Dispensa dell`incontro al Romagnosi

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Dispensa dell`incontro al Romagnosi
Breve dispensa sul dialetto, a cura di Giuseppe Mezzadri, per incontro con i ragazzi del Romagnosi
IL DIALETTO PARMIGIANO
Le lingue romanze o lingue latine o lingue neolatine sono le lingue derivate dal latino. Esse sono
l'evoluzione diretta non del latino classico ma del latino volgare a seguito dell’espansione
dell’impero romano.Nel 183 a.C. i Romani, dopo avere tracciato la Via Emilia, cacciarono i Galli
e instaurarono la lingua latina. Dal latino pare senz'altro derivare direttamente il dialetto
parmigiano. Il dialetto di Parma si formò dall'impasto di basso latino con preesistente dialetto
locale (celtico) e con forme germaniche.
Parole derivanti dal sostrato celtico: Car (carro con quattro ruote); Galón (coscia); Lidga (fango,
dall’irlandese «ledega»); Bresca (favo asciutto, da «brisca»). Si usa ancora la frase “sutt cme ‘na
bresca”.
Molte parole e numerose espressioni sono derivate dalla bassa latinità:
butér (burro) da butyrum - sój (bigoncio) da solium – misóra (falcetto) da falx messoria- caldarén
(pentolino) da caldarinus - rezdór (capo famiglia) da rector
Parole derivanti dal sostrato germanico: Bórogh (borgo (da «burgh» = città); Guindol
(arcolaio); Magón (stomaco); Brovär (scottare i cibi). sarùcch (scappellotto – dall’austriaco)
Dallo spagnolo; Soghètt (corda) da soga) al m'à inlochì (dall'aggettivo loco = pazzo)
Sempre in questo periodo giungono a noi parole di origine araba;
mafón (occhi ammaccati) - mamalucch (stolto)
Alcune parole di etimo portoghese; arlìa (dispetto) da arelìa - bujja (lite) da buhla - gozén
(maiale) da cocinho - rìffa (lotteria) da rifa - scalfarot (scaldapiedi) da escalfate
Parole di etimo francese; Il duca don Filippo di Borbone e sua moglie Luisa Elisabetta, figlia di
Luigi XV, sono giunti a Parma nel 1749 con l'idea di fare della città una piccola capitale di livello
europeo e per questo hanno portato dalla Francia architetti, artisti, uomini di cultura, artigiani
cuochi, camerieri, stallieri: circa quattromila persone in una città di trentamila. Così molti termini
francesi sono Stati dialettizzati: abazur, paralume, da abat-jour; armuar, armadio, da armoire;
babalàn, sbadato, a vanvera, da babiller; barsò, pergolato, da berceau; barlingot, castagne lesse, da
berlingot; bufé, credenza, da buffet; cabarè, vassoio, da cabaret; comò, cassettone, da com mode;
LA SCRITTURA NEL DIALETTO E LA SUA EVOLUZIONE
Anno
1858 – Da «Una mnéstra savorida» di
Domenico Galaverna
«Quand Bartlein da Camajocch
el sposì la Cataretta,
l’invidì a magnar i gnocch
Péder, Zvan e la Minghetta…»
(Interessante l’uso del passato remoto, ormai
sostituito col passato prossimo)
1600 – Conte Pomponio Torelli
«Vcherdiv al me sior Cont
ch’anca mi dl volt s’a vlis
componer in lingua parmsana ch’an saiss….»
1698 – Gaspare Bandini
«Min val so dir, se viv o mort a son,
chera sposa Polonia, ò ch’accident !……»
1978 – Da “Bornisi” di Renzo Pezzani
L'era vesti color 'd sigal toscan
col sacossi tacädi cme il madonni
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e il madònni tacädi cme il sacossi.
L'era un fre, mo '1 s'fermäva anca col dònni,
1841 – Da «La scomissa» di Gian Giacomo
Mistrali
«Ridì, Siora contessa, agh’i rason, ma l’an se
scapa, ch’av assicur mi…»
LE REGOLE DEL DIALETTO (Jacopo Bocchialini)
Dagli esempi sopra riportati si può vedere come fosse necessario fare chiarezza in materia di grafia
del nostro dialetto. A Iacopo Bocchialini il merito di essersi assunto questo compito. Egli studiò il
dialetto e ne scrisse le regole nel famoso libro “Il dialetto vivo di Parma”. Il poeta Renzo Pezzani
era un estimatore del Bocchialini e, per la prefazione del suo libro, ha scritto: - Il vernacolo non è
soltanto linguaggio rusticale di una contrada ne è il colore e il carattere, l’immagine e il sale... Ed è
soprattutto una ricchezza che è stolto respingere da noi perché è della vita un’amorosa eredità
materna. Se il linguaggio nazionale è un tesoro che si guadagna nell’esercizio della scuola e nella
pratica di un gusto e d’una inclinazione, il dialetto ce lo troviamo nel sangue e sulla lingua come
l’uccello il canto. Diresti che col dialetto la natura ha voluto darti una tessera di identità, una
classificazione nell’ordine distributivo delle residenze umane.
