Cielo d`Alcamo Rosa fresca aulentissima T 7

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Cielo d`Alcamo Rosa fresca aulentissima T 7
Cielo
d’Alcamo
La vita
È incerta l’identità di Cielo d’Alcamo (XIII secolo; il nome Cielo deriva dal siciliano
Celi, cioè Michele, mentre Alcamo è una città vicino a Palermo). Probabilmente fu
un giullare esperto nelle tecniche di versificazione che si spostava da una città del
sud Italia all’altra, o di un poeta colto, che alla corte sveva di Federico II si divertiva
a usare i modi dei giullari.
Le opere
Di Cielo d’Alcamo ci è pervenuto uno dei più antichi documenti poetici della lingua
italiana, Rosa fresca aulentissima, databile tra il 1231 e il 1250. Si tratta di un contrasto,
ovvero un componimento poetico dialogato, in cui si svolge una disputa tra un uomo,
Amante, che corteggia una donna, Madonna, che dapprima lo rifiuta, e probabilmente era accompagnato da musica e recitato su base mimica. La lirica ricalca con
un intento parodistico il tema della seduzione amorosa così com’era trattato nelle
pastorelle provenzali (contrasti tra il cavaliere e la pastorella • T7; • Focus, pp. 73-74).
GUIDA ALLO STUDIO
a.In che modo è trattato il tema della seduzione amorosa nella lirica Rosa fresca aulentissima
di Cielo d’Alcamo?
T 7
Cielo d’Alcamo
Rosa fresca
aulentissima
Si riportano qui i primi quarantacinque versi e l’ultima strofa (vv. 156-160) del noto componimento. Si tratta di una canzonetta • dalla struttura metrica complessa. Amante e Madonna pronunciano alternativamente una strofa (in tutto trentadue), formata da tre versi
alessandrini • (due doppi settenari), il cui primo emistichio • è sdrucciolo (con accento sulla
terz’ultima sillaba) e i successivi piani (con l’accento sulla penultima), e due endecasillabi a
rima baciata, secondo lo schema AAA BB.
Antologia della poesia
italiana,
diretta da C. Segre e C. Ossola,
[amante]
Einaudi, Torino, 1999
R
I
«
osa fresca aulentis[s]ima ch’apari inver’ la state,
le donne ti disiano, pulzell’e maritate:
tràgemi d’este focora, se t’este a bolontate;
per te non ajo abento notte e dia,
5
penzando pur di voi, madonna mia.»
II
[madonna]
«Se di meve trabàgliti, follia lo ti fa fare.
Lo mar potresti arompere, a venti asemenare,
l’abere d’esto secolo tut[t]o quanto asembrare:
avere me non pòteri a esto monno;
10
avanti li cavelli m’aritonno.»
1-5
«O rosa fresca e profumatissima (aulentissima), che appari
verso l’estate, tutte le donne,
giovani e sposate, vorrebbero
somigliarti: liberami dal fuoco
della passione, se vuoi; per
causa tua non riposo (abento)
notte e giorno, perché penso
continuamente a voi, signora
del mio cuore.»
1. aulentissima: voce tipica
siciliana, deriva da olere con la
variazione della lettera iniziale o
nel dittongo au.
6-10
«Se ti tormenti per me, è la
pazzia che te lo fa fare. Potresti
arare il mare, seminare i venti,
radunare tutte le ricchezze di
questo mondo: non potresti mai
avermi in questo mondo; piuttosto mi taglio i capelli (cioè mi
faccio monaca).»
Le origini
I generi: Epica e lirica
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III
[amante]
«Se li cavelli artón[n]iti, avanti foss’io morto,
ca’n is[s]i [sì] mi pèrdera lo solacc[i]o e ’l diporto.
Quando ci passo e véjoti, rosa fresca de l’orto,
bono conforto dónimi tu[t]tore:
15
poniamo che s’ajúnga il nostro amore.»
testi
T7
IV
[madonna]
«Ke ’l nostro amore ajúngasi, non boglio m’atalenti:
se ci ti trova pàremo cogli altri miei parenti,
guarda non t’ar[i]golgano questi forti co[r]renti.
