Natura(l) - TassoBarbasso

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Natura(l) - TassoBarbasso
Natura(l)
mente
a cura di Francesca Gnech e Francesco Rubino
PROVINCIA AUTONOMA
DI TRENTO
Natura(l) mente
a cura di Francesca Gnech e Francesco Rubino
PROVINCIA AUTONOMA
DI TRENTO
© Editore Provincia autonoma di Trento
Agenzia per la famiglia, la natalità e le politiche giovanili
Tutti i diritti riservati
Seconda edizione dicembre 2014
Fotografie dei soci dell’Associazione TassobarBasso
Stampa: Nuove Arti Grafiche, Trento
Natura(l)mente
a cura di Francesca Gnech - Francesco Rubino
Collana Le Vie dei Parchi n. 2
p. 152
ISBN 978-88-7702-383-4
Il nome greco della pianta del Tassobarbasso è φλόμος
(Phlómos), riconducibile alla radice preindoeuropea phlóx,
che significa fiamma. Non a caso la foglia spessa e stopposa di questa pianta è stata usata in passato come
stoppino per lucerne; ed anche i suoi steli secchi, alti anche due metri, immersi nel grasso venivano trasformati in
torce.
Il Tassobarbasso è una pianta in grado di crescere in una
grande varietà di habitat, ha una fioritura che si prolunga
per molto tempo e prospera anche nei terreni più aridi e
secchi; allo stesso modo l’associazione vorrebbe creare
qualcosa che possa diffondersi in molti luoghi e stagliarsi in cielo con fiori luminosi anche su terreni finora poco
fertili.
Indice
7
Presentazione
U. Rossi
9
Premessa
F. Gnech, F. Rubino
11
Ringraziamenti
Soci dell’associazione TassoBarbasso
terza parte
79
Turismo sostenibile:
alcuni aspetti con uno sguardo al Trentino
S. Cattani, R. Dorna, L. Martinello, E. Simonetti, J. Spinella
quarta parte
prima parte
15
La “Green Education”
I. Deambrogio, S. Dossi, S. Gandini, S. Viola
seconda parte
45
La cultura della convivenza:
i giovani e la valorizzazione della terra
F. Manfrini, F. Viola
5
111
Tappa trentina
I partecipanti
123
Tappa calabrese
I partecipanti
139
Gli autori
143
Suggerimenti bibliografici
Presentazione
Camminare.
Nove lettere, solo nove lettere per un verbo infinitamente attivo, propositivo, dirompente. Nove lettere che
rappresentano l’arché della scoperta e al contempo la
negazione della rassegnazione e dell’abulia. Quei passi, uno di seguito all’altro, ora più stanchi, ora invece
più sicuri e rapidi, altro non sono che una splendida
metafora della vita, intesa come inesauribile dialettica
tra salite e discese, tra vittorie e cadute, mete centrate
e obiettivi disillusi.
Le Vie dei Parchi è tutto questo. E’ la semplicità di incontrarsi e di condividere, di ascoltare e ripensare, è
la volontà di farlo lontano da inutili sovrastrutture, nella freschezza ed autenticità di un bosco, su una cima
conquistata con fatica, all’imbocco di un sentiero tortuoso.
Adottando una prospettiva multidisciplinare questo
progetto promuove il viaggio nel senso più profondo
del termine, poiché lo scopo che si prefigge non è la
mera rincorsa alla destinazione ed alle sue attrazio-
ni, alla location, al paesaggio da cartolina. Esso punta piuttosto alla scoperta, a quella motivazione che si
spinge ben oltre il semplice desiderio di vacanza e di
evasione. Ciò di cui necessitiamo oggi, in un’ottica di
reale sostenibilità ambientale, sociale ed economica, è
un cambio di prospettiva radicale, è un’inversione di
tendenza nel modo di osservare e, successivamente,
di relazionarci al contesto territoriale. Abbiamo bisogno
di coinvolgimento, di passione e di conoscenza, vera,
non artefatta, diretta e non mediata. Qualsiasi territorio
acquista infatti effettivo significato e valore soltanto se
compreso nella sua essenza, se apprezzato nella sua
natura, se inscritto quindi in una cornice di interesse
che il viaggiatore deve maturare responsabilmente. Ciò
che può salvare, valorizzare ed ancora promuovere la
montagna, così fragile e impervia, ciò che può davvero contribuire alla sua salvaguardia e proiettarla verso
il futuro è, per prima cosa, l’investimento nella cultura e nell’educazione al territorio. Non esiste principio
di precauzione senza consapevolezza e questo è un
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discorso che deve riguardare soprattutto voi, giovani
generazioni, eredi di un patrimonio di storie, di vissuti,
di esperienze e di valori materiali e immateriali inestimabile.
La montagna e la sua voce hanno bisogno di voi. Delle
vostre emozioni, dei vostri zaini in spalla, della vostra
curiosità. Ragazzi non abbiate mai paura di tenere gli
occhi aperti. Camminate, vivete perché, come scriveva
W. Burroughs, “la cosa più pericolosa da fare è rimanere immobili”.
Ugo Rossi
Presidente della Provincia autonoma di Trento
Premessa
Un antico scritto racconta la storia di un viaggiatore. Sulla
strada egli incontra tre persone che compiono la stessa attività e chiede loro che cosa stiano facendo. Uno
risponde “sto trasformando delle pietre”, l’altro risponde
che sta guadagnando denaro e il terzo risponde che sta
costruendo una chiesa. Anche se tutti loro svolgono lo
stesso lavoro, gli obiettivi e priorità di ciascuno sono diversi.
La stretta connessione tra le necessità, espresse da più
parti (Enti sovranazionali, istituzioni, mercato del lavoro
ecc…), di uno sviluppo sostenibile, di uno sviluppo economico e di un maggior orientamento della formazione
verso gli sbocchi lavorativi che il mondo del lavoro può
offrire esprimono in qualche modo la stessa analogia col
breve racconto. Ciascuno di questi elementi tende, nella
sua realizzazione, a attuare un benessere sociale e individuale ma nel momento in cui solo uno di questi elementi è prioritario rispetto agli altri si possono generare
degli equivoci. Questo secondo volume del progetto “Le
vie dei Parchi” è un segno tangibile di come si possano
conciliare armonicamente i tre aspetti. Natura(l)mente è
il frutto del lavoro di un nutrito gruppo di partecipanti al
progetto che, costituendo l’associazione TassoBarbasso,
si è messo in gioco e ha messo al servizio di chi è arrivato
dopo l’esperienza e l’entusiasmo maturato e condiviso in
ogni edizione. Ne è nata una specie di comunità di pratica “un gruppo di persone che condividono la passione
per qualcosa che sanno fare (o che stanno imparando
a fare) e che interagiscono regolarmente per imparare a
farlo meglio”.
Natura(l)mente è il risultato di appassionate riflessioni, studio approfondito e incontri autentici sul territorio, un misto
tra ricerca socio-economica, ricerca interiore e ricerca antropologica. Esso offre, a nostro avviso, nuovi contributi
al dibattito multidisciplinare su sostenibilità, economia ed
educazione. Non solo riflessioni e spunti ma testimonianze effettive, di chi questa strada l’ha intrapresa e ne è ben
contento.
Come appare lampante dalle citazioni e dal costellato di
informazioni presenti nel testo, sono molti i soggetti che
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9
nel corso di decenni diventano via via più consapevoli dell’urgenza di sviluppo sostenibile, e l’istruzione e la
formazione stanno assumendo un ruolo sempre più evidente. Anche in questo caso, così come per il primo volume realizzato nell’ambito del progetto, si tratta dunque
di un contributo fattivo al Decennio promosso dall’ONU e
dedicato all’Educazione allo Sviluppo Sostenibile (DESS,
2005-2014).
Il DESS è stato importante soprattutto per aver proposto
di “integrare i valori insiti nello sviluppo sostenibile in tutti
gli aspetti dell’apprendimento per incoraggiare cambiamenti nel comportamento che consentono una società
più sostenibile e giusta per tutti”. Diverse sono state le iniziative in materia di istruzione, non solo nell’ottica di fornire competenze di cittadinanza alla sostenibilità, ma anche
di fornire competenze per le “nuove” professioni di cui la
realizzazione della sostenibilità e l’approccio alla conser-
vazione necessitano. Professioni niente affatto scontate
nell’era del tecnologico e dell’informazione; professioni
che assieme alla preparazione implicano una scelta consapevole di vita.
In conclusione è utile ribadire che queste pagine, prima
ancora che parole scritte sono state avvenimenti, vissuti,
passi (a volte faticosi e per sentieri impervi) con sconosciuti, in-contri con “gente del posto” o “testimoni privilegiati”
diventati poi compagni di viaggio. Sono dunque l’effetto
di un viaggio, ancora in corso, contagioso che, a nostro
parere, dà “occhi nuovi” al viandante, quel viandante che
come in apertura se non avesse fatto ai tre uomini alcuna
domanda non avrebbe avuto occasione di generare nuovi
pensieri e nuovi punti di vista. Prima di augurare una buona lettura allora auguriamo un buon viaggio!
Francesca Gnech
Francesco Rubino
Ringraziamenti
Si ringrazia per la disponibilità:
AgriLife di Val Lomasona, Maurizio Cattafesta Athabaska
di Deggia, Massimo Vettori di Manzano (Val di Gresta),
Lorenzo Brugnara proprietario dell’Agritur Alle Gorghe di
Vigo Meano, Giulio de Vescovi proprietario della cantina
de Vescovi Ulzbach di Mezzocorona, Eleonora de Vescovi dell’agri-nido “Il cavallo a dondolo” di Mezzocorona,
Sonja Abrate e Sara Giona di Ökoinstitut Alto Adige Bolzano, Roberto Pallanch Azienda Multiservizi di Rovereto,
Monica Tamanini Azienda Provinciale per la Protezione
dell’Ambiente di Trento, Michele Tosi Progetto Manifattura
srl: green innovation factory di Rovereto, Isa Bombana e
Vasco Andreolli dell’Agriturismo “Le Robie” di Brentonico,
Elisabetta Monti dell’Azienda Agricola Biologica di Montagna “La Fonte” di Mezzomonte di Folgaria.
Soci dell’associazione TassoBarbasso
Francesco Rubino ricercatore IPRASE, Francesca Gnech
referente Progetti specifici nazionali ed europei e del Piano
d’ambito Associazioni Universitarie Provincia autonoma di
Trento, Maria Cristina Garreffa per la collaborazione dalla
Calabria in rappresentanza dell’associazione TassoBarbasso sezione calabrese, Stefania Agostini partecipante
trentina alla tappa calabrese per la stesura del diario e la
selezione delle foto, Andrea Carpentari partecipante trentino alla tappa calabrese per il suo contributo al capitolo
sul turismo sostenibile.
Gabriele Floriani pastore transumante, Margherita Menestrina dell’associazione “Basto io e l’Asino” di Margone, Daniele Tabarelli di Noarna (Nogaredo), Aghitu Idea
Gudeta di Valle San Felice (Val di Gresta), Moira Donati
Ringraziamenti
11
prima parte
La “Green Education”
Irene Deambrogio, Silvio Dossi, Susanna Gandini, Stefania Viola
Era il 1962. Erano gli anni del boom economico, della
piena industrializzazione, della fiducia incondizionata nel
taylorismo e nella mano invisibile di Adam Smith1.
Il lancio dello Sputnik, avvenuto in piena Guerra Fredda
solo qualche anno prima, aveva inaugurato la corsa alla
conquista dello spazio, mentre sulla Terra, la grande industria, con la capacità di produrre beni su larga scala,
sembrava assicurare stabilità, occupazione e ricchezza.
Non male per generazioni cresciute avendo ancora negli
occhi privazioni indicibili, attribuibili ai virulenti conflitti della
prima metà del secolo.
In uno scenario di questo tipo i “tempi moderni”, paventati da Chaplin, apparivano degenerazioni poco plausibili,
irrazionali. Ma è il 1962 e qualcosa succede.
E’ una stecca nel coro, che pur flebile e impercettibile,
sarà in grado di squarciare il velo di Maya2 e innescare un
effetto valanga del tutto inatteso.
Nel settembre di quei primi anni 60’ esce, edito da Houghton Mifflin, un libro che oggi non ha alcun bisogno di
presentazione. Si intitola Silent spring ed è scritto da Rachel Carson, biologa statunitense nata a Springsdale, in
Pennsylvania, nel 1907. L’autrice, che nel corso di circa
trecento documentatissime pagine denuncerà l’uso dei fitofarmaci e del DDT in agricoltura, non poteva sapere che
quel testo avrebbe rappresentato non solo “la pietra milia-
L’espressione utilizzata da Adam Smith (1723- 1790), filosofo ed economista scozzese, all’interno di uno dei suoi testi principali, La ricchezza delle nazioni (1776). La mano invisibile, sarebbe, metaforicamente, la
mano che guida i possessori di un certo capitale a compiere investimenti.
Nonostante questi siano pensati per raggiungere fini essenzialmente utilitaristici, il loro effetto è quello di determinare anche su una ricaduta, positiva secondo Smith, all’interno del contesto sociale. Per maggiori informazioni si rimanda al testo A. Smith, La ricchezza delle nazioni, Newton
Compton, Roma, 2005.
1
L’espressione, riconducibile al filosofo tedesco Artur Schopenhauer,
indica il velo ingannatore che mostra all’uomo un mondo che esiste e
non esiste al tempo stesso. Squarciare il velo di Maya significa, porre fine
all’illusione e rapportarsi alla realtà per quella che essa è. Per maggiori
informazioni si rimanda al libro A. Schopenhauer, Il mondo come volontà
e rappresentazione, Rea ed., l’Aquila, 2013.
2
Natura(l)mente
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re dell’ambientalismo”3, bensì il punto zero cui seguiranno
innumerevoli riflessioni scientifiche, filosofiche, sociali sul
complesso binomio natura-cultura e sulla necessità di riconsiderare il rapporto uomo-ambiente-scienza.
Il seme dell’educazione ambientale, della green education, dell’educazione alla sostenibilità, come viene declinata oggi a seconda del paradigma di riferimento (Kuhn,
1962), nasce proprio da qui, da queste pagine e da quelle
numerose, che a questo testo seguiranno4. Il loro merito è
indubbiamente quello di dare inizio, un decennio più tardi,
ad un dibattito che non rimane confinato al mero mondo
accademico, ma che invece solleciterà forti reazioni tra
le istituzioni, la politica e la società civile nel suo complesso. D’altronde i danni ambientali provocati dalla cieca
fede positivista, retta eminentemente sul mito dell’ordem
e progresso (Comte in Aron, 1978), sono sotto gli occhi di
tutti. Non si riescono a nascondere. Non più.
E’ quasi un paradosso. Un ossimoro. Ma è così che invece è andata.
Tra la metà degli anni 60’ e l’inizio degli anni ‘70 l’ uomo,
che aveva sfidato la forza di gravità volando sulla luna, si
accorge che c’è ancora molto da fare. Proprio lì, nel suo
pianeta, a pochi passi dal suo cortile.
Verso una nuova etica universale
Il percorso verso una maggiore coscienza ambientale
sarà lento, graduale e certamente non in discesa. Negli
anni ‘60 era comune ritenere che solo uno specifico segmento della popolazione, costituito per lo più da addetti ai
lavori e tecnocrati, disponesse delle competenze necessarie per occuparsi di salvaguardia e tutela della Natura.
Sinteticamente si potrebbe affermare che la questione
ambientale fosse percepita come una questione scientifica. Punto (Stevenson et al., 2013).
Solo in un secondo momento, a partire dagli anni ‘70, in
seguito alla prima crisi energetica e agli incidenti di Torrey
Canyon e di Three Mile Island, in Pennsylvania5, si farà
- Crisi energetica: La prima crisi energetica, nel 1973, sarà causata
dall’embargo petrolifero voluto dai produttori arabi come rappresaglia per
la guerra dei Kippur. L’embargo causerà una serie di importanti ricadute
politiche, economiche e culturali. Per maggiori info si rinvia a Pellizzoni L.,
Osti G., Sociologia dell’ambiente, Il Mulino, 2003.
- Incidente di Torrey Canyon: nel marzo del 1967 la petroliera Torrey
Canyon, battente bandiera liberiana, si arenò lungo le coste della Cornovaglia rilasciando in mare dalle 20 alle 40 mila tonnellate di petrolio
grezzo. Quello della Torrey Canyon sarà ricordato come uno dei primi
riconosciuti disastri ambientali. Per approfondimenti si rimanda all’archi-
5
Questo è il giudizio di Feltrinelli, casa editrice che per prima ha pubblicato il testo in Italia, nel 1963 http://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/
primavera-silenziosa-2/
4
Solo per citare alcuni testi analoghi Ehrlich P., (1968), The population
Bomb, E.F. Schumacher, (1973), Small is beautiful. Garret H., (1962), The
tragedy of the commons, Science, vol.162, n. 3859, pp. 1243-1248,
B Commoner (1971), The closing circle: nature, man and technology,
Knopf, New York.
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La “Green Education”
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strada l’ipotesi che rimanere confinati nella torre d’avorio della scienza non avrebbe giovato. Era necessario un
cambio radicale di prospettiva. Era determinante intervenire promuovendo un dibattito ampio, trasversale, in grado di coinvolgere una pluralità di policy makers6 (Dunlap
e Merting, 1992) .
Contrariamente alle aspettative, l’appello ad una sostanziale inversione di tendenza parte dagli ambienti accademici, in particolare dai laboratori scientifici dei centri
universitari e ricorda, nei suoi toni, il celebre monito Quis
custodiet ipsos custodies?7 del poeta latino Giovenale.
Nel 1970 infatti, il biologo Stephen Boyden richiamerà
per primo all’importanza di un approccio multidisciplinare, perché “l’idea che tutti i nostri problemi saranno risolti mediante la ricerca scientifica non è soltanto folle, ma
pericolosa. […] I problemi ambientali non possono non
essere considerati da tutte quelle professionalità che si
occupano di fenomeni culturali” (Boyden, 1970: 18).
Ecco centrato il punto della situazione: la questione ambientale è certamente una questione scientifica, ma era
ed è molto di più. L’attacco all’ambiente è sferzato dall’esterno, da quelle sovrastrutture che su di esso prima si
sono appoggiate e poi hanno messo radici profonde.
Il sociologo J.B. Foster sarà lapidario in questo senso “la
crisi della terra non è una crisi della Natura, ma una crisi
della società” (Foster, 1994: 12).
Le cause del suo lento agonizzare, infatti, risiedono nelle
pagine polverose della storia, nei rapporti di produzione,
nelle scelte tecnologiche adottate, negli andamenti demografici (Foster, 1994).
L’approccio monovariato appare pertanto obsoleto, miope, controproducente.
Dieci anni dopo la pubblicazione di Silent Spring, un report intitolato I limiti dello sviluppo (1972), commissionato dal Club di Roma8 e realizzato da un gruppo di sedici
vio del quotidiano La Stampa, che ripercorre nel dettaglio le tappe della
vicenda http://www.archiviolastampa.it/
- Incidente di Three Mile Island: l’incidente in questa centrale nucleare, situata presso Harrisburg in Pennsylvania (Usa), si verificò alle
quattro del mattino del 28 marzo 1979 quando, per pochi minuti,
si evitò il rischio di una pericolosa fusione nucleare. Anche in questo caso si consiglia di consultare l’archivio storico de La Stampa
http://www.archiviolastampa.it/
6
Per policy makers si intende il complesso degli attori istituzionali e non
coinvolti nel processo decisionale.
7
Trad. it. “chi custodirà i custodi?”. L’espressione è utilizzata da Giovenale nel libro V delle Satire.
Il Club di Roma è un’organizzazione non governativa internazionale
costituitasi formalmente nel gennaio del 1970, la cui sede centrale si
trova attualmente a Winterthur, in Svizzera. L’organizzazione ebbe tra i
suoi principali fondatori Alexander King (1909-2007), chimico inglese,
direttore generale del comitato Oecd per la Scienza e la Tecnologia e
Aurelio Peccei (1908-1984) industriale italiano, responsabile della Fiat
per il mercato dell’America Latina e dal 1964 al 1966 manager presso
Olivetti. Il Club prese il nome dalla località in cui, il 6 e 7 aprile 1967 si
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Natura(l)mente
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ricercatori del Massachusset Institute of Technology, rimarcherà con vigore la strategia dell’impegno condiviso,
unica via efficace per pungolare le istituzioni ad intervenire
e per mettere in guardia da un uso distruttivo delle risorse
naturali non rinnovabili.
“… Coll’avvento dell’era tecnologica, qualcosa di fondamentale deve essere modificato nelle nostre istituzioni e
nei nostri comportamenti […]. Senza una forte ventata
di opinione pubblica mondiale, alimentata a sua volta dai
segmenti più creativi della società, la classe politica continuerà in ogni Paese a restare in ritardo sui termini, prigioniera del corto termine e d’interessi settoriali e locali […]”
(Meadows D. H., Meadows D.L., et al, 1972: 12-14)9.
Il messaggio è chiaro e non prevede scorciatoie, soprattutto in un Paese come quello italiano, in cui il Ministero per l’Ambiente farà la sua comparsa poco meno di
trent’anni fa. Dopo Severo e il Vajont, dopo il terremoto
nel Friuli e in Irpinia. Dopo Stava. Fatalità, proprio nell’anno del disastro di Chernobyl, il 198610.
L’assunto è quasi lapalissiano. In fondo un’automobile,
certo, può essere riparata, ma continuerà a guastarsi se
non si insegna al suo conducente l’uso dell’acceleratore,
del freno, della frizione. Lo stesso avviene verosimilmente
per la Natura: per evitare la rovina ambientale il ricorso
esclusivo alla scienza sarebbe un palliativo (Garret, 1962).
E’ necessario, invece, agire dall’interno, insistere sull’acquisizione di consapevolezza, sulla forza della conoscenza, sulla trasmissione di valori, norme e pratiche meno
impattanti. In una parola: sull’educazione (Posch, 2003).
Soltanto attivando un percorso che riconosca il ruolo
educativo come la chiave di volta dell’intero processo
decisionale, è possibile giungere ad “nuova etica universale” (Unesco-Unep, 1976), essere artefici di quella che
Alexander Langer (1946-1995) definiva “conversione ecologica”11 e rendere così plausibile un cambiamento di rotta. Prima che sia troppo tardi.
incontrarono presso l’Accademia dei Lincei con la sottoscrizione della
Fondazione Agnelli, circa quaranta esponenti internazionali del mondo
scientifico, intellettuale e imprenditoriale. La proposta di commissionare
al Mit l’indagine Limits to Growt, in Italia nota come I limiti dello sviluppo,
fu avanzata dal professor Jay Forrester, in occasione del primo meeting
ufficiale, tenutosi a Berna nel 1970. Il rapporto fu finanziato dalla fondazione Volkswagen, allora presieduta da Eduard Pestel (dal 1977 al 1981
Ministro delle arti e della scienza nel land della Bassa Sassonia), con
la somma di circa 250.000 dollari. Per maggiori informazioni si invita a
consultare il testo di Lafratta P, (2004), Strumenti innovativi per lo sviluppo
sostenibile, Franco Angeli, Milano.
9
Rapporto reperibile in http://cucugliato.files.wordpress.com/2011/03/
i-limiti-dellosviluppo_1972_introduzione-di-aurelio-peccei1.pdf
Il Ministero dell’Ambiente sarà istituito il 1 agosto 1986, mediante scorporazione dal Ministero dei Beni Culturali. Per maggiori informazioni si
rimanda al sito http://www.minambiente.it/
11
L’espressione “conversione ecologica”, contenuta nel testo, Più lenti,
più dolci, più profondi- langsamer, tiefer, sanfter edito nel 1998, fa richiamo all’importanza di ripensare i rapporti uomo-ambiente, per introdurre
un cambiamento radicale all’interno della sfera sociale.
10
La “Green Education”
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Uomo e natura, incontro o scontro?
ambientali attraverso il senso di responsabilità degli individui e delle comunità, ci si focalizza sulla protezione
dell’ambiente al fine di garantire progresso e sviluppo alle
generazioni future.
Il deterioramento ambientale si mostra agli occhi della
gente come una questione sociale rilevante; si inizia ad
aprire un nuovo orizzonte, rendendosi conto di come l’umanità sia parte integrante dell’ambiente stesso, essendo
essa in grado di modificarlo in modo sempre più intenso.
Se prima l’attenzione si è focalizzata esclusivamente
sulle cause dei cambiamenti ambientali, in un secondo
momento l’interesse diviene sociale ed è quindi rivolto ai
soggetti, a come essi percepiscono la questione ambientale ed a come la preoccupazione verso questo tema si
diffonde tra i vari strati sociali13.
Inoltre, come si è già detto, le forme in cui l’ambientalismo
si manifesta sono molteplici e differenziate; la più importante distinzione al suo interno può porsi tra un orientamento antropocentrico ed uno biocentrico.
Il primo vede il problema dell’ambientalismo come riflesso
negativo per l’uomo e si concentra sull’utilità che l’ambiente ha per l’essere umano, sotto un profilo quantita-
La green education è un tema che ha avuto un percorso lungo e non sempre lineare, una questione multi- ed
inter-disciplinare, rivolta a tutta la comunità, impartita a
qualsiasi età e capace di connettere tra loro conoscenza
ed azione, rafforzando il legame tra agire e sapere, tra
l’enunciazione e il comportamento attivo.
L’educazione ambientale è globale, si protrae per tutta la durata dell’esistenza e scandisce le tappe di tutta la vita dell’individuo, attraverso la formazione e la sensibilizzazione. Essa
coinvolge conoscenze, valori, comportamenti, esperienze
dirette della società e degli individui che la compongono.
Se inizialmente, durante gli anni ‘60, la preoccupazione
per l’ambiente corrispondeva alla conservazione di specifiche parti e porzioni di territorio, successivamente si
è sviluppata una percezione più globale dei problemi ed
una consapevolezza ambientale più ampia.
Esistono diverse definizioni di educazione ambientale, durante gli anni ‘60 e ‘70 si inizia ad intravedere un nuovo
modo di considerare l’ambiente.
Alla prima conferenza mondiale sui temi dell’ambiente12,
viene richiamata l’attenzione sull’educazione ai problemi
Stoccolma, 1972: prima Conferenza Internazionale sull’Ambiente
umano, che alla presenza di 113 Paesi, ha trattato temi relativi allo Sviluppo Sostenibile ed è stata identificata come punto di partenza della
discussione internazionale sulla politica ambientale globale.
12
La differenziazione sociale influisce su quella che è l’attenzione verso i
problemi dell’ambiente, attenzione che cambia e varia secondo la posizione occupata dagli individui nella società.
13
Natura(l)mente
19
tivo, non dando valore all’ambiente di per sé. Gli antropocentristi condividono quella che viene definita come
shallow ecology (Naess, 1973), ossia un’ecologia di facciata, superficiale. Il limite di quest’ultima è il non riuscire
a correggere le inclinazioni peggiori dell’indole umana, l’azione ambientalista ispirata dalla shallow ecology infatti è
destinata a scontrarsi con i limiti posti dalla natura stessa.
Secondo la visione biocentrica (centralità della vita) l’uomo non ha alcuna giustificazione alla posizione di privilegiato di cui si è appropriato, né alcun diritto particolare rispetto alle altre specie o nei confronti della natura stessa.
Ciò che deve essere in primis salvaguardato non sono le
esigenze umane, ma i principi e le regole della natura cui
l’uomo deve assoggettarsi. I sostenitori di questo orientamento lo qualificano come deep ecology (Naess, 1973)
ecologia profonda, che si contrappone alla shallow ecology precedentemente citata.
La deep ecology ridà all’uomo la giusta collocazione all’interno della natura, permettendogli di recuperare il significato della propria esistenza, in armonia con i processi
vitali.
La questione ambientalista si può definire come molto
più che una nozione scientifica, anzi si viene delineando
come costrutto sociale.
A tal proposito Beck (1986) si sofferma sul concetto di
trasformazione della società, parlando di “società del ri-
schio”14 secondo cui nella società moderna i rischi tendono a sfuggire alle capacità di controllo e protezione.
La crisi e i problemi ambientali non riguardano esclusivamente il mondo esterno, ma la società stessa, che costretta a prendere coscienza della propria crisi sviluppa
maggiore consapevolezza.
L’esposizione dell’uomo a condizioni ambientali negative
porta ad una migliore consapevolezza e parallelamente
si diffonde una maggiore sensibilità, in questo modo avvengono dei cambiamenti valoriali. Si diffondono quelli
che vengono definiti: valori post-materiali, impostati sulla
“qualità” più che sulla “quantità”, ci si focalizza maggiormente su aspetti inerenti all’affermazione di sé, ad una
vita interessante e variegata più che sulla ricchezza materiale e il benessere economico.
Come sostiene anche Margarita Pavlova tutti i valori sono
considerati di pari importanza, tuttavia sarebbe necessario dare una priorità ai valori morali, che forniscono una
La tesi principale di Beck è la contrapposizione dell’attuale “società
del rischio” alla precedente “società classista”. Il trapasso all’attuale società è stato favorito dal processo di modernizzazione, il nuovo problema
è dunque la distribuzione del rischio, inteso da Beck come “un modo
sistematico di trattare le insicurezze e le casualità indotte e introdotte
dalla modernità stessa”. Questa viene difatti definita come una fase della
modernità in cui predominano gli aspetti negativi, le minacce e i danni.
Ciò porta a porsi il problema di ridefinire gli standard di responsabilità, di
sicurezza e limitazione del danno.
14
La “Green Education”
20
base fondamentale per lo sviluppo di comportamenti responsabili e per la cura degli altri (Pavlova, 2009).
La centralità dell’uomo, menzionata nel primo dei 27 principi della Dichiarazione di Rio de Janeiro15, è indispensabile per lo sviluppo sostenibile ambientale, ogni individuo
infatti ha un ruolo importante e insostituibile per l’educazione ambientale e per il mantenimento, la salvaguardia e
il miglioramento della qualità dell’ambiente. L’educazione
ambientale contribuisce a ricostruire quel senso di identità
e le radici di appartenenza dei singoli individui, che hanno
diritto ad una vita in armonia con la natura.
La green education permette di diffondere la cultura della
partecipazione e della cura per migliorare la qualità del
proprio ambiente, ed essa non si esprime solo attraverso “l’agire educativo” ma sempre più corrisponde ad un
“educare agendo”.
I cambiamenti sociali avvenuti nel tempo hanno portato ad
una maggiore consapevolezza verso le tematiche ambientali
(tematiche “green”), ma ancora molto si può fare. Una maggiore sensibilità e attenzione verso tematiche di questo tipo
vanno a beneficio anche del singolo individuo, che rischia
di essere vittima di un sistema che lui stesso ha innescato.
Come sottolinea Schell J. in Il destino della terra: “La natura, un tempo signora severa e temuta, ora si è sottomessa; anzi, ha bisogno di essere protetta dallo strapotere dell’uomo. Ma poiché l’uomo (...) rimane pur sempre
inserito nella natura, l’equilibrio si è spostato non solo a
sfavore della natura, ma anche suo; e la minaccia dell’uomo che grava sulla terra riguarda l’uomo stesso” (Schell,
1892: 154).
Perché la green education
Ma cosa significa oggi, sul territorio, fare educazione
ambientale? Cosa comporta intervenire concretamente?
Quali sono, se di questo si può parlare, i target di riferimento e quali i bisogni emergenti?
Alla luce della rassegna teorica e storica poco prima riportata, con questo approfondimento tematico ci siamo interrogati sulle modalità di azione sviluppatesi sul territorio
trentino riguardo la green education.
Per farlo abbiamo creduto che fosse importante ascoltare gli attori istituzionali e non istituzionali, che operano
sul campo e si occupano direttamente di questo tema
così ampio e in divenire. Ci siamo confrontati con queste
figure, senza intermediari, ossia cercando un contatto
diretto, in modo da avere una visione più completa e
meno stereotipata dell’argomento. Siamo partiti da un
confronto con un ente istituzionale (Appa) in particolare
Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo riunita a Rio
de Janeiro dal 3 al 14 giugno 1992 - http://www.terna.it/LinkClick.aspx?fileticket=MxVSVGzVe2o%3D&tabid=5221
15
Natura(l)mente
21
Educare: modalità e destinatari
la Rete Trentina di educazione ambientale, e successivamente ci siamo relazionati con l’Ökoinstitut di Bolzano
e con i gestori di alcune fattorie didattiche per comprendere come fare green education fuori dalle agenzie educative tradizionali.
Il nostro percorso di ricerca è proseguito con l’esperienza
di Rovereto Green, realtà sviluppatasi sul territorio trentino, che cerca di coinvolgere le realtà associative legate
al tema della sostenibilità. Infine abbiamo deciso di raccogliere informazioni che ci permettessero di collegare
l’educazione all’aspetto economico e lavorativo, confrontandoci con Progetto Manifattura srl, esempio di come la
green economy e la green education non facciano parte
di due mondi distinti, bensì l’una non possa prescindere
dall’altra.
Con questo nostro contributo vorremmo comprendere se
sul territorio trentino vi sia un dialogo tra le istituzioni, l’opinione pubblica e le imprese. Esiste una rete concreta tra
i diversi attori oppure manca ancora una partecipazione
di insieme ed una visione condivisa? È effettivamente radicata sul territorio la consapevolezza che vi sia bisogno
di fare rete per diffondere una cultura ambientale sentita e
desiderata oppure ciò che manca è comprendere che vi
sia bisogno di una “rifondazione culturale e sociale” (Langer, 1998)?
Nel 2014 l’Environmental Education (EE), espressione
coniata nel 1969 da William Stapp (1930- 2001), docente della School of Natural Resouces and Environment
dell’Università del Michigan, ha compiuto poco più di
quarant’anni e si concluderà così il decennio dell’Educazione per lo Sviluppo Sostenibile (DESD).
Giunti a questo punto, anche e soprattutto in virtù del
fatto che ad oggi non è prevista una specifica disciplina
in cui a livello curricolare si affronti la suddetta tematica,
diventa del tutto legittimo chiedersi quale sia il ruolo della
principale agenzia di socializzazione secondaria nel promuovere e favorire una maggiore coscienza ambientale. È
a nostro avviso, infatti, piuttosto importante comprendere
se, e se sì come, vengano preparate le giovani generazioni ad un argomento tanto ampio e sfaccettato, che si lega
prepotentemente al principio di responsabilità -Das Prinzip der Verantwortung- di cui parlava il filosofo tedesco
Hans Jonas (Jonas, 1979).
Non c’è dubbio, come si sottolinea a Tbilisi “i governi ed i
responsabili politici possono ordinare cambiamenti e nuove concezioni della crescita […] ma si tratta solo di soluzioni a breve termine, se la gioventù mondiale non riceverà
un’educazione di nuovo tipo” (Unesco). Il coinvolgimento
dei bambini e dei ragazzi/e in un percorso verso una mag-
La “Green Education”
22
giore sensibilità ambientale è pertanto imprescindibile e
doveroso, a maggior ragione in un territorio come quello
trentino, in cui circa il 70% della superficie è costituito da
boschi, prati e rilievi attraversati da corsi d’acqua e in cui
ben 1.032 km² (pari al 17% del totale) sono sottoposti a
tutela ambientale16.
Le giovani generazioni rappresentano il seme su cui puntare per innescare La Grande Trasformazione17, naturalmente se questo è l’obiettivo, perché, come rileva la
dott.ssa Sonja Abrate dell’Ökoinstitut di Bolzano, sono
spesso proprio i più piccoli a farsi portatori di semplici e
buone pratiche. Trasmettendo in famiglia quanto appreso
nei laboratori green organizzati a scuola, assumono infatti, inconsapevolmente, il ruolo preziosissimo di vettori del
cambiamento.
A livello provinciale l’ente che si occupa di intervenire nelle
realtà scolastiche, promuovendo percorsi di sensibilizzazione all’ambiente, è la Rete Trentina di Educazione Ambientale per lo Sviluppo Sostenibile, che proprio qui, nelle
aule scolastiche, investe e concentra per il momento, le
maggiori energie e risorse a disposizione. A supporto di
tale affermazione basti pensare che, nel corso del 2012,
sessanta enti accreditati hanno presentato più di 600 proposte formative agli istituti scolastici distribuiti sul territorio
trentino18, attivando, tra gli altri, laboratori di educazione
alimentare, consumo critico, mobilità sostenibile e riuso.
