L`abbonamento scaduto

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L`abbonamento scaduto
L’abbonamento scaduto.
di
Roberto Gassi
Abitava esattamente a circa un’ora e quarantacinque minuti dal Parlamento. La scelta di andarci in
treno dal paesello fuori città in cui abitava gli era stata imposta dal direttivo del suo partito. Le
nuove linee ferroviarie che aveva tenuto a battesimo dovevano essere promosse al pubblico, e
quale modo migliore che farci viaggiare il loro padrino? Il suo intervento era stato politicoburocratico, non d’ingegno, ma il fatto di averle fortemente volute (questo è quello che ripeteva
sempre nei salotti televisivi) lo rendeva fiero. Sei nuove linee di collegamento, dalle periferie ai
grossi centri. In realtà il progetto era di un suo collega, venuto a mancare per un incidente stradale
una domenica pomeriggio. A chi affidare il proseguo della cosa? A questa domanda il direttivo del
partito si rispose scegliendo tra i suoi uomini il meno eccelso, ma il più camaleontico.
Ripensava a quando aveva quaranta chili di meno e agitava volantini nei comizi nella piazza del
suo paese. Era cambiato tutto. Quando era giovane militante del suo partito ascoltava ogni persona
che gli ponesse un problema. Aveva una parola per tutti e non lasciava niente o nessuno nel
dimenticatoio. Conoscere un dirigente d’azienda o un operaio per lui era un eguale onore.
Prendersi carico dei problemi dei suoi elettori era una responsabilità gravosa a volte, ma di cui si
faceva carico con entusiasmo e voglia di fare. Credere nei suoi ideali, nel sistema, che gli
ingranaggi posso essere migliorati, che la struttura può essere resa più funzionale, lo spronava a
sentirsi primo attore della vita politica del paese. Non era mai da una sola parte ma cercava, per
quanto gli fosse possibile, di mediare soluzioni giuste ed eque. Rifiutava le pressioni di chi lo
voleva portare ad assumere scelte indotte. Rifiutava inviti compromettenti e le lusinghe dei privati.
Non si riteneva un puro a quei tempi, ma un uomo che cerca di tenersi in riga.
Ora viaggiava seduto sulla linea numero tre. La stessa che percorreva da ragazzo ai tempi
dell’università. L’unica già esistente delle sei linee. L’unica inserita e fatta ripristinare su sua
richiesta. La stessa su cui vide cambiare le stagioni per molti anni. La stessa su cui conobbe sua
moglie Sara. A quei tempi era un giovane di belle speranze e bella presenza. Magro come una
stecca da biliardo, con indosso i maglioni dismessi di suo fratello maggiore che era largo due volte
la sua misura.
Sara si sedette di fronte a lui in un viaggio di ritorno. Vivevano da sempre nello stesso paese ma
non si conoscevano, e questo, per un posto di provincia, è davvero una rarità. Sara l’osservò dalla
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testa ai piedi per lungo tempo. Ad un tratto sorrise e gli chiese: “Ma quanto pesavi prima di oggi?
In quel maglione di persone della tua stazza ce ne entrano almeno due direi!”.
Lui non rispose ma abbassò la testa stizzito. A quei tempi era tanto giovane quanto permaloso.
Non sopportava giustificare il suo stato sociale ed economico che lo portava ad indossare
indumenti di suo fratello più grande, ad evitare i cinema, le serate danzanti e le cene nei ristoranti
del centro.
“Allora? Hai perso la lingua? Se sono stata indiscreta mi scuso. Non volevo essere sarcastica.”
“C’era un gemello. Siamese.”
“Dove?”
“Nel maglione con me.”
Sara scoppiò a ridere con gli occhi e ogni muscolo del viso.
“Ma davvero?”
“Certo. Uniti dalla nascita.”
“E ora dov’è?”
“Non sopportava più di vivere con me nel maglione e quindi ci hanno separati.”
Sara continuava a ridere compiaciuta.
“Si è comprato un maglione tutto suo ed ora vive lì dentro senza me.”
