L`EDILIZIA IN LEGNO ALTOMEDIEVALE NELL`ITALIA DEL

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L`EDILIZIA IN LEGNO ALTOMEDIEVALE NELL`ITALIA DEL
L’EDILIZIA IN LEGNO ALTOMEDIEVALE
NELL’ITALIA DEL NORD: ALCUNE
OSSERVAZIONI
di
SAURO GELICHI, MAURO LIBRENTI
Il problema dell’edilizia abitativa altomedievale è stato
tra i primi temi dell’archeologia post-classica a fare la comparsa nel nostro paese, ma l’approccio è stato confinato quasi
esclusivamente allo spoglio e all’analisi delle fonti scritte
(CAGIANO DE AZEVEDO 1972a; IDEM 1972b; GALETTI 1985;
EADEM 1989). Di recente, dopo più di un decennio di attività sul campo, si è tentata una sintesi (BROGIOLO 1994a), con
esiti ancora disomogenei e discontinui (IDEM 1994b, p. 9).
Pur nella frammentazione dei dati a disposizione, tuttavia,
è risultato evidente come l’uso del legno rappresenti una
costante nelle pratiche costruttive per tutto l’alto medioevo. Questo fenomeno non sembra neppure circoscritto geograficamente (ad es. è stato segnalato da tempo anche in
Liguria e Toscana: per la Liguria MANNONI 1983; per la Toscana il recente VALENTI 1994), né confinato ad aspetti marginali o rurali dell’abitato (si riscontra, infatti, in città di
antica e nuova fondazione, come in villaggi: GADD-WARD
PERKINS 1991, per Ferrara; CATARSI DALL’AGLIO 1994, pp.
151-154, per Fidenza).
Tale constatazione, se coglie nel vero quando identifica
nel legno il materiale da costruzione prevalente per l’edilizia abitativa altomedievale (almeno dei territori del centronord della penisola), risulta tuttavia generica quando si volessero studiare modelli abitativi e tecniche costruttive nella lunga durata. Intanto il legno costituisce un elemento di
importanza variabile a seconda delle tipologie adottate e
con una casistica molto diversa anche in relazione alle parti
in materiale deperibile del costruito (potendo coinvolgere
copertura, pareti, elementi portanti, pavimentazioni). Poi il
legno è spesso usato insieme ad altri materiali, che non sempre vengono identificati in scavo. Infine, anche per la parzialità di certi contesti archeologici, è spesso difficile riconoscere nel dato materiale un particolare tipo edilizio e dunque ricondurlo, correttamente, all’interno di una scala gerarchica di valori d’uso che certamente doveva essere ben
presente.
Gli studi sull’edilizia abitativa alto medievale hanno finora riconosciuto alcuni modelli e prospettato alcuni possibili percorsi evolutivi, con una cesura cronologica (VII-VIII
secolo) che sembra rappresentare anche un discrimine non
incidentale nel mutamento di determinate tipologie edilizie
(BROGIOLO 1994b; GELICHI 1994). Recenti dati di scavo in
alcuni siti dell’area padana (vd. infra) permettono di implementare il numero delle informazioni e, nel contempo, di
verificare se i modelli teorici proposti hanno retto alla nuova evidenza archeologica.
Dopo la pubblicazione del Seminario di Monte Barro
del 1993 (BROGIOLO 1994a), si è potuto disporre della prima
edizione dello scavo del sito di Poggibonsi (SI), in Toscana
(VALENTI 1996), il quale contiene anche una estesa campionatura bibliografica sugli edifici di legno in Europa (ibid.
159-218), della datazione delle fasi più antiche dello scavo
di Corso Porta Reno a Ferrara (anni 1981-84: VISSER TRAVAGLI 1995, p. 90) e dei risultati della più recente indagine
archeologica sempre in Corso Porta Reno (anni 1993-94:
GUARNIERI-LIBRENTI 1996). A questi vanno aggiunti i dati
provenienti dallo scavo di un villaggio fortificato nel comune di Sant’Agata Bolognese (BO) e di altri due contesti
emiliani tardo medievali (Bologna Sala Borsa e Castelfranco Emilia, piazza Moro, MO), ancora inediti, di cui forniamo di seguito sintetiche informazioni limitate ad alcune
strutture abitative.
