La Scuola di Milano: filosofi, letterati. E una poetessa
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La Scuola di Milano: filosofi, letterati. E una poetessa
Pagina 1 di 18 Scuola Milano Banfi – www.Filosofia in Circolo 1. La Scuola di Milano: filosofi, letterati. E una poetessa 2. La fenomenologia di Banfi 3. La fenomenologia di Paci 3.1 epoché e ascesi 3.2 intenzionalità/precategoriale/Lebenswelt 3.3 tempo/soggetto/persona/intersoggettività/storia 4. Dibattito Filosofia in Circolo (Circolo Sarcinelli) 17.01.2011 1. La Scuola di Milano: filosofi, letterati. E una poetessa Scuola di Milano è espressione che designa i filosofi e i letterati cresciuti all’insegnamento di Antonio Banfi (1886-1957) presso l’Università statale di Milano, nei decenni Trenta-Sessanta del Novecento. L’espressione si deve a Fulvio Papi, ultimo assistente di Banfi, che così sottotitolò il suo libro Vita e filosofia (1990). Scuola di Milano è il sottotitolo anche del libro di Gabriele Scaramuzza L’estetica e le arti (2007). Banfi insegnava Storia della filosofia e per un certo periodo Estetica. Le sue lezioni erano quindi frequentate da studenti di Filosofia e da studente di Lettere. I nomi principali fra i filosofi che diventarono poi docenti universitari sono Enzo Paci (1911-1976), Remo Cantoni (19141978), Giulio Preti (1911-1972), Luciano Anceschi (1911-1995), Luigi Rognoni (1913-1986), Dino Formaggio (1914-2007), Giovanni Maria Bertin (1912-2002). Aggiungiamo Franco Fergnani (1927-2009), laureato con Banfi nel dopoguerra e che insegnò Morale alla Statale. Visse privatamente Miro Martini (1905-1951), autore di un’opera semisconosciuta ma valida, La deformazione estetica (1955). Tra i «letterati»: Maria Corti (1915-2002), studiosa di critica letteraria, che a Pavia dove insegnava realizzò un importante Fondo manoscritti, autrice anche di due romanzi da leggere: L’ora di tutti (1962) e Il ballo dei sapienti (1966); Vittorio Sereni (1913- Pagina 2 di 18 1983), che di Banfi fu assistente proprio a Estetica, uno dei maggiori poeti del secondo Novecento, autore tra l’altro delle raccolte Frontiera (1941), Gli strumenti umani (1965), Stella variabile (1981). Vi fu anche Guido Morselli (1912-1973), che scrisse romanzi tra i migliori del secondo Novecento (Roma senza papa, Dissipatio H.G.), apparsi postumi. Si laureò con Banfi con una tesi su Gustave Flaubert Antonia Pozzi (1912-1938). Faceva fotografie molto belle. Ha lasciato una raccolta di poesie, Parole, e i Diari. Frequentava le aule universitarie, portato dal suo compagno di Liceo Alberto Cantoni, il primogenito di Arnoldo Mondadori, il più grande editore italiano. Si chiamava Alberto (1914-1976) e aveva tra l’altro una forte passione per il cinema d’autore, che stava allora nascendo a Milano (si veda Estetica e cinema a Milano, a c. di E. Dagrada – R. De Berti – G. Scaramuzza, Quaderni di Materiali di Estetica n. 3, CUEM, Milano 2006). Alberto Mondadori portava sempre con sé il cugino Mario Monicelli (19152010), che sarebbe diventato uno dei massimi registi cinematografici italiani. Quando Alberto Mondadori fonderà la sua Casa editrice – il Saggiatore chiamerà a collaborare molti «banfiani» (si veda E. Renzi, Il grande amico. Alberto Mondadori, Remo Cantoni e l’editoria culturale milanese tra gli anni Trenta e il 1976, in Remo Cantoni, a c. di M. Cappuccio e A. Sardi, CUEM, Milano 2007, pp. 149-166). Alberto Mondadori con altri giovani, primo dei quali Ernesto Treccani (1920-2009) figlio di Giovanni Treccani degli Alfieri fondatore nel 1926 con Giovanni Gentile (1875-1944) dell’Enciclopedia Treccani, e pittore in proprio, aveva fondato una rivista di letteratura e cultura, Camminare, che con altre era parte del movimento giovanile fascista. Saranno soppresse per il loro spirito di «fronda» all’approssimarsi della guerra, negli anni 1938’39. Se guardiamo infatti le date di nascita dei filosofi e letterati della Scuola di Milano comprendiamo subito che dovettero tutti affrontare anni pesanti e una prova terribile: gli anni dell’affermarsi Pagina 3 di 18 in Italia e in Germania delle dittature di destra (e nell’URSS di sinistra), gli anni della Seconda guerra mondiale. Degli allievi nel frattempo divenuti insegnanti di Liceo, Formaggio, Cantoni e soprattutto Rognoni parteciperanno alla Resistenza. Sereni catturato