stati europei, sta acquisendo velocemente le stesse pratiche adottate dalla polizia spagnola.
Per tutti questi motivi ci è parso di indubbio interesse organizzare all’interno della Campagna Contro l’Articolo 270 e
i Reati Associativi una iniziativa informativa sulla situazione repressiva che sta vivendo il movimento basco, e su
come le organizzazioni e i militanti indipendentisti abbiano saputo reagire all’attacco repressivo.
Nell’ottobre 2005 abbiamo dunque invitato in Italia due compagni baschi, dando vita a una serie di attività in varie
città, di cui riportiamo nelle pagine che seguono. Pubblichiamo anche alcuni materiali, prodotti a completamento di
queste iniziative e che integrano il quadro informativo.
PAESE BASCO, EUSKAL HERRIA,
LABORATORIO EUROPEO DELLA REPRESSIONE
I dati assoluti della repressione, in un territorio minuscolo e che, oggi, è probabilmente il più
militarizzato di tutta l'Europa occidentale, sono spaventosi
Situazione globale
Gli atti di distruzione avvenuti negli ultimi anni negli Stati Uniti, nello Stato Spagnolo, nel Regno Unito... e
l'impatto che ha avuto la loro diffusione sui mezzi di comunicazione, hanno generato un particolare stato di
opinione nella comunità internazionale. Questo stato di opinione (che evoca paura, panico, terrore e che
neutralizza l'autonomia della volontà e la priva totalmente di discernimento e di senso critico), ha permesso il
consolidamento di misure di sicurezza in opposizione al godimento dei diritti umani e delle libertà pubbliche.
Alcuni governi hanno implementato nuove legislazioni e progettato misure per affrontare la nuova situazione,
creando una "legge per il nemico, più che per il cittadino". Gli stati hanno sfruttato la retorica "antiterrorista" a
beneficio dei loro interessi politici, economici o geostrategici, criminalizzando qualsiasi movimento dissidente,
alternativo, antagonista... dai "rossi separatisti" dell'epoca di Franco, i "comunisti" o "anarchici" dell'Italia
fascista, il "sovversivo" dell'Argentina di Videla, i "fondamentalisti islamici" degli Stati Uniti, d'Israele o del
Regno Unito, la "narcoguerriglia" della Colombia... fino termine generico ed universale "terrorista", valido per
qualsiasi movimento di opposizione, sono esempi vecchi ed attuali di questa retorica.
Europa
Questa dinamica ha avuto il suo riflesso anche nell'Unione Europea; nel dicembre 2002, i Capi di Governo e di
Stato dell'Unione Europea si sono riuniti a Laeken, per adottare la Decisione Quadro per la lotta al terrorismo,
creando nuove norme imperative, che dovevano essere adottate da tutti gli stati membri, anche se non si
trovavano ad affrontare problemi relativi a questo fenomeno. Non sono stati capaci di trovare una definizione
comune di terrorismo, ma anno definito le sue cause, le sue intenzioni; questo significa che la valutazione su
cosa sia terrorismo sarebbe venuta dall'analisi degli effetti di presunte azioni terroriste. Le conseguenze di questa
definizione sono abbastanza chiare: qualsiasi dissidenza o gruppo di opposizione può generare un effetto che,
nell'Unione Europea, può essere considerato terrorismo. In questo contesto, si creano le cosiddette "liste
terroriste", nelle quali si inseriscono persone ed organizzazioni dopo una decisione politica , senza possibilità di
ricorso contro tale decisione.
Euskal Herria
Nel delineare questo ambito, lo Stato spagnolo (insieme a quello francese), ha svolto un ruolo cruciale, a causa
dei suoi interessi particolari riguardanti la questione basca.
Il Paese Basco, Euskal Herria, un territorio di 20.600 chilometri quadrati, situato sui due versanti dei Pirenei
Occidentali e composto da sette province, Araba, Behenafarroa, Bizkaia, Gipuzkoa, Lapurdi, Nafarroa y
Zuberoa, con una popolazione di quasi tre milioni di abitanti, è diviso in diverse demarcazioni amministrative fra
gli stati spagnolo e francese. La Costituzione spagnola riconosce l'esistenza di nazionalità ma nega loro il diritto
all'autodeterminazione. La Costituzione francese, al contrario, riconosce il diritto di autodeterminazione ma
rifiuta di ammettere l'esistenza di popoli o nazioni nel territorio nel quale è in vigore. Questo, oltre ad altri
elementi di negazione strutturale, sociale e culturale, genera una situazione di conflitto in Euskal Herria, un
popolo che lotta per il suo riconoscimento e per la facoltà di decidere il suo futuro in libertà.
Repressione, tortura, prigionieri
Questo conflitto politico ha, anche, un'importante componente armata, che ha generato un numero di vittime
difficile da definire; oggi vi sono 688 prigionieri politici in 88 carceri ma anche circa 2000 cittadini baschi che si
sono visti costretti ad abbandonare il territorio basco a causa della repressione e delle persecuzioni e vivono in
altri stati come rifugiati politici. i dati assoluti della repressione, in un territorio minuscolo e che, oggi, è
probabilmente il più militarizzato di tutta l'Europa occidentale, sono spaventosi: 15.000 persone sono state
arrestate negli ultimi venticinque anni, 6.000 di queste hanno anche subito torture dalla polizia spagnola, dalla
Guardia Civil e dalla polizia autonoma basca. La legislazione antiterrorista spagnola permette alla polizia di
mettere il presunto "terrorista" in isolamento assoluto per cinque giorni, periodo nel quale non potrà vedere i suoi
congiunti, né un medico, né un avvocato di fiducia; in questo periodo di privazione assoluta di contatti con il
mondo esterno, si riproducono le testimonianze di tortura, che includono l'utilizzo di elettrodi, sacchetti di
plastica per provocare asfissia, esercizi fisici estenuanti e percosse ed aggressioni fisiche e psicologiche di ogni
genere.