CASTELFRANCO EMILIA, PIAZZA MORO, 2°
QUARTO DEL XIII SECOLO (Fig. 1)
Ampia struttura rettangolare (struttura 1: m 11×12) sostenuta da un reticolo di pali strutturali di dimensioni consistenti (cm 30), alcuni accoppiati. I perimetrali dovevano
poggiare su travi orizzontali collocate al di sopra di bassi
muretti in ciottoli e laterizio, mentre per le pareti interne
venivano usati solo pochi ciottoli allineati. Dei sei ambienti
così ricavati, tutti con pavimentazione sterrata, almeno tre
dovevano essere dotati di un focolare in mattoni ciascuno,
mentre i piani d’uso venivano ripristinati con frequenza.
Stando alle dimensioni dei portanti, la struttura doveva avere
almeno un piano superiore.
Appoggiati al primo fabbricato erano altri edifici in legno (strutture 2-3), probabilmente con pareti di assi infisse
direttamente nel terreno e radi pali portanti perimetrali. Gli
annessi venivano utilizzati per attività produttive, come sembrano dimostrare i basamenti in ciottoli e pezzame rinvenuti fuori e dentro gli ambienti.
BOLOGNA, SALA BORSA, XI-XII SECOLO (Fig. 2)
Si è rinvenuta una porzione di un edificio con pareti
realizzate con tavole infisse verticalmente nel terreno (USS
1529, 1530), all’interno di una canaletta (USS 1534, 1536).
Gli elementi portanti dovevano poggiare su basamenti in
selenite (USS 1544, 1545), in associazione con alcune buche di palo (USS 1540, 1541 e 1542). L’impossibilità di
chiarire l’esatta natura della struttura a causa degli interventi di epoca successiva che ne hanno asportato un’ampia
porzione, contrasta purtroppo con la chiara leggibilità della
tecnica utilizzata, scarsamente attestata in ambito padano.
SANT’AGATA BOLOGNESE (BO), CASTELLO DI
PONTELONGO, X SECOLO (Fig. 3)
Serie di strutture rettangolari contigue che seguono verosimilmente il perimetro della recinzione interna dell’abitato. Gli edifici risultano realizzati quasi interamente su travi
orizzontali con pochi pali verticali e presentano all’interno
pavimentazioni in legno su intelaiature, mentre una parte
dell’edificio risulta sterrata e destinata ad attività domestiche. La parcellizzazione (casamenti) risulta eseguita su appezzamenti sempre uguali di m 6×9, indifferentemente dalla destinazione d’uso del terreno.
Sebbene si sia insistito da più parti sull’importanza del
riuso nell’edilizia alto medievale, i dati di scavo dell’area
padana sembrano comunque ridimensionare, almeno in relazione alle struttura abitative, il valore di questo apporto.
Tale pratica può indirizzarsi verso: a) recupero delle strutture; b) recupero dei materiali.
Le attestazioni di reimpiego diretto di alzati di età antica sono concentrate, prevalentemente, nei primi due secoli
dell’alto medioevo e, finora, abbastanza limitate (a Ravenna, ORTALLI 1991 e Brescia, BROGIOLO 1992; EADEM 1994c,
pp. 106-109, ad esempio), anche se non possiamo escluderne un uso estensivo, particolarmente nelle città di antica
fondazione, poco visibile archeologicamente per la nota
approssimazione con la quale, nel passato, queste strutture
venivano segnalate. Questo tipo di attività si inserisce, talora, nel quadro di una edilizia spontanea e in un quadro economico di pura sussistenza (BROGIOLO 1994b, p. 11), ma nel
contempo sembra costituire anche una variante dei molto
più numerosi esempi di strutture su soletta. Ancora nel caso
classicano (ORTALLI 1991), il recupero degli spazi e delle
murature di un magazzino attraverso il parziale riutilizzo di
strutture in laterizio (e con un alzato verosimilmente ligneo),
costituisce un esempio edilizio tutt’altro che provvisorio,
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per la fortuna che ebbe e che riusciamo a ripercorrere nella
documentazione scritta di quella zona (GELICHI 1994 e 1996).