NOTA;
La parte grammaticale che segue è stralciata dal corso di dialetto parmigiano dell’ing.
Vittorio Botti di Parma Nostra (con aggiornamenti-completamenti di Giuseppe Mezzadri) .
Vittorio Botti, in linea di massima, ha seguito le indicazioni di Jacopo Bocchiali e quelle
successive del prof. Guglielmo Capacchi.
L’ALFABETO
L’alfabeto parmigiano si compone di 22 lettere (inclusa j) di cui 6 vocali (a,e,i,j,o,u)
Vocali
La vocale «a» presenta due suoni:
«a» Aperta Es. Mat (matto) - «ä» suono allungato tendente ad «è» Es. Cärna (carne)
«a» finale non accentata (atona), e spesso anche quella intermedia si pronuncia quasi sempre come
suono intermedio tra «a» ed «e» Es. Famija (famiglia). Questo è vero soprattutto in Oltretorrente.
La vocale «e» presenta due suoni:
«e» aperta «è» come erba Es. Insèmma (insieme) - Bècch (becco) – Sètt (sette)
«e» chiusa «é» come chiesa - Es. Pianén (pianino) - Es. Témp (tempo) – Sént (cento).
La vocale «o» presenta due suoni:
«o» aperta
«ò» come Fuoco
Es. Solit (solito) - Ròtt (rotto)
«o» chiusa «ó» come torre
Es. Pisón (piccione) - Es. Sóra (suora)
ACCENTAZIONE DELLE VOCALI
Accentazione della «e»:
Il prof. Guglielmo Capacchi, nel suo Dizionario Italiano-Parmigiano, di norma appone sulla «e»
l’accento acuto «é» per indicare il suono chiuso, ad esempio, di «chiesa» mentre al contrario
utilizza poche volte l’accento grave «è» sulla «e» per indicare il suono aperto della «e» di «erba».
Accentazione della «o»
Anche in questo caso il Capacchi, di norma, appone sulla «o» l’accento acuto «ó» per indicare il
suono chiuso, ad esempio, di «torre» mentre al contrario utilizza poche volte l’accento grave «ò»
sulla «o» per indicare il suono aperto della «o» di «solito». Le note sopra riportate, a mio giudizio,
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si devono intendere generalmente valide ma non escludono l’utilità, a volte, di fare eccezioni in
particolare quando l’accento in dialetto è diverso da quello dell’italiano parlato a Parma.
Ad esempio. la «o» della parola sotto, in italiano, ha suono chiuso mentre in dialetto ha suono
aperto per cui è consigliabile scrivere sòtta per facilitare la lettura.
RADDOPPIO DELLA CONSONANTE FINALE
Si tratta di una convenzione introdotta dal Bocchialini e serve per indicare che la pronuncia deve
essere rapida.
Es. Pòss (pozzo) (distinto da Pòs = posso e Póz = poso)
Es. Pèss (pesce) (distinto da pés = peggio) Es. Mèss (messo) (distinto da Méz = mese o mezzo)
ARTICOLI, SOSTANTINI E PREPOSIZIONI
L’articolo determinativo
a) Maschile singolare:
«al» davanti a consonante - Es. al libbor = il libro - «‘l» se preceduto da vocale Es. tó ‘l succor =
prendi lo zucchero - «l’» se seguito da vocale Es. l’ äzon = l’asino
b) Maschile plurale:
«i» davanti a consonante Es. i còpp = le tegole accento o acuto - «j» davanti a vocale Es. j oc’ = gli
occhi.
c) Femminile singolare:
«la» davanti a consonante - Es. la mama = la mamma - «l’» davanti a vocale Es. l’alma = l’anima
L’articolo indeterminativo
a) Maschile: «un» Es. un omm = un uomo «‘n» se preceduto da vocale Es. sénsa ‘n gòss
b) Femminile: «una» Es. una ca = una casa «‘na» se preceduto da vocale - Es. cme ‘na volta =
come una volta «n’» se seguito da vocale Es. n’ ältra volta = un’altra volta
La Preposizione Semplice
Di = «äd» Es. äd gèss - «‘d» se preceduta da vocale;
«d’» se seguita da vocale Es. do man d’un scariolant
Es. e ‘d cimént
d) Aggettivi indefiniti
Tutto «Tutt» Nessuno «Nisón» Femminile: «Nisùnna» Qualche «Quälch» Femminile: «Quälca»
Altro «Ätor» Femm.: «Ätra» o «Ältra»
e) Aggettivi numerali
Uno «Vón» Femminile «Vùnna» Due «Du» Femm. «Do» (pronome «Dòvv»)
Tre «Tri» Femm. «Tre» (Pronome «Trèjj»)
Quattro «Quator» Cinque «Sinch» (Pron. «Sincov») Doppio «Dòppi» Triplo «Tre volti tant» ecc.