in Sicilia sarà prigioniero in Algeria (da cui la raccolta Diario d’Algeria, 1947 – si veda Il male del reticolato di Stefano Raimondi, CUEM, Milano 2007). Paci catturato in Grecia sarà prigioniero negli stalag germanici, dove terrà lezione agli internati, farà la conoscenza del filosofo francese Paul Ricoeur (1913-2005) e leggerà il filosofo Giambattista Vico (1668-1744). L’ultimo assistente di Banfi è stato Fulvio Papi (1930-). Oltre al libro eponimo Papi ha scritto su Giordano Bruno e su Sereni, sulla Pozzi, sull’ontologia e sull’architettura. L’ultimo laureato con Banfi è stato Guido D. Neri (19352001), che insegnò a Verona. I suoi saggi sono stati raccolti ne Il sensibile la storia l’arte. Scritti 1957-2001. Importante per il nostro discorso è Crisi e costruzione della storia: sviluppi del pensiero di Antonio Banfi (1988). Su di lui si veda ora Luciano Fausti, Guido Davide Neri tra scepsi e storia. Un percorso filosofico (2010). La “Scuola” di fatto se non di nome continua. Molti docenti della Statale di Milano hanno studiato con Paci: Carlo Sini, Andrea Bonomi, Giovanni Piana (e con lui Paolo Spinicci), Stefano Zecchi, Amedeo Vigorelli. Altri, con Cantoni: Carlo Montaleone; altri ancora con Dino Formaggio: Gabriele Scaramuzza, Elio Franzini… sono cenni, non è un elenco. Aggiungiamo Alfredo Marini a Milano, Salvatore Veca a Pavia, Pier Aldo Rovatti a Trieste, Sergio Mancini a Palermo, Marcella Pogatschig a Pavia, Vincenzo Costa a Teramo. Alcuni tra gli allievi degli allievi hanno parlato a questo cenacolo: Vincenzo Costa, Paolo Spinicci, Luca Vanzago. In prima approssimazione possiamo dire che l’insegnamento di Banfi si mosse tra Simmel e Husserl (solo alla fine, Marx). Ognuno dei discepoli ebbe un proprio sviluppo teoretico e didattico: Cantoni l’antropologia e la letteratura della crisi (Kafka, Dostoevskij), Preti l’epistemologia, Anceschi Pagina 4 di 18 l’estetica, Bertin la pedagogia. Paci, la fenomenologia con rilevanti aperture sulla scienza e la letteratura (Mann, Rilke). 2. La fenomenologia di Banfi «Quando, dopo aver letto senza sufficiente comprensione le Meditazioni cartesiane, nel 1933, ho chiesto a Banfi di aiutarmi, non mi parlò del contenuto di quel libro. Questo fatto è significativo… Banfi mi disse qualcosa di molto semplice. Eravamo nel suo studio. ‘Vede questo vaso di fiori? Provi a dire, a descrivere quello che veramente vede.’ Io non volevo accettare questa proposta. E riproponevo i problemi tradizionali della filosofia. Ora so molto bene che cosa Banfi voleva dire e so che cosa vuol dire per me. Posso dire che il vaso di fiori è un cilindro. Ma in realtà il termine ‘cilindro’ è troppo compromettente perché deriva da una scienza che conosco, ma di cui, per ragioni di metodo, non devo servirmi. È meglio che io guardi liberamente e che cerchi di usare e di rinnovare il linguaggio comune. Per esempio: la superficie del vaso al centro mi appare più vicina, mentre gradatamente verso i lati è più lontana. Si allontana con le modalità tipiche di una curva, in modo tale da darmi l’idea di essere rotonda, e posso presumere che questa idea sia confermata se mi muovo e vado a vedere come mi appare, come mi si rivela il vaso, via via che lo guardo durante il mio spostamento. Ma il vaso non è soltanto una forma. È un solido, ha dei colori. Si trova in una certa luce, in un certo chiaroscuro. Posso, se mi avvicino, toccarlo… In realtà ciò che è in giuoco è il modo con il quale io ho esperienza della realtà, è il mio Erlebnis della cosa, il modo con il quale la cosa mi si dà, il come mi si dà. La fenomenologia è la scienza delle modalità del darsi, è la scienza dei “come”. Mi fa vedere come io “costituisco” le cose, il mondo. E non solo questo. Ho esperienza delle mie percezioni, dei miei sentimenti, del mio corpo, della impenetrabilità e della materialità delle cose, delle peculiarità dei corpi viventi (dei Leiber), di tutte le loro operazioni Pagina 5 di 18 e della storia delle loro operazioni, comprese le operazioni culturali e quelle sociali»1. In questa lunga, suggestiva citazione, pregna di insegnamenti impliciti, avvertiamo che in verità Paci è come sovente gli capita generoso con il suo maestro. L’interpretazione banfiana della fenomenologia husserliana – la prima in Italia e tanto più significativa in quanto corroborata da