Il recupero di materiale edilizio per la realizzazione di
nuove costruzione, per quanto fenomeno prevalentemente
riscontrabile nell’edilizia pubblica (ecclesiastica e civile),
può rilevarsi nell’edilizia abitativa in connessione con il
legno (o con altro materiale) ancora per la realizzazione di
strutture su soletta. La casistica dei tipi edilizi su zoccolo di
pietrame e/o laterizio (di reimpiego) è piuttosto consistente, soprattutto negli insediamenti d’altura del primo alto
medioevo ed anche in Italia (es. Castelseprio: DABROWSKA
et al. 1978/79; più in generale BROGIOLO 1994c, pp. 110111): in area europea e nel Mediterraneo (es. MERLO 1990,
pp. 572-576, per le case telaio di Lefkàda), conoscono una
ininterrotta fortuna fino ai nostri giorni (es. le tipologie edilizie come Fackwerk o Blockbau: STADT 1993). Si può supporre, in effetti, che edifici di questo genere siano stati utilizzati senza soluzione di continuità, in aree collinari e montane, per la facilità con la quale si poteva reperire la materia
prima (pietra o ciottoli di fiume) per la realizzazione di un
supporto rigido su cui poggiare l’alzato ligneo. Ma se in
questi casi l’uso di edifici su zoccolo può costituire quasi
un fatto fisiologico, resta da valutarne il significato e la funzione in pianura, dove sono segnalati prevalentemente in
epoca romana e nel tardo-medioevo (es. Castelfranco Emilia, vd. supra), momenti che coincidono con una maggiore
disponibilità di materia prima (il laterizio) per la realizzazione dei muretti.
Il problema di queste strutture su zoccolo resta l’alzato,
nel senso che i dati archeologici finora disponibili non ci
consentono di determinarlo con precisione: poiché, nell’alto medioevo, compaiono anche case costruite esclusivamente in legno su pali orizzontali (vd. infra), si può congetturare che, in molti casi, esso fosse realizzato con le stesse materie e con le medesime tecniche.
L’estrema variabilità dei tipi edilizi e del materiale da
costruzione usato nei primi secoli dell’alto medioevo (insieme alle case su zoccolo, sono presenti capanne realizzate esclusivamente in legno a cortine di pali verticali) sembra diminuire col tempo e tendere ad una (apparente?) omogeneizzazione quando compare, verso il X secolo, l’edificio a travi orizzontali. Questo fenomeno, colto da tempo,
deve essere meglio definito sul versante tecnologico e spiegato su quello tecnico-costruttivo.
Le indagini archeologiche in ambito europeo hanno
documentato, già in epoca romana, un ventaglio di soluzioni tipologiche in legno – incluse quelle basate su dormienti
disposti in orizzontale – diversificate anche per tecnologia
(e probabilmente per censo), tali da fornire alla tradizione
artigiana una vasta possibilità di scelta, che arrivava fino ad
interessare le abitazioni urbane con pareti rivestite di intonaco e dipinte. Il fatto di riconoscere, in questa tradizione,
anche il tipo che diverrà comune nel nord della penisola
verso il X secolo, non ci aiuta per il momento a comprendere i passaggi (tecnologici, culturali, politici?) attraverso cui
questo si sarebbe diffuso. Tra VII e IX secolo, inoltre, gran
parte dell’edilizia abitativa europea privilegiava il tipo a
pali verticali, anche con piani d’uso interrati (CHAPELOTFOSSIER 1980) e pareti con varianti del tipo stabbau, anche
con tavolati infissi nel suolo entro basse canalette o ad assi
orizzontali.
L’esplosione numerica della diffusione dell’edificio su
travi orizzontali, coincide, almeno in un paio di occasioni
(Ferrara: GADD-WARD PERKINS 1991; Fidenza: CATARSI DALL’AGLIO 1994), con la sostituzione di precedenti strutture su
pali verticali; ma bisogna attendere ulteriori conferme per
parlare di una fase di passaggio attestata, nell’edilizia in
legno, dall’abbandono di portanti verticali, in quanto il loro
impiego continua anche in epoca successiva. Occorre poi
considerare il fatto che la sostituzione, nei casi citati, dovrebbe essere avvenuta tra edifici con funzionalità analoga,
cosa del tutto dubbia almeno nel caso di Ferrara. Nella se-
quenza di Piadena (MN), poi, un fabbricato con pali verticali (edificio II) si inserisce in una fase tardiva di occupazione del sito (BROGIOLO-BREDA 1985). Non solo, ma anche
successivamente si rileva la contemporaneità di utilizzo di
sistemi diversificati nel costruito, sia a livello di strutture
portanti (solo travi orizzontali, solo pali verticali, in alternanza) che di tipologie degli alzati, con una probabile diversità di impiego anche delle materie prime per le coperture, le rifiniture, le pavimentazioni, come sembra indicare,
pur nell’ovvia provvisorietà dei dati, lo scavo ancora in corso
del villaggio di X secolo di Sant’Agata Bolognese.