b) Forma pleonastica (aggiuntiva, sovrabbondante, proclitica cioè che precede il verbo):
Io «a», mi a fagh- Tu «at» at sent - Noi «a», Nojätor a dzèmma - Voi «a», Vojätor a dzi - Essi,
esse «i» Lór i dizo- «‘l» se preceduto da vocale. Lu ‘l diz - Ella «la», Le la diz - «l’» se seguita da
vocale, Le l’arvirà l’uss –Essi – esse «i» «j», Lor i dizon - Lór j éron
d) Forma interrogativa
Il pronome è in posizione enclitica, cioè si unisce alla parola che precede.
Mangio io? = Magnja? Mangi tu? = Magnot? Mangia egli? = Magnol? Mangia ella? =
Magn’la?Mangiamo noi?=Magnèmja? Mangiate voi?= Magniv? Mangiano essi?=Magn’ni?
e) Particelle pronominali
Singol.(mi) «me» (ti) «te» o «t’» (la) «la», (lo) «al»: compl. Oggetto o «m’» (gli, le) «ghe» o
«gh»: compl. di termine Plurale (ci) «se» (vi) «ve» o «v’» (li, le) «ja»: complem. oggetto
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o «s’» (loro) «ghe» o «gh’»: compl. di termine Riflessivo: (si) «se» o «s’»
Esempi: Egli mi vede – Lu al me vèdda - Lei mi guarda – Le la m’guärda - Egli ti dirà - Lu al te
dirà – Lei ti guarda - Le la t’guärda .
Ausiliari «essere» e «avere»
Hanno lo stesso uso come in italiano. Quando essi vengono usati da soli col significato di «esistere»
o «possedere», richiedono la particella avverbiale «Gh’é» o «gh’» (= ci):
Ci sono dei ragazzi = A gh’é di ragas - Lei ha sonno = Le la gh’à sonn’
Nota: L’ausiliare avere richiede l’accento e non l’«h» Es. ha fame = al gh’à fama
Indicativo presente
Essere: Mi a són, Ti ‘t si (oppure ti t’é) – Lu l’è - Nojätor a sèmma - Vojätor a si - Lór j én
Avere: Mi a gh’ò (oppure a j’ò) - Ti ‘t gh’è - Lu ‘l gh’à - Nojätor a gh’èmma (opp. a j èmma)
Vojätor gh’avi (oppure avì) - Lór i gh’àn (oppure j àn)
Imperativo negativo:
Non piangere, Sta miga cridär
L’Avverbio Avverbi di modo: Bén (bene), mäl (male), cme (come), acsì (così) ecc. - Avverbi di
luogo Chì (qui), lì, là, su, zo ecc. - Avverbi di tempo:Quand, adésa, primma, dopa, tärdi ecc.
Avverbi di quantità; Trop, tant, méno, quäzi, bombén ecc.
I POETI PARMIGIANI
Anche la nostra città ha avuto poeti importanti. In questa breve dispensa ne presentiamo, per
motivi di spazio, soltanto quattro.
ALFREDO ZERBINI – (9 gennaio 1895 - 29 novembre 1955)
Autodidatta. Alterna qualche delicato e nobile volo lirico con ben più frequenti e
abbondantiespressioni drammatiche e popolaresche che ne hanno fatto l’autentico, vigoroso poeta
dell’Oltretorrente. Opere: «La congiura di Fevdatäri» (una novantina di sonetti sulla tragedia della
contessa Barbara Sanseverino, alcuni dei quali musicati da Pizzetti), «Sotta il tòrri di Pavlòt»,
volumetto di poesie come pure «I me ragas». «Noti d’agòsst», tragedia in versi (forse il suo
capolavoro) e una gustosa raccolta di migliaia di soprannomi parmigiani di ogni tempo.
La sén’na (da “i me ragas”)
Stasira a gh’è silensi in-t-i granär;
ilj ochi e i pit j àn fnì ‘d fär dal bacàn,
i gal mäl caponè j àn fnì ‘d cantär
e tutt insèmma j én za plè par dman.