un personale rapporto di conoscenza nel 1923 – tende a privilegiare la funzione della coscienza trascendentale rispetto alla concezione delle essenze come strutture a priori della realtà o in altri termini delle categorie logiche stesse. Per Banfi la fenomenologia più che un sistema è «una sistematica universale aperta ed infinita… essa intende, da un lato, offrire al sapere, assunto nella sua complessità, non una sintesi semplice ed assoluta, ma un principio di integrazione e di sviluppo teoretico; dall’altro, giustificare e regolare l’apporto di sempre nuovi e più profondi elementi di esperienza al sapere stesso, permettendo una sempre più vasta estensione e specificazione dei quadri concettuali». È, come si vede, una concezione antidogmatica, fondamentalmente razionalistica, tale quindi da integrarsi nel lavoro teoretico che Banfi stava sviluppando e che avrebbe visto la luce nella sua opera filosoficamente maggiore, i Principi di una teoria della ragione, del 1926. Le opere di Husserl che Banfi conosceva e maneggiava erano ovviamente quelle apparse allora in edizioni a stampa: le annate della sua rivista («Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung»), le Ricerche logiche, la Filosofia come scienza rigorosa, soprattutto Idee I. Resterà esterno agli sviluppi successivi, salvo prender nettamente posizione contro lo sviluppo interpretativo che della fenomenologia husserliana darà il più famoso degli assistenti di Husserl è a dire Martin Heidegger. La fenomenologia – sostiene Banfi è una teoria della coscienza in quanto tale, non è un’analitica esistenziale; non si fa mettere in 1 E. Paci, Diario fenomenologico, il Saggiatore, Milano 1961, pp. 86-87. Pagina 6 di 18 scacco dai vari momenti del funzionamento della psiche e dai loro presupposti non esplicitati, unilaterali non universali. Banfi sa bene che la vita ha le sue ragioni che la ragioni non ha. Ha scritto. «non è il pensiero che insegna a vivere alla vita, ma la vita che insegna al pensiero a pensare». Quando nel dopoguerra i testi e i manoscritti degli anni Trenta saranno diventati uno dei libri del secolo –La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (pubblicata da Walter Biemel nel 1954) Banfi riprenderà in mano la fenomenologia in un saggio che è tra gli ultimi della sua vita (1957, in «aut aut» 43-44, 1958). In esso un senso di rispetto profondo si intreccerà con un sostanziale e finale distacco a favore della storia come lotta di classe: «Nella interpretazione idealistica della criticità della ragione come autoriflessione, che pone a sé se stessa come oggetto e si costituisce nell’universale essere dello Spirito, sembra riaffiorare il fantasma di un dogmatismo metafisico, il quale, come tutti i dogmatismi metafisici, è inficiato da un’analogia, da una contaminazione empirica, l’analogia con l’autocoscienza personale». Come dire: la crisi dell’umanità è ridotta a crisi della filosofia, «crisi di coscienze speculative e solo di riflesso crisi di umanità. Cosicché la sua risoluzione rimane pur sempre una risoluzione speculativa». Mentre invece «i valori nascono dalla storia combattuta degli uomini: la ragione interviene a risolvere la fissità dogmatica e retorica…Ma è chiaro allora che la crisi attuale non è rivelazione di una crisi metafisica, né crisi speculativa, ma essenzialmente crisi storica». Che, per il Banfi di allora, si identificava tout court con il giudizio politico presente e le presunte condizioni della lotta politica, con le sue dure parzialità. Ora, non è a che a credere che Paci abbia proseguito la fenomenologia di Husserl/Banfi in linea diretta. Quando nella seconda metà dei Cinquanta Paci stesso parlerà di «ritorno a Husserl», è evidente che si tratta di una «ripartenza». Di mezzo ci Pagina 7 di 18 sono stati vent’anni di maturazione filosofica i cui apici stanno nelle parole-formula «esistenzialismo positivo» e «relazionismo». 