I dati sulla conformazione del territorio della Provincia autonoma di
Trento sono reperibili nel sito http://www.autonomia.provincia.tn.it/numeri_autonomia/pagina1.html
17
L’espressione, inserita in questo ambito, ha una doppia valenza. Da un
lato vuole richiamare all’omonimo testo di Karl Polanyi (1886-1964), autore polacco convinto che l’industrializzazione e il ruolo crescente dell’alta
finanza nel comparto economico abbiano innescato un grave processo
di disembedding, di scorporamento dell’economia dalle attività sociali
e umane. L’espressione è stata, inoltre, recentemente ripresa in chiave
ecologica, all’interno dell’edizione 2013 de I Colloqui di Dobbiaco- Tollbacher Gespräche, ecofestival ideato da Hans Glauber nel 1985. La manifestazione ha luogo, solitamente nel periodo estivo a Tollbach- Dobbiaco.
Per maggiori informazioni si rimanda al sito http://www.toblacher-gespraeche.it/it/colloqui-di-dobbiaco.html
16
Fonte: Rete Trentina di Educazione Ambientale
Le proposte sono raccolte all’interno della GUIDA alle attività della
Rete Trentina di Educazione Ambientale per lo Sviluppo Sostenibile per le
scuole del Trentino – 2011/2012- [Trento]: Provincia autonoma di Trento,
2010.
18
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23
Molte delle attività proposte, e tra queste quelle coordinate dalla Rete Trentina di Educazione Ambientale, si
svolgono direttamente sul campo19, cercando in questo
modo di valorizzare la conoscenza del patrimonio floristico e faunistico locale.
Come sottolinea la dott.ssa Monica Tamanini, coordinatrice della Rete, la stretta sinergia con la scuola è evidente
se si considera che ben il 60% sul totale degli interventi realizzati dalla Rete Trentina di Educazione Ambientale per lo Sviluppo Sostenibile20, è inserito all’interno del
calendario scolastico e coinvolge una fascia di età compresa tra i tre e i sedici anni, con punte molto alte nella
formazione primaria e secondaria di primo grado. Si rileva
invece, come all’avanzare dell’età e del grado di istruzio-
ne si verifichi un abbassamento delle richieste. Numericamente più contenuti sono, infatti, i laboratori attivati nei
licei, mentre una buona percentuale continua ad essere
realizzata all’interno delle scuole professionali.
Nonostante gli interventi siano in aumento e i dati presentino un contesto socio culturale ben orientato ad approfondire la tematica ambientale, la sensazione è che si
fatichi ancora a superare una logica prettamente emergenziale, in parte utilitaristica e frammentata. La complessità del binomio uomo-ambiente non sembra emergere
pienamente, in quanto si stenta a ricorrere ad un approccio sistemico, olistico “in grado di inserire il fisico, il fisiologico e lo psichico, e quindi anche l’ecologico, il biologico
e il culturale, all’interno di un’unica relazione, denominata
“rete della vita” (Capra, 2009: 68).
Come rileva Franz Capra, fare educazione ambientale non
significa lavorare a compartimenti stagni e circoscrivere il
tema alla questione dei rifiuti piuttosto che dell’inquinamento atmosferico. Fare educazione ambientale, anche
a scuola, richiede uno sforzo maggiore: significa prima di
tutto avvalersi di un nuovo approccio filosofico in cui “ogni
uomo comprenda che è impossibile separare un qualsiasi
fenomeno da tutti gli altri” (Capra, 2009: 66). Proprio per
questo, nonostante la scuola sia una delle agenzie educative e ideologiche indiscutibilmente più significative (Althusser in Finelli R., 1997), essa non può che essere con-
Nel caso dell’Appa e, in particolare, della Rete Trentina di Educazione
Ambientale per lo Sviluppo Sostenibile, molte delle iniziative sono realizzate presso i nove Centri di Esperienza e gli undici Laboratori Territoriali
disseminati su tutto il territorio provinciale.
Per maggiori informazioni si rimanda al sito http://www.appa.provincia.
tn.it/educazioneambientale/
20
La Rete Trentina di Educazione Ambientale per lo Sviluppo sostenibile di Appa è costituita da circa quaranta educatori ambientali affiancati dall’Appa per quanto concerne la formazione, il coordinamento.
La rete si è strutturata in seguito alla Legge Provinciale 3/99, mediante
la quale la Provincia autonoma di Trento ha affidato il coordinamento e
l’organizzazione di progetti di promozione, formazione, informazione ed
educazione ambientale (In.F.E.A) all’Agenzia Provinciale per la protezione
dell’Ambiente. Per maggiori informazioni si rimanda al sito http://www.
appa.provincia.tn.it/educazioneambientale/
19
La “Green Education”
24
siderata come un elemento dell’intero ingranaggio. Una
parte imprescindibile, certo, ma pur sempre una parte.
In una società postmoderna (Inglehart, 1983), complessa,
stratificata, caratterizzata da interconnessioni e cambiamenti rapidissimi, essa infatti non può assolvere da sola
ad un compito che deve invece coinvolgere attivamente
tutte le sfere dell’agire comunitario. Se così fosse, il passo
sarebbe troppo corto e l’effetto quello un po’ grottesco di
un moderno don Chisciotte in lotta contro i mulini a vento.
ckinson, 2013) hanno innescato un’accesa discussione
attorno all’argomento, portando a riconoscere il fenomeno descritto da Louv, non come una condizione medica,
ma più appropriatamente come la descrizione del costo
umano dovuto all’alienazione dalla natura.
Uno stile di vita sempre più sedentario, dove la televisione
ed i videogames hanno sostituito gli amici ed i giochi all’aria aperta, è la principale causa di obesità per circa 9 milioni di bambini e ragazzi americani tra i 6 e i 19 anni (Ogden, 2010). Ovviamente queste cifre rispecchiano solo in
parte gli enormi problemi di salute e psicoattitudinali legati
a questo fenomeno e molti genitori, in particolare negli
Stati Uniti, hanno iniziato a prendere sul serio i segnali
allarmanti lanciati da Louv.
D’altro canto non serve di certo il parere autorevole di
qualche esperto per capire che la nostra società ha ormai quasi reciso il legame inscindibile con la terra ed i
suoi prodotti, portando all’estremo il concetto (White L.
Jr., 1967). Ecco allora che ricollegarsi al nostro ambiente
naturale, ritrovando valori spirituali perduti, riscoprendo
da dove vengono i cibi che mangiamo, può essere un’esperienza preziosa. Secondo Carlo Hausmann, che per
diversi anni è stato segretario generale di Anagritur22, “la
Le fattorie didattiche,
praticamente educare all’ambiente
Nel libro Last Child in the Woods, Richard Louv ipotizza
l’esistenza di un particolare disturbo comportamentale
denominato Nature deficit disorder. Tale condizione, secondo l’autore del libro, sarebbe causata dalla mancanza
di contatto con il mondo naturale da parte dei bambini e
porterebbe a problemi di obesità, ADHD21, ansia e depressione. Nonostante il testo in questione sia entrato
nella lista dei best sellers 2008 secondo il New York Times, la disfunzione ipotizzata non è riconosciuta in alcun
manuale medico per disturbi mentali. Successivi studi (Di Attention Deficit Hyperactivity Disorder è un disturbo comportamentale caratterizzato da inattenzione, impulsività e iperattività motoria che
rende difficoltoso e in alcuni casi impedisce il normale sviluppo e integrazione sociale dei bambini
21
Anagritur - Associazioni Nazionali agrituristiche - http://www.anagritur.
com/ Consorzio costituito dalle tre Associazioni nazionali agrituristiche,
22
Natura(l)mente
25
fattoria didattica si fonda sul bisogno di agricoltura della
nostra società, offre una risposta pratica, gradevole e culturalmente alta all’esigenza di ritrovare le nostre radici”.
In particolare, una fattoria didattica è un’azienda agricola
o agrituristica in cui vengono organizzate attività educative che coinvolgono attivamente bambini e ragazzi. In
questa realtà, i giovani partecipanti toccano con mano i
prodotti tipici dell’azienda e fanno un’esperienza di vita
agricola in prima persona.
A dare idee ed ispirazione al fenomeno delle fattorie didattiche fu il movimento giovanile Club 4-H (Head, Health,
Hearth, Hand)23 nato nei primi del ‘900 negli Stati Uniti.
Questo movimento, tuttora esistente, promuove l’insegnamento attraverso l’esperienza diretta ed è riassunto
nello slogan “learn by doing”24. Il messaggio lanciato dal
Club 4H venne raccolto da numerose aziende agricole
norvegesi, svedesi e danesi che crearono le prime fattorie didattiche. Nel corso degli anni e principalmente a
partire dal secondo dopoguerra, diversi altri Paesi europei
provarono esperienze di questo tipo. In Italia la nascita
della prima rete di fattorie avvenne nel 1997 con la “Rete
delle fattorie didattiche romagnole”, un progetto della società Alimos in collaborazione con imprenditori agricoli
della provincia di Forlì-Cesena e si diffuse rapidamente
nelle altre regioni. Nel 2010 le fattorie didattiche italiane
accreditate erano oltre 1900, distribuite su tutto il territorio
nazionale ed in costante crescita.
In Italia la qualifica di fattoria didattica viene conferita dalle
singole amministrazioni regionali (o provinciali come nel
caso del Trentino). L’adesione avviene a seguito del rispetto di alcuni parametri definiti in un documento che
prende il nome di Carta della qualità. I parametri in questione sono solitamente il rispetto delle norme di sicurezza ed igiene, nonché della garanzia della qualità dei servizi
offerti e della produzione eco-compatibile mediante agricoltura biologica o integrata. Ai gestori è richiesta inoltre la
partecipazione ad un corso specifico di base e ad incontri
di aggiornamento.
Le esperienze di Isa, Vasco ed Elisabetta
Varcando le porte di una fattoria didattica si può sentire
il calore di un ambiente famigliare ed allo stesso tempo
sperimentare la sensazione di essere tornati sui banchi di
scuola. Una scuola fatta di esperienze pratiche e manuali,
di storie e racconti, di stili di vita basati su sobrietà e semplicità, ma non per questo meno entusiasmanti.
Agriturist, Terranostra e Turismo Verde.
23
Organizzazione giovanile statunitense istituita nel 1902 ed amministrata dal National Institute of Food and Agriculture (NIFA) e dallo United
States Department of Agriculture (USDA). È costituita da circa 6,5 milioni
di membri, tutti di età compresa tra i 5 e i 19 anni.
24
Trad. it “imparare facendo”.
La “Green Education”
26
Isa Bombana e Vasco Andreolli gestiscono l’agriturismo
”Le Robie”, nei pressi di Brentonico. Dopo la ristrutturazione del vecchio edificio rurale in cui Vasco ha trascorso
tutte le estati della sua infanzia, l’idea di aprire lo spazio
ai più piccoli è nata quasi per caso. Avendo visto come
può essere formativa un’esperienza di vita nella natura,
molti visitatori hanno iniziato a chiedere di poter lasciare i
loro figli durante l’estate. Da lì alla certificazione come fattoria didattica il passo è stato breve ed una volta seguito
il corso organizzato dalla Provincia, i due hanno iniziato
l’attività educativa.
Le proposte per i ragazzi sono tra le più varie ed abbracciano tutte le attività che vengono svolte nella fattoria.
Si va dalle gite a cavallo, alla raccolta e preparazione di
conserve con frutti o erbe, fino alle attività creative con
l’utilizzo di materiali naturali o di riciclo.
Vasco ed Isa però puntano molto sulla proposta di un’esperienza completa; l’idea è quella di riproporre ai ragazzi quello che era il vissuto di Vasco quando da bambino
trascorreva tre intensi mesi formativi, immerso nei giochi,
nella natura e nei lavori agricoli e domestici della sua famiglia. Proprio per questo, i gestori accolgono principal-
Natura(l)mente
27
mente piccoli gruppi di ragazzi per una settimana, ritenendo che questo approccio sia molto più utile in termini
di reale assimilazione delle idee proposte, rispetto alle
brevi visite organizzate in collaborazione con le scuole.
Inoltre, creando con i ragazzi un rapporto quasi famigliare,
la comunicazione è molto più diretta e le attività proposte
possono essere orientate in base all’età ed al reale interesse da parte del gruppo.
In Trentino una delle realtà più affermate, con alle spalle
una decennale esperienza in questo tipo di educazione,
è l’azienda biologica di montagna “La Fonte”, gestita da
Elisabetta Monti e dalla figlia Sara, a Mezzomonte di Folgaria.
Le proposte sono molteplici ed anche in questo caso
coinvolgono quasi tutte le attività che vengono svolte
all’interno dell’azienda agricola. Alle scuole, alle colonie
ed ai gruppi turistici si offrono diversi cicli didattici in cui
vengono mostrati i processi della lana, del latte, del grano; i partecipanti collaborano attivamente nella raccolta,
trasformazione e produzione di feltro, formaggi e pane.
Inoltre, nel periodo estivo, vengono organizzate delle
“Settimane Verdi” rivolte a bambini e ragazzi che vogliono
trascorrere un periodo in fattoria.
Uno dei temi che sta più a cuore alla proprietaria è l’educazione alimentare, rivolta principalmente ai più piccoli,
con la speranza che il messaggio arrivi conseguentemente anche ai loro genitori. “Il cibo ormai ha un prezzo, ma
non ha più un valore” sostiene Elisabetta, ricordando lo
stupore dei giovani partecipanti nello scoprire il prezzo
esiguo con cui vengono pagati i prodotti agricoli, nonostante il grande lavoro da parte del contadino.
In tutte le attività di una fattoria didattica si possono insegnare idee o concetti. Attraverso il gioco i ragazzi apprendono principi di logica e matematica, nelle passeggiate
imparano a riconoscere piante ed animali, a pranzo e
cena viene trasmesso l’importantissimo valore della condivisione.
Un’esperienza di questo tipo è un’educazione a 360 gradi. Parole come autonomia, responsabilità e libertà, valori
La “Green Education”
28
meglio le cose quando si viene coinvolti in un’esperienza
in prima persona, che interessa tutti i sensi contemporaneamente. A tal proposito uno degli esperimenti più riusciti è forse quello del WWOOF25. Un fenomeno che in
pochi anni ha visto crescere moltissimo il numero di partecipanti, tanto che oggi esistono 60 organizzazioni WWOOF nazionali e le aziende ospitanti provengono da 99 Paesi. Questa crescita sta a dimostrare il sempre maggiore
cardine per un individuo adulto, vengono facilmente scoperti ed accolti dai ragazzi. Tutto questo non è forse solamente merito della competenza degli educatori, quanto
della validità insita nel metodo di insegnamento adottato.
Il toccare con mano le cose, l’ascoltare i rumori, il percepire gli odori e i sapori sono tutte parti fondamentali di un
processo di apprendimento semplice e diretto.
«Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco».
Questo vecchio proverbio cinese mostra quanto siano importanti i cinque sensi durante l’insegnamento e ciò non
vale solamente per i più piccoli. A tutte le età si imparano
WWOOF (World Wide Opportunities on Organic Farms o Willing Workers on Organic Farms) è un’organizzazione che mette in contatto diverse fattorie biologiche con volontari che offrono il proprio aiuto in cambio
di vitto e alloggio - www.wwoof.net
25
Natura(l)mente
29
Educare all’ambiente, quindi alla cittadinanza
interesse per un’esperienza pratica e diretta, oltre che per
un’educazione di tipo permanente, non solo rivolta ai giovani in età scolare (Lengrand 1965, Schwartz 1999). Proprio per questo le fattorie ospitanti vengono definite come
“centri di educazione permanente” e visto che uno degli
obiettivi del progetto WWOOF è quello di contribuire alla
costruzione di una comunità globale sostenibile, l’apporto
di questa realtà in termini di educazione ambientale non è
sicuramente da trascurare.
Vista la valenza di un’esperienza educativa del genere
e l’importanza di una maggiore educazione all’ambiente, sarebbe bene che le istituzioni in primis cercassero
di incentivare e favorire l’utilizzo dei servizi offerti da realtà come le fattorie didattiche. Secondo Elisabetta Monti,
uno dei modi per fare ciò sarebbe quello di semplificare le
pratiche burocratiche di gestione di una piccola azienda
agricola. Inoltre una maggiore visibilità anche mediatica
del mondo agricolo, se fatta in modo adeguato e senza ricorrere a stereotipi, potrebbe aiutare a sensibilizzare
maggiormente la popolazione riguardo ai temi ambientali.
Il mondo delle fattorie didattiche e dell’educazione pratica
può essere il filo che ricuce lo strappo tra uomo e natura,
in modo da condurre ogni individuo ad una riconciliazione
con l’ambiente naturale di cui fa parte.
Promuovere percorsi di educazione ambientale esclusivamente per le generazioni più giovani rischia di essere
limitativo per una molteplicità di ragioni. Una di queste
è celata nell’aforisma pronunciato in tempi non sospetti dal poeta e drammaturgo tedesco Christian Friedrich
Hebbel (1813-1863). “Alla gioventù si rimprovera spesso
di credere che il mondo cominci solo con essa. Ma la
vecchiaia crede ancor più spesso che il mondo cessi
con lei.”
Nonostante siano in flessione, i 4687 nuovi nati in Provincia di Trento nel corso del 201326 e quelli che a loro sono
preceduti, dovrebbero ricordarci come il tema dell’educazione ambientale, declinato nei suoi tanti paradigmi e
inteso nel senso più ampio del termine, sia strettamente
interconnesso ad un altro concetto: quello di “solidarietà
intergenerazionale”.
Per molto tempo, soprattutto durante la piena industrializzazione, a chi sarebbe venuto dopo non si è pensato.
Nei quattro decenni successivi al primo conflitto mondiale, nell’epoca che l’economista Rostow individua come
quella del “consumo di massa autoalimentato” (Rostow
I dati relativi ai nuovi nati sono reperibili al sito internet: http://www.
trentinofamiglia.it/Attualita/Archivio-2014/Gennaio/Meno-nascite-in-tutta-Italia-anche-in-trentino
26
La “Green Education”
30
in Volpi, 2003) si è agito. Si è attinto ad un serbatoio di
risorse che sembrava inesauribile.
Come viene sottolineato nel Rapporto Brundtland (Wced,
1987), interrogarsi sul tipo di mondo e di ambiente che
lasceremo in eredità alle fasce d’età più giovani, non dovrebbe, tuttavia, considerarsi eccesso di zelo. Non dovrebbe esserlo soprattutto se si riflette sul fatto che l’età
media si è allungata (Dalla Zuanna, 2008) e che quindi,
cattivi stili di vita e di consumo si ripercuoteranno per molto più tempo sui nuovi nati, con un costo ambientale e sociale elevatissimo. Alla luce dei fatti è necessario cercare
di appagare le richieste delle generazioni presenti senza
“[…] compromettere la possibilità per le generazioni future di soddisfare a propria volta i loro bisogni”27. E’ per
questo, soprattutto per tutto questo, che è importante
lavorare affinché si diffonda quella che Fritjot Capra, fisico
austriaco, chiamava “ecoalfabetizzazione” (Capra, 2009).
Sonja Abrate e Sara Giona dell’Ökoinstitut di Bolzano,
centro specializzato in tematiche ambientali, fondato nel
1989 da Hans Glauber28, rilevano come fare educazione
ambientale sia prima di tutto una responsabilità sociale: a fianco della scienza e della scuola, determinante è
l’impegno delle famiglie, delle imprese e non da ultimo,
dell’apparato istituzionale nel suo complesso. Enti e attori
intrinsecamente diversi dovrebbero essere immersi in un
processo bidirezionale, che muove dal macro al micro e
viceversa. Si tratta prima di tutto di senso civico perché
“l’educazione ambientale dovrebbe diventare una parte
essenziale dell’educazione di tutti i cittadini […]” (Wheeler,
1975: 8).
Il crescente numero di iniziative e di associazioni che in
maniera più o meno strutturata si occupa di tematiche
ambientali, rappresenta a tal proposito, un valido indicatore della dinamicità attualmente riscontrabile sul territorio
provinciale. Rovereto Green, realtà ideata nella Città della
Quercia dall’Azienda Multiservizi e operativa dal 2011, per
esempio, coordina una rete informale costituita da circa una ventina di soggetti aventi come minimo comune
denominatore uno spiccato interesse per l’ambiente29.
Nell’ambito di importanti campagne di sensibilizzazione,
promosse su tutto il territorio nazionale, come M’illumino
di meno, La giornata mondiale dell’ambiente, La settimana europea per la riduzione dei rifiuti, diverse realtà col-
Una sintesi del Rapporto Brundtland del 1987 è reperibile al sito internet dell’APPA. Link: http://www.appa.provincia.tn.it/binary/pat_appa/
docuambie/1987_IL_RAPPORTO_BRUNDTLAND.1242218994.pdf
28 Per maggiori informazioni sull’istituto, la filosofia che guida i suoi progetti e sulle collaborazioni in atto si rimanda al sito internet http://www.
ecoistituto.it/it/ecoistituto-alto-adige/1-0.html
27
Per maggiori informazioni si rimanda alla pagina facebook di Rovereto
Green https://www.facebook.com/RoveretoGreen
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Natura(l)mente
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laborano realizzando una serie di eventi aperti e proposti
alla cittadinanza. L’aspetto interessante è che il network
abbraccia modi diversi di intendere e vivere la questione
ambientale. Si spazia dai “Gruppi di acquisto solidale” e
dalle associazioni come “Orticorti” che puntano a valorizzare la filosofia del chilometro zero, ai laboratori di “Cicloofficina” e di cucito creativo.
Ma come riuscire a intercettare l’attenzione di un pubblico
trasversale, eterogeneo, già formato culturalmente? Sia
Sonja Abrate e Sara Giona, che si occupano di educazione ambientale, green events e sostenibilità ambientale
presso l’Ökoinstitut di Bolzano, che Roberto Pallanch,
direttore dell’Amr e coordinatore di “Rovereto Green”,
rilevano come spesso i risultati più soddisfacenti si raggiungano facendo leva su una comunicazione emozionale
e, paradossalmente, proprio evitando di fare educazione
ambientale almeno direttamente. Come conferma Monica
Tamanini, responsabile della Rete Trentina di Educazione
Ambientale, realizzando esclusivamente serate a tema,
workshop o conferenze, infatti è piuttosto complesso
attirare un pubblico ampio, a meno che questo non sia
già fortemente sensibilizzato. E’ preferibile e più efficace
invece, mixare iniziative strettamente culturali e trovate più
popolari, utilizzando il green come mezzo. Questo, per
esempio, è il tipo di comunicazione che “Rovereto green”
cerca di adottare durante manifestazioni come La Notte
Verde o in occasione della Giornata dell’ambiente, celebrata il 2 giugno.
Sono orientati in questa direzione anche i Green Events
curati dall’Ökoinstitut e molto diffusi in territorio austriaco.
L’obiettivo di questi ultimi è quello di organizzare eventi variegati per tema e argomento, che presentino però
carattere di sostenibilità, sia nella fase organizzativa che
attuativa. Il messaggio vuole essere semplice e chiaro:
è possibile divertirsi, creare aggregazione e promuovere
cultura per un pubblico eterogeneo senza compromettere
l’ambiente e senza essere eccessivamente impattanti sul
territorio. Nei prossimi anni si punterà, a tal proposito, ad
ottenere la certificazione going GreenEvent30 per i mercatini di Natale diffusi in tutta la provincia di Bolzano. Questo significa che tali manifestazioni, dalla ricaduta turistica
notevole31, dovranno essere realizzate applicando severi
criteri in materia di gestione dei rifiuti, valorizzazione dei
prodotti locali, utilizzo di beni ecologici, efficienza energetica e mobilità sostenibile.
Per maggiori informazioni sulla certificazione Going GreenEvent si rimanda al seguente link: http://www.provincia.bz.it/agenzia-ambiente/
progetti/greenevent.asp
31
I soli mercatini di Natale di Bolzano, realizzati tra il mese di dicembre
e la prima settimana di gennaio, hanno attirato circa 600.000 visitatori.
Link: http://altoadige.gelocal.it/cronaca/2014/01/06/news/mercatino-dibolzano-bilancio-record-da-600-mila-visitatori-1.8418076
30
La “Green Education”
32
L’educazione verde rivolta ad una cittadinanza più ampia,
oltre che agli Istituti scolastici, è quindi possibile. In alcune
aree del territorio provinciale e regionale è già una realtà. E’
una strada tutta in salita, ma che vale la pena percorrere,
perché “la conversione ecologica potrà affermarsi solo se
apparirà socialmente desiderabile” (Langer, 1998: 33). Se
quella prospettata da Alexander Langer fosse la via giusta
da perseguire, allora i tempi per innescare un concreto cambiamento potrebbero sembrare lunghi, quasi biblici. Errore.
In un periodo di crisi economica, di ristagno se non addirittura di recessione, c’è forse un elemento che più degli
altri, all’interno di una società di mercato, è in grado di
far apparire qualche cosa come socialmente appetibile.
Questo qualcosa, molto banalmente, è la possibilità di
ottenere dal cambiamento e dall’innovazione ricavi, profitti e vantaggi monetizzabili. “E’ sempre una questione di
denaro, il resto è conversazione”, diceva Gordon Gekko,
cinico protagonista del film Wall Street. Forse non è esattamente così, ma un indubbio fondo di verità si cela dietro
quest’affermazione. Nel dopoguerra questo si è verificato
per i grandi impianti industriali, ed oggi, con il processo
di deindustrializzazione, la conseguente crisi del modello
fordista e la scarsità delle risorse non rinnovabili, la storia
si ripete. Questa volta puntando sulla green economy, in
cui tuttavia il freddo credo dell’homo economicus può avvicinarsi all’etica della sostenibilità.
Dall’interesse e dalla volontà politica della Provincia
autonoma di Trento di puntare maggiormente sullo sviluppo sostenibile, nel 2009 nasce a Borgo Sacco l’iniziativa
Progetto Manifattura. Sorto all’interno dell’ ex Manifattura Tabacchi - luogo simbolo per tutta la Vallagarina - il
progetto, che segue lo standard delle certificazioni LEED,
mira a creare il primo incubatore italiano specializzato in
tecnologie verdi, con l’intento di aiutare e supportare le
giovani imprese della green economy a crescere e a svilupparsi.
Il fulcro della proposta è sicuramente la greenhous o serra,
nella quale le start-up insediate vengono accompagnate
per 12 mesi e possono accedere a spazi e servizi a costi
contenuti. Michele Tosi, Operation Manager del progetto,
evidenzia l’enorme interesse delle aziende per questo tipo
di soluzione imprenditoriale: l’età media degli imprenditori
è di 35 anni e le richieste sono in continua crescita sin
dal 2010, anno di istituzione della greenhouse. Si sottolinea inoltre, come in un luogo che punta ad elevarsi a
“distretto” dell’innovazione, il modello della tripla elica basato sulla stretta sinergia tra comparto pubblico, privato
ed enti di ricerca sia determinante poiché rappresenta la
forza motrice in grado di alimentare il sistema (Etzkowitz e
Webster, 1995, Leydesdorff e Etzkowitz, 1998).
Il progetto però punta moltissimo anche sull’apertura, lo
scambio, la permeabilità con la cittadinanza. La Mani-
Natura(l)mente
33
fattura, luogo proibito durante il secolo scorso, riscontra
molto interesse ed ora la volontà è quella di coinvolgere sempre più la popolazione stessa. L’organizzazione di
eventi pubblici come seminari e green drinks vuole essere
un modo per fare questo, per aprire le porte e condividere
la visione di quella che sembra essere l’unica strada verso
il futuro.
Fonte: rielaborazione da parte dell’autore dei dati da Guida ai green jobs,
Edizioni ambiente 2012.
Il lavoro del futuro
Lavoro verde, eco lavoro, green job, nel lessico comune
italiano queste espressioni sono rimaste quasi sconosciute fino al 4 novembre 2008 quando, il presidente degli
Stati Uniti d’America Barack Obama, nel suo discorso di
insediamento alla Casa Bianca, ha citato green economy
e green job.
Secondo il Rapporto Green Jobs: Towards decent work
in a sustainable, low-carbon world dell’UNEP (United Nations Environment Programme)32 si definiscono lavori verdi quelle attività lavorative nel settore agricolo, manufatturiero, amministrativo, dei servizi e nelle attività di ricerca e
sviluppo che contribuiscono nell’opera di salvaguardia o
ripristino della qualità ambientale. Questi lavori includono
attività che aiutano a: proteggere gli ecosistemi e la biodiversità, ridurre il consumo di energia di risorse e d’acqua,
minimizzare o evitare la creazione di qualsiasi forma di
spreco o inquinamento.
Un lavoro verde non è solo un’attività lavorativa che ha un
impatto sull’ambiente o sul sociale, è un concetto molto
più ampio caratterizzato da una forte componente psicologica in termini di motivazione, coinvolgimento e partecipazione.
Come ogni altro settore, quello degli investimenti in campo ambientale genera sia un certo numero di posti di
lavoro diretti (progettazione, costruzione, mantenimento) che indiretti (nelle industrie che forniscono i componenti). Il lavoro è un’attività materiale o intellettuale per
Il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente è un’organizzazione
internazionale che opera dal 1972 contro i cambiamenti climatici e a favore della tutela dell’ambiente e dell’uso sostenibile delle risorse naturali.
La sua sede è a Nairobi (Kenya), ma opera in diverse parti del mondo tramite altri uffici amministrativi ed è costituita principalmente da personale
esperto che prende le decisioni sulle politiche ambientali e sulle attività da
svolgere in aree di particolare interesse.
32
La “Green Education”
34
mezzo della quale si producono beni o servizi, regolamentata legislativamente ed esplicata in cambio di una
retribuzione.
Alcune occupazioni sono facilmente identificabili come
lavori verdi, altre invece sono difficilmente classificabili come tali, ad esempio le grandi fabbriche spesso costruiscono pezzi fondamentali alla crescita e allo sviluppo
dell’industria green senza esserne consapevoli. Una pala
eolica può essere prodotta da un’acciaieria che comunemente non è considerata facente parte dell’industria
green. Così anche l’alternatore accoppiato ad una turbina
che trasforma l’energia cinetica in elettrica e che quindi
produce energia idroelettrica, che è una fonte rinnovabile,
sono prodotti, principalmente, da industrie che non si occupano di ambiente. Gli isolanti termici, che dovrebbero
servire a ridurre il flusso termico di calore scambiato tra
due ambienti a temperature differenti, possono essere
prodotti naturalmente con sostanze di origine vegetale,
riciclabili e spesso anche biodegradabili o possono essere prodotti sinteticamente con sistemi e iter di lavorazione
sofisticati, a partire da materie prime di origine chimica;
nel caso degli isolanti termici sintetici, il loro scopo è sicuramente green ma non la loro produzione.
Dopo la Dichiarazione di Rio de Janeiro (1992), oltre 190
nazioni concordano sul fatto che la green economy può
contribuire ad accelerare la diffusione dello sviluppo so-
stenibile e a sradicare la povertà. Molti Paesi hanno sostenuto questa posizione avviando iniziative e politiche volte
alla costruzione di società a bassa intensità di carbonio,
inclusive ed efficienti dal punto di vista energetico. Anche
il settore privato si sta muovendo nella stessa direzione e,
in seguito alla Dichiarazione di Rio, centinaia di imprese
hanno preannunciato il loro impegno. Ad esempio, quasi 30 compagnie leader del settore assicurativo, valutate
circa 5.000 miliardi di dollari e con una quota pari al 10%
del volume globale dei premi, assieme ad associazioni di
assicurazioni di ogni parte del mondo, hanno aderito al
processo, sostenuto dalle Nazioni Unite, per la promozione dei Principles for Sustainable Insurance. L’obiettivo è
quello di definire una serie di strumenti assicurativi per la
gestione del rischio, capaci di supportare la sostenibilità
ambientale, sociale ed economica.
In aggiunta, un gruppo composto da cinque borse valori,
presso cui sono quotate più di 4.600 società, ha dichiarato di voler cooperare con gli investitori e le autorità di
regolamentazione per promuovere, sui propri mercati, investimenti sostenibili nel lungo termine.
Un’Italia più green
Non c’è settore che non sia attraversato, sia pure in tempi
di crisi, da una riconversione sostenibile, con numeri decisamente importanti sotto il profilo occupazionale.
Natura(l)mente
35
Marco Gisotti33 ha redatto la TOP TEN DEI LAVORI VERDI
che viene di seguito riportata:
1. Amministratore verde di condominio
informa e utilizza eventuali incentivi, sgravi fiscali e finanziamenti per la sostenibilità; sceglie e propone servizi,
come quelli di pulizia e manutenzione, ispirati a criteri di
compatibilità ambientale, scegliendo detersivi sostenibili,
persegue l’ottimizzazione della raccolta differenziata dei
rifiuti e riduce gli sprechi di acqua.
2. Avvocato ambientale
svolge le attività di consulenza, rappresentanza e assistenza nell’interpretazione delle norme del diritto, specializzandosi in quelle di conservazione e tutela dell’ambiente.
3. Certificatore energetico
è una figura divenuta molto importante dal 2005, da
quando l’Attestazione di certificazione energetica (Ace)34
è stata resa obbligatoria per l’atto di vendita di qualunque
edificio o porzione di edificio.
4. Disaster manager
l’attività di questa figura è necessaria per la riduzione dei
danni, grazie alla sua attività di monitoraggio delle fonti di
vulnerabilità del territorio. Individua gli scenari di rischio,
controlla il rispetto delle leggi e delle procedure amministrative da seguire in caso di emergenza.
5. Ecoauditor o verificatore ambientale d’impresa
controlla gli impianti e i processi produttivi di un’azienda
rispetto alle norme ambientali. Verifica la tipologia e la
quantità dei rifiuti prodotti e i consumi energetici. La sua
figura si è resa di fatto obbligatoria per via della legislazione europea sul controllo della compatibilità tra cicli di
lavorazione dei prodotti, impianti e strutture delle imprese
e la protezione dell’ambiente.
6. Esperto in demolizione per il recupero dei materiali
lavora in gruppo orientando le diverse fasi e i diversi responsabili di cantiere sia sulle tecniche di demolizione sia
per il riutilizzo e la gestione razionale dei materiali.
7. Meccatronico
è il professionista che progetta ed elabora sistemi di controllo, lavorando su interi prodotti o cicli produttivi. Individua e seleziona i componenti meccanici, elettronici ed
elettromeccanici che serviranno per l’attività.
8. Energy manager
è una figura introdotta per legge nel 1991 ed è obbligatoria per tutti gli enti pubblici, ha l’incarico di responsabile
Giornalista e divulgatore, è uno dei massimi esperti in Italia di comunicazione ambientale, green economy e green jobs; ha fondato l’agenzia
di studi ambientali Green Factor, è il creatore e il direttore dal 2005 del
Master in Comunicazione ambientale del Centro studi CTS in collaborazione con il Dipartimento di scienze della comunicazione dell’università
La Sapienza di Roma e l’ENEA.
34
Da luglio del 2009 è entrato in vigore l’obbligo di fornire l’Attestazione
di Certificazione Energetica a tutti gli edifici o porzioni di edifici trasferiti a
titolo oneroso, vedi Articolo 6, comma 1-bis, lettera c del D.lgs 192 del
19 agosto 2005.
33
La “Green Education”
36
per l’energia, che consiste nella raccolta e nell’analisi dei
dati sui consumi energetici e nella promozione dell’uso
efficiente dell’energia nella struttura di competenza.
9. Ingegnere per l’ambiente
fa parte della categoria in cui sono inclusi i professionisti
del settore ingegneristico che siano esplicitamente impegnati nella pianificazione, nello sviluppo o nella gestione di
opere e impianti, purché realizzati secondo i criteri dello
sviluppo sostenibile.
10. Manager della borsa rifiuti dell’edilizia
consente di attivare quel circolo virtuoso per cui i materiali
edili provenienti dall’abbattimento di vecchi edifici o dalla
loro ristrutturazione possano essere reintrodotti sul mercato, lavorando a stretto contatto con l’esperto in demolizione per il recupero dei materiali.
ma venga sfruttata solamente in quanto di forte richiamo
e, per così dire, “di tendenza”.