Como ti seppe bona la venuta,
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consiglio che ti guardi a la partuta.»
V
[amante]
«Se i tuoi parenti trova[n]mi, e che mi pozzon fare?
Una difensa mèt[t]oci di dumili’ agostari:
non mi toc[c]ara pàdreto per quanto avere ha’n Bari.
Viva lo ’mperadore, graz[i’] a Deo!
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Intendi, bella, quel che ti dico eo?»
VI
[madonna]
«Tu me no lasci vivere né sera né maitino,
Donna mi so’ di pèrperi, d’auro massamotino.
Se tanto aver donàssemi quanto ha lo Saladino,
e per ajunta quant’ha lo soldano,
30
toc[c]are me non pòteri a la mano.»
11-15
«Se ti tagli i capelli, io vorrei
prima essere morto, perché con
essi perderei ogni mia consolazione e diletto. Quando passo e
ti vedo, rosa fresca del giardino,
tu mi dai sempre un senso di
piacere: facciamo in modo che il
nostro amore ci unisca.»
16-20
«Che il nostro amore ci unisca,
non voglio che mi piaccia: se ti
trova qui mio padre con gli altri
miei parenti, guarda che non
ti raggiunga questa gente che
corre forte. Come ti fu facile il
venir qui, ti consiglio di stare
attento alla partenza.»
21-25
«Se i tuoi parenti mi trovano
qui, che cosa mi possono fare?
Ci metto una multa di duemila
monete augustali: non mi toccherà neppure tuo padre per
quanta ricchezza c’è in Bari.
Viva l’imperatore, grazie a Dio!
Comprendi, bella, ciò che io ti
dico?»
22. Una difensa: consuetudine
feudale, stabilita nelle Costituzioni melfitane di Federico II
(1231): ogni suddito se aggredito
poteva imporre una multa (difensa) all’aggressore citando il solo
nome del re. Affermando il valore
legale di questo modo di dirimere
le controversie, il giullare esprime
la sua adesione ideologica alla
politica di Federico II; agostari:
monete fatte coniare da Federico
II nel 1231. L’uso di questa parola
ha reso possibile la datazione,
anche se approssimativa, della
lirica.
26-30
«Tu non mi lasci vivere in pace
né sera né mattina, sono una
donna ricca di perperi e di oro.
Se tu mi donassi tutto l’avere del Saladino, e per giunta
quanto possiede il sultano, non
mi potresti toccare neppure la
mano.»
27. pèrperi, d’auro massamotino: nomi antichi dei bisanti,
monete d’oro coniate dall’Impero
romano d’Oriente, la cui capitale
era Bisanzio, e delle monete d’oro
dei califfi delle tribù berbere dei
Massamuti.
28. Saladino: sultano di Egitto e
Siria, morto nel 1193.
29. soldano: il sultano d’Egitto.
4. La Scuola siciliana
Cielo d’Alcamo
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VII
[amante]
«Molte sono le femine c’hanno dura la testa,
e l’omo con parabole l’adimina e amonesta:
tanto intorno procàzzala fin che ll’ha in sua podesta.
Femina d’omo non si può tenere:
35
guàrdati, bella, pur de ripentere.»
VIII
[madonna]
«K’eo ne [pur ri]pentésseme? davanti foss’io aucisa
ca nulla bona femina per me fosse ripresa!
[A]ersera passàstici, cor[r]enno a la distesa.
Aquìstati riposa, canzoneri:
40
le tue parole a me non piac[c]ion gueri.»
IX
[amante]
«Quante sono le schiantora che m’ha’ mise a lo core,
e solo purpenzànnome la dia quanno vo fore!
Femina d’esto secolo tanto non amai ancore
quant’amo teve, rosa invidïata:
45
ben credo che mi fosti distinata.»