3. La fenomenologia di Paci L’interpretazione e sviluppo della fenomenologia operati da Paci può essere indicata nei seguenti tre «fuochi» tematici, beninteso connessi tra loro: 3.1 epoché e ascesi 3.2 intenzionalità/precategoriale/Lebenswelt 3.3 tempo/soggetto/persona/intersoggettività/storia È necessaria una premessa prospettica. La ricerca filosofica di Paci prende le mosse con lo studio del Parmenide di Platone per la laurea con Banfi e con una serie di saggi che confluiranno in opere di formazione, che però vogliamo definire già sicure di sé: Principi di una filosofia dell’essere (1939); Pensiero esistenza valore (1940); in cui l’antinomia tra essere (la ragione) e non essere (la possibilità negatività dell’esistenza o comunque la sua limitatezza) è mediata e risolta dal valore ossia dalla guida dell’ideale regolativo quindi sin da subito ha una dominante veritativa ed è dominata dal problema della relazione; Esistenza e immagine (1947); Il nulla e il problema dell’uomo (1950); Esistenzialismo e storicismo (1950); sino a Tempo e relazione (1954) e a Dall’esistenzialismo al relazioniamo (1957) - nello stesso anno, Storia del pensiero presocratico. In queste due ultime opere si sciolgono le tematiche affrontate nei libri sull’esistenzialismo e sui rapporti tra esistenzialismo e storicismo crociano. Pagina 8 di 18 Già da questo sommario elenco emerge che il diagramma di Paci è quello di un homme qui cherche: che non si quieta, sempre all’ascolto di sé e degli altri. Gli altri, chi sono? Sono i filosofi francesi che in modi vari continuano e innovano Husserl e contrastano Heidegger: Merleau-Ponty innanzitutto, Sartre, Ricoeur; gli inglesi: Whitehead, in subordine Wittgenstein (la formula di Whitehead «concretizzazione mal posta» sarà citata ancora nell’ultima grande opera di Paci, Funzione delle scienze e significato dell’uomo, p. 35); gli americani: Dewey e Santayana; i neopositivisti inglesi e americani; last but not least, i letterati gli architetti i designers eccetera… di questi mi permetto di non parlare, rimando alle raccolte di scritti di Paci pubblicate nei tre volumi intitolati Relazioni e significati (1965-1966). In Dall’esistenzialismo al relazionismo si trova il saggio sullo «schematismo trascendentale». Lo «schematismo trascendentale» può essere così sunteggiato: è la messa a sintesi delle modalità dell’intuizione sensibile e con il piano delle raffigurazioni categoriali, tra soggettività e mondo esterno. È quella modalità di trascendimento che permette di superare il dato preesistente, concluso, verso nuovi orizzonti di significato non idealisticamente azzardati ma evocati in quanto possibilità reali. Il fondamento è quindi estetico-sensibile, lo sbocco è tensione al giudizio fondato e al tempo steso aperto al significato anzi ai significati successivi. In altri termini, ecco dunque le categorie della possibilità (che Paci condivide con Abbagnano) e della relazione (che Paci condivide con Whitehead). «Categoria» non deve esser assunta in senso logistico o, da un altro punto di vista, ontologico o sostanzialistico; ché tutte riportano a, anzi insistono nella temporalità. «Ciò che esiste è nel tempo; non c’è esistenza che non sia nel tempo; non c’è esistenza che non si consumi e non dia luogo a nuova vita» (Tempo e relazione, p. 13). La temporalità è irreversibilità ed è insieme possibilità simbolica ossia Pagina 9 di 18 progettualità. Questo indica la via verso un tentativo di riconsiderazione plurale, dialettica e interattiva, tra natura e storia, tra storia, saperi e soggetti. Allo spirito e alla pratica di ricerca sempre rinnovata di Paci l’approdo relazionistico non è sufficiente. Ne avverte il possibile limite nella mancanza di radicalità. Cerca una fondazione filosofica del vivente. Un fondamento che non rimandi a nient’altro che alla vita, alla vera vita in noi; alla vivente presenza. Nel lessico husserliano: lebendige Gegenwart. Nel fenomeno la presenza del vivente è l’evidenza e in questa evidenza si trova il significato di verità dell’esistenza. Per questo l’esistenzialismo ha le sue radici nella fenomenologia e comprendere e sviluppare l’esistenzialismo nella direzione della “persona concreta” (espressione che Paci usa più frequentemente di quanto si consideri di solito) richiede che si vada alle radici dell’esistenzialismo stesso: la fenomenologia. Non si comprendono Heidegger, Merleau-Ponty e Sartre se non risalendo a Husserl. In altri termini Paci cerca una filosofia che non rinneghi anzi rinnovi dal profondo il cammino che lui ha percorso. Le fondamenta e i materiali e il metodo, Paci li trova nella possente riconsiderazione della propria stessa filosofia e dell’intera parabola della filosofia occidentale operata da Husserl negli