I lavori verdi più richiesti attualmente non sono solo figure
tecniche (impiantisti, installatori, project manager e così
via), ma anche figure più gestionali e tipicamente legate
al mondo finanziario: figure specializzate nel reperimento
di risorse finanziarie e nell’ottimizzazione del profilo finanziario dei progetti, anche grazie ai benefici fiscali che ne
possono derivare.
Un sito americano (www.careerpath.com) è stato progettato per orientare alla scelta professionale, personalizzando gli interessi e le propensioni dell’utente; in esso
vengono elencate le occupazioni che si svilupperanno
maggiormente fino al 2018. L’elaborazione dei dati si
basa su studi del Bureau of Labor Statistics35, l’elenco
riprende in parte la top ten dei lavori verdi, proposta da
Marco Gisotti, come per esempio i sistemisti di rete e gli
analisti di dati, gli esaminatori finanziari, i biotecnologi, i
biochimici e i biofisici.
La riconversione ecologica dell’economia è necessaria ed
è lo strumento principe per dare a tutti un lavoro sicuro,
Da questo elenco emerge chiaramente come gli specialisti in professioni “verdi” non si trovino unicamente
nell’ambito delle energie rinnovabili. Ormai dal riciclo alle
foreste, dall’agricoltura alla cucina, dalla comunicazione
al turismo ambientale sono numerose le nuove professioni green.
Occorre però prestare attenzione al reale significato di
professioni o prodotti “verdi”: può accadere che l’immagine di eco-compatibilità che viene proposta non corrisponda ad un reale impegno dell’azienda o del professionista,
Il Bureau of Labor Statistics (BLS) è una unità del Dipartimento del
Lavoro degli Stati Uniti. E’ l’agenzia d’inchiesta principale per il governo
degli Stati Uniti nel vasto campo dell’economia del lavoro e delle statistiche e serve come agenzia principale del sistema statistico federale degli
Stati Uniti.
35
Natura(l)mente
37
giusto e dignitoso. Ci vuole una green education per un’economia sostenibile. Una grande sfida per i responsabili
politici è quella di individuare le future necessità di assunzione e le competenze richieste. Programmi di istruzione
e formazione verdi, ben progettati, avranno un ruolo importante da svolgere nell’aiutare i lavoratori a sfruttare le
potenzialità della green economy emergente.
Le agenzie educative devono dunque accompagnare il
processo di nascita di nuove professioni, formando competenze trasversali, affrontando i temi della complessità e
dell’approccio sistemico: è l’incapacità di agire in modo
integrato, di capire le interconnessioni, di fare rete che
ostacola la diffusione della green economy.
Per il pianeta è una buona notizia, per chi è in cerca del
proprio futuro è una indicazione preziosa e per le agenzie
educative, composte da scuola, università, formazione
continua, mass media, è un severo richiamo a fare di più.
La green economy corre ed è più avanti di tanti professori,
decisori politici, giornalisti.
Durante uno degli Incontri sul Management della Green
Economy (IMAGE) si è tenuto un approfondimento su Le
professioni delle 5 erre: Rifiuti, Riciclo, Riduzione, Riqualificazione, Recupero.
L’approfondimento denotava che, in Italia, la scarsa diffusione del sistema di formazione all’interno delle imprese e
la notevole distanza tra la preparazione scolastica e i reali
bisogni delle aziende rappresentano un problema concreto. Si è voluta però sottolineare soprattutto la mancanza
di formazione on the job, cioè quella in azienda, che consente di mettere in pratica ciò che si impara adattandolo
direttamente alla visione e alla mission dell’impresa.
Marco Gisotti, a cui è stato chiesto quali siano le professioni più richieste nell’attuale contesto industriale ed economico, ha risposto mediante un esempio: “il rapporto
sui rifiuti di Ambiente Italia afferma che nel 2008 c’erano
32 milioni di tonnellate di rifiuti nel circuito del riciclaggio,
il 12% in più rispetto al 2000. Il CONAI36 afferma che in
dieci anni il riciclaggio ha dato lavoro a 76.000 persone.
Quante discariche in meno? 325 su tutto il territorio nazionale”.
Le figure professionali più richieste in un campo vasto
e complesso come quello dei rifiuti sono ingegneri ambientali, chimici, geologi, comunicatori di cui si ha bisogno non solo per progettare prodotti sostenibili ma anche per commerciare prodotti riciclati. Secondo Gisotti
le offerte formative per i giovani non mancano, ciò che
invece scarseggia è una politica di orientamento al lavoro che introduca gli studenti in questo mondo in modo
adeguato.
Consorzio Nazionale Imballaggi.
36
La “Green Education”
38
Francesco Carcioffo, di ACEA Pinerolese37, è un convinto
sostenitore dell’importanza dei rifiuti quali risorse da valorizzare, non ancora pienamente sfruttate per mancanza
di tecnologie adatte. La soluzione appare chiara: investire
sulla ricerca. L’80% dei problemi ambientali legati al ciclo
di vita di un prodotto viene generato nella fase della progettazione.
Un esempio? Nel cassonetto dell’indifferenziato di solito
ci sono tra 8 e 10 tipi di plastica diversa ma esistono
solo quattro filiere di recupero, ognuna per un solo materiale. Gli altri, quindi, non vengono recuperati. È evidente pertanto che è la progettazione il punto debole
della catena.
Un’analisi più generale dei punti deboli del rapporto uomo-ambiente la propone l’ambientalista indiana Vandana
Shiva nel suo libro Ritorno alla terra. La fine dell’eco-imperialismo, attraverso una suggestiva ricerca sui mali che
attanagliano il nostro pianeta: la fame nel mondo, il picco
del petrolio e il global warming, tre aspetti fortemente collegati della stessa crisi. Per evitare di finire nel baratro,
Shiva indica una soluzione chiara, quella di tornare alla
terra: ma tornare alla terra non è semplicemente tornare
indietro, allo stato di società agricola pre-industriale, bensì
tornare con un approccio consapevole, che sposi l’economia di mercato con le altre due economie necessarie
per il nostro pianeta e per chi ci vive: l’economia della
natura e l’economia di sussistenza.
E se vogliamo avere un’economia viva e una viva democrazia, la terra deve essere al centro di questo rinnovamento.
Conclusioni
Nel 1970 alcuni scienziati si resero conto che l’uso di
clorofluorocarburi stava compromettendo lo strato di
ozono che protegge la terra dalle radiazioni ultraviolette.
Per la prima volta, gli uomini presero coscienza del fatto
che l’inquinamento può causare disastri in ogni parte del
globo. Il problema dell’inquinamento terrestre si è concentrato prima sull’assottigliamento dello strato di ozono
e conseguentemente sull’effetto serra. Durante il secolo
appena trascorso si è verificato un riscaldamento globale
notevole38, che potrebbe portare il nostro pianeta a gravi
sconvolgimenti futuri: l’innalzamento del livello dei fiumi,
dei mari e degli oceani, inondazioni più frequenti, la desertificazione di molti terreni, l’estensione del raggio d’azione
Acea Pinerolese Industriale Spa è una moderna struttura multi utility che gestisce sul territorio una pluralità di servizi a favore di Comuni,
Aziende e cittadini.
37
Link: http://www.ipcc.ch/pdf/reports-nonUN-translations/italian/ar4wg1-spm.pdf
38
Natura(l)mente
39
di svariate malattie tropicali, per non parlare del cambiamento e della distruzione di numerosi ecosistemi.
Il mondo ha così dovuto interrogarsi su un sistema di
valori che considerava le risorse terrestri inestinguibili ed
eterne, ed ha dovuto iniziare a cercare di ovviare a questo
problema che coinvolge tutto il genere umano.
Le interviste, effettuate per la stesura di questo capitolo,
hanno evidenziato come negli ultimi anni si siano sviluppate una maggiore consapevolezza e sensibilità nei confronti dell’ambiente da parte della popolazione.
Le informazioni e gli eventi collegati al tema dell’educazione ambientale sono aumentati e qualitativamente migliorati, almeno per quanto riguarda il territorio trentino sul
quale si è svolto il nostro approfondimento, permettendo
a questi argomenti di trasformarsi in problematiche di coscienza collettiva.
Il panorama, ad oggi, rimane comunque frammentato. E’
in un certo senso paradossale che in un territorio dalla superficie contenuta come quello trentino, realtà più o meno
strutturate e longeve operino frequentemente senza intrattenere rapporti di collaborazione e fatichino a relazionarsi
tra loro, mantenendo logiche di agire tradizionale (Weber
in Aron, 1978). In un contesto di restrizione economica,
al contrario, fare rete consentirebbe di accrescere i propri contatti, di ottenere una visibilità maggiore, di acquisire
nuove competenze e, conseguentemente, di ampliare la
propria offerta. Determinanti nel ruolo di apripista rimangono le istituzioni, le quali devono essere il più possibile
lungimiranti e collaborative. Così come per molti altri temi,
anche per quello che riguarda la questione della green
economy è necessario infatti, svincolarsi dalle logiche decisionali specificamente gerarchiche e ricorrere, invece, ad
un approccio di governance (Benz, 2004, Piattoni, 2010),
fondato su un rapporto bidirezionale e di intensa comunicazione tra attori pubblici e privati. Il modello della “tripla
elica”, cioè la collaborazione attiva tra centri di ricerca, istituzioni e imprese, emerso nel corso delle interviste con
“Progetto Manifattura srl” di Rovereto e “Ökoinstitut” di
Bolzano, potrebbe rappresentare, a tal proposito, una delle soluzioni per affrontare questa frammentarietà e mettere
in collegamento il potenziale economico, sociale e territoriale. La complessità del tema dovrebbe spingere ad una
partecipazione sentita nella consapevolezza che il tutto è
più della somma delle singole parti, perché è importante
rileggere l’ambiente in modo sistemico e trasversale.
La recente crisi economica del settore industriale ha portato da un lato a problemi occupazionali e dall’altro ad
un ripensamento del modello di sviluppo industriale ed
economico tradizionale. Ciò ha dato più valore ad alcune
attività maggiormente sostenibili ed ha permesso la nascita di nuove professioni, caratterizzate da un entusiasmo maggiore e da nuove idee alternative, che possono
La “Green Education”
40
permettere di vedere la crisi anche come un’opportunità
per il futuro.
Parallelamente i tagli effettuati dalle amministrazioni pubbliche, ad esempio nel settore dell’educazione ambientale, hanno portato ad una diminuzione delle ore dedicate
a questo tema. Al contempo, nonostante la diminuzione
delle ore di lezione frontale, si può cercare di puntare ad
un’educazione più diretta e meno teorica, più esperienziale e meno didattica, che viene assimilata e fatta propria
con più facilità grazie a percorsi attivi di scoperta e sensibilizzazione che permettono di capire che il vero modo di
fare educazione ambientale è viverla.
Un’analisi più attenta delle modalità di utilizzo delle risorse
disponibili e dell’applicazione delle conoscenze, permetterebbe una maggiore attenzione al mondo che ci circonda, perché non si tratta semplicemente di cambiare stile
di vita ma cambiare con stile.
Al termine di questa lunga riflessione, ci viene spontaneo
concludere con una domanda aperta, che consegniamo
al lettore, quale sintesi e stimolo per proseguire nell’approfondimento di queste tematiche: «Ma perché cambiamo? Perché si deve e si vuole cambiare? Per l’ambiente
o per l’uomo?».
Natura(l)mente
41
seconda parte
La cultura della convivenza: i giovani e la valorizzazione della terra
Federica Manfrini, Francesca Viola
1. Introduzione
La parola cultura deriva dal verbo latino colere (p.p. cultus),
coltivare, attendere con cura. Come i campi anche noi uomini dobbiamo essere accuditi e seguiti nel tempo ed è da questo concetto che vogliamo partire per presentarvi la nostra
ricerca. La cultura della convivenza, come sostiene Aime,
vive e attecchisce con lo scambio, con la relazione. Senza
un dialogo non si può aspirare alla convivenza perché “si
può costruire una cultura della convivenza solo dove i confini
delle identità individuali si sfumano” (Aime, 2013: 166).
In una terra tutta in salita, come quella trentina, in cui appena il 20% del territorio complessivo si trova al di sotto
dei 600 metri di quota1, intendiamo capire come i confini
di quelle identità si mescolino, si incontrino, si orientino
reciprocamente. Siamo curiose di comprendere se, e se
sì come, quelle alture, quei lavori così nobili e manuali riescano ad intercettare il segmento più dinamico, più
giovane della popolazione, senza il quale difficilmente ci
Giovani ed agricoltura, giovani ed innovazione, giovani
e recupero delle tradizioni. La sfida che questa indagine
si è posta e che verrà esplicitata all’interno del capitolo, è stata quella di affrontare questi aspetti cercando di
occuparsi del tema della cultura della convivenza nella
sua accezione più ampia. Convivenza intesa come capacità di saper promuovere interazione con l’esterno: in
sinergia con l’ambiente, con la comunità di riferimento,
promuovendo uno scambio creativo tra tradizione ed
innovazione, tra ieri ed oggi, tra la conoscenza esperienziale appresa di riflesso sul campo e quella invece
tecnica e formale, accumulata con lo studio e i corsi di
perfezionamento.
Marco Aime, all’inizio del suo saggio intitolato “Cultura”
(2013), sostiene che questa sia la base e l’essenza stessa
della nostra vita, poiché determina l’agire quotidiano di
ognuno di noi, ha modellato i nostri corpi durante l’evoluzione della specie ed è, soprattutto, il fondamento della
nostra sopravvivenza.
dati sulla morfologia del territorio trentino sono consultabili sul sito
www.autonomia.provincia.tn.it/numeri_autonomia/pagina1.html
1
Natura(l)mente
45
2. Società di oggi e di ieri
sarà futuro per questa terra. Nel 2007 erano sessanta le
richieste pervenute alla Fondazione Mach per accedere
al corso di formazione di seicento ore per imprenditori
agricoli. Nel 2013, trascorsi quindi appena sei anni, le domande sono più che raddoppiate, tanto da non riuscire
a soddisfare interamente la totalità di esse. I partecipanti
rientrano tutti in una fascia d’età compresa tra i 18 e i 40
anni, con una presenza femminile che si aggira intorno al
40% e che fa segnare un incremento importante rispetto
al 25% di qualche anno fa2.
Partendo quindi, dal dato esplicito di un interesse crescente verso il settore primario da parte delle giovani
generazioni, abbiamo cercato di comprendere quale sia
oggi l’approccio alla terra e come questo si sviluppi. Si
tratta di un recupero, di un ripristino o piuttosto, quello
che si sta verificando, è un nuovo incipit, un inizio in cui
competenze innovative si fondono con i vecchi saperi in
un’ottica intergenerazionale e multidimensionale?
L’articolo cerca di esplorare, mediante una prospettiva
sociale ed antropologica, il concetto di cultura e di convivenza e, per farlo, si è deciso di ascoltare, le storie di chi
lavora in montagna e nel mondo rurale.
2.1 Il fenomeno dell’urbanizzazione e dell’abbandono
delle campagne
La crisi della montagna, legata allo spopolamento degli
insediamenti alpini e al fenomeno della deruralizzazione,
si accompagna, in modo indissolubile, al tema dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione. Negli anni ‘50 e ‘60 il
clima politico italiano era volto, infatti, a favorire la crescita del settore secondario, a rafforzare l’industria, la quale
era concepita come un motore di sviluppo economico
imprescindibile per promuovere e sostenere il progresso
e l’immagine del “Bel Paese”. In quegli anni la stessa politica agricola europea era intenta a tutelare ed incentivare
prevalentemente gli allevamenti e le agricolture intensive a
svantaggio delle piccole e medie aziende, in una prospettiva che Corrado Barberis ha dipinto come “di divorzio tra
agricoltura e ruralità” (Corti, 2007). Nell’arco di breve tempo, quindi, si è “profondamente modificato l’organizzazione territoriale del contesto produttivo” (Calafati, 2009: 67).
Questa riorganizzazione, come prevedibile, non ha riguardato soltanto il comparto economico, ma ha innescato un
effetto domino che si è riversato in tutte le sfere della vita
sociale: nel modo di intendere il lavoro, la produzione, i
rapporti sociali, nella scansione del tempo e nell’interpretazione del territorio. L’effetto, come sottolinea Zanon, è
i dati relativi al numero delle iscrizioni sono rintracciabili direttamente
al link: http://www.fmach.it/Comunicazione/Ufficio-stampa/ComunicatiStampa/Imprenditori-agricoli.-139-domande-per-64-posti.-Martediparte-il-corso
2
La cultura della convivenza: i giovani e la valorizzazione della terra
46
quello di una demarcazione rapida e netta tra “aree forti”
ed “aree deboli” (Zanon, 2008).
“La campagna, in questo periodo storico, perde la sua
capacità attrattiva, va incontro ad un processo di spopolamento, con tutte le dinamiche e complicazioni che
esso comporta, come la perdita di popolazione giovane
e la mancata manutenzione dei terreni agricoli e montani”
(Zanon, 2008: 40). Per quanto riguarda la città, invece,
si assiste al fenomeno diametralmente opposto, centro
dell’attività economica e luogo in cui si concentra la maggior parte dei servizi e delle infrastrutture, essa rappresenta uno dei principali spazi di confluenza e di ricezione.
A tal proposito Zanon parlerà di “congestione delle aree
urbane” (Zanon, 2008: 92), poiché qui si radica il serbatoio di manodopera funzionale alla produzione, all’industria,
alle fabbriche, con il boom edilizio che va di pari passo a
quello industriale. In sintesi, ciò che si verifica in questo
particolare periodo storico è quello che Revelli definisce
come l’incapacità di concepire una società senza vinti né
vincitori, senza un equilibrio tra le parti (Salsa, 2009: 111).
Gianni Bodini, autore di diverse pubblicazioni sulla cultura
alpina, evidenzia come nonostante il fenomeno dell’abbandono di malghe e casolari, che in alcune regioni ha
assunto le preoccupanti dimensioni di esodo, sia attribuibile ad una molteplicità di cause, “una delle principali
di questa situazione precaria è che da troppi anni ormai
impera la norma di fare e produrre solo ciò che in tempi
brevissimi porta utili considerevoli, ma la natura, la montagna in particolare ha tempi lunghi” (Zucca, 3/1998: 27).
L’attuale congiuntura storico-culturale sembra essere
caratterizzata da un’assoluta ricerca di prevaricazione di
un ambiente sull’altro, in una prospettiva che si qualifica
come antagonistica più che funzionale. Come ci fanno
notare Morazzoni e Scandia, sempre più persone si spostano verso le aree urbane, poiché l’industrializzazione è
“un fattore che spinge la popolazione (abitanti, pendolari
e consumatori di servizi) a trasferirsi (permanentemente o
temporaneamente) nella città o nelle immediate vicinanze” e questo “va ricercato nel modello economico prevalente nelle società avanzate” (Morazzoni, Scardia, 2003:
113). Infondo, spiega Alberto Cecchetto, professore di
urbanistica, è un po’ come se fossimo vissuti “nella convinzione che l’espansione della città fosse un processo
lineare e necessario. La crescita urbana veniva mostrata
come ragione necessaria, ma spesso anche sufficiente,
per la ristrutturazione del territorio” (Cecchetto, 2008: 26).
Il Trentino non è stato esente da questo fenomeno. Infatti
anche le aree agricole e montane trentine sono andate
incontro ad un crescente spopolamento. Complice la
frammentazione dei terreni coltivabili tra gli eredi ed una
legge di successione che non ha favorito l’unità degli appezzamenti, molta della popolazione qui nata e cresciuta
Natura(l)mente
47
ha abbandonato il territorio per scendere a valle e trovare impiego nelle fabbriche o migrare verso regioni e aree
maggiormente industrializzate.
“Nel Trentino, dalla metà degli anni ‘60, si iniziarono a sentire gli effetti dei processi di industrializzazione in corso
nel nostro Paese (…), questi fattori contribuirono in modo
determinante ad avviare quei processi di abbandono della
montagna che negli anni successivi assunsero dimensioni
significative3”. La raccolta fotografica “I villaggi dai camini
spenti”, curata da Alberto Folgheraiter, è una testimonianza viva di quell’inesorabile processo di spopolamento e
di conseguente depauperamento. Nelle valli che convergono sulla Valle dell’Adige, per esempio, non sono rari i
borghi attualmente abitati da una popolazione prevalentemente anziana e da “immigrati” alla ricerca di affitti più
bassi o di una tranquillità ormai introvabile in città. Quelli
presentati nel libro sono contesti erosi, consumati e, pertanto, molto fragili, sia dal punto di vista sociale che economico.
Analogamente, nel corso di una ricerca condotta nel
2006 in quattro comuni del trentino, Michela Zucca ha
potuto constatare come i comuni marginali situati nel territorio provinciale siano paesi contadini di poche centina-
ia di abitanti, la cui condizione rispecchia la crisi di abbandono che gran parte degli insediamenti alpini e rurali
stanno attraversando. Dalle interviste realizzate, emerge
che gli abitanti dei piccoli paesi alpini “sentono” la marginalità, percepiscono l’abbassamento della qualità della
vita e l’aumento del senso di “distanza” dei centri urbani.
Questo per effetto del processo di mutamento culturale
verificatosi durante il passaggio dall’assetto tradizionale a
quello moderno, iter che ha inciso anche sul rapporto tra
comunità e territorio e tra membri della stessa comunità
(Zucca, 2006: 5).
In tal senso, va sottolineato che: “(...) l’impatto della nuova
cultura industriale e metropolitana sul tessuto socio-culturale alpino assume i caratteri di un evento fortemente destabilizzante” (Zucca, 2006: 61). Si assiste quindi all’abbandono dei paesi più isolati anche per il credo diffuso
che “il nuovo sia migliore del vecchio” (Ibidem) e la scelta
urbana, come scrivono Corna e Pellegrini nel testo Esplorando polis, una scelta di libertà (Corna, Pellegrini, 1989).
Ma è davvero così? Il nostro intento è quello di capire se
davvero la libertà sia poco legata ad attività che si reggono sul ciclo delle stagioni e non possa risiedere in uno
di quei borghi dimenticati, la cui sopravvivenza, oggi, è
garantita anche dalle scelte non convenzionali di giovani
donne e uomini, che in questi luoghi e nel loro potenziale
non hanno mai smesso di credere.
3
http://www.museocivico.rovereto.tn.it/UploadDocs/115_art01_baldi.
pdf
La cultura della convivenza: i giovani e la valorizzazione della terra
48
2.2 Tra glocalismo e neoruralismo
Alla luce delle trasformazioni in atto non è secondario
chiedersi quale significato e quali sfumature assuma oggi
il concetto di convivenza. E’ veramente possibile convivere con la tecnologia, con una globalità incessante, senza
tradire le proprie origini e quelle del proprio territorio? E’
veramente possibile, nonostante l’incessante movimento
di capitali, persone e informazioni, dare vita a forme di
economia embedded, pienamente inserite nel contesto
locale?
Se è innegabile che il mondo rurale, con il tempo, si è
aperto ai modelli culturali percepiti come dominanti subendone l’influenza e trasformandosi, è anche vero che
l’agricoltura, senza tralasciare quella di montagna, sta vivendo una rivalorizzazione del mondo contadino tradizionale basata sull’idealizzazione del passato rurale (Champagne, 1977).
Nella prospettiva glocale, il neoruralismo si propone di
recuperare un contatto con la terra, con l’agricoltura e
l’allevamento. Questo avviene frequentemente in maniera
alternativa e dinamica, impiegando a proprio vantaggio
know how e strumenti tecnologici globali per sponsorizzare e vendere i propri prodotti o, ancora, per promuovere
iniziative e attività che qualificano la propria azienda (Salsa, 2009). In un contesto di riappropriazione innovativa
della terra prendono forma economie che l’antropologa
Zucca ha definito identitarie. Tali economie si contrad-
Nella società post moderna4, con la globalizzazione e i
fenomeni della delocalizzazione e deterritorializzazione, le
classiche categorie spazio temporali vengono svuotate
del proprio significato originario per apparire così, oggi,
completamente ristrutturate (Taglioli, 2010: 75). Con l’avvento delle nuove tecnologie, dei flussi globali di persone
e di informazioni che traslano in modo continuo, si affievolisce la demarcazione netta tra globale e locale.
Nella prospettiva attuale tali termini si incontrano, convivono, si fondono. Non sono più elementi mutualmente
esclusivi, in contrapposizione tra loro. Prende forma una
dimensione nuova, chiamata glocalismo (Mander Goldsmith, 1998, Salsa, 2009) in cui “la cultura di molte località si trova così proiettata in un contesto di globalità” (Fabietti, Malighetti, Matera, 2002: 107). Si assiste, pertanto,
ad una contaminazione continua ed incessante tra queste
due dimensioni.
Il postmoderno, l’epoca che tutti viviamo, è un tempo davvero strano.
Dobbiamo pensare, infatti, che se per un verso postmoderno è quell’epoca
nella quale si sono raggiunti obiettivi di modernizzazione inimmaginabili,
almeno fino a pochi decenni fa- compresa la cosiddetta globalizzazione
la quale, oltre a essere ovviamente un fenomeno economico, è un evento
culturale mai prima verificatosi nella dimensioni e qualità attuali- per un
altro verso, postmoderno è anche quel tempo in cui il passato, il locale
e la tradizione sembrano assumere un significato “in eccesso” che forse
mai prima d’ora avevano avuto (Tari, 2003: 7).
4
Natura(l)mente
49
stro intento è stato quello di coinvolgere il più possibile gli
intervistati all’interno del capitolo e di dar voce a persone
“silenziose” che abitano la montagna e che operano in
contesti rurali per molti versi diversificati. Per farlo abbiamo deciso di utilizzare metodi chiamati non standard; nello specifico la scelta è ricaduta sull’intervista semi-strutturata, in quanto questa “si qualifica per essere un tipo
di intervista che unisce la pianificazione alla flessibilità”
(Argenteo, 2001: 87). Essa permette di monitorare un fenomeno sociale senza frenare o limitare eccessivamente i
discorsi dell’intervistato.
Questa metodologia prevede l’utilizzo di una traccia costituita da “una serie di domande formulate sugli scopi conoscitivi che il ricercatore si prefigge, ma allo stesso tempo si
contraddistingue per comporsi di un livello medio di standardizzazione, strutturazione e direttività” (Bichi, 2002: 32).
Ad ogni soggetto intervistato pertanto sono state poste le
medesime domande, questo è tuttavia avvenuto in modo
del tutto flessibile rispetto alle sue risposte (standardizzazione media). L’articolazione dell’intervista è stata adattata
al racconto dell’intervistato (strutturazione media), inoltre,
si è scelto di non precludere la possibilità di introdurre ulteriori tematiche qualora l’intervistato avesse offerto spunti
meritevoli di approfondimento (direttività media).
È molto importante specificare che il campione non è casuale, probabilistico e non ha nessuna pretesa di rappre-
distinguono in quanto recuperano elementi tradizionali,
specifici della cultura locale, mischiandoli all’innovazione
ed alla modernità in modo del tutto inedito, fresco, creativo. Leggere queste esperienze in chiave meramente
economicistica sarebbe, quindi, un grave errore, in quanto esse producono capitale sociale e forme di economia
embedded, ovvero inscritte nei rapporti sociali5 (...) Solo
riscoprendo il proprio patrimonio culturale, riappropriandosene e migliorandolo, coniugandolo con gli stimoli che
provengono dall’esterno, senza negarli in nome di un tradizionalismo conservatore, si riesce ad attingere ad una
fonte pressoché inesauribile di energia, che può portare a
saper progettare il proprio futuro in maniera diversa, creativa” (Zucca, 2006: 88).
3. La metodologia
La metodologia utilizzata è la ricerca azione. Sono stati raccolti dati su piccola scala che ci hanno permesso
di osservare e presentare le esperienze di persone, ragazzi, giovani trentini che hanno deciso di intraprendere
un’attività imprenditoriale in montagna, in campagna o di
collaborare con una di queste nuove realtà nascenti. Il no-
“Polanyi distingue le società in cui l’economia è “cementata” embedded,
nella struttura sociale, da quelle in cui non è così (disembedded), come le
società di mercato” (Tentori, 2009: 78).
5
La cultura della convivenza: i giovani e la valorizzazione della terra
50
sentatività del fenomeno del neoruralismo. L’indagine è
iniziata avvalendosi dei contatti forniti da conoscenti, per
poi continuare con le segnalazioni pervenute nel corso
degli incontri. Il reperimento degli intervistati è avvenuto,
quindi, seguendo il meccanismo dello snow ball, letteralmente campionamento “a valanga” (Bichi, 2008).
Nella conduzione delle interviste abbiamo toccato varie
aree geografiche del Trentino.
Siamo partite un piovoso pomeriggio di novembre 2013
dalla Vallagarina, per poi raggiungere un’innevata Valle dei
Laghi e proseguire nella Valle del Chiese. Successivamente ci siamo addentrate nella “valle degli orti”, la soleggiata
Val di Gresta, per poi raggiungere, nel gennaio 2014, la
zona di Vigo Meano e la Piana Rotaliana.
Oggetto d’indagine sono stati dieci giovani in una fascia
d’età compresa tra i 18 e i 38 anni. Le interviste sono state realizzate nelle loro aziende o nei luoghi di residenza nei
quali queste persone hanno scelto, per ora, di investire,
di ricominciare, di esprimersi attraverso la terra, tramite
l’agricoltura e l’allevamento. Talvolta questo è avvenuto
in maniera più tradizionale, talvolta, invece, sono prevalse
forme più creative, ma il minimo comune denominatore
di queste storie di vita è il forte attaccamento alla terra
e il riconoscersi nei suoi valori. Quello che presentiamo
sarà un ventaglio di esperienze più o meno strutturate. In
alcuni casi si tratta di lavoratori dipendenti, in altri di veri
e propri imprenditori di se stessi. Per alcuni, al momento,
il tutto è ancora un’avventura, per altri invece è già una
scelta di vita.
Con l’utilizzo del corsivo intendiamo dare voce diretta agli
intervistati, riproducendo le loro espressioni, gli intercalari
e, talvolta, le forme dialettali utilizzate nei dialoghi.
Come vedremo, nelle dieci storie che abbiamo raccolto,
la montagna può essere vissuta in diverse forme; può
essere un rifugio in cui essere liberi, come per Gabriele; una casa dove continuare a vivere, come per Moira,
Massimo e Lorenzo; un ambiente dove stabilirsi come per
Aghitu, Maurizio e Margherita; un luogo dove poter vivere
un’avventura lavorativa estiva come Daniele o, ancora, nel
caso di Eleonora e Giulio, una possibilità per trarre, dalla
tradizione familiare e locale, degli strumenti innovativi, per
affermarsi e crescere con ed oltre il proprio territorio.
Dieci storie di giovani, ragazzi, donne e uomini che hanno
avuto coraggio, se così si può definire, che stanno andando controcorrente per inseguire una passione. Passione
per la natura, per gli animali o più in generale per la montagna e la campagna.
Le storie raccolte, i percorsi di vita che abbiamo avuto
l’opportunità di conoscere, ci sono serviti per comprendere maggiormente il fenomeno del neoruralismo, per
capire quelle che sono e che potrebbero essere le difficoltà, gli ostacoli, gli impedimenti, ma anche le ragioni, le
Natura(l)mente
51
soddisfazioni e i punti di forza che una scelta di questo
genere comporta. Spesso ciò che nell’immaginario collettivo appare come una scelta bucolica, controcorrente,
improvvisata, è in realtà l’esatto opposto: molto faticosa,
organizzata e ricca di ostacoli.
3.1 Le dieci interviste: breve presentazione dei protagonisti
In quanto portatori di idee e know how non necessariamente vincolati ad un sapere e ad un agire tradizionale,
non sempre i giovani vengono valorizzati o considerati
da adulti ed anziani; anche Michela Zucca nel suo report
(2006) scrive “(...) i ragazzi, o adottano valori e comportamenti degli anziani o vengono isolati e dissuasi alla partecipazione alla vita attiva del paese” (Zucca, 2006: 70).
Gabriele Floriani, giovane pastore ventitreenne originario di Martignano (Trento) che ha conseguito il diploma
in qualificazione professionale agricola all’Istituto agrario
di San Michele all’Adige (attuale Fondazione Edmund
Mach), racconta di aver appreso molto poco a scuola
di quello che a lui interessa veramente: l’ovinicoltura. Le
pecore sono la sua passione fin da piccolo, è da quando ho 12 anni che a casa ci sono le pecore, ora invece
fa il pastore di transumanza6. Gabriele ritiene che la sua
sia una passione iscritta nel sangue, il suo bisnonno era
infatti commerciante di bestie, mentre il nonno ha gestito un macello e una macelleria e, nonostante il lavoro in
banca, anche il padre conserva la passione per gli animali. Secondo Gabriele è quindi la sua storia famigliare
e questa eredità, ad averlo influenzato nella sua scelta
attuale. Mentre ascoltiamo i suoi racconti e i suoi ricordi
dell’Adige 6-7000 (così ci racconta Gabriele). Per capirsi i pastori su
grande distanza una volta elaboravano linguaggi particolari per parlarsi
fra loro, ora Gabriele ci racconta che sa tutto di tutti tramite il cellulare,
mentre le pecore pascola tu non sai cosa fare e allora telefoni e ti tieni in
contatto (passo Bordala, 14.11.2013).
La transumanza è proprio nel medioevo che si sviluppa, anche se ora
è poco praticata. Dal Trentino passano circa 30 mila pecore e nella Valle
6
La cultura della convivenza: i giovani e la valorizzazione della terra
52
osserviamo le sue pecore, ci riporta inoltre due aneddoti
particolari della sua infanzia: quando scappava dall’asilo
per correre in stalla dalle sue amate pecore, e quando a
soli quattro anni, andando con la mamma a visitare l’Istituto Agrario di San Michele, ha compreso che quella sarebbe stata la scuola che avrebbe voluto frequentare da
grande. In realtà, dato che presso l’Istituto Agrario di San
Michele si studia prevalentemente zootecnia bovina, tutte
le conoscenze utili per svolgere questo impiego sono state apprese da Gabriele lontano dalle mura scolastiche, sul
campo, attingendo ad un sapere tradizionale mai estinto.
Dato che, come sottolinea Aime, “(...) la tradizione viene
appresa, e non ereditata geneticamente” (Aime, 2013:
76) per tre anni il suo punto di riferimento professionale
è stato un anziano pastore, il quale, una volta andato in
pensione, gli ha venduto il suo gregge. Gabriele ci accoglie in un prato sopra Castellano, località vicino al passo
Bordala, dove troviamo, all’interno di un recinto, le sue
pecore, la maggior parte delle quali ci dice essere di razza
bergamasca biellese (in tutto ha 450 tra pecore, capre,
agnelli ed asine). Per prima cosa Gabriele ci offre un caffè.
Ci siamo immaginate che all’interno della macchina avesse una thermos, ma allontanandosi con il suo pick-up ci
dice: mi aspettate qua due minuti vado a prendere la mia
casa e sparisce lungo una stradina sterrata. Pochi minuti
dopo ritorna trainando un rimorchio per cavalli: ecco la
sua casa. All’interno ha creato un letto su misura, oltre
ad una panca c’è un asse dove è appoggiato un fornelletto a gas: non potevamo immaginare che tutto ciò di cui
necessitasse una persona potesse essere contenuto in
un rimorchio per cavalli. Ti arrangi con quello che hai....
Ho tutto qui e una volta alla settimana rientro a casa a
Martignano per lavare le cose e riprendermi quelle pulite
(Passo Bordala, 14.11.2013).
Conclusa l’estate, periodo in cui alpeggia nella malga
Roncher, situata nel comune di Cavedine, Gabriele inizia
quello che è solito definire il suo giro. Parte dal monte
Bondone, per poi attraversare alcuni paesini e località
come Garniga, Cei, Castellano, passo Bordala, Santa
Barbara, Aldeno, Lavis e scendere verso Verona. Successivamente prosegue verso sud, per giungere in primavera
sul Po. Questo è il percorso che Gabriele compie durante
l’anno, da ben tre anni, in compagnia solamente delle sue
pecore. Gli spostamenti sono condizionati dal pascolo,
quindi, una volta che gli animali hanno brucato tutta l’erba
disponibile nell’area, Gabriele decide che è arrivato il momento di spostarsi e di rimettersi in cammino.
