Arcireport numero 32, 9 ottobre 2014

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Arcireport numero 32, 9 ottobre 2014
arcireport
settimanale a cura dell’Arci | anno XII | n. 32 | 9 ottobre 2014 | www.arci.it | report @arci.it
3 ottobre: i familari delle vittime scrivono messaggi ai loro cari sui frangiflutti colorati
Sabir, per raccontare
un’altra Lampedusa
di Filippo Miraglia vicepresidente nazionale Arci
Il Festival Sabir, che si è svolto a Lampedusa dal l’1 al 5 ottobre, ha innanzitutto
provato a rendere protagonisti gli abitanti dell’isola.
L’Arci, il Comune, e in particolare la
sindaca Nicolini, il Comitato 3 Ottobre,
promotori dell’iniziativa, sono partiti
dalla comunità locale, dalle persone che
in questi anni si sono sentite schiacciate
tra le stragi, con il loro carico di angoscia,
e la retorica dell’invasione.
Più di mille persone sono arrivate
sull’isola per rendere omaggio a una
comunità che è diventata ormai un
simbolo, sia a livello nazionale che internazionale.
Il Festival è stato anche immaginato
come una forma di risarcimento da
parte di chi pensa che le politiche governative, nazionali ed europee, hanno
prodotto solo conseguenze negative
per l’immagine dell’isola e per quella
dei migranti che vi sono stati ospitati.
Ne è stata fatta una rappresentazione che
è servita ad alimentare discriminazione
e razzismo, di cui si sono servite alcune
forze politiche - non solo la Lega - per
accrescere il proprio consenso elettorale.
Con Sabir abbiamo voluto fornire una
lettura diversa di Lampedusa e dei suoi
cittadini.
Abbiamo poi cercato, per quel che potevamo con questa prima edizione, di
dare un contributo all’economia locale,
con un appuntamento internazionale
che ha aumentato le presenze sull’isola
in un periodo di bassa stagione.
Allo stesso tempo abbiamo voluto dare
la parola ai lampedusani, grazie soprattutto ai laboratori promossi da Ascanio
Celestini, con il contributo dei Cantieri
Meticci di Pietro Floridia. Le loro parole,
il racconto della loro vita sull’isola, è
stato raccolto in video che sono stati
proiettati sui muri della cittadina durante il Festival e rilanciati i rete. Ne
emerge una versione assai diversa da
quella fornita dai pochi contestatori
politici dell’amministrazione comunale,
che tanto spazio hanno avuto sulla
stampa.
I cittadini non sono preoccupati né dagli
arrivi dei migranti, né dalla presenza
sull’isola del centro di accoglienza e
soccorso, quanto piuttosto dai problemi
pratici relativi alla mancanza di un
presidio ospedaliero, dalla scuola da
ristrutturare, dal sistema fognario insufficiente, insomma dalle problematiche
legate a un luogo ancora considerato
‘periferia’ d’Italia e d’Europa. Una periferia che giustamente chiede risposte
concrete alla politica e non promesse.
Siamo quindi particolarmente soddisfatti di essere riusciti per la prima volta
a far emergere quel che è Lampedusa
attraverso le voci dei lampedusani. Certo
un’immagine non omogenea, a tratti
contraddittoria, ma reale, non costruita
a tavolino.
Così come siamo soddisfatti di aver
aperto con loro un dialogo diretto, attraverso le tante iniziative culturali, il
teatro, la musica. Chi ha assistito, per
esempio, al concerto della Mannoia,
può testimoniare quanto sia stato apprezzato dagli abitanti il messaggio di
solidarietà e responsabilità che l’artista
ha portato sull’isola.
Sabir è stato poi il tentativo, riuscito,
di rendere l’isola un luogo di intreccio
e convergenza di battaglie politico culturali comuni a tanti movimenti e reti
internazionali che animano le società
intorno al mediterraneo. La costruzione di una rete di realtà territoriali e
nazionali che svolga quell’importante
azione di diplomazia dal basso necessaria
per ridare dignità e senso alla politica,
per perseguire gli interessi dei popoli
e non dei governi.
Il 3 ottobre i sopravvissuti e i parenti
delle vittime hanno preso la parola
davanti alle massime istituzioni dell’UE
e del mediterraneo e, come noi, hanno
chiesto risposte concrete.
La proposta che abbiamo lanciato in
quella sede è semplice e percorribile:
l’UE sostenga il governo italiano nel
portare avanti l’operazione Mare Nostrum, che tante vite ha salvato. Contemporaneamente, per non essere costretti
ad aggirare l’ingiusto regolamento Dublino, si attivi la Direttiva europea sulla
protezione temporanea, consentendo
la circolazione dei rifugiati e un’equa
ripartizione degli arrivi.
La coalizione sociale che ha contribuito alla riuscita di Sabir continuerà
a lavorare nei prossimi giorni anche per
questi obbiettivi.
Sarebbe davvero una prima importante
risposta alle richieste fatte dai parenti
delle vittime della strage del 3 ottobre
alla comunità internazionale.
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festivalsabir
arcireport n. 32 | 9 ottobre 2014
I morti di Lampedusa
e la questione mediterranea
Il Festival Sabir forse non eviterà nuove stragi, ma è un lavoro che
parte da lontano. E dimostra che solo il dialogo e un compromesso
tra le due sponde cambieranno l’approccio al problema
di Luciana Castellina presidente onoraria Arci
Trecentosessantotto morti affogati il 3
ottobre 2013 (già 3 mila dall’inizio del 2014
e 25 mila dal 2000): sono stati ricordati
con una corona di fiori e una lapide gettate
in mare nelle acque prospicienti il Porto
Nuovo di Lampedusa, una tristissima
cerimonia, alla presenza di autorità e di
un pugno di parenti delle vittime.
Una pagliacciata? Qualche frangia di protestatari così l’ha voluta bollare interrompendo il presidente del Parlamento europeo
Martin Schulz e la presidente della Camera
Laura Boldrini, che presidiavano l’evento,
presente anche il ministro Mogherini. Per
ragioni opposte hanno manifestato anche
i leghisti isolani, seguaci della sindaca
precedente affiliata al partito padano.
Come sempre accade in questi casi, alcune
tv e giornali hanno dato conto di questi
giorni di memoria dando grande risalto
alle istituzioni e a quelli che ne hanno
interrotto i discorsi. Ma tanti, per fortuna,
hanno raccontato del Festival Sabir, dal
nome della lingua comune che un tempo
univa i popoli mediterranei.
Il Festival è stato promosso dall’Arci, dal
Comune di Lampedusa e dal comitato 3
ottobre: 4 giorni di confronto per trovare
una strada che consenta di rimuovere
i detriti che in questo pezzo di mare si
sono accumulati in mezzo millennio e
ricostruire una comunità mediterranea.
Non un incontro improvvisato, ma frutto
di un lavoro, paziente e difficile, che dura
da anni. Durante i quali sono stati intessuti
rapporti, reti di solidarietà e occasioni di
reciproca conoscenza, fra chi sulle due
sponde non si rassegna.
Sono stati tantissimi quelli che hanno
risposto all’appuntamento, accompagnato
da un ricco programma culturale destinato
ad approfondire la conoscenza; o meglio a
colmare almeno un po’ la nostra profonda
e scandalosa ignoranza sul mondo arabo
che ricordiamo solo per quanto vi accadde
2.000 anni fa, solo un prezioso reperto,
come se nel frattempo non avesse più dato
nulla alla cultura del mondo.
Non riusciremo con questa iniziativa, come
con tante altre di questi anni, a fermare
le stragi di immigrati. Ma anche questo,
anzi forse solo questo dialogo, può aiutare
a dare un nuovo approccio al problema.
Innanzitutto a chiedere una svolta nelle
politiche mediterranee europee, 40 anni
di fallimenti, perché tutte improntate
alla liberalizzazione degli scambi, che
hanno avuto come effetto – e non poteva
essere diversamente – che quello di accentuare gli squilibri fra le due sponde,
pensate come si trattasse di due partner
commerciali alla pari e non invece, come
sono, la rappresentazione del confine più
drammatico del mondo, più di quello già
terribile che divide Stati Uniti e Messico:
qui un rapporto nel reddito procapite di 1
a 6, nel Mediterraneo di 1 a 14.
La questione mediterranea non è una specificità regionale, ha un significato molto
più grosso: è qui che ha preso corpo lo
scontro più forte fra fanatismi. Fra i quali
occorre annoverare anche e soprattutto
quello occidentale: non più le Crociate
in nome del cristianesimo, né il vecchio
colonialismo mascherato da ‘civilizzazione’, ma l’ideologia del mercato. Potremmo
mai battere le punte jahdiste più estreme
se prima non capiremo che la nostra
modernità, il nostro laicismo, anche tanti
aspetti della nostra democrazia fondata
sull’uguaglianza astratta dei diritti applicata a esseri disuguali nel potere effettivo di
fruirne, sono stati vissuti sull’altra sponda
come trauma, perché si è trattato di una
modernità che li ha schiacciati? È anche
nella nostra arroganza eurocentrica, di
chi si propone come punto di arrivo del
processo di civilizzazione, che lascia agli
altri popoli il solo compito di colmare il
ritardo e allinearsi, che si fonda la diffi-
denza, quando non il rigetto dell’Europa,
dei popoli del Maghreb e del Mashrek.