scritti riuniti, come sappiamo, nella Crisi. Paci comincia a parlarne a lezione nell’ultimo anno accademico a Pavia, nell’inverno tra il 1957 e il 1958. L’anno successivo lo vedrà a Milano e allora la fenomenologia – la sua interpretazione della fenomenologia diventerà centrale e apicale. Paci sarà in grado di far apparire nel 1960 il volume celebrativo del centenario della nascita di Husserl, un’iniziativa a livello europeo, dal titolo ben «paciano»: Husserl sempre di nuovo. Perché «paciano»? perché Paci legge (e fa leggere) Husserl in un duplice e intrecciato percorso: testi e nel concreto della pratica culturale. Nei testi: tutti gli editi, finendo con lo spostare l’accento sulle Meditazioni cartesiane e sulla Crisi e sugli inediti, soprattutto Pagina 10 di 18 quelli sul «tempo» – cercando semmai nelle prime opere le premesse non colte o non esplicitate delle ultime Nella pratica culturale: l’intenso lavorio quasi quotidiano dei saggi in «aut aut», rivista che avrà una forte presenza extra accademica, e nella rubrica Il senso delle parole. E nei rinnovati anzi approfonditi rapporti con l’editoria, i letterati, gli architetti; nel Sessantotto e dopo, con gli studenti della contestazione. Altri libri, naturalmente: perché «un libro di fenomenologia è, come la maggior parte delle opere di Husserl, un diario filosofico e scientifico nel tempo» (Idee per una enciclopedia fenomenologica, 1973, p. 5). La premessa prospettica è stata forse un po’ lunga ma è parsa necessaria per comprendere prima ancora che il contesto storico lo sviluppo interno ossia la problematica teoretica affrontata ed elaborata. Il primo «fuoco» tematico comprende i temi dell’epoché come ascesi. 3.1 Epoché e ascesi L’epoché o riduzione fenomenologica è più che la messa tra parentesi, la sospensione di ogni giudizio precedente. È il rifiuto di accettare un mondo falsificato, inautentico; è la negazione di una eredità senza beneficio di inventario; è rifiuto o abbandono dell’atteggiamento naturale o mondano o abitudinario o della cattiva quotidianità o del fisicalismo o meccanicismo o chimismo (in una parola, dell’obiettivazione scientista-positivistica). È un «esercizio» (in greco: ascesi) è «tornare alle cose stesse». Ciò che si presentifica, che diventa presente dopo l’epoché, è il fenomeno – da cui «fenomeno-logia»!, ed è lebendige Gegenwart, presenza vivente: evidenza. È ricerca del significato della vita, è tensione verso la trascendenza di nuovi orizzonti. L’epoché non è o non è solo atto teoretico, formula conoscitiva; è bensì esperienza concreta, totale – Pagina 11 di 18 è ritorno al mio Io (Io trascendentale). Come dire che il soggetto non è cera malleabile né materia inerte, che attende le sensazioni dall’esterno. È (vedremo) intenzionalità. L’epoché legge e interpreta la fenomenologia come esercizio e ascesi – esercizio continuo, quindi «stile di vita», più e prima che dottrina/dottrinarismo. La coscienza è sempre in prima persona (e in carne e ossa), così Husserl nelle Meditazioni cartesiane, la cui conclusione è: «La scienza positiva è una scienza dell’essere che si è perduta nel mondo. Bisogna ora perdere il mondo con l’epoché per poi ritrovare il mondo in una presa di coscienza universale di sé. Noli foras ire dice sant’Agostino in te redi, in interiore homine habitat veritas». 3.2 Il secondo «fuoco» tematico comprende dell’intenzionalità/precategoriale/Lebenswelt i temi L’intenzionalità (che si deve a Franz Brentano, 1838-1917) significa che la coscienza è sempre «coscienza di-» (oggetti reali, oggetti immaginari, psichici ecc.). È oltrepassamento, Paci amava citare la definizione data da Sartre, «esplosione verso» (s’éclater vers, in Che cosa è la letteratura, il Saggiatore 1960, anche in Tempo e verità, p. 171). È dentro e fuori, è da dentro verso il fuori: nessun fenomeno fisico può esser valutato alla stessa maniera. È il «vaso di fiori», che conosciamo: io vedo il vaso ma anche l’essenziale, è la figura geometrica, è l’immagine fantastica e l’alone di quella immagine e quindi ciò che caratterizza tutto un tipo di immagini fantastiche, dunque tutta una serie di costanti ossia di leggi universali… eide, essenze Già nella «fenomenologia delle essenze» propugnata in Idee I Paci coglieva e sviluppava il fondamento della conoscenza nelle operazioni (Leistungen) soggettive