Nacque così con sua moglie. Giocando di fantasia si guadagnò l’attenzione e in seguito l’amore, di
una delle donne più affascinati e comprensive che avesse mai conosciuto. Il passo per il
matrimonio fu breve. Le belle speranze aumentarono fino a divenire ottime. Il suo futuro
incominciò a sembrargli di molto più roseo.
Un venerdì pomeriggio fu preso dalla consueta stanchezza del fine settimana. Aveva voglia di
passare il week end in famiglia, di godersi per due intere giornate i suoi figli, sua moglie, portare a
spasso il cane. Ultimo appuntamento di lavoro alle ore diciotto. Due uomini distinti, di altezza
media, pelato uno e dalla chioma argentata l’altro, chiesero il permesso di entrare nella sua stanza.
Lui li fece accomodare alle due sedie, alla destra e alla sinistra, davanti alla scrivania. A quei
tempi ricopriva il ruolo di sindaco.
“In cosa posso esservi utile?”
I due uomini sorrisero all’unisono, l’argentato espose i loro perché. Avevano chiesto udienza per
cercare appoggio sulla designazione di alcuni lotti di terra edificabili vicino alle spiagge, nella
marina del paese. Lui gli rispose che il comune avrebbe bandito una gara di appalto secondo le
norme di legge vigenti. I due sorrisero all’unisono ancora una volta, il pelato intervenne.
“Signor sindaco, siamo qui perché abbiamo bisogno di certezze per i nostri progetti.”
“Quali sarebbero questi progetti?”
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“Un residence con villette a schiera, un resort, un complesso di appartamentini con piscina e
campi da tennis, una discoteca, un anfiteatro a fruizione pubblica, due ristoranti.”
“Bene. Una vera riqualificazione. Partecipate alla gara e fate una buona offerta.”
Il pelato smise di sorridere così come il suo compare dalla chioma argentata. L’argentato tirò fuori
dalla tasca della giacca del suo abito gessato grigio una busta da lettere che posò con leggerezza
sulla scrivania del sindaco.
“Cosa significa?” chiese lui.
“Nulla. Vogliamo solo essere certi della riuscita dei nostri progetti.”
Di cosa gli passò nella testa in quel momento, l’onorevole Vittoriano Sigismondo Ottaviani, non
ne aveva memoria, ma quello che vide in quella busta non se lo scordò mai. Osservò
semplicemente il suo futuro. Viaggi ai tropici, crociere, case per i suoi figli, una o più ville al
mare, una piccola baita in multiproprietà in montagna giusto per non farsi mancare niente.
Qualche opera d’arte da collezionista in cui investire i denari in esubero. Auto sportive, barche
lussuose. Gioielli e un numero esagerato di scarpe per la sua signora. Vizi da soddisfare.
L’onorevole Vittoriano Sigismondo Ottaviani senza indecisione allungò la mano posando il palmo
sulla busta per poi trascinarla lentamente a sé, fino a farla svanire sotto la scrivania. Nella busta,
quando controllò, ci trovò quasi un anno dei suoi stipendi da sindaco. Non si domandò perché
l’avesse presa, si rese solo conto di quanto fosse lucido quando lo fece. Da quel giorno il nuovo
Vittoriano Sigismondo non lasciò posto al vecchio cercando di spodestarlo in ogni modo, con il
risultato di macchiargli l’anima goccia a goccia, giorno dopo giorno. Cambiandolo anche
nell’aspetto, trasformandolo nell’uomo obeso con i capelli impomatati che era oggi. Portava un
sottile pizzetto che sembrava essere disegnato a matita per quanto fosse nascosto nelle pieghe
della pelle piena e grassa della sua faccia. Le borse sotto gli occhi erano tendenti allo scuro. Il
doppio mento si allungava verso il pavimento. Il collo sembrava sarebbe esploso da un momento
all’altro. Aveva la cravatta allentata e una camicia bianca con sei bottoni che la mantenevano
chiusa a fatica. Guardava dinanzi a sé infastidito dal chiasso degli altri viaggiatori. Per lo più
studenti. Qualche operaio straniero, qualche badante con la sua vecchia benefattrice, mamme e
bambini molto rumorosi.