Quanto alla situazione nelle carceri, dei 688 prigionieri politici solo 11 si trovano in Euskal Herria; non è un
caso, gli altri si trovano distribuiti nelle sezioni di 88 prigioni in quattro stati. Nello Stato spagnolo ci sono 528
prigioniere e prigionieri politici baschi, in 52 carceri, ad una distanza media di 623 chilometri da Euskal Herria.
Nello Stato francese si trovano 154 prigioniere e prigionieri politici baschi, in 33 carceri e ad una distanza media
da Euskal Herria di 790 chilometri. 5 prigioniere e prigionieri politici baschi sono detenuti in due carceri del
Messico ed uno è in prigione a Londra. Lo scopo di generare sradicamento e vulnerabilità nel prigioniero è
evidente: la media di pestaggi che il Collettivo dei Prigionieri ha dovuto subire negli ultimi anni è di 20 all'anno;
il 25% del Collettivo è condannato a vivere in regime di isolamento continuo. Altri diritti, come quello alla
salute, all'uso della propria lingua, all'istruzione sono severamente limitati; inoltre, la violazione di diritti che gli
stati spagnolo e francese praticano con la politica di dispersione è costante e colpisce anche i familiari. Da
quando è stata avviata tale politica, sono stati 16 i familiari e congiunti che hanno perso la vita in incidenti
stradali mentre si recavano ai colloqui nelle carceri.
Fra gli anni 2001 e 2002, il collettivo dei Prigionieri Politici Baschi ha svolto un lungo e profondo dibattito
interno, decidendo l'obiettivo del suo rimpatrio: la richiesta di condizioni affinché il Collettivo, come soggetto
politico quale è, possa prendere parte ai dibattiti ed agli accordi politici per una soluzione democratica al
conflitto politico. Il suo raggruppamento in Euskal Herria,, il potersi organizzare, la possibilità di mantenere
relazioni con gli altri soggetti fuori dalle carceri e potere prendere parte a tutti i dibattiti ed accordi politici sono
elementi fondamentali per potere affrontare questa sfida. Il riconoscimento dello status di prigionieri politici è
una delle basi per l'esercizio di questi diritti.
Diritti politici
D'altra parte, il movimento associativo basco gode di buona salute: i movimenti sociali hanno capacità di
incidenza reale in tutti gli ambiti sociali, le organizzazioni popolari veicolano le rivendicazioni sociali, culturali e
politiche, la cosiddetta "società civile" è attiva e ha la capacità di trasmettere i suoi progetti, concordarli con altri
organismi e contrapporli a quelli del potere. Lo Stato ha utilizzato la repressione, attraverso le inchieste note
come 18/98 e le successive per attaccare questo ampio movimento, per continuare ad esercitare la sua egemonia
e per perpetuarsi. Sebbene la repressione abbia creato difficoltà a questo movimento dissidente basco nella sua
capacità di essere motore del cambiamento politico, sociale e culturale in Euskal Herria, essa ha evidenziato
meglio che mai che lo Stato spagnolo non è uno stato democratico, che è disposto a trasgredire ed a svuotare dei
loro contenuti diritti e libertà fondamentali; così, si sono violati i diritti di associazione, opinione ed espressione.
Due vie parallele sono state aperte per cercare di neutralizzare questo movimento:
Una è quella per la quale, attraverso una reinterpretazione del Codice Penale portata avanti dal giudice Baltasar
Garzón, giudice istruttore del tribunale speciale antiterrorista chiamato Audiencia Nacional, si è deciso che
organizzazioni sociali, politiche e persino mezzi di comunicazione orbitano nell'ambiente di ETA e che, come
logica conclusione, appartengono a ETA; fra le organizzazioni coinvolte si trovano il quotidiano Egin,
l'emittente radiofonica Egin Irratia, la rivista Ardi Beltza, il quotidiano in lingua basca Egunkaria, l'associazione
politica Ekin, l'organizzazione per le relazioni internazionali Xaki, la Fondazione Joxemi Zumalabe per
l'attivazione del movimento sociale, l'associazione per la difesa dei diritti dei prigionieri politici Gestoras pro
Amnistia e, successivamente, l'organismo di solidarietà con i prigionieri politici Askatasuna, le organizzazioni
giovanili Haika e Segi, il partito politico Batasuna, l'assemblea di sindaci e consiglieri comunali Udalbiltza.
Negli ultimi tempi, già sotto il Governo Zapatero e promosse dal successore provvisorio di Baltasar Garzón, il
giudice Grande-Marlaska, sono continuate le aperture di processi contro il quotidiano Gara, contro il sindacato
LAB, contro il partito politico EHAK (Partito Comunista delle Terre Basche, N.d.T.)... Circa 250 persone sono
coinvolte in questi processi, la maggioranza delle quali arrestate in veri e propri rastrellamenti polizieschi e
detenute in carcere per periodi di tempo variabili. Diversi degli accusati nelle inchieste contro Haika-Segi e
Gestoras pro Amnistia hanno, fra l'altro, scontato quasi quattro anni di carcere preventivo, in attesa di giudizio.