e intersoggettive. Vi leggeva anche il problema del tempo e quelli della costituzione trascendentale e della costituzione della cosa. La fenomenologia si Pagina 12 di 18 definisce insomma per il suo antirelativismo oltre che antipsicologismo (a non dire antinichilismo!). La coscienza trascendentale o intenzionale è presente che si fa nel presente, nell’incontro/scontro con l’altro, concretamente ossia tra istinti e bisogni, corpo e le sue cinestesi, sentire e sesso e amore : Einfühlung. È «monade concreta», è «io indeclinabile» (Funzione delle scienze, p. 108). E tutto questo è mio e non mio soltanto, perché è della vita, la vita fungente originaria che vive in me – è Lebenswelt. Afferma Paci: Lebenswelt non è altro che l’esistenza dell’esistenzialismo (La fenomenologia nella cultura contemporanea, in Terzo Programma – 1, gennaio-marzo 1961, ERI, p. 83). La vita antecede la scienze della vita, le metodologie. le analisi linguistiche. i linguaggi tecnici, i simbolismi, i formalismi. La coscienza si costituisce nel corpo («corpo proprio» avrebbe detto Merleau-Ponty: è quando la mia mano tocca l’altra mia mano) e nel divenire. «In fondo ha scritto Paci tutta la fenomenologia potrebbe risultare chiara a chi riuscisse a congiungere davvero, scientificamente e moralmente, la parola “vita” alla parola “verità”» (ibid., p. 78). Nelle Meditazioni cartesiane Husserl sviluppa la fenomenologia descrittiva come fenomenologia dinamica o genetica: io sono man mano infante, fanciullo, personalità adulta nell’ambiente e nella storia e nelle comunità e nella civiltà – in una parola, nel tempo. 3.3 Il terzo «fuoco» tematico comprende i temi tempo/storia/soggetto/persona/intersoggettività/crisi/telos del Sempre più importanti alla lettura e all’interpretazione si rivelano le Lezioni sulla coscienza interna del tempo (1928, tradotte in italiano da Alfredo Marini). Esse e vari manoscritti antecedenti (Bernau, 1917) erano noti a Heidegger, noi oggi sappiamo esser stati all’origine di Essere e Tempo. Pagina 13 di 18 Nella Meditazioni cartesiane Husserl aveva iniziato la disamina del tempo citando Agostino: si nemo a me quaerat scio, si quaerenti explicare velim, nescio (Confessioni, XI, 19-28). Il tempo è fluire delle percezioni originarie («inferiori»), è sentire vivente, è presente che ritiene in sé il passato come la scia di una cometa, come la eco di un suono: è ritensione è attesa anticipatrice o protensione il presente è tutte queste cose nella presentificazione è la celebre tripartizione con cui Husserl fornisce una prima, non conclusiva, sistemazione del problema del tempo. Nel tempo io mi faccio io – tempo quindi come principium individuationis – crescita come persona nella responsabilità ossia nella storia. È appena il caso di aggiungere che qui si radicano le opere di Heidegger, Merleau-Ponty, Paul Ricoeur (del quale ricordiamo soltanto i tre tomi di Tempo e racconto, 1983-1985). Del resto lo stesso Paci al libro (dedicato “Ai miei giovani amici dell’Università di Milano”!) in cui assumeva in pieno la fenomenologia come filosofia prima del suo itinerario aveva dato il titolo Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, dove Tempo e verità… è il rovesciamento del titolo dell’opera di Heidegger. L’ultima forma in cui la coscienza intenzionale vuole individuarsi ossia realizzarsi è, nell’ultimo Husserl ossia nella Crisi, l’umanità che vuole realizzarsi in una vita autentica e razionale e che vede questo ideale come telos. Vi è un nesso tra comportamento personale e sociale, etica e storia, che Husserl e Paci vedono in modi personali e convergenti nella storia nonostante che nella storia via sia stata e vi sia la violenza (che Husserl chiamava «barbarie» e Paci vichianamente ingens sylva). Pagina 14 di 18 Tutto questo non è naturalismo e non è solo organicismo (non le parti ma il tutto), perché Paci vi vede e afferma appunto il telos, il fine: la teleologia. Si innesta qui nel Paci di quegli anni la rilettura del marxismo, innanzitutto Labriola e poi Gramsci (ma anche Mondolfo). Difatti Paci nella Terza parte di Funzione delle scienze usa l’espressione «socialismo italiano». Nella rilettura di un certo Marx (sostanzialmente quello umanistico dei Manoscritti economico-filosofici del 1848 – ma non mancano ampie parafrasi del Capitale), Paci