E la Cizén, par st’ pìc’, la va e la vén;
la gh’à j oc’ bagn e ‘l fasolètt in man.
-Papà-la diz- chi vcètt dal piantarén
J én là, povrètt, ch’in gh’ àn né fógh, né pan.
In ca dal Schiss a gh’è la pasta sùtta,
e par ‘na volta tant l’é bén consäda.
-Sotta ragas, alè! Magnìla tùtta,
che dopa a gh’è al marlùss e la spongäda!
- Mo corpo äd ‘na sajètta! Andì a ciamäria!
- Fègh lumm con la candela, póvor génti-.
- Ch’il dònni, alora, còrra zo a invidäria
- E porta su i du véc’ tùtti conténti.
Ah! Si, stasira, corpo, an s’ trèmma miga;
mo p’r arivärogh l’à vindù al paról.
- Cizén, va a tor do bòci da Barciga
- e fermot miga in-t-l’àndi con so fjól-.
- Gnì pur, Mariètta! Sediv chì Josfètt!
Stasira a gh’ n’è par tùtti da magnär.
Fì pochi gnòli! A sémma in ca ‘d povrètt;
sediv a tävla e piantè li ‘d moclär.
Glossario: pit (tacchino) – plè (spennato) – bòci (bottiglie) – st’ pìc’ (per stavolta) – consäda.
(condita) – paról (paiuolo) – gnòli (timida resistenza di chi è in imbarazzo) - moclär (piagnucolare)
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RENZO PEZZANI – (4 giugno 1898 - 14 luglio 1951)
Singolare figura d’artista, anima mite e candida, uomo aperto, leale e sincero, poeta di vena feconda e
gentile, insegnante elementare. Creatore del «Dolce stil novo parmigiano». Renzo Pezzani nato a Parma il
4 giugno 1898, da una modesta famiglia di stimati artigiani, aveva conseguito il diploma di maestro
elementare nel 1921 e aveva subito vinto il concorso per l'insegnamento nelle scuole cittadine. Il suo
primo libro di poesie in lingua, dal titolo "Artigli" suscitò subito viva attenzione per la freschezza delle
pagine e l'intensa emotività che si sprigionava da quelle pagine. Pezzani fondò quindi la rivista "Difesa
artistica" e pochi anni dopo una crisi religiosa lo riportò verso il cristianesimo meditante.
Il man (da “Oc luster” – Luigi Battei editore)
-Che man grandi, Pepino, e cme j en straehi:
che did, che cai, che ongi e che puidi!
Chi 'I dirè? l'è tant Iis al pel dil vachi,
e 'I manegh dal forche pär tör su il bidi ...
Al gh' zuga ataca cme con di bilen,
e mi 'l las fär, parche, provenni , an' lor
j aspeten sira pär un po' d'amor.
A sent ch’al diz: - Coste l'è ‘I did manvlen,
- J en man, ecco co' jen. Do povri man
äd von ch'à Iavorè tutt' na giornäda.
Saviv, pär na giornäda, cosa im dan,
òt ór al sol a scarugär na sträda? ..
Man ch 'in nin polen pu: ecco co' jen.
Insimma ai znoc j en pesi, e se ja mett
sora Ia tävla, i tremen cme povrett.
Siv chi ja cata beli? Al me puten.
costa d 'i anel e costa dal didäl...
E glja tira e glja volta, e mi 'n digh gnenta.
Dvent anca mi un puten ch'agh dà da menta
e quäsi quäsi a vre ch’ al me fiss mäl.
Do man, do povri man d'un scariolant.
Mo quand al me puten 'l ghe zuga ataca,
äd do , nissuna mäi l’ as senta straca:
a m'è dävis che ‘l Sgnor am metta i guant.
Glossario:
Strachi (stanche) – cai (calli) - che ongi (che unghie )- e che puidi (pellicole che si staccano dalle dita
vicino alle unghie) - vachi (vacche) - e 'I manegh dal forche pär tör su il bidi (il manico del forcone per
raccogliere lo sterco delle mucche) – scarugär na sträda (lavorare sulla strada) - znoc (ginocchia) - pesi
(pesanti) -zuga ataca cme con di bilen (ci gioca accanto come fosse un giocattolo) - did manvlen (dito
mignolo), scariolant (lavoratore che usa il carretto)
LUIGI VICINI – (1 novembre 1918 - 22 marzo 2001)
La sua attività letteraria comincia nel 1950 con «La primma vióla». Un autorevole critico, l’avvocato
Iacopo Bocchialini, affermò: «La scia di luce tracciata da quest’opera, modesta ma preziosa come una
piccola stella, non si spegnerà facilmente». Fu profeta. I successivi libri di Vicini (oltre una dozzina)
confermano il suo valore, ponendolo sulla strada di Pezzani e di Zerbini, ossia dei maggiori poeti
dialettali del nuovo secolo.