Madonna dapprima respinge le richieste amorose di Amante, affermando che, se il suo
destino fosse di unirsi a lui, si chiuderebbe piuttosto in un convento, successivamente
lo invita a cercare altrove una donna più bella. A nulla valgono le sue parole, tanto che
Madonna giunge a dichiararsi disponibile a sposare il suo corteggiatore, purché egli lo
richieda ai genitori e il matrimonio avvenga in chiesa. La promessa della ragazza non
arresta le avances dell’Amante che manifesta sempre più le sue intenzioni erotiche. Le
battute finali registrano il progressivo cedimento di Madonna che, infine, prima di abbandonarsi ai piaceri carnali, prega Amante di promettere sul Vangelo, come parziale
sostituzione delle nozze. Il corteggiatore, vicino ormai alla realizzazione del proprio desiderio, giura su un Vangelo rubato in chiesa.
XXXII
[madonna]
«Meo sire, poi juràstimi,
eo tut[t]a quanta incenno.
Sono a la tua presenz[ï]a,
da voi non mi difenno.
S’eo minespreso àjoti, merzé, a voi m’arenno.
A lo letto ne gimo a la bon’ora, 160
ché chissa cosa n’è data in ventura».
31-35
«Molte sono le donne che hanno la testa dura e l’uomo con le
parole le domina e le persuade:
tanto le dà la caccia fin che l’ha
in suo potere. La donna non
può fare a meno dell’uomo:
guardati, o bella, di non doverti
pentire.»
36-40
«Che io debba pentirmi? Che
io possa essere uccisa prima
che una donna onesta venga
rimproverata a causa mia! Ieri
sera sei passato di qua, correndo veloce su e giù. Calmati,
giullare: a me le tue parole non
piacciono affatto.»
41-45
«Quanti dolori mi hai messo nel
cuore e da solo ci penso su la
mattina quando esco di casa!
Non ho mai amato una donna di
questo mondo quanto amo te,
rosa invidiata (per la tua bellezza): credo proprio che tu sia la
donna del mio destino.»
156-160
«Mio signore, poiché hai giurato,
tutto il mio corpo brucia (di passione). Sono qui dinanzi a te e
mi arrendo alle vostre richieste.
Se prima ti ho maltrattato, chiedo perdono e mi arrendo. Andiamo finalmente a letto, perché
questo è il nostro destino».
Le origini
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ANALISI
E COMMENTO
La schermaglia amorosa
In apertura, Amante rivolge un complimento alla bellezza della donna, quindi confessa il “fuoco” della passione che lo divora e che solo lei potrà estinguere.
Madonna lo invita a porre fine al suo tormento, che è dovuto solo alla follia: per
nessuna ragione al mondo lei sarà sua; piuttosto si farà monaca.
Amante risponde con l’adulazione, le rivolge complimenti galanti e poi senza tante
reticenze le propone di unirsi a lui.
Madonna si nega, e anzi lo invita a fare attenzione, perché se i suoi parenti scoprono che la sta insidiando saranno guai seri per lui.
Amante ostenta sicurezza: nemmeno pagando una multa di duemila augustali il
padre potrebbe fare qualcosa contro di lui.
Madonna afferma che neanche se fosse ricco come un sultano gli concederebbe
di toccare la sua mano.
Amante, che mostra di conoscere l’animo femminile, sentenzia: la donna non può
fare a meno dell’uomo e, se lo respinge, un giorno se ne pentirà.
Madonna lo deride: pentirsi? Preferirebbe morire piuttosto che essere di cattivo
esempio per le donne oneste. Quindi lo invita a fermarsi.
Amante tenta allora la strada del corteggiamento sentimentale e l’addita come la
donna del destino.