L’onorevole Vittoriano Sigismondo Ottaviani ormai non si guardava più allo specchio da anni e se
gli capitava, per un motivo o per l’altro, cercava di evitare il suo riflesso, la sua bruttezza interiore
che aveva preso forma nella faccia che vedeva nello specchio. Mangiava cioccolatini. Ne aveva
una scorta spropositata nelle tasche. Abitava un abito blu scuro della sua misura. Non era più
salito su un treno dai tempi dell’università e viaggiare con intorno gente comune lo infastidiva
molto. Lui era passato ad un livello superiore da tempo ormai, e i cittadini, aveva smesso di
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considerali persone dal giorno in cui intascò la sua prima busta. Erano solo voti, bisogni da
accontentare. Simulare una condivisione, un interesse, solo per assicurarseli, per poi non cambiare
niente o far finta di mostrare impegno nel cercare di cambiare qualcosa. Sul sedile accanto aveva
la sua borsa e le copie di quasi tutti i quotidiani dello Stato. Non riusciva a leggere in quella
bolgia. Alla prima fermata il treno venne preso d’assalto dai pendolari. Impiegati, manovali,
artigiani, stagisti, facchini, aspiranti artisti, scrittori in cerca di editori, zingari con le mani aperte e
i figli che ti guardano nelle borse. Polacchi che vendono collanine, avvocati che hanno udienza in
mattinata, signore con le borse strette al petto per paura dei borseggiatori, liceali innamorati che si
tengono per mano ascoltando musica dagli auricolari. Qualche studente universitario che finge di
ripetere qualcosa per l’esame, altri che guardano il mondo muoversi oltre il finestrino.
L’onorevole Vittoriano Sigismondo Ottaviani guardava anche lui le campagne dominate dagli
ulivi, dalle viti, lavorate dai contadini abbronzati e scuri che raccolgono pomodori, il mare sullo
sfondo in alcuni tratti. Il tutto si mischiava quando il treno prendeva velocità lanciandosi sui
binari. Un fiume di colori sfocati scorreva oltre il finestrino alla stessa velocità del treno.
Somatizzò rabbia e frustrazione con dei crampi allo stomaco. Ad un punto gli sembrò di stare per
implodere. Ingoiò un altro cioccolatino e un calmante. Chiuse gli occhi imponendosi di dormire o
svenire se necessario. Doveva estraniarsi. Negare il caos che aveva intorno e ritrovare la pace. Si
immagino nella sua villa in piscina galleggiare su un enorme materassino gonfiabile, sorseggiando
un Martini e aspirando da un sigaro cubano di tanto in tanto. La sua enorme pancia gli impediva di
guardarsi il costume. Una sensazione di tranquillità lo pervase fino a rallentargli il battito cardiaco.
Sorrise con gli occhi chiusi abbandonandosi al sonno.
Sentì un leggero fastidio sulla mano. Una puntura d’insetto pensò.
“Si svegli signore.”
L’onorevole Vittoriano Sigismondo Ottaviani aprì gli occhi lentamente.
“Biglietto prego. Devo vedere il suo biglietto.”
L’onorevole infilò la mano nella tasca della giacca, e tra i cioccolati che v’erano dentro, scovò ed
estrasse l’abbonamento che passò nelle mani del controllore.
“Non è valido.”
“Come sarebbe? Certo che è valido! Controlli meglio.”
“Già fatto. Il suo abbonamento è scaduto. Biglietto prego.”
“Ma cos’è uno scherzo? Dia qua. Mi faccia vedere.”
Il controllore ripassò nelle mani dell’onorevole l’abbonamento.
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Guardandolo, l’onorevole Vittoriano Sigismondo Ottaviani, sgranò gli occhi. Era l’abbonamento
con sconto per studenti di quando frequentava l’università. Dopo quarant’anni se lo ritrovava nelle
mani.
