Laureati delusi

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Laureati delusi
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Macroeconomia:
un quadro generale
COSA APPRENDEREMO
IN QUESTO CAPITOLO
LAUREATI DELUSI
Una visione d’insieme
della macroeconomia, la
disciplina che studia i
sistemi economici nel
loro complesso, e le differenze con la microeconomia
L’importanza del ciclo
economico e la ragione
per cui i responsabili
della politica economica
desiderano contenere
l’ampiezza delle sue
oscillazioni
Il significato di inflazione
e deflazione e la ragione
per cui si preferisce la
stabilità dei prezzi
Nel 2002 anche gli
studenti migliori hanno avuto difficoltà nel
trovare lavoro.
Negli Stati Uniti il 2000 è stato un anno eccezionale per neodiplomati e neolaureati, e soprattutto
per chi ha conseguito un MBA. Come ha scritto un
quotidiano, le imprese «facevano a gara per attirare
i neolaureati con lauti salari e ogni sorta di benefici accessori». Ma gli eventi non hanno premiato allo
stesso modo gli studenti che si sono laureati due
anni dopo. Per molti studenti della classe 2002 provenienti dalle business school statunitensi la laurea
non è stata l’occasione di gioia che avevano sperato: un biglietto di prima classe per un ottimo lavoro e una carriera di successo. Perfino nelle principali
università degli Stati Uniti, come Harvard, University of Pennsylvania e Stanford, le imprese hanno
ritirato le offerte di lavoro già avanzate a centinaia
di neolaureati, lasciando increduli studenti e professori. Diversi mesi dopo il conseguimento del titolo di studio molti neolaureati non avevano ancora trovato la loro prima occupazione e, come mostra la tabella 14.1, chi lo ha trovato si è dovuto accontentare di un salario mediamente più basso dei
laureati di due anni prima. (Classificando i salari in
ordine crescente, il salario mediano è quello che si
trova esattamente a metà.)
Non che i laureati del 2002 fossero meno intelligenti, preparati o entusiasti di quelli del 2000. Il
fenomeno, infatti, non ha interessato solo i laureati in economia e management. La differenza è che
nella primavera del 2000 l’economia statunitense
era nel pieno di una fase di crescita, e i datori di lavoro facevano a gara per assumere nuovi dipendenti. Nella primavera del 2002, invece, l’economia
stentava: molte imprese licenziavano lavoratori e
non avevano alcuna necessità di assumerne altri.
Come si può osservare dalla tabella 14.1, nel 2004
le prospettive occupazionali erano migliorate, ma i
salari dei neolaureati continuavano a mantenersi al
di sotto dei livelli corrisposti nel 2000.
L’alternanza di alti e bassi, di anni in cui c’è
un’abbondante offerta di lavoro e altri in cui è difficile trovare un’occupazione, è detta ciclo economico. Perché esiste il ciclo economico? Cosa si può fare
per attenuare l’ampiezza delle sue oscillazioni? La
macroeconomia, il ramo della scienza economica che
studia le dinamiche del sistema economico nel suo
complesso, cerca di dare risposta a domande di questo tipo.
La microeconomia, invece, studia le decisioni di
produzione e di consumo degli individui e delle
singole imprese, e l’allocazione delle risorse scarse
tra i settori produttivi. Tornando al nostro esempio dei neolaureati, la microeconomia cercherebbe
14. Macroeconomia: un quadro generale
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di spiegare perché le imprese di diversi settori (per
esempio, una banca di investimento e una società di
marketing) pagano salari differenti per un neolaureato. La macroeconomia si interessa degli sviluppi dell’economia nazionale, come il livello di produzione
complessivo, il livello generale dei prezzi, e il livello
di occupazione.
I capitoli precedenti contenevano una trattazione
preliminare di alcuni concetti e principi fondamentali della microeconomia. Per comprendere il campo d’azione della macroeconomia, cominciamo da un esame più approfondito della differenza tra la microeconomia e la macroeconomia. Successivamente, daremo
uno sguardo d’insieme alle tre principali aree di studio della macroeconomia.
Tabella 14.1 Salario di ingresso mediano dei neo diplomati ai corsi MBA di un campione di università: anni
2000, 2002 e 2004
Università
Stanford
Harvard
Pennsylvania
Columbia
Dartmouth
Salario di ingresso 2000
(dollari)
Salario di ingresso 2002
(dollari)
Salario di ingresso 2004
(dollari)
165 500
160 000
156 000
142 500
149 500
138 100
134 600
124 500
123 600
122 100
150 000
147 500
144 000
142 500
135 000
Fonte: Indagine sui laureati di Business Week, 18 ottobre 2004.
■ MICROECONOMIA E
MACROECONOMIA A
CONFRONTO
La tabella 14.2 riporta alcune domande a cui la
scienza economica cerca di rispondere. Nella colonna a sinistra è riportata una versione microeconomica di ciascuna domanda; la versione macroeconomica corrispondente appare a destra.
Mettendo a confronto ciascuna coppia di domande, possiamo cominciare a intuire la differenza tra la microeconomia e la macroeconomia.
Come si può osservare, la microeconomia si
concentra sul modo in cui gli individui e le imprese prendono le decisioni e sulle conseguenze
di tali decisioni. Per esempio, usiamo la microeconomia per determinare quanto costerebbe a
una università o a un college offrire un nuovo
corso di laurea: tale costo include il salario degli
insegnanti, il costo dei materiali didattici, e così
via. L’istituto può quindi decidere se offrire il corso mettendo a confronto i costi e i benefici. La
macroeconomia, invece, analizza il comportamento aggregato dell’economia: il modo in cui le
decisioni di tutti gli individui e di tutte le imprese
interagiscono per generare un particolare livello
di prestazione economica generale. Per esempio,
la macroeconomia si occupa del livello generale
dei prezzi nell’economia e delle sue variazioni di
anno in anno, anziché concentrarsi sul prezzo di
un particolare bene o servizio.
Si potrebbe pensare che la risposta a una domanda di natura macroeconomica sia semplicemente la somma delle risposte microeconomiche.
Per esempio, il modello di domanda e offerta che
abbiamo introdotto nel capitolo 3 ci rivela come
si determina il prezzo di equilibrio del singolo
bene o servizio in un mercato concorrenziale.
Così, si potrebbe pensare di applicare l’analisi di
domanda e offerta a tutti i beni e i servizi prodotti nell’economia, sommare i risultati, e ottenere il livello generale dei prezzi per l’economia
nel suo complesso.
Si dà il caso che non sia così: anche se concetti fondamentali come domanda e offerta sono
essenziali per la macroeconomia come per la microeconomia, per trovare una risposta alle principali questioni macroeconomiche è necessario
un nuovo insieme di strumenti e un quadro di
riferimento di più ampio respiro. Cominceremo
con il considerare i tre modi principali in cui la
macroeconomia differisce dalla microeconomia.
◆ Macroeconomia: il tutto è maggiore
della somma delle parti
Se vi capita spesso di guidare in autostrada, probabilmente sarete incappati nella forma più fa-
329
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Tabella 14.2 Domande di microeconomia e macroeconomia a confronto
Domande di microeconomia
Domande di macroeconomia
È meglio che mi iscriva a un master o che vada subito a lavorare?
Quanti individui nel sistema economico hanno un’occupazione
quest’anno?
Cosa determina il salario percepito da Sebastiano Gemelli,
neodiplomato del Master SDA Bocconi?
Cosa determina il livello generale delle retribuzioni dei lavoratori
dipendenti in un dato anno?
Cosa determina il costo che una università deve sostenere per offrire
un nuovo corso di laurea?
Cosa determina il livello generale dei prezzi nel sistema economico?
Quali politiche pubbliche devono essere utilizzate per favorire
l’accesso all’università degli studenti poveri?
Quali politiche pubbliche devono essere adottate per promuovere
l’occupazione e la crescita del sistema economico?
Cosa determina la decisione di Unicredit se aprire o meno una
nuova filiale a Shanghai?