Il trionfo dell’amore carnale
Anche se la schermaglia tra Madonna e Amante è espressa in un linguaggio che
riecheggia quello cortese, ad essa è sottesa una concezione sensuale dell’amore. Ciò
induce a leggere questo contrasto da un lato come una parodia della fin’amor (l’amore
ideale) dei provenzali, dall’altro come un prodotto dell’ambiente culturale laico (la
corte dell’imperatore Federico II) in cui operarono questi poeti.
L’espressione rosa fresca aulentissima, metafora della donna amata, è un’immagine
raffinata, diffusa nella letteratura provenzale, che appartiene a un registro linguistico
alto.
Nel corso della poesia ritorna la metafora • rosa fresca de l’orto (v. 13), che allude al
tono sensuale del componimento. La donna alla fine cederà: l’ultima battuta da lei
pronunciata (vv. 159-160) conferma il tono trasgressivo della lirica e il contrasto dei
modi realistici e concreti con il raffinato verso iniziale.
La mescolanza di registri e la lingua
Il linguaggio è il volgare siciliano medio, in cui si inseriscono voci dialettali meridionali (campane e calabresi), unite a francesismi, latinismi ed espressioni di tono alto.
Anche se è opera di un autore colto, il componimento rinvia al genere giullaresco,
intermedio fra poesia aulica e poesia popolare. Colto doveva essere anche il destinatario, per apprezzare l’abilità tecnica e i riferimenti letterari.
L’uomo e la donna sono di modesta condizione sociale e usano il siciliano con
cadenze dialettali e con toni aulici. Per esempio, nella prima strofa c’è il passaggio
dal confidenziale “tu” all’uso rispettoso del “voi”, caratteristico della poesia cortese
(v. 5: voi, madonna mia) e sono presenti i latinismi focora (v. 3, “fuochi”), abento (v.
4, adattamento toscano di una forma siciliana derivata dal latino adventum “arrivo”,
“sosta”) e dia (giorno); nella seconda strofa il gioco di contrapposizione tra i due interlocutori è sottolineato dalle ipotesi iperboliche e assurde (Lo mar potresti arompere,
a venti asemenare, v. 7) care ai modi del linguaggio di piazza del giullare.
Oltre ai latinismi, compaiono francesismi e provenzalismi (canzoneri, v. 39, gueri,
v. 40), dialettismi siciliani o meridionali.
4. La Scuola siciliana
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testi
T7
La tecnica compositiva del contrasto
La tecnica del contrasto • è basata sul dialogo alternato dei protagonisti e sulla replica
per crescendo. Le parole-rima della replica riprendono in modo identico l’enunciato
conclusivo dell’interlocutore (secondo la tecnica provenzale delle coblas capfinidas
• Focus, p. 73), oppure le immagini sono concatenate mediante rinvii al concetto
espresso nella strofa precedente.
La tecnica delle coblas capfinidas
Ripresa dell’ultimo verso nella strofa successiva:
avanti li cavelli m’aritonno (v. 10)
Se li cavelli artónniti (v. 11)
poniamo che s’ajúnga il nostro amore (v. 15)
Ke ’l nostro amore ajúngasi (v. 16)
LAVORIAMO
SUL TESTO
Immagini concatenate che rinviano allo stesso
concetto della strofa precedente:
per te non ajo abento notte e dia,
penzando pur di voi, madonna mia (vv. 4-5)
Se di meve trabàgliti, follia lo ti fa fare (v. 6)
1. La concezione dell’amore. Quale concezione dell’amore esprime il poeta?
2. L’ambiente socio-culturale. A quale ambiente sociale e culturale rinvia il rapporto
tra Madonna e Amante?
3. Le scelte linguistiche. In che cosa consiste l’originalità linguistica del componimento?
LABORATORIO
PER L’ESAME
4. Articolo di giornale. Leggi il dossier di testi a p. 111 del vol. 1S e scrivi un articolo
culturale sull’argomento «Trovatori, giullari, goliardi».
• Cavaliere in atteggiamento
di devozione verso la dama,
miniatura del 1300 circa. Heidelberg,
Biblioteca dell’Università.
Le origini
I generi: Epica e lirica
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