Il Romanticismo tedesco Analisi del Primo inno alla notte di Novalis
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Il Romanticismo tedesco Analisi del Primo inno alla notte di Novalis
Dal Romanticismo delle patrie al secolo delle nazioni (da Leggere come io l'intendo... vol. 4, pp. 60-62) Il Romanticismo tedesco Analisi del Primo inno alla notte di Novalis (Hymnen an die Nacht I) Schema metrico: nell'originale, versi liberi. Che cosa dice il testo Sul piano del contenuto l'inno presenta un'architettura assai chiara, articolata in tre diversi momenti, che corrispondono a tre lunghe strofe di ampiezza differente. Tutta la prima strofa (vv. 1-37) è un'amplificazione della domanda retorica che la apre: quale essere sensibile («dotato di sensi») non ama la luce? La luce viene così esaltata per la sua bellezza vivificatrice. Essa costituisce uno spettacolo splendente, che si irradia nell'intero creato, in ogni sua parte: il mondo minerale (v. 17), il mondo vegetale (v. 19), il mondo animale (v. 20) e, soprattutto, quello dell'uomo (il «maestoso viandante» del v. 23). Già in apertura l'inno contiene una specificazione rilevante: Novalis parla infatti di viventi "dotati di sensi", anticipando e suggerendo il tema centrale della lirica, ovvero la possibilità di una conoscenza trascendente, di una vista possibile senza la luce, di là dalla vita. Nella seconda strofa (vv. 38-61), che ha un andamento più narrativo, compare per la prima volta l'io del poeta, che nel primo verso della strofa parla in prima persona («mi distolgo e mi volgo», v. 38). Novalis descrive l'eccezionalità dolorosa della sua condizione: egli fugge proprio quella luce che ogni vivente ama. La sua ricerca della notte è desiderio di silenzio e solitudine, volontà di annullamento e di morte. La terza strofa (vv. 62-124) si apre con una serie di tre domande rivolte alla stessa notte. La ricerca della notte, da doloroso desiderio di annullamento di sé, schiude improvvisa e immotivata una felicità nuova, una «eterna notte nuziale» (vv. 123-124), in cui l'annullamento diventa fusione assoluta con l'amata in una dimensione estatica (una sorta di "uscita da se stesso") che va al di là dell'esperienza percettiva comune. Le parole del testo «con gli occhi pieni di profondi sensi» IL RAPPORTO TRA LUCE E VISIONE II termine "occhi" compare due volte nell'inno: nella prima strafa («con gli occhi pieni di profondi sensi», v. 24) e nella terza («gli occhi infiniti / che in noi la notte dischiude», w. 98-99). Proprio il mutamento di significato tra le due strofe è però fondamentale, in quanto introduce nel cuore della lirica e della contrapposizione luce/notte su cui essa si regge. Nella prima strofa Novalis parla dell'organo della vista, che necessita della luce perché le si schiuda lo spettacolo vivace e splendente del mondo sensibile. Gli «occhi infiniti» e «Più divini / delle stelle scintillanti» dei w. 96-98 appartengono invece a una realtà estranea ai sensi: sono gli occhi dello spirito, dotati di più profonda e penetrante forza di visione, aperta sull'infinito, in quanto possono distendersi oltre le stelle più lontane («oltre / le più pallide gemme», w. 100-101). Gli occhi della vista possono vedere attraverso la «gioiosa luce» (v. 6), che è anche «meraviglioso splendore» (v. 36), distinguendo così «parvenze» (v. 4; ciò che si offre alla percezione visiva) e «colori» (v. 7). Essi propongono all'uomo uno spettacolo meraviglioso di vita. La vista è però un'appropriazione razionale del mondo, che coglie le parvenze e i fenomeni della materia, che distingue e classifica le cose. Il poeta potrà invece unirsi con lo spirito della donna amata solo quando giungerà a "vedere" ciò che è indistinto, ciò che è confuso in un tutto in cui i contrari si mescolano e si confondono. Alla luce come simbolo della razionalità il poeta contrappone perciò la notte, ovvero la forza dell'immaginazione, in cui il soggetto creatore ritrova in sé l'infinito, la verità profonda e perenne dell'essere. Così le definizioni che qualificavano la luce (e quindi gli occhi sensibili) tornano nella terza strofa a connotare i nuovi occhi dello spirito: se ai vv. 28-29 la luce è«regina / della natura terrestre», ora è la notte a essere «regina del mondo» (v. 108); se la luce è «anima della vita» (v. 12), ora la notte è «vita» (v. 117). «mi volgo / verso la sacra, ineffabile / misteriosa notte» L'INEFFABILITÀ DELLA NOTTE L'aggettivo «ineffabile» (v. 39) significa etimologicamente "che non si può esprimere a parole", dal latino in-, prefisso che indica la