Cosa determina il livello degli scambi di beni, servizi e attività
finanziarie tra l’Unione Europea e il resto del mondo?
stidiosa di ingorgo stradale: quello provocato dai
«curiosi». Qualcuno si ferma nella corsia di emergenza per cambiare una gomma o per un piccolo incidente, e in men che non si dica si crea una
lunghissima coda per colpa di chi rallenta per dare
un’occhiata. La cosa fastidiosa è che la lunghezza della coda è del tutto sproporzionata all’importanza dell’evento che l’ha causata. Alcuni automobilisti rallentano per «curiosare», e costringono gli altri a fare altrettanto; infine, l’accumularsi di tutte queste frenate individuali genera un
lungo e inutile ingorgo, perché ogni automobilista deve frenare un po’ di più di quello che lo
precede.
Capire un fenomeno di questo genere ci aiuta a comprendere una delle principali differenze
di approccio tra la macroeconomia e la microeconomia: decine di migliaia o milioni di azioni
individuali, accumulandosi, producono un risultato maggiore della loro semplice somma.
Consideriamo, per esempio, quello che gli economisti chiamano il «paradosso della parsimonia»: se temono di dover affrontare un periodo
di ristrettezze economiche, le famiglie e le imprese reagiscono istintivamente e riducono le spese superflue. Questa riduzione della spesa deprime l’economia, perché i consumatori spendono
meno e, di conseguenza, le imprese licenziano i
lavoratori. Alla fine, famiglie e imprese finiscono per peggiorare la propria condizione: la previdenza che le induce a ridurre le spese amplifica la tendenza negativa del sistema economico.
Giustamente si parla di paradosso: un comportamento apparentemente virtuoso (prepararsi ad
affrontare le ristrettezze economiche risparmiando
di più) finisce per avere effetti deleteri per tutti.
Ma c’è anche il rovescio della medaglia: se fami-
glie e imprese si sentono ottimiste riguardo al futuro, aumentano le proprie spese correnti. Ciò
stimola l’economia e spinge le imprese ad assumere più lavoratori, il che a sua volta stimola ulteriormente l’economia. Un comportamento apparentemente dissipatore ha conseguenze positive per tutti.
Un aspetto fondamentale della macroeconomia è che nel breve periodo (un intervallo di tempo di diversi anni, ma generalmente più breve di
un decennio) l’effetto combinato delle decisioni
individuali può essere molto diverso da quello
che il singolo individuo intendeva produrre, e a
volte addirittura perverso. Il comportamento della macroeconomia è, indubbiamente, maggiore
della somma delle azioni individuali e dei risultati di mercato.
◆ La politica macroeconomica
Il fatto che la somma delle decisioni individuali
possa talvolta produrre risultati negativi per il sistema economico nel suo complesso ci conduce
a un’altra differenza fondamentale tra la macroeconomia e la microeconomia: il ruolo delle politiche pubbliche. Studiando attentamente il funzionamento dei mercati, i microeconomisti sono
giunti alla conclusione che lo Stato non debba
interferire con il loro funzionamento. Con l’eccezione di alcuni casi ben definiti, la norma è che
l’intervento pubblico nei mercati peggiora il benessere sociale. Vi sono, naturalmente, importanti compiti che la politica microeconomica può
svolgere: garantire il corretto funzionamento dei
mercati e intervenire in maniera appropriata in
tutti gli specifici casi in cui i mercati non operano in piena efficienza. Ma l’area della microeco-
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nomia, in generale, suggerisce che l’intervento
pubblico può avere solo un ruolo limitato.
Al contrario, gli economisti ritengono che il
governo possa svolgere un ruolo molto più ampio nella macroeconomia, soprattutto per gestire le fluttuazioni di breve periodo e gli shock negativi che colpiscono il sistema economico. Come
la polizia stradale che lavora per prevenire o ridurre gli effetti della congestione del traffico, i
responsabili delle politiche economiche lavorano
per prevenire o ridurre gli effetti degli shock negativi sulla macroeconomia.
L’opinione diffusa che lo Stato debba assumersi la responsabilità di gestire la macroeconomia risale ai tempi della Grande Depressione degli anni 1930, un evento chiave nella storia economica mondiale in cui la produzione diminuì
drasticamente, le banche fallirono, le imprese andarono in rovina e i lavoratori furono licenziati
in massa: fu come se il motore dell’economia
mondiale avesse improvvisamente ingranato la
retromarcia. La Grande Depressione durò più di
un decennio, dal 1929 alla fine degli anni 1930,
e portò a un radicale ripensamento dei principi
e degli obiettivi della macroeconomia. Durante
e dopo la Grande Depressione gli economisti svilupparono la moderna «cassetta degli attrezzi»
della macroeconomia: la politica fiscale, cioè il
controllo della spesa pubblica e dell’imposizione
fiscale, e la politica monetaria, cioè il controllo
dei tassi di interesse e della quantità di moneta
in circolazione. Tali strumenti sono oggi utilizzati per gestire il funzionamento della macroeconomia.
◆ Gli aggregati economici
Un tratto distintivo della moderna macroecono-
mia è che sia la teoria sia la sua applicazione si
concentrano sugli aggregati economici: variabili economiche che sintetizzano i dati relativi a
una molteplicità di mercati di beni, servizi, fattori di produzione e attività patrimoniali (beni
che fungono da riserva di valore, come il denaro contante o le proprietà immobiliari). Per esempio, la macroeconomia analizza le prestazioni del
sistema economico studiando la produzione aggregata, cioè la produzione dell’economia nel suo
complesso in un dato periodo di tempo, e il livello aggregato dei prezzi, una misura del livello
complessivo dei prezzi nel sistema economico.
Usando queste variabili aggregate, studieremo il
ciclo economico e il modo in cui può essere gestito, attraverso un uso sapiente della politica fiscale e monetaria. Come i diplomati delle business school statunitensi hanno scoperto sulla propria pelle, queste fluttuazioni influiscono sulla
disoccupazione, una misura del numero totale di
lavoratori in cerca di un impiego. Vedremo anche come il ciclo economico e la crescita di lungo periodo siano influenzati dalla spesa per investimento, che va a incrementare lo stock di capitale fisico dell’economia, che comprende i macchinari, gli edifici e le scorte.
Nella parte restante di questo capitolo e nel
prossimo ci soffermeremo sul modo in cui misurare e calcolare molte di queste variabili economiche.
Conoscendo le principali differenze tra la microeconomia e la macroeconomia, possiamo cominciare ad analizzare alcune delle principali caratteristiche del ciclo economico. Prima, però,
dobbiamo soffermarci a esaminare l’episodio che
ha portato alla creazione della macroeconomia
moderna, e che ha quasi distrutto la nostra civiltà.
aggregati economici
variabili economiche che
sintetizzano i dati relativi
a una molteplicità di
mercati di beni, servizi,
fattori di produzione e
attività patrimoniali
La Grande Depressione
Gli storici concordano: la Grande Depressione, cominciata nel 1929 e durata per tutti gli anni 1930,
è stata uno degli eventi determinanti della storia statunitense. E i suoi effetti non sono rimasti limitati agli Stati Uniti: le ripercussioni di questo evento catastrofico si sono abbattute su tutte le principali economie di mercato, in Europa, America Latina, Giappone, Canada e Australia. La Germania
fu tra le economie colpite più duramente dalla Grande Depressione; gli storici ritengono che ciò fu
una delle principali cause dell’avvento del nazismo, che portò infine allo scoppio della seconda guerra mondiale.
La Grande Depressione fu anche l’evento determinante della moderna macroeconomia: volendo
descrivere la funzione ultima della macroeconomia moderna, potremmo affermare che sia «impedire che si ripeta un evento drammatico come la Grande Depressione».
La Depressione cominciò nell’agosto 1929 con una debole flessione della produzione aggregata,
331
L’ECONOMIA
IN AZIONE
332 14. Macroeconomia: un quadro generale
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che contribuì a sua volta a scatenare il noto crollo dei mercati azionari nell’ottobre 1929, l’evento
forse maggiormente associato alla Grande Depressione. Se gli effetti economici si fossero limitati alle
ricadute della crisi finanziaria, probabilmente l’economia avrebbe sperimentato una breve recessione. Ma a fare della Grande Depressione un disastro duraturo fu l’aumento catastrofico della disoccupazione e la forte caduta della produzione aggregata che seguirono il crollo dei mercati finanziari.