Vicini era un poeta a tutto tondo in versi e in prosa, sia in italiano che in dialetto parmigiano. Era
conosciuto in particolare per le sue strofe dialettali che hanno avuto in Ilario Toniolo un indimenticabile
interprete. Ed era conosciuto e amato anche dagli scolari e dalle maestre delle scuole dove si recava per
testimoniare la parlata dialettale. Era nato in borgo San Domenico, ma aveva vissuto da giovane in borgo
Bernabei assieme ai genitori con i quali si trasferì nel 1964.
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La viola ad l’amicissia (da “Acqua ‘d sorzìa” – Luigi Battei 1976)
Ferma l'arloj, s'at cat 'n amigh sincer;
Al temp eh'at pass con lu l'è na forton'na!
'N amigh dabón l'è ciär cme un rag äd lon 'na:
T'al cat int il gramèssi e int i piazer.
Ormäi la nostra viöla a l'emm cattäda,
Nassuda int j ärzen di zarden däl cor.
In meza a l'alma, a pöl spontär un fior?
Cor cme la fiama, ch'al desfä la giassa,
Alma ch'l'e pura pu ehe na sorzia;
Reva Ia porta, quand at vedd ch'a passa
La luza ad l'amicissia par la sträda!
O a vöt eh'l'as pèrda in cel, ch'la vola via?
Glossario: Desfà (scioglie) – giassa (ghiaccio) –sorzia (sorgente) – reva (apri) – dabón (davvero) –
gramèssi (tristezze) – ärzen (argini)
FAUSTO BERTOZZI (poeta vivente)
Un ingegnere con il cuore di poeta, un autentico figlio dell’Oltretorrente, una sorgente inarrestabile di
arguzia, una miniera di sentimenti che prorompono specie quando parla di bambini come in «L’anvodén».
Concludiamo con l’autorevole giudizio del Prof. Guglielmo Capacchi: «I versi di Bertozzi si sono
conquistati d’acchito, quasi di prepotenza, un posto sicuro nella letteratura parmigiana.»
Al Camén (da “Scarfulli –Palatina editrice)
Adésa, al me putén, ch' t è fnì 'd zugär
férmot e scóltom, che mi t’ vrè spjegär ...
Cuand guärd al fógh traméza a 'n bicér 'd vén
a vól lontàn cme 'l fumm su p'r al camén ...
La coza ch' a t’ vój dir a n' t’ l' ò mäi ditta:
al fógh in-t-al camén l' è cme la vitta ...
La veddot cla fjamén'na ch' a vén fóra
e in-t-al tarmär a pära finn cIa móra?
Ecco: l' è invjäda ... Vedd't adés' che vampa?
Guärda cme la se straja e cme la rampa:
L' è tutt' ‘na sméla, un scopi e spèss, sól fumm!
Guärda che ciär! Podrè zmorsär al lumm.
La móva luzi e ómbri tutt' in gir...
Dirissot che tra 'n po la podrè fnir?
Epùr al cäld al va za su p'r al mur,
sémpor pu in älta ... : là indo' gh' è pu scur ...
Cala la fjama: in téra, do bornizi,
ch' j ér'n acsì rossi, j én za tutti grizi;
e 'd coll méz trónch ch' al s' éra acsì infjamè,
ät visst adésa ormäi co' gh' è restè?
Cuant cozi al mónd a pär’ ch' i n' fnisson pu
e invéci i cascon cme j én gnudi su!
Gu da in-t-al fógh: 'na soca dura o tènndra,
coz ' éla po ala fén? .. un brancón 'd sènndra!
Glossario: fógh (fuoco) – traméza (tra) – vampa (fiamma) – straja (spargei) – rampa (si
arrampica) – sméla (scintilla) - zmorsär (spegnere) – bornizi (braci quasi spente) - soca (ceppo) sènndra (cenere) – brancón (manciata)
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PROVERBI MOLTO UTILIZZATI UN TEMPO
Le mamme, un tempo, utilizzavano spesso anche la saggezza dei proverbi per educare i figli.
I proverbi, anche di questo tipo, sono tanti. Ne elencherò qualcuno cominciando da quelli che mia
mamma amava ripetere per l’educazione di noi quattro figli per allevarci "a l'ónor dal mónd".
Per educarci al rispetto del cibo e a non sprecare ci diceva:
• "Al Sgnór l'é zmontè da cavàl par tór su 'na briza äd pan".
(Il Signore è sceso da cavallo per raccogliere una briciola di pane).