Il Mediterraneo del sud è oggi lo spazio
in cui prende corpo una critica di quella
modernità e di quel progresso che è stato
presentato come l’unica civiltà possibile.
Costruire una comunità mediterranea
che riapre un dialogo alla pari fra le due
sponde, che ascolta le ragioni dell’altro e
le assume, come chiedeva Eduard Said,
«come risorsa critica di sé stessi», significa
decostruire lo scenario di scontro di civiltà
che costituisce il retroterra dell’estremismo
jihadista. Il Festival Sabir è un pezzo di
questo lavoro. Serve anche a far capire
agli europei che non siamo più in presenza di un problema di immigrazione,
ma di uno stravolgimento epocale che ha
già reso, e sempre più renderà l’Europa
una società sempre meno etnicamente e
religiosamente omogenea. Fra cinque anni
solo per mantenere i livelli di occupazione
attuali occorreranno sull’altra sponda 90
milioni di nuovi posti di lavoro. Pensiamo
di rispondere alla inevitabile ricerca di
attraversare il Mediterraneo che questa
domanda produrrà con la bomba atomica,
o non dobbiamo piuttosto attrezzarci a
pensare a un patto, un compromesso fra
le due sponde e, in prospettiva, anche a
un’Europa che abbia un’idea della cittadinanza non più analoga a quelle delle
nazioni che l’hanno composta, ma tale da
includere quelli che dovremmo chiamare
nuovi europei e non più extracomunitari?
foto di Maso Notarianni
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festivalsabir
arcireport n. 32 | 9 ottobre 2014
Alternative Mediterranee
Di Mediterraneo potremmo tutti vivere, anziché morire
di Raffaella Bolini
Un racconto di Sabir a Lampedusa si
potrà fare soltanto attraverso un lavoro
collettivo di tutti e tutte coloro che hanno
curato i suoi tanti e diversi elementi.
Preparando il Forum di Sabir, ciascuno
ha messo a valore le proprie relazioni
connettendole a quelle degli altri: settori
di lavoro, territori e competenze Arci,
ma anche reti, organizzazioni, sindacati,
movimenti, ONG, parlamentari, intellettuali, artisti.
Le righe qui sotto cercano di riportare il
senso di una parte del puzzle, il Forum
internazionale e in particolare la giornata
del 2 ottobre sulle Alternative Mediterranee che ha discusso di democrazia,
dignità e beni comuni. Ai due giorni di
Forum hanno partecipato circa quattrocento persone provenienti da un gran
numero di paesi europei, anche del nord
e dell’est, del Maghreb e Mashrek. Molti
si sono incontrati a Lampedusa per
la prima volta, provenienti da ambiti
di impegno differenti. E il Forum ha
tratto forza proprio dalle intersezioni
che lo hanno nutrito.
La prima intersezione in ordine
temporale risale alla scelta di portare
a Lampedusa l’evento europeo previsto dal progetto LED, Laboratori
di Democrazia Europea.
Il progetto LED risale a due anni
fa. D’accordo con il nostro tavolo
progettazione e in collaborazione
con Forum Civico Europeo avevamo
presentato un progetto da realizzare
durante il semestre italiano di Presidenza Ue. LED aveva due obiettivi: attivare pratiche territoriali per
favorire la relazione fra cittadini e
parlamentari europei, e portare la società
civile europea a discutere nel sud Europa
massacrato dall’austerità.
Poi ha preso corpo il Festival di Lampedusa. E così, invece che chiamare gli europei
a discutere di Mediterraneo, li abbiamo
portati fisicamente nel cuore dolente del
nostro mare. L’evento LED è diventato il
Forum del 2 ottobre. Avevamo paura che
l’isola fosse per molti troppo lontana, e il
viaggio troppo lungo. Sono venuti tutti.
E l’impatto con l’isola è stato fortissimo.
La seconda intersezione è stata quella
fra europei e mediterranei. L’Arci, che
da sempre rivendica la dimensione mediterranea come centrale, non poteva
discutere a Lampedusa di democrazia,
dignità, beni comuni solo con gli europei.
Del resto, abbiamo sempre detto che
non può esistere una prospettiva mediterranea in assenza di pari dignità fra le
due rive. E così abbiamo cercato di fare:
ciascuna sessione è stata gestita insieme
da attori del nord e attori del sud, e il
programma discusso già nel dicembre
scorso a Casablanca con il Forum Sociale
Maghreb-Mashrek.
La terza intersezione è stata quella fra
le idee e il territorio. Lampedusa, la sua
bellezza, le sue tragedie, quel mare intorno, il cimitero delle barche, i racconti di
morte e di solidarietà, i sopravvissuti e i
familiari delle vittime - questo ha dato
il tono a tutta la discussione del Forum.
Stare sull’isola ha tolto qualsiasi retorica
buonista al discorso mediterraneo e alla
relazione nord sud. Ed è emerso naturalmente ciò che nel sud sempre ci dicono:
non si può parlare di dialogo fra le due
rive senza un impegno preciso a battersi
contro l’Europa fortezza.
La quarta intersezione - la più importante - è stata con i migranti, che sono stati
al centro anche del discorso su un’altra
economia e un’altra società. Non segmento
settoriale, ma paradigma del sistema
oppressivo e produttore di ingiustizie in
cui viviamo.
Per la giornata sulle Alternative Mediterranee, sono arrivate a Lampedusa reti
e organizzazioni che lavorano su altre
questioni: giustizia climatica, commercio
internazionale, acqua, lavoro e diritti
sindacali, diritti culturali e molto altro.
Per tanti di loro, Sabir è stata anche una
specie di corso di formazione sulla libertà
di circolazione e sul diritto alla fuga.
La quinta intersezione è stata con i parlamentari europei. Il forum era pensato
come laboratorio di una relazione orizzontale e paritaria fra attivisti sociali e europarlamentari delle famiglie progressiste
e della sinistra. E molti hanno accettato
l’invito. Con i poteri più grandi che oggi
ha il Parlamento Europeo, l’alleanza con
loro diventa essenziale. La bocciatura
della candidatura di Navracsics nella
Commissione Cultura, il giorno dopo
Sabir, è la prova evidente che possiamo
vincere, se riusciamo a lavorare insieme
dentro e fuori il Parlamento.
La sesta intersezione, ultima ma non
per importanza, è stata con la cultura. Il
Forum, che alle sei del pomeriggio finiva
le sue sessioni, in realtà è proseguito negli
incontri con gli scrittori, nei laboratori
teatrali e culturali, nel lavoro splendido di Ascanio Celestini con gli abitanti
dell’isola, negli spettacoli serali, nel
concerto della Mannoia che è stato un
bellissimo comizio cantato. Linguaggi
diversi, stessi valori e stessa battaglia.
La rete Alternative Mediterranee, dopo
l’incontro del 2 ottobre, rimane in
piedi. Troverà modalità per rimanere
in contatto a distanza, e per includere
chi voglia aggiungersi. Si ritroverà
fisicamente a Tunisi, dove dal 25 al
29 marzo si svolgerà il Forum Sociale
Mondiale. Sarà un tavolo di lavoro
mediterraneo, dove definire struttura
e metodologia di un progetto a rete
che dia concretezza all’idea di un New
Deal Mediterraneo - di un nuovo patto
sociale per la regione.
La scommessa è dimostrare che è vero:
di Mediterraneo potremmo tutti vivere,
invece che morire. Dalla sua cultura, natura, umanità può prodursi lavoro, reddito,
felicità - e soprattutto pari dignità. Ma
c’è bisogno di un progetto forte e serio,
capace di basarsi su idee concrete, su cifre
e numeri, per dimostrare che è possibile
davvero iniziare a cambiare strada. Se
vogliamo provare a sconfiggere colonialismo vecchio e nuovo, libero mercato,
fenomeni regressivi e oscurantisti che su
entrambe le rive ci minacciano bisogna
che sappiamo trasformare i valori in
proposte concrete, fattibili e realistiche.
Bisogna che dimostriamo che le risorse
ci sono, e anche le alternative: serve solo
la volontà politica - e a questo serve la
lotta per il cambiamento sulle due rive
del nostro mare.
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arcireport n. 32 | 9 ottobre 2014
festivalsabir
Il nostro Sabir al Festival Sabir
di Stefano Saletti musicista
Quando l’Arci ci ha invitato a fare il nostro
laboratorio sulle musiche e i canti del
Mediterraneo a Lampedusa, con Barbara
Eramo abbiamo subito detto di sì. Quale
posto più adatto per parlare del fascino
delle musiche del Mare nostrum?
E poi avere la possibilità di far ascoltare
proprio al Sabir Festival la bellezza e
la musicalità del Sabir, la lingua franca
che da anni usiamo nei nostri brani, che
unisce spagnolo, italiano, francese e arabo.
La lingua che marinai, pirati, pescatori,
commercianti parlavano nei porti, da
Genova a Tangeri. E, soprattutto, poterlo
fare a Lampedusa nell’anniversario della
tragedia del 3 ottobre, nell’isola che oscilla
tra solidarietà e voglia di dimenticare,
che fatica a riconoscersi in un ruolo che
le ha affidato la storia e del quale farebbe
volentieri a meno. Così nei cinque giorni
del Festival ci è piaciuto immergerci tra la
gente dell’isola, capire cosa stava succedendo, come veniva vista la nostra presenza.