“Essere nomadi non significa solamente muoversi continuamente, ma anche vedere il mondo in funzione del
movimento, percepire lo spazio e il tempo secondo modalità legate allo spostarsi (…) l’uomo non vive solo in un
habitat naturale, ma anche in un contesto sociale, fatto di
Natura(l)mente
53
relazioni e di eventi, che naturali non sono (Aime, 2013:
51)”.
Questo è un lavoro che lo gratifica molto. Oltre alla passione per gli animali è appagato dalla libertà che respira,
non cerca il lusso e ci dice: “sono sempre stato abituato
ad accontentarmi con poco”. Gabriele conclude l’intervista affermando: ho scelto questa vita e devo andare
avanti, non posso permettermi di tornare indietro, devo
essere sicuro per poter tornare indietro. Adesso è uscito
il bando per la gestione di malga Brigolina sopra Candriai,
con questo lavoro lavorerei tutto l’anno. Comunque non
so se cambierei, non saprei dirvi.
In una fredda giornata nevosa ci siamo inerpicate fino a
Margone, frazione di Vezzano (Trento), dove, come ci mostra il cartello posto all’inizio del piccolo abitato, “il silenzio
è un bene prezioso”. Qui abbiamo incontrato Margherita
Menestrina, 26 anni, studentessa di Scienze della Formazione all’Università degli Studi di Verona che, tre anni
fa, ha dato vita all’associazione “Basto io e l’asino”. Margherita è molto soddisfatta del suo percorso universitario,
ma al fine di trasformare la sua passione per gli animali
in una professione da mettere a servizio delle persone,
ha parallelamente frequentato il corso biennale per imprenditore agricolo presso l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige. Conclusa quest’esperienza ha scelto di non
fermarsi e di continuare a specializzarsi investendo in altri
corsi professionalizzanti frequentati in provincia di Trento,
in Emilia Romagna e in Umbria. Quella di Margherita è
un’azienda che tenta la strada della multisettorialità. Sebbene il suo sia infatti un progetto relativamente recente,
Margherita cerca di proporre un insieme di attività eterogenee, diversificate. Agli inizi si è concentrata prevalentemente sul trekking con gli asini realizzati per gruppi e famiglie, ma in un secondo momento ha deciso di integrare la
sua offerta di servizi con attività educative svolte in fattoria
didattica. Margherita non ha dubbi: l’asino è l’animale
ideale, non c’è un animale migliore, è un animale molto
La cultura della convivenza: i giovani e la valorizzazione della terra
54
a Valfloriana, comune ubicato nell’estremità sud orientale
della Val di Fiemme. Tramite un social network abbiamo
contattato Daniele Tabarelli, un giovane ventenne di
Noarna, frazione di Nogaredo (Trento), che da tre anni ha
deciso di lavorare nel periodo estivo presso la malga che,
fin da piccolo, frequentava con i genitori. A tredici anni
Daniele aveva già le idee chiare sul proprio futuro e, determinato, ha deciso di allontanarsi dalla famiglia e dai suoi
affetti per iscriversi ad un corso di zootecnica e caseificazione a Orzivecchi (Brescia). “É tosta, ma aiuta stare via
(…)”. Nel 2008 ha svolto la sua prima stagione, da giugno
a fine settembre “mi occupavo della mungitura, portavo
le vacche al pascolo, pulizia della stalla, fare il fieno ... e il
empatico, sente benissimo quello che senti tu, in base a
questo devi improntare la tua relazione con lui. È adatto
per i bambini perché è di una misura della loro altezza, lo
puoi vedere direttamente negli occhi (...) c’è interazione al
100 per 100 (Margone, 22.11.2013).
Qualche tempo fa ha ottenuto dal Comune di Vezzano
la gestione di una piccola malga con capre e pecore,
collocata tra le frazioni di Ranzo e Margone. Margherita
vorrebbe arricchire l’offerta della struttura realizzando un
laboratorio multifunzionale adibito alla produzione di formaggi, marmellate e preparati di frutta da affiancare all’allevamento ovicaprino. É sempre stato quello che avevo
in mente, unire il discorso aziendale agricolo con la didattica. (…) Per vivere di agricoltura devi avere un’azienda
multisettoriale, devi offrire una gamma di cose. Durante
i trekking l’asino trasporta il materiale necessario all’escursione, così facilita il cammino rendendolo più leggero
e piacevole e guida il gruppo con il suo lento incedere,
dando la possibilità di assaporare più profondamente il
paesaggio e la natura che ci accoglie.
Leggendo un articolo uscito qualche tempo fa su un quotidiano locale (L’Adige, 17.06.2012) siamo venute a conoscenza della giovane gestione di Malga Sass7, situata
www.malgasass.com
7
Natura(l)mente
55
formaggio, mi svegliavo alle cinque, mi preoccupavo delle
vacche, gli davo il fieno, le mungevo ... poi facevo colazione e le portavo al pascolo, ogni giorno in un posto diverso, pulivo la stalla e poi ... andavo in paese al caseificio ...
poi lavoravo tutto il pomeriggio. Non c’è la domenica, si
lavora sette giorni su sette ... senza passione non si può,
con la passione non si fa fatica ... È una bella esperienza,
è un orgoglio ... sento che faccio qualcosa di importante
perché non è facile accudire degli animali, io non riuscirei
mai a lavorare in ufficio (Rovereto, 01.12.2013). Daniele ci
racconta che la malga, così come l’agriturismo adiacente,
è gestita solo da giovani, tutti di un’età non superiore ai 24
anni. La malga è monticata da 40 vacche di razza grigia
alpina, 100 manze, 15 cavalli e alcuni maiali. Sottolinea
come l’esperienza maturata in Malga Sass rappresenti
per lui un’occasione di formazione e crescita che potrebbe portarlo a realizzare il suo grande sogno, ossia gestire
in proprio una malga e l’alpeggio. Il mio sogno è avere
un’azienda mia, ma è un po’ dura perché... i costi iniziali...
è un po’ una botta (Rovereto, 01.12.2013).
di Gresta, da non confondere con l’adiacente Nomesino.
Aghitu ha pulito e sistemato un’area terrazzata di dieci
ettari estirpando arbusti e tagliando alberi che negli ultimi
anni avevano invaso l’area un tempo agricola. La ragazza
ci mostra la struttura coperta per il riparo del bestiame,
una per la mungitura ed alcune mangiatoie che lei stessa
ha costruito con il solo utilizzo di materiale di recupero,
grazie all’aiuto del Comune di Mori che le ha concesso in
affitto il terreno. Aghitu sottolinea che i suoi animali, circa
cinquanta capre di razza camosciata8 e pezzata moche-
Nel corso di una mattina soleggiata abbiamo percorso la
Val di Gresta alla ricerca delle capre di Aghitu Idea Gudeta, trentacinquenne, etiope di nascita che ora abita a
San Felice. Nei primi mesi del 2013 ha portato le sue capre a vivere a Nomesom, una frazione di Manzano, in Val
Chiamata così per il colore come il camoscio
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La cultura della convivenza: i giovani e la valorizzazione della terra
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na, crescono liberi e non siano messi sotto sforzo con
l’obiettivo di aumentare la produzione di latte. Si segnala,
a tal proposito, come proprio al fine di incentivare e sostenere l’allevamento caprino sia stato istituito Alpinet gheep9, progetto comunitario di cooperazione transfrontaliera
che vede coinvolti, oltre alla Provincia autonoma di Trento,
ente capofila, sedici partners di altre regioni dell’arco alpino10. Nel corso dell’intervista, mostrandoci il suo lavoro,
ci racconta di come abbia scelto di adottare il pascolo a
rotazione. Avvalendosi di recinti temporanei delimita pic-
cole superfici nelle quali le capre rimangono circa venti
giorni, una volta trascorso questo lasso temporale, queste vengono spostate per operare una corretta gestione
dei prati e degli arbusti, che rispetti il cotico erboso ed
impedisca il diffondersi di specie invasive. Aghitu ci spiega
che prima del suo stanziamento il bosco stava avanzando, inesorabilmente, è stato quindi necessario intervenire
sistemando la strada e bonificando alcune aree, un lavoro
non indifferente, durato alcuni mesi. Tra il suo ambiente,
a contatto con i suoi animali, Aghitu si lascia andare alle
narrazioni, alle vere motivazioni che l’hanno portata ad
investire concretamente nel suo rapporto con la terra e
con gli animali Io sono cresciuta con le capre, per me era
difficile non averle, mi mancava il prodotto, così ho deciso
di comprarmi una capra per il latte e per farmi il formaggio, e ora mi trovo con cinquanta capre. L’allevamento
della capra è un’attività con un basso impatto ambientale, anche per quello le piace. Ci spiega che ogni anno
aumentano i capi ed io regalo il latte per farlo assaggiare
alle persone alle quali poi piace molto e così finisce che
vogliono comprarmelo, perciò ho pensato di fare il laboratorio ed ho deciso di frequentare i corsi di formazione
a San Michele. Ho anche girato per l’Italia e l’Europa per
prendere spunti, capire meglio e formarmi, ho fatto diversi
corsi sull’allevamento delle capre e dei loro trasformati,
inoltre mi sono iscritta all’associazione per allevatori che
Il progetto ALPINET GHEEP è un progetto interregionale di sostegno e
promozione del settore ovicaprino nell’arco alpino ed è stato sviluppato
nel corso di vari incontri, organizzati in occasione di manifestazioni, fiere
e convegni fra i responsabili delle varie associazioni di allevatori ovicaprini,
esperti di istituti di ricerca e funzionari delle amministrazioni regionali
(http://www.alpinetgheep.org/progetto.aspx?L=ITA )
10
Le principali attività previste dal progetto sono: la raccolta e la
condivisione dei dati riguardanti il settore ovi-caprino, con particolare
riferimento alle razze presenti nell´area alpina ed alla salvaguardia del
patrimonio genetico esistente; lo sviluppo di strategie transnazionali per
il rafforzamento socio economico del settore, interessando le produzioni
di carne, latte e derivati, lana e prodotti artigianali; la programmazione
di azioni informative, anche in concomitanza di eventi fieristici, per far
crescere la consapevolezza sul contributo della pastorizia all´equilibrio
ambientale, promuovendo il suo valore sociale e le attività ad essa
collegate; l’individuazione e restituzione su base cartografica delle aree
e delle strutture utilizzabili per la pastorizia e definizione di manuali di
buone pratiche per l´allevamento; l’organizzazione di attività promozionali
e formative finalizzate ad accrescere le possibilità di mercato e la
competitività dei prodotti (http://www.trentinoagricoltura.it/it/SC/2029/
Ovicaprini.html )
9
Natura(l)mente
57
radicali trasformazioni, «è cambiato il modo di vivere, è
diventata una valle di pendolari, la gente parte la mattina
e torna la sera. Qui restano gli anziani e quei pochi giovani
che fanno i contadini a tempo pieno. Basta guardare i
campi, molti ormai sono tornati incolti.» Ma come? Non
era questa la dispensa agricola che, nel 1971 aveva fornito ai giornali spunti per articoli del tipo patate e carote,
petrolio della Val di Gresta? (Folgheraiter, 2011: 13).” L’orticoltura della valle, un tempo florida e redditizia, è andata
incontro negli anni ad una lenta svalutazione.
Aghitu ci racconta che fino a qualche anno fa si assisteva
ad un forte abbandono del territorio, ora invece si cerca
di contrastare lo spopolamento attraverso l’erogazione di
contributi per sostenere nuove iniziative; tra queste c’è infatti l’obiettivo di convertire tutta la valle al biologico (obiettivo del protocollo di intesa per l’attuazione del “Progetto
di valorizzazione territoriale del distretto biologico della Val
di Gresta”, sottoscritto tra la Provincia Autonoma di Trento,
la Comunità della Vallagarina, i comuni di Ronzo Chenis,
Mori ed Isera, il comitato Mostra Mercato, il consorzio Ortofrutticolo Val di Gresta e Trentino Sviluppo ) e creare varie
iniziative per promuoverlo, molti agricoltori adottano già il
biologico da anni mentre altri non sono ancora convinti
che sia la scelta migliore. Si vuole adottare un regolamento
che metta dei vincoli importanti come ad esempio invertire
l’obbligo delle protezioni, l’onere di realizzare le siepi deve
trovo molto utile per avere un confronto con altri colleghi
(Manzano, 28.11.2013).
Precedentemente Aghitu teneva le capre in un’altra zona
del Trentino, nel comune di Trambileno. Ci racconta che,
forse anche perché si è sempre occupata autonomamente degli animali, in questi anni ha sempre riscontrato
grande solidarietà da parte delle persone del posto, che
le hanno offerto i loro prati per il pascolo e l’hanno aiutata
nella costruzione dei recinti. Rispetto all’allevamento in Val
di Gresta l’agricoltura è più sentita ed importante per l’economia della zona, anche grazie alla presenza del Consorzio Ortofrutticolo che sostiene l’attività dei contadini e
promuove diverse iniziative legate al territorio. Quest’anno, ci spiega, l’hanno contattata e coinvolta per la manifestazione “Cammina grestana11”. In quell’occasione ha
tenuto una dimostrazione per i bambini sulla produzione
di formaggio di capra. Il consorzio sta lavorando anche
ad altre iniziative, ma in questa valle purtroppo c’è poco
turismo, e non si fa abbastanza promozione, come ad
esempio è avvenuto negli anni passati in Val di Non con la
mela che ora viene esportata anche all’estero.
“Come nelle altre comunità della periferia trentina, negli
ultimi decenni del secolo la Val di Gresta aveva subito
Camminata a tappe di 10 km per scoprire sapori unici e saperi della
tradizione contadina antica
11
La cultura della convivenza: i giovani e la valorizzazione della terra
58
spettare a chi adotta un’agricoltura intensiva, non come
accade ora che è a carico del contadino che coltiva con il
metodo biologico. Per il “Distretto biologico” sono previsti
dei contribuiti, anche se non sono confermati al 100 per
100, che sono importanti per coinvolgere il maggior numero di contadini,12 invogliare e fare rete; il consorzio dovrebbe aiutare nel creare nuove idee per la commercializzazione dei prodotti e fare pubblicità, altrimenti i terreni saranno
destinati inevitabilmente ad essere ancora abbandonati.
Nel 2014 Aghitu vorrebbe aprire il suo laboratorio di caseificazione includendo anche la didattica, per mostrare il
“percorso del latte” ai bambini. Ritiene che il futuro della
sua azienda debba essere legato ad un’ottica di multifunzionalità, caratteristica necessaria per integrare il reddito.
nali lavora alla pista di pattinaggio per poter disporre di un
reddito aggiuntivo da investire nella sua azienda.
A dicembre ha vinto il primo premio come miglior azienda
innovativa “Non solo agricoltura” Oscar Green15 2013; la
sua è stata scelta come unica realtà a rappresentare il
Trentino in Italia.
Moira si è laureata in Scienze della Comunicazione, corso
Relazioni Pubbliche presso la IULM e per anni la sua vita è
In un pomeriggio di sole nel mese di dicembre siamo arrivate in località Pineta, alla pista di pattinaggio di Fiavè
dove abbiamo incontrato Moira Donati13, 33 anni che
vive in Val Lomasona, nella frazione di Vigo, una località
nei pressi di Comano Terme. Dal 2009 Moira è proprietaria dell’azienda agricola AgriLife14 e durante i mesi inver-
e dell’allevamento. Per le rimanenti coltivazioni l’azienda segue il regime
convenzionale.
15
www.oscargreen.it Oscar Green è il concorso promosso da Coldiretti
Giovani Impresa per valorizzare e dare spazio all’innovazione in
agricoltura. I giovani di Coldiretti premiano chi sa mantenere le proprie
radici, con lo sguardo rivolto al futuro.
In questi vent’anni si stimano oltre 60 ettari abbandonati (Terra
trentina, nr. 5 anno LVIII, p.20)
13
http://agriasilife.it/
14
L’azienda è iscritta come operatore biologico per la parte delle piante
officinali, della coltivazione di fragole in suolo, del foraggio (prati e pascoli)
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stata tra Feltre e Milano. Poi, ancora prima di concludere
l’Università, ha trovato lavoro presso la Provincia autonoma di Trento nel settore risorse umane, presso Informatica Trentina, società per la quale ha lavorato sette anni.
Nel 2009 ha deciso di lasciare un impiego a tempo indeterminato per dedicarsi alla sua passione: l’agricoltura.
Ci racconta che il lavoro d’ufficio “le era stretto”, così ha
deciso di licenziarsi. Era da anni che valutavo la scelta, ci
stavo pensando in quanto provengo da una famiglia agricola, mio padre un tempo aveva le mucche ed abbiamo
una campagna e diversi terreni di mio nonno, e ho una
grande passione. Da piccola stavo sempre in campagna,
ma fare questa scelta è stato un bel salto nel vuoto. Ho
iniziato l’avventura continuando a lavorare a Trento con
pochi animali, poi mi sono detta: o rimango fossilizzata
in questa vita o cambio completamente, così ho aperto
partita i.v.a. Agricola (Fiavé, 02.12.2013).
Prima di frequentare il corso all’Istituto Agrario di San Michele per ottenere il brevetto agricolo e per aprire la fattoria didattica ha frequentato un master presso l’Università
degli Studi di Pisa sulla qualificazione ambientale, intanto
che lavoravo a Trento, iniziavo già ad entrare nell’ottica di
affrontare le tematiche ambientali.
L’azienda di Moira collabora con l’Università di Padova
per la creazione di cosmetici realizzati con il latte d’asina. All’inizio avevo solo un paio di asini e volevo fare
un’attività innovativa, diversa da quello che c’è qui in
zona, dove si trovano grandi allevamenti intensivi di vacche (forse più adatti alla pianura padana che alle zone
di montagna), coltivazioni di patate, mais e mele. Moira
ha voluto recuperare il pascolo, aprire la porta della sua
attività al pubblico per mostrare il lavoro ed il servizio che
rende alla montagna. Intende proporre attività differenti
da quelle diffuse in zona valorizzando il lavoro dell’impresa artigianale. Ha una passione per gli asini ed è molto
affezionata ai suoi. Ricorre a questi dolci equidi per varie
attività, come la produzione di latte16, il trekking, l’onoterapia, la pulizia ed il recupero di prati invasi da cespugli
ed arbusti. Li conduce, inoltre, in alpeggio nella malga
Blestone, a 1200 metri di quota, che per sei anni ha preso in gestione. Moira ha scelto di allevare l’asino perché
si è affezionata al tipo di animale, all’inizio ne avevo una e
La possibilità di impiego del latte di asina non si limita al solo campo
pediatrico, infatti questo prodotto guadagna sempre più consensi
anche nell’alimentazione geriatrica e nella cosmesi. La composizione
biochimica di questo latte caratterizzata dalla presenza di siero, proteine,
biopeptidi attivi, acidi grassi come il linoleico e linolenico appartenenti
alla classe omega 3 e omega 6 e grandi quantità di lattosio, lo rendono
particolarmente adatto a questi impieghi. Le quantità medie di latte
ottenute ad ogni mungitura possono variare dai 300 ai 750 ml con picchi
di 1200, 1500 ml in relazione alla mole e al periodo di mungitura dell’asina.
Il latte d’asina è un nettare raro: la madre di un asinello produce latte per
circa 6 mesi - solo se il piccolo si trova nel suo campo visivo - e si può
prelevare circa 1 litro di latte al giorno per ogni singolo capo in modo
tale che non ne risenta la crescita del puledrino (www.rivistadiagraria.org)
16
La cultura della convivenza: i giovani e la valorizzazione della terra
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nei suoi trasformati17, perché le interessa usare solo ingredienti da lei prodotti. Ai visitatori l’azienda offre la possibilità di visitare un piccolo orto botanico in cui sono coltivate le piante officinali ed i bambini possono partecipare
a laboratori tipo “caccia alle erbe”. Collabora, inoltre, con
l’ecomuseo delle Valli Giudicarie18, l’APT (Azienda Provinciale per il Turismo) e con diversi alberghi della zona,
proponendo attività ai turisti durante il periodo estivo. I
suoi studi di comunicazione le stanno servendo molto
per pubblicizzarsi e farsi conoscere.
vedevo che è un animale facile da gestire con terzi e più
avvicinabile rispetto al cavallo. Per studiarlo meglio ho
frequentato altre realtà nel sud Italia, perché qui da noi
non è molto utilizzato e considerato, non è tradizionale.
Ora ne ha trenta, ma le piacerebbe arrivare a cinquanta.
Coltiva inoltre piante officinali che usa con il latte d’asina per la sua linea di cosmesi naturale; ci racconta che
ha più di dieci mila stelle alpine e piante di arnica che
raccoglie completamente a mano. Con le piante officinali essiccate produce decotti ed infusi alla frutta, linee
di confetture con piante aromatiche, succhi di mela con
piccoli frutti, brulé di mele, sciroppi con piante aromatiche e mele essiccate e vende il tutto sia in azienda,
siadurante sagre e mercatini. La merce viene distribuita
inoltre ai consorzi, agli agriturismi, alla famiglia cooperativa, in alcuni negozi di erboristeria, in centri estetici e
online. Ora Moira desidera puntare anche ad altri negozi
perché ha intenzione di ampliare il suo bacino di clienti in
zone limitrofe a Comano Terme. Oltre alle iniziative sopra
citate, sperimenta la coltura di un’antica varietà di fragola
che vende direttamente in azienda e del mais, distribuito unicamente presso altre aziende agricole. Nel corso
dell’intervista sottolinea più volte che la sua è una piccola
azienda in cui tutte le fasi di lavorazione avvengono manualmente. Moira infatti munge, raccoglie, essicca, trita
(...) le sue piante officinali ed il latte d’asina, che utilizza
Dopo aver salutato Moira e aver attraversato San Lorenzo in Banale ci siamo addentrate tra prati e boschi lungo
una stradina sterrata che ci ha condotto fino alla chiesetta della Madonna del Caravaggio di Deggia, dove, pochi
metri a valle, abbiamo incontrato Maurizio Cattafesta.
Maurizio, trentaquattrenne con una formazione da grafico
alle spalle, gestisce con il fratello minore Lorenzo “Athabaska”19, azienda che si occupa di dogs-ledding20 e fattoria. I due possiedono infatti 41 Alaskan Husky, che sono la
loro passione, 12 lama impiegati nei trekking e nella fatto Anche se vengono poi lavorati da altri.
www.ecomusei.trentino.it/
19
Nome della tribù indiana che selezionò molte delle razze di cani adibiti
oggi all’accompagnamento con slitta. http://www.athabaska.info/
20
Con tale espressioni si indicano escursioni con le slitte trainate dai cani
17
18
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dell’azienda, ha introdotto l’allevamento degli animali sposando a pieno i valori della filiera corta… dove l’animale
dia un prodotto, ma non venga macellato, riesci ad avere
ancora la monta con il toro, la gallina che cova il pulcino...
son tutti animali liberi, a fare un ciclo completo (Deggia,
02.12.013).
In estate e in inverno organizza trekking con i lama ed i
cani, mentre in primavera l’azienda apre le porte alle attività didattiche per le scuole, in questo modo identificare
l’azienda come unica diventa difficile...perché da una passione al lavoro devi frammentare il lavoro tutto l’anno. Abbiamo cercato di dividere il lavoro in tante parti dell’anno,
tanto, con quaranta cani al mare non ci vai molto (ride)...
quindi si è cercato di frammentare l’attività nelle tante parti
dell’anno...nessuna da sola ti darebbe da vivere...(Deggia,02.12.2013). Maurizio evidenzia come a tanti turisti
provenienti da aree urbane medio-grandi, il suo modo di
vivere appaia strano, eccentrico ma, al contempo, rileva
un cambiamento nel clima culturale e sociale attuale, che
pare alimentare una nuova consapevolezza: c’è un’attenzione maggiore... il concetto della decrescita oggi ha una
necessità. Specifica comunque come le differenze culturali siano ancora forti e, in Italia, questo nuovo modo di
vivere il territorio e di proporlo è ancora in una fase embrionale … io ho portato un lavoro che in Italia non c’era...
non c’era neanche la testa per il lama trekking....mi sto
ria per lavorazione della lana (tosatura, cardatura e feltro),
4 alpaka, e poi pecore, mucche, asinelli, maiali thailandesi, conigli e porcellini d’India. Maurizio è salito in slitta
per la prima volta da ragazzo e se ne è innamorato. Oggi
sono dodici anni che lavora con gli Alaskan Husky e da
sette ha comprato casa a Deggia. Maurizio non proviene
da una famiglia agricola, ci tiene a precisare che le sue
radici affondano nel turismo, Io vengo dal turismo più che
dall’agricoltura... poi con la slitta ho fatto anni di turismo...
Ero appassionato di lama, li avevo visti a Macerata, Grosseto, Arezzo, poi ho girato un sacco di allevamenti fino
ad arrivare in Alto Adige sul Renon. Solo in un secondo
momento, al fine di integrare e destagionalizzare l’attività
La cultura della convivenza: i giovani e la valorizzazione della terra
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mettendo d’accordo con tour operator tedeschi perché
certi tipi di montagna farla vivere agli italiani è difficile...
(ride) poi la mucca la guardano sul tablet.
Una domenica pomeriggio siamo ritornate in Val di Gresta, precisamente a Manzano, un luogo non troppo distante da Aghitu e dalle sue capre, per farci raccontare
l’esperienza di Massimo Vettori, ventisettenne operaio
alla Pama di Rovereto che vorrebbe diventare contadino di professione, ma che per ora è agricoltore iscritto
alla sezione seconda21. Massimo ha studiato alle scuole
professionali Veronesi di Rovereto e ha trovato lavoro in
fabbrica, nel tempo libero, tuttavia, si dedica alla campagna di famiglia, che fin dai tempi della scuola aiutava a
coltivare nei pomeriggi e durante i fine settimana. Ora, a
causa della crisi, lavora a settimane alternate e così riesce a coltivare maggiormente la sua grande passione assieme alla famiglia. Ci racconta un po’ dispiaciuto di non
disporre di sufficiente terreno di proprietà per poter vivere
esclusivamente di agricoltura e di aver così preso in affitto
o in concessione gratuita alcuni campi nella zona. Massimo coltiva un po’ di tutto: patate, porri, carote, radicchio,
verze, cavolo cappuccio, rape, pan di zucchero, finocchi,
perfino i kiwi, di cui è unico produttore nella zona. Fino allo
http://www.trentinoagricoltura.net
21
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scorso anno conferiva il suo raccolto al Consorzio Ortofrutticolo Val di Gresta, invece dal gennaio 2013 ha scelto
strategie alternative per allocare i frutti del suo lavoro. La
decisione di Massimo deriva dal fatto che a suo avviso utili
annuali troppo bassi rendono difficile compensare gli elevati costi di produzione. Le non irrisorie spese di gestione
obbligano, d’altro canto, il consorzio a rincarare i prezzi
sul mercato e a pretendere un’illusoria perfezione del prodotto conferito. Data la situazione, in questi anni, diversi
agricoltori della zona hanno abbandonato il consorzio,
tanto che c’è chi smercia gli ortaggi perfino fuori regione,
a Padova e Brescia invece che a Ronzo. Ora Massimo
vende la frutta e la verdura da lui prodotta ad un negozio
biologico di San Giorgio e ad un Gruppo di Acquisto Solidale di Trento. Loro non si lamentano se quest’anno le
patate sono piccole (Manzano, 15.12.2013).
che presenti sul territorio provinciale. Lorenzo ha ottenuto
la qualifica di falegname e, una volta terminati gli studi, ha
lavorato per dieci anni come dipendente in varie falegnamerie della provincia. Da quattro anni ha deciso tuttavia di
seguire la sua famiglia ed aiutarla nella gestione dell’agriturismo, di loro proprietà dal 1999. La famiglia Brugnara
ha intrapreso la sua avventura nel mondo della ristorazione acquistando un appezzamento di circa due ettari con
una casa, quella dove tuttora vive ed ha realizzato l’agriturismo. Dopo aver lasciato il precedente impiego, Lorenzo
ha deciso di investire sulla formazione frequentando sia il
corso della durata di due anni per imprenditore agricolo,
grazie al quale ha approfondito soprattutto la legislazione che regola l’impresa agricola e le basi per gestire la
contabilità aziendale, sia il corso biennale per operatore
agrituristico. I terreni di Lorenzo possono essere suddivisi
in tre zone, una piccola parte viticola coltivata con il metodo tradizionale, la cui uva viene conferita alla Cantina
di Lavis, una parte coltivata ad ortaggi ed un’altra parte
coltivata a piccoli frutti, alcuni dei quali vengono venduti al
dettaglio. Un ulteriore appezzamento è dedicato alle erbe
officinali, che coltiva la madre di Lorenzo. Tutti i prodotti, ad eccezione dell’uva, vengono utilizzati in cucina per
realizzare i piatti proposti nel menù, perché, come sottolinea Lorenzo, in agritur bisogna essere capaci di fare di
tutto e tutti facciamo tutto, non abbiamo dipendenti; per
Il 13 gennaio 2014 abbiamo incontrato Lorenzo Brugnara, trentunenne di Vigo Meano e titolare da due anni
dell’Agritur alle Gorghe, che dista undici chilometri dal
centro città di Trento. Lorenzo fa parte del consiglio di
amministrazione per la zona Trento/Valle dei Laghi dell’associazione “Agriturismo in Trentino22”, unica realtà italiana
che raccoglie più di trecento agriturismi e fattorie didatti http://www.agriturismotrentino.com/
22
La cultura della convivenza: i giovani e la valorizzazione della terra
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questo la sera veste i panni da cuoco e prepara lui stesso
le pietanze con i prodotti che ha coltivato. Lorenzo ci ha
raccontato come gli agriturismi debbano rispettare una
normativa molto rigida in materia di genuinità alimentare.
Va infatti assicurata la connessione e la complementarietà
dell’attività agrituristica con quelle agricole, in relazione al
rapporto tra ore di lavoro medie annue dedicate all’attività
agricola e all’attività agrituristica.
Non essendo l’agriturismo localizzato in una zona turisticamente molto rilevante in questi anni, per promuovere
l’attività, è ricorso a cartelloni pubblicitari affissi sugli autobus, ad annunci radiofonici e social networks. Riesce ad
incrementare i suoi contatti anche tramite l’associazione
degli agriturismi e grazie ai commenti dei clienti soddisfatti postati sul famoso portale web di viaggi Trip Advisor.
Lorenzo ha inoltre pensato di ideare serate con eventi
musicali dal vivo e di degustazione con un produttore di
birre locali. Afferma che il 90% dei suoi clienti è trentino,
anche se ultimamente è cresciuto il numero di avventori
provenienti da altre province italiane e dall’estero. Secondo Lorenzo il successo di un agriturismo può essere spiegato dal fatto che il cliente prediliga un ambiente raccolto, più famigliare rispetto ai grandi ristoranti e pizzerie. Ci
racconta inoltre che gli piacerebbe poter vendere anche i
trasformati dei suoi prodotti e che da alcuni anni sta attendendo i contributi provinciali utili per realizzare il laborato-
rio. Lorenzo sostiene che per svolgere questo lavoro sia
necessario grande sacrificio e impegno, molta creatività,
tanta passione e soprattutto un continuo aggiornamento.
Facendo parte dell’associazione sta assistendo in prima
persona ad una forte crescita del settore agrituristico e ci
conferma che ogni mese pervengono almeno 5-6 richieste di aziende che intendono associarsi.
Giulio de Vescovi23, classe 1976, nativo di Mezzocorona, ha deciso di avviare la sua attività imprenditoriale
dopo un percorso quinquennale all’Istituto Agrario di San
Michele, una laurea in Viticoltura ed Enologia conseguita
all’Università di Firenze e varie esperienze maturate a livello internazionale. Per farlo è ripartito dalla storia della
sua famiglia, recuperando l’arte ormai dismessa di fare
vino e dalla tradizione vitivinicola del Teroldego Rotaliano,
vitigno che nel terreno sabbioso dell’alveo del fiume Noce
raggiunge i suoi massimi standard qualitativi. Ha deciso
di provarci in un territorio in cui la cooperazione locale ha
raggiunto livelli importanti e in cui i proprietari dei terreni
agricoli sono quasi esclusivamente soci di realtà cooperative.
La prima vinificazione risale al 2003. Due anni dopo, nel
2005, creò la prima etichetta e inaugurò la fase di com http://www.devescoviulzbach.it/
23
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sostiene come questo sistema promuove la chiusura su
noi stessi... sempre di più.
Giulio è un ragazzo determinato, ambizioso, con le sue
sorelle ha il desiderio di allargare l’azienda in prospettiva
multifunzionale. É proiettato verso il ripristino della filiera
del miele anticamente presente nel maso e punta alla
realizzazione di una fattoria didattica, per implementare
ulteriormente l’offerta formativa dell’agri-nido delle sorelle.
Ambisce inoltre a realizzare una struttura adibita ad agritur
o B&B, un punto vendita e una sala meeting di rappresentanza. L’idea è quella di ricostruire il maso così come una
volta, con diverse attività, portando avanti un tipo di azienda agricola a ciclo chiuso (Mezzocorona, 18.01.2014).
Giulio non tentenna, ci crede veramente e mentre parla
non lascia intravedere nessun tipo di perplessità: ha ben
chiaro il suo obiettivo e non sembra intimidito da possibili difficoltà ed ostacoli. Tutto si può fare, basta volerlo...
però ecco, una cosa, la mentalità che ha il territorio conta
più dell’avere famigliare. Nel corso dell’intervista sottolinea l’importanza di fare rete non solo tra i vignaioli e i cantinieri locali, ma evidenzia come sia necessario dialogare
anche con le strutture turistiche ed amministrative presenti in loco. Ritiene, quindi, la collaborazione tra partners
diversi una risorsa in grado di valorizzare i singoli prodotti
e l’unica strada possibile per promuovere ed esaltare appieno le peculiarità del territorio locale.
mercializzazione. Il motto di Giulio è quello che compare
sul suo sito internet “il rispetto della tradizione è la miglior
innovazione”; per lui queste parole sono un monito, l’elemento cardine con il quale crescere e orientare l’intero
processo della sua filiera produttiva: dalla coltivazione, alla
lavorazione, fino alla vendita del prodotto. Giulio ha organizzato la sua azienda valorizzando un procedimento il più
possibile naturale, ha deciso infatti di escludere diserbanti, prodotti chimici di sintesi e la concimazione a forzatura.
Nel corso dell’intervista emerge la sua perplessità verso
il sistema cooperativistico trentino, il quale, a suo avviso,
inibisce la creatività e standardizza la produzione. Giulio
La cultura della convivenza: i giovani e la valorizzazione della terra
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Eleonora de Vescovi, trentottenne, la più grande dei
quattro fratelli De Vescovi, grazie ai suoi studi magistrali
ha saputo dare vita assieme alle altre due sorelle al primo
“agri-nido” in Trentino: “Il Cavallo a dondolo24”. Nel settembre 2007, un anno dopo aver partecipato ad un bando per l’imprenditoria femminile in cui arrivò terza per aver
avuto un’idea brillante e originale, aprì le porte di questo
asilo privato, situato all’interno dell’azienda agricola di famiglia. Ci racconta che aprire l’attività non è stato così
semplice, perché non esiste nessuna norma riguardante
gli asili privati, non c’è scritto niente da nessuna parte ci
dice Eleonora, ognuno può fare come vuole, noi abbiamo
preso a riferimento le normative del settore pubblico. Ora
a livello provinciale vengono fatti dei tavoli di lavoro per
decidere degli standard per i nuovi nidi che negli ultimi
anni stanno nascendo. L’agri-nido è rivolto ai bambini da
0 a 3 anni, è un nido d’infanzia privato che ora conta 30
piccoli. Le sorelle si avvalgono inoltre anche di altre tre
educatrici e di una cuoca che prepara pranzi e merende
all’interno della struttura. La grande differenza rispetto a
un comune nido è il fatto che i bambini possono godere di
un filo conduttore privilegiato per tutto l’anno come l’aria
aperta ed il contatto con la natura, infatti: quando vengono qui per la prima volta i genitori pensano di essersi
sbagliati, di non aver trovato il luogo giusto, lo immaginano sperduto in mezzo all’aperta campagna, in mezzo
al nulla, ma invece abbiamo la fortuna di essere in centro storico ed è un vantaggio per i genitori, ma dall’altra
parte c’è il silenzio, la campagna, il verde e siamo isolati
dal traffico (Mezzocorona, 17.01.2014). Durante l’anno i
bambini hanno la possibilità di seguire quotidianamente
le vicissitudini dell’azienda agricola, così possono familiarizzare e socializzare con gli animali che vivono all’interno
dell’azienda, imparano a riconoscere le piante dell’orto e
i ritmi delle stagioni. Eleonora ci accompagna all’interno
della casa di famiglia a visitare le stanze che compongo-
http://www.ilcavalloadondoloagrinido.it/
24
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no l’asilo nido. Ci confessa che è stata una bella fortuna
disporre sia della casa che degli appezzamenti di terra
per poter realizzare questa iniziativa, perché esistono già
molte difficoltà burocratiche e spese economiche non indifferenti. Ci mostra inoltre alcune attività che ha realizzato
con i bambini, tra questi un libretto dove vengono rappresentati i vari animali presenti all’interno del maso con una
descrizione delle loro caratteristiche. Ci racconta poi che
assieme ai bambini, nell’orto piantano fiori e ortaggi che
poi usano come cibo per gli animali: ad esempio piantano
le carote e seguono così tutto il procedimento dalla semina alla raccolta, per poi portarle ai coniglietti come cibo.