Per inculcarci la generosità anche verso gli altri diceva:
• "Tutti il bòcchi j én soréli, meno che còlla dal fóron". (Tutte le bocche sono sorelle, meno
quella del forno).
• "Chi maledissa al Sgnór, al gh' n'à äd bizòggna". (Chi maledice il Signore ne ha bisogno).
• "Chi condana al pól sbaljär, chi pardon'na al ne sbalja mäi." (Chi condanna può
sbagliare. chi perdona non sbaglia mai).
• "La coresjón la pól fär bombén, mo l'incoragiament al fa äd pu".
• "S'at rob 'na galenna it meton a la cadenna, s'at rob di miliónat fa njenta nissón".
• "L'è mej un cativ d'acordi che 'na bonna sentensa".
A dimostrazione della diffusione dell’utilizzo del dialetto nella vita comune in tutto il Nord Italia (e
non soltanto) si legge che anche la madre di san Giovanni Bosco (mamma Margherita) amava i
proverbi utilizzare i proverbi. Due esempi:
• “Un nemis a l’è trop e sent amis a basto nen”
(Un nemico è già troppo e cento amici non bastano)
• “El temp a passa, la mort a ven: beat chi s’è fassè del ben”
(Il tempo passa, la morte viene: beato chi ha fatto del bene)
MODI DI DIRE
• “Al ditt al và par sträda e i cojón j al tozon su”.
• "Sgnór, jutì i siorj che i povrètt i s’ rangion sémpor!”
• “L'é content cme 'l gozén quand a bojja l'aqua."
(si faceva bollire l'acqua per pelare il maiale subito dopo l'uccisione)
• "L'é cojon cme un zdas."(Il setaccio lascia passare la farina e trattiene la crusca)
• "L'é mej un aiut che sent consìlli." (Meglio un aiuto di 100 consigli).
• "S'at rob 'na galenna it meton a la cadenna, s'at rob di miliónat fa njenta nissón".
PREGHIERE POPOLARI
Le preghiere in dialetto erano molto diffuse, anche in numerose varianti, nelle nostre campagne e in
tutto il nord Italia. Lo erano perché il dialetto era l’unica lingua veramente ben conosciuta e
permetteva alle persone di comprendere appieno il significato di quanto dicevano. Gli studiosi
tendono a far risalire le loro origini dalla laudi medioevali.
AL MATTINO
La giornata si apriva con una preghiera molto spiccia:
Dio gh’abia pärta,
al Sgnór, la Madònna
e coll bendètt Sant ch’è incó
(Della giornata che cominciava dovevano farne parte il Signore, la Madonna ecc.)
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IN CASO DI TEMPESTA
Nel caso che il cielo diventasse scuro e minacciasse tempesta la “rezdóra” (massaia) metteva
nell’aia una zappa e il “gaväl” (la paletta) con dentro le braci che toglieva dal camino. Le sistemava
in modo da formare una croce e poi radunava i bambini a faceva recitare:
Santa Bärbra e san Simón
difendiss dal sajetti a dai trón,
dal fogh e dala fiama.
E dala morta subitana
liberamus Domine
(Venivano chiamati i bambini perché le preghiere dei bimbi valgono di più. La morte “subitana”
cioè istantanea, dal momento che non dava il tempo di ricevere i sacramenti era considerata una
brutta morte). Le bracia dovevano servire a bruciare alcune foglie di ulivo benedetto. Da questa
usanza deriva il detto “bruza l’oliva”.
SEMPRE ALLA SERA
In casa di miei parenti di Monticelli (Famiglia Masini), alla sera veniva recitata la seguente
preghiera, semplice e bella, che conserva intatta tutta la sua validità e che, contrariamente al solito,
è più di “ringraziamento” che di “richiesta”. Notevole è che prega anche per i cattivi.
Sgnór a v’ringrasi
äd la bónna giornäda ch’a mi dè,
al mè papà, ala mè mama, e ai mè fradè.
a tutti quanti il creaturi dal mond,
ai bón,
ai cativ,
ai viandant
e ai povor agonizant.
Sgnór la mè alma a v’arcmand
PREGHIERE SUI GENERIS
Erano note anche preghiere non sempre molto ortodosse. Alcuni esempi:
Preghiera dell’impaziente:
Sarnìssa madonen’na benedètta,
o fam guarir o mand’m ala vilètta
(scegli Madonnina benedetta.
o fammi guarire a mandami alla Villetta che è il cimitero)
PREGHIERE CONCISE
Prima di coricarsi c’era chi recitava:
Sgnór vu conosì i me bizoggn in stè mónd e in ch’l’ätor, a vagh a lét e ne v’ digh ätor.
