prof. arch. Antonino TERRANOVA, Consigliere ANCSA Ass. Naz

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prof. arch. Antonino TERRANOVA, Consigliere ANCSA Ass. Naz
FESTA DELL’ARCHITETTURA 2006
L’Aquila 2/16 dicembre 2006
Convegno
“LA DISMISSIONE DEI PATRIMONI PUBBLICI PER IL RINNOVO
DELLE CITTA’”
terranova
Intervento del prof. arch. Antonino Terranova, Consigliere ANCSA
Ass. Naz. Centri Storico- Artistici
L’Aquila porte città convegno dicembre 2006
Il tema proposto, la dismissione e il rinnovo delle città, ha ormai una
storia di vari decenni dentro la contingenza urbana post-moderna o
contemporanea, e perciò una adesione mia generale può utilizzarla:
primo, registrando il consueto ritardo del nostro Paese; secondo,
ricordando le dialettiche non lineari né gerarchiche che le azioni di
riqualificazione spesso segnalano; terzo, raccomandando i rapporti
peculiari e complicati e processuali ma anche inventivi che è bene si
instaurino se si vuole davvero ottenere una qualità non solo generica
ma anche perspicuamente architettonica; quarto, ragionando intorno
alla metafora tematizzante –qui, la Porta della Città- come premessa
appunto ad una caratterizzazione spaziale capace di produzione di
senso in coerenza con la caratterizzazione di funzionalità dell’urbano.
Urbano lo uso come sostantivo, vi associo le idee di porosità, di
tessutalità, di aggregato, di soglia adeguata di densità e di mix per il
vecchio effetto urbano, anche la particolare estetica della città che si
collega alle idee di apertura, di spugna o schiuma, di multiscalarità e
perfino di dismisura necessaria nella orizzontalità rinunciataria
ottenuta da un uso troppo degradato della vecchia misura umana nella
nostra inquietante età della moltitudine.
Voglio ricordare i veri e propri Traumi (dotati però di Traum-Sogno)
che furono imposti a Parigi con il Centre Pompidou, il quale fu subito
celebrato da Baudrillard per il suo “effetto Beaubourg”, e trova un
culmine nella Grande Biblioteca collegata a Bercy, ma anche nella
spazialità sospesa e surreale della Grande Arche che riassume e
proietta l’asse storico della città classica; oppure a Londra con la
riqualificazione innovativa del sistema obsoleto dei Docks che si dota
di figure molteplici e che perviene recentemente ad una assolutamente
inedita inebriata immagine della città con la Tate Modern ed il percorso
che passando sul Tamigi riscopre San Paolo e vede nello skyline il
bizzarro grattacielo in forma di Gherkin. E’ inquietante che la sagoma
rilucente del Guggenheim Museum di Bilbao (poco compreso nel suo
sostrato di rigenerazione urbana a grande scala?) figuri ormai nella
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pubblicità turistica di una Spagna che si segnala per effervescenza
socioantropologica e insieme per innovatività dell’architettura urbana?
E’ inquietante anche il motto di Mondrian Piet, 1937: “L’arte
scomparirà dalla vita nella misura in cui la vita guadagnerà in
equilibrio”. Si tratta della aspirazione moderna ad una artisticità o
esteticità diffusa corrispondente al sogno di una spiritualità immanente
all’umano, ma l’equilibrio rischia da noi di diventare marmellata
devitalizzata con omologazione verso il basso, e l’estetica di
coincidere con l’estetizzazione pervasiva della società più che di
massa, se non si assuma nel processo importante del Progetto urbano
il ruolo paradossale del Bello Urbano, che dipende da procedimenti
inventivi non linearmente deducibili dal processo urbanistico né dalle
tracce della storia della città. Dipende da una Visione, da una messa
in scena ed in forma consapevole e creativa, analoga alla
tematizzazione metaforica ed analoga all’idea di Scenario non soltanto
urbanisticamente intesa.