Proprio nella primavera di quest'anno si è celebrato il primo dei processi contro l'organizzazione giovanile
Haika-Segi, il primo di una probabilmente lunga serie. Osservatori internazionali partecipanti all'iniziativa
Euskal Herria Watch hanno dato conto delle irregolarità del processo e della sua totale mancanza di garanzie; la
loro principale preoccupazione ha riguardato l'evidente mancanza di prove sulle quali basare l'accusa per la
quale, partecipando alle attività di Haika-Segi, in realtà, si sarebbe partecipato all'attività di ETA. Il tribunale, nel
suo verdetto, non ha riconosciuto questa accusa (che comportava pene di 12 anni) ma ha, invece, ritenuto che
Haika e Segi sono organizzazioni illegali e diversi loro membri sono stati condannati a pene fra i due anni e
mezzo ed i tre anni e mezzo.
L'atra via è quella marcata dalla Riforma della Legge Organica sui Partiti Politici, approvata nel giugno 2002 e
che, da diversi ambiti, è stata definita come un "abito su misura" per la messa fuori legge di Batasuna, visto che i
partiti che non condividono i "principi costituzionali" sono messi fuori dalla legge spagnola. Questo fatto si è
verificato il 17 marzo 2003, quando il Tribunale Supremo spagnolo ha emesso la sentenza di messa fuori legge
della formazione della Sinistra indipendentista, dopo un processo sommario, per evitare che partecipasse alle
imminenti elezioni. Successivamente, altri partiti dall'orientamento politico simile (AuB Autodeterminaziorako
Bilgunea, HZ Herritarren Zerrenda, Aukera Guztiak e circa 250 piattaforme elettorali municipali) saranno
sospese mediante l'applicazione estensiva di quella sentenza. Questa situazione ha anche un impatto evidente sul
diritto di manifestazione; i termini nei quali è stata redatta la legge, utilizzando determinate espressioni per
proibire l'indizione di manifestazioni da parte di Batasuna ("direttamente o indirettamente". "come entità o
attraverso suoi membri"), conferisce alla polizia la facoltà di decidere se, ad esempio, l'indizione di una
manifestazione pubblica da parte di privati cittadini, la manifestazione possa essere considerata, invece,
promossa dalla formazione messa fuori legge, pur se semplicemente mascherata, come spesso è accaduto. Questi
metodi non sono stati ideati a causa della retorica antiterrorista internazionale ma sono stati definiti in passato
come strategia di stato; forse questo impatto antiterrorista globale ha accelerato le misure descritte, ma non si
tratta di misure nuove contro il popolo basco. La nostra esperienza, negli ultimi decenni, è stata rafforzata dal
grave quadro di violazioni dei diritti umani e dalla mancanza di garanzie per quanto riguarda la promozione e la
protezione dei diritti umani.
La risoluzione di questa situazione è la sfida che dobbiamo affrontare.
Importante, inoltre, è alzare la voce, diffondere l'allarme prima che questa situazione sia diffusa ad altri
contesti politici, ovunque ciò possa accadere.
Info ISLADA, ottobre 2005
www.behatokia.info
PAESE BASCO, UN POPOLO ILLEGALIZZATO
Questi sono gli interventi (e alcune risposte) dei compagni baschi a una delle iniziative organizzate.
Il primo è avvocato, membro di “Behatokia, osservatorio basco per i diritti umani”; La seconda è
rappresentante di una delle organizzazioni giovanili (“Jarrai”, “Haika”, “Segi”) illegalizzate.
Behatokia:
sono membro dell’Osservatorio Basco per i diritti umani, avvocato di prigionieri politici; attualmente nello stato
spagnolo, per questa mia attività, sono accusato di essere membro dell’ETA e per me sono stati chiesti dieci anni di
carcere.
Voglio tentare di tracciare alcuni elementi di comparazione tra la situazione che si vive oggigiorno in Euskal Herria e
la dinamica di illegalizzazione che si sta verificando in Italia, perché penso che confrontarsi sul tema della repressione
significa aprire spazi di libertà.