“Me l’ha cambiato lei non è vero? Uno scherzo organizzato. A quale emittente televisiva
appartenete? Sapete che non posso partecipare a tutti i programmi televisivi, ma solo a quelli della
nostra parte. Mi capisce vero?”
“Nessuna signore.”
“Allora il mio abbonamento l’ha tenuto lei, non so per quale scopo, e poi mi ha rifilato questo
scaduto da quarant’anni. Lei è un truffatore! Ma oggi ha scelto la persona sbagliata!”
“Signore il suo abbonamento è scaduto, se ha con sé un biglietto il suo viaggio è assicurato,
altrimenti posso fargliene uno nuovo con supplemento e mora, per essere salito su questo treno
sprovvisto.”
“Lei non sa in che guaio si sta cacciando! Io sono l’onorevole Vittoriano Sigismondo Ottaviani.”
“Certo signore. Biglietto prego.”
“Ma lei è ritardato? Non ci sente? Chi diavolo le ha dato questo lavoro?”
Il controllore scrisse qualcosa sul suo blocchetto, staccò un foglio, e lo passò nelle mani
dell’onorevole.
“Prego signore.”
“Una multa? Lei mi ha multato? L’onorevole Vittoriano Sigismondo Ottaviani multato sulla linea
che ha fatto ripristinare? Multato dopo aver garantito personalmente per la compagnia che le da
lavoro? Lei è pazzo.”
“Prego signore. La multa va pagata ora.”
“Non la pago. Quanto sarebbe poi questa ammenda? Guardi. Ha anche sbagliato a scrivere
l’importo. L’ha scritto in lire e non c’è da nessuna parte quello in euro. Ma in che mondo vive?”
“Nel mio signore. L’importo è esattamente quello che vede scritto lì.”
L’onorevole osservò attentamente il controllore certo di averlo già veduto altre volte, forse in un
tempo lontano. Nel suo abito blu di ferroviere, la cravatta allentata e il colletto aperto. Il cappello
all’insù. Folti baffi appesi al di sotto di un naso a punta, occhi piccoli e neri oltre le lenti
incastonate in una spessa montatura nera. Una fede nuziale d’oro giallo cingeva l’anulare della
mano sinistra. Portava all’altezza dei fianco destro un borsello di pelle consumata. Le dita gialle,
lasciavano intendere essere vittima del tabagismo. Ma dove diavolo l’avesse visto, proprio non gli
tornava alla mente. Si guardò attorno girando la testa lentamente e percorrendo lo scompartimento
da un lato all’altro. Dal momento del risveglio le uniche voci che aveva udito erano la sua e quella
del controllore. Constatò che i sedili erano vuoti. Non c’era più nessuno. Calma piatta. Forse erano
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scesi tutti alla fermata precedente, ma questa spiegazione gli sembrò da subito improbabile.
Ritornò con lo sguardo al controllore. La sua supponenza di politico si ridimensionò per effetto
della paura che lentamente lo colse. Diede un’altra occhiata intorno e si rese conto che anche la
struttura del treno era cambiata. Lo scompartimento era lo stesso in cui era salito quella mattina
alle otto, ma aveva un arredamento diverso, era malmesso, i sedili di pelle rigati e tagliati in vari
punti. C’era molta sporcizia e ruggine. I vetri dei finestrini erano sporchi. Sul soffitto c’erano
scritte di protesta. L’onorevole Vittoriano Sigismondo Ottaviani guardò negli occhi il controllore e
lo riconobbe. Era lo stesso di quarant’anni fa così come lo scompartimento in cui si trovava.
L’uomo delle ferrovie che ogni mattina gli timbrava l’abbonamento, quello mensile, scontato per
gli studenti, che gli permetteva di raggiungere su un vecchio treno l’università nella capitale.