In base ai dati disponibili, comunque, l’esistenza di strutture “pure”, basate cioè su impianti progettuali rigorosamente selettive dei sistemi da utilizzare, sembra estranea al
panorama alto medievale nord italiano. Nel contempo, tuttavia, non va neppure sottovalutata la capillarità con la quale
alcuni aspetti tecnologici tracciano un quadro pressoché
unitario a livello internazionale (si pensi soltanto alla diffusione di alcuni tipi di stabbau e travi scanalate, del tutto
identici tra Italia, Germania e Francia), lasciando supporre
l’esistenza di produzioni seriali che sfuggono ampiamente
alla semplice contingenza del manufatto improvvisato. Nel
panorama dei nuovi insediamenti, spesso contraddistinti da
una mobilità molto accentuata, questi edifici possono contare su un lavoro di cantiere preparatorio di dimensioni contenute (pochi pali fondati) e una messa in opera agevolata
dalle strutture a telaio o da pezzi “prefabbricati”: in questa
situazione diviene anche comune il fenomeno del recupero
e del riutilizzo di tali pezzi, impiegati talvolta anche in strutture non abitative e in associazione, come a Ferrara, a parti
eseguiti a solo graticcio intonacato (GUARNIERI-LIBRENTI
1996). Resta sempre il dubbio che la visibilità archeologica
di questo fenomeno, che si collocherebbe verso il IX-X secolo, sia la conseguenza di una ripresa nella riurbanizzazione
dei centri abitati (nuovi o antichi che fossero) e nello sviluppo delle nuove fondazioni rurali (castelli, villaggi, etc.),
risultato cioè di un processo di penetrazione o selezione di
sistemi di costruzione già affermato ampiamente nel momento in cui diviene estesamente percepibile.
L’uso delle fonti scritte, per altri versi significativo, è di
scarso utilizzo per quanto concerne le informazioni sugli
aspetti strettamente tecnologici. I dati convergono solo genericamente nell’indicare il diffuso impiego del legname
nella costruzione: anche espressioni apparentemente chiare
ed esplicite nel definire alcuni caratteri della struttura (es.
muro cum axis clausum), non delineano con certezza gli
aspetti tecnologici del tipo di alzato in uso. La
contrattualistica e la legislazione sono le principali fonti che
forniscono dati per l’età alto medievale (GALETTI 1994). La
prima, che contiene numerosissimi riferimenti alla costruzione delle case, obbligatoria per esempio per coloro che
coltivavano i terreni di pertinenza curtense, lascia supporre
una diffusione abbastanza capillare della conoscenza tecnologica del settore. Questi contratti sono molto diffusi in
area emiliana soprattutto tra IX e X secolo, periodo per il
quale non disponiamo di un altrettanto varia e considerevole congerie di informazioni sui caratteri degli edifici (quelli
noti appartengono quasi tutti ad ambiti urbani e di comunità di villaggio): dunque non siamo in grado di verificare se
si tratta di strutture affidate al più puro spontaneismo o ispirate a modelli già presenti se non, eventualmente, frutto del
lavoro di maestranze itineranti (vd. comunque infra).
Risulta difficile valutare anche la reale incidenza di
questo dato di mobilità, per il quale disponiamo almeno di
una conferma sul versante archeologico in età tardo medievale (XIII secolo) sempre nell’ambito delle strutture insediative rurali. Del caso di Castelfranco Emilia (MO) sappiamo quasi con certezza che gli edifici scavati a struttura
mista, pali verticali e travi orizzontali con pareti di legno o
mattoni crudi- vennero trasferiti dagli abitanti durante la
crisi della metà del ’200. Si tratta di una struttura complessa ed articolata in parte lasciata in posto dove venne utiliz-
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Fig. 1 – Castelfranco Emilia, Piazza Moro. Area di scavo relativa alla struttura 1 e planimetria generale delle strutture identificate.
Fig. 2 – Bologna, Sala Borsa. Porzione di struttura lignea (in nero nella fig.) collocata entro una cancellata, con tracce di pali e
basamenti in pietra.
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Fig. 3 – S. Agata Bolognese, Castello di Pontelongo. Scavo nel Settore I (1995). In particolare si possono osservare le impronte di
una pavimentazione in legno, alcuni focolari e le numerose buche lasciate dalla spoliazione di pali verticali e travi orizzontali.
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zata ancora per un cinquantennio. Ci pare significativo il
fatto che i soli dati disponibili per l’insediamento sparso
(trecentesco) di Villa Fontana (BO), testimoniano invece la
presenza di soli pali verticali (LIBRENTI-ZANARINI 1991, p.