La Costituzione spagnola riconosce l’esistenza di nazioni storiche ma nega la possibilità della loro
autodeterminazione; la Costituzione francese riconosce il diritto all’autodeterminazione però nega l’esistenza di
nazioni sul suo territorio. Sono due percorsi per arrivare al medesimo punto: e cioè la negazione dell’esistenza e del
futuro del popolo Basco. Questo punto, insieme ad altre ragioni di ordine sociale, economico, politico e strutturale
generano un conflitto politico che ha inoltre dure espressioni di violenza. Negli ultimi anni si è verificato un
inasprimento dei mezzi repressivi utilizzando la retorica antiterrorista in tutto il mondo. Negli otto anni di governo
del Partito Popolare è stata creata una legislazione antiterrorismo . Voglio illustrare i tre stadi attraverso i quali si è
sviluppata questa politica antiterrorista: il primo riguarda come il governo ha affrontato l’esistenza dell’ETA e le
persone sospettate di farne parte. La legislazione antiterrorista permette una detenzione per cinque giorni durante i
quali il prigioniero non ha alcuna possibilità di comunicare col mondo esterno, ne’ con i suoi familiari ne’ con un
avvocato o con un medico. Gli organismi internazionali più importanti hanno riconosciuto che durante questo periodo
di
“incomunicación” vengono praticate brutali torture. Hanno chiesto che il governo riducesse questi cinque giorni e di
contro il governo del PP ha introdotto una riforma per ampliarli a otto ulteriori giorni, e non nelle mani della polizia
ma dentro il carcere. E’ stato dimostrato che in questi otto giorni di detenzione in carcere non vengono praticate
torture, ma tuttavia servono per far sì che scompaiano quelle inflitte nei primi 5 giorni in commissariato. Un’altra cosa
introdotta dal PP era che i prigionieri baschi non fossero condannati ad un massimo di trenta anni, ma che potessero
stare in prigione fino a quaranta anni , senza che vi fosse alcuna possibilità di ridurre la loro pena. Questo riguarda
688 prigionieri politici che sono dispersi in 88 diverse carceri tra il territorio spagnolo e quello francese. La politica
della dispersione consiste precisamente nel fare in modo che questi prigionieri siano allontanati dal territorio basco,
dal proprio luogo di origine, e dispersi in tutte queste carceri isolandoli fra di loro anche attraverso diversi blocchi
all’interno delle carceri. Ci sono solo 11 prigionieri baschi in prigioni basche: questo non può essere una casualità.
Oltre a perseguire la distruzione come persone e come militanti dei prigionieri, questa politica presuppone una forma
di punizione brutale nei confronti delle loro famiglie: i familiari infatti devono percorrere centinaia e a volte migliaia
di chilometri per una visita di quaranta minuti; negli ultimi dieci anni 16 familiari sono morti in incidenti stradali
mentre si recavano a far visita ai propri cari prigionieri. Se teniamo in considerazione che il popolo basco ha tre
milioni di abitanti, negli ultimi trent’anni sono stati detenuti per motivi politici quindicimila persone, di cui seimila
hanno denunciato di essere stati torturati. Con le limitazioni a realizzare il proprio desiderio di studiare, di comunicare
con la propria famiglia, il diritto alla salute, si crea una situazione insopportabile.
Oltre a questo primo blocco di detenuti, che sono quelli sospettati di far parte di ETA, la legge ha introdotto un
secondo blocco, costituito dai giovani che partecipano ad esempio a forme di sabotaggio, a quella che viene definita
guerriglia urbana. Il governo del PP, attraverso una campagna di propaganda, ha fatto sì che una azione di sabotaggio
spontaneo sia equiparato al reato di appartenenza ad una organizzazione terrorista. Per esempio bruciare un cassonetto
dei rifiuti a Valencia, Siviglia o Madrid comporta una multa per atti di vandalismo; per lo stesso motivo nel Paese
Basco si può essere condannati fino a 16 anni di carcere, con giovani che oggigiorno sono detenuti con l’accusa di
appartenenza ad organizzazioni armate solo per essere stati in possesso di una molotov. Il ragionamento è stato
questo: se è stato possibile estendere queste forme repressive dall’ ETA alle organizzazioni giovanili, perché non
estendere tale trattamento a tutti quei militanti che stanno lavorando in organizzazioni sociali, culturali o politiche.
A partire dal ’98 c’è stata una criminalizzazione di tutti questi movimenti; non perché ci sia stata una riforma legale,
semplicemente c’è stata una reinterpretazione del Codice Penale per il quale il reato di appartenenza a banda armata si
utilizza come se fosse chewing-gum , espandendolo come se al suo interno si possano avere anche attività che fino a
quel momento erano state completamente pubbliche, legali e trasparenti . Responsabile di questo cambiamento è stato
in buona parte il giudice Garzón, magistrato dell’ Audiencia Nacional, che è un tribunale antiterrorista a Madrid.
Garzón afferma che qualsiasi organizzazione che abbia gli stessi obiettivi politici, la stessa ideologia di ETA, in realtà
appartiene ad ETA. In questo modo il giudice Garzón in seguito illegalizzerà due periodici, una radio, una rivista, una
organizzazione di solidarietà internazionale, due organizzazioni politiche, una organizzazione per la promozione del
movimento sociale, una organizzazione giovanile e una di solidarietà con i prigionieri politici. Le prove che portano
contro tali organizzazioni sono nulle.
Hanno poi inventato un nuovo tipo di perito; il perito è un esperto che controlla una materia concreta: in questo caso il
perito dovrebbe essere esperto dell’ETA, ma non è altro che un poliziotto; questo tipo di soggetto, che studia per anni
ETA e analizza documenti di cui molti pubblici, arriva alla stessa conclusione del giudice Garzón, e cioè che tutto
questo movimento sociale alternativo ampio appartiene ad ETA.
Un altro strumento che si sta utilizzando è la riforma della Legge dei Partiti politici. Nel 2002 si riforma la legge dei
partiti e si introduce che qualsiasi partito che sia su posizioni contrastanti con i principi costituzionali stia fuori
dall’ordinamento giuridico spagnolo. E cioè se un partito sta lottando contro la Costituzione perché essa non riconosce
il diritto all’autodeterminazione del popolo Basco, esso può essere messo fuori legge.