Ci sono i ragazzi che ti invitano a tornare a
fare il corso nelle scuole, le persone che ti
fermano dopo il concerto e dicono «grazie
per averci fatto ascoltare il Sabir»; quelli
che odiano il sindaco («neanche ti saluta
quando passa») e «tutti questi comunisti».
Però poi ti dicono che era bellissima la
voce di Barbara, che ammettono «ma
che fascino la vostra musica», la musica
dell’altro, del diverso, del ‘negro’ che poi
così diverso non è, evidentemente. Che
ti domandano della chitarra col manico
storto (l’oud) o di quel grande mandolino
(il bouzouki) con curiosità e passione. E
poi c’è il leghista che gira con la bandiera
verde - sì, il leghista a Lampedusa, sembra
un ossimoro ma è reale - che mette il manifesto nel corso del paese «W Lampedusa
abbasso i facci gialli». C’è l’avvocato che ti
spiega che quando veniva Baglioni a fare
O ‘scià (che costava un milione e mezzo di
euro) c’erano diecimila persone e adesso
molte di meno; c’è il duro e puro che
contesta il circo mediatico e la passerella
dei politici, che impedisce il collegamento
del Tg2 dal ‘cimitero delle barche’. C’è
dall’altra parte il ristoratore che comanda
un po’ tutto che dice «basta immigrati
e passerelle, vogliamo turismo» e poi,
però, ha la convenzione con il Festival.
Questo è il luogo dei contrasti forti, della
bellezza mozzafiato dell’Isola dei conigli
e del paesaggio brullo che la circonda.
Nei due giorni del laboratorio abbiamo
raccontato il nostro Mediterraneo in mu-
sica. Abbiamo fatto cantare e suonare 20
persone al giorno e insegnato loro brani e
lingue nuove. Abbiamo spiegato quanto
sia intrecciato il cammino degli strumenti
musicali del Mediterraneo, di come l’oud
arabo sia arrivato nel IX secolo in Spagna e
si sia trasformato nel liuto rinascimentale
e poi nella chitarra andalusa; di come la
tambura turca sia arrivata a Napoli ed è
diventata il colascione e poi il mandolino.
Della scala musicale hijaz araba che è la
stessa della musica ebraica sefardita, e che
troviamo in Grecia, nei canti della tradizione sevdalinka in Bosnia o nella musica
colta di Liszt nella Rapsodia ungherese,
nel flamenco o nella musica napoletana.
Mutaz, un ragazzo arabo che ha partecipato al nostro corso, ci ha detto la cosa
più bella: «Sono anni che sono in Italia
e per la prima volta sento degli italiani
parlare della mia musica, della mia cultura.
Grazie per quello che fate!». In soli due
giorni di laboratorio abbiamo creato un
piccolo coro. E quando la sera io e Barbara
abbiamo suonato in apertura del concerto
della Mannoia, il nostro coro, insieme
al pubblico, cantava con noi il Sabir e le
tante lingue del Mediterraneo. Le lingue
dell’altro. Potenza della musica…
L’arte come ponte per creare legami
tra il vicino e il lontano
di Pietro Floridia Cantieri Meticci
Quello che sapevamo prima di partire,
(siamo una compagnia teatrale - Cantieri
meticci - di una trentina di persone di
14 paesi diversi, tra rifugiati, migranti e
italiani, con una età media di 25 anni)
era che, assieme ad Ascanio Celestini,
avremmo raccolto storie di Lampedusani
e poi ci saremmo inventati un modo
artistico per restituire all’isola quanto
avevamo ‘pescato’. E che avremmo fatto
il nostro spettacolo Il violino del Titanic nell’ultima sera di festival. Quello
che non sapevamo era se avremmo
incontrato anche dei migranti, che cosa
sarebbe successo il 3 ottobre e che clima
avremmo trovato.
Ma nel giro di qualche ora non ci è
sfuggito più.
Abbiamo provato l’ebbrezza di stare
dentro a un frullatore. Tutti ce l’avevano
con tutti. E pure con noialtri artisti
multietnici comunistici. Se il buongiorno
si vede dal mattino…
Ma poi qualcosa è cambiato. Giorno
dopo giorno ci siamo resi conto che
succedeva altro. Succedeva che quello
stesso pescatore che diceva «gli immigrati devono restare a casa loro» era lo
stesso che tante volte aveva rischiato
per salvarli; e quella stessa signora
che rimpiangeva Baglioni è venuta
poi a tutti gli spettacoli del Festival;
e quello stesso ragazzino che all’inizio
c’apostrofava come «cristiani chieni ‘i
zecche» l’ultimo giorno abbia passato
l’intera giornata con noi, portandoci
ufficialmente «le scuse a nome dell’isola
ma non avevamo capito cosa ci eravate
venuti a fare...». Per carità, non che sia
sciolto quel groviglio di contraddizioni
che è l’isola ma certo molta della diffidenza iniziale si è alleggerita. Come?
Per quel che ci riguarda la ricetta è
stata incontrare le persone, ballarci
insieme, mangiarci insieme, salire sulla
loro barca, discuterci, riderci, ascoltarli.
Lampedusa per noi è stata sopratutto
l’incontro coi Lampedusani. Sono i loro
visi, le loro storie quelle che ci portiamo
a Bologna. Tanti incontri che abbiamo,
durante il Festival, cercato di restituire
all’isola trasformando trenta biciclette in
altrettanti velieri e proiettandovi sopra le
vele i volti e i racconti dei Lampedusani,
trasformando pezzi di barche naufragate in cornici, in piccoli palcoscenici
appesi a canne da pesca attraverso cui
i nostri attori sfilavano in processione
rinarrando le storie raccolte. Storie che,
nei prossimi mesi, a Bologna, in un
progetto chiamato Il Tappeto BoLampe
pensato insieme a Stefano Brugnara,
diventeranno percorsi laboratoriali nelle scuole, nelle biblioteche, nei corsi
di italiano per migranti, nei centri di
accoglienza, per raccontare l’isola in
un altro modo, per creare legami tra il
vicino e il lontano usando l’arte come
ponte, per dare vita ad altri materiali
artistici da restituire a Lampedusa nella
prossima edizione del festival, per creare
una grande processione/spettacolo che
in primavera-estate porti quest’isola
meravigliosa a navigare dentro alle
nostre strade.
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carovanaantimafie
arcireport n. 32 | 9 ottobre 2014
Riprende il viaggio
della Carovana Antimafie
È ripartita da Lampedusa il 5 ottobre la Carovana Internazionale Antimafie di Arci, Libera e Avviso Pubblico contro
la tratta dei nuovi schiavi.
La prima fase si è svolta da aprile a giugno 2014. Oltre 65
giorni di viaggio per attraversare quasi tutta l’Italia con due
furgoni e una decina di carovanieri.
Dopo tante tappe e il riposo estivo, la Carovana italiana si
conclude in Sicilia, lì dove, grazie all’Arci regionale, è stata
inventata 20 anni fa. Una delle iniziative più longeve nella
storia repubblicana.
Il via alle tappe siciliane è stato dato dal molo Favaloro del
porto di Lampedusa, punto di approdo nell’isola per migliaia
di migranti. Erano presenti tra gli altri Alessandro Cobianchi,
coordinatore nazionale della Carovana Antimafie, Salvo Lipari, presidente di Arci Sicilia, Giuseppe De Marzo di Libera.
Dopo le tappe a Santa Elisabetta (AG), Gela, Vittoria, Caltagirone, Catania, Monreale e Palermo, la Carovana affronterà
le ultime tappe siciliane per l’edizione 2014 prima di partire
per l’estero.
Il 15 ottobre alle 11 si terrà a Roma, presso la sede della
Federazione Nazionale della Stampa Italiana, la conferenza
stampa di presentazione delle tappe all’estero della Carovana.
Serbia, Romania, Francia, Spagna, Malta sono i paesi in cui,
da ottobre, la Carovana si muoverà per portare ancora una
volta il suo messaggio di legalità.
Di seguito il programma delle prossime tappe siciliane.
Info e aggiornamenti su www.carovanaantimafie.eu
♦ ore 18.00 Auditorium Oasi:
convegno Mafia Barcellona
vecchi e nuovi aspetti.
Intervengono:
- Luciano Mirone, giornalista
indipendente;
- Francesco D’Uva, componente Commissione parlamentare
antimafia;
- Carmelo Catania, giornalista
indipendente;
- Maria Teresa Collica, Sindaco
di Barcellona;
- Nuccio Anselmo, giornalista.
Saluti di Santo Gringeri, Presidente Arci comitato territoriale
Messina.
Coordina Antonio Livoti, Presidente circolo Arci Città Futura
Barcellona P.G.
Sabato 11 ottobre
Libertà di circolazione-libertà di fuga
L’Arci Messina chiede alla Prefettura l’ingresso alle due
strutture per richiedenti asilo presenti in città, per monitorare
episodi di tratta e sfruttamento.
Ingresso delegazione e sit in contro la tratta al di fuori delle
strutture: in mattinata alla Tendopoli Pala Nebiolo in Contrada Conca d’Oro, Annunziata; nel pomeriggio alla Caserma
Masotto, Bisconte.