intende sottolineare l’istanza antireificazione, antioggettivazione, antifeticizzazione eccetera – e dunque in traduzione macropolitica l’anticapitalismo e l’antiburocraticismo sovietico. La stessa «crisi delle scienze europee» non è per Husserl e per Paci rifiuto delle scienze in quanto cause o concause della barbarie o cosalizzazione della soggettività. Bisogna infatti chiedersi: come si è arrivati alla crisi? Husserl aveva individuato due figure che ne erano alla radice: Galileo, definito «scopritore e ricopritore»: perché la tematizzazione della realtà come geometria pura è rifiutata da Husserl in favore dell’origine («della geometria»!). Così in Funzione: «Con Galileo per Husserl la dimensione categoriale della matematica si sostituisce al mondo veramente esperito ed esperibile, al nostro mondo reale e quotidiano della Lebenswelt: la natura idealizzata si sovrappone alla natura intuitiva prescientifica» (p. 34). Cartesio, definito «genio del radicalismo filosofico». Cartesio è inserito in una comunità di filosofi che inizia con Talete eppure ricomincia daccapo…, anche lui, aggiungiamo noi (Funzione, p. 42). La conclusione di Husserl consiste nel messaggio seguente: «La crisi dell’esistenza europea ha solo due vie d’uscita: il tramonto dell’Europa nella alienazione dal suo proprio senso della vita, la sua caduta nell’odio contro lo Spirito e nella barbarie, Pagina 15 di 18 oppure la rinascita per mezzo dell’eroismo della ragione per vincere definitivamente il naturalismo. Il più grande pericolo dell’Europa è la stanchezza. Se combatteremo questo pericolo da buoni europei, con un valore che non teme anche la lotta infinita, allora dal fuoco distruttore della mancanza di fede, dal subdolo fuoco del dubbio in una missione umana dell’Occidente, dalle ceneri della grande stanchezza, rinascerò la fenice di una nuova spiritualità e interiorità di vita come pegno di un futuro umano grande e lontano: poiché solo lo Spirito è immortale». Personalmente sono rimasto colpito – oggi decisamente più di cinquant’anni fa dall’impiego ripetuto di questa parola: «stanchezza, grande stanchezza…». Riprendiamo: la Crisi di Husserl è critica della scientificità ed è anche ricerca delle cause ma anche del rimedio. Il rimedio è la fondazione del valore razionale e umano delle scienze tramite una riflessione e una ricerca non mai conclusa della verità sul fondamento precategoriale delle scienze ossia sulla Lebenswelt, l’esperienza originaria che precede ogni categoria scientifica, le operazioni che i soggetti compiono nel tempo. Questo è il motivo per cui i filosofi sono definiti «funzionari dell’umanità» (Crisi, p. 46). Si capisce meglio ora cosa intendesse Husserl nel 1911 definendo la filosofia strenge Wissenschaft: strenge vuol dire «radicale». Ossia che va alle radici, che riconduce ogni verità all’Io trascendentale, ogni scienza alle sue origini e finalità, oltre la tecnica/tecnicismi, per procedere invece verso analisi originali e fondate, nel senso di «ontologie regionali». Paci si è così anche aperto la strada per una «Enciclopedia» dei saperi. Paci vi vede una «scienza nuova»: il termine è deliberatamente preso da Vico. La fenomenologia come scienza nuova, nel senso di sintesi dinamiche delle attività umane – dalla socialità nella storia alla problematica religiosa, che paci considerò sempre con approccio anti-istituzionale e tuttavia con molta attenzione. Perché intendeva la religione come «vita nova». Pagina 16 di 18 Possiamo concludere con la citazione seguente dalla p. 453 di Funzione delle scienze e significato dell’uomo: «La lotta contro il categoriale, e il ritorno al soggetto per la fondazione delle scienze e della stessa filosofia, è lotta contro il capitalismo, mentre l’analisi disoccultante è ritorno alle cose stesse e prassi che, a partire dall’alienazione subita, opera nella maturità della situazione storica attuale, per costruire una libera società socialista… la filosofia che continuamente si riprende a partire dalla presenza attuale (e che quindi si trasforma e trasforma il mondo) è l’unica filosofia, la philosophia perennis, la filosofia prima che restituisce alle scienze la loro funzione e all’uomo il suo significato di verità» (che è, come si vede, il titolo del libro, un titolo quindi emblematico, indicale, fortemente intenzionale). 