Si è trovato un metodo giuridico per rendere illegale il partito politico di Batasuna e una volta consideratolo illegale si
è applicato come se fosse un modello contro tutti quegli altri partiti che si sono presentati alle seguenti elezioni,
perché sono stati considerati la continuazione di Batasuna, portatori degli stessi principi politici. Ciò ha avuto una
implicazione evidente nell’ambito europeo: il PP ha portato all’UE quei partiti illegalizzati senza giudizio perché
venissero inseriti nelle liste nere europee antiterroriste.
Ad esempio le organizzazioni di cui noi facciamo parte hanno subito la stessa sorte, senza che fosse celebrato alcun
processo in cui aver la possibilità di difendersi. Noi, come piccole organizzazioni, abbiamo fatto ricorso alla Corte
europea dei diritti umani per appellarsi al diritto di presunzione di innocenza. Quello che è vero è che questa struttura
repressiva è stata costruita sotto il governo del PP. Il cambio di governo da due anni a questa parte, passato al PSOE
(Partito Socialista dei Lavoratori Spagnolo) non ha mosso un dito per cambiare le cose. Alcune volte ha permesso
alcune cose però solo in base ai propri calcoli elettorali. Questo è un po’ il pacchetto di misure su cui dobbiamo agire.
Oggi possiamo dire che nel Paese basco si sta praticando un laboratorio di metodi repressivi. Vi chiediamo di
conoscere questa situazione non solo da un punto di vista di solidarietà ma perché credo che anche a voi, in una certa
misura, vi riguardi. Nel Paese Basco abbiamo proposto alternative e abbiamo sviluppato una politica di dissenso ed
opposizione, ed è per questo che ci hanno attaccato con queste misure repressive. Nelle forme in cui anche voi mettete
in campo una politica di dissenso ed opposizione, anche il governo italiano vi risponde con le forme più alte di
repressione. E così come noi poniamo attenzione a come si stanno sviluppando le cose in Italia così ci auguriamo che
voi siate attenti a ciò che sta succedendo in Euskal Herria. Voglio terminare augurando il miglior proseguimento a
questa Campagna contro l’articolo 270 e i reati associativi.
Segi:
La sinistra indipendentista basca è composta da una serie di gruppi, piattaforme ed organizzazioni il cui referente
politico è Batasuna. Però queste organizzazioni sono indipendenti e funzionalmente autonome una dall’altra. Hanno
uno stesso obiettivo, che è quello di raggiungere l’indipendenza e il socialismo in Euskal Herria. Quindi Segi è
un’organizzazione indipendente.
Il movimento giovanile ha subito due attacchi negli ultimi sei anni: nel 2001 l’organizzazione da cui deriva Segi,
Haika (che significa “alzati!”) è stata illegalizzata e i suoi sostenitori incarcerati. Dopo questa esperienza abbiamo
deciso di fondare Segi, che è la continuazione del movimento precedente, ma è successa la stessa cosa, dopo un anno
l’hanno chiusa e incarcerato i suoi membri. Il loro obiettivo era quello di fermare questo movimento giovanile da anni
in lotta in Euskal Herria. Questo movimento quest’anno compirà 25 anni. Le ragioni per cui ci hanno illegalizzato
sono chiare, in quanto noi giovani siamo rivoluzionari ed anticonformisti, e in questi anni abbiamo lavorato in modo
autonomo all’interno della compagine politica, mettendo in difficoltà sia il governo del PSOE che la borghesia basca.
Ciò è stato messo in atto attraverso leggi speciali dirette contro i giovani tese a criminalizzare il movimento e a
bloccarne le speranze. Ci dicevamo che eravamo troppo giovani per far politica ma abbastanza vecchi per andare in
carcere ed essere torturati. L’effetto sortito è stato il contrario perché abbiamo deciso di non cambiare il nome e
andare avanti con la solita organizzazione, che è cresciuta e si è rafforzata. Per questo abbiamo raggruppato altri
giovani e sosteniamo che i giovani debbano avere voce e diritto alla lotta. Per questo seguiamo due cammini distinti:
il primo è rendere pubblico e dialogare con i responsabili politici della situazione del popolo Basco e dei suoi giovani.
Dall’altra parte, cerchiamo di rispondere non solo ai problemi dei giovani baschi ma di quelli che in tutto il mondo
vivono sotto regimi capitalistici. Quello che primariamente intendiamo fare è creare una coscienza critica per far
fronte a questo tipo di problemi perché pensiamo di dover creare persone indipendenti e soprattutto persone
indipendenti che vivono in un popolo indipendente.
Per questo stiamo cercando di agire in ambiti diversi dove pensiamo che i giovani abbiano diritto di intervenire.
Quindi dal punto di vista del sistema educativo cerchiamo di far fronte a una educazione che è unica ed imposta,
cercando di cerare la possibilità di avere una cultura propriamente basca.
Cerchiamo di interpellare i responsabili e di far fronte a queste situazioni e lavoriamo inoltre col sindacato della
sinistra indipendentista per trovare una soluzione. Reagendo a un sistema consumista vogliamo creare spazi sociali
autogestiti fatti dai giovani per i giovani.
Quello che abbiamo fatto finora è questo ed è la ragione per cui ci hanno messo al bando.