Nel 1929 il tasso di disoccupazione (in termini generici, la percentuale della popolazione lavorativa
che non riesce a trovare un lavoro) era solo il 3,2%, come mostrato nella figura 14.1(a). Nel 1933
era salita al 24,9%: un cittadino statunitense su quattro era senza lavoro, e molti riuscivano a sopravvivere solo grazie alle mense per i poveri e ad altre opere di carità. Molte famiglie furono sfrattate dalle loro case e in tutto il paese cominciarono a sorgere delle baraccopoli, interi quartieri composti da abitazioni costruite con materiale di risulta. I lavoratori diedero vita a molte forme di lotta,
perché si sentivano abbandonati dall’economia di mercato. (In un caso molto famoso, i veterani della prima guerra mondiale, chiamati «Bonus Marcher», costruirono una baraccopoli sul viale principale di Washington, D.C., chiamato The Mall. Furono cacciati dall’esercito federale quando cominciarono a chiedere a viva voce un sussidio finanziato dal governo.) La caduta dell’occupazione fu
accompagnata dal crollo del prodotto interno lordo reale (o PIL reale), una misura della produzione
aggregata. Tra il 1929 e il 1933 il PIL reale diminuì del 27%, come illustrato nella figura 14.1(b).
Furono tempi di grande e inattesa miseria, ancora più sconvolgente se si pensa che il decennio precedente, i «ruggenti anni Venti», era stato un periodo di crescita e prosperità senza precedenti. Dieci anni dopo molti pensavano che la democrazia stessa degli Stati Uniti fosse in pericolo.
Trascorse parecchio tempo prima che l’economia cominciasse a mostrare segni di ripresa. Nel
1939, dopo un decennio di provvedimenti di politica economica attuati nel tentativo di invertire il
ciclo economico, il tasso di disoccupazione si attestava al 17%, un valore molto elevato per lo standard di quei tempi. La produzione totale non tornò ai livelli del 1929 fino al 1937, e si dovette attendere il 1941 per registrare nuovamente un tasso di disoccupazione inferiore al 10%. La prosperità economica fece ritorno solo con lo scoppio della seconda guerra mondiale.
La Grande Depressione gettò gli economisti in uno stato di attività febbrile per capire che cosa
fosse accaduto e quale potesse essere il rimedio adatto. Ciò portò a una svolta epocale nella misurazione delle variabili macroeconomiche: molte delle statistiche oggi impiegate per seguire l’andamento
dell’economia cominciarono a essere raccolte negli anni 1930. La teoria economica subì un profon-
(b) La produzione aggregata
(a) Il tasso di disoccupazione
Tasso di
disoccupazione
(%)
25
PIL reale
(miliardi di
dollari del 2000)
1400
20
1200
15
1000
10
Flessione del PIL
reale del 27% tra
il 1929 e il 1933
800
5
Anno
19
42
19
40
19
38
19
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3
19 2
33
19
34
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29
19
30
19
42
19
40
19
38
19
36
19
3
19 2
3
19 3
34
19
2
19 9
30
600
Anno
Figura 14.1
Il tasso di disoccupazione e la produzione aggregata durante la Grande Depressione
La recessione economica iniziata nel 1929 portò a un drastico aumento del tasso di disoccupazione, mostrato nella parte (a), e a una decisa diminuzione della produzione aggregata, riportata nella parte (b). La produzione aggregata, misurata dal PIL reale espresso in dollari del 2000 (spiegheremo
cosa sono i «dollari del 2000» nel capitolo 15), ha recuperato il livello raggiunto nel 1929 solo nel 1937. Il tasso di disoccupazione è tornato al di
sotto del 10% solo nel 1941. Fonte: U.S. Census Bureau.
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do cambiamento con la pubblicazione nel 1936 della Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e
della moneta, opera dell’economista britannico John Maynard Keynes: un libro che ha avuto un’influenza sul mondo paragonabile solo a quella de La ricchezza delle nazioni di Adam Smith. L’opera
di Keynes, e le interpretazioni e le critiche che altri economisti ne hanno fornito, hanno dato vita sia
alla macroeconomia come scienza sia alle moderne politiche macroeconomiche.
Nel breve periodo l’effetto combinato delle azioni individuali può avere conseguenze indesiderate che generano risultati macroeconomici migliori o peggiori per tutti.
➤ La politica economica ha margini di manovra maggiori in macroeconomia che in microeconomia.
➤ Diversamente dalla microeconomia, la macroeconomia dipende dallo studio degli aggregati economici.
➤ La Grande Depressione ha indotto un ripensamento della misurazione delle variabili economiche e della
teoria macroeconomica, dando l’avvio alla moderna macroeconomia.
➤
1. Quale delle seguenti domande si riferisce allo studio della macroeconomia? Quale alla microeconomia? Perché?
(a) Qual è il profitto che il mobilificio Barletta ottiene installando un nuovo macchinario nella sua fabbrica?
(b) Come varia il livello complessivo delle vendite del settore manifatturiero al variare dello stato generale
dell’economia?
(c) Quali tipi di spesa per investimento portano a un più elevato tasso di crescita economica?
(d) Mirella dovrebbe acquistare una nuova automobile?
2. Spiegate perché in microeconomia c’è meno spazio per un intervento pubblico che in macroeconomia.
120
110
Stati Uniti
100
Gran Bretagna
Germania
90
Francia
Italia
80
70
60
50
1929
1930
1931
1932
1933
1934
1935
La Grande Depressione nel mondo
La Grande Depressione dagli Stati Uniti si propagò rapidamente all’America Latina e all’Europa. In Germania, in particolare, il ritiro dei prestiti statunitensi mise in crisi il complesso e delicato sistema delle riparazioni di guerra, trascinando nella spirale depressiva anche Francia e Italia. In tutti questi paesi si verificò un drastico calo della produzione, seguito da
una diminuzione dei prezzi, molteplici crolli in borsa, fallimenti e chiusura di industrie e banche, e un aumento della
disoccupazione. L’Italia, benché contagiata dalla crisi internazionale, ebbe a patire conseguenze meno drammatiche di
altri paesi, poiché il governo fascista, avendo promosso una politica di autarchia che la escludeva da gran parte degli
scambi internazionali, aveva parzialmente isolato il paese dal resto del mondo. Nel grafico si confrontano gli indici della
produzione industriale negli anni della Grande Depressione in alcuni dei paesi citati. Si osservi come in Italia la flessione
dell’indice della produzione industriale risulti meno pronunciata e duratura rispetto a Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna e Francia. Dati indicizzati (1929 = 100). Fonte: C. P. Kindleberger, La grande depressione nel mondo 1929-1939.
ETAS, Milano, 1982.
RIPASSO
RAPIDO
VERIFICATE
IL VOSTRO
APPRENDIMENTO
14.1
334 14. Macroeconomia: un quadro generale
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■ IL CICLO ECONOMICO
Tasso di
disoccupazione
(%)
12
10
8
6
5, 6
20
00
20
04
95
4
19
Tasso di
disoccupazione
medio
19
90
Figura 14.2
Tasso di disoccupazione e
recessioni negli Stati Uniti
dal 1948 al 2004
Di solito durante una recessione il tasso di disoccupazione
aumenta, per poi diminuire
nelle fasi di ripresa. Come mostra il grafico, nel periodo postbellico negli Stati Uniti il tasso
di disoccupazione ha fatto registrare oscillazioni molto marcate. Le aree ombreggiate evidenziano i periodi di recessione; quelle prive di ombreggiatura le fasi di ripresa economica. Nell’intero periodo 19482004 il tasso di disoccupazione medio negli Stati Uniti è
stato del 5,6%. Fonte: Bureau
of Labor Statistics; National
Bureau of Economic Research.