♦ ore 17.30 - circolo Arci Thomas Sankara: mostra Nuovi
schiavi. In cammino contro la tratta degli esseri umani;
proiezione del film Schiavi di Stefano Mencherini ed incontro con i carovanieri e testimonianze; lettura della Carta di
Lampedusa
Domenica 12 ottobre - Siracusa
♦ ore 17.30 - presso Isisc (Istituto superiore internazionale
di scienze criminali)
convegno I nuovi schiavi. In cammino contro la tratta degli
esseri umani
Modera Valerio Cataldi, giornalista.
Saluti di Giancarlo Garozzo, sindaco di Siracusa
Intervengono:
Francesco Paolo Giordano, Procuratore Capo della Repubblica di Siracusa;
Esperto Isisc;
Calogero Parisi, Arci Sicilia
♦ ore 21.30 - presso Sala Randone, in via Malta
Spettacolo teatrale Ossa di Alessio Di Modica, dal racconto
popolare dell’osso che canta la storia di Placido Rizzotto.
Le tappe della Carovana all’estero
Venerdì 10 ottobre
♦ ore 10.30 - Istituto comprensivo di Terme Vigliatore:
restituzione degli elaborati delle attività didattiche sul tema
della legalità proposte dal circolo Arci di Terme Vigliatore;
♦ ore 17.00 - piazza San Sebastiano Barcellona P.G.: arrivo
della carovana;
♦ SERBIA 15/18 ottobre Novi Sad, Belgrado
♦ ROMANIA 19/23 ottobre Bucarest
♦ FRANCIA 10 novembre Nizza, 12 novembre Tolone,
13 novembre Marsiglia, 14 novembre Nîmes-Valencia
♦ SPAGNA 17 novembre Perpignan,
18/21 novembre Barcellona
♦ MALTA 2015
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arcireport n. 32 | 9 ottobre 2014
lavoro
La fiducia sul Job Act è incostituzionale
di Piergiovanni Alleva giurista, esperto di Diritto del Lavoro
Il governo ha fatto approvare dal Senato,
col ricatto del voto di fiducia, un disegno di legge delega in materia di lavoro
ulteriormente peggiorato rispetto alla
proposta originaria. È un testo squilibrato
e incostituzionale perché contiene una
disciplina inutilmente dettagliata di argomenti minori, mentre lascia totale mano
libera all’esecutivo sui temi essenziali del
precariato, delle garanzie nel rapporto
di lavoro e degli ammortizzatori sociali.
Nessun contratto precario viene abolito
e sul tema fondamentale dell’articolo 18
per il momento si tace, riservandosi di
intervenire direttamente nei decreti delegati, ossia al di fuori di qualsiasi controllo
e voto del parlamento. Allo stesso modo
il governo si riserva di regolare a suo arbitrio, nei decreti delegati, l’indennità di
disoccupazione e ciò che resta della cassa
integrazione. Questo modo di procedere
è incostituzionale. L’art. 76 della Costituzione stabilisce, a garanzia della centralità
del parlamento, che la legge delega debba
fissare, con riguardo all’emanazione dei
successivi decreti delegati, i criteri direttivi,
che non possono in nessun modo essere
surrogati da ordini del giorno o prese di
posizione in sede politica. Non è sufficiente
in una legge delega evocare dei titoli e dei
temi come potrebbero essere la disciplina
della cassa integrazione, dei licenziamenti
o dei trasferimenti, senza indicare anche
in quale direzione devono andare le future
modifiche normative. Affermare ad esempio, come dice la delega, che il governo è
autorizzato a fare un decreto sull’ambito
di applicazione della cassa integrazione
significa dare una delega in bianco perché non si stabilisce se quell’ambito di
applicazione va allargato o invece ristretto
rispetto alla situazione attuale.
Come non basta dire che il governo è
autorizzato a stabilire una nuova disciplina delle sanzioni per i licenziamenti
illegittimi se non si dice per quale tipo di
licenziamento e con quale tipo di sanzione,
se monetaria, di reintegra o ambedue.
Questa quindi è la profonda ipocrisia
nel maxiemendamento, quella cioè di
affermare criteri direttivi effettivi per gli
argomenti di minore importanza e insieme
dei semplici titoli per quelli davvero decisivi, consentendo al governo di legiferare
in base al suo solo arbitrio.
Questa critica di fondo non toglie che
comunque il maxiemendamento preveda
anche alcune disposizioni più precise e
purtroppo pessime.
In particolare ci riferiamo a una cosiddetta nuova disciplina delle mansioni che
finirebbe col rendere lecito il demansionamento e dunque il mobbing, con l’alibi
ricattatorio della sua necessità per ragioni
organizzative che lo stesso imprenditore
definirebbe.
Viene poi legittimata, sotto un’apparenza
tecnicistica, l’attività di controllo, ossia
di spionaggio, a carico del lavoratore.
Rispetto agli ammortizzatori sociali la
nuova indennità di disoccupazione, di
cui non è specificata né la durata né gli
importi, risponderebbe comunque a un
criterio sbagliato e cioè a quello della
proporzionalità della durata dell’integrità
all’anzianità di lavoro maturata. Questo
significa che l’annunciata applicazione
dell’indennità di disoccupazione anche ai
rapporti precari si ridurrebbe a una burla,
perché a una breve durata del contratto
corrisponderebbe una ancora più breve
durata dell’indennità.
Infine c’è l’ambiguità più grave e pericolosa che riguarda i futuri contratti a tutela
progressiva: tutto quello che si dice circa
l’abolizione o quasi della reintegra nel
posto di lavoro in caso di licenziamento
illegittimo riguarderebbe solo questi nuovi
contratti o tutti i rapporti già in essere
come è accaduto con la legge Fornero? La
legge delega contiene una supernorma in
bianco che è quella della redazione di un
testo organico ‘semplificato’ di disciplina
dei vari tipi di contratto e al suo interno
potrebbe esserci di tutto, a cominciare
dall’eliminazione della reintegra anche per
i milioni di lavoratori che adesso godono
di tale garanzia.
La vigilanza non è davvero mai troppa
quando si ha a che fare con persone abituate a dire e disdire, con Renzi non si
può mai essere «sereni».
Una petizione per aggiornare lo Statuto
di Claudio Treves Segretario generale Nidil Cgil
Che una legge del 1970 sia vecchia è
un fatto aritmeticamente indiscutibile.
Che i contenuti di quella legge seguano
l’aritmetica, invece, no.
Detto altrimenti: che debba valere, nonostante sia stato stabilito nel 1970, il principio secondo cui non si può controllare
un lavoratore a distanza senza che lui lo
sappia, o utilizzarne l’apporto svilendo
le sue competenze, o licenziarlo senza
motivo sembrerebbe un fatto degno di
un paese civile. E invece si usa la data di
entrata in vigore per sostenere che quella
legge è ‘vecchia’ e inadatta al mondo del
lavoro di oggi.
Con la nostra petizione vogliamo invece
provare che lo Statuto è vivo e che andrebbe piuttosto aggiornato al fine di
estenderlo a tutte le forme di lavoro, che,
queste sì, non potevano essere considerate
dal legislatore del 1970 e che, in ogni caso,
devono essere sfoltite e razionalizzate. Ma
questa operazione la si può fare agevolmente, proprio partendo dai principi e
dalle regole introdotte dallo Statuto stesso,
agganciandosi al suo illustre fondamento:
la Costituzione.
Questo è il senso della petizione lanciata
da NIdiL dal titolo Lo voglio anche io!,
intendendo lo Statuto. E l’operazione è
piuttosto semplice: basta prendere gli
articoli dello Statuto ed estenderli a tutti, o
adattarne i principi alle mutate condizioni.
Così il diritto alle libertà di opinione e al
divieto di discriminazione non hanno
bisogno di alcunché, mentre il diritto dei
lavoratori studenti a permessi retribuiti
può essere ‘aggiornato’ riconoscendo a
tutti i lavoratori il diritto alla formazione
e all’aggiornamento, vero caposaldo se si
vuole una società fondata sull’apprendimento. O ancora: il diritto ad ambienti
lavorativi salubri e sicuri è già una norma
di legge e potrebbe utilmente integrarsi
con i principi esposti negli articoli 4 e 9
della legge 300. Poi ci sono norme che il
legislatore del ’70 aveva già a disposizione, ma che riguardavano il lavoro allora
conosciuto, quello dipendente, mentre
dovrebbero diventare ‘norme comuni’
per tutti: dalla tutela della maternità e
dagli infortuni, al diritto al riposo, all’equo
compenso, alla rappresentanza sindacale,
ecc. E poi un sistema universale di ammortizzatori sociali. Non ci vuole dunque
molto ad attualizzare una legge ‘vecchia’:
basta volerlo.
La petizione serve anche a dimostrare
che l’unificazione dei diritti nel lavoro è
possibile senza ridurre le tutele per chi le
ha, e che a questo obiettivo sono interessati
proprio coloro che secondo Renzi non trovano nel sindacato e nell’associazionismo
sponde e sensibilità per i loro problemi.
Per firmare, su avaaz.org cerca la petizione #Lovoglioancheio
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arcireport n. 32 | 9 ottobre 2014
scuola/università
La Buona Scuola. Il 10 ottobre
manifestazioni in tutta Italia
di Martina Carpani responsabile organizzazione Unione degli Studenti
Dopo essere saliti sui banchi per settimane,
trasportando sul web la scena finale del
film L’attimo fuggente, il 10 ottobre le
studentesse e gli studenti di tutto il Paese
scenderanno in piazza. Sono saliti sui
banchi per cambiare la prospettiva con
cui si guarda il mondo e per rivendicare
maggiore centralità degli studenti nella
scuola, nella didattica e nelle scelte, richiamando la corrente pedagogica attivista.