Ciò che cercheremo di fare è avvicinare ancora più giovani alla lotta, pur sapendo che esistono diversi livelli di
compromesso. Quindi sperimentiamo diversi modi di lottare, e vogliamo costruire uno spazio per tutti i giovani che
hanno voglia di lottare, per piattaforme e movimenti alternativi, per costruire un movimento giovanile ampio e
determinato. Ciò che possiamo dire è che al momento stiamo facendo queste cose in una situazione di “normalità”
politica più o meno accessibile, più o meno migliore di quanto è successo finora. In questo momento non stiamo
lavorando in una vera e propria legalità ma stiamo facendo passi per conseguirla e superare questo momento. Come
abbiamo ricordato prima, recentemente c’è stato un giudizio contro questi movimenti giovanili, durante il quale è stato
riconosciuto che il lavoro di queste associazioni è stato veramente di natura politica e sociale e che non avevano
niente a che vedere con una associazione terroristica; ma se da un lato la società ha quindi potuto vedere il nostro reale
modo di lavorare, dall’altro la condanna per terrorismo e l’illegalità restano valide. Quello che sta succedendo a tutta
la sinistra indipendentista è una situazione di passaggio tra la illegalizzazione e la normalizzazione. Per questa ragione
sia a livello interno sia internazionale si sta parlando di una risoluzione del conflitto in Euskal Herria, ma ci sono
molta intossicazione mediatica e speculazioni in proposito. Ciò su cui hanno interesse è chiarire una questione : da un
lato è vero che c’è una situazione più distesa, però ci sono sia una verità che una menzogna su questa situazione: lo
Stato spagnolo va avanti con la sua struttura repressiva e dall’ altro lato l’ETA continua nella sua attività armata; è
vero anche che la strategia di annichilimento della sinistra indipendentista è fallito, e dall’altro lato c’è stato un
cambio di governo per il quale si supponeva un cambio di atteggiamento, ed ETA ha rilasciato delle dichiarazioni in
cui sostiene che è arrivata una possibilità di risoluzione del conflitto politico e Batasuna mette sul tavolo una proposta
di risoluzione del conflitto politico, secondo la quale tutti i partiti sono chiamati a fare proposte per la risoluzione del
conflitto. L’ultima verità è che oggi si parla di autodeterminazione, di territorialità e che si tiene conto delle sette
province che fanno parte del Paese Basco. Questa è una conseguenza di lotte decennali: molti autonomisti e
regionalisti arrivano a questo concetto di autodeterminazione mentre fino a qualche anno fa criticavano la sinistra
indipendentista per questo tipo di rivendicazioni.
Al momento pare che ci siano delle opportunità politiche reali ma quello che bisogna testare è se ci sia una volontà
politica reale, in modo che si possa comprendere se stiamo realmente arrivando a una fase finale del conflitto politico
o se saremo obbligati a continuare in questa situazione.
Tutti noi giovani viviamo una stessa condizione e possiamo tutti aiutarci reciprocamente nelle nostre lotte.
Esistono carceri speciali per i minori?
La legge sui minori risale al governo Aznar, il quale li definì, prima che minori, terroristi. Ci sono state equiparazioni
con gli adulti ad esempio per quanto riguarda i 5 giorni di detenzione preventiva senza possibilità di comunicare con
l’esterno. Un adulto non entra in carcere se per il reato è prevista una pena inferiore a due anni; invece per i minori è
prevista l’incarcerazione per reati la cui pena è superiore ai due mesi; solo che le strutture in cui vengono rinchiusi
non sono considerati carceri, ma istituti di internamento dei minori; ma alla fine è la stessa cosa. Il comitato delle
Nazioni Unite per i diritti dei minori ha denunciato questa legge, chiedendo che lo Stato spagnolo la ritirasse, senza
ottenere alcuna risposta.
In che situazione si trova la Catalogna rispetto alla questione della propria indipendenza?
Negli ultimi anni si sono sviluppati molti movimenti indipendentisti che hanno incrementato la propria forza. Nel caso
della Catalogna è vero che c’è gran parte della società che richiede l’indipendenza, però c’è una grande differenza, in
quanto lo scontro politico non ha una dimensione violenta come in Euskal Herria. Da parte nostra riconosciamo
completamente il diritto all’indipendenza della Catalogna, così come di tutti i popoli ai quali è negata
l’autodeterminazione.
Cosa pensate dell’ingresso della Turchia in Europa, dal momento che è un paese-guida in materia di repressione?
Amnesty International ritiene che la Turchia sia il primo paese nella violazione dei diritti, e in questa lista la Spagna è
al secondo posto. Anche alla Spagna dovrebbe essere limitato l’ingresso nell’UE.