52, Fig. 7). Dalle ricognizioni nelle medesime aree proviene inoltre un gran numero di frammenti di intonaco rubefatto, a dimostrazione della diffusione, ancora nel corso del
XIII secolo, di edifici di semplice incannicciato tra portanti
verticali (ibid. Figg. 3-4). Nelle fonti tardo medievali la
varietà lessicale delle denominazioni delle strutture lascia
intravedere proprio per le campagne numerosi tipi funzionali, distinguibili tra abitazioni e di servizio, con annessi di
vario genere: sarebbe auspicabile verificare quanto una tale
gerarchizzazione funzionale, che possiamo supporre anche
nei periodi precedenti sulla scorta dell’evidenza scritta, trovi
rispondenza anche nel dato archeologico.
Gli archeologi hanno interpretato le poche strutture scavate alto medievali spesso in maniera molto generica: in
qualche caso non siamo neppure certi che si trattasse di
abitazioni. Questa scarsa predisposizione all’interpretazione funzionale delle strutture indagate si scontra invece con
la ricchezza della documentazione scritta. L’esempio di alcune nazioni europee, ove si sono analizzati numerosi villaggi ponendo in relazione esempi strutturali e funzionalità
dei medesimi, ha avuto il vantaggio di verificare campioni
quasi completi, di dimensioni ben maggiori di quelli di cui
disponiamo in area padana. Inoltre si tratta quasi sempre di
siti caratterizzati da tempi di formazione e vocazione insediativa abbastanza diversa dagli esempi padani noti, quasi
esclusivamente insediamenti urbani o a villaggi fortificati (che
si sono rivelati, almeno nell’organizzazione e nella strutturazione degli spazi, a vocazione protourbana): non si hanno invece confronti per strutture edilizie su aree non fortificate e,
soprattutto, per quelle poste sulle unità poderali, che già nell’alto medioevo caratterizzano l’insediamento agricolo.
Anche per quanto riguarda la tipologia i dati forniti dagli scavi si concentrano verso la fine dell’alto medioevo,
quando si affermano case a pianta rettangolare e a struttura
prevalentemente ibrida. Si tratta di edifici di varia complessità, concepiti nei casi più elaborati per creare cellule abitabili isolate quanto più possibile dall’ambiente esterno, a volte
con pavimenti sopraelevati (e controsoffittature al di sotto
del tetto?), ed ambienti di servizio distinti, anche se all’interno del perimetro del medesimo lotto. Già a Piadena si
era osservato come in alcuni casi i focolari fossero stati posti
all’esterno di strutture (concepite dunque esclusivamente
ad uso residenziale), contraddistinte da tasellati lignei, mentre in altri casi il fuoco risultava acceso direttamente all’interno dell’ambiente (BROGIOLO-BREDA 1985). A Sant’Agata, dove lo scavo è ancora in corso, i fabbricati si configurano (all’interno di parcellizzazioni uniformi di m 6×9) in
maniera più articolata ed elaborata, ma sostanzialmente simmetrica: mentre metà del fabbricato, sempre rettangolare,
risulta occupato da pavimentazioni lignee, la parte restante
attesta focolari o piani d’uso sterrati. Si tratta in entrambi i
casi di strutture regolari, ma tecnologicamente eterogenee,
i cui perimetrali poggiano in genere su travi orizzontali,
mentre alcuni pali mediani infissi profondamente nel terreno
reggono l’intelaiatura del tetto coperto da vegetali.
Significativamente i pochi dati relativi alle aree rurali
sembrano marcare una diversità tecnologica, che forse non
è che un riflesso della varietà strutturale. Gli estimi del territorio evidenziano infatti la compresenza di innumerevoli
tipologie edilizie, in genere segnalate domus (a volte murate e/o cuppate a partire dal ’300), in associazione a teggie e
medali. Certo è che fino alla seconda metà del ’500 erano
in uso – e verosimilmente la loro tecnologia non era desueta
– edifici in terra ed in graticcio intonacato di fango (LIBRENTI-ZANARINI 1991, p. 52), con un attardamento tecnologico che la scarsa disponibilità economica probabilmente
può giustificare in parte, ma che è anche da ricollegare ad
usi misti – abitativi e lavorativi – degli ambienti.