19
85
lavoratori scoraggiati
individui in grado di lavorare che rinunciano a cercare un impiego perché
credono di non riuscire a
trovarlo
19
80
forza lavoro
la somma dei lavoratori
occupati e disoccupati di
un paese
Una recessione è un evento meno grave di una
depressione, ma è altrettanto sgradevole. Come
la depressione, la recessione provoca un aumento della disoccupazione, una riduzione della produzione e dei redditi, e un abbassamento del tenore di vita.
Per comprendere la disoccupazione e la sua
relazione con gli effetti negativi della recessione,
dobbiamo capire come è strutturata la forza lavoro. L’occupazione misura il numero totale di
individui attivamente impiegati, e la disoccupazione il numero totale di individui che non hanno un’occupazione e sono attivamente alla ricerca di un lavoro. La forza lavoro di un paese è la
somma dell’occupazione e della disoccupazione.
La definizione ufficiale di forza lavoro non include i lavoratori scoraggiati, individui che sono
in grado di lavorare ma che rinunciano a cercare
un impiego perché credono di non riuscire a trovarlo. Le statistiche occupazionali non includono informazioni sulla sottoccupazione, il nume-
19
75
disoccupazione
il numero totale di individui che non hanno un’occupazione e sono attivamente alla ricerca di un
impiego
◆ Occupazione e disoccupazione
19
70
occupazione
il numero totale di individui attivamente impiegati
19
65
espansione
una fase di crescita economica, in cui la produzione
e l’occupazione aumentano; detta anche ripresa
19
60
recessione
una fase di flessione economica, in cui la produzione e l’occupazione diminuiscono
19
55
depressione
una flessione economica
grave e prolungata
Come accennato nella vicenda che abbiamo descritto in apertura del capitolo, nel 2002 un mercato del lavoro stagnante rese la vita difficile a chi
era in cerca di lavoro, indipendentemente dalle
sue competenze. La situazione era particolarmente
deprimente, soprattutto alla luce del fatto che
fino a due anni prima il mercato del lavoro statunitense era in piena espansione.
L’alternanza nel breve periodo tra periodi di
flessione economica e periodi di ripresa è detta
ciclo economico. Una depressione è una flessione profonda e prolungata; fortunatamente, negli
Stati Uniti e nelle principali economie mondiali
l’ultima risale agli anni 1930. Ma in questi anni
si sono verificate flessioni economiche meno prolungate, dette recessioni, periodi nei quali la produzione e l’occupazione tendono a diminuire. Invece, un periodo di ripresa economica in cui la
produzione e l’occupazione tendono ad aumentare è detto espansione (o semplicemente ripresa). Secondo il National Bureau of Economic Research, a partire dalla seconda guerra mondiale
negli Stati Uniti si sono verificate 10 recessioni
della durata media di 10 mesi; i periodi di ripresa, invece, sono durati in media 57 mesi. La durata media di un ciclo economico, dall’inizio di
una recessione all’inizio della recessione successiva, è stata di 5 anni e 7 mesi; il ciclo più breve
è durato 18 mesi e il più lungo 10 anni e 8 mesi.
La recessione che ha colpito i disoccupati del 2002
è iniziata nel marzo 2001. La figura 14.2 descrive l’andamento storico del tasso di disoccupazione negli Stati Uniti dal 1948 al 2004, e l’an-
19
4
19 8
50
ciclo economico
l’alternarsi nel breve periodo di fasi di flessione
economica, dette recessioni, e di crescita, dette
espansioni
damento dei cicli economici dalla seconda guerra mondiale in avanti. In questo periodo il tasso
di disoccupazione si è mantenuto in media attorno al 5,6%. Le recessioni sono indicate dalle
aree ombreggiate.
Che cosa accade durante un ciclo economico, e che cosa si può fare per controllarlo? In proposito, analizziamo tre questioni: gli effetti delle
recessioni e delle espansioni sulla disoccupazione; gli effetti sulla produzione aggregata; il possibile ruolo delle politiche pubbliche.
Anno
14. Macroeconomia: un quadro generale
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Alcuni lettori potrebbero domandarsi
quale sia la definizione esatta di recessione ed espansione. La risposta è che
non esiste una definizione esatta per
questi concetti.
In molti paesi gli economisti hanno adottato la regola secondo la quale l’economia è in recessione se la produzione aggregata diminuisce per almeno due trimestri consecutivi. In tal
modo si evita di classificare come recessioni brevi sussulti nell’andamento economico che non hanno conseguenze durature. A volte, tuttavia,
questa definizione è troppo restrittiva. Per esempio, se un sistema economico sperimenta tre mesi di forte fles-
sione, seguiti da tre mesi di debole crescita, seguiti da altri tre mesi di rapido declino, si deve certamente concludere che ha attraversato nove mesi
di recessione.
Negli Stati Uniti, per cercare di
evitare errori di classificazione, si assegna il compito di determinare l’inizio
e la fine di una recessione a un comitato indipendente di esperti del National Bureau of Economic Research
(NBER). Questo comitato prende in
considerazione una molteplicità di indicatori economici, concentrandosi soprattutto su occupazione e produzione. In ultima analisi, però, il comitato emette un parere indipendente.
ro di individui che durante una recessione lavorano a un salario più basso di quello che riceverebbero durante una fase espansiva, a causa di un
minor numero di ore di lavoro, di una paga più
bassa, o di entrambi.
Il tasso di disoccupazione è la percentuale di
individui nella forza lavoro che sono disoccupati. È calcolato come segue:
Tasso di = Numero di disoccupati × 100 (14.1)
disoccupazione Numero di + Numero di
disoccupati
occupati
Il tasso di disoccupazione è generalmente un buon
indicatore delle condizioni del mercato del lavoro: un tasso di disoccupazione elevato è il segnale di un mercato del lavoro stagnante, in cui è difficile trovare un’occupazione; un tasso di disoccupazione moderato indica un mercato del lavoro attivo, in cui è relativamente facile trovare un
impiego. In generale, durante una recessione il
tasso di disoccupazione aumenta, durante una ripresa diminuisce.
Torniamo a osservare la figura 14.2, che mostra il tasso di disoccupazione registrato mensilmente dal 1948 al 2004. Il valore medio del tasso di disoccupazione nel periodo considerato è il
5,6%, con notevoli fluttuazioni attorno a tale valore medio. Una economia in fase fortemente
espansiva, come quella della fine degli anni 1960
o della fine degli anni 1990, può ridurre la disoccupazione anche al di sotto del 4%. Ma in una
grave recessione, come quella del 1981-1982, il
tasso di disoccupazione può superare il 10% (in
A volte questo parere è controverso. Infatti è tuttora in corso un dibattito sulla recessione del 2001. Secondo il NBER la recessione cominciò nel
marzo 2001 e terminò nel novembre
2001, quando la produzione cominciò ad aumentare. Tuttavia alcuni osservatori sostengono che la recessione
ebbe effettivamente inizio molti mesi
prima, quando la produzione industriale cominciò a diminuire. Altri sostengono poi che non si è conclusa nel
2001, perché l’occupazione continuò
a diminuire e il mercato del lavoro rimase debole ancora per un anno e
mezzo.
quell’occasione, la punta massima fu registrata
nel novembre 1982, con una disoccupazione del
10,8%).
Dietro queste cifre astratte si nascondono le
più diverse esperienze personali. Per esempio, nel
novembre 1982, quando negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione toccò il 10,8%, 12 milioni
di persone erano alla ricerca di un lavoro ma non
riuscivano a trovarlo. Più di recente, con l’aumento della disoccupazione nei primi anni 1990,
centinaia di migliaia di lavoratori furono licenziati, e molti di coloro che trovarono un impiego erano fortemente sottoccupati. Di conseguenza, il paese cadde in preda al dubbio e allo
sconforto. (Un libro molto influente pubblicato
in quegli anni si intitolava: America: What Went
Wrong? «America: cosa è andato storto?» N.d.T.].)