SOSPESO IL DIRITTO DI MANIFESTAZIONE
L'utilizzo di espressioni ambigue nella sentenza di Garzón contro Batasuna, permette che la decisione
di applicare o no misure rispetto ad una manifestazione sia nelle mani della polizia
Il giudice istruttore della Audiencia Nacional (Tribunale Speciale, N.d.T.) Baltasar Garzón ha adottato
in data 26/08/02 le più drastiche e radicali misure cautelari mai adottate con questo genere di
procedimenti e che si concretizzano nella sospensione previa al giudizio di tutte le attività pubbliche,
private, organiche, istituzionali di Batasuna, tra queste il diritto di indire mobilitazioni, concentramenti,
manifestazioni. Questa dichiarazione di illiceità sarà interpretata estensivamente. Certamente, l'utilizzo
di determinate espressioni ("direttamente o indirettamente", "qualunque altro centro", "come entità o
attraverso i suoi membri", "in tutti gli ambiti") lascia prevedere che per l'applicazione di queste misure
dipenderà dalla polizia determinare se, per esempio, la convocazione di un atto pubblico da parte di
alcuni privati cittadini può essere intesa come una convocazione della formazione, sebbene
semplicemente mascherata. Iñigo Balda, ex consigliere comunale del municipio di San Sebastian per il
partito politico Euskal Herritarrok registra una richiesta di autorizzazione per organizzare una
manifestazione nell'ambito delle fiestas della città. Batasuna ha dato appoggio a questa manifestazione
e pertanto il Dipartimento degli Interni del Governo Autonomo Basco ha deciso di vietarla in base alla
sopraccitata sentenza della Audiencia Nacional spagnola. Il Consiglio aggiungeva inoltre "la possibilità
che durante il suo svolgimento si registrino alterazioni dell'ordine pubblico, come successo in un'altra
manifestazione tenutasi lo scorso 24 luglio a San Sebastian, manifestazione comunicata dalla stessa
persona". In realtà, nel 2003, il Dipartimento degli Interni proibì un'altra manifestazione simile, ma il
Tribunale Superiore di Giustizia del Paese Basco (TSJPV), accolse il ricorso presentato dai promotori
ed indicò che la proibizione non era conforme al Diritto. Così il corteo poté percorrere le strade di San
Sebastian. La stessa manifestazione ha potuto svolgersi senza alcun problema nel 2004. Tuttavia, la
tensione politica intorno a questa dimostrazione è considerevolmente salita, coinvolgendo anche il
presidente del Tribunale Superiore di Giustizia del Paese Basco, Fernando Ruiz Piñeiro, che ha
anticipato la sua decisione mostrandosi soddisfatto per la proibizione del Governo Autonomo appena
venutone a conoscenza, addirittura prima di prendere visione del ricorso presentato dalla difesa degli
organizzatori. Il principale argomento, oltre alla situazione di Iñigo Balda, convocante della
manifestazione e persona in possesso dei diritti civili e politici, si basava sul fatto che la legge stabilisce
un termine di 48 ore affinché il Dipartimento degli Interni si pronunci; ciononostante, questo ha
notificato la proibizione richiesta. Il TSJPV ha deciso di annullare la manifestazione, nonostante il
parere ad essa favorevole del suo presidente, Manuel Diaz di Rabagok, che ha considerato che la messa
fuori legge di un partito politico non comporta la sospensione dei diritti dei suoi membri. Il corteo che,
infine, si è svolto il 14 agosto è stato turbato da gravi incidenti, nel corso dei quali si sono registrati
sette arresti effettuati dalla Ertzaintza (Polizia Autonoma basca, N.d.T.) e vari feriti. Oltre ai proiettili
di gomma ed alle manganellate, si sono avuti molti contusi per cadute nel tentativo di evitare le cariche
poliziesche.
In carcere tre degli arrestati
Dopo quasi 48 ore di isolamento assoluto nella caserma del quartiere Antiguo e dopo essere comparsi
davanti ad un Tribunale di Guardia di San Sebastian, Josetxo Lucas, Unai Sainar ed Iker Carrillo, sono
stati portati in prigione con l'accusa di "manifestazione illegale, attentato contro agenti dell'autorità e
disubbidienza". Altri tre arrestati sono stati rilasciati, ma ogni lunedì dovranno presentarsi in tribunale
per ottemperare all'obbligo di firma.
Tratto da “Islada” n.21, agosto 2005 - www.behatokia.info
RAPPORTO SUL PROCESSO JARRAI-HAIKA-SEGI
Rilevate numerose irregolarità durante l'istruzione e la celebrazione del processo
Lo scorso 21 luglio sono stati presentati in conferenza stampa i risultati della prima dinamica di
osservazione di processi politici sviluppata da una commissione internazionale di giuristi intorno
all'iniziativa Euskal Herria Watch. Questa commissione indipendente ha partecipato con otto dei suoi
membri a diverse udienze dei processi celebrati presso la Audiencia Nacional (Tribunale Speciale,
N.d.T.) di Madrid in febbraio, marzo ed aprile di quest'anno, oltre ad avere realizzato numerose
riunioni con diversi soggetti ed organismi dai quali ottenere informazioni necessarie al suo lavoro di
controllo ed osservazione. Nel rapporto, che si può trovare in versione integrale sul sito
www.ehwatch.org si insiste su diverse delle irregolarità che si sono potute rilevare durante l'istruzione
e la celebrazione del processo; fra esse spiccano aspetti come la violazione del diritto alla difesa, la
mancanza di individualizzazione dei fatti e l'accusa in forma generica e collettiva, oltre all'utilizzo
espansivo dei modelli processuali per potervi introdurre condotte che nulla hanno a che vedere con la
loro redazione ed interpretazione logica. Sono menzionate anche questioni riguardanti il godimento dei
diritti civili più intimi, quali l'utilizzo della tortura per strappare alcune delle dichiarazioni utilizzate nel
processo o il mantenimento in carcerazione preventiva fino al limite massimo permesso dalla legge
(quattro anni), senza che si celebri il processo per diversi degli accusati. Un altro elemento di
preoccupazione riguarda i meccanismi impiegati per la costruzione e per la valutazione della prova;
così, è stato realizzato un elenco di dieci conclusioni nelle quali, la commissione, riassume le sue
principali preoccupazioni. Nella conferenza stampa, inoltre, gli avvocati e membri dell'iniziativa,
Amalia Alejandre e Jose Manuel Hernández, hanno espresso la loro preoccupazione per la sentenza
che, pur riducendo considerevolmente le pretese iniziali dell'accusa, considera Jarrai-Haika-Segi
organizzazioni illegali e condanna diversi loro responsabili a pene che raggiungono i tre anni e mezzo
di carcere. A questo proposito, hanno dichiarato: "crediamo fermamente che questa sentenza costituisca
una pietra miliare, un grave precedente nell'Amministrazione della Giustizia che si svilupperà in altri
processi simili".