Inizialmente il numero di bambini era piuttosto contenuto, ma dopo due anni di attività e di pubblicità il nido ha
cominciato a funzionare a regime completo. Ovviamente
sostiene esistano categorie diversificate di genitori, c’è chi
non vorrebbe che il proprio figlio si sporchi le mani, invece
c’è chi apprezza molto di più le possibilità che l’agri-nido
offre.
infatti flessibili, dinamiche, tese ad intercettare bisogni ed
esigenze emergenti. Spesso, proprio in quanto estremamente articolate, risulta riduttivo comprimerle all’interno
di una singola categoria o definizione o, ancora, all’interno di un unico settore economico (primario, secondario,
terziario).
La non specializzazione o meglio, la specializzazione plurima della propria realtà imprenditoriale, si presenta come
elemento del tutto funzionale al mantenimento della stessa. Attività parallele alla natura primaria dell’azienda, nata
come agricola o turistica, spesso permettono di integrare
in maniera significativa il proprio reddito e, ancora, di destagionalizzare la propria azienda da pratiche lavorative
condizionate dal clima e circoscritte, quindi, solo ad alcuni
periodi dell’anno.
Nell’arco di tutte le interviste emerge come attingere ad
un aiuto famigliare rappresenti ancora oggi una garanzia
ed una necessità per chi ha intenzione di sviluppare un
discorso imprenditoriale. Molti riscoprono nella tradizione
territoriale e, soprattutto, negli averi famigliari (terreni, proprietà e aziende di famiglia) una base essenziale per poi
ampliarsi, crescere, sviluppare nuove idee ed espandersi.
Appare a tal proposito evidente come, purtroppo, solo
coloro che dispongono in partenza di un certo capitale
economico abbiano poi l’effettiva possibilità di intraprendere una carriera in proprio.
4. Confronti tra le dieci interviste
Prendendo in considerazione i racconti degli intervistati
emergono comuni punti di forza e di debolezza.
Ogni azienda, che abbiamo avuto modo di conoscere, fa
leva sulla multidimensionalità e multisettorialità. Pur conservando la propria specificità, le realtà analizzate sono
La cultura della convivenza: i giovani e la valorizzazione della terra
68
Le realtà prese in considerazione si inseriscono perfettamente nel territorio (embedding), traendo proprio da esso
la loro forza propulsiva. Tradizione e innovazione, infatti, si
saldano, diventano l’una funzionale all’altra; la tradizione
ha bisogno dell’innovazione per non morire e rischiare di
autodistruggersi, mentre le novità necessitano di solide
radici e della continuità con il territorio per sapere in quale direzione investire nel futuro. In un certo senso il tutto
potrebbe essere sintetizzato con espressione eloquente:
“Siamo nani sulle spalle dei giganti” (Bernardo di Chartres).
Per descrivere il rapporto tradizione-innovazione, Bausinger scrive: “Se con tradizione si intende la cura consapevole di ciò che viene fissato e tramandato nella sua forma
originaria, allora certamente la tradizione è un prodotto
della modernizzazione (…) nell’epoca pre-moderna la tradizione era prima di tutto una forma di routine. Solo la modernizzazione l’ha trasformata in valore in sé e in oggetto
di culto” (Bausinger, 2008: 148).
Un ulteriore punto di condivisione tra le varie esperienze
raccolte, è rintracciabile nella ormai consolidata alfabetizzazione alle nuove tecnologie, soprattutto internet e i
social network. Questo tipo di strumentazione permette
oggi di veicolare, se non addirittura di vendere, l’immagine del proprio prodotto, di promuovere la propria filosofia imprenditoriale e di far conoscere la propria azienda
ben radicata sul territorio, a contesti spaziali lontani. A tal
proposito Arjun Appadurai, ha parlato di mediorama “in
riferimento sia alla distribuzione delle capacità elettroniche
di produrre e diffondere informazioni (...) che sono ora a
disposizione di un numero crescente di centri di interesse
pubblici e privati in tutto il mondo, sia alle immagini del
mondo create da questi media” (Appadurai, 2001: 55).
Dopo aver passato in rassegna i punti di forza comuni a
queste aziende, è possibile ora soffermarsi sull’altra faccia
della medaglia, ossia le difficoltà rilevate dai soggetti intervistati. Si evince come la burocrazia sia una vera e propria
spada di Damocle, in quanto, non raramente, frena l’entusiasmo e disincentiva palesemente il desiderio di autonomia di molti degli intervistati. Le scadenze, i progetti rifiutati, le tempistiche spesso eccessivamente dilatate, i tour
estenuanti negli uffici pubblici, si traducono in ostacoli oggettivi, pressanti e sfiancanti. L’apparato istituzionale con
il suo lento procedere è percepito come una limitazione
piuttosto che come un aiuto, una possibilità, un sostegno. Sull’ago della bilancia la mole di documenti richiesti,
le carte da sottoscrivere e compilare, gli iter da seguire
pesano quasi di più dei possibili incentivi “in palio”. Le istituzioni si dimostrano quindi eccessivamente macchinose,
poco flessibili, incapaci di recepire le esigenze di dinamismo che esprimono queste realtà. Michele Corti, in un
suo articolo, riassume in modo perfetto quanto appena
Natura(l)mente
69
descritto. “Le rigide pre-iscrizioni, la burocrazia, un sistema modellato sulla base delle grandi aziende rappresentano, però, una branca della tenaglia che stritola il piccolo
agricoltore” (Corti, 2007: 173). Vogliamo ricordare, a tal
proposito, che per quanto riguarda lo sviluppo rurale, la
Provincia autonoma di Trento offre la possibilità ai giovani
di entrare a far parte del tessuto delle aziende agricole per
favorire il ricambio generazionale e l’ammodernamento
delle aziende. Infatti gli intervistati hanno portato alla luce
le misure concesse come sostegno economico a favore
della loro impresa agricola25.
rappresentate in spazi chiusi e in attività più statiche, legate alla cura del corpo e dell’aspetto, all’esibizione di sé e al
romanticismo; avviene quindi una divisione sia degli ambiti che dei ruoli. Continuare a vedersi rappresentati solo
in alcuni ruoli ed in alcune attività e mai in altre produce
delle conseguenze anche nel modo in cui ci si rapporta al
mondo lavorativo, con un incremento della segregazione
professionale di genere. Un rapporto della Commissione
Europea (Gender Segregation in the Labour market 2007.
Root causes, implications and policy responses in the EU)
testimonia che in Europa la segregazione professionale di
genere rimane forte ed è poco variata tra il 1997 e il 2007.
Per esempio, i lavori legati alla cura solitamente sono anche lavori meno pagati, perché ritenuti non specialistici e
basati su competenze che la donna possiede o dovrebbe
possedere comunque per via del suo ruolo “dentro” casa.
Lidia Menapace, politica e saggista italiana, sostiene che
la famiglia alpina del mondo contadino in genere è sicuramente patriarcale, ma che nell’area montana, dove resiste un’economia silvo-pastorale, i rapporti tra i sessi sono
differenti. Ritiene inoltre che esista una libera disponibilità
delle donne che assumono perfino una certa importanza
economica, sia per quanto riguarda la conoscenza, sia per
le pratiche di vita (Zucca, 2/1998). Come abbiamo avuto modo di comprendere dalle interviste, Moira, Aghitu e
Margherita non svolgono esattamente “un lavoro da don-
5. Il ruolo delle donne
Come sottolinea Fabietti, nelle nostre società vivono potenti confini tra il maschile e il femminile (Fabietti, 2009:
149). Il genere è il modo di classificare gli individui, cercando di concepire cosa culturalmente è diverso sessualmente (Ortner e Whitehead, 2000). Questo viene prodotto
e riprodotto ogni giorno, poiché nelle nostre società i ragazzi e le ragazze ricevono un’educazione “di genere” e
anche nelle molteplici relazioni che si stringono tra le persone nei diversi contesti. I maschi, per esempio, sono rappresentati in spazi aperti e in attività legate al movimento,
all’avventura, alla competizione, mentre le femmine sono
www.trentinoagricoltura.it
25
La cultura della convivenza: i giovani e la valorizzazione della terra
70
ne”, sono diventate imprenditrici e si sono messe in gioco
utilizzando la loro creatività e gli strumenti anche innovativi
che avevano a disposizione. Attraverso una formazione
costante e continua hanno messo in piedi la loro attività. Anna Maria Bongiorno (Zucca, 2/1998) riporta che la
donna nella cultura contadina, ad inizio secolo e una volta
sposata, entrava a far parte del nucleo familiare del marito; entrambi continuavano a dipendere economicamente
e moralmente dal capo famiglia. La famiglia era nelle mani
dell’uomo che esercitava il proprio potere con un’autorità
che si esplicava nell’andamento quotidiano della vita. La
posizione della donna quindi era di subordinazione all’uomo, solo da anziana la donna acquistava all’interno della
sua famiglia quell’autorevolezza di cui non aveva mai goduto durante il resto della sua vita. Sostiene Bongionro
che in montagna i lavori della donna sono una moltitudine,
tra questi l’aiuto nei campi, nella stalla con la mungitura
e il rinnovo della lettiera, provvedendo anche all’alimentazione degli animali, alla coltivazione dei bachi da seta, alla
coltivazione dell’orto, i cui prodotti servivano per la preparazione di piatti che dovevano soddisfare l’appetito dei
famigliari. Fondamentale era anche l’approvvigionamento
dell’acqua, rigovernare stoviglie, pulire la casa, rammendare i vestiti, fare il bucato, occuparsi della panificazione,
del filò e molte altre attività casalinghe. Inoltre quando gli
uomini erano assenti dal paese, nelle famiglie contadine
tutti i lavori agricoli erano necessariamente a carico delle
donne e dei figli rimasti. Il fatto che la conduzione diretta dei
piccoli fondi fosse affidata al lavoro femminile, caratterizza
la donna come una protagonista essenziale dell’economia
contadina. La donna, una volta diventata madre, doveva
anche trasmettere alla prole le norme di comportamento
tradizionali, introduceva il figlio nella sfera del sacro, instillandogli i principi fondamentali della fede e della morale.
“La donna, sottolinea Bongiorno, come elemento di
conservazione della tradizione è sempre stata più valida dell’uomo per il suo attaccamento alla casa, alla famiglia, al paese e per la sua stessa sensibilità” (Zucca,
2/1998:26).
Zucca riporta nei suoi studi che “la maggior parte delle
iniziative di microeconomia e di economia identitaria sono
portate avanti dalle donne: dove rimangono loro, la montagna non muore, ma intraprende la strada di uno sviluppo diverso, in sintonia con la terra, sfruttando le opportunità che questa offre agli esseri umani. Dove le donne se
ne vanno, la montagna muore: e sempre più spesso, nelle
nostre vallate, assistiamo ad un abbandono della componente femminile, che rifiuta di “sposare un contadino”
(Zucca, 2004:12).
Pier Luigi Angeli sostiene che grazie al ruolo delle cooperative le montagne resistono, poiché garantiscono
con la loro presenza il mantenimento dell’uomo in que-
Natura(l)mente
71
sti ambienti difficili, ma preziosi e invidiati da tanti (Zucca,
3/1998).
L’importanza del raggiungimento di eque condizioni tra gli
uomini e le donne dipende anche dai servizi che vengono forniti, andrebbe quindi migliorata la fornitura di servizi
nelle aree rurali. Così spiega Cristina Tinelli (e-Euroconsulting26): “Le donne andrebbero supportate nella creazione
di network per poter avere uno scambio di esperienze e
good practices, migliorare inoltre le capacità e le competenze delle donne in agricoltura e garantire a loro una pari
retribuzione27”.
In Trentino attualmente esistono circa trenta rifugi gestiti
da donne come ad esempio il rifugio Roda di Vael gestito
da Roberta Silva, che è riuscita a creare un buon connubio tra lavoro e famiglia.
Moira, ad esempio, ci racconta di far parte di “Donne
impresa Coldiretti28” di Trento e di “Campagna amica29”,-
questi gruppi la sostengano nel farsi conoscere e nel garantire un certo standard qualitativo, ma soprattutto nel
mantenere i prodotti innovativi, di qualità e fondati sulla
tradizione locale. In Trentino siamo venute a conoscenza
di ulteriori “luoghi” di aggregazione delle donne che negli
anni si sono formati, come per esempio quando era attivo il centro di ecologia alpina di Trento e si era formata
una “Rete delle donne delle Alpi”, poi l’associazione nazionale “Donne in campo - Confederazione Italiana Agricoltori30” presente anche nella provincia di Trento, con la
quale la Confederazione Italiana Agricoltori nel luglio ‘99
ha deciso di avvalersi di uno strumento operativo al fine di
attivare politiche che coinvolgessero le donne, le valorizzassero e permettessero loro di organizzarsi e realizzare
iniziative a cui sono direttamente interessate, ed inoltre
l’ONIFLA (Osservatorio Nazionale per l’Imprenditoria e il
Lavoro Femminile in Agricoltura31). Esiste anche l’Azienda
www.euroconsulting.be
http://accademiamontagna.tn.it/sites/default/files/CRISTINA%20
TINELLI.pdf
28
Coldiretti Donne Impresa promuove lo sviluppo dell’imprenditoria
femminile agricola, organizza attività culturali e di comunicazione con i
consumatori, elabora proposte per le politiche sociali attinenti al mondo
agricolo, rappresenta Coldiretti nelle istituzioni della parità, promuove
la presenza femminile negli organismi decisionali della Coldiretti (www.
donneimpresa.coldiretti.it).
29
La Fondazione Campagna Amica è il luogo ideale di incontro tra gli
interessi dei produttori e quelli dei consumatori e si rivolge proprio a tutti –
ai cittadini e produttori agricoli – per dare risposte a temi di grande attualità
come l’alimentazione, il turismo, l’ecologia, la salute e il benessere,
inaugurando così un nuovo stile di vita (www.campagnaamica.it).
30
Donne in Campo-Cia è la principale Associazione italiana di
imprenditrici e donne dell’agricoltura, riconosciuta ed apprezzata nel
territorio italiano, presso le Istituzioni nazionali, europee ed internazionali
ma soprattutto tra i cittadini che conoscono i mercati. Donne in Campo
crea ‘reti’ di donne sul territorio rurale, tesse relazioni tra le aziende e
costruisce comunità e gruppi locali. (www.donneincampo.it).
31
ONILFA nasce da un’idea delle rappresentanti femminili delle
Organizzazioni Professionali Agricole, stimolate dai lavori della Giornata
26
27
La cultura della convivenza: i giovani e la valorizzazione della terra
72
Provinciale per l’Incentivazione delle Attività Economiche
(APIAE) che incentiva interventi per nuove imprese a favore delle imprese femminili e giovanili.
Grazie a queste associazioni la donna può rimanere nel
suo territorio d’origine e portare avanti l’attività che desidera. Questo è il caso di Eleonora de Vescovi e delle sue
sorelle, che hanno deciso di creare all’interno dell’antico
maso famigliare un agri-nido usufruendo degli appositi
bandi per sostenere l’imprenditoria femminile. Sempre
Zucca, nella ricerca del 2006, riporta che “le donne sono
un elemento cruciale nelle comunità delle Alpi. Da loro dipende la decisione di mantenere la famiglia sul territorio,
di fare figli e quindi la possibilità, di continuare ad esistere,
di molti paesi” (Zucca, 2006: 68).
Come abbiamo potuto constatare anche noi, attraverso le
testimonianze raccolte mediante le intervistate, c’è il desiderio di realizzare attività innovative, aziende multisettoriali
che diversificano l’offerta con spirito di innovazione. Questo viene sottolineato ulteriormente nelle ricerche: “(...) le
donne si stanno dimostrando a livello di base, uno degli
elementi più dinamici, all’interno della microeconomia al-
pina. Anche perché non si sono dimenticate delle proprie
origini, e comunque sono riuscite a conservare la memoria della tradizione, senza rinunciare all’innovazione e alla
rivendicazione di diritti sacrosanti” (Zucca, 2006: 89).
6. Conclusioni
“L’obiettivo globale, per il settore turismo, è rimanere competitivi e
allo stesso tempo adottare la sostenibilità, riconoscendo che,
a lungo andare, la competitività dipende dalla sostenibilità,
e molte delle azioni necessarie, possono essere affrontate al meglio
dai vari interessati che lavorano assieme a livello di destinazione”
Rapporto del Gruppo per la Sostenibilità del Turismo (02.2007)
Nell’indagine qui presentata abbiamo potuto notare come
le esperienze di questi ragazzi tendano a mostrare l’esistenza di un rapporto dialogico tra passato e contemporaneità, verso un futuro che, proprio attraverso l’utilizzo di
nuove strumentazioni e l’acquisizione di maggiori competenze, riesca a valorizzare la tradizione.
In riferimento all’esperienza di questi giovani si può ricorrere quindi al termine acculturazione. Essi acquisiscono
infatti forme culturali diverse da quelle tradizionali dei propri coetanei, ciò avviene con un processo di scambio tra
culture diverse (Cirese, 1971).
Marco Aime sottolinea invece come la cultura diventi
“una sorta di magazzino del sapere accumulato da un
Europea dell’Agricoltrice del 1996, tenutasi a Bruxelles. Da parte del
Ministro venne accolta la richiesta con l’obiettivo di favorire sinergie nel
campo dell’occupazione femminile, l’Osservatorio opera in collaborazione
con gli attori (pubblici e privati) che intervengono nel settore dello sviluppo
agricolo e rurale (www.onifla.gov.it).
Natura(l)mente
73
gruppo”, questo è importante nella trasmissione dei saperi, perché dalle interviste abbiamo notato quanto sia
importante l’aver appreso “sul campo”, più che sui banchi di scuola; inoltre il gruppo formatosi nelle classi ha
aiutato i diversi componenti a non scoraggiarsi, a migliorarsi e a farsi forza nell’affrontare i lavori non sempre
facili e comodi.
A tal proposito si può affermare come la maggior parte degli intervistati abbia bisogno di entrare in contatto
con un certo tipo di “cliente”, il quale dovrebbe disporre
di caratteristiche ben precise: apprezzare la semplicità e
la tradizione o che almeno abbia voglia di sperimentare
questi luoghi . Infatti in questi (ultimi) anni si parla sempre più della distinzione tra crescita e sviluppo e pertanto
si è inserito il concetto di “sviluppo sostenibile”, che può
definirsi uno “sviluppo che soddisfa i bisogni della popolazione presente senza compromettere il soddisfacimento
dei bisogni delle generazioni future” (World Commission
On Environment and Development, 1988: 71). Una scelta
controcorrente alla cultura dominante del consumismo.
Anche il turismo ha causato, grazie ad uno sfrenato sviluppo, il depauperamento degli ambienti con la costruzione di eccessive infrastrutture e provocando fenomeni
di inquinamento ambientale. Da diversi anni ormai stiamo
assistendo però alla crescita di un turismo alternativo, più
dolce e responsabile, che garantisce una maggiore valo-
rizzazione e sostenibilità del territorio locale e delle attività
ivi connesse.
Per essere e qualificarsi davvero come tale, il turismo
sostenibile deve svilupparsi in completa relazione con il
territorio, iscriversi pienamente in esso, rispettarlo perché
solo mediante un iter di questo tipo può riuscire realmente
nell’impresa di valorizzazione.
Il turismo, nella sua accezione più generale, è un’attività
che produce un impatto sistemico sul territorio,32 va tuttavia ricordato che per consolidarsi e per far sì che una
località da mero spazio geografico adibito a turismo si
elevi a destinazione turistica33, è richiesto un approccio
congiunto, coordinato tra le parti operanti in esso. Solo
mediante una stretta sinergia tra i vari operatori, in un’ottica di governance, è possibile infatti garantire un prodotto
e un’offerta capaci di veicolare le caratteristiche e le qualità del territorio.
Proprio perché punta a cogliere l’identità del territorio ed
intende apprezzarne l’essenza, oltre che la veridicità, per
“Secondo L’Unep (Programma Nazioni Unite per l’Ambiente) (2002),
il turismo produce tre ordini di impatti: ambientali, socio-culturali,
economici” Cicerchia, 2007: 21
33
Per destinazione turistica si intende: “l’insieme dei prodotti, servizi,
fattori d’attrattiva naturali e artificiali capaci di richiamare il turista in un
determinato luogo.” (Pearce, 1981; Leiper, 1995; Ziltner, 1999; Martini,
2001; Pechlaner, 2000, in Travaglini, 2005: 16) “Il luogo geografico è
quindi il contenitore dei fattori che lo compongono” (Ibidem)
32
La cultura della convivenza: i giovani e la valorizzazione della terra
74
attecchire, questo particolare tipo di turismo ha bisogno
che venga superata la logica settoriale, mutualmente
esclusiva tra le parti, e che si adotti una prospettiva olistica del tutto multidimensionale. Il turismo sostenibile sintetizza infatti in maniera efficace come la pratica agricola, la
cura, la valorizzazione e il mantenimento costante del loco
si traducano a tutti gli effetti in un servizio vero e proprio,
fruibile anche turisticamente, qualora non direttamente, almeno a livello di immagine e di qualità ambientale.
Come scrive Cicerchia (2009) ci sono alcune condizioni
fondamentali per poter raggiungere la sostenibilità del turismo. Fra di esse c’è la partecipazione informata di tutti
gli stakeholder34 rilevanti. L’autrice specifica altresì come
per definirsi davvero sostenibile, oltre ad operare nel pieno rispetto dell’ambiente, il turismo dovrebbe rispettare
l’autenticità sociale e culturale delle comunità ospitanti,
conservare il loro patrimonio culturale, costruito e vivente,
i loro valori tradizionali e contribuire alla comprensione e
alla tolleranza interculturale (Ibidem).
L’equilibrio tra settori di produzione ed elementi culturali
e sociali è, pertanto, una variabile imprescindibile, senza la quale è difficile giungere alla concretizzazione di un
turismo di questo tipo, senza che questo risulti di mera
facciata.
Le realtà descritte e analizzate tramite le dieci interviste
qui presentate sono piuttosto significative a tal proposito,
in quanto non si esauriscono nell’essere delle esperienze
imprenditoriali che incrementano e producono reddito,
ma proprio per la multidimensionalità e multisettorialità
alla quale ambiscono e per i valori che trasmettono, diventano, a tutti gli effetti un partner territoriale rilevante,
capace di contribuire allo sviluppo della realtà montana
e rurale.
Esse, infatti, veicolano in modo dinamico e concreto
la cultura del loco, che, a sua volta, può contribuire in
maniera significativa a generare cultura dell’accoglienza,
senza la quale il turismo, soprattutto quello sostenibile,
non potrebbe affermarsi. Come scrive Corti “L’azienda
neorurale vocata alla multifunzionalità intreccia relazioni
con gli operatori di altri settori economici (servizi, artigianato, turismo) ma anche con le istituzioni culturali e le
amministrazioni locali nel quadro delle attività di promozione territoriale in cui l’immagine e la funzione di volano
del paesaggio, delle produzioni di eccellenza, delle razze
autoctone assumono un ruolo di centralità” (Corti, 2007:
181).
Il capitale sociale prodotto dalla sinergia tra questi attori diversificati può divenire realmente, oltre che bonding,
Il termine stakeholder (chi ha una posta in gioco), “designa i portatori
di interessi nei confronti di una qualsiasi iniziativa economica, politica e
sociale” (Cicerchia, 2009: 21)
34
Natura(l)mente
75
speranze e dei progetti di questi ragazzi, può aiutarci a
capire quali strategie implementare, quali cambiamenti o
interventi promuovere a livello istituzionale e associativo.
Troppo spesso ci si dimentica che queste iniziative possono davvero contribuire a rafforzare e migliorare l’immagine globale del Trentino ed il suo patrimonio culturale e
ambientale, poiché portatrici di una vera e propria economia identitaria.
anche bridging e linking35, il network di cui si compone
una realtà alpina o territoriale in senso ampio può diventare davvero la forza motrice capace di rappresentare e
raccontare al meglio un’entità territoriale poiché, anche in
ottica glocale, da semplici custodi del territorio, tali realtà
possono trasformarsi, divenendo così pienamente attive
nella promozione dello stesso. Per raggiungere tali risultati
è necessario insistere sul coordinamento, sulla partecipazione condivisa, sulla cooperazione tra gli attori istituzionali e non, tra pubblico e privato, in modo orizzontale e
verticale. Soltanto seguendo un percorso di questo tipo
è possibile che anche le aree deboli, con le proprie realtà
interne, acquisiscano vera consapevolezza circa le loro
caratteristiche e si elevino così a principale sponsor di se
stesse.
Questa breve ricerca ci ha dimostrato come sarebbe interessante poter approfondire il fenomeno del neoruralismo
tra la popolazione giovane in Trentino poiché, disporre di
una rappresentazione più sistematica delle difficoltà, delle
Capitale sociale bonding “capitale sociale che serra” (Putnam, 2004:
20, 21), nasce dalle interazioni tra soggetti che appartengono allo stesso
gruppo; il capitale sociale bridging “capitale sociale che apre” (Ibidem), si
sviluppa dalle connessioni tra soggetti appartenenti a gruppi diversi “che
instaurano rapporti sia simmetrici che a-simmetrici. Il capitale sociale
linking (dall’inglese collegare) si instaura da connessioni che nascono tra
soggetti di potere diverso, con istituzioni politiche e soggetti privati, del
mondo associazionistico e del panorama no profit o for profit.
35
La cultura della convivenza: i giovani e la valorizzazione della terra
76
terza parte
Turismo sostenibile: alcuni aspetti con uno sguardo al Trentino
Sara Cattani, Riccardo Dorna, Linda Martinello, Elena Simonetti, Javier Spinella
Forse dovremmo concedere alla natura umana un’istintiva voglia di spostarsi, un impulso al movimento nel senso più ampio.
L’atto stesso del viaggiare contribuisce a creare una sensazione di benessere fisico e mentale, mentre la monotonia della stasi prolungata o del lavoro fisso tesse nel cervello delle trame che generano prostrazione e un senso di inadeguatezza personale.
In molti casi quella che gli etologi hanno designato come “aggressività’” è semplicemente la risposta stizzosa
alle frustrazioni derivanti dall’essere confinati in un certo ambiente.
Bruce Chatwin
Capita, oggi, che quest’affermazione del famoso scrittore
venga ribaltata in modo paradossale, quando l’industria
del turismo cerca di prevenire il senso di spaesamento
subìto dai viaggiatori odierni, causato dallo spostamento,
ricreando un modello di vita del tutto simile a quello appena
lasciato: stesso cibo, stesso ambiente, stessi ritmi, stessa
lingua. L’industria risponde ad un imperativo di diserzione dalla routine, incoraggiata però dallo stesso stile di vita
contemporaneo, che colonizza l’immaginario del viaggiatore, i cui paradisi immaginati sono confezionati, con mille
comodità, per soddisfarlo (Canestrini, 2010). Il rischio immediato è quello di svuotare il viaggio della sua dimensione esperienziale, di conoscenza dell’altro, di scoperta di
luoghi mai visti, di sensazioni mai provate. Non solo: portando con sé le proprie abitudini e le proprie aspettative il
turista può causare degrado e destabilizzazione:
“Sull’Himalaya, permettere ai turisti di fare la doccia spesso significa utilizzare la legna e quindi accelerare la deforestazione. Alle Hawaii e alle Barbados è stato calcolato
che ogni turista usa dalle sei alle dieci volte la quantità
d’acqua e di elettricità utilizzata dagli abitanti locali”.
(“Viaggiatori d’Occidente” di David Nicholson-Lord, The
Nation, Usa, da Internazionale 17/10/97, citato in Volontari per lo Sviluppo, 2004: 9).
Ad esempio, l’utilizzo sconsiderato delle risorse idriche ad
uso di docce, piscine, giardini e prati irrigati è una delle
peggiori conseguenze del turismo tradizionale, responsabile di una considerevole riduzione delle scorte a disposizione per la popolazione locale. L’impatto ambientale del
turismo dunque non si risolve nell’inquinamento causato
dagli spostamenti, ma è alimentato anche dalle modalità
attraverso cui le strutture di accoglienza realizzate ad hoc
per le aspettative del turista operano, fino a creare interi
villaggi o cittadine, in cui il turista vive ed interagisce con
l’ambiente e le popolazioni locali in modo superficiale e
affrettato (Cavelzani, Villamira, 2002: 16). Soprattutto per
quanto riguarda il turismo cosiddetto esotico, difeso dal
vessillo del “colore locale”, erede delle esplorazioni imperiali, dell’avvicendarsi di etnologi e antropologi, sovente
alla ricerca di un folklore spesso creato ex-novo a scopo
Natura(l)mente
79
promozionale, dove all’ambiente esotico si accompagnano stuoli di strutture omologate organizzate in catene:
“uno può girare il mondo facendo tappa negli hotel della
stessa catena, dove troverà sempre gli stessi arredi, gli
stessi menù, gli stessi servizi, come se lui stesse fermo e
il mondo gli girasse attorno” (Viale, 2006). E a questo proposito, per dirla con Augé, dovrebbe farci pensare il fatto
che una metà del mondo serva da scenografia ai viaggi
dell’altra metà (Augé, 2006).
D’altro lato, il turismo, soprattutto quello internazionale,
rappresenta per molte persone una valvola di sfogo, un
momento in cui abbandonare ogni inibizione, lontani dal
luogo di residenza dove l’emozione è programmata ed
arginata. “L’immagine che le popolazioni dei paesi scelti
dai turisti si fanno, è che tutti gli occidentali sono ricchi
sfondati, non lavorano molto, amano dissipare i soldi, si
vestono in modo indescrivibile e non conoscono alcun
tipo di codice morale di comportamento” (Volontari per lo
Sviluppo, 2004: 8).
Dal punto di vista economico, il turismo appare come un
notevole vantaggio per i paesi di ricezione, legato alla creazione di posti di lavoro e di infrastrutture come strade e
acquedotti, all’ingresso di valuta estera talvolta pregiata,
alla formazione professionale di lavoratori del settore. Tuttavia, se questo è vero a proposito dei paesi più ricchi,
nei paesi in via di sviluppo si verifica spesso un’iniqua di-
stribuzione degli introiti, poiché l’industria turistica rimane
nelle mani di poche industrie facoltose, ed il ritorno economico alle popolazioni locali è residuale. Capita poi che
per costruire le infrastrutture i governi attingano a fondi
pubblici mettendo in secondo piano lo sviluppo di strutture fondamentali per sanità, scuola o agricoltura. Non solo,
ma per accontentare l’aspettativa del turista che non vuole rinunciare alle abitudini, le strutture alberghiere richiedono l’importazione di beni di consumo e materie prime che,
oltre a penalizzare i produttori locali, vanno ad aggiungere
ulteriori danni all’ambiente a causa delle necessità di trasporto. Infine, la presenza dei turisti facoltosi, soprattutto
quando questa si presenta in forma massiva, nei paesi in
via di sviluppo può diventare anche fonte di frustrazione
per la popolazione locale, laddove il tenore di vita dei turisti fa avvertire più duramente la miseria e le limitazioni a
cui essa è costretta (Volontari per lo Sviluppo, 2004: 12).
In seguito al forte aumento del turismo negli ultimi anni
ed al conseguente negativo impatto ambientale, culturale e sociale, sono emerse numerose riflessioni riguardo a
possibili forme di turismo rispettose della popolazione e
dell’ambiente dei paesi di destinazione. Inizialmente sono
state soprattutto organizzazioni religiose ad occuparsene: nel 1970, presso l’Accademia Evangelica di Tutzing, in
Germania, si svolse la prima Consultazione internazionale
sul turismo, promossa dal Consiglio Mondiale delle Chiese
Turismo sostenibile: alcuni aspetti con uno sguardo al Trentino
80
(WCC, World Council of Churches ). Da quel momento,
sempre in ambito ecclesiastico e sempre nel Sud del mondo, si susseguirono le conferenze al riguardo. Tra queste,
durante quella del 1975 a Penang (Malesia), promossa dalla Conferenza Cristiana dell’Asia, venne presentato il primo
codice etico per turisti. Nel 1980 a Manila si tenne il meeting alternativo alla conferenza ufficiale del WTO (World Trade Organisation), indetto ancora una volta dalla Conferenza
Cristiana Asiatica, dove venne discusso il ruolo delle multinazionali nel settore ed il problema del turismo sessuale.
Nel 1982 il Consiglio Mondiale delle Chiese promosse a
Bangkok la Ecumenical Coalition for Third World Tourism
(ECTWT), con lo scopo di stimolare la consapevolezza sugli impatti del turismo. La ECTWT supportò azioni popolari,
stimolò ricerche e riflessioni in merito, favorendo la logica
dell’autosviluppo (Volontari per lo Sviluppo, 2004: 15).
Dopo un primo momento in cui l’idea di turismo responsabile si presentò specialmente in contrapposizione agli
impatti negativi del turismo di massa nei paesi in via di
sviluppo, si pensò che i suoi precetti potessero essere
applicati anche al turismo verso i cosiddetti “paesi sviluppati”. In Europa, nel 1991, venne definito un Piano triennale d’azione a favore del turismo, i cui obiettivi principali
furono: migliorare la conoscenza del settore e delle nuove
forme di turismo; perfezionare lo scaglionamento stagionale del turismo; promuovere le iniziative transnazionali e
la cooperazione; sostenere l’informazione e la protezione
dei turisti; valorizzare la qualità e la competitività dell’offerta turistica europea; incoraggiare una maggiore considerazione dell’ambiente (Notarianni, 2002: 11). Nel 1995
a Lanzarote si tenne la Conferenza Mondiale sul Turismo
Sostenibile, promossa tra gli altri dall’UNESCO (United
Nations Educational Scientific and Cultural Organisation)
e dall’UNEP (United Nations Environment Programme),
che vide la stesura della Carta di Lanzarote, considerata
una tappa fondamentale nella storia del turismo sostenibile. Nel 1996, in Italia, prese vita un Forum nazionale
del turismo, sotto forma di incontro annuale tra operatori
turistici, associazioni ambientaliste, Organizzazioni Non
Governative (ONG), giornalisti, tour operators e osservatori accomunati dalla sensibilità ai temi della critica al turismo e alla ricerca di alternative. Dalle discussioni, l’anno
successivo nacque l’AITR (Associazione Italiana Turismo
Responsabile), che opera per promuovere, qualificare, divulgare, ricercare, aggiornare, tutelare i contenuti culturali
e le conseguenti azioni pratiche connessi alla dizione “turismo responsabile” e promuove la cultura e la pratica di
viaggi di Turismo Responsabile raccordando diverse realtà nazionali affini per scopo. AITR è oggi formata da una
cinquantina di associazioni no profit che si occupano a
diverso titolo di turismo e da diversi soci individuali. Sono
stati recentemente costituiti quattro tavoli di lavoro che si
Natura(l)mente
81
occupano rispettivamente di turismo in uscita dall’Italia,
turismo in Italia, scuola e turismo, informazione e turismo
(Somoza, 2002: 22). Lo stesso anno venne sottoscritta la
“Carta d’Identità per Viaggi Sostenibili”, documento in cui
si enucleano tutti gli aspetti principali del viaggio fornendo
indicazioni concrete su come agire, sia come turista che
come tour operator. Nella carta si esorta il viaggiatore a
chiedersi il perché del viaggio; ad informarsi sulla storia
e sulla cultura del Paese di destinazione; a farsi spiegare dall’agente di viaggio quale etica egli adotti; a capire
quale percentuale del prezzo del viaggio va alle comunità
ospitanti; a portare con sé una buona dose di spirito di
adattamento ed a lasciare le proprie convinzioni a casa;
a rispettare persone, ambiente e patrimonio culturale; a
cercare di arrangiarsi con la lingua locale; a non ostentare
ricchezza; a chiedere il permesso prima di fotografare; a
pensare ai rapporti umani; a coltivare le relazioni una volta
rientrato a casa (Volontari per lo Sviluppo, 2004: 14-16),
e così via, ribaltando quella sfera tradizionale, in cui “nel
mondo del turista lo strano è addomesticato e non spaventa”, in cui “gli shock fanno parte del pacchetto insieme
alla sicurezza” (Bauman, 1999).