La sua paura si tramutò in smarrimento. La sua dote di faccendiere gli aveva permesso nella sua
lunga carriera, di dirimere anche le questioni più inaspettate e imprevedibili, ma ora non sapeva
davvero che pesci prendere.
“Aquilani? Signor Aquilani, è questo il suo nome. Vero?”
“Così come è scritto qui signore.” Il controllore passò l’indice un paio di volte sotto la targhetta
dorata che aveva appesa sul lato sinistro della giacca.
“Mi sono ricordato il suo nome dopo tanti anni. E’ assurdo. Lei si ricorda di me? Mi guardi bene?”
“Signore su questo treno viaggia talmente tanta gente che non posso avere tanta memoria per
tutti.”
“Ha ragione, ma faccia uno sforzo. Ero uno studente universitario e prendevo questo treno per due
volte al giorno. Certo, adesso sono completamente diverso rispetto ad allora, ma guardi i miei
lineamenti.”
“Mi spiace signore. Proprio non ricordo.”
“Sara? Non le ricorda niente questo nome? La ragazza che viaggiava sempre con me. Le abbiamo
inviato anche un invito di partecipazione al nostro matrimonio. Si ricorda?”
“Forse. La ragazza con i capelli ricci e neri? Quella con gli occhi vivi? Con cui si scambiavano
quattro battute ogni mattina? Bella come poche?”
“Già. Proprio lei.”
“Mi spiace signore ma non me la ricordo.”
“Peccato. Forse è un caso di omonimia. Mi sono lasciato prendere dalla nostalgia e l’ho confusa
con qualcun altro. Qualcuno che ora sarà in pensione o forse morto.”
“Come ha detto di chiamarsi lei?”
“Sono l’onorevole Vittoriano Sigismondo Ottaviani.”
“Quel Vittoriano Sigismondo Ottaviani?”
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“Si. L’onorevole.”
“No. Intendevo quello indagato per concussione e tangenti? Coinvolto nelle inchieste d’istigazione
alla prostituzione e in quelle di evasione fiscale? L’Ottaviani in attesa di giudizio per riciclaggio di
denaro sporco? Il presidente della squadra di calcio del paese che con la complicità dei suoi
giocatori si è venduto quasi tutte le partite di campionato per pilotare le scommesse a suo
piacimento? Quello che in un intervista televisiva ha sbagliato i nomi dei suoi figli? Lo stesso che
di tanto in tanto viene fotografato con qualche amante su qualche giornale scandalistico, e
continua ad affermare nei comizi, che crede nel valore della famiglia e nell’amore che lo lega a
sua moglie?”
“Quello.”
“A proposito, come sta?”
“Chi?”
“Sua moglie.”
Vittoriano ci pensò un momento e si rattristì. Abbassò lo sguardo espirando lentamente, cercando
di buttare fuori con il fiato anche tutta la colpa che lo appesantiva molto più dei suo chili di
troppo. Cosa avrebbe dovuto rispondere al controllore? “Mia moglie è un alcolizzata e dipendente
dai farmaci. Ed io sono l’uomo che l’ha portata a questo con le sue assenze, la sua indifferenza, i
suoi tradimenti, la sua insaziabile fame di potere.” Che più importante di sua moglie era divenuto
il dover avere e conquistare ciò che non si ha, prima degli altri, più in fretta, con meno fatica, e a
costi più bassi.
“Sta bene. Molto bene. Si gode la famiglia.” Rispose l’onorevole.
Il controllore si chinò su di lui per guardarlo negli occhi. L’onorevole Vittoriano Sigismondo
Ottaviani cercava di trattenere le lacrime ma le sue pupille sembravano galleggiare in vasche piene
d’acqua.
“Ne è proprio sicuro Ottaviani?”
“Certo. Sta davvero bene. Le porterò i suoi saluti.” Rispose l’onorevole con la voce rotta dal
pianto represso.
Il controllore girò le pagine del suo blocchetto e annuì.
“Lei è fortunato signor Ottaviani. E’ nella mia lista.”
“Cosa intende dire?.”