10 conclusioni:
1. La difficoltà nell'accesso al diritto alla difesa e la violazione dell'uguaglianza di strumenti fra
accusa e difesa è allarmante.
2. La mancanza di concretezza dei fatti presuntamene delittuosi e nell'individualizzazione delle accuse
contravviene essenzialmente le basi di uno Stato di Diritto, secondo le quali un imputato deve
essere tale per una condotta criminale concreta, rispetto alla quale possa difendersi.
3. L'impiego della carcerazione preventiva fino al suo limite massimo di quattro anni, senza che si
celebri il processo, è una misura repressiva illegittima e sproporzionata.
4. L'utilizzo di dichiarazioni che si deduce essere state rilasciate sotto tortura, costituisce, oltre che la
violazione di diritti umani intrinseca all'atto in sé, un elemento che invalida la costruzione della
prova.
5. La qualità delle prove portate è risultata completamente deficiente, con irregolarità nelle
intercettazioni telefoniche, dubbi razionali sull'origine delle prove documentali e manifesta
inefficacia di quelle testimoniali, dal punto di vista delle pretese dell'accusa. Un commento speciale
merita la prova peritale fornita da membri delle Forze di Sicurezza dello Stato che, pur avendo il
valore di semplici sospetti, presunzioni e speculazioni poliziesche, è stata accreditata dal tribunale
di qualità scientifica, obiettiva ed infallibile.
6. L'invocazione di modelli penali ambigui e la loro applicazione espansiva contraddice il principio di
legalità.
7. Lo Stato, attraverso un processo di carattere politico, pretende di criminalizzare attività legali,
pubbliche e trasparenti; ciò comporta, di per sé, una grave aggressione alla libertà di espressione, di
opinione e di associazione ma, inoltre, la messa fuori legge di Jarrai-Haika-Segi, in queste
condizioni, genera insicurezza giuridica per altre organizzazioni che, svolgendo un'attività simile,
possono vedersi accusate di attività illegale o terrorista, su basi generiche ed eteree.
8. Sebbene non si sia determinata la responsabilità delle persone accusate in tutta l'estensione che,
inizialmente, era pretesa dal giudice istruttore, dalla pubblica accusa e dalle parti civili,
consideriamo eccessivamente gravi le pene comminate agli accusati, diversi dei quali dovranno
ancora affrontare vari anni di carcere.
9. Riteniamo anche che il Tribunale, vedendosi coinvolto dall'elevata politicizzazione della Audiencia
Nacional [tribunale speciale “antiterrorista”, NdR],, sia stato sottoposto ad una forte pressione da
parte di settori politici e mediatici. Abbiamo la sensazione profonda che questa sentenza, più che
cercare giustizia, sia stata una sentenza di compromesso, autogiustificativa, inoltre, delle pene di
fatto scontate dai giovani durante la carcerazione preventiva.
10. Dato che la sentenza stessa non considera i fatti provati costitutivi di attività terrorista o attività
inquadrabile fra i modelli penali di terrorismo ed essendo gli stessi fatti base dei procedimenti
ancora in corso nelle inchieste 18/98 ed in altre, riteniamo che nei prossimi processi la Audiencia
Nacional debba farsi da parte, in favore dei tribunali ordinari competenti. In ogni caso, crediamo
fermamente che questa sentenza costituisca una pietra miliare, un grave precedente,
nell'Amministrazione della Giustizia che si svilupperà in altri processi simili.
Tratto da “Islada” n.21, agosto 2005
www.behatokia.info
PRIGIONIERI E PRIGIONIERE BASCHI PER LO STATUS POLITICO
Comunicato del Collettivo dei prigionieri e prigioniere basche
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No ai maltrattamenti e alle torture: no alla botte, no all’isolamento
Diritto alla sanità: prigionieri malati gravemente a casa
Diritto alla comunicazione: no alla censura
Diritto alla lingua: diritto a vivere in basco
Diritto a studiare: senza nessun impedimento
Diritto a riunirsi nel Paese Basco
Diritto a organizzarsi
Diritto a che si riconosca i nostri interlocutori
Diritto a relazionarsi con altri mediatori
Diritto a partecipare a tutti i dibattiti e decisioni del Paese Basco.
Contro l’isolamento politico, per lo status politico
Prigionieri e prigioniere a casa !!!
CIFRE DELLA DISPERSIONE
Stato di reclusione
Baschi prigionieri
Totale carceri
Distanza media dal
interessate
paese basco
Stato spagnolo
548
52
580 Km
Stato francese
153
31
800 Km
Regno Unito
1
1
Belgio
2
2
Quebec
1
1
Messico
5
2
TOTALE
710
89
Totale rifugiati all’estero (Latinoamerica, ecc…) oltre 2.000
Tratto dalla rivista di “Askapena”, “Herriekiko Euskal Elkartasuna”.