Ma alla fine degli anni 1990 la disoccupazione
scese al livello più basso dei trent’anni precedenti, le imprese cominciarono a fare a gara per trovare dipendenti e persino gli studenti meno brillanti e con poca esperienza di lavoro ricevettero
offerte di lavoro allettanti. Ahimé, com’è nella natura dei cicli economici, quest’epoca felice è terminata nei primi mesi del 2001, quando l’economia è andata incontro a un periodo di flessione e la disoccupazione è tornata ad aumentare.
◆ La produzione aggregata
L’aumento della disoccupazione è la conseguenza più dolorosa di una recessione, e la riduzione
della disoccupazione è la caratteristica maggior-
PER I PIÙ CURIOSI
COME DEFINIRE LE RECESSIONI E LE ESPANSIONI
335
sottoccupazione
il numero di individui che
durante una recessione
lavorano a un salario più
basso di quello che riceverebbero durante una
fase espansiva, a causa
di un minor numero di
ore di lavoro, di una paga
più bassa, o di entrambi
tasso di disoccupazione
la percentuale di individui
nella forza lavoro che
sono disoccupati
336 14. Macroeconomia: un quadro generale
produzione aggregata
la produzione totale di
beni e servizi finali in un
sistema economico in un
dato periodo di tempo
© 978-88-08-26614-9
mente desiderata di una ripresa economica. Tuttavia il ciclo economico non riguarda solo l’occupazione, ma anche la produzione. Nel corso di
un ciclo economico il livello di produzione di un
sistema economico e il suo tasso di disoccupazione si muovono in direzioni opposte.
In termini formali, la produzione aggregata
è la produzione totale di beni e servizi finali in un
sistema economico in un dato periodo, convenzionalmente un anno. La produzione aggregata
non include i beni e i servizi che entrano come
fattori nella produzione di altri beni (detti anche
beni intermedi): l’acciaio prodotto con lo scopo
di fabbricare un’automobile non è incluso nella
produzione aggregata, che include invece l’automobile prodotta con quell’acciaio. Il PIL reale è
la misura numerica della produzione aggregata
usata di norma dagli economisti. Vedremo come
calcolare il PIL reale nel capitolo 15; per il mo-
mento, il punto che vogliamo enfatizzare è che
la produzione aggregata diminuisce nelle fasi recessive e aumenta in quelle espansive.
La figura 14.3(a) mostra il tasso di crescita
annuale del PIL reale statunitense tra il 1948 e il
2004; in altre parole, mostra la variazione percentuale della produzione aggregata tra il 1947 e
il 1948, tra il 1948 e il 1949, e così via. La produzione è cresciuta in media del 3,5% all’anno.
Come si può osservare, il tasso di crescita effettivo ha oscillato in modo considerevole intorno a
questo valore medio, da un massimo dell’8,7%
nel 1950 a un minimo di –1,9% nel 1982. Mettendo a confronto la figura 14.3(a) con il grafico della figura 14.2, osserviamo che l’anno in cui
la produzione fece registrare la diminuzione più
marcata del secondo dopoguerra fu anche quello in cui la disoccupazione raggiunse il suo valore massimo.
(a) Il tasso di crescita annua del PIL reale
Tasso di crescita
del PIL reale (%)
10
8
6
Tasso di
crescita
medio
3, 5
4
2
0
–2
–4
48 50
19 19
55
19
60
19
65
19
70
19
75
19
80
19
85
19
90
19
95
19
00 04 Anno
20 20
(b) PIL reale
PIL reale
(miliardi di
dollari del 2000)
12 000
10 000
8000
6000
4000
2000
19
48
Figura 14.3
La crescita della produzione
aggregata negli Stati Uniti dal 1948
al 2004
Il PIL reale è una misura numerica della
produzione aggregata, ovvero della produzione complessiva che l’economia
riesce a generare. La parte (a) mostra il
tasso di crescita annuale del PIL reale
degli Stati Uniti dal 1948 al 2004: nel
periodo, la crescita media annua dell’economia statunitense è stata del 3,5%.
Nonostante il PIL reale sia aumentato
nella maggior parte degli anni, la crescita del PIL reale è stata soggetta a oscillazioni dovute al ciclo economico, e in
alcune annate il PIL reale è diminuito.
La parte (b) mostra gli stessi dati in forma diversa: l’andamento del valore assoluto del PIL reale nel periodo. Da questo grafico possiamo notare che, in
un’ottica di lungo periodo, quando gli
effetti del ciclo economico sono meno
evidenti, il PIL reale statunitense ha manifestato una netta tendenza alla crescita. Fonte: Bureau of Economic Analysis.
50
19
55
19
60
19
65
19
70
19
75
19
80
19
85
19
90
19
95
19
00 004 Anno
2
20
14. Macroeconomia: un quadro generale
© 978-88-08-26614-9
La figura 14.3(b) mostra l’andamento del PIL
reale nel medesimo periodo, dal 1948 al 2004.
Come evidenzia la tendenza nettamente crescente
della produzione aggregata, le riduzioni del PIL
reale verificatesi durante le recessioni hanno avuto natura temporanea. Dal secondo dopoguerra
in poi il PIL reale degli Stati Uniti è cresciuto di
più del 500%.
◆ Controllare il ciclo economico
Come abbiamo spiegato, una delle missioni fondamentali della macroeconomia è capire perché
si verificano le recessioni e se sia possibile fare
qualcosa per porvi rimedio. Un altro tema caldo
della macroeconomia è l’inflazione, un aumento
del livello generale dei prezzi causato spesso da
un’espansione economica troppo sostenuta.
I provvedimenti di politica economica attuati per ridurre la gravità di una recessione o per tenere a freno un’espansione troppo vivace sono
detti politiche di stabilizzazione. La politica di
stabilizzazione è basata su due strumenti fonda-
mentali: la politica monetaria, che cerca di stabilizzare l’economia facendo variare la quantità
di moneta in circolazione nell’economia, il tasso
di interesse o entrambi; e la politica fiscale, che
cerca di stabilizzare l’economia facendo variare
l’imposizione fiscale, la spesa pubblica o entrambe.
Esamineremo questi strumenti nei capitoli 17 e
18, dove mostreremo come possano ridurre la
gravità e la durata di una recessione e attenuare
un’espansione troppo marcata. Ma in quei capitoli studieremo anche le ragioni per cui non è
possibile attuare una stabilizzazione perfetta, cioè
perché la politica fiscale e quella monetaria non
possono eliminare del tutto le fluttuazioni del sistema economico. Così, in ultima analisi, il ciclo
economico è sempre con noi.
Il ciclo economico è uno dei temi principali
della macroeconomia, e quello che storicamente
ha avuto la maggiore influenza nello stimolare lo
sviluppo della disciplina; tuttavia la macroeconomia si occupa anche di altre questioni. Rivolgiamo adesso la nostra attenzione alla crescita economica di lungo periodo.
337
politiche di stabilizzazione
i provvedimenti di politica economica attuati per
ridurre la gravità di una
recessione o per tenere
a freno un’espansione
troppo vivace
politica monetaria
una politica di stabilizzazione che agisce sulla
quantità di moneta in
circolazione nell’economia, sul tasso di interesse, o su entrambi
politica fiscale
una politica di stabilizzazione che agisce sull’imposizione fiscale, sulla
spesa pubblica, o su entrambe
Il ciclo economico è stato domato?
La macroeconomia come oggi la conosciamo è nata durante la Grande Depressione, dal desiderio
degli economisti di impedire il ripetersi di un evento altrettanto disastroso. L’evidenza empirica sembra indicare che i politici e gli economisti statunitensi abbiano avuto successo: da allora gli Stati Uniti non hanno subito alcuna recessione così grave da poter essere considerata una depressione. Ma siamo riusciti nel compito strettamente collegato di domare il ciclo economico?
Non proprio. La figura 14.4 mostra il tasso medio annuo di disoccupazione degli Stati Uniti a
partire dal 1900. La figura è dominata dal forte aumento della disoccupazione verificatosi negli anni
1930: dalla seconda guerra mondiale in avanti gli Stati Uniti sono riusciti a evitare che il fenomeno
si ripetesse. I macroeconomisti ritengono che ciò sia dovuto in parte ai progressi compiuti dalla teoria economica, che nel secondo dopoguerra hanno permesso di formulare provvedimenti di politica
economica molto più efficaci.