A meno di non identificare clusters significativi di strutture costruttivamente assimilabili nella tecnica impiegata
al di là della loro destinazione d’uso, l’indagine tecnologica condotta su porzioni di strutture pare destinata a presentare notevoli limiti. Se alcune tipologie costruttive sono testimoniate in maniera preponderante durante taluni periodi, la selezione casuale di questi ritrovamenti sembra comunque troppo poco significativa per permettere considerazioni valide. L’impossibilità poi di porre in relazione la
funzione degli ambienti con le loro caratteristiche tecniche,
rende estremamente difficoltosa la valutazione di quanto
incidano, nei modelli edilizi alto medievali, tradizione, evoluzione e novità.
Il caso degli edifici a sola struttura lignea sembra comunque rappresentare una esemplificazione di questo intreccio di elementi concomitanti, quando un tipo tecnologico già noto conosce una espansione massiccia in relazione
alle nuove esigenze di una crescente riurbanizzazione degli
abitati ed un massiccio ripopolamento delle campagne. La
sua visibilità archeologica, al di là dell’essere un prodotto
omogeneizzante della cultura carolingia (aspetto questo che
andrebbe ulteriormente approfondito), rappresenta probabilmente la conseguenza di un duplice ordine di fattori: la
sua consistente diffusione in ambiti urbani o protourbani; il
risorgere diffuso di un artigianato specializzato. E’ forse
quest’ultimo aspetto, fino ad oggi sottovalutato, a dare quel
tanto di unitarietà tecnologica e tipologica ad un quadro per
altri versi ancora fortemente disomogeneo. L’edilizia in legno testimonia indubbiamente una riduzione del ciclo edile
a poche fasi, che tuttavia non riteniamo debbano essere ricondotte esclusivamente all’ambito familiare o tutt’al più
della comunità (BROGIOLO 1994b, p. 10; GALETTI 1985, p.
170). La similarità di realizzazione di certe pezzi seriali negli
edifici anche a tecnica mista, in un’area geografica che, tra
X e XII secolo, riguarda gran parte dell’Europa, potrebbe
attestare l’esistenza di un artigianato specializzato nella
costruzione di “prefabbricati”, elementi utilizzabili anche
in strutture profondamente diverse per misure e tecnica. Che
poi la loro messa in opera fosse delegata alle comunità di
villaggio o a competenze rintracciabili in un singolo ambito familiare, che il riciclaggio anche del legno fosse attività
diffusa, che l’associazione di pezzi speciali si alterni a parti
realizzate con trovanti o materiale più rozzamente lavorato, che l’uso di tecniche miste fosse frequente anche all’interno di uno stesso abitato (sintomatico il caso, ancora una
volta, di Sant’Agata Bolognese), spiegherebbe quel tanto
di ibridismo costruttivo che non verrà mai meno neppure
alla fine del medioevo.
Le nostre riflessioni, lo abbiamo più volte ricordato, riguardano solo una parte dell’edilizia abitativa alto medievale. Non abbiamo motivo di dubitare che la qualità del
costruito, anche all’interno delle singole unità poderali (o,
per converso, nelle cellule matrici degli organismi curtensi,
per ora ignote se non nelle loro evoluzioni verso le forme
castrensi di X secolo), non si discosti dal quadro qui delineato (e le fonti sembrano documentare l’esistenza di settori
artigianali specializzati nella carpenteria all’interno della
curtis: GALETTI 1985, p. 174): ma non possiamo esserne certi
fintantoché l’archeologia non si sarà mossa anche verso il
riconoscimento e l’indagine di queste tipologie insediative
(che sfuggono al momento anche alla semplice identificazione). La “ruralità” di certe soluzioni edilizie è sembrata
un fattore omogeneizzante per aree culturalmente diverse e
per tipologie insediative differenziate (GELICHI 1996, p. 73),
ma forse l’analogia tra i campioni presi in esame (città di
nuova e vecchia fondazione e villaggi fortificati) è, verso il
X secolo, molto forte anche per altre componenti che appartengono alla sfera della struttura urbanistica (si veda ad
esempio la complessità e la regolarità anche dell’organizzazione spaziale di taluni insediamenti fortificati, come
Piadena o Sant’Agata Bolognese). Dopo il X secolo le nuove aristocrazie cittadine riprenderanno a costruire in pietra
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e mattone: riprende, in forme sicuramente più accentuate,
anche la pratica del riuso (si tratta di un fenomeno poco
studiato, ma dalla portata enorme se si considera che tutta
l’edilizia in muratura di XI e XII secolo è fatta con materiale antico di recupero). L’edilizia in legno (o in tecnica mista)
non scompare, neppure in ambito urbano, ma perde quella
centralità che solo qualche secolo prima ancora manteneva.
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