Ma soprattutto per prendere parola, per
immaginare dal basso una nuova idea di
scuola, di lavoro e di società, riprendere
un proprio spazio di protagonismo paradossalmente cancellato dalla retorica
giovanilista renziana e dall’attacco frontale
ai corpi intermedi. Il 10 ottobre non sarà
il solito rituale stanco di opposizione
all’ennesima riforma della scuola.
La volontà degli studenti è quella di costruire una battaglia generale, ma non
generica, capace di parlare al Paese e di
essere simbolo della necessità di cambiamento reale. Con il 40% delle famiglie
che non hanno la possibilità economica
di acquistare i libri di testo, un abbandono scolastico tra i più alti in Europa,
un diritto allo studio spesso totalmente
inesistente e diseguale per strumenti e
coperture da Regione a Regione, parlare
di istruzione gratuita non è una battaglia
ideologica, ma una necessità storica per
lo sviluppo del Paese. Oggi per sostenere
economicamente un figlio a scuola in
età dell’obbligo fino ai 16 anni, sono
necessari in media, secondo l’Adoc, più di
12mila euro. Rivendicare una istruzione
gratuita, di qualità e accessibile a tutti,
l’innalzamento dell’obbligo scolastico
a 18 anni, una legge quadro nazionale
sul diritto allo studio ed un reddito di
formazione e di reinserimento alla formazione per i Neet, è la nostra battaglia
di rottura con politiche economiche
ricche di contraddizioni. Da anni oramai
il mondo delll’istruzione subisce attacchi
fondamentali, esterni ed interni ad esso,
ripresi dal Governo Renzi nella propria
politica non solo scolastica, ma anche del
lavoro. Da un lato, infatti, vi è la volontà
di parcellizzare le conoscenze in nome
del principio dell’occupabilità, dall’altro,
si modifica radicalmente l’assetto della
governance interna alle scuole in senso
manageriale. La scuola non può essere
giudicata dal rapporto costi/benefici perchè ha un valore sociale ed un impatto sul
territorio che non può essere giudicato sulla
base della quantità di nozioni acquisite. È
necessaria una riforma dei cicli che sia in
grado di abbattere la canalizzazione precoce nel mondo del lavoro e le divisioni tra
scuole di serie A e serie B, per dare a tutti
eguali strumenti di cittadinanza. Parlare
di alternanza scuola-lavoro nell’Italia del
JobsAct deve farci riflettere ancora più
a lungo sul rapporto tra saperi, lavoro
e società. Il problema della disoccupazione giovanile non può essere risolto
favorendo la precarizzazione in percorsi
di sperimentazione all’italiana del dual
system tedesco, ma attuando politiche di
lungo corso. Occorre investire in modo
chiaro in istruzione, ricerca e innovazione per modificare il tessuto produttivo
italiano. La causa della disoccupazione
giovanile non è l’eccessivo numero di
studenti altamente qualificati, anche
perchè continuiamo ad essere uno tra
i Paesi con meno laureati in Europa,
nè una scuola poco attenta al mercato
del lavoro, ma va ricercato nel modello
produttivo e di sviluppo.
La mobilitazione del 10 non si limita ai
temi dell’agenda de La buona scuola,
ma prova ad avere un respiro più ampio,
mostrando, attraverso la lente di ingrandimento dei saperi, qual è l’idea di Paese
che gli studenti vogliono costruire, scuola
per scuola, classe per classe.
Su www.unionedeglistudenti.net tutte
le piazze del 10 ottobre, in continuo aggiornamento!
Sarà possibile seguire la diretta dei cortei
seguendo gli hashtag #10 o #entrainscena
e #nonservi
Cresciute del 63% in 10 anni le tasse
universitarie in Italia
Di là, in Germania, dal 1° ottobre l’università è gratuita. Di qua le tasse restano. E
aumentano del 63% in dieci anni.
Quando si tratta dei conti del sistema
accademico l’Italia non brilla. Lo spiega
un documento della Commissione europea
che ha preso in esame la contribuzione studentesca, le borse di studio e le esenzioni
previste nella dichiarazione dei redditi.
Ci si laurea gratis in Danimarca, Svezia,
Norvegia, Finlandia (e Germania). In
Spagna per un percorso triennale si spendono 1.074 euro, in Belgio fino a 837, in
Francia 183. L’Italia fa pagare in media
1.300 euro. L’Estonia, invece, spicca per
la sua ‘originalità’: se lo studente raccoglie
30 crediti formativi in sei mesi (o 60 in un
anno) non paga nulla. Altrimenti per ogni
credito mancante deve sborsare 50-120
euro, a seconda del corso.
Le cose non vanno meglio alla voce diritto
allo studio. Secondo il dossier siamo il
Paese che dà meno supporto finanziario
(tra borse assegnate in base al reddito e
premi per merito), se si esclude la Grecia:
lo riceve soltanto il 7,5% degli studenti.
Lontani dalla Francia, dove lo ottiene più
di un giovane su tre. Lontanissimi dalla
Danimarca dove lo Stato, oltre a non far
pagare le rette, mette a disposizione fino
a 9.274 euro. E la percentuale italiana
potrebbe pure diminuire se va in porto
un punto dello ‘sblocca Italia’ che permetterebbe di far inserire alle Regioni i
fondi per le borse nel patto di Stabilità.
Un’università gratuita per tutti anche da
noi? Sarebbe sicuramente un modo per
fermare l’emorragia di studenti che non
si iscrivono più nei nostri atenei e per
trattenere quelli che vanno a formarsi
all’estero. La fuga dei cervelli non è più
solo quella dei ricercatori trentenni, ma
anche dei 18-19enni. Sarebbe anche un
modo per garantire davvero il diritto
allo studio: un principio costituzionale
rispettato più negli anni 60-70 che oggi.
Copiare la Germania sì, ma con due precisazioni. La prima: il sussidio non deve
essere un assegno di pre-disoccupazione,
ma deve verificare che lo studente abbia
un percorso regolare negli studi, che dia gli
esami. La seconda: la gratuità non si può
applicare a chi ha un reddito molto elevato. Tutto questo in tempo di crisi perché,
pur avendo un costo immediato notevole,
rappresenterebbe un investimento. Certo,
per i tedeschi è più facile. La crisi finora
li ha colpiti meno e a livello pro capite
spendono più dell’Italia.
Quello che ci serve nell’immediato è porre
fine ai tagli e restituire al sistema scolastico quanto è stato sottratto, in termini di
risorse, dai governi che si sono succeduti
negli ultimi anni. Un modo per garantire
davvero il diritto allo studio che in Italia
funziona male ed è insufficiente.
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pace&diritti
arcireport n. 32 | 9 ottobre 2014
Nessuna associazione con
l’occupazione!
Appello per la sospensione dell’Accordo di Associazione UE-Israele
Condanniamo fermamente il recente
massacro compiuto da Israele nella
Striscia di Gaza sotto assedio, nel corso
del quale più di 2.160 palestinesi sono
rimasti uccisi, più di 10.800 feriti e
più di 300mila costretti a sfollare. Le
Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali accusano Israele di
aver colpito deliberatamente persone
e infrastrutture civili, compresi scuole
e ospedali, e di essere responsabile di
altri crimini di guerra. Come affermato
dal Commissario Generale dell’Agenzia
delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, Pierre Krähenbühl: «I bambini
sono stati uccisi nel sonno: è un affronto
per tutti noi, una vergogna di proporzioni universali. Oggi il mondo si trova
davanti a una tragedia». Tuttavia le
violazioni del diritto internazionale da
parte di Israele non hanno avuto inizio
con l’ultimo attacco a Gaza. Per decenni
Israele ha negato il diritto palestinese
all’autodeterminazione appropriandosi
deliberatamente di territori e risorse,
obbligando i palestinesi a lasciare la
propria terra, discriminandoli sistematicamente e reprimendo brutalmente
coloro che si oppongono all’occupazione
e alla violazione dei diritti umani. Subito
dopo la fine del massacro di Gaza, Israele ha annunciato una delle più grandi
operazioni di esproprio illegale di terra
palestinese che comporterà la confisca
di altri 400 ettari nella regione di Betlemme, nella Cisgiordania occupata,
allo scopo di espandere gli insediamenti. L’Onu, l’Unione Europea e altre
organizzazioni accusano Israele di aver
violato il diritto internazionale durante
l’occupazione dei territori palestinesi.
Mantenendo in vigore l’Accordo di Associazione UE-Israele e rafforzando le
relazioni bilaterali, l’Unione Europea
e i suoi stati membri sollevano Israele dall’obbligo di osservare il diritto internazionale. L’Unione Europea
contribuisce ad alimentare il clima di
impunità e mancanza di responsabilità continuando a garantire a Israele
un accesso preferenziale ai mercati
europei e ai programmi e ai fondi Ue,
nonostante le ripetute violazioni del
diritto internazionale. L’Unione Europea
fornisce così il supporto materiale alle
violazioni e all’inadempienza di Israele
in ambito internazionale. In qualità di
organizzazioni che rifiutano ogni forma
di discriminazione, compresi l’antisemitismo e l’islamofobia, e in qualità di
sostenitori del diritto di tutti i popoli di
vivere liberi e dignitosamente, chiediamo all’Unione Europea di sospendere
l’Accordo di Associazione con Israele
fino a quando questi non rispetterà il
diritto internazionale e chiediamo alle
persone in tutta Europa di unirsi al
nostro appello.