Tuttavia gli economisti diffidano di chi ritiene che il ciclo economico sia del tutto sotto controllo, e che le recessioni siano una cosa del passato. Questo tipo di atteggiamento si era molto diffuso
Tasso di
disoccupazione
(%)
25
20
15
10
19
00
19
10
19
20
19
30
19
40
19
50
19
60
19
70
19
80
19
90
20
0
20 0
04
5
Anno
L’ECONOMIA
IN AZIONE
Figura 14.4
Il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti dal 1900 al
2004
I progressi della teoria macroeconomica hanno reso i sistemi
economici più stabili? Questo grafico mostra il tasso di disoccupazione medio annuo negli Stati Uniti a partire dal 1900. Chiaramente, nessun fenomeno della portata della Grande Depressione – qui evidenziata dalla crescita esplosiva del tasso di disoccupazione che domina la prima parte del grafico – si è più verificato da allora. Ma gli economisti che negli anni 1960 avevano
dichiarato che il ciclo economico era stato domato sono stati
smentiti dalle forti recessioni degli anni 1970 e dei primi anni
1980. Fonte: U.S. Census Bureau; Bureau of Labor Statistics.
338 14. Macroeconomia: un quadro generale
© 978-88-08-26614-9
durante gli anni 1960, caratterizzati da una prolungata fase di crescita economica. A questo fortunato periodo, però, sono seguite due gravi recessioni, che hanno riportato la disoccupazione ai valori del secondo dopoguerra. L’idea che il ciclo economico fosse definitivamente scomparso è tornata
a circolare durante la lunga fase espansiva degli anni 1990, solo per essere contraddetta dalla recessione del 2001.
In anni recenti altri paesi hanno sofferto recessioni economiche almeno altrettanto gravi della
Grande Depressione. Per esempio, in Argentina tra il 1998 e il 2002 la produzione aggregata è crollata del 18%, il tasso di disoccupazione ha toccato il 24% e molte famiglie della classe media si sono
ritrovate in condizioni di povertà. Queste gravi recessioni hanno indotto gli economisti a un bagno
di umiltà. Anche se si pensa che oggi la teoria economica sia in grado di impedire un’altra Grande
Depressione, la nostra capacità di stabilizzare l’economia è ancora da affinare.
Il ciclo economico, cioè l’alternanza di recessioni e riprese economiche, è una delle principali preoccupazioni
della macroeconomia moderna, che si è sviluppata in larga parte per prevenire l’insorgere di depressioni.
➤ La forza lavoro, pari alla somma di occupazione e disoccupazione, non include i lavoratori scoraggiati. E le statistiche sull’occupazione non contengono dati sulla sottoccupazione. In generale il tasso di disoccupazione aumenta nelle fasi di recessione e diminuisce in quelle di espansione economica, esattamente all’opposto di
quanto accade alla produzione aggregata.
➤ Le politiche di stabilizzazione utilizzano due strumenti principali: la politica monetaria e la politica fiscale. A
questi strumenti si ricorre per ridurre la gravità delle recessioni e governare riprese eccessivamente vivaci.
➤
RIPASSO
RAPIDO
VERIFICATE
IL VOSTRO
APPRENDIMENTO
1. Perché il tasso di disoccupazione e la produzione aggregata si muovono in direzioni opposte durante il ciclo economico?
2. Descrivete alcuni dei costi che un elevato tasso di disoccupazione impone alla società.
3. Quali sono i probabili indicatori del successo di una politica di stabilizzazione in un dato periodo di tempo?
14.2
■ INFLAZIONE E DEFLAZIONE
misura nominale
una misura che non tiene conto della variazione
dei prezzi nel tempo
misura reale
una misura che viene
aggiustata per tenere
conto delle variazioni dei
prezzi
Il 2002 è stato un anno difficile per tutti i neolaureati in cerca di un lavoro, tuttavia le retribuzioni offerte erano ugualmente molto buone
rispetto ai dati storici. Nel 2002 un lavoratore
medio guadagnava circa il triplo che nel 1948,
fatti gli aggiustamenti per l’aumento dei prezzi di
beni e servizi. Questa precisazione è importante:
se non si effettuassero le dovute correzioni per
l’aumento dei prezzi di beni e servizi, l’aumento dei salari registrato tra il 1948 e il 2002 apparirebbe molto più marcato, con un moltiplicatore di 20 anziché di 3.
Questo esempio illustra quanto, in macroeconomia, sia importante distinguere tra misure
nominali e misure reali. La misura nominale di
una variabile economica, come i salari nominali, non tiene conto della variazione dei prezzi nel
tempo: così diciamo che i salari nominali sono
aumentati di 20 volte tra il 1948 e il 2002. Per
contro, la misura reale di una variabile economica viene aggiustata per tenere conto delle va-
riazioni dei prezzi: così diciamo che i salari reali
sono aumentati di 3 volte tra il 1948 e il 2002.
Gli economisti di norma esprimono i salari in
termini reali, perché il salario reale è il miglior indicatore della variazione del potere d’acquisto effettivo dei lavoratori nel tempo: il salario reale
permette di sintetizzare la differenza tra la variazione dei salari e la variazione dei prezzi dei beni
e dei servizi che i lavoratori possono acquistare.
Così, anche se i salari sono cresciuti di 20 volte
nei 55 anni considerati, nel 2002 i lavoratori potevano comprare solo una quantità tripla di beni
e servizi, non di 20 volte superiore. In altre parole, il salario del lavoratore medio nel 2002
espresso in dollari del 2002 – cioè la quantità di
beni e servizi che il salario di un lavoratore medio avrebbe potuto acquistare nel 2002 – era il
triplo del salario medio del 1948 espresso in dollari del 2002 – cioè la quantità di beni e servizi
che il salario di un lavoratore medio del 1948
avrebbe potuto acquistare nel 2002.
Il livello complessivo dei prezzi di tutti i beni
e i servizi prodotti nel sistema economico, cioè il
14. Macroeconomia: un quadro generale
© 978-88-08-26614-9
IPC
(periodo base
= 1982-1984)
200
180
160
140
120
100
80
60
40
20
00
20
04
19
90
19
80
19
70
19
60
19
50
19
40
19
30
19
13
19
20
20
Anno
livello dei prezzi della produzione aggregata, è
detto livello generale dei prezzi. Quando questo
livello dei prezzi aumenta, diciamo che l’economia sperimenta inflazione; quando diminuisce,
diciamo che sperimenta deflazione.
Come spiegheremo nel capitolo 15, due sono
le misure del livello generale dei prezzi usate comunemente: il deflatore del PIL e l’indice dei prezzi al consumo, o IPC. La figura 14.5 mostra l’andamento dell’IPC negli Stati Uniti tra il 1913 e
il 2004.
Dalla figura si può osservare che il livello generale dei prezzi, come la produzione aggregata
(vedi figura 14.3(b)), è aumentato notevolmente nel tempo: nel 2004 era quasi 20 volte più elevato che nel 1913. Contrariamente alla tendenza positiva della produzione aggregata, tuttavia,
l’andamento crescente dei prezzi non è necessariamente la caratteristica di un sistema economi-
co ben funzionante; tanto meno è necessariamente
un fenomeno positivo.
L’inflazione e la deflazione creano entrambe
problemi per l’economia, benché di natura più
sottile rispetto a quelli associati con la recessione.