(Signore, voi conoscete i miei bisogni in questo mondo e nell’altro. Vado a letto e non vi dico
altro)
Il nostro vescovo mons. Enrico Solmi, estimatore del dialetto, delle tradizioni e degli stili di vita
dei nostri vecchi – onestà, laboriosità, sobrietà ecc. - mi ha insegnato la seguente preghiera in
dialetto modenese.
Sgnór, Vò si Vò, me són me, fe Vò. (Signore, Voi siete Voi, io sono io, fate Voi). Esempio di
semplicità e concisione in cui l’orante si rimette completamente alla volontà del Padre.
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Breve dispensa sul dialetto, a cura di Giuseppe Mezzadri, per incontro con i ragazzi del Romagnosi
ESPRESSIONI DI SALUTO
Quando la gente si incontrava era facile sentire: “Cme vala?”. “ Bén, grasja a Dio”. Quando ci si
lasciava una espressione usata era: “A t’ salut e che Dio a t’ manda dal bén”. Ci si poteva sentire
rispondere: “E ch’al t’ nin manda un po’ anca a ti”.
Espressioni che fanno dipendere le cose dal Padre Eterno
“An n’è mäi trop coll che Dio vól”. Oppure: “An n’è mäi trop coll che Dio manda”.
“Se Dio v’rà” (se Dio vorrà). Altra variante: “Se Dio vól”. Qualche esempio:
“Se Dio vól dman vagh a ca da l’ospedäl”. Oppure: “Quand al Sgnór l’à volsù à lasè lì äd
pióvor”.
FAMIGLI DA FAGOTT
Se mio padre voleva farmi paura, mi dicevano con aria minacciosa:
"Guärda ch'at mand par famì !"
I famigli formavano la categoria situata all'ultimo posto della scala sociale e nella realtà erano
"perdenti" ma, nei racconti, quasi per una legge di compensazione, erano dipinti più furbi dei loro
padroni che invece venivano d'abitudine descritti come taccagni e preoccupati soltanto di farli
lavorare molto, spendendo poco per dar loro da mangiare.
Il famiglio aveva tirato nel piatto il pezzo più grosso e il padrone non aveva gradito
"Vu co' arissov tòt ?" chiese il ragazzo.
"Mi ariss tòt la pu picén'na".
"Alora semma a post: gh'é restè propria la pu picen'na".
La stessa sfida c’era anche con gli artigiani. Una volta i sarti andavano "alla casa" per svolgere
almeno una parte del loro. Durante il pranzo con salamini e patate, la rezdora gli dice:
"Sartor, sentirì cme j en bonni chil patati chi. J en däl nostor ort, mi a n'in fagh dill magnädi".
Il garzone si sentì in dovere di prendersi le patate ma il sarto, che era più furbo della massaia, gli
allungò uno scapaccione dicendogli:
"Mälduchè, t'è sintì che il patati i piäzon a la siora; tira zò i salamén".
LA RONDANÉN’NA
(stornellata parmigiana - musica di F.Rota)
Questa canzone si può considerare l’equivalente di “O me bèla Madunina” dei milanesi
O rondanén’na bianca nigra e znéla
ch’at gir al mónd par costruirt al nì
par ti che téra éla la pu béla?
Parchè la vris andär a vèddor mi.
Mò l’é Pärma ch’l’é speciäla
pién’na äd vióli profumädì
e l’é tanta musicäla
da fär tutti un po’ cantär.
Int’il gróndi quand a pióva
l’acqua t‘ f a la sérenäda
e in-t-il tòrri traforädi
dvénta muzica anca al vént.
O lezgnolén ch’a t’ gh’é la góla dòra
indo ät imparé a cantär csi bén?
Al to gorghègg da ‘dentor tutti al fóra
e il coppiètti alóra is fan l’océn
J’ò imparé a stär su ‘na pianta
cla se spécia in-t-un laghètt
indo gh’é un izolètta
con di ciggn bianch e morètt.
Tutt il siri là sentiva
i béj cant adla coräla
e ’l me cór picén al capiva
che csi sól a s’ pól cantär.
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Breve dispensa sul dialetto, a cura di Giuseppe Mezzadri, per incontro con i ragazzi del Romagnosi
PERSONAGGI PARMIGIANI
Anche la nostra città è ricca di personaggi dotati di senso dell’umorismo ed ironia unitamente alla
capacità di creare immagini e battute molto divertenti. Uno di questi è il poeta ing. Fausto Bertozzi
Nella mia vita lavorativa ho avuto la fortuna di lavorare in Barilla e la fortuna di avere come capo
Fausto Bertozzi. Con lui, ingegnere intelligente, autorevole e non autoritario, era possibile lavorare
bene e con serenità anche perché aveva la singolare abilità di sdrammatizzare le situazioni critiche
con battute brillanti ed ironiche.