“Il suo abbonamento è scaduto, ma il suo essere un cliente abituale e aver viaggiato su questa linea
per tanti anni, dimostrando la sua fedeltà alla nostra compagnia ferroviaria, l’ha fatta entrare di
diritto nella lista.”
“Quale lista?”
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“La lista dei nostri clienti privilegiati. I più assidui di questi ultimi quarant’anni. Lei è un nostro
cliente privilegiato signor Ottaviani.”
“Non devo pagare il biglietto?”
“Non deve e in più, può scegliere tra due biglietti omaggio.”
“Due biglietti? Perché due biglietti? Non capisco. Me ne dia uno.”
“Signor Ottaviani la scelta deve essere sua. Non sottovaluti l’importanza di una scelta e di ciò che
ne consegue.”
Il controllore estrasse dal borsello di pelle consumata due biglietti. Uno d’oro e uno d’argento.
“Con questo lei proseguirà il suo viaggio verso la capitale.” Gli mostrò il biglietto d’oro.
“Questo d’argento invece, le permetterà di tornare indietro.”
“Da dove siamo partiti?”
“Indietro.”
L’onorevole ci pensò qualche secondo. Capì che doveva mantenere libera la testa e annullare
qualsiasi ragionamento logico la sua mente di corrotto faccendiere avesse partorito. Si sentì sereno
come non gli capitava da molti anni, come un condannato al suo ultimo giorno di galera.
“Fino a dove?”
“Fino a dove desidera.”
L’onorevole Vittoriano Sigismondo Ottaviani indicò il biglietto che il controllore aveva nella
mano destra. Il controllore ripose l’altro biglietto nel suo borsello. Bucò il biglietto scelto
dall’onorevole e glielo consegnò.
“La nostra compagnia le augura buon viaggio signor Ottaviani.”
“Grazie.”
Vittoriano si addormentò nuovamente dopo aver riposto il biglietto nella tasca della giacca.
Le urla dei bambini che correvano tra i sedili lo destarono dal suo sonno. Lo scompartimento era
pieno di gente. Accanto a lui si era seduta una grassa signora bionda che emanava un odore strano,
generato dal contrasto tra il profumo da due soldi che si doveva essere spruzzato ovunque, e la
lacca per capelli. Al sedile vicino al finestrino invece, c’era uno studente con i capelli lunghi,
infilato in una stretta magliettina blu e in dei jeans a zampa di elefante. L’onorevole per prima
cosa infilò la mano nella tasca della giacca per controllare se il biglietto ci fosse davvero o si era
immaginato tutto. Ebbe la sua conferma. Tirò fuori il biglietto per assicurarsi che non fosse un
pezzo di carta qualunque. Guardandosi le mani le vide più chiare, così come la pelle gli sembrò
diversa. Si toccò la pancia e si sorprese nel sentirla piatta. Si accarezzò il collo e la pelle era liscia.
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Arrivò al mento e constatò di averne solo uno. Il pizzetto era svanito. Si passò una mano nei
capelli. Erano crespi e liberi.
Si alzò dal suo posto tremante. Era eccitato come lo sono i bambini per i doni di Natale. La sua
leggerezza gli compromise l’equilibrio e dovette appoggiarsi ai sedili per arrivare al bagno. Entrò
e girò la rotella della porta su occupato. Si fece coraggio e guardò nello specchio. Quello che ci
vide fu solo un ragazzo di nome Vittoriano, studente in legge. Dell’onorevole Vittoriano
Sigismondo Ottaviani non v’era traccia.
Uscì dal bagno e ritornò al suo posto. Una ragazza dai capelli ricci e neri si era seduta al sedile di
fronte al suo. Aveva gli occhi vivi. Lei l’osservo dalla testa ai piedi per lungo tempo.
Ad un tratto sorrise e gli chiese: “Ma quanto pesavi prima di oggi? In quel maglione di persone
della tua stazza ce ne entrano almeno due direi!”.
Lui la guardò negli occhi prima di risponderle.
“C’era un gemello. Siamese.”
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