Ecco due esempi: l’inflazione scoraggia gli individui dal detenere denaro contante, perché se il livello dei prezzi aumenta, la moneta perde di valore nel tempo. E questo fa aumentare il costo implicito di tutti gli scambi di compravendita per i
quali si deve ricorrere al contante. In casi estremi
gli individui smettono di ricorrere alla moneta e
tornano a praticare il baratto. La deflazione può
causare il problema opposto. Se il livello dei prezzi diminuisce, è più vantaggioso detenere saldi monetari, il cui valore aumenta nel tempo, che investire in nuove fabbriche e altre attività produttive,
con l’effetto di esacerbare la recessione. In generale gli economisti descrivono come un obiettivo
Tasso % di
variazione dell’IPC
(periodo base
= 1982-1984)
20
Inflazione elevata
e prolungata
15
10
Prezzi quasi stabili
5
0
–5
Marcata deflazione
–10
20
04
20
00
19
90
19
80
19
70
19
60
19
50
19
40
19
29
–15
Anno
339
Figura 14.5
L’indice dei prezzi al
consumo negli Stati
Uniti dal 1913 al 2004
Il grafico illustra l’andamento di una delle più diffuse
misure dell’indice generale
dei prezzi negli Stati Uniti,
l’indice dei prezzi al consumo, o IPC, nel periodo
1913-2004. Sebbene all’inizio degli anni 1930 i
prezzi siano diminuiti, in
generale l’indice generale
dei prezzi ha manifestato
una forte tendenza alla
crescita. Nel 2004 il livello
generale dei prezzi era 20
volte quello rilevato nel
1913. Fonte: Bureau of
Labor Statistics.
livello generale dei
prezzi
una misura sintetica del
livello complessivo dei
prezzi di tutti i beni e i
servizi finali prodotti nel
sistema economico
inflazione
un livello generale dei
prezzi crescente
deflazione
un livello generale dei
prezzi decrescente
Figura 14.6
Inflazione e deflazione
negli Stati Uniti dal
1929 al 2004
Il grafico mostra la variazione annuale dell’IPC.
Dopo la deflazione degli
anni 1930, l’economia
statunitense è sempre
stata caratterizzata da
tendenze inflazionistiche.
Ma gli elevati tassi d’inflazione degli anni 1970 e
dei primi anni 1980 sono
progressivamente diminuiti, e negli ultimi anni
l’economia ha raggiunto
una relativa stabilità dei
prezzi. Fonte: Bureau of
Labor Statistics.
340 14. Macroeconomia: un quadro generale
stabilità dei prezzi
una situazione in cui il
livello generale dei prezzi
del sistema economico
varia lentamente
tasso di inflazione
la variazione percentuale
annua del livello generale
dei prezzi
desiderabile la stabilità dei prezzi, una situazione
in cui il livello generale dei prezzi varia molto lentamente. (Diciamo «varia lentamente» anziché
«non varia» perché molti macroeconomisti ritengono che un tasso di inflazione moderato, al 2 o
3%, non danneggi l’economia e possa addirittura essere vantaggioso.) La stabilità dei prezzi è un
obiettivo che fino a tutto il secondo dopoguerra
è apparso irraggiungibile, ma che sembra ormai
essere stato conquistato, per la soddisfazione della maggior parte dei macroeconomisti.
La variazione percentuale annua del livello generale dei prezzi è nota come tasso di inflazione
(che assume valori negativi in caso di deflazione).
La figura 14.6 mostra il tasso di inflazione annuo
negli Stati Uniti tra il 1929 e il 2004, misurato
come variazione percentuale dell’IPC. Due bre-
© 978-88-08-26614-9
vi fiammate inflazionistiche hanno accompagnato la seconda guerra mondiale: una all’inizio, prima che il governo introducesse i controlli dei prezzi, e una alla fine, quando i controlli furono rimossi. Oltre a questi due, altri tre elementi si manifestano con evidenza: primo, si è verificata una
forte deflazione nei primi anni 1930, in coincidenza con l’inizio della Grande Depressione; secondo, gli anni 1970 e gli anni 1980 sono stati
caratterizzati da un’inflazione elevata e prolungata; terzo, negli anni 1990 il livello dei prezzi è
rimasto pressoché stabile.
I macroeconomisti hanno dedicato non poche energie alla comprensione delle cause dell’inflazione e della deflazione, e a fornire indicazioni ai governi su come mantenere una via di
mezzo tra questi due estremi indesiderabili.
Una semplice (e appetitosa) misura dell’inflazione
L’ECONOMIA
IN AZIONE
Il primo McDonald’s aprì nel 1954. Offriva un servizio rapido e poco costoso: non a caso è considerato l’iniziatore della ristorazione fast-food. Un panino con hamburger costava solo 0,15 dollari;
0,25 dollari con le patatine fritte. Oggi lo stesso panino in un tipico ristorante McDonald’s costa almeno 5 volte tanto, tra 0,70 e 0,80 dollari. McDonald’s ha forse perso di vista le sue umili origini di
ristorante fast-food? Gli hamburger sono forse diventati un cibo esclusivo?
Certamente no; anzi, rispetto ad altri beni di consumo, un panino con hamburger è oggi meno
costoso che nel 1954. Nell’ultimo quarto di secolo i prezzi degli hamburger sono aumentati di circa
il 400%, da 0,15 dollari a circa 0,75 dollari, mentre l’IPC è aumentato complessivamente di oltre il
600%. Se i prezzi di McDonald’s avessero seguito l’andamento generale dell’inflazione, un hamburger costerebbe oggi tra 0,90 e 1,00 dollari.
L’inflazione è rallentata negli anni 1990, cioè il tasso di crescita del livello generale dei prezzi è
diminuito. E lo stesso è avvenuto con il prezzo degli hamburger: infatti nel 1997 McDonald’s ha tagliato i prezzi di molti dei suoi prodotti, incluso il Big Mac, il suo prodotto di punta.
La variazione del salario reale è una misura della variazione del potere d’acquisto dei lavoratori più affidabile della variazione del salario nominale.
➤ Un ambito di studio rilevante nella macroeconomia è quello relativo all’andamento del livello generale dei
prezzi. Sia l’inflazione sia la deflazione rappresentano un problema per il sistema economico, quindi gli economisti generalmente auspicano il mantenimento della stabilità dei prezzi.
➤ Il tasso di inflazione è la variazione percentuale annua del livello generale dei prezzi. È positivo quando i
prezzi aumentano (inflazione) e negativo quando diminuiscono (deflazione).
➤
RIPASSO
RAPIDO
VERIFICATE
IL VOSTRO
APPRENDIMENTO
14.3
1. Supponete che il vostro salario sia aumentato del 10% nel corso dell’ultimo anno. In ciascuno dei seguenti casi, stabilite se la vostra condizione sia migliorata o peggiorata rispetto all’anno precedente. Argomentate la vostra risposta.
(a) Il tasso di inflazione annuo è stato del 5%.
(b) Il tasso di inflazione annuo è stato del 15%.
(c) L’economia ha sperimentato una deflazione, e i prezzi sono diminuiti a un tasso del 2% all’anno.
14. Macroeconomia: un quadro generale
© 978-88-08-26614-9
341
LE FONTI DEI DATI SULL’ECONOMIA ITALIANA ED EUROPEA
In questo capitolo si è fatto più volte riferimento a istituzioni ed enti che rilevano ed elaborano dati relativi all’economia statunitense. Chi volesse cimentarsi nel confronto tra la realtà degli Stati Uniti e quella italiana ed
europea, o applicare quanto appreso in questo corso ai casi italiani ed europei, potrà fare utilmente riferimento alle note di adattamento, che troverà nei diversi capitoli contrassegnate dalla bandiera europea, e ad alcune
fonti di rilevazione ed elaborazione dei dati in Italia e in Europa.
Le principali fonti di dati sull’economia italiana sono alcune pubblicazioni dell’Istat e altre della Banca d’Italia, come la Relazione annuale, l’Appendice e le Note alla Relazione, il Bollettino Economico, il Bollettino Statistico, il Quadro di sintesi del Bollettino, e i vari supplementi. I dati italiani sono raccolti anche da diverse pubblicazioni che presentano dati statistici costantemente aggiornati relativi ai paesi dell’Unione Europea, come
Eurostatistics: Data for short-term economic analysis, pubblicato mensilmente dall’Eurostat, il semestrale (con
supplementi mensili) European Economy, pubblicato dalla Commissione Europea, e le pubblicazioni della Banca Centrale Europea, come il Rapporto annuale e i Bollettini mensili.
