Gianluca Garrapa su "Satisfiction"

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Gianluca Garrapa su "Satisfiction"
Satisfiction » Le cose dell’orologio
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Venerdì 16 Dicembre 2016
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Recensioni Autore: Mario Borghi / Rogas edizioni / pp. 110 / €
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Le cose dell’orologio
Recensione di Gianluca Garrapa
16/12/2016 11:05
Satisfiction » Le cose dell’orologio
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http://www.satisfiction.me/le-cose-dellorologio/
Cosa è il tempo? E chi siamo noi e quale sottile differenza ci rende diversi dai sogni? Soprattutto: esiste la verità oppure l’informazione è confezionata e predisposta per il piacere dell’altro, nevroticamente, come se la dittatura dello
spettatore governasse e gestisse lo spettacolo delle notizie e le trame dei discorsi sull’attuale? L’esordio di Mario Borghi racconta un’assenza, la mancanza che genera i desideri, non lo avrebbe voluto forse, non era questo l’intento del
romanzo, eppure, a voler legger sotto le righe, oltre il divertissement letterario scopriamo elementi di critica sociale: la famiglia, la burocrazia, l’immagine, il narcisismo e il movimentato mondo umano mosso dalla mancanza di un
oggetto, l’orologio, il tempo. Un caleidoscopio di personaggi che intrecciano i loro destini e le inconcludenze, le morti e le frustrazioni con ironia e humor surrealista. Personaggi che ci introducono in un mondo che è la nostra
quotidianità, eppure è un universo parallelo: siamo sicuri che non sia davvero un’illusione il nostro mondo, il nostro vivere?
La Piccionaia vuole scoprire a tutti i costi chi ha rubato l’orologio della stazione. È un personaggio principale, insieme alla voce narrante: con quel suo continuo scuotere lievemente la testa con le sopracciglia alzate, a voler
escludere ogni altra opinione, con quel suo continuo spostare e sistemare le briciole sulla tovaglia, e le bucce di mela nel piatto, con la punta del coltello. Con quel suo schioccare di lingua a sottolineare la sua presenza. Vive
davanti a noi, si materializza, e, nonostante l’antipatia che suscita, non possiamo non seguirne le vicende con curiosità e divertimento.
Ma Anna la stravagante, donna delle pulizie del ‘loft’ in cui abita il corpo della voce narrante, è decisamente l’emblema dei molti mondi che potrebbero ospitarci se fossimo in grado, come lei, di vivere la realtà parallela della nostra
mente: organizza party e feste con amici rigorosamente immaginari, eppure nulla delle sue vicende ci fa pensare a una matta. Nel romanzo, infatti, c’è pure un maresciallo, un superstizioso: “se la prossima autovettura che passa è
guidata da una donna devo andare al più vicino, altrimenti al più lontano”, che introduce il lettore nello specchio magico della realtà, di quella realtà che è stata primordiale. Dunque psicosi e nevrosi ossessive diventano bolle
spazio-temporali e magia. Ci viene in mente anche il mondo di passaggio, nella parte centrale del romanzo, degli sciamani, quando il tempo si ferma, miracolosamente, e s’inizia a percepire l’istante in cui si mette in moto il treno, ma
è ancora fermo. L’istante in cui la lancetta parte per il secondo successivo ma non si è ancora mossa. È un romanzo in cui la parola blu ricorre spesso a segnalare la prepotente e godibilissima componente surreale (luce blu; Poi c’è
l’energia, ecco, in quella io ci spero, e nel diapason e nel blu e nella musica.), se è vero che il blu è il colore della metafisica (e pensiamo pure ai “Fiori Blu” di Queneau), e non manca l’umorismo nero che colora tutta la narrazione:
una volta, in un momento di sconforto, pensò anche di buttarsi sotto un treno, ma quel giorno c’era sciopero e non ne passò nemmeno uno.
Le vicende del romanzo ruotano attorno a un oggetto, l’orologio, quasi fossero loro, le vicende, le azioni dei personaggi, le lancette. Un oggetto che in qualche modo ha una sua presa di posizione: la mattina successiva, lo considerai
poco o nulla e uscii soddisfatto e pieno di energia per andare al lavoro. Lui (l’orologio) rimase a contare il tempo nella sua nuova sede, dice la voce narrante all’indomani del furto dell’orologio. Un oggetto che diventa quasi
umano, e nei cui riguardi si può provare tanto una tenerezza al limite dell’abbandono: Lo fissai incantato a lungo, lo toccai, lo odorai, lo abbracciai come un figlio malato. Lui rimase imperturbabile, quanto una reazione difensiva:
quando un oggetto disapprova il padrone non è una bella cosa. Ecco che ci sovviene la filosofia degli oggetti, la rivolta delle cose, non a caso, visto che nel romanzo ci sono anche incursioni filosofiche, questioni metafisiche, ma
senza che ve ne accorgiate, tanto è lineare e leggero il percorso quanto profondo il solco che ci guida, e l’idea che, come oggetti e soggetti si compenetrano e si influenzano, quasi quantisticamente, allo stesso modo una sottile
ragnatela collega tutti gli esseri umani, tanto che ogni tua sofferenza bilancia un benessere chissà dove.
Questo romanzo è un mondo in cui i capitoli si contrappongono come su una scacchiera: ci deve essere sempre un’opposizione, come la terra sotto ai nostri piedi, altrimenti sprofonderemmo nel nulla. E proprio a una trama onirica
e sfuggente, si oppone la struttura rigorosa e quasi matematica, squadrata, sicché l’intera struttura pare un monumento d’avanguardia di forma indefinibile ma dalle solide fondamenta.
Io sono qui in attesa. Ho solo l’ultimo ricordo, dice la voce narrante verso il finale di questo giallo metafisico, di cui ovviamente non posso dire altro…
Buona lettura!
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Satisfiction.me
16/12/2016 11:05