Ad oggi, vari sono i pacchetti “sostenibili” offerti da operatori specializzati o direttamente da ONG coinvolte nella
cooperazione allo sviluppo, che operano una ridefinizione
concettuale: da guida a “mediatore locale”, da escursione
a “percorso di conoscenza” (AA.VV., 2006). “ViaggieMiraggi”, un consorzio di organizzazioni no profit del Nord
e del Sud del mondo che lavorano insieme per costruire modelli di economia solidale e sistemi locali di turismo
responsabile, è una rete che opera dal 2000 nella diffusione e nel sostegno dei viaggi responsabili, nei principi
del commercio equo e solidale e di più equi rapporti tra
Nord e Sud del mondo. Propone al viaggiatore un’esperienza che lo mette in relazione diretta con le popolazioni
incontrate, e la comunità ospitante assume un ruolo centrale nel viaggio, diventando protagonista dello sviluppo
turistico responsabile nel proprio territorio. Coopi, organizzazione che si occupa di cooperazione internazionale,
organizza campi di conoscenza nei luoghi dove vengono gestiti progetti di sviluppo. In Trentino, l’associazione
“Viaggiare i Balcani” si propone di far conoscere una regione della quale in genere si colgono solo gli stereotipi e i
luoghi comuni, attraverso proposte di viaggi che tengano
conto del rispetto dell’ambiente, delle culture, delle vicende storiche che hanno segnato questa parte d’Europa.
La cooperativa “Viaggi Solidali”, nata dall’esperienza di
alcune organizzazioni non governative per offrire visite nei
paesi del Sud del mondo, ha speso negli ultimi 5 anni il
30-40% del fatturato direttamente nei Paesi del Sud del
mondo nei quali lavorano per pagare servizi turistici, di
mediazione culturale e presentazione progetti di solida-
Turismo sostenibile: alcuni aspetti con uno sguardo al Trentino
82
rietà. Inoltre, una parte della quota pagata dai viaggiatori
viene girata come quota di solidarietà ai progetti visitati e
alle ONG con cui collaborano.
Viene promosso quindi un turismo rispettoso delle diversità naturali e culturali, che istilli la curiosità di approfondire
la conoscenza del territorio e di chi si incontra in esso, che
disponga a sperimentare abitudini nuove ed inconsuete e
ad andare oltre gli stereotipi senza accontentarsi dell’esotismo facile del folklore. Un turismo che riconosca il diritto
delle comunità locali di decidere come gestire l’offerta turistica sul territorio, dove le uniche dinamiche di relazione
tra turista e autoctono non siano solo di tipo commerciale. L’auspicio è che non rimanga un semplice pensiero di
pochi, ma che venga richiesta come filosofia del viaggio
non solo dal turista, ma anche dalla comunità ospitante,
intesa come le autorità locali (cui competono il turismo e
il governo del territorio), i vari settori dell’industria turistica
del luogo e gruppi di cittadini e residenti che vivono in aree
interessate dal turismo, ma non direttamente coinvolti nel
business turistico.
“Se si tratta di un ente pubblico, di un’amministrazione
locale, di un ministero del turismo, di un assessorato (ma
anche i residenti dovrebbero percepirlo così), allora Turismo responsabile significa l’apertura mentale di pensare alla destinazione quale sistema. Con dei paletti, che è
compito dell’amministrazione fissare e far rispettare. Non
può esistere turismo di qualità se il territorio è vandalizzato e la gente fa quel che le pare, senza valori di cui vada
fiera, e che abbia voglia di condividere con i suoi ospiti”
(Garrone, 2010).
A livello terminologico, inizialmente con il termine turismo
responsabile si indicava un turismo che valutasse l’aspetto
etico delle proprie scelte sulla popolazione locale ed il suo
sviluppo economico e sociale, mentre il concetto di turismo sostenibile si concentrava nel considerare l’impatto
del turismo sull’ambente. Oggi i due termini sono pressoché sinonimi: i principi della sostenibilità comprendono
quelli della responsabilità, e viceversa1. Restando nell’ambito delle definizioni, in “Bel paese buon turismo” (Volontari
per lo Sviluppo, 2004: 22), vengono individuate diverse forme di turismo considerate “alternative”. Si parla quindi di
“turismo integrato” dal momento in cui questo raggruppa
tutte le esperienze che hanno come comune denominatore quello di integrare i servizi offerti ai turisti nel contesto
di accoglienza. Un agriturismo, ad esempio, integra con il
turismo le attività di produzione agricola. L’“ecoturismo” è
Non si è ritenuto opportuno affrontare l’excursus storico del concetto
di sostenibilità. Ci limitiamo a segnalare che già nel 1987 la Commissione
Brundtland forniva una definizione di sviluppo sostenibile che è ancora
oggi attuale: “lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo capace di
soddisfare le necessità del presente senza compromettere la capacità
delle generazioni future di soddisfare le loro esigenze”. Per approfondire il
tema si veda ad esempio Notarianni, 2002.
1
Natura(l)mente
83
una formula per viaggiare negli spazi naturali contribuendo
allo stesso tempo a preservarli. Con il termine di “turismo
solidale” si identificano invece tutte quelle offerte turistiche
che si prefiggono di tenere in considerazione le popolazioni più deboli nel sistema socio-economico attuale, mentre il “turismo equo”, ponendo sempre l’attenzione verso i
soggetti deboli, prevede che ciò avvenga, più che con la
solidarietà, con la remunerazione equa dei servizi erogati
dalle comunità locali, ricercando l’assoluta trasparenza del
prezzo ed il controllo del rispetto dei diritti dei lavoratori
coinvolti. Il “turismo comunitario” infine, è caratterizzato da
servizi gestiti da una comunità e a beneficio della stessa
collettività di abitanti di un territorio. In questo carosello di
termini, per chiudere, si può parlare di turismo sostenibile,
o responsabile, per un turismo che “rispetta e preserva a
lungo termine le risorse naturali, culturali, economiche e
sociali” (Aloj Totaro, 2001).
In Italia, la Provincia autonoma di Trento ha emanato nel
2000 un atto di indirizzo di sviluppo sostenibile che prevede di conciliare le condizioni di benessere delle popolazioni con la conservazione delle dotazioni ambientali ed ecosistemiche dei diversi contesti territoriali; di attuare scelte
di sostenibilità come strumenti ordinari di governo, e non
come piani d’azione speciali; di gestire il territorio in maniera partecipata; di passare da un paradigma di controllo
a uno di responsabilità; di promuovere l’idea di “sufficien-
za” al posto di quella di “abbondanza”, e di concentrare
la propria azione negli ambiti di trasporti, energia, turismo
ed agricoltura. Nello stesso anno, è stato redatto l’“Atto di
indirizzo del turismo trentino”, dove viene dichiarato che il
limite allo sviluppo dell’economia turistica è costituito dalla
sua tollerabilità sociale in un’ottica intergenerazionale; che
il turismo debba assicurare una durata ai processi di crescita locale; che debba preservare l’integrità ambientale
del territorio montano. Necessario, poi, un monitoraggio
costante dei fattori critici legati al turismo, e l’intervento
laddove sia necessario, ad esempio con interventi di regolazione della mobilità. Come fondamentale, infine, viene descritta la definizione di strategie comuni tra i diversi enti che si occupano di turismo. (Betta, Maccagnan,
Zambaldi, 2009: 20).
In questo orizzonte di intenti volti a definire una politica
di sviluppo turistico sostenibile in Trentino, diversi sono
gli esempi più o meno recenti in cui interessi meramente
economici sono stati prioritari, prima tra tutti la questione
relativa alla sostenibilità del turismo invernale in Trentino.
Dopo casi come quelli di Marilleva, della Val Jumela, o di
Folgaria - con 27 milioni di euro erogati da Trentino Sviluppo per gli impianti di risalita contro il parere degli ambientalisti - risale al 2014 il dibattito scatenatosi in seguito alla
proposta della Comunità di Valle delle Giudicarie di realizzare nuovi impianti e piste sciistiche in val Nambino, a Ma-
Turismo sostenibile: alcuni aspetti con uno sguardo al Trentino
84
donna di Campiglio e nella soprastante zona dei 5 laghi.
Le associazioni ambientaliste hanno rilanciato una petizione2 per chiedere che queste zone potessero rimanere intatte nella loro bellezza di fronte ad un territorio già in gran
parte alterato dalla fitta rete di piste e impianti: “è persino
difficile immaginare che possa esservi così poca sensibilità, così carente senso del limite, così scarsa preveggenza
e razionalità da violare uno straordinario e incontaminato
scenario alpino e la serena, armoniosa atmosfera della Val
Nambino erigendo piloni, livellando vallette, alterando il
delicato sistema idrico, abbattendo foreste secolari. L’offesa paesaggistica sarebbe enorme e irrimediabile, al pari
del danno naturalistico. Di fronte alla stagnazione dello sci
alpino, nel momento in cui cresce la domanda di turismo
alternativo, anche il valore economico sarebbe compromesso. La Val Nambino e i 5 Laghi non possono essere
degradati a “luna-park” invernali e ridotti a lande desolate
e senza interesse per il resto dell’anno”3.
L’auspicio, è che i vari documenti di indirizzo del turismo
in un’ottica sostenibile possano diventare una prassi e
una concezione di sviluppo, sia in Trentino che altrove.
Dopo aver offerto una rapida panoramica della questione,
ci proponiamo di prendere in esame alcune sfaccettature relative al tema del turismo sostenibile, ponendo particolare attenzione al territorio trentino e riportando alcuni
esempi di come queste realtà vengano recepite, intese
e attuate. Quindi continueremo presentando parchi naturali ed aree protette come strumenti di eccellenza per
conservare gli ecosistemi naturali e per sviluppare progetti
di turismo sostenibile, laboratori ideali in cui sostenere lo
sviluppo dei territori e delle comunità che li abitano. Una
volta introdotto il tema della conservazione del territorio,
sorge naturale chiedersi che rapporto si può sviluppare
tra turismo sostenibile e mobilità: come si può conciliare
un turismo sostenibile dal punto di vista ambientale con
dei metodi di spostamento inquinanti?
Parallelamente al tema della sostenibilità ambientale, approderemo poi sulla sponda della sostenibilità “culturale”,
per riflettere sul rapporto che si instaura tra turista e popolazione locale, sulle occasioni che ha il viaggiatore di
relazionarsi con le tradizioni di un luogo, e sui meccanismi
che innesca nel paese di destinazione. Una pratica emblematica per favorire la relazione tra viaggiatori e abitanti
verrà presentata nel contributo successivo, ossia il concetto di “albergo diffuso”. Concluderemo infine con una
riflessione che ripercorrerà gli argomenti affrontati.
Salviamo Serodoli - Val Nambino” promossa da CIPRA Italia, FAI, Italia
Nostra, Legambiente, LIPU, Mountain Wilderness, PAN – EPPAA, WWF.
Si veda al riguardo ad esempio: www.legambientetrentino.it.
3
Ibid.
2
Aree protette: laboratori per un turismo sostenibile
Nelle aree protette, la sostenibilità deve essere declinata
Natura(l)mente
85
dal punto di vista delle popolazioni che vivono in prossimità o dentro queste zone e che devono poter continuare a vivere nel territorio e a gestirlo a beneficio non solo
dei turisti ma delle loro stesse famiglie. Le aree protette,
in quanto aree di particolare pregio, si rivelano essere la
sede ideale in cui realizzare esperienze di turismo in grado
di tutelare e valorizzare le risorse locali, sostenendo attivamente lo sviluppo dei territori e delle comunità residenti.
La moderna concezione di conservazione della natura non
si scinde dall’esigenza di garantire la permanenza dell’attività umana nel territorio: la natura è indispensabile all’uomo
così come la presenza dell’uomo è essenziale per la conservazione dei paesaggi che oggi conosciamo e che sono,
di fatto, il frutto di un’interazione millenaria. Le aree protette,
ancora una volta, non sono solo uno strumento per garantire visibilità e sviluppare sensibilità nei confronti della natura, ma anche la sede privilegiata per la creazione di microfiliere di prodotti locali e di promozione di prodotti del parco.
Le aree protette possono diventare una sorta di “laboratorio” per lo sviluppo di alcune strategie turistiche sostenibili
d’eccellenza, anche in tema di accessibilità a persone con
vari tipi di disabilità. Un esempio per tutti, il progetto Parchi
accessibili, il quale vuole fare dei parchi i luoghi ideali per
ogni tipo di turista. Realizzata con il sostegno del Ministero
delle Politiche sociali, l’iniziativa ha compreso corsi per gli
operatori delle aree protette, nonché una mappatura delle
realtà effettivamente a misura delle differenziate esigenze
che possono essere espresse dai visitatori.
In generale, le aree protette rivestono un importante ruolo
educativo e devono pertanto curare moltissimo l’aspetto
della comunicazione, quale vero e proprio fattore di innovazione: si tratta infatti non solo di trasmettere dei contenuti e dei significati ai fruitori delle aree protette, ma anche
agli stessi operatori economici che lavorano dentro o nei
pressi delle aree protette. E’ questa la direzione che le
Aree protette del Trentino stanno adottando per il futuro.
La Provincia autonoma di Trento si colloca in posizione
centro-orientale nella catena montuosa delle Alpi, nel
settore meridionale. E’ una delle province meno densamente popolate d’Italia, con gli insediamenti concentrati
soprattutto nei fondovalle. Le foreste e i pascoli ricoprono circa l’80% della superficie complessiva della Provincia. La complessa orografia del territorio ha sicuramente
condizionato, nei secoli, lo sviluppo delle attività umane,
favorendo forme di sviluppo socioeconomico legate ad
un’agricoltura di tipo estensivo (prati e pascoli) e allo stesso tempo lasciando ampi spazi alle foreste, gestite nei secoli in modo sostenibile e spesso collettivo (si vedano ad
esempio le tante Regole ancora oggi esistenti in Provincia
per la gestione dei beni pubblici).
Proprio la complessità della struttura del territorio ha favorito la sopravvivenza di numerosi ambienti di pregio, sot-
Turismo sostenibile: alcuni aspetti con uno sguardo al Trentino
86
toposti a tutela attraverso l’istituzione di Parchi Naturali, o
attraverso altri strumenti legislativi: si pensi, ad esempio,
alla nascita negli anni ’90 dei Biotopi di interesse provinciale (ora Riserve naturali provinciali), nati con l’intento di
tutelare le zone umide (paludi, stagni, torbiere e canneti).
Attualmente in Trentino ritroviamo un sistema complesso
di aree protette: oltre ai tre parchi – Parco Nazionale dello
Stelvio, Parco Naturale Adamello Brenta e Parco Naturale
Paneveggio Pale di S. Martino – esiste una molteplicità di
altre piccole aree protette: 75 Riserve naturali provinciali,
222 riserve locali, 148 zone di Natura 2000, e numerose
aree di protezione fluviale.
Questo sistema articolato e diffuso su tutto il territorio
comprende complessivamente circa il 30% del territorio
provinciale, con oltre l’80% dei Comuni interessato da almeno un’area protetta.
All’interno di questo sistema si inserisce una importante novità, costituita dalle Reti di riserve: esse sono uno
strumento amministrativo nuovo per gestire e valorizzare
le aree protette in modo più efficace e con un approccio dal basso. La nascita di una Rete di Riserve viene
attivata su base volontaria dai comuni in cui ricadono
sistemi territoriali di particolare interesse naturale, scientifico, storico-culturale e paesaggistico. Previste dalla
L.P. 11/07 “Governo del territorio forestale e montano,
dei corsi d’acqua e delle aree protette”, le Reti di riser-
ve istituite ad oggi sono 7 (Monte Baldo, recentemente
divenuta Parco Naturale Locale, Alta Valle di Cembra-Avisio, Fiemme-Destra Avisio, Alpi Ledrensi, Basso Sarca,
Alto Sarca, Monte Bondone) ed altri territori si stanno
muovendo in tal senso, anche grazie all’impulso del progetto europeo LIFE+ T.E.N4. Queste Reti non hanno la
struttura amministrativa né le funzioni di un parco, ma
sono uno strumento di cooperazione con il quale i Comuni coinvolti nella Rete divengono più consapevoli e responsabili verso le aree di pregio che si trovano sul loro
territorio, potendo disporre anche di risorse economiche
per avviare delle attività concrete per la conservazione
della natura e per lo sviluppo sostenibile del territorio.
Le Reti di riserve, infatti, rappresentano un’opportunità
per i territori per avere maggiore visibilità e per attivare
forme di turismo sostenibile anche in zone considerate
“marginali”.
Ciò che emerge dall’analisi ci dimostra un’ampia scelta di
spazi naturali che possono essere intesi come laboratori
Il progetto LIFE+ TEN, partito nel luglio del 2012 e di durata quadriennale,
punta ad applicare in Provincia di Trento un nuovo approccio alla gestione
della Rete Natura 2000, valorizzando la tutela della natura in un’ottica
anche di sviluppo socioeconomico. Esso ha stimolato la nascita di nuove
Reti di Riserve, che traducono in termini amministrativi e gestionali il
concetto di “rete ecologica”espresso già nella Direttiva Habitat (Direttiva
92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione
degli habitat naturali, seminaturali della flora e della fauna selvatiche).
4
Natura(l)mente
87
per un turismo consapevole. Sorge quindi la necessità di
conciliare la sostenibilità di un luogo con l’impatto ambientale dei mezzi di trasporto impiegati per raggiungerlo:
possiamo considerare l’approccio alla mobilità sostenibile come l’applicazione su larga scala degli stessi principi
di protezione ambientale e difesa della natura che danno
vita ai parchi naturali ed alle aree protette.
inquina più di ogni altro mezzo di trasposto e quindi risulta
difficile fare un “viaggio sostenibile” quando la quantità di
emissioni prodotte è significativamente superiore a quella
prodotta tramite altre modalità di trasporto.
Un’iniziativa che vuole sopperire a questo problema è
quella proposta da alcune organizzazioni ed agenzie di
viaggio di “pagare le proprie emissioni”. Climatecare5 e altre organizzazioni hanno dato vita ai “carbon calculators”
che consentono ai viaggiatori di calcolare le emissioni di
CO2 di cui sono responsabili viaggiando e a quanto ammonta la somma di denaro che serve per compensare i
danni provocati da tali emissioni. Il “cliente sostenibile” ha
così l’opportunità di richiedere una maggiorazione della
tariffa (variabile in base alla lunghezza del viaggio) sapendo che il surplus verrà impiegato per riqualificare o proteggere gli ecosistemi, compensando in tal modo l’impatto ambientale generato. Aderendo a questo programma
di “offset scheme” si consente a Climatecare di finanziare
progetti che mirano a sviluppare l’efficienza energetica in
alcuni paesi in via di sviluppo, come già avviene in India,
Honduras, Uganda e Kazakistan. Questo ovviamente
non è da considerare un metodo puramente sostenibile
Un approccio alla mobilità sostenibile
Quando si parla di sostenibilità la tematica della mobilità sorge spontanea. Si può essere dei turisti veramente
sostenibili se per ogni minimo spostamento si utilizza il
proprio mezzo privato? Spesso per comodità e pigrizia
si macinano chilometri sulla propria auto, facendo tappe solo per i rifornimenti o per un frettoloso riposo se il
viaggio è molto lungo. Per raggiungere le località vicine
non si considera quasi mai di utilizzare mezzi alternativi
all’auto, per evitare “sprechi” di tempo. E allora si sale veloci in macchina, impazzendo poi spesso nella disperata
ricerca di un parcheggio (a pagamento), rodendosi in un
inutile nervosismo soprattutto nei periodi di alta stagione.
Il traffico stradale rappresenta la principale fonte di emissioni, ma si guarda ormai con preoccupazione anche al
ruolo del traffico aereo. Quando si vuole andare a fare una
vacanza lontano o si cerca il collegamento più rapido è
indispensabile utilizzare l’aereo. Questo però, è risaputo,
Si tratta di un’organizzazione che collabora con più di 800 partner
provenienti da tutto il mondo, alcuni dei più famosi come Lonely
Planet, Rough Guides, Jaguar Land Rover, The Co-operative. Per
approfondimenti si veda il sito www.climatecare.org
5
Turismo sostenibile: alcuni aspetti con uno sguardo al Trentino
88
di viaggiare, poiché non riduce le emissioni di CO2, ma
cerca di compensarle. Bisogna comunque ricordare che i
vari progetti a salvaguardia dell’ambiente non riusciranno
a ridurre l’inquinamento aereo, considerata la forte crescita del traffico nel cielo. Questo escamotage può essere
classificato come un tentativo di aiuto e di attenzione verso l’ambiente, ma servirà altro per poter affrontare il vero
problema delle emissioni.
Sempre più di frequente il tema della mobilità sostenibile
sta acquistando importanza nelle agende politiche, non
solo locali ma anche nazionali e internazionali, e i dibattiti
su come si possa ridurre l’impatto ambientale derivante
dalla mobilità delle persone e delle merci sono frequenti
e molto accesi. Come si evince dal rapporto “Air quality in Europe” pubblicato nel 2013 dall’Agenzia Europea
per l’Ambiente (AEA)6, il 90% della popolazione europea
è esposta quotidianamente a livelli di inquinanti atmosferici ritenuti nocivi per la salute e ovviamente distruttivi
per l’ambiente. La presenza di polveri sottili7 e ozono tro-
posferico, in effetti, continua ad essere fonte di problemi respiratori, malattie cardiovascolari e rimangono una
minaccia onnipresente per gli ecosistemi. La presenza
di queste sostanze dipende principalmente dai processi
di combustione, ma anche dai continui interventi stradali volti ad asfaltare nuove strade e dall’uso eccessivo ed
incontrollato dei freni e degli pneumatici. Occorre inoltre
considerare il problema che lo sfruttamento di risorse naturali esauribili, quali il petrolio, pone a livello economico.
Infatti il settore dei trasporti produce da solo la metà delle
emissioni di polveri sottili in Italia, di cui oltre il 65% deriva dal trasporto stradale. Il sistema dei trasporti, quindi,
è senza dubbio uno dei maggiori responsabili dell’inquinamento atmosferico. Se si vuole veramente tendere ad
una società sostenibile ed attenta all’ambiente servono
urgentemente delle strategie politiche migliori, ma soprattutto un cambiamento radicale nelle abitudini e nel modo
di pensare delle persone.
Oggi circa la metà del suolo urbano è destinato allo scorrimento del traffico e al parcheggio. Il numero di autovetture circolanti ogni mille abitanti (tasso di motorizzazione),
se da un lato rappresenta un indicatore positivamente
associato allo standard di vita di un paese, dall’altro con-
Air quality in Europe, scaricabile dal sito http://www.eea.europa.eu/
publications/air-quality-in-europe-2013, è una relazione dove viene
presentata una panoramica e un’analisi della qualità dell’aria in Europa
dal 2002 al 2011, soffermandosi sulle ultime scoperte e stime degli
effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute e il loro impatto sugli
ecosistemi.
7
Per polveri sottili si intende il particolato, PM2.5 e PM10. Le polveri sottili,
PM10, includono tutte le particelle di dimensioni fino a 10 micrometri
6
di diametro (1 micrometro è pari a un milionesimo di metro) e il PM2.5
comprende tutte le particelle “fini”, di diametro fino a 2,5 micrometri.
Natura(l)mente
89
sente di misurare l’impatto negativo sulla qualità dell’aria
riconducibile soprattutto alle vetture in circolazione. Il tasso di motorizzazione8 in Italia è passato da circa 501 autovetture ogni mille abitanti nel 1991 a circa 606 nel 2010,
con un incremento medio annuo pari all’1%, risultando
uno dei tassi più alti del mondo e il secondo nell’Unione
Europea. “Se anche soltanto alcuni dei cosiddetti paesi in
via di sviluppo (per esempio la Cina, o l’India, o il Brasile)
raggiungessero il tasso di motorizzazione dell’Italia, l’intera superficie del pianeta non basterebbe a contenere le
auto, né l’atmosfera terrestre, quand’anche surriscaldata
a temperature roventi, sarebbe in grado di assorbire le
loro emissioni” (Viale, 2007).
Da qualche anno si stanno sviluppando e diffondendo
nuovi strumenti di mobilità sostenibile sia per i cittadini
che per i turisti. Ovviamente il treno rientra tra questi, però
questo ha spesso degli orari poco pratici e le tratte risultano essere troppo lunghe e scomode per il turista o per
il pendolare. Per questo da alcuni anni si è sviluppato una
nuova “moda sostenibile”: il car pooling, la condivisione
dell’automobile e delle spese, riducendo così le auto in
circolazione e di conseguenza l’inquinamento. Secondo i
dati di carpooling.it, il portale leader in Europa nel settore
del ride-sharing, sempre più italiani scelgono la formula
dell’auto di gruppo per spostamenti di media e lunga percorrenza. “Dal lancio del servizio nel 2010, in Italia sono
stati condivisi 64 milioni di chilometri, con un risparmio
di 3,5 milioni di carburante e 7000 tonnellate di CO2. Un
bilancio positivo che attesta lo sviluppo del carpooling anche nel nostro Paese e ci colloca a livello europeo al terzo
posto dopo Germania e Francia.”9
Un altro metodo sviluppato dalle politiche della mobilità
sostenibile che punta alla razionalizzazione nell’uso dei
veicoli, è il car sharing, ovvero un servizio che permette
di utilizzare un’automobile su prenotazione, prelevandola e riportandola in un parcheggio, e pagando in ragione
dell’utilizzo. Lo slogan lanciato da ICS – Iniziativa Car Sharing è: “compra l’uso effettivo del mezzo anziché il mezzo
stesso”. Anche qui i benefici sono sia di tipo economico
che ambientale. Infatti non siamo in presenza solamente di un minore inquinamento atmosferico e acustico e
di una limitazione delle emissioni di anidride carbonica,
Il tasso di motorizzazione si ottiene dal rapporto tra il numero di
autovetture presenti nel Pubblico registro automobilistico (PRA) e
la popolazione residente. In generale, il numero di autovetture, di altri
autoveicoli e di motoveicoli iscritti al PRA rappresenta una stima
sufficientemente accurata dell’entità della circolazione veicolare nel
Paese. Sono esclusi i veicoli per i quali è stata annotata la perdita di
possesso e quelli confiscati. Dati consultabili negli archivi Istat (Annuario
statistico italiano, 2011); Aci (Annuario statistico, 2011) e Eurostat,
Transport statistics (Statistical Pocketbook, 2011).
8
Comunicato Stampa www.carpooling.it, 28 marzo 2013.
9
Turismo sostenibile: alcuni aspetti con uno sguardo al Trentino
90
ma si possono riscontrare dei vantaggi anche dal punto
di vista urbano: la diminuzione del numero di veicoli in
circolazione e dello spazio di sosta, che riducono i costi legati all’adattamento delle strade ed alla congestione
delle città dovuti al traffico automobilistico. In Trentino per
promuovere questa iniziativa è stata fondata nel 2009 la
Cooperativa Car Sharing Trentino, per iniziativa di Trentino Trasporti Spa, Trentino Mobilità Spa, Cooperativa Car
Sharing Bolzano e l’associazione Trentino Arcobaleno. Attualmente la “flotta” del Car Sharing Trentino è composta
di 13 veicoli (11 a Trento e 2 a Rovereto).10
Ovviamente l’incentivo è sempre quello di muoversi con
i mezzi pubblici o ancora meglio a piedi o in bicicletta.
Proprio per questo in quasi tutte le maggiori città europee
e italiane si può trovare il servizio di bike sharing. Cittadini
e turisti possono girare per la città durante il giorno con la
“bicicletta condivisa” con il solo vincolo di riconsegnarla
alla fine dell’utilizzo presso uno dei vari punti di raccolta.
In Trentino tutti questi metodi alternativi alla mobilità usuale sono stati sviluppati e sempre più incentivati e utilizzati.
Grazie al progetto “Bike sharing trentino e.motion” voluto dall’Assessorato alle infrastrutture e all’ambiente della Provincia, dal giugno 2014 anche nelle città di Trento,
Rovereto e Pergine è possibile usufruire delle biciclette
pubbliche, anche a pedalata assistita.11
Per i turisti sono stati presentati pacchetti innovativi, volti
alla salvaguardia dell’ambiente e della salute. Nel 2013
biciclette elettriche, bike sharing e pacchetti vacanze ad
hoc sono stati pubblicizzati con lo scopo di incrementare
il cicloturismo in Trentino. Il progetto si chiama “Trentino
in bicicletta”, è proposto dalla Divisione Turismo e Promozione di Trentino Sviluppo, e prevede di semplificare
l’organizzazione della propria vacanza e stimolare i turisti:
l’accorta politica turistica punta a rendere la vacanza in
bicicletta del singolo più semplice e stimolante, grazie ai
percorsi interattivi presenti sulla rete, ai centri di noleggio
e assistenza, ai pacchetti vacanza ideati appositamente e
all’interconnessione delle ciclabili con i sistemi di trasporto
pubblico locale.
Per citare un esempio virtuoso, un percorso sviluppato
lungo tutta la catena montuosa del Brenta è il “Dolomiti
Brenta Bike”, un tour a tappe che ha una lunghezza complessiva di 171 chilometri con 7.700 m di dislivello complessivi e interessa gli ambiti turistici dell’Altopiano della
Paganella, Valle delle Giudicarie, Madonna di Campiglio,
Pinzolo, Val Rendena, Val di Sole e Val di Non. Il biker può
scegliere se fare tutto il percorso lungo le strade sterrate
Tutti i dati e per ulteriori approfondimenti consultare il sito www.
carsharing.tn.it
10
Per ulteriori informazioni http://www.provincia.tn.it/bikesharing
11
Natura(l)mente
91
oppure usufruire dei mezzi pubblici come i treni della Ferrovia Trento-Malè o gli autobus di Trentino Trasporti.
Se ci spostiamo lungo la parte orientale del Trentino (Valli
di Fiemme, Fassa, Primiero e Valsugana) possiamo trovare invece 1100 chilometri di percorsi fuori strada fra boschi, pascoli, laghetti alpini e due Parchi Naturali, quello
del Monte Corno a ovest e quello di Paneveggio - Pale di
San Martino ad est. Per citare un altro esempio, sul “Dolomiti Lagorai Bike” si snoda un sentiero su un panorama
unico costituito dalle vette del Latemar, del Catinaccio,
del Gruppo del Sella e delle Pale di San Martino, riconosciute dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità.
Naturalmente l’offerta non si limita a sole bellezze naturalistiche, ma è anche inclusiva di progetti incentrati sul patrimonio storico-culturale, come il percorso situato sugli
altopiani di Lavarone, Luserna e Folgaria dove impone la
propria presenza il “Fortezze Bike Tour”. Questo si divide
in 10 tappe e porta i cicloturisti alla scoperta dei resti austroungarici della Prima Guerra Mondiale e delle numerose
fortezze che hanno costituito per anni la cintura fortificata
del Trentino sud-orientale. Ogni Valle propone poi tratti di
piste ciclabili brevi, che collegano principalmente i paesi
tra loro o portano a qualche bellezza naturale. Sempre più
treni nazionali e locali si stanno attrezzando per facilitare il
trasporto delle biciclette da un luogo all’altro: in Trentino si
può trovare in estate il vagone con il posto bici e in inverno
quello per gli sci, aiutando così sia il turista sia i locali a
raggiungere le piste comodamente con i mezzi pubblici,
senza dover utilizzare la propria automobile. Nonostante
il cicloturismo e il turismo alternativo in generale siano ancora una risorsa secondaria, ogni anno si punta sempre
più al loro sviluppo poiché si è capito che questo porta
vantaggi sia all’ambiente sia all’uomo. Alle volte è più faticoso, ma porta grandi soddisfazioni, facendo scoprire a
grandi e piccoli il valore vero della natura incontaminata.12
Turismo dell’immaginario e valorizzazione
delle tradizioni
Nell’introduzione si è visto come il concetto di sostenibilità
non comprenda solo gli aspetti ambientali ma anche quelli
culturali: nell’ambito del turismo, si riferisce la necessità
di non stereotipare tradizioni e usanze locali e non standardizzarli a modelli (sempre uguali) godibili dal turista ma
estranei al contesto di riferimento.
C’è chi viaggia ricercando le emozioni dell’esotico, ma
non è disposto ad impegnarsi realmente nella conoscenza e nel confronto con altre culture. Così facendo si finisce
con l’esaurire sterilmente questo desiderio, portando a
Dati consultabili nel Report della Provincia autonoma di Trento Turismo sostenibile: l’offerta trentina e alcune buone pratiche a livello
italiano ed europeo.
12
Turismo sostenibile: alcuni aspetti con uno sguardo al Trentino
92
casa immagini colorate di paesaggi inconsueti ed oggettini ricordo e vivendo la vacanza servito in hotel di lusso,
magari a discapito di un peggioramento delle condizioni
di vita della popolazione locale, riproponendo infine uno
stanco modello di relazioni tipico del colonialismo.
C’è chi vorrebbe osservare credenze ed usanze di altri
popoli tramite il racconto diretto di chi le vive; ma il carattere transitorio della relazione tra il turista e la popolazione
locale e le barriere linguistiche rendono difficile l’incontro
a quei livelli profondi e necessari per la comunicazione di
tali argomenti.
In ogni caso, il turista cercherà un immaginario del territorio che visita, cioè delle rappresentazioni della cultura materiale e immateriale legata all’ambiente sociale e naturale
del posto. Per cultura materiale si intendono l’architettura
e l’ambiente naturale, l’artigianato e la gastronomia; per
cultura immateriale si intendono le leggende, le fiabe, le
credenze popolari espresse attraverso riti e tradizioni.
Possiamo così definire un turismo dell’immaginario come
la scoperta di un territorio attraverso l’allestimento narrativo della cultura sia materiale che immateriale (Zucca,
Gretter 2004: 5).
È riconosciuto che il turismo dell’immaginario potrebbe
rappresentare un catalizzatore economico importante per
l’innestarsi di un processo reale di sostenibilità: il diffondersi del fenomeno della globalizzazione ed i suoi effetti
standardizzanti, innesca per contro anche la curiosità delle persone verso saperi ed usanze tradizionali, pratiche
legate ai saperi della terra e della natura.
In Trentino, riguardo alla valorizzazione delle tradizioni, segnaliamo l’importanza di musei e siti etnografici, che dovrebbero svolgere la funzione di “mediatori culturali” consentendo di far conoscere, sia ai residenti che ai turisti, le
usanze del territorio, coniugando la proposta di tradizioni
e modi di vivere locali con l’innovazione. In questa Provincia è notevole la ricchezza del patrimonio etnografico,
sottolineata dall’esistenza di una fitta rete di musei, tra cui
alcuni di importanza nazionale come il Museo degli Usi
e Costumi della Gente Trentina di S. Michele all’Adige, e
di siti etnografici, che si estendono in maniera capillare
sull’interno del territorio provinciale: segherie, mulini, fucine, malghe, caseifici, sentieri etnografici e via dicendo.