All’appello dell’European Coordination
of Committees and Associations for
Palestine (Eccp) ha aderito anche la
Rete per la Pace.
Stop TTIP: 11 e 14 ottobre
giornate di mobilitazione in Italia
Oltre 100 eventi in tutta Europa e decine di iniziative nel Paese
per fermare il trattato di liberalizzazione tra Europa e Stati Uniti
Decine di iniziative in tutta Italia, centinaia in Europa. È il risultato di una delle
più grandi mobilitazioni decentrate della
società civile internazionale, ed ha come
obiettivo il TTIP, Trattato Transatlantico
di libero scambio tra Unione Europea e
Stati Uniti. Il Trattato punta a creare il più
grande mercato liberalizzato mondiale
(40% del PIL globale) a vantaggio di
grandi imprese e investitori, ma minando
alla base i diritti di lavoratori e cittadini
di entrambe le sponde dell’Atlantico.
Nel percorso di avvicinamento alla Giornata di Azione globale dell’11 ottobre,
ci sono state decine di incontri pubblici
e lo sciopero con manifestazione della
FIOM Milano l’8 ottobre.
La Campagna Stop TTIP Italia, coordinamento di più di 90 realtà di movimento,
associazioni, organizzazioni sindacali e
politiche, chiede il blocco immediato
dei negoziati, evitando un trattato di
liberalizzazione selvaggia tra Europa e
Stati Uniti che metterebbe in discussione
diritti acquisiti e sostenibilità sociale e
ambientale. Tra i principali appunta-
menti nazionali: il Forum dei Popoli
Asia-Europa a Milano il 10-11 ottobre
e il 14 a Roma, in piazza Madonna di
Loreto, per chiedere l’immediato ritiro
del TTIP. L’11 ottobre saranno migliaia
le persone che si mobiliteranno dalla
Scandinavia alla Grecia al Regno Unito
per dire No ad un accordo commerciale
negoziato segretamente, che mette a
rischio i diritti sociali ed economici dei
cittadini europei, abbassando drasticamente gli standard di qualità di prodotti
e di processi produttivi e dando in mano
alle imprese il potere di denunciare gli
Stati chiedendo compensazioni, in base
a una previsione di perdita di profitto a
causa di normative legittimamente votate da Parlamenti eletti. In Italia sono
ormai decine le mozioni presentate per
chiedere alle Amministrazioni locali di
opporsi al trattato di libero scambio:
Regione Toscana, Comune di Pisa, di
Ancona, di Milano sono tra queste, così
come stanno crescendo i comitati locali
che sostengono la campagna. Il TTIP va
fermato subito per evitare un aggravarsi
della crisi di sistema che stiamo vivendo
con un’altra stagione di liberalizzazioni
selvagge, e aprire un processo costituente sociale, economico e ambientale
in cui economia e commercio tornino
strumenti, non obiettivi politici. Non
possiamo permettere che i diritti sociali,
economici, ambientali e il principio di
precauzione diventino merce di scambio
per tutelare gli interessi di imprese e
investitori. Chiedere il ritiro del TTIP
significa difendere i beni comuni e la
democrazia. Fermare il TTIP vuol dire
immaginare una diversa uscita dalla crisi
e costruire un’altra Europa dal basso.
E tra le decine di iniziative l’11 ottobre
alle 13 a Milano: flash mob/conferenza stampa in occasione della Giornata
europea di Mobilitazione Stop TTIP:
movimenti, parlamentari europei, associazioni e comitati presentano la Giornata
di mobilitazione e le iniziative in Italia e
in Europa per fermare il TTIP.
Per informazioni:
http://stop-ttip-italia.net
Fb Stop TTIP-Italia
9
società
arcireport n. 32 | 9 ottobre 2014
Si chiude con successo l’ottava
edizione di ‘Internazionale a Ferrara’
di Paolo Marcolini presidente Arci Ferrara
Si è conclusa con 71mila presenze l’ottava
edizione di Internazionale a Ferrara,
il festival di giornalismo organizzato da
Internazionale, Arci e dal Comune di
Ferrara. Continua il trend positivo del festival con un aumento di pubblico del 12%
rispetto all’anno passato. Internazionale
a Ferrara si conferma una manifestazione in crescita, con un pubblico giovane.
Il festival ancora
una volta ha trasformato Ferrara
nella redazione più
grande del mondo.
Tre giorni di dibattiti, eventi e
proiezioni con 230
ospiti di 45 testate giornalistiche e
provenienti da 30
paesi che hanno
dato vita a un calendario di oltre
100 incontri per
250 ore di pro-
grammazione. Anche quest’anno la città
si è messa al servizio del festival con 22
location, 18 ristoranti, 57 responsabili di
spazio, 66 studenti delle scuole superiori
che hanno collaborato con impegno alla
riuscita della manifestazione, 12 responsabili dell’organizzazione, 8 volontari del
servizio civile.
Un venerdì da record con quasi 4.000
persone in piazza Municipale per l’intervista pubblica dei corrispondenti stranieri
a Matteo Renzi.
A Ferrara quest’anno Ed Catmull, presidente di Pixar Animation e Disney
Animation, che dopo l’incontro si è trattenuto quasi un’ora per firmare le copie
del suo nuovo libro Verso la creatività
e oltre (Sperling & Kupfer).
Informazione ancora una volta protagonista con i direttori dei grandi giornali,
Gerard Baker del Wall Street Journal,
Martin Baron del Washington Post, Edwy
Plenel di Mediapart, Nicolas Barré di
Les Echos. Poi le migrazioni e il cambiamento nella concezione dei confini e
delle mobilità del XXI secolo. Dall’Iraq
alla Libia tra terrorismo, scontri settari
e Stati a rischio verso la ridefinizione
del Medio Oriente. L’America Latina e
l’orientamento della nuova sinistra. E
poi cultura, cibo, workshop e laboratori
creativi per bambini. Un’anteprima del
festival il 2 ottobre con i film d’autore
della nuova rassegna Mondocinema. E
poi l’appuntamento con i documentari
di Mondovisioni e gli audiodocumentari
di Mondoascolti. Tornano a Ferrara due
amici del festival, David Randall e John
Berger. Presentato anche il nuovo sito
web di Internazionale che sarà online
fra pochi giorni.
Particolarmente partecipate anche le
iniziative proposte e sostenute direttamente da Arci, come le video installazioni
dell’artista francese Clement Briend al
Parco Massari, sul tema di migranti e
mediterraneo in memoria e ricordo delle
vittime che appena un anno fa naufragarono a Lampedusa, i volti ed i ricordi,
proiettati sui prati e sulle pareti del parco.
Un cash mob a Padova per dimostrare
il potere del cambiamento
L’11 ottobre unisciti a noi per dimostrare il tuo potere
Una nuova, emozionante campagna
Fairtrade ricorderà a tutti i consumatori l’importanza di sostenere la scelta
di prodotti certificati Fairtrade dall’11
al 26 ottobre. La nuova campagna, già
partita in altri paesi europei, prende il
nome di The power of you, ovvero Il
potere che è in te e parla del potere del
cambiamento che è in ciascuno di noi:
attraverso una spesa più sostenibile ogni
giorno si possono promuovere migliori
condizioni di vita per i lavoratori e rispetto delle risorse naturali, grazie alla
certificazione Fairtrade. I testimonial
della campagna sono cittadini comuni
dai 20 ai 60 anni, che ci hanno messo la
faccia per dimostrare che ogni giorno si
può fare la differenza. E per dimostrare
che il potere del cambiamento si esercita
andando a fare la spesa, è proprio da un
supermercato che parte la campagna.
Nella mattinata di sabato 11 ottobre il
punto vendita Coop di via Zabarella a
Padova ospiterà infatti un cash mob,
ovvero un modello di flash mob in cui le
persone si riuniscono in un negozio per
fare degli acquisti responsabili ‘votando
col portafoglio’. Anziché apporre una
croce su una scheda elettorale, metteranno i prodotti Fairtrade nel carrello e
così aiuteranno i produttori a costruire
un futuro migliore. Si tratta del primo
evento di questo genere a Padova ed
è organizzato con il supporto dell’associazione Economia e Felicità e con
la collaborazione di Arci Padova. Chi
non vive a Padova avrà comunque la
possibilità di ‘votare con il portafoglio’
recandosi nelle giornate della campagna
in uno dei migliaia di punti vendita che
in tutto il territorio nazionale ospitano
promozioni e scontistiche sui prodotti
certificati Fairtrade per le settimane
nazionali del commercio equo e solidale.
Non solo caffè, cioccolato e banane: è
l’occasione buona per provare anche gli
ananas, il tè, la frutta secca e scoprire tra
gli scaffali tanti prodotti confezionati a
partire da ingredienti Fairtrade: biscotti, praline, merende, succhi di frutta.
Numerose anche le caffetterie di tutto
il territorio nazionale che esporranno
materiale informativo.
www.fairtradeitalia.it
10
arcireport n. 32 | 9 ottobre 2014
daiterritori
Il 3 ottobre dell’Arci
Modena
Palloncini e fiocchi
gialli, il colore dei
migranti, per ricordare che quel 3 ottobre di un anno fa
non è ancora finito.