negazione, e fari, infinito del verbo "parlare"; analoga è la morfologia della parola tedesca usata da Novalis (unaussprechlichen). Esso esprime tradizionalmente la natura indicibile (ineffabile, appunto) di un'esperienza estatica o mistica, come "uscita da se stessa" e dai propri limiti umani: un'esperienza la cui natura può essere intuita o allusa, ma non razionalizzata attraverso la parola. L'aura di mistero e sacralità che annota la parola ne fa un termine particolarmente significativo per l'estetica romantica e in particolare per Novalis. Esso compare tre volte nella lirica: al v. 39 riferito alla notte; al v. 77 nella forma dell'avverbio: «ci sentiamo oscuramente / e 1 Dal Romanticismo delle patrie al secolo delle nazioni ineffabilmente turbati», al v. 106, di nuovo come aggettivo, riferito a «voluttà». Decisiva per rafforzare il significato quasi teologico del termine è poi la sua associazione, in riferimento alla notte, con gli aggettivi che la designano come «sacra» e «misteriosa» (vv. 3940). «Voglio precipitare / in gocce di rugiada» L'ACQUA COME IMMAGINE DELLA VITA Compare due volte nella lirica l'immagine dell'acqua in rapporto alla condizione del poeta. Nella seconda strofa egli esprime la volontà di farsi acqua in «gocce di rugiada» che si mescolino alla «cenere» della donna amata (vv. 47-48). Il poeta manifesta qui un desiderio di annullamento ma a favore di un'amorosa fusione: come l'acqua si insinua ovunque e imbeve di sé le cose, così il farsi acqua indica il confondersi nella materia, la perdita di ogni traccia di individualità. Nella terza strofa appare poi l'immagine di una nuova speranza, simile a una fresca fonte che «zampilla» (v. 62), come rivela il verbo specifico usato da Novalis nell'originale tedesco, quellen, che indica appunto lo sgorgare dell'acqua da una fonte: con la «molle brezza / della malinconia» (vv. 65-66) si insinua nel cuore del poeta una speranza nuova, quella di unirsi in misi ca unione con lo spirito di Sophie. L'acqua esprime qui, simbolicamente, il ritorno della vita, e quindi della speranza, in un'immagine che è ancora legata, come la precedente, all'idea dell'annullamento individuale, d confondersi nel gran mare della materia e dell'esistei te. La speranza rappresentata dall'acqua richiama l'immagine della rugiada che si confonde con le ceneri de l'amata: la speranza di vita è dunque una non-vita, l'annullamento di sé, un uscire da se stesso, superane i limiti dell'umano e dei sensi per unirsi con la donna amata in un'«eterna notte nuziale» (vv. 123-124). Lavoro sul testo 1. Perché la luce è definita «anima della vita» (v. 12)? E perché il poeta se ne allontana? 2. La prima e la terza strofa dell'inno individuano due diversi modi di conoscere il mondo, fondati su diverse facoltà: quali? Individua i termini che Novalis utilizza per differenziarli. 3. Nell'inno la notte è metafora della dimensione interiore dell'uomo quando si sgancia da un approccio razionale nei confronti dell'esistenza. Perché il poeta sceglie questa metafora? Individuane e illustrane i caratteri salienti (max 15 righe). 4. Ragionare sulle parole Ricerca altri termini che facciano parte della medesima famiglia etimologica di ineffabile. A quali campi semantici appartengono? La vita e le opere di Novalis Friedrich Leopold von Hardenberg (Novalis è uno pseudonimo) nacque in un villaggio della Sassonia nel 1772. Studiò giurisprudenza e filosofia (all'Università di Jena ebbe come maestri Fichte e Schiller) ed entrò presto in contattocon Friedrich Schlegel, che lo introdusse negli ambienti dei giovani romantici raccolti intorno alla rivista "Athenäum". Nel 1794 conobbe Sophie von Kühn, con la quale si fidanzò; la fanciulla morì però, appena quindicenne, nel 1797. La drammatica esperienza ispirò gli Inni alla notte (Hymnen andie Nacht), il suo capolavoro poetico. Tra il 1798 e il 1801scrisse Enrico dì Ofterdingen (Heinrich von Ofterdingen), incompiuto romanzo ambientato nella Germania del XIII secolo, che in una prosa lirica altamente suggestiva racconta l'iniziazione poetica del protagonista, un leggendario Minnesänger, cioè un poeta cortese medievale, impegnato nella ricerca del «fiore azzurro» (simbolo di un'irraggiungibile felicità) chegli era apparso in sogno. Impiegatosi come amministratore di miniere nel 1800, Novalis morì di tisi l'anno successivo, a 29 anni non ancora compiuti. Le sue opere, uscite in minima parte in vita (alcuni frammenti su "Athenäum" e gli Inni alla notte, pubblicati nel 1800), vennero edite a cura degli amici Schlegel e Tieck nel 1802. 2