Nella valorizzazione delle tradizioni, importanza fondamentale hanno gli ecomusei: in Trentino ad oggi sono sette, il cui scopo è la conservazione e la valorizzazione di
ambienti di vita tradizionali, del patrimonio naturalistico e
di quello storico-artistico, attraverso la predisposizione di
percorsi sul territorio, la promozione di attività didattiche
e la ricerca aperta alla comunità locale e agli escursionisti
(Betta, Maccagnan, Zambaldi, 2009: 62). A maggio 2011,
tramite la conclusione del progetto “Mondi locali del Trentino”, sono state poste le basi per una Rete informale tra
Natura(l)mente
93
i sette Ecomusei sotto il profilo istituzionale, gestionale e
organizzativo; gli enti aderenti sono l’Ecomuseo dell’Argentario, della Judicaria, del Lagorai, della Val di Peio,
della Valle del Chiese, del Viaggio, del Vanoi. Gli obiettivi
comuni si concretano nella creazione di una struttura che
permetta la circolazione di idee e rapporti collaborativi tra
le strutture, nella gestione di attività coordinate secondo
criteri di qualità, economicità ed efficacia, coinvolgendo
altri enti locali in un’ottica di sviluppo del senso di appartenenza, del patrimonio culturale e dell’integrazione tra
cultura immateriale, materiale, innovazione, sostenibilità,
partecipazione. Il tutto, tramite una rete informale, quindi
senza un pesante apparato burocratico che rallenterebbe
il raggiungimento di tali obiettivi13.
Fondamentale è anche l’aspetto della valorizzazione delle
produzioni tipiche locali, testimoni anch’esse della storia
e delle tradizioni del territorio, che genera effetti benefici in
termini di reddito e occupazione per la popolazione locale
e conseguenze positive per la tutela dell’ambiente ed il
sostegno dell’agricoltura di montagna.
Le malghe in Trentino hanno una particolare importanza.
Sono più di 250, delle quali circa un’ottantina producono formaggio, ovvero non sono solo destinate al pascolo
delle mucche, ma anche alla lavorazione e alla trasforma-
zione del latte, per produrre qualità di formaggi uniche ed
irripetibili da malga a malga e definiti genericamente come
“nostrano di malga” (Betta, Maccagnan, Zambaldi, 2009:
76). Le malghe da formaggio possono essere definite
come “doppiamente sostenibili”, poiché contribuiscono
sia a presidiare gli alpeggi che a mantenere in vita produzioni alimentari, saperi e tradizioni altrimenti destinate a
scomparire per sempre. Inoltre le malghe rappresentano
un’importante risorsa turistica che permette ai viaggiatori di venire a contatto con il mondo rurale e conoscere
le tecniche utilizzate per la produzione dei formaggi, attraverso esperienze condivise con i gestori. La Trentino
SpA ed alcune aziende per il turismo organizzano da anni
durante l’estate una manifestazione denominata “Andar
per Malghe”. L’iniziativa comprende una serie di uscite
in varie malghe del Trentino per portare i partecipanti a
provare i prodotti tipici ed a condividere per un giorno la
vita del casaro. Altra analoga iniziativa interessante, partita durante l’estate del 2013 e legata alla valorizzazione
turistica delle malghe, si chiama “Albe in malga”. Durante
questa manifestazione, una quindicina di malghe trentine,
ogni sabato all’alba, aprono le porte per far conoscere ai
visitatori i passi della produzione del formaggio nel loro
ambiente naturale. Al mattino, i visitatori possono godere di una colazione a base di prodotti tipici a chilometri
zero, ed hanno inoltre a disposizione una guida alpina per
www.ecomusei.trentino.it
13
Turismo sostenibile: alcuni aspetti con uno sguardo al Trentino
94
intraprendere escursioni14. Connesse a queste proposte
che uniscono produzione tradizionale ed offerta turistica
troviamo “Le strade del vino e dei sapori”15, altro progetto
di tipo esperienziale che guida il visitatore non solo attraverso il territorio ed i suoi prodotti tipici, ma anche attraverso le tecniche di lavorazione e produzione di questi,
mantenendo in primo piano la relazione con gli operatori
locali, al fine di offrire un’esperienza di confronto con la
gente del posto. Questi percorsi, dislocati secondo criteri
enogastronomici in varie valli del Trentino, ne potenziano e
ne tutelano le produzioni specifiche mettendo in rete i vari
attori del territorio e aiutando quasi 700 piccole o medie
imprese a portare avanti il loro lavoro, le quali a loro volta
si impegnano nel promuovere agli occhi del turista e dei
residenti l’immaginario della zona in cui operano (Betta,
Maccagnan, Zambaldi, 2009: 82). Come si può vedere, il tipo di offerta turistica promossa nelle iniziative citate
pone decisamente l’accento sulla produzione (agricola,
manifatturiera) coniugata al valore aggiunto della “cultura
immateriale”, che la arricchisce di quella peculiarità ricercata, come si ricordava all’inizio, dal viaggiatore.
Nel 2009, secondo Betta, Maccagnan, Zambaldi (2009:
p.25), la capacità attrattiva di alcune proposte come gli
ecomusei risultava abbastanza di nicchia, situazione che
secondo un’ipotesi degli autori potev essere dovuta anche all’assenza di un modello “complessivo” che potesse riunire tante piccole puntuali esperienze focalizzate su
aspetti particolari. Dominik Siegrist, in un convegno tenutosi a Trento tra il 12 e il 14 ottobre 2000, affermava che
“l’ambizione originaria di orientare l’intero settore turistico
a nuovi valori di fondo è rimasta irrealizzata” perché “nessuna località con il turismo leggero ha raggiunto un rilevante successo. I guadagni consistenti vengono realizzati
nelle località che si sono dedicate al turismo intensivo”
(cit. in Betta, Maccagnan, Zambaldi, 2009: 25) Eppure,
anche se non vi fossero “guadagni consistenti”, l’importanza della valorizzazione dell’immaginario non si limita al
soddisfacimento delle aspettative dei turisti. Ogni comunità ha dei simboli che danno valore alla propria esistenza,
un sistema di riferimento simbolico che reinterpreta e dà
senso alle azioni dell’uomo ed alla percezione della realtà,
un sistema di pensiero che conseguentemente crea un
modello identitario. Senza i simboli che rendono intellegibile il mondo e le relazioni che si instaurano in esso una
comunità perde la propria identità; la tradizione non appartiene soltanto al passato, ma interviene nella realizzazione e nella percezione di combinazioni sociali e culturali
in un rapporto dialettico con la modernità. La questione
dell’identità rimane quindi un elemento fondamentale per
www.visittrentino.it
www.stradedelvinodeltrentino.it
14
15
Natura(l)mente
95
immaginare dei modelli di sviluppo che preservino il patrimonio culturale di una società e che stimolino l’impegno
civile. Attraverso la propria storia, attraverso una memoria
comune, una comunità può dare un senso al suo passato
ed al suo presente, può comprendere gli elementi di valore
che fanno accrescere l’autostima, può sentirsi più unita,
partecipe nella vita sociale e nei legami di solidarietà, nella
valorizzazione della propria cultura e nella progettazione
di un futuro autonomo (Zucca 2004: 23). Per recuperare cappelle e piloni votivi, riscoprire all’interno della civiltà
contadina tutte quelle attrattive e peculiarità culturali che
possano diventare dei magneti di interesse turistico (Salvetti 2004: 52), Zucca (2004: 21) segnala che alcuni paesi
alpini hanno perfino assunto un etnologo come componente permanente nelle politiche di sviluppo. Per recuperare, oltre al “materiale”, anche l’identità di una comunità
bisogna identificarne i legami storici, culturali, sociali ed
economici che hanno legato l’uomo all’ambiente in cui
vive; è necessario scoprire e rivalorizzare il patrimonio mitologico e leggendario, affinché un territorio possa essere
legato ad una storia ed identificato dalla gente per mezzo
di questa, in modo da stimolare la creatività e l’inventiva che si innesca a partire dal racconto, la rielaborazione
del mito e l’arricchimento umano, poetico e culturale che
infonde nelle popolazioni. Bisogna coordinare iniziative
di varie comunità, raccogliere strumenti, scritti, oggetti,
immagini per attrezzare i musei etnografici che verranno
usati non solo per il turismo, ma anche dalle scuole.
A questo ha puntato il progetto “Rete europea del turismo di villaggio fase II”, che ha beneficiato di fondi comunitari all’interno del programma INTERREG III C per il
periodo 2003-2006, e che ha unito le regioni dell’Alentejo
(Portogallo), della Lapponia (Finlandia), di Arad (Romania),
di Łomza (Polonia), e del Trentino (con il BIM16 del Brenta, il BIM del Chiese ed il Centro di Ecologia Alpina del
Monte Bondone). Si tratta di un progetto turistico basato
sull’identità dei piccoli paesi e ha come obiettivo la valorizzazione del loro patrimonio culturale, architettonico e
naturale rimanendo a stretto contatto con la popolazione
e l’ambiente circostante. Lo scopo principale del progetto
è l’elaborazione di una metodologia condivisa con i paesi
partner dell’iniziativa, per permettere lo sviluppo in chiave turistica delle comunità coinvolte, al fine di favorire lo
sviluppo durevole in paesi marginalizzati nel loro territorio
di appartenenza, offrendo alle comunità più isolate nuovi
strumenti per uno sviluppo sostenibile ed equilibrato. Basandosi sul retaggio, sulle leggende, i miti e le tradizioni,
ciascuna regione ha cercato i propri elementi unificanti
che hanno contribuito alla differenziazione di questa Rete,
Consorzio dei comuni della provincia di Trento compresi nel bacino
imbrifero montano (http://www.bimbrenta.it/)
16
Turismo sostenibile: alcuni aspetti con uno sguardo al Trentino
96
condividendo problemi simili e creando pratiche comuni
in vista di uno sviluppo sostenibile delle aree coinvolte. Il
progetto ha previsto una fase di studio e di analisi (da un
punto di vista sociale, economico, antropologico e turistico) dei paesi coinvolti; una fase di diagnosi e di proposta
di sviluppo e un’altra di realizzazione del piano di sviluppo
elaborato. Fondamentale è stato l’approccio bottom-up
(“dal basso verso l’alto”) del progetto, che ha previsto un
coinvolgimento diretto della popolazione locale, generando lo sviluppo di un’autoconsapevolezza di limiti, potenzialità e punti di forza del gruppo. Particolare attenzione è
stata posta riguardo al coinvolgimento di giovani e donne,
per dare reali opportunità di sviluppo ai comuni di montagna che sono posti in zone svantaggiate e che corrono il
rischio di scomparire come insediamenti stanziali e anche
appetibili per essere abitati in futuro. Nel 2006, con lo scadere dei finanziamenti europei, si era previsto che la Rete
fosse in grado di proseguire il proprio cammino in modo
autonomo ed indipendente, anche economicamente, e
che ogni realtà coinvolta finanziasse il suo inserimento
nella Rete attraverso la creazione di nuovi organismi, in
modo che l’intero progetto si sostenesse da solo. Si è
così costituito a livello europeo un organo di gestione con
sede ad Evora, la cui priorità è la commercializzazione del
prodotto “Rete Europea del Turismo di Villaggio” attraverso il nuovo marchio “Genuineland”. Nel 2007 il progetto
è stato insignito del premio Ulysses Award, che annualmente viene conferito dalla World Tourism Organization
per le più innovative esperienze nel settore turistico condotte da Organizzazioni non Governative17.
Esempi di cosa rappresenti il tentativo di valorizzare il
patrimonio culturale, naturale ed architettonico di piccoli
paesi, si trovano tra gli atti del convegno “Il turismo magico: cultura tradizionale, rete europea dei villaggi, turismo
sostenibile” tenutosi a Trento – Facoltà di economia, il 20
aprile 2004.
Nel documento si spiega che nella regione dell’Alentejo
(Portogallo), dove la crescente densità urbana ha affrettato lo spopolamento delle aree rurali, portando ad una diminuzione delle attività economiche ed alla desertificazione delle zone coi climi più caldi, si è cercato di introdurre
alcune attività turistiche nei villaggi tradizionali, spostando
parte del turismo dalla costa e dai centri urbani. In questa zona, si è scelto di puntare sulla presenza di monumenti megalitici che testimoniano presenze significative
di insediamenti umani nella zona intorno al 6000 avanti
Cristo. Con la diffusione di pubblicazioni, video e mostre
a diffusione della ricerca scientifica, si è sviluppata una
nuova proposta turistica a favore dell’ambiente di cam Si veda a proposito: http://know.unwto.org/content/unwto-awardsexcellence-and-innovation-tourism
17
Natura(l)mente
97
pagna, che ha permesso di unire preistoria ed elementi
storico-culturali assieme ad escursioni naturalistico-rurali.
In Romania, nella regione dell’Arad, si è cercato di creare
prodotti integrati nella cornice dell’offerta turistica, a livello locale, coinvolgendo ricettività, negozi di artigianato,
ristoranti, monumenti storici accessibili, stilando un programma degli eventi culturali, delle attività museali e di altri
servizi con standard qualitativi ragionevoli per soddisfare
i bisogni del turista. È stata dunque progettata una “strada del vino”, una “strada del latte” ed una “strada delle
acque termali”.
In Polonia, nel comune di Zbòina, si è valorizzata la posizione geografica, l’ambiente e la storia della regione
Kurpie, le tradizioni e la cultura del luogo. Ora i visitatori
possono soggiornare in strutture turistiche con l’aspetto
di vecchie capanne Kurpie e le donne del posto possono insegnare loro a cuocere un particolare tipo di pane
tradizionale. Infine, tutti i piatti offerti dalle cucine degli
agriturismi vengono preparati in casa usando ingredienti
forniti dai contadini che si servono di metodi tradizionali
per ottenere i raccolti senza l’uso dei fertilizzanti chimici.
In Piemonte, a Paroldo e in tutta la zona delle Langhe,
riprendendo l’immagine tradizionale delle “masche” (le
fattucchiere locali) contornata dai molti aspetti della civiltà
contadina, l’associazione “Masche di Paroldo” è riuscita a
far emergere il paese dall’abbandono. A Paroldo sono stati
aperti una panetteria ed un caseificio, mentre alcune famiglie hanno modificato cascine in bed and breakfast, unitisi
ai tre agriturismi già operativi. Qua, come in molti luoghi,
l’abbandono di un tempo ha evitato un uso selvaggio del
territorio con le sue devastazioni edilizie e il turismo di rapina. Sentieri impervi e dimenticati sono diventati luoghi di
passeggiate storiche e notturne. Ecco dunque come una
situazione di marginalità possa in tempi diversi diventare
un motore di uno sviluppo sostenibile (Salvetti 2004, p.58).
A Cimego, in Trentino, dove moltissimi abitanti erano emigrati a Trento o nel bresciano ed il territorio offriva poco
lavoro, il comune ha iniziato un lavoro di sviluppo dell’identità del luogo una ventina di anni fa. Ha deciso di partire
dal recupero di un antico fatto storico quasi dimenticato (il
passaggio in zona di Fra’ Dolcino con Margherita la bella,
prima di raggiungere il Biellese e il monte Rubello, dove sarebbero stati sterminati insieme ai loro compagni), per valorizzare il territorio e creare forme di economia che dessero
opportunità di lavoro qualificato ai giovani. In un luogo dove
non si poteva puntare su altre risorse, si ideò un sentiero etnografico con riscoperta dei mestieri tradizionali, della
storia locale e delle leggende. Vennero restaurate le fucine
che si trovavano sul percorso di un torrente, venne aperto
un mulino che riprese a macinare il grano per panificare il
pane cotto poi in forno a legna. L’intera popolazione è stata
coinvolta in iniziative di formazione seguite e coordinate da
Turismo sostenibile: alcuni aspetti con uno sguardo al Trentino
98
antropologi e storici, dando avvio a cicli di incontri che si
sono poi ripetuti negli anni. Dopo ulteriori iniziative (si veda
al riguardo Bertini, 2004), si è formata in zona una cooperativa di giovani laureati, il “Consorzio Iniziative e Sviluppo”,
che tuttora gestisce le visite guidate sul sentiero etnografico
e che attualmente sta gestendo anche le visite turistiche
di tutta la Valle del Chiese. Il caso ha avuto grande visibilità a livello nazionale ed internazionale, con diversi servizi girati dalla RAI, RAI International, Mediaset. Si è frenato
lo spopolamento, e si è verificato un leggero incremento
demografico; è aumentato il numero dei turisti e dei visitatori (il sentiero etnografico raggiungeva nel 2004 le diverse
migliaia ogni anno); è stato aperto un supermercato in fondovalle, portando con sé diversi posti di lavoro; è cresciuta
la collaborazione con i vari paesi della valle, con le Aziende
di promozione turistica e tra i produttori di beni tipici di alta
qualità della zona; ha intrapreso l’attività una nuova industria manifatturiera; in ultimo, tutto ciò ha fornito lo spunto
per la costituzione dell’ecomuseo della Valle del Chiese,
che è stato fatto proprio dal Consorzio comuni del BIM del
Chiese e riconosciuto ufficialmente dalla PAT nel 2002.
Attingere alla sfera dell’immaginario può essere dunque
decisivo per uno sviluppo turistico: si possono ad esempio riscoprire forme di religiosità arcaica anche se si deve
pescare sotto secoli di cristianizzazione. Talvolta, queste
forme di religiosità sono ancora vive, travestite da cerimo-
nie più ortodosse. Il lavoro da fare è quello di metterle in
rapporto col patrimonio artistico, tradizionale, musicale;
organizzare delle iniziative in cui il visitatore si senta parte
di questo lavoro di ricerca, e delle manifestazioni che facciano rivivere l’antica spiritualità ed il senso della festa del
luogo. E’ necessario collegare il patrimonio immateriale
con i vari comparti produttivi, in modo da sviluppare la
partecipazione della comunità.
Il turismo, in un modo o nell’altro, nel voler riproporre le
tradizioni, le modifica: quando si espone una tradizione al turismo, bisogna operare delle scelte e presentare
un’interpretazione di quello che si identifica con la cultura
autentica. Si è detto che ciò può rafforzare le culture locali favorendone la consapevolezza, ma viene da chiedersi che valore abbia la tradizione se viene mantenuta
viva a scopo di profitto, senza aver a che vedere con la
vita reale. La tematica dell’autenticità è complessa, non
è sempre semplice comprendere dove si trovi il confine
tra la valorizzazione dello spirito di un luogo e il marketing
fine a se stesso, tra il rispetto di un fatto storico e la sua
spettacolarizzazione acritica.
Del resto, l’incontro tra una società e la pratica del turismo in quella zona provoca, come tutti gli incontri, un
trasferimento di valori e di modelli di consumo che possono essere fonte di innovazione come possono causare la
crisi e l’abbandono dei valori tradizionali, facendo emer-
Natura(l)mente
99
gere conflitti latenti dalla rottura con degli schemi culturali
preesistenti.
In un passo riportato dal testo dell’associazione Volontari
per lo Sviluppo (2004), l’antropologo Marco Aime trascrive una conversazione avuta durante uno dei suoi viaggi in
Mali, per studiare le usanze del popolo Dogon:
“Chiedo a Cissé (Youssouf Tata Cissé, etnologo maliano,
n.d.r.) che cosa pensi di queste danze turistiche. «E’ vero
che non hanno lo stesso significato di quelle rituali - dice ma questo i danzatori lo sanno benissimo. Però le danze
sono uguali e questi giovani tra qualche anno saranno dei
bravi danzatori. Guarda come si muovono! Se non ci fossero queste occasioni non potrebbero neppure esercitarsi
e forse le danze si perderebbero.»”
Continua l’antropologo:
Anche i turisti seduti lì davanti in fondo sanno benissimo
che le danze che stanno osservando non sono rituali e
forse non riuscirebbero neppure a comprenderne i significati e gli aspetti più profondi se queste fossero eseguite
nel loro contesto naturale. Le danze tradizionali sono “etniche”, queste sono teatrali. […] Le performance culturali
legate alla tradizione sono un ottimo supporto per il turismo, anche se sono artificiali. Il rischio è che vengano
declassate da eventi culturali a semplice “colore”; d’altro
canto bisogna riconoscere che talvolta è proprio la performance turistica a mantenere in vita, sebbene a livello più
di forma che di contenuto, tradizioni in via di sparizione.”
(Marco Aime in Diario Dogon, Bollati Boringhieri, Torino,
2000).
Rimane fondamentale comunque cercare di evitare di fare
in modo che certe tipologie di riproposizioni delle tradizioni non facciano altro che rafforzare stereotipi e pregiudizi
verso una determinata popolazione: uno strumento utile
a superare questo tipo di barriera culturale tra chi viaggia
e chi riceve potrebbe essere individuato nello sviluppo di
forme di ospitalità che rifuggano gli schemi tradizionali del
pernottamento, come ad esempio l’albergo diffuso.
Un esempio di ricettività sostenibile:
l’albergo diffuso
L’albergo diffuso è, secondo la definizione fornita dal suo
ideatore, il professor Giancarlo Dall’Ara, “un’impresa ricettiva alberghiera situata in un unico centro abitato, formato da più stabili vicini fra loro, con gestione unitaria e
in grado di fornire servizi di standard alberghiero a tutti gli
ospiti”. Un’idea “semplice ma geniale” (come l’ha definita
il New York Times in un articolo) che è nata in Carnia (Friuli
Venezia Giulia) nel 1982 per utilizzare a fine turistico case
e borghi disabitati in seguito al terremoto del 1976. L’intuizione di Dall’Ara è rimasta nel cassetto per circa un decennio, con pochi esempi concreti sul territorio nazionale.
Solo negli ultimi 15 anni si è assistito ad una diffusione a
Turismo sostenibile: alcuni aspetti con uno sguardo al Trentino
100
macchia d’olio del fenomeno, fino ad arrivare a contare
oggi oltre 50 alberghi diffusi sparsi in tutta Italia.
L’idea è originale: un po’ casa e un po’ albergo, adatta
a chi non ama i soggiorni in un hotel classico e ricerca il
contatto con la gente, la cultura e le tradizioni del luogo.
Da un punto di vista strutturale, l’albergo diffuso è costituito da un locale adibito a reception, sala da pranzo,
bar ed eventuali spazi comuni (preferibilmente situato in
una zona centrale del borgo o paese), e dalle varie camere o appartamenti situati in altri edifici già esistenti e
disseminati nelle vie del borgo ad una distanza dal nucleo
centrale non superiore a 300m. Una prima grande differenza rispetto all’albergo tradizionale, e ciò che dà all’offerta un forte carattere di sostenibilità, è rappresentata dal
fatto che non si costruisce nulla di nuovo, ma si utilizzano edifici già inseriti nell’architettura di un centro storico
di un borgo abitato, impedendo nuove cementificazioni,
consumo del territorio e riducendo l’impatto ambientale.
Si consente così il recupero e la ristrutturazione di case
esistenti, e la loro messa in rete. Si passa quindi da una
struttura “verticale” tipica degli alberghi tradizionali ad una
“orizzontale”, a mosaico, tipica dell’albergo diffuso.
Da un punto di vista sociologico, l’albergo diffuso offre al
turista gli stessi servizi offerti da un tradizionale albergo
(pulizia quotidiana delle camere, ristorazione, assistenza),
con un valore aggiunto: la possibilità di vivere a stretto
contatto con la comunità che solitamente risiede nel borgo e di apprezzarne cultura, lingue e dialetti, tradizioni, usi
e costumi. L’ospite di un albergo diffuso è immerso in una
comunità viva e non in un anonimo condominio isolato
ed autonomo, ha la possibilità di soggiornare in strutture
progettate per essere “vere” case e non semplici camere di un albergo; può quindi conoscere ed apprezzare le
peculiarità di quel luogo, diventando per alcuni giorni “residente temporaneo”.
Tutte queste novità rispetto ad un tradizionale albergo
vanno incontro alle esigenze di una nuova figura del turista, non più statico ed omologato come era quello degli anni ‘60, ma in continua evoluzione e ricerca, attratto
dalle nuove proposte e che tende a rifiutare i prodotti “in
serie”, amante del territorio e della cultura dei luoghi che
visita, ma anche dell’autenticità, del desiderio di comunità e di relazioni genuine con essa e chi ci vive. Sempre sotto l’aspetto socioculturale, l’albergo diffuso è un
valido esempio di turismo responsabile e/o sostenibile.
L’apertura e la gestione dà slancio infatti al recupero e
alla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale dei
centri minori (evitando così la scomparsa di vecchi mestieri, lingue e dialetti, usanze e tradizioni), rivitalizzando il
centro storico del borgo e rappresentando un deterrente
allo spopolamento dei piccoli borghi (fenomeno in espansione in gran parte dell’Italia ma soprattutto nei paesi di
Natura(l)mente
101
montagna del centro-sud). Inoltre, l’offerta proposta da
un albergo diffuso, “un luogo abitato”, non è legata alla
stagionalità, ma si distribuisce su tutti i mesi dell’anno,
prediligendo i periodi primaverili e/o autunnali (stagioni
perfette per scoprire e gustare i colori e i sapori che la natura offre). Questa destagionalizzazione dell’offerta rappresenta un importante fenomeno socioeconomico che
va nella direzione della sostenibilità: assicura a chi lavora
nell’ambito dell’albergo diffuso un’occupazione continua
per tutto l’anno ed evita l’emigrazione alla ricerca di lavori
stagionali.
Passando infine ad un’analisi più strettamente economica, l’albergo diffuso si caratterizza per una gestione
imprenditoriale ed unitaria simile a quella di un albergo
tradizionale e per la stretta integrazione che ci deve essere con il territorio e la comunità locale. L’albergo diffuso
può infatti divenire, se ben gestito, un motore di traino per
tutta l’economia della zona (bar, ristoranti e altre attività
turistiche, artigianato locale, agricoltura ed allevamento,
servizi) e può rappresentare un valido modello italiano
esportabile in tutto il bacino del Mediterraneo (il primo
esempio in Spagna nasce a Salamanca, a giugno 2012,
col nome di Pueblo-hotel).
Dall’altra parte non si può nascondere che l’apertura di
un albergo diffuso comporti spese di gestione spesso superiori a quelle di un tradizionale albergo, giustificate dalla
dispersione delle camere, dalla loro lontananza dal nucleo
dell’albergo diffuso e dalla loro non uniformità. Bisogna tenere infine in considerazione il fatto che l’albergo diffuso
richiede un minore investimento iniziale rispetto ad un hotel tradizionale, in quanto non necessita della costruzione
ex-novo della struttura alberghiera, ma solamente di lavori
d’adattamento e ristrutturazione. Tutti questi fattori fanno
sì che spesso i prezzi di un albergo diffuso siano leggermente superiori a quelli di un tradizionale albergo. Qualche
euro in più al giorno non spaventano di certo l’ospite, che è
consapevole dei vantaggi che l’albergo diffuso può offrire.
La sostenibilità economica dell’albergo diffuso è facilmente dimostrabile: l’apertura di questa tipologia di albergo
offre lavoro agli abitanti locali, apre nuove prospettive professionali ai giovani non obbligandoli ad emigrare altrove, genera il già citato “effetto volano” sull’economia del
luogo, valorizza allo stesso tempo beni privati (abitazioni,
persone, imprese, produzioni locali) e pubblici (risorse naturali, storia e cultura, infrastrutture).
L’albergo diffuso è anche una questione di stile: punto
fisso del modello è infatti l’atmosfera originale e la riconoscibilità. “L’albergo diffuso ha uno stile unico perché
rispecchia contemporaneamente la personalità di chi lo
ha voluto e lo spirito del territorio”18. A renderlo ancor più
www.albergodiffuso.com
18
Turismo sostenibile: alcuni aspetti con uno sguardo al Trentino
102
particolare e unico può essere l’adozione di un tema che
caratterizza la sua offerta turistica: alberghi a tema musicale, sportivo, enogastronomico, culturale, il tutto con un
occhio di riguardo all’ambiente e al territorio in cui si trova.
Oggi perciò non è più solo una bizzarra idea di Giancarlo
Dall’Ara, ma rappresenta una realtà consolidata nel panorama turistico italiano, con più di 50 alberghi diffusi sparsi
in quasi tutte le regioni. Esiste un’Associazione Nazionale
degli Alberghi Diffusi che ha lo scopo di promuovere e
sostenere lo sviluppo di queste strutture in Italia, tutelandone l’immagine e la reputazione presso le istituzioni
pubbliche, la stampa, il sistema intermediario e la domanda turistica19. È stata emanata una normativa nazionale e
diverse normative regionali che riconoscono e tutelano gli
alberghi diffusi e la loro unicità e permettono loro di operare nel rispetto della legge.
Gran parte degli alberghi diffusi si trovano in centro Italia
(Umbria, Lazio, Marche, Molise, Sardegna e Toscana) e
stanno contribuendo a valorizzare piccoli borghi ricchi di
un patrimonio storico, artistico, architettonico e ambientale altrimenti destinati all’anonimato o all’abbandono. In
Trentino l’unico esempio si trova a Magras, in Val di Sole
(“Conte Ramponi”).
Nel 2010 l’Associazione nazionale Alberghi Diffusi ha vin-
to il premio “Turismo Responsabile Italiano” istituito dal
network “Agenzia di Viaggi”. Questo importante riconoscimento dimostra la sostenibilità di questa idea alternativa di ospitalità, sia dal punto di vista socioeconomico che
di quello ambientale.
Per concludere
“Turismo sostenibile” è un concetto ad ampio campo,
che si rifà a diverse declinazioni del termine sostenibilità:
sostenibilità ambientale (conservare habitat, paesaggi e
specie vegetali e animali, puntare su risorse rinnovabili,
minimizzare l’inquinamento e il degrado ambientale), sostenibilità sociale (aumentare la qualità di vita delle popolazioni locali tramite il turismo coinvolgendole nella gestione e pianificazione, mantenere e rafforzare la ricchezza
culturale, storica e tradizionale delle varie comunità locali)
e sostenibilità economica (garantire nel lungo periodo
competitività e prosperità economica alla comunità locale, offrendo equi stipendi ed evitando discriminazioni,
impiego efficiente dei mezzi con ottenimento del massimo guadagno con la minima spesa e il minor utilizzo di
risorse).
Dare una definizione univoca di turismo sostenibile risulta un compito assai arduo: il fenomeno è complesso, il
termine stesso con cui lo si designa si è sovraccaricato
di significati. Forse, più che descrizioni, per dirla con Gar-
www.alberghidiffusi.it
19
Natura(l)mente
103
rone (2010), il soggetto necessita di una sfera esperienziale ineludibile per comprenderlo, data la parzialità delle
molte definizioni e la prolissità dei decaloghi a riguardo.
Esso deve trasformarsi da filosofia di viaggio ad azione
coerente, poiché in ultima analisi è nei fatti che il concetto trova applicazione. L’uso dell’etichetta di sostenibilità,
a volte proclame di pacchetti diretti a “mete sostenibili”,
ma con dinamiche e meccanismi del turismo di massa,
porta con sé un duplice messaggio: da una parte, che
l’etichetta non è sinonimo di garanzia; dall’altra, che il
turismo responsabile è una filosofia, e non una tipologia
serrata, manichea, di scelta tra tour operator: non esiste
una differenziazione in turismo “cattivo”, di massa, e turismo “etico”, responsabile (Canestrini, 2006). La differenza
è operata a partire dall’adozione dell’idea di limitatezza
delle risorse e rispetto degli ambienti (naturali e culturali),
e dall’atteggiamento del turista. In effetti, alla questione
se il turismo responsabile sia un fenomeno di nicchia, dovremmo rispondere con un atteggiamento individuale ed
uno collettivo. L’atteggiamento collettivo da intraprendere, suggerito ancora una volta da Canestrini e dall’Unione
Europea, è quello di non ritenere il turismo responsabile
come un settore, ma come la direzione verso la quale tutto il turismo deve evolvere. Per il singolo, se da una parte
viaggi come quelli delle ONG nelle loro strutture estere
possono essere considerati come una forma estrema di
turismo responsabile, il turista di buona volontà che si ritrova a viaggiare in modo tradizionale può adottare dei
piccoli accorgimenti per rendere la propria esperienza
“più sostenibile”, apprezzando diversità e imprevisti, contribuendo a “lasciare le cose come le avete trovate: una
spiaggia, un animale, una cultura” (Garrone, 2010).
Certo è che il turismo, per il solo fatto di implicare degli
spostamenti sul territorio, comporta un impatto sull’ambiente, in termini di emissioni (inquinanti, sonore e luminose), di necessità di infrastrutture adeguate per garantire
accessibilità a zone anche remote, di produzione di rifiuti
ecc. Eliminare del tutto gli impatti negativi risulta impossibile, ma è invece possibile muoversi su alcuni fronti per
ridurre il peso dell’attività turistica. È necessario comprendere il fenomeno turistico allo scopo di supportare l’elaborazione di strategie efficaci nel lungo periodo; fondamentale è poi l’informazione e la sensibilizzazione al fine
di favorire nel grande pubblico un approccio al turismo
maggiormente consapevole; infine, la costruzione di uno
specifico prodotto turistico orientato, appunto, alla sostenibilità, anche attraverso la formazione e l’aggiornamento
degli operatori, o attraverso il lancio di attività pilota secondo il modello della neutralità climatica.
Sempre più spesso sfogliando le pagine di una rivista
specializzata o navigando su internet ci imbattiamo in definizioni, itinerari, progetti e proposte vacanza che riguar-
Turismo sostenibile: alcuni aspetti con uno sguardo al Trentino
104
dano il turismo sostenibile. Molte appaiono ai nostri occhi
le diverse letture che possiamo dare a questo argomento.
C’è chi lo interpreta come una tendenza, un nuovo modo
di fare turismo dapprima orientato soprattutto a mete dei
paesi in via di sviluppo e ora sempre più calato nella nostra realtà e chi lo vede come un viaggiare consapevole
e partecipativo, entrando in contatto con le diverse popolazioni locali scoprendone così la storia e la tradizione e diventando, anche se per poco tempo, una parte
“attiva” della realtà in cui ci si trova. Noi in queste pagine
abbiamo voluto cercare di mostrare il turismo sostenibile
prima di tutto come un modo di vivere, rispettoso degli
altri e allo stesso tempo curioso di scoprire o riscoprire
un luogo e una cultura, troppo spesso nascosti sotto la
“patina” del consumismo e della globalizzazione, che ci
portano a dimenticare la bellezza di un viaggiare lento,
improntato alla conoscenza di nuovi stili di vita e ambienti
diversi dai nostri canoni quotidiani, ma proprio per questo
speciali e a loro modo meritevoli di un’attenzione particolare, per le loro peculiarità storiche, ambientali e culturali.
A tale proposito, abbiamo discusso di come la tradizione
sia legata al duplice aspetto materiale e immaginario, e
l’integrazione tra i due aspetti nell’ottica di uno sviluppo
che tenga conto sia del passato di un luogo, sia delle
possibilità future, è probabilmente la chiave di lettura più
favorita anche nel campo del turismo. Ciò sembra adat-
tarsi particolarmente bene al contesto montano trentino,
data la sua vocazione alla frammentazione in piccole realtà tra loro assai differenti sia a livelli di immaginario che
di produzioni locali, dove la costruzione di immagini identitarie funzionali allo sviluppo è facilitata, anche grazie ad
una gestione politica che punta su questi meccanismi. Il
Trentino si presta come modello per la sperimentazione di
pratiche di turismo sostenibile anche grazie alla presenza
delle numerose aree protette di cui si è parlato precedentemente.
Dalla trattazione, si evince che turismo sostenibile “lo fa”
anche la comunità di accoglienza, proponendo soluzioni
che riescano a conciliare e integrare le vocazioni di un
territorio con modelli di sviluppo turistico capaci di garantire ricadute economiche positive (Betta, Maccagnan,
Zambaldi, 2009), come si è illustrato a proposito del fenomeno virtuoso dell’albergo diffuso. Allo stesso tempo,
attraverso le strategie di consumo alimentare, abitativo
ed energetico attente alla sostenibilità, si recuperano
territori soggetti all’abbandono e si suggeriscono nuovi
modelli aggregativi attraverso la memoria. Auspichiamo
quindi che possa attuarsi nel tempo un modo di operare
da parte degli attori locali, improntato sempre più verso
un’offerta turistica che mostri la vera identità di un territorio, che abbia nelle persone che lo vivono ogni giorno
i suoi principali ambasciatori. Le identità, come ci dice
Natura(l)mente
105
il sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman “sono
vestiti da indossare e mostrare, non da mettere da parte
e tenere al sicuro”. È proprio nel riuscire a mostrare e far
comprendere realmente il luogo che si visita, che il turista tornerà dal suo viaggio arricchito da un souvenir, non
materiale, ma da una vera e propria esperienza di vita,
che gli ha permesso di capire la diversità: “La qualità, e
la gioia, nonostante tutte le difficoltà, stanno nello scambio di esperienze e nella fiducia” (Canestrini 2010). Del
resto, al giorno d’oggi non esistono “posti altri” selvaggi e deserti da scoprire. Le nuove frontiere del viaggio,
al giorno d’oggi, non sono più geografiche, ma umane
(Bosi, 1999). Gli aerei hanno accorciato le distanze fra
i continenti, ma non hanno ancora avvicinato i popoli.