4 Dibattito Il primo intervento è di Maria Regina Brioschi: Paci usa i termini classici della fenomenologia husserliana, ma leggendolo si nota che il taglio specifico con cui li adotta e li fa propri. Vorrei ora sapere quali assunzioni della fenomenologia sono stati portati avanti negli sviluppi della cosiddetta Scuola di Milano. Risponde Emilio Renzi: Bisogna riconoscere in primo luogo che nessun allievo, a parte Carlo Sini, ha mantenuto l’ampiezza di orizzonti culturali del maestro. C’è stato un lavoro di approfondimento nella direzione delle «ontologie regionali», come ad esempio Andrea Bonomi sulla filosofia e logica del linguaggio (ma anche su Proust!) e Giovanni Piana sulla fenomenologia della musica, anzi meglio sul «suono», la sua esperenzialità e intenzionalità. Così Paolo Spinicci ha condotto e conduce studi sulla percezione e l’immagine, Elio Franzini sull’immagine… Certo, l’idea ambiziosa di Paci fu di fare della fenomenologia «il motore non immobile», se così posso dire, della cultura del suo e nostro tempo. Nel senso di una filosofia atta a portate a sintesi tutti Pagina 17 di 18 i saperi, una sintesi sempre aperta, umanistica e scientifica insieme. Conclude il suo ruolo pubblico raccogliendo uan serie di scritti convergenti tra loro nonostante la disparità delle origini in un volume che intitola Idee per una enciclopedia fenomenologica, Ora l’idea e la pratica di “enciclopedia” ha una lunga storia che non si può qui nemmeno riassumere, si può solo accennare al tentativo della International Encyclopedia of Unified Science della neopositivistica Scuola di Chicago e soprattutto alla grande Encyclopédie di Diderot e D’Alembert, ispirata e ispiratrice delle idee dell’Illuminismo. Claudio Muti chiede di accennare alla figura di Luigi Rognoni, che appare oggi particolarmente ai margini. Renzi risponde che era un uomo dalla personalità e dal carattere forti, che ebbe sin dagli inizi una pluralità di interessi: la musica non meno della filosofia. Per dire, una particolarità poco nota, la passione per il cinema, che negli anni trenta con il passaggio dal muto al sonoro iniziava a diventare spettacolo di massa e contemporaneamente opera d’arte o come si cominciò a dire allora «la decima Musa» o «l’Arte del Ventesimo secolo». Bene, Rognoni agli inizi degli anni Trenta fu uno dei fondatori della Cineteca italiana a Milano, la cui primissima sede fu proprio la sua abitazione privata, in corso Concordia o Indipendenza se non ricordo male. Intervento di Franco Sarcinelli: Paci ha usato la fenomenologia come una tramatura metodica tale da diventare la ossatura per una sintesi ragionata e generale del sapere, sicuramente una operazione rischiosa e mi chiedo se e quanto sia stata portata a termine. Su questo punto replica Claudio Muti: Non sono molto d’accordo, non era una sistematizzazione quella cercata da Paci, o meglio essa veniva fuori da un certo modo di intendere la scienza. Infatti la fenomenologia si muove nel duplice senso di circoscrivere e di inscrivere, circoscrive l’empirico a cui si rivolge intenzionalmente ed è inscritta in quello che ha circoscritto. Così le scienze empiriche relative alle ontologie regionali emergono come Pagina 18 di 18 circoscrizioni della intenzionalità di coscienza, e questo metodo la porta ad essere inscritta nell’oggetto di studio. Ne viene che la tramatura emerge per una sorta di automatismo, non è una forzatura di Paci: essa consiste nel fatto che il metodo è lo stesso per comprendere le ontologie regionali e per dare un quadro di insieme al tutto, di qui diviene sistemico. Conclusioni su questo punto di Emilio Renzi: È vero che c’è una tendenza sistemica, e lo stesso Paci ha scritto una frase di questo tenore: «Il mio tentativo è stato di influenzare con la fenomenologia la cultura italiana», ma sono dichiarazioni da non prendere alla lettera. A parte Croce e Gentile, in accordo nel primo decennio del secolo scorso e in profonda, drammatica divaricazione dopo la Grande Guerra e la crisi della democrazia liberale tra il 1922 e il 1925, nessuno successivamente si è mosso in questa direzione. C’è da dire che non si trattò di una sistematizzazione totale ma di una messa in moto di uno sforzo teoretico complessivo e di una analisi di differenti campi del sapere, operazione che fu avviata e solo parzialmente svolta.