Di un certo interesse sono anche le pubblicazioni dell’OCSE (Quarterly National Accounts, OECD Economic Outlook e il mensile Main Economic Indicators) e del Fondo Monetario Internazionale (l’annuario International Financial Statistics Yearbook e il semestrale World Economic Outlook).
Un’utile guida ai siti internet che offrono dati ed elaborazioni relative all’economia italiana ed europea è
stata allestita dal centro di Documentazione Statistica Internazionale dell’Università di Bologna, ed è accessibile da http://www2.stat.unibo.it/cdsi/index.htm.
Nella tabella seguente segnaliamo i siti di più frequente consultazione per lo studente:
Istat
Banca d’Italia
Consob
Eurostat
Banca Centrale Europea
OCSE
http://www.istat.it
http://www.bancaditalia.it
http://www.consob.it
http://epp.eurostat.cec.eu.int
http://www.ecb.int
http://www.oecd.org
Guardando avanti
Nei prossimi capitoli esamineremo più approfonditamente le questioni che abbiamo introdotto qui. La nostra analisi dei modelli macroeconomici prenderà le mosse dall’analisi del ciclo economico.
Dapprima cercheremo di capire la ragione delle fluttuazioni cicliche; nei capitoli successivi scopriremo come si possa fare ricorso alla
politica fiscale e alla politica monetaria per stabilizzare l’economia.
Ma prima di avviare l’analisi dei modelli macroeconomici, dobbiamo approfondire la conoscenza dei dati che andremo a studiare: come vengono stimati, effettivamente, la produzione aggregata,
il livello generale dei prezzi e altre misure fondamentali dell’andamento della macroeconomia?
Riepilogo
1. La macroeconomia è lo studio del comportamento dell’economia nel suo complesso: il livello della produzione aggregata, il
livello generale dei prezzi, l’occupazione complessiva e così via.
2. Sono quattro i modi principali in cui la macroeconomia differisce dalla microeconomia: studia il modo in cui gli effetti cumulati delle azioni individuali producono esiti macroeconomici involontari; prevede un maggior ruolo per le politiche pubbliche; studia la crescita di lungo periodo; e fa uso di aggregati economici, variabili che riassumono i dati relativi a vari mercati di beni, servizi, fattori di produzione e attività patrimoniali. La macroeconomia moderna è nata dagli sforzi fatti per comprendere la Grande Depressione.
3. Un tema fondamentale della macroeconomia è il ciclo econo-
mico, l’alternanza nel breve periodo di recessioni, periodi in
cui la produzione e l’occupazione diminuiscono, ed espansioni, periodi in cui la produzione e l’occupazione aumentano. La
macroeconomia moderna è nata soprattutto per cercare di impedire il verificarsi di un’altra depressione, una flessione della
produzione profonda e prolungata. La forza lavoro, la somma
di occupazione e disoccupazione, non include i lavoratori scoraggiati, cioè gli individui disoccupati che sono in grado di lavorare ma hanno rinunciato a cercare un impiego. Le statistiche occupazionali non includono neppure i dati sulla sottoccupazione, cioè quei lavoratori occupati che guadagnano meno
di quanto farebbero durante una fase espansiva a causa dell’orario di lavoro ridotto o di un salario più basso. Il tasso di di-
342 14. Macroeconomia: un quadro generale
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soccupazione, che è di norma un buon indicatore delle condizioni del mercato del lavoro, è aumentato e diminuito ripetutamente nel tempo. La produzione aggregata, il livello totale
di produzione del sistema economico, si muove in direzione
opposta al tasso di disoccupazione nell’arco del ciclo economico.
4. Le politiche di stabilizzazione, attraverso le quali il governo tenta di attenuare il ciclo economico, si avvalgono di due strumenti
principali: la politica monetaria, cioè le variazioni della quantità di moneta in circolazione, del tasso di interesse, o di entrambi; e la politica fiscale, cioè le variazioni dell’imposizione
fiscale, della spesa pubblica o di entrambe.
5. Gli economisti distinguono tra misure nominali, che non ven-
gono aggiustate per tenere conto della variazione dei prezzi, e
misure reali, che vengono invece aggiustate per l’inflazione. Le
variazioni del salario reale sono la migliore misura della variazione del potere d’acquisto dei consumatori. Il livello generale
dei prezzi è una misura del livello dei prezzi di tutti i beni e i
servizi finali prodotti nel sistema economico. Il tasso di inflazione, cioè la variazione percentuale annua del livello generale
dei prezzi, è positivo quando tale livello aumenta (inflazione) e
negativo quando diminuisce (deflazione). Poiché inflazione e
deflazione possono causare problemi, di norma è preferibile la
stabilità dei prezzi. Attualmente l’economia statunitense e quella europea sono molto prossime a una situazione di stabilità dei
prezzi.
Parole chiave
aggregati economici (p. 331)
ciclo economico (p. 334)
deflazione (p. 339)
depressione (p. 334)
disoccupazione (p. 334)
espansione (p. 334)
forza lavoro (p. 334)
inflazione (p. 339)
lavoratori scoraggiati (p. 334)
livello generale dei prezzi (p. 339)
misura nominale (p. 338)
misura reale (p. 338)
occupazione (p. 334)
politica fiscale (p. 337)
politica monetaria (p. 337)
politiche di stabilizzazione (p. 337)
produzione aggregata (p. 336)
recessione (p. 334)
sottoccupazione (p. 334)
stabilità dei prezzi (p. 340)
tasso di disoccupazione (p. 335)
tasso di inflazione (p. 340)
Esercizi
1. Quali delle seguenti domande sono rilevanti per lo studio della macroeconomia, e quali per quello della microeconomia?
(a) Che effetto subirebbero gli incassi che Cecilia realizza attraverso le mance se chiudesse i battenti la grande impresa
manifatturiera nei pressi del ristorante dove lavora?
(b) Cosa accade alla spesa dei consumatori quando l’economia
entra in recessione?
(c) Come cambia il prezzo delle arance se gli aranceti della Sicilia vengono danneggiati da una gelata?
(d) Come cambiano i salari dei lavoratori di una fabbrica se
questi si iscrivono tutti al sindacato?
(e) Qual è la relazione tra il tasso di disoccupazione e il tasso
di inflazione di un paese?
2. Se un individuo risparmia, la sua ricchezza aumenta, così può
permettersi di consumare di più in futuro. Se tutti gli individui
risparmiano, il loro reddito atteso diminuisce, così che anche i
consumi correnti diminuiscono. Spiegate questa apparente contraddizione.
3. Che cos’è stata la Grande Depressione? Quale impatto ha avuto sul ruolo dello Stato nell’economia e sulla «cassetta degli attrezzi» del macroeconomista?
4. La Macronesia ha una popolazione di 100000 abitanti. Tra que-
sti, 25 000 sono troppo anziani e 15 000 sono troppo giovani
per lavorare. Dei restanti 60000 abitanti, 10000 non lavorano
e hanno rinunciato a cercare un’occupazione, 45 000 sono occupati e i restanti 5000 sono disoccupati in cerca di un’occupazione.
(a) Di quanti individui è composta la forza lavoro della Macronesia?
(b) Qual è il tasso di disoccupazione in Macronesia?
(c) Quanti sono i lavoratori scoraggiati?
5. Le rette universitarie sono aumentate considerevolmente nel
corso degli ultimi decenni. Tra l’anno accademico 1971-1972
e quello 2001-2002 il costo complessivo delle rette universitarie, dell’alloggio e del cibo pagato da uno studente universitario impegnato in un corso a tempo pieno è aumentato in media da 1357 a 8022 dollari nelle università pubbliche e da 2917
a 21413 nelle università private. Ciò equivale a un tasso di crescita medio annuo rispettivamente del 6,1% e del 6,9%. Nel
medesimo intervallo di tempo il reddito individuale medio disponibile è aumentato da 3860 a 26156 dollari, che equivale a
un tasso di crescita medio annuo del 6,6%. Questo aumento
dei costi ha reso più o meno difficile per uno studente medio
accedere all’istruzione universitaria?