La manifestazione
Mare Amaro, che si è
svolta nella centralissima piazza Torre di
Modena, non è stata
solo una commemorazione delle vittime di Lampedusa,
ma anche una riflessione per mantenere viva l’attenzione
su quello che sta ancora accadendo e per sottolineare
l’urgenza di una soluzione comune a livello europeo. In
un centinaio si sono dati appuntamento in piazza per
una maratona di letture dove cittadini e migranti hanno
prestato la voce a racconti, poesie e lettere tratte da storie
di viaggio vere o immaginate, mentre il gruppo musicale
Le Cinciallegre ha intonato alcune canzoni dedicate a chi
lascia la propria terra in cerca di speranza. «I giorni della
memoria si istituiscono in ricordo di un passato finito una
volta per tutte - affermano gli organizzatori citando l’appello
nazionale della Carta di Lampedusa - ma il 3 ottobre non
ha mai avuto fine». Per Gerardo Bisaccia, responsabile Arci
Modena per la cooperazione internazionale e la solidarietà
«davanti a questa immane tragedia è importante ricordare
le vittime e lavorare perché si rispettino i diritti umani.
Spesso si parla di numeri ma dobbiamo tenere presente
che quei morti sono persone: padri, madri, figli, fratelli
LIVORNO
Mediterraneo, un mare di accoglienza. A Livorno, lo
scorso sabato 4 ottobre, Arci Toscana e Arci Livorno,
assieme a cooperativa Itinera e Associazione 140
(associazione dei familiari delle vittime della Moby
Prince) hanno ricordato le 368 persone che un anno
fa persero la vita nel mare di Lampedusa nel tentativo
di raggiungere la ‘frontiera’ Europa.
Un’iniziativa che ha voluto intrecciare anche il ricordo
della tragedia marittima (quella della Moby Prince,
appunto) che irruppe nella vita del territorio labronico
nell’aprile del ’91.
La giornata si è sviluppata in due momenti.
Al mattino hanno discusso in un gremito Nuovo Teatro
delle Commedie Marco Solimano (presidente di Arci
Livorno), Cinzia Gubbini (giornalista), Riccardo Clerici
(Unhcr), Giovanni Lattarulo (responsabile settore immigrazione Regione Toscana), Loris Rispoli (Associazione
140) e Gianluca Mengozzi (presidente di Arci Toscana).
Al dibattito hanno portato il loro contributo, oltre agli
operatori e agli utenti dei progetti SPRAR della Toscana,
anche una delegazione di rappresentanti della società
civile irachena partner di Arci Toscana in un progetto
dedicato alla creazione di centri giovanili che hanno
come obiettivo l’inclusione delle minoranze religiose.
Nel pomeriggio presso il porto di Livorno, si è poi tenuta
la commemorazione di fronte alla lapide in memoria
delle vittime della Moby Prince e la deposizione in
mare di una corona in ricordo di tutte le persone che
e amici». La manifestazione è stata promossa dalla Rete
Primo Marzo con il patrocinio del Comune di Modena e
l’adesione di Arci, Forum Terzo Settore, Cgil, Cisl e Uil.
Genova
La tragedia del 3 ottobre 2013 a Lampedusa e il suo drammatico bilancio sono stati ricordati anche a Genova, con
un presidio a cui hanno dato il proprio sostegno anche
Arci Genova e Arci Liguria. L’iniziativa si è svolta nella
storica piazza De Ferrari dove per l’occasione la fontana
disegnata dall’architetto Giuseppe Crosa di Vergagni è
stata chiusa, grazie alla collaborazione del Comune, per
consentire che fosse costellata di candele «per dare una
luce di speranza e rispondere a quanti invece spargono
la paura dell’invasione e con essa semi di razzismo e
intolleranza». Sempre a Genova, il Municipio Medio
Ponente ha approvato una mozione in cui, tra l’altro, si
ricorda che «in questo ultimo anno tante, troppe tragedie
si sono consumate nel Mediterraneo ed in particolare nel
canale di Sicilia. Ormai è impossibile contarne i morti».
Vi si sottolinea come «diverse organizzazioni umanitarie
laiche e religiose da tempo chiedono che il 3 ottobre di
ogni anno diventi il giorno della memoria, per non dimenticare. In particolare l’Arci ha chiesto mesi fa al governo
e al parlamento che si facciano promotori di iniziative in
tal senso. Il Mediterraneo non può continuare a essere
un mare di tragedie, ma deve diventare una risorsa per
sviluppare pace, solidarietà, accoglienza ma soprattutto
sviluppo e crescita civile per tutti i paesi e i popoli che si
affacciano su questo mare».
[email protected]
hanno perso la vita in mare.
A 12 mesi di distanza da Lampedusa, è stata scelta
Livorno perché città sintesi della Toscana nel Mediterraneo, una città con i suoi tanti sguardi e le sue tante
culture, in una giornata che ha voluto rappresentare non
solo il ricordo per le vittime e la denuncia di un quadro
legislativo desolante, ma anche la voglia di continuare
un cammino sull’accoglienza fatto di esperienze diverse,
di incontro e crescita.
PESARO
Il 3 ottobre a Pesaro al Moletto, luogo d’incontro e
simbolo della città proteso verso il mare, si è svolta
una cerimonia promossa da Arci Pesaro e cooperativa
Labirinto (partner Spraar) a cui sono intervenuti la Presidente provinciale Arci Ornella Pucci, la responsabile
del progetto della cooperativa Cristina Ugolini, il vice
sindaco di Pesaro Daniele Vimini, il Vicario del Prefetto
in rappresentanza della prefettura e una vedetta della
Capitaneria di porto di Pesaro. Erano presenti inoltre
diversi cittadini pesaresi e migranti.
È stata chiesta l’istituzione della Giornata della memoria
e dell’accoglienza, ci si è confrontati sull’emergenza e
sull’accoglienza, si è ribadita la necessità di corridoi
umanitari e dell’impegno indispensabile dell’Europa. Al
termine della manifestazione, assieme ad alcuni ospiti
del progetto, sono state gettate in mare alcune corone
di fiori in ricordo delle vittime del tragico naufragio al
largo di Lampedusa accaduto un anno fa.
11
arcireport n. 32 | 9 ottobre 2014
La notte rossa: la festa
delle case del popolo
Case del Popolo, circoli culturali ed operai. Sono termini usati in diverse aree
del nostro Paese per definire luoghi che
hanno in comune una stessa storia e un
cammino analogo: immobili costruiti con
ore di lavoro volontario, sorti spontaneamente nella penisola per dare uno spazio
di ritrovo a lavoratori e cittadini.
Nati fin dalla fine del 1800, nel corso degli
anni sono stati centri importanti per lo
sviluppo del territorio circostante e della
coscienza dell’intero Paese. Sono i luoghi
in cui sono nate le organizzazioni sociali,
in cui si sono affermati diritti e sono state
create le prime strutture per rispondere
ai bisogni della popolazione.
Luoghi vissuti e di vita vissuta che hanno
spesso riconosciuto il valore di movimenti,
associazioni, sindacati e partiti nella loro
funzione di mediatori sociali e di spinta
per il cambiamento, con cui impegnarsi
in battaglie affini per vedere riconosciuti
diritti e costruire insieme le risposte necessarie. I bisogni crescenti della società
moderna, sia individuali che collettivi,
rendono manifesta l’esigenza di tornare
a vivere luoghi condivisi, in cui affrontare insieme le necessità del quotidiano
rafforzando l’efficacia della propria azione.
Da questa esigenza nasce l’idea di far
rivivere le Case del Popolo e i luoghi che
ne condividono la storia. Questi spazi,
che esistono ancora grazie ai volontari,
sono ancora oggi luoghi in cui confrontarsi mantenendo un legame con la realtà
circostante.
La notte rossa è una manifestazione nazionale che riconosce l’importanza storica di
questi luoghi e vuole valorizzarli per farli
rivivere e apprezzare anche dalle nuove
generazioni. Una sorta di ‘passaggio del
testimone’, che vede i giovani protagonisti
di una tre giorni in cui parlare di diritti e
nuovi bisogni, affiancando alla storia un
rinnovato impegno. Tantissime Case del
popolo hanno organizzato iniziative; tra
queste 16 Case nella Provincia di Ferrara
che hanno aderito all’iniziativa e aperto le
loro porte proponendo tantissime attività,
dibattiti, incontri e occasioni in cui dare
spazio alla diffusione culturale e artistica,
con particolare attenzione ai giovani e alle
necessità delle singole realtà, ma anche a
momenti di svago ed aggregazione, turistico
culturali e sociali che potranno coinvolgere
le frazioni e questi importantissimi spazi.
L’iniziativa è coordinata da un comitato
promotore e da diversi partners che hanno
vissuto la storia e la vita di questi luoghi
di memoria storica, contadina ed operaia:
Arci Ferrara, Fondazione L’Approdo, Legacoop Ferrara, Associazione Enrico Berlinguer, Uisp, Coop Camelot, Fondazione
2000, Coop Case del Popolo, Udi, Cgil,
Anpi, Istituto di Storia Contemporanea,
SPI Cgil. È chiara, quindi, l’ambizione
al recupero e alla trasmissione di valori
e tradizioni, da coniugare in modo più
aggiornato, per far vivere questi luoghi,
spazi di mediazione interculturale e intergenerazionale.
