Vinicio Capossela Musica e po

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Vinicio Capossela Musica e po
“Questa non è vanità
aver raccolto dal vento
una tradizione viva”
(Ezra Pound, Canti pisani)
Vinicio Capossela
Musica e poesia
di Catia Manna
Musica e poesia, diverse ma congiunte. Orfeo, musico e cantore della Tracia, era figlio di
Apollo, dio della musica e di Calliope, musa della poesia. Erano già sposate millenni fa,
entrambe incantano e conducono in viaggio l’anima. Oggi, in Grecia, alcuni poeti sono
legati a nomi della musica contemporanea1. Vinicio Capossela sta compiendo in solitaria la
sua traversata fino ai confini dell’uomo. Partito più di venti anni fa, di certo non sapeva dove
sarebbe arrivato. Nel 2011, all’uscita del suo ottavo album, Marinai, profeti e balene,
dichiarò il bisogno di confrontarsi con grandi temi e studiare, “perché siamo noi i primi a
dover preoccuparci della nostra cultura e a inocularla nel Paese, se dall’alto non vengono
stimoli in questo senso”2. Come risultato della sua importante prospettiva, furono di nuovo
vivi Ulisse ed altri personaggi omerici, ma anche Billy Budd e Lord Jim, i protagonisti delle
sue canzoni. Un’opera di rapsodìa, episodi della saga umana cuciti e tramandati. Oggi il
cantautore continua nel recupero delle tradizioni musicali e poetiche, al servizio del tempo
tra passato e futuro: come testimoniano l’ultimo disco Rebetiko Gymnastas e il libro
Tefteri pubblicato nel 2013 da Il Saggiatore, ad animare la sua ultima ricerca sono stati i
rebetes, gli ultimi cantori della Grecia. L’interesse per le radici era appartenuto all’ultimo De
Andrè che voleva essere ricordato come poeta3, per le sue parole prima di tutto (Crêuza de
mä del 1984 è interamente cantato in genovese). Vinicio Capossela si esibisce cambiando
repertorio a seconda dei luoghi e delle occasioni, ricordando da vicino, anche in questo, gli
aedi antichi, molto lontano dal ripetitivo delle proposte artistiche contemporanee nel nostro
paese.
Il suo viaggio prese le mosse, almeno ufficialmente, con l’album All’una e trentacinque
circa del 1990. La scrittura delle prime canzoni è naturale come le immagini che esse
evocano (la notte, i ricordi, la nostalgia, la pioggia), lontana dalla veste letteraria delle
canzoni più recenti. Christmas song, Suite dalle quattro ruote e Stanco e perduto,
tratte dal primo disco, hanno come punto di partenza e di osservazione la strada.
Christmas song
1
http://rebstein.wordpress.com/category/massimiliano-damaggio/
2
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/04/26/vinicio-capossela-tra-marinai-profeti-e-balene/
3
http://www.youtube.com/watch?v=PIc-jsU8uvg
Sta piovendo sulle luci
della strada
accendono i lampioni
è tempo di Natale
e tu
sei qui con me
i tuoi vestitini allegri
sono addosso sotto i miei
Gioco col cappello vecchio
mentre i soldi cadon dentro
sono un dolce vagabondo
che ha lasciato il suo tesoro
e tu
sei qui con me
ti ho nascosta nel giaccone
per non farti prender freddo
I ragazzi stanno urlando
ed il flipper tintinnando
sono solo qui a guardarli
in uno spruzzo di ricordi
e tu
sei qui con me
faccio un brindisi per noi
a quando ti rincontrerò
Suite delle quattro ruote
E quanto è lunga una vita
nelle luci di un'autostrada
tra i lampioni di ferrovia
di notte a bere senz'allegria
e i ricordi son come monete
persi al gioco della memoria
ricordi consumati
e poi fuggiti via
e questa allegria
così stanca di perdersi fra un attimo
e tornare chissà quando
mentre fuori i grilli saltano nell'acqua
e la nostalgia si spegne
nella pioggia
Le gocce d'acqua sul parabrezza
stanno brillando come diamanti
ne porterò uno anche a lei
e chissà se lei ricorda
i profumi della notte
quando alla finestra
sognava d'esser grande
e il cuore le batteva
come un pulcino
tra le mani
E anche stanotte
è scomparsa
qualche vicino si sveglierà
il mio cane abbaia sempre un po'
sentendo il camion arrivar
Stanco e perduto
Stanco e perduto