Un esempio di ironia disarmante. Aveva ottenuto, con fatica, di visitare un’azienda molto gelosa dei
suoi impianti. Portò con se quattro colleghi. Al direttore che li ricevette parvero un po’ troppi e
chiese:
“Come mai siete venuti in cinque?”. Risposta:
“Perché gli altri non avevano tempo”. Risero tutti.
Bertozzi, fine poeta, un anno fa mi ha permesso di pubblicare due delle sue ultime poesie nel mio
ultimo libro. Leggendo il preambolo in cui lo definivo il “maggior poeta dialettale vivente”, mi ha
detto:
“Lasa pärdor il maggior poeta vivente che chisà s’l’é vera. Coll ch’a m’piäz l’é soltant
vivente!, còll si ch’al me piäz”. In quanto a battute è figlio d’arte. Sua madre, donna intelligente ed
arguta, diceva:
“I me fjó j àn studiè mo i n’ én miga stuppid”. Quando Fausto lamentava malanni di poco conto:
"Mà, am fa mäl la tésta", rispondeva: "L'é l'istess, l'important l'é ch'at staga bén ti".
Bertozzi aveva battute per ogni situazione. In azienda, c'era un collega che parlava molto e molto in
fretta. Un giorno lo chiamò al telefono esordendo con un velocissimo:
"Pronto chi parla?" al quale Bertozzi, che lo aveva riconosciuto, rispose:
"Sa gh'é manéra un pò pr'ón". (Un po’ per uno). Parlando di lui commentò:
"S'al s'iscriviss a l'AIDO (donatori di organi) con la so léngua i dan la parola a quator mutt".
Si era ad una conferenza per l'Ingegneria e l'argomento, trattato da un valente cattedratico, era
l'"intelligenza artificiale". In una pausa Bertozzi osservò:
"Quand éra ragas mi, "l'intelligenza artificiale", l'era l'oli àd marluss".
Ad una cena dell'Associazione "Parma Nostra" portarono il consommè in cui nuotavano alcuni
anolini. Dal tavolo in cui ero gli chiesi:
"Inzgnér, vani bén?". Ed egli, ad alta voce:
"Me mädra la m'nin däva tre volti tant, sól par sintir s' j éron cot!". In altra occasione un
cameriere gli disse:
"Abbiamo un ottimo passato di verdura". "E, un presente d'anolén, a gh'l'iv ?". Bertozzi è
affezionato alla moglie e le ha dedicato più di una poesia ma le sue battute non risparmiano
nemmeno lei. Un giorno venne fermato da un vigile che gli contestò di essere passato con il "rosso".
Seguì una vivace discussione in cui anche la moglie intervenne sostenendo decisamente che erano
passati con l'arancione. A questo punto Bertozzi smise di discutere, estrasse il portafogli e disse al
vigile:
"Mi dica quanto devo pagare. É una multa che pago volentieri parchè in tant'ani äd
matrimonni l'é la prìmma volta che me mojéra l'am dà ragión".
Per il Lunario parmigiano inventa proverbi del tipo:
"Quand a canta la sigala a pär frèssch infinn la stala". Anche le previsioni del tempo sono tanto
simpatiche quanto poco "scientifiche"come questa:
"'Na fumära acsì fissa ch'at ghe pól pozär incóntra la biciclètta". Oppure:
“Al sól al nasa a sètt e quarantón e mi sät co’ fagh? A volt galón!”.
I vecchi parmigiani sanno che borgo Gian Battista Fornovo (quel vicoletto a fianco della chiesa
della S.S.Annunziata) era soprannominato anche “bor’gh äd j äzon” (borgo degli Asini). Fausto,
nativo di quel borgo, era in zona quando passò un suo vecchio amico che, per canzonarlo, gli
chiese:
“Él coste bor’gh äd j äzon?” “An so miga, a t’ sì al prìmm ch’a vèdd!” (non lo so, sei il primo
che vedo). Ad uno amico che gli chiedeva:
"Co' fal to fjól ?" Rispose:
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Breve dispensa sul dialetto, a cura di Giuseppe Mezzadri, per incontro con i ragazzi del Romagnosi
"Economia e Commercio"."E ti co' fät ?” “Economia".
Si parlava di stupidi:
“Lalù l’é tant stuppid che, al campionät dal mónd di stuppid, al rivariss second!”
“Parché miga prìmm?”, chiesi io.
“L’é trop stuppid!”.
Anche il fratello Luciano ha una bella ironia. Un esempio: "A Roma c'è il Gabinetto, la Camera e
i Servizi ma deve esserci senz'altro anche la cucina; con col chi magnon!"
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