[email protected]
Il 3 ottobre a Trento
Anche a Trento, come in diverse zone
d’Italia, il 3 ottobre è stata l’occasione
per sensibilizzare la cittadinanza sulla
tragedia che continua a consumarsi ai
nostri confini.
L’Arci del Trentino insieme a Acli Trentine,
Cgil, Uil, Udu e diverse associazioni locali
hanno ricordato la strage di un anno fa e
ribadito la necessità di colmare le gravi lacune legislative del nostro ordinamento sul
diritto d’asilo.
Una iniziativa
in collegamento ideale con
Lampedusa,
ad unire le due
estremità dell’Italia in un’unica
richiesta.
L’iniziativa
trentina si è
articolata in un
doppio appuntamento al cir-
colo Arci Café de la Paix. Giovedì 2 ottobre
alle ore 19 è stata inaugurata la mostra
Altromare_un’altra storia è possibile,
personale di Alessio Pedrotti con opere
realizzate con il materiale di recupero
proveniente dalle spiagge italiane.
Venerdì 3 ottobre alle ore 18 l’installazione
in memoria delle vittime di Lampedusa, opera di Omar Pizzini. Le barchette
bianche, su cui sono state proiettate le
immagini del mare, hanno voluto ricordare, anche ai passanti, la particolarità di
questa giornata.
Altre barchette invece sono state realizzate
dai bambini del centro Intercity Ramblers
di Rovereto. Opere realizzate grazie al percorso di sensibilizzazione dell’associazione
Ubalda Bettini Girella. La giornata si è
conclusa alle ore 18.30 con la proiezione
del documentario Radici - L’altra faccia
delle migrazioni di Davide De Michelis
e alle 21, con i Fan Chaabi, gruppo dalle
sonorità mediterranee.
fb Arci del Trentino
daiterritori
in più
viaggio in toscana
PISTOIA Il circolo Arci Micco rosso
organizza, il 10 ottobre alle 21.15 presso
il circolo Arci Garibaldi, la presentazione del libro Viaggio in Toscana di
Enrico Rossi, presidente della Regione.
Ne discuteranno con l’autore giovani
esponenti del centrosinistra politico
e sociale pistoiese: Mattia Nesti (Arci
Micco rosso), Valeria Nanni (Giovani
Democratici), Alberto Guercini (Sinistra
Ecologia Libertà), Stefano Bartolini
(Fondazione Valore Lavoro). L’iniziativa
sarà un’occasione per confrontarsi con il
presidente Rossi sulle politiche regionali,
sulla realtà del territorio pistoiese e sul
futuro del centrosinistra toscano.
fb Micco Rosso
la biblioteca dei libri
viventi
MANIAGO(PN) Arci di Udine
e Pordenone e cooperativa Damatrà
promuovono la Biblioteca dei libri viventi che coinvolgerà 260 giovani delle
scuole secondarie di Maniago e Montereale Valcellina e del liceo Torricelli
di Maniago. L’evento si terrà in piazza
a partire dalle 10.30 e darà ai giovani
che parteciperanno in qualità di lettori
la possibilità di leggere i libri viventi ma
anche di leggere il territorio.
[email protected]
MOVING TTF
TORINO Continua Moving TTF,
manifestazione coordinata da circolo
Arci Altera e Centro di cooperazione
culturale e realizzata in collaborazione
con Ucca, Arci Torino, Museo Nazionale
del Cinema e Torino Film Festival. Fino
al 17 novembre nei circoli Arci di Torino
e in altri luoghi della città si terranno più
di 20 proiezioni di film e documentari, in
preparazione del Torino Film Festival. Il
10 ottobre alle 15.30 alla bibliomediateca
‘Mario Gromo’ sarà proiettato Il lago di
Yukai Ebisuno e Raffaella Mantegazza,
mentre alle 21 al circolo Artemuda Ho
visto Suzanne di D. Ferrario.
www.arcipiemonte.it/torino
l’oriente di pasolini
COMO Fino al 12 ottobre al Broletto
è possibile visitare la mostra L’Oriente di
Pasolini. Il fiore delle mille e una notte
nelle fotografie di Roberto Villa, che
fa parte della rassegna Una disperata
vitalità, dedicata a Pier Paolo Pasolini
e promossa dall’Arci Xanadù.
www.spaziogloria.it
12
arcireport n. 32 | 9 ottobre 2014
Unioni civili: con
Alfano si torna
al Medioevo
«La decisione del Ministro Alfano
di inviare una circolare ai Prefetti in
cui chiede la cancellazione della trascrizione dei matrimoni tra persone
dello stesso sesso celebrati all’estero
è anacronistica, ci fa pensare che si
voglia tornare al Medioevo - afferma
Francesca Chiavacci, Presidente nazionale dell’Arci - la nostra legislazione nazionale in materia continua ad
essere molto arretrata, nonostante il
presidente del Consiglio in più occasioni abbia dichiarato l’impegno di
introdurre significativi miglioramenti,
per avvicinarla a quella della maggior
parte degli altri paesi europei.
Sono stati invece i sindaci di molti
comuni a prendere atto della realtà,
sia attraverso l’introduzione dei registri
delle unioni civili, che attraverso il riconoscimento dei matrimoni celebrati
all’estero.
Oggi si vorrebbe vanificare tutto questo
lavoro attraverso un intervento che
viola ogni principio di autonomia degli
Enti locali.
Ci chiediamo poi dove stia la necessità
e l’urgenza di emanare, da parte del
ministro degli Interni, un provvedimento di questo tipo, a meno che
non consideri un tema che riguarda
i diritti civili un problema di ordine
pubblico. Ancora una volta il governo
non solo non mantiene le promesse, ma
addirittura adotta provvedimenti che
ne rappresentano il capovolgimento».
«L’Arci - conclude Chiavacci - è al
fianco dei sindaci che non intendono
annullare le trascrizioni e si impegnerà,
nei prossimi giorni, ad organizzare
momenti di mobilitazione nelle città
contro questo gravissimo provvedimento».
società
Vittoria dell’associazionismo
democratico europeo,
bloccata la candidatura
Navracsics!
L’Arci oggi festeggia.
La Commissione Cultura del Parlamento
Europeo, riunita ieri a porte chiuse, ha
bloccato a maggioranza la candidatura
di Tibor Navracsics a Commissario
Europeo per la Cultura, l’Educazione,
i Giovani e la Cittadinanza.
Al dirigente di Fidesz, il partito reazionario al potere in Ungheria che ha
posto inaudite limitazioni alla libertà
di stampa, di espressione, di opinione
e che propugna apertamente posizioni
di stampo razzista e oscurantista, non
sono state riconosciute le caratteristiche necessarie per guidare questa
commissione.
È una vittoria dell’associazionismo democratico europeo, dei parlamentari
progressisti e della sinistra che hanno
sostenuto il carattere inaccettabile e
persino provocatorio della proposta
avanzata dal Presidente Juncker. Ha
vinto la mobilitazione realizzata fuori
e dentro il Parlamento nelle ultime
settimane attraverso appelli, lettere
aperte, incontri, petizioni.
La collaborazione stretta e coordinata fra
reti di società civile democratica europea,
associazioni nazionali, parlamentari e
gruppi parlamentari progressisti, cittadini e cittadine ha dato i suoi frutti.
Chiediamo che il voto della Commissione sia pienamente rispettato, e proseguiremo insieme alle associazioni e
ai parlamentari europei a monitorare
il dibattito politico e parlamentare per
evitare qualsiasi colpo di coda.
Ci auguriamo che questo voto possa
aprire la strada a un vero impegno delle
istituzioni e delle forze politiche e sociali
europee sulla situazione ungherese, per
mettere fine alle sistematiche e gravissime violazioni dei diritti e delle libertà
fondamentali nel Paese.
Il voto di ieri deve essere solo l’inizio:
per arginare l’avanzata dei fenomeni
regressivi e reazionari nei paesi dell’U-
nione Europea, insieme all’abbandono
delle politiche del rigore che hanno solo
aumentato disuguaglianze e malessere
sociale, serve un deciso investimento
proprio su cultura, educazione, giovani
generazioni e partecipazione democratica.
Le politiche europee devono smettere di
considerare questi ambiti come accessori
e destinare ad esse risorse economiche
e decisi investimenti politici.
L’Arci prosegue il suo impegno. Ringraziamo le reti europee che hanno aderito
alla campagna, e in particolare il Forum
Civico Europeo e European Alternatives che l’hanno promossa e animata.
Ringraziamo i parlamentari per il loro
impegno e la loro determinazione.
Abbiamo insieme dimostrato che la
mobilitazione coordinata e paritaria
di società civile democratica e parlamentari progressisti può imporre il
cambiamento, anche quando l’accordo
fra i poteri forti sembra blindato e intaccabile. Andiamo avanti così, per la
nostra Europa.
arcireport n. 32 | 9 ottobre 2014
In redazione
Andreina Albano
Maria Ortensia Ferrara
Carlo Testini
Direttore responsabile
Emanuele Patti
Direttore editoriale
Francesca Chiavacci
Progetto grafico
Avenida
Impaginazione e grafica
Claudia Ranzani
Impaginazione newsletter online
Martina Castagnini
Editore
Associazione Arci
Redazione | Roma, via dei Monti
di Pietralata n.16
Registrazione | Tribunale di Roma
n. 13/2005 del 24 gennaio 2005
Chiuso in redazione alle 18
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