ma ero allegro quando me ne andai di casa
e certe stelle splendevan forti
a far luci e ombre
sul mio cammino
perso e solitario
non riesco a ricordare
le tristi note degli occhi
e le corse dietro alla luna
fuggite via
E le colline sembravan fantasmi neri
su un fondo blu
e le strade più misteriose d'adesso
facevan largo
alla nostra euforia
la notte passava in fretta
e non sarebbe più tornata
fuggita via
anche lei
E proprio l'altro giorno un vecchio amico
mi dice corri a casa
tutto è cambiato
tua sorella aspetta un figlio
e tuo padre
ha bisogno di te
subito a casa
E io che posso fare
stanco e perso su una strada
questioni di sfratto
faccende di soldi
ma non importa
prenderò il primo treno
e verrò là
E ora questa storia sembra un vecchio ritornello
una serenata
fatta a una luna traditrice
e mi trovo tutto solo qui a cantarla
tutti gli altri son scappati via
poesie, folletti, pazzi
amori persi e diventati
nostalgia
Autostrade, ferrovie (tra i lampioni di ferrovia, prenderò il primo treno). Suite a quattro ruote
per chi è alla ricerca, non soltanto di sé. Prima dei topos letterari (la strada, il viaggio) c’è
l’uomo che si allontana da ciò che ha e cammina guardando in alto solo per essere degno
del suo nome (ànthropos significa letteralmente colui che guarda in alto, come sottolinea
anche l’autore in Tefteri). Aspira all’universale, a qualcosa che non lo riguarda in prima
persona. Allora le partenze sono leggere (ero allegro quando me ne andai di casa), ma nel
tempo le valigie si fanno pesanti. Si depositano i ricordi, monete perse al gioco della
memoria. La scommessa con se stessi è guardare in alto, mentre tutto fugge via. Nel
tempo affiora la nostalgia dei punti fermi a cui non ci si può più dedicare e che si possono
solo immaginare vicini (sei qui con me, ti ho nascosta nel giaccone per non farti prender
freddo). Nel suo ultimo libro, Tefteri, citato sopra, Vinicio Capossela parla dei sui genitori:
“Ora come ora mi iniziano ad arrivare pesi. La vecchiaia dei miei, i destini mancati, la
solitudine. È pericoloso sedersi e ascoltare. Mettersi da soli a tiro di questa mareggiata. È
una gioia che piega le gambe, che può farti cadere come un colosso di creta”. La canzone
Ovunque proteggi dell’album omonimo (2006) sembra parlare proprio della stella polare
che in ogni luogo buio ci illumina il ritorno, gli affetti familiari ad esempio. Nelle tre canzoni
sopra il viandante pensa sotto la pioggia, nelle notti di luna, illuminato dai lampioni di
Natale, al freddo, Stanco e perduto (Solo et pensoso scriveva Petrarca). Vive la sua
poetica quotidianità: “e anche stanotte è scomparsa, qualche vicino si sveglierà, il mio cane
abbaia sempre un po’ sentendo il camion arrivar”. Rimane infine il solo a guardare in alto,
“tutti gli altri sono scappati via”. Canta la “luna traditrice”, in mezzo a “poesie, folletti, pazzi
amori persi e diventati nostalgia”. Il concetto di inganno è riferito alla poesia, come
sottolinea il cantautore in quest’ultimo verso, ad una vita spesa per essa a scapito di tutto
ciò che riempie la quotidianità degli uomini. Nella canzone Le sirene dell’album Marinai,
profeti e balene il loro canto incessante impedisce il ritorno a casa ed è “pieno di inganni, ti
toglie la vita mentre la sta cantando”. Questa è la poesia: l’ipnotica ed emozionante ricerca
dell’uomo, le rinunce sulla pelle, la solitudine. Le autoreferenziali presenze o assenze, le
parole senza contenuto, sono un’altra cosa. Vengono in mente le parole che Edoardo De
Filippo pronunciò durante la sua ultima apparizione pubblica nel 1984. Esse si riferiscono
alla sua attività teatrale, ma possono benissimo riguardare la poesia di cui egli peraltro era
autore: “Fare teatro sul serio significa sacrificare una vita. Sono cresciuti i figli e non me ne
sono accorto…una vita di sacrifici e di gelo… il cuore ha tremato sempre tutte le sere e l’ho
pagato”4.
(1 - continua)
4
http://www.youtube.com/watch?v=tM7VJhMvHZ8