Possiamo così concludere riprendendo la citazione di
Chatwin (1990: 271) con cui abbiamo aperto il capitolo:
forse, ciò che dovremmo concedere alla natura umana,
è un impulso non tanto al movimento in sé e per sé, ma
finalizzato alla conoscenza e al confronto; verso sé stessi
e verso gli altri. Ciò che crea benessere, durante l’atto
del viaggiare, è la possibilità di individuare ciò che rende
“fratello” una persona nata dall’altra parte del mondo; è
il sentirsi accolti da sconosciuti; è lasciare un ricordo positivo del proprio passaggio.
Turismo sostenibile: alcuni aspetti con uno sguardo al Trentino
106
quarta parte
Che il viaggio possa essere un’esperienza fondamentale di formazione nella vita intellettuale, una sorta di “rito di passaggio”, nel quale si va lontano da casa e al ritorno si dovrebbe essere “diversi” da come si era in partenza.
A. Colajanni
In questo capitolo intendiamo presentare l’esperienza della seconda edizione de “Le Vie dei Parchi”. Rispetto al 2012
il progetto si è evoluto, è maturato e si è ampliato. Tra i sentieri della Romania, dell’Aspromonte e del Parco Adamello
Brenta, da quelle prime lunghe camminate insieme, è nata l’idea di riunirsi in associazione per non gettare al vento quanto di bello e significativo in quei boschi e in quei luoghi si era creato. Nel marzo del 2013 si è così costituita formalmente
l’associazione culturale Tassobarbasso1 , che con l’Ufficio Giovani e Servizio Civile della Provincia autonoma di Trento e
l’IPRASE ha ideato e gestito il progetto 2013, realizzato tra Trentino e Calabria.
Questa seconda edizione, rivolta ad una fascia d’età compresa tra i 18 e i 34 anni, nasce da qui: dall’impegno di ragazzi
e ragazze che ci hanno creduto, che non hanno abbandonato la strada. Loro sono ancora lì.
Il nome greco della pianta del Tasso Barbasso è φλόμος (Phlómos), riconducibile alla radice preindoeuropea phlóx, che significa fiamma.Non a caso la
foglia spessa e stopposa diquesta pianta è stata usata in passato come stoppino per lucerne; ed anche i suoi steli secchi, alti anche due metri, immersi
nel grasso venivano trasformati in torce. Così, come il Tasso Barbasso, questi ragazzi vorrebbero dar luce a nuovi cammini, illuminando le Vie dalle Alpi
all’Aspromonte, dal Trentino alla Calabria. Il Tasso Barbasso è una pianta in grado di crescere in una grande varietà di habitat, che ha una fioritura che
si prolunga per molto tempo e che prospera anche nei terreni più aridi e secchi; allo stesso modo l’associazione vorrebbe creare qualcosa che possa
diffondersi in molti luoghi e stagliarsi in cielo con fiori luminosi anche su terreni finora poco fertili. www.tassobarbasso.it
1
Natura(l)mente
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Tappa trentina
6 luglio 2013
Chiome castane, bionde, lisce, ricce e brillantinate. Visi
paonazzi si alternano a quelli già abbondantemente baciati da un sole che parla di sud. Si avverte timidezza,
impaccio misto a curiosità, malgrado l’assenza di vento,
io sento brezza di novità.
“Io non so cosa aspettarmi, non so che cosa avrò, ma
so che voglio esserci”
Stefania
Afa.
Caldo.
Voglia d’acqua.
Arriviamo da ogni punto della città, da Piazza Fiera, da
Piazza Duomo, da Trento sud, chi dal profondo sud, dalla
Calabria e li riconosci così i partecipanti a questo progetto:
costretti in jeans attillati, nascosti dietro ad occhiali dalle
lenti scure, zaini sulle spalle, sacchi a pelo. La tappa trentina de “Le Vie dei Parchi 2” è partita e per farlo una location
calda, bollente: Trento, in un’ accecante giornata di luglio.
Qui, nel cuore di una città torrida, il primo incontro tra nord
e sud, tra Trentino e Calabria, per scrivere, ma soprattutto
vivere, un percorso insieme, un passo dopo l’altro.
Volti sconosciuti, occhi sfuggenti e presenti si studiano, si
incrociano imbarazzati.
7 luglio 2013
“In montagna prima ci si studia, poi ci si parla”
Luciano
Zaini in spalla, scarpe da trekking già ai piedi, borracce
colme per supplire alla fatica che verrà. C’è una strana
elettricità nell’aria. Si avverte, quasi si tocca, è sottolineata dallo scalpitio di un piede che nervosamente tiene il
tempo, ansioso di prendere il via.
Stazione Trento-Malè: partiamo e questa volta per davvero. Piano piano ci lasciamo la città alle spalle e gli occhi
cominciano a riempirsi di verde.
Nel suo lento e ordinario procedere il treno attraversa il
Natura(l)mente
111
giardino vitivinicolo della Piana Rotaliana, per poi farsi
spazio tra i meleti della Val di Non. Il paesaggio cambia,
si evolve, da urbano ad agricolo, da pianeggiante a montuoso e poi su fino ad arrivare a Dimaro, la nostra prima
tappa in Val Meledrio, nel parco Naturale Adamello Brenta
con la visita alla segheria veneziana e alla fornace.
Qui, guidati da Luciano Ramponi, guida del Parco, impariamo a conoscerci.
È così. In fila, uno dietro l’altro viviamo il nostro primo
bosco, le prime salite. I respiri d’affanno ci raccontano,
lasciano poco spazio alle parole per concederli a sguardi
di intesa.
Sento la ruggine nelle gambe ma, sono sicura, la montagna ci libererà degli orpelli, del surplus, ci aiuterà a ritrovare la parte più vera di noi, ad ascoltarla per davvero
senza permettere a doveri e scadenze di soffocarla. La
natura, sono convinta, ci porterà ad apprezzare la semplicità che si nasconde inaspettata dietro alla curva di
un sentiero di terra battuta, lo stesso che ci condurrà
alla scoperta della bellezza selvaggia della cascata del
Pison.
In questo lento camminare la sensazione è quella di mescolarsi, di fondere i nostri gruppi geograficamente così
distinti e lontani e prendere corpo unico. Il bosco insegna,
è maestro in questo; qui le tonalità dei colori si contaminano reciprocamente ed i contrasti non stonano, ma
arricchiscono, esaltano quello che sta loro vicino.
La nostra base comune è lo scoprire insieme un territorio
poco noto ai trentini, quasi del tutto sconosciuto ai calabresi. Già... perché la meraviglia sta spesso dietro l’angolo; è lì, a pochi metri. Bisogna avere nuovi occhi per
poterla riconoscere.
La sera, nella foresteria di Sant’Antonio di Mavignola, in
compagnia di Alberto Conci abbiamo riflettuto sui volti della montagna. Rischiosa, matrigna, materna, amica, compagna, luogo di sfide, di scoperte, di incontri, di
scontri. Lei, timida e sfrontata parla di te... come pochi
luoghi riescono a fare. Sa dirti chi sei, dove andrai e quel
che ti manca.
8 luglio 2013
“All’inizio sembrava difficile poi tra una camminata e l’altra ci siamo tutti ritrovati...”
Giuseppe
Tre giorni insieme, tre giorni in cammino fin dal mattino,
poi il pomeriggio e, ancora, la sera, tra i racconti e i confronti che popolano le nostre cene. I discorsi animati sulle differenze culturali e di costume escono con accenti e
intercalari diversi, con toni e gestualità ora più timide, ora
più decise. La percezione è quella di essere sempre, co-
Tappa trentina
112
stantemente on the road, sulla strada, perché ad essere
in continuo movimento, in continuo dialogo è la mente. È
uno scambio incessante che non si esaurisce tra i sentieri
polverosi dei boschi, ma che prosegue nella quiete della
sera, quando si fanno riposare le gambe e ci si trova a
chiacchierare sotto un cielo di stelle, tra i rumori del bosco.
La giornata di oggi è iniziata con un faccia a faccia emozionante, indimenticabile. In località Clemp abbiamo ammirato, nella loro semplicità e magnificenza, l’Adamello e
la Presanella. Sensazione di gratitudine ed inadeguatezza, l’una accanto all’altra. È questo la montagna? Tutto e
il suo contrario, comincio a pensarlo davvero. Ossimoro
di intenti.
È un interrogativo ridondante, continuo, che si ripresenta
con Alessandro Martinelli. Con lui affrontiamo il binomio
dialogo e montagna anche, e soprattutto, nella sua accezione più intimista e sacra, più nascosta e personale.
Il pomeriggio è continuato con una proposta inconsueta, di
quelle che fanno sgranare gli occhi e che mai avrei pensato
di sentirmi rivolgere: costruire insieme un ponte tibetano.
Unico materiale a disposizione corde, cordini e moschettoni e poi tanta osservazione, sfruttando tutte le risorse del
gruppo. Creare, riprovare, annodare, ricominciare da capo,
consigliarsi, ripensare, collaudare ma soprattutto, il verbo
che più qualifica tutta la giornata è stato: sorridere.
E’ stato un gioco, è vero, ma la realtà è che i protagonisti
eravamo noi. Reali, senza palco e retroscena, noi: Francesca, Irene, Laura, Matteo, Stefania, Monica, Giuseppe,
Mimmo, Antonio, Paolo, Pietro, Federica, Bruno, Francesco.
Noi, senza finzioni.
Ognuno con le sue caratteristiche, le sue abilità e le sue
doti. Chi manuali, chi di ascolto, chi di mediazione. Determinazione, volontà, ingegno, relazione, ironia.
Siamo stati capaci di ascoltarci, di costruire.
“Solo se riusciremo a vedere l’universo come un tutt’uno
in cui ogni parte riflette la totalità e in cui la grande bellezza sta nella sua diversità, cominceremo a capire chi
siamo e dove stiamo”
T. Terzani
9 luglio 2013
“Ciò che realmente conta non è quello che si ottiene a
fine camminata, ma quello che si è provato mentre si
camminava”
Matteo
Cercavo il silenzio e non l’ho mai trovato in questa esperienza. Quello che sto apprezzando e riscoprendo nella
casina di Valagola, a 1600 metri di quota, è un’altra forma
di dialogo, più matura, più profonda e consapevole in cui
Natura(l)mente
113
le parole, molto spesso sono solo un’appendice. Se solo
smetti di parlare e ti metti in ascolto, saranno altri i linguaggi a prendere il sopravvento.
Questi giorni per noi, sono questo: energie vive, in circolo,
in perpetuo movimento. Sono lì, annidate negli sguardi
che veicolano più di mille sillabe, risiedono nelle attese dei
compagni, nei passi che, uno dopo l’altro, inesorabili, ti
spingono alla meta e ti permettono di abbracciare le croci
delle cime o, addirittura, di farti sentire parte delle nuvole.
Come ci hanno insegnato oggi sia Franz Seiun Zampiero,
monaco buddista di montagna, sia Padre Erminio Gius, la
diversità è una ricchezza, l’unica che può dare equilibrio al
tutto, è linfa vitale funzionale alla natura, all’ecosistema e
quindi anche all’uomo che ne è parte intrinseca.
Ce ne dà piena dimostrazione anche la pioggia che ha accompagnato il nostro percorso oggi, intervallandosi ad un
sole magnanimo. Nella difficoltà del cammino, quando aumenta la stanchezza, quando ti accorgi che le tue scarpe
non sono così impermeabili come pensavi, quando cadi
nel fango, ti bagni i capelli e senti ogni centimetro del tuo
corpo gocciolare, impari paradossalmente ad apprezzarla
e ad apprezzarti ancora di più, a riscoprirti nella fatica, in
quella dolce e vivace spossatezza che fa parte dell’andare.
Lei, pioggia. Sui nostri visi, sulla terra battuta dei sentieri,
sulle foglie di larici, betulle ed abeti rossi, sulle cime delle
montagne dai profili decisi ha risvegliato profumi sopiti,
suoni impercettibili ed acceso sfumature e colori inattesi.
Lì, tra un passo scivoloso e l’altro, tra il freddo e i respiri profondi amplificati da un contatto obbligato con l’impermeabile, che ti costringe ad ascoltarli ritmicamente,
lì abbiamo apprezzato un altro volto della natura: quella
imbronciata, con la voglia di piangere, ma che di sicuro ha
svelato una bellezza segreta, nascosta, pura.
10 luglio 2013
“Alla fine ero lì, quasi in cima al mondo, quelle montagne
che prima mi sembravano non avere mai fine, ora invece
mi sembravano molto più piccole.”
Antonio
Lacrime del cielo cadono a secchi, impietose.
Non molliamo. I viaggiatori veri non lo fanno mai.
A piedi fino a Malga Movlina e poi continua il nostro
trekking lungo il sentiero numero 350, fino ad arrivare alla
Casa naturale Villa Santi. Qui il sole, finalmente.
La sera il nostro incontro con un vero alpinista, un camminatore, un pensatore; è Sergio Martini che ci racconta
le sue imprese con le fotografie scattate durante i viaggi
a cui ha dedicato una vita. Umiltà, perseveranza, tenacia,
costanza, ingredienti fondamentali per una passione che
non ha traguardi.
Tappa trentina
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11 luglio 2013
Ultimo incontro. Con il professor Carlo Casula riflettiamo
sul senso delle migrazioni e sull’intercultura come canale
di convivenza e di arricchimento. Ci confrontiamo non sul
tema dell’identità, ma delle identità plurime come principio cardine di riconoscimento e accettazione dell’altro. E’
una riflessione profonda, ma tangibile, reale, riguarda un
mondo in cui siamo immersi e di cui siamo irrimediabilmente responsabili.
“Torcia, buio, fatica. Un’emozione immensa.
Sintonia, respiri all’unisono e condividere assieme il primo raggio di sole non ha prezzo!”
Francesca
Sveglia al crepuscolo con i grilli che ancora cantano la
notte.
In piedi, poche parole, sguardi assonnati, ma pronti e carichi con la voglia di andare a svegliare il sole dalla cima
del monte Durmont. Sono le nostre ultime fatiche, è la
nostra ultima camminata insieme e si respira la voglia di
vivere l’intera giornata, dal primo timido raggio di sole a
notte inoltrata. L’emozione di quel risveglio si è caricata di
bellezza perché condivisa, è l’unione, la meta comune, lo
sforzo reciproco che ci ha permesso di raggiungere una
felicità così intensa e semplice.
Specchiarsi nello sguardo dei compagni, augurare buongiorno al mondo dalla nostra cima, battere sulla spalla al
compagno che pensava di non farcela e di abbandonare
il cammino, sono sensazioni impagabili. E là, con un filo
d’erba in bocca, il cuore che batte a mille e il respiro ancora in cammino che ci soffermiamo ad osservare accovacciati i profili delle montagne ed è sempre là, mentre il
mondo si desta, che penso di nuotare nel blu degli occhi
di qualche dio che da lassù mi ha donato un paio d’ali.
“Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”
F. De Andrè, Canzone del Maggio.
12 luglio 2013
“Mi sono dimenticata del tempo, dell’affanno del domani, dei ritmi ripetuti, delle tabelle di marcia.
Delle cose non fatte e di quelle da fare.
Il presente. C’era solo quello.”
Stefania
Pronti alla partenza, pronti a lasciare un paradiso di emozioni. Non so perché ma sento che non si concluderà tutto con un ricordo.
Non è retorica. Non c’è enfasi. È consapevolezza, certezza di aver seminato qualcosa e di voler esserci ed impe-
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gnarsi per raccogliere. É il germoglio della partecipazione,
anticamera del fare.
In questi boschi sento di aver scoperto ed assaporato
una libertà nuova, di gruppo. Mi sono sentita compresa e
non sopraffatta, accettata e non giudicata, valorizzata ma
mai sopravvalutata.
Se riavvolgo il mio nastro, sento. Sento le voci dei mie
compagni, le risate per una battuta riuscita bene, il brontolio di chi a un quarto di strada pensa già di non farcela
più. Sento le stringhe degli scarponi che ingabbiano i miei
piedi stanchi, le foglie di un’acacia che mi accarezzano
il viso, la pioggia che mi increspa i capelli ribelli e che mi
inumidisce le mani.
Sento ancora. Sono le note della tarantella, dei brindisi
che sanno di chiacchiere fresche e vive davanti ad un camino acceso nell’estate di luglio. È la stanchezza della
mia schiena mentre poso uno zaino sempre più pesante,
sempre più leggero.
Sento. Questa volta è l’affanno per una salita aspra che
non vuole finire, l’entusiasmo per un’alba che ho voluto
prendermi e anticipare, vivermi tutta d’un fiato, senza
pensare alle ore di sonno che non sarebbero tornate.
È un nastro essenziale, ma inestimabile. Pulviscoli di note
che ho voluto sentire, prima ad una ad una poi all’unisono.
Sono le mie Vie dei Parchi. Quel cammino che, se ci penso, non è mai finito.
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Tappa calabrese
5 novembre 2013
pre accade nel lasso temporale che separa la partenza
dall’arrivo, è proprio questo il momento. Quel momento.
Quello in cui una serie di punti interrogativi, di se, di ma,
di forse e perché cominciano a farsi largo. Ad attanagliare
le caviglie, ad inerpicarsi sulle ginocchia, a correre lungo
la schiena. È un’adrenalina dolce amara. Ti sussurra che
il tuo viaggio è appena iniziato, goditelo.
Atterriamo all’aeroporto di Reggio Calabria e qui ci accolgono i ragazzi calabresi. E’ adesso, nel qui ed ora, in questi primi minuti di acclimatamento, che si percepisce; è
curiosità, mista ad attesa e a goffo entusiasmo, è diffidenza dal retrogusto di inconsapevolezza. Molte sono facce
nuove, ma per qualcuno che ha già partecipato all’edizione precedente l’incontro è un semplice e naturale “ritrovarsi” dopo un periodo di distacco. La nostra avventura
comincia a Reggio Calabria. Negli occhi le antiche terme,
il Castello Aragonese, i reperti archeologici a cielo aperto,
la conoscenza (finalmente!) con i bronzi di Riace. E poi,
ancora, la poesia del mare con il suo caldo benvenuto al
gusto aspro di salsedine. È una giornata intensa, lunghis-
“Tra escursioni, camminate, tanto ma tanto cibo e del
buon vino, un Brindisi faccio agli amici del Trentino!”
Nicola
È l’alba.
Sulla strada che ci conduce verso l’aeroporto di Verona
si scorgono i colori del buongiorno. Strisce bianche discontinue scorrono veloci sull’asfalto liscio, mentre blu e
indaco si diradano sempre più, fagocitati dalla luce di un
azzurro fresco, prepotente.
L’indice di una mano destra si appoggia traballante su
di una cartina spiegazzata, mossa da oscillazioni ripetute
provocate dalle ruote in movimento. Tratteggia una linea
approssimativa dall’alto verso il basso, lentamente.
In quel gesto un itinerario, un punto di inizio ed una destinazione.
Un tuffo verso sud lungo 950 chilometri in linea d’aria,
tanto dista il Trentino dalla Calabria. Saranno cinque,
forse sei ore di viaggio ed è strano perché, come sem-
Natura(l)mente
123
sima, speciale in cui lo scorrere del tempo ha scandito
l’elegante cambio d’abito dei paesaggi naturali. Inaugurata da timidi raggi del sole nel cuore delle Alpi, cala il suo
sipario a Gambarie, nel ventre matrigno dell’Aspromonte.
Che il sonno sia con voi, riposate le stanche membra
viaggiatori.
Ore 7 del mattino.
Guardando fuori dalle finestre della nostra abitazione
un’amara scoperta: Zeus non ha ancora chiuso i rubinetti,
la pioggia che ci aveva accolti il giorno precedente in quel
di Reggio Calabria non ne vuole sapere di darci tregua.
Non importa. Non è questo il momento per sedersi e per
fermarsi. È arrivata l’ora di annodare le rigide stringhe degli scarponi, far scorrere le zip delle giacche a vento, riempire le borracce e sollevare gli zaini da terra. Comincia
il cammino, nonostante.
Forse è lì, in quelle dieci lettere che il viaggio assume il suo
significato più nobile e puro. Nell’imprevisto, nella coperta
grigia di un cielo novembrino, si realizza la dialettica tra
aspettativa e volontà, tra il desiderio di non separarsi da
un caldo sacco a pelo e la voglia di continuare un percorso ai suoi esordi. Accompagnati da Aldo, fedele e preziosa guida del territorio, muniti di cappucci e lunghe mantelle messe a dura prova, esploriamo passo dopo passo
la natura selvaggia del Parco dell’Aspromonte. Ora piano,
ora più celermente, avanziamo insieme tra pini neri e faggi
imponenti in un crescendo di fatica e scoperta. Dopo aver
guadato scalzi un ruscello dalle acque gelide giungiamo
davanti al cippo di Garibaldi, località in cui è presente un
mausoleo dedicato a colui che è ricordato come l’ “eroe
dei due mondi”. Qui troviamo il tempo per rallentare il respiro, diminuire i battiti cardiaci e fermarci. Finalmente.
6 novembre 2013
“Voglia di vivere sensazioni, esperienze e rapporti veri
con i nostri amici calabresi per scoprire questa splendida
regione giorno dopo giorno.”
Andrea C.
“Attraversare il ruscello a piedi nudi nell’acqua gelida mi
ha insegnato che non bisogna fermarsi così facilmente
dinanzi al primo ostacolo, io sarei tornata indietro ma la
compagnia mi ha coinvolta!”
Federica
“Vedere e sentire i racconti di gioie e dolori della gente
calabrese e deliziarci nella pienezza del loro incredibile cibo è un’esperienza che lascia abbottati nel corpo
e nello spirito. Per fortuna che una buona camminata
(un po’ bagnata, è vero: ma cosa c’è di più bello della
pioggia nel bosco?) ci restituisce l’appetito (…) e dove,
se non qui, ci rendiamo conto di essere una penisola
geografica?”
Javier
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7 novembre 2013
È bello entrare in contatto con la terra umida e profumata
del bosco novembrino, con la consapevolezza di essere
stati guidati da null’altro se non i propri piedi, il mezzo più
sostenibile al mondo.
Dopo la scarpinata della mattinata, nel pomeriggio incontriamo il professor Giuseppe Bombino, Presidente
dell’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte, che ci parla
delle radici precristiane dei culti dell’Aspromonte ed affronta la controversa e dolorosa questione della malavita
organizzata, che proprio in questi luoghi ha operato con
particolare aggressività.
Tornati alla base è la volta di un altro intervento, questa volta
tenuto da Cristina Garreffa, laureata in Scienze Turistiche ed
in Valorizzazione dei sistemi turistici e culturali, che presenta
alcune delle tappe fondamentali legate al tema della sostenibilità, con particolare riferimento alla regione Calabria.
La giornata si conclude come più ci piace, seduti attorno ad un tavolo gustando del buon vino e cibo calabrese. Sono soprattutto questi momenti, quelli più semplici,
quelli legati alla gioia di un brindisi e alla quiete della sera
a creare il senso del gruppo, a farlo crescere e lievitare.
È qui, al tepore di un caminetto acceso nel cuore dell’Aspromonte, che la diffidenza scompare per lasciare spazio alla voglia di raccontarsi e di viversi.
Anche per oggi però è giunto il tempo del riposo. Buonanotte viaggiatori.
“Siamo seduti davanti al camino ad assorbire tutto il calore possibile dopo una splendida escursione che ci ha
regalato panorami di natura incontaminata. Una camminata piena di tratti impervi ma ricca di soddisfazioni (…)
La fatica ci ha uniti e resi più forti!”
Nicola, Mattia, Andrea S.
E luce fu.
Lo senti che c’è qualcosa di diverso, di voluto. Lo percepisci nell’aria fin dai primi battiti di ciglia, ma non sai
cos’è. Poi eccolo. Una volta giù dalle brande ci attende
la dolce carezza di un sole insperato, pronto a guidarci
prima verso le cascate di Palmarello e poi verso quelle di
Forgiarelle.
Si cammina, si ride, si soffre in silenzio. Ci si ferma credendo di non arrivare mai, ma alla fine si palesa il perché
tanta fatica. Sono lì, davanti. Ritte, orgogliose, selvagge.
In caduta libera. È il connubio ruvido e liscio tra acqua e
roccia arsa dal sole a dare un senso a quell’andamento
che sfianca, ma che poi stupisce. Ancora una volta.
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8 novembre 2013
Tutt’intorno un panorama indimenticabile in cui l’occhio
sfiora la Sicilia orientale per posarsi sulla Sila.
La giornata è appena iniziata e, in seguito ad un’inaspettata colazione in quota, percorrendo il tortuoso sentiero
su cui anticamente viaggiavano i pellegrini, ci apprestiamo a raggiungere il santuario di Polsi, noto anche come
santuario della Madonna della Montagna. L’atmosfera è
suggestiva, coinvolgente. L’eco delle case diroccate è
spezzato da inverosimili intercalari calabresi pronunciati da qualche sporadico passante. Tutt’intorno colate di
cera su centinaia di candele, segno di una devozione mai
sopita che raggiunge il suo apice in occasione della festa
di Polsi.
Percorsi pochi metri ecco qualcosa che nessuno di noi
avrebbe mai voluto vedere. Il sacro si mescola tristemente
con il profano e quella suggestione si perde, si logora,
anzi si annienta. Tanta bellezza è violata dalla mano umana, da costruzioni di cemento mai portate a termine che
violentano il paesaggio naturale. Fanno da cornice cumuli
di immondizia, che giacciono a terra da tempo immemore
tra l’indifferenza e l’incuria.
L’ultimo incontro della giornata è con il rappresentante dell’associazione “Calabresi creativi” che ci parla dei
progetti attivati sul territorio per sostenere l’innovazione
sociale e per promuovere forme di cooperazione tra operatori turistici.
“Sembra di stare in cima al mondo dove tutto ha un’aria
magica e paradisiaca, ci sono posti che a differenza di
altri trasmettono sensazioni davvero forti, inebrianti, incantevoli!”
Nicola
“Calabresi e Trentini uniti da un unico sorriso mentre il
sole illumina il loro viso”
Vanessa e Andrea C.
“Alzarsi prima dell’alba e come animali notturni sgattaiolare nella notte per accogliere i primi raggi di una nuova
giornata. Di solito non lo faccio mai, ma a volte ci vuole
davvero. “
Silvio
“Tutti hanno diritto al mattino, alla notte solo alcuni. Alla
luce dell’aurora pochi eccelsi privilegiati”
Vivere le parole di Emily Dickinson, sapere di essere lì, tra
cielo e terra alla luce del crepuscolo è poesia. Autentica,
voluta, rincorsa, abbracciata.
Anticipare la luce, lottare contro il tempo, popolare la notte per prendersi l’alba. Arrivare a Montalto, inerpicarsi su
e poi ancora su per toccare i 1.955 metri di quota e da lì
godersi uno spettacolo che si ripete costante, eppure mai
uguale a se stesso, dalla notte dei tempi. E’ stato un attimo fugace e dolcissimo. Il sole è sorto dal mare baciandolo per un istante per poi salire inesorabile verso l’alto.
Tappa calabrese
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Anche oggi le luci della sera sono calate. Le ombre si allungano, i brindisi lasciano spazio a sbadigli sempre più
prolungati e ad occhi sempre più assonnati. Nella mente
luoghi incantevoli si alternano ad immagini meno liete ed
armoniose.
Viaggiatori, posate la testa sul cuscino, ma destatevi dal
sonno.
la cripta ovvero il luogo di culto cristiano più antico della
Calabria.
Sono le ultime ore insieme e l’unico modo per lasciarsi
senza che la tristezza prenda un immeritato sopravvento
è quello di concedersi alle danze e fare in modo che nella
musica si esprima tutto l’entusiasmo di cui ci siamo cibati durante questi giorni. Lunghi e corti, faticosi e leggeri,
fatti di albe e di nottate che non volevano andarsene. Le
ragazze del gruppo “Farasha”, termine che in arabo significa farfalla, ma che tra le diverse accezioni etimologiche
assume il significato di “donna che danza in totale libertà”,
ci introducono ai ritmi travolgenti della tarantella.
No, viaggiatore non c’è tempo per penna e carta. Questo
è il momento per esserci e basta.
9 novembre 2013
“I colori, i profumi, i suoni, le bellezze, i sapori mi hanno
fatto sognare e mi invogliano a ritornare”
Federica
È l’alba di un nuovo giorno. L’ultimo di queste Vie dei Parchi 2.
Ed è un affascinante puzzle tra montagna e mare, tra roccia e sale quello che ci aspetta. Con uno zaino sempre
più carico di esperienze e di ricordi scendiamo dal Monte
Sant’Elia percorrendo il sentiero del Tracciolino, a picco
su un Tirreno che è di un azzurro e blu intenso nella stessa tavolozza. L’aria salmastra si attacca piacevolmente
alla pelle, la secca, l’accarezza e con la melodia del mare
in sottofondo esploriamo Taureana di Palmi, con il suo
Parco Archeologico dei Taurini, la Torre Saracena del XVI
secolo ed il tempio di San Fantino, sotto il quale si trova
10 novembre 2013
“L’atmosfera è pervasa da una piacevole stanchezza:
ognuno ha fatto la propria parte e questa è una certezza.
Abbiamo vissuto la Calabria vera e superato insieme
ogni barriera; e tra camminate, feste e suggestioni c’è
stato il tempo anche per le discussioni. Così ringraziamo
gli amici Calabresi per l’organizzazione, che ci ha piacevolmente sorpresi,ma va anche ai Trentini un ringraziamento particolare che dalle montagne sono giunti fino al
mare. E per continuare a lavorare insieme, passo dopo
passo, un Brindisi facciamo al TassoBarbasso!”
Elena ed Irene
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È arrivato. Eccolo.
È quel momento, quello che all’inizio di un viaggio sembra
lontano, anzi lontanissimo e che invece finisce per giungere sempre in anticipo, sempre troppo presto. È il momento delle pacche sulle spalle, dei più o meno veritieri “ci
vediamo presto”. È l’ora in cui riprendi in mano la valigia,
impugni il biglietto di imbarco e dal punto B risali più o
meno lentamente verso il punto A.
Risalire, ritornare, allontanarsi non sono sinonimi di ricominciare. Noi non ricominciamo. Riprendiamo da qui, da
nuovi stimoli e da una nuova consapevolezza. Riprendiamo dal lungomare di Reggio, da Gambarie, dalle cascate
di Palmarello e Forgiarelle, dal saluto al sole di Montalto, da Polsi e dal sentiero del Tracciolino. Riprendiamo
dall’incrocio inedito di vite in movimento.
Non è finita, Itaca è lontana, viaggiatore.
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Gli autori
Sara Cattani
Laureata in Studi Internazionali, attualmente iscritta alla specialistica di Economia dell’Ambiente a Torino. Grazie ad
alcune esperienze locali e internazionali si avvicina ai temi dello sviluppo sostenibile, dei cambiamenti climatici e della
salvaguardia delle Alpi.
Irene Deambrogio
Studentessa di Giurisprudenza, percorso comparato europeo e transnazionale; con la passione e la curiosità per il
viaggio, la scoperta e l’incontro, dal 2011 lavora per un’agenzia viaggi e ad aprile 2014 ha conseguito l’abilitazione alla
professione di Accompagnatore Turistico in Italia e all’estero. L’esperienza scout che ha vissuto in prima persona le ha
fatto maturare la scelta di diventare a sua volta Capo scout ed intraprendere un percorso di autoeducazione con i ragazzi
che le vengono affidati.
Riccardo Dorna
Laureato in Scienze Forestali e Ambientali all’Università di Padova nel 2009, dallo stesso anno lavora come forestale nel
Corpo Forestale della Provincia autonoma di Trento. Attivo nella vita associativa del proprio paese (Vigo Rendena – TN),
è appassionato di natura, montagna e viaggi.
Silvio Dossi
Dopo la laurea triennale in Ingegneria per l’Ambiente ed il Territorio, ha deciso di dedicarsi attivamente ed in modo più
diretto alle tematiche ambientali. Ciò lo ha portato a fare esperienze lavorative e di volontariato presso diversi progetti di
permacultura, aziende agricole e vivai biodinamici in Trentino, Sardegna, Messico e Canada. Questo processo di apprendimento, tuttora in corso, gli permette di coniugare la passione per il viaggio e lo scambio con popoli e culture differenti,
con il suo crescente interesse per l’agricoltura biologica, la sostenibilità e l’educazione ambientale.
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Susanna Gandini
Laureata in Psicologia presso l’Università degli Studi di Padova, attualmente tirocinante psicologa all’APSS (Azienda
Provinciale Servizi Sanitari) di Rovereto. In passato è stata coordinatrice del Centro Giovani Moena; ha partecipato a vari
corsi formativi, tra cui quello per esperti in dinamiche e politiche giovanili (Ufficio Giovani e Servizio Civile) e quello per
facilitatori e lettori della comunicazione e dell’integrazione scolastica (IRIFOR del Trentino). Da sempre è appassionata di
montagna e attivamente coinvolta nel volontariato e nell’associazionismo in ambito giovanile.
Federica Manfrini
Laureata in Antropologia Storia e Linguaggi dell’Immagine a Siena nel 2012; durante gli studi ha continuato a lavorare
con ragazzi, giovani e adulti nel campo dell’educazione e del volontariato. Dal 2010, dopo un viaggio in Brasile, si è avvicinata al mondo della cooperazione internazionale ed ora svolge servizio civile nel campo dell’educazione allo sviluppo
con ProgettoMondo Mlal. Adora viaggiare, incontrare nuove persone e culture, perché ritiene che il confronto e la convivenza con l’Altro siano una condivisione di saperi che permettono di creare una trama difficile da tessere ma alquanto
arricchente.
Linda Maria Martinello
Laureata in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e il Territorio, ha lavorato all’interno di vari progetti europei in Veneto e
in Trentino. Si interessa di didattica dell’ambiente e delle scienze dal 2005, coniugando periodi di formazione con esperienze pratiche. La appassionano i temi legati allo sviluppo rurale e all’agricoltura, ama viaggiare e dal 2003 si dedica
attivamente all’associazionismo. Elena Simonetti
Operatrice per l’integrazione presso un’associazione che si occupa di richiedenti asilo e rifugiati politici in Trentino, laureata in Antropologia e Cooperazione internazionale, interessata a processi migratori e tematiche ambientali.
Gli autori
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Javier Spinella
Guida turistica presso il Museo Diocesano Tridentino e collaboratore esterno dell’ufficio Catalogazione beni culturali ecclesiastici presso la Curia Arcivescovile di Trento dal 2014, in precedenza si è occupato di archeologia del Vicino Oriente
Antico e dell’uso politico dei beni culturali nei processi di nation building.
Francesca Viola
Laureata in Società Territorio Ambiente presso la Facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi Trento, nutre da sempre
un forte interesse per l’analisi delle dinamiche socio territoriali. Nel corso del 2013 ha avuto l’opportunità di crescere
professionalmente presso l’Ufficio Giovani e Servizio Civile della Provincia autonoma di Trento seguendo da vicino diversi progetti specifici. Attualmente collabora con la Fondazione Accademia della Montagna del Trentino, in particolare
nell’ambito del progetto In cammino sui sentieri della cooperazione.
Stefania Viola
Laureata in Società Territorio Ambiente presso la Facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi di Trento, da tre anni
opera nel campo dell’educazione e dei bisogni specifici dell’apprendimento. Ha avuto inoltre la possibilità di lavorare allo
sviluppo e alla pianificazione di progetti in ambito sociale presso l’Ufficio Giovani e Servizio Civile della Provincia autonoma di Trento.
L’interesse per il tema delle identità plurime e dell’appartenenza l’ha portata, nel febbraio 2013, a collaborare con Cinformi per la redazione del Rapporto Immigrazione in Trentino.
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Suggerimenti bibliografici
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Finito di stampare
nel mese di dicembre 2014
Nuove Arti Grafiche - Trento
ISBN 978-88-7702-383-4