Piazza d’Armi ricorda la storia sintomatica di Roma, con lo
spostamento del Campo Marzio ai Prati di Castello ed al quartiere
Flaminio, e con i caratteri diversissimi delle figure urbane succedenti –
la piazza Mazzini stellare con rondò costruita sull’occasione di una
Esposizione Universale 1911, ed il singolare aggregato di “Mostri
Metropolitani” (in ritardo?) che si sta installando al Flaminio con
l’Auditorium Parco della Musica, con il nuovo MAXXI, ma che ha
esordito prima, sull’altra sponda del Tevere, sull’occasione del Foro
Italico.
Le Idee di Città cambiano, possono sfiorare l’Idea paradossale di noncittà, di città anarchica costituita di oggetti singolari in paesaggi
metropolitani, può essere opportuno introdurre nel Progetto,
nell’Urbano, nel Progetto Urbano, il concetto di Gioco se non di
Ludico, nei processi inventivi anche l’Informe è la forma dell’Informe (il
conforme troppo formalizzato ricorda sempre invece il conformismo la
conformità la noia dell’uniforme), o non è. Dunque sono utili –al di là di
moralismi corporativi retrò- proprio le cosiddette Archistar, capaci di
assumere su di sé la responsabilità creativa e gestionale di azioni non
conformistiche svolte in eventualità non deducibili da storie urbane
lineari, non sempre (per fortuna?) riscontrabili nella realtà.
Le Idee di non-città contemporanee danno grande valore al Vuoto, ma
esso va inteso non solo letteralmente come non-costruito (che resiste
alla costruzione del pieno magari in una condizione innaturale di
presunta naturalità in centro città), ma anche come Vuoto Potenziale,
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occasione di un urbano denso multifunzionale arricchente di vitalità
nuove cittadinanze spesso più spente che non si ritenga, in questo
Paese Normale dove mancano troppe cose che a
l storia della città
moderna ha disseminato, dalle Carnaby Street ai Covent Garden,
dalle Mediateche ai Parchi scientifici o musicali, dagli itinerari ecologici
alle fasce verdi territoriali, dai grattacieli alle Las Vegas, dalle
metropolitane alle strade parco, dalla Tour Eiffel alla fallica relazione
con l’infinito del grattacielo sbilanciante di Barcellona insediato in una
nodalità urbana rilevante.
Una “nuova idea dell’urbano” (Paquot) mi sembra una priorità oggi.
Per trovarla serve da un lato sperimentare nuove possibili tipologie (il
parco urbano che assume la propria artificialità a partire dal concorso
per La Villette, ma ora già assume sembianze ambigue in “pacchetti
urbani” come il Parco Leonardo o la “Città dei Giovani” a Roma),
dall’altro assumere la peculiarità di invenzione del progetto, quella
circostanza data per scontata o disconosciuta per la quale nessuno
sospetta che prima del Guggenheim di Bilbao il Guggenheim di Bilbao
semplicemente non esisteva. E subito dopo diventa con successo sia
espressività estetica che parte dalla soggettività strana dell’individuoartista Gehry, sia risorsa nodale strategica di massimi livelli di
produzione dell’arte come sistema nel sistema della comunicazione e
dell’intrattenimento. Possiamo parlare di opportunità, allora, di alcuni
“stati di eccezione”, traumatica magari ma creativa?
Per apprezzare i potenziali economici, simbolici e direi psicotonici di
tali specie di spazi e di oggetti strani –ivi comprese le loro sempre
possibili bizzarrie ed anche erroneità: è la vita, bambola, ed essa non
è riducibile al razionale utile e bello e buono insieme magari!- occorre
però che la cultura dell’architettura, e gli ordini degli architetti, escano
preventivamente dal blabla della lagnanza e del diniego che ci
pervade dagli anni Cinquanta –quanti qui dentro erano nati?!- delle
Mani sulla città e ritrovino nella consistenza della bella costruzione uno
specifico irrinunciabile valore e non un disvalore rispetto al verde
spalmato pervasivamente come in un video pubblicitario di un
decennio fa ed oggi nella promozione del Touring Club, una sola
automobile bellissima in un armonicissimo paesaggio italiano tipo
Unesco, umbro-toscano o tosco-emiliano, liscio curvilineo senza
squilibri o strappi.
Di chi sarà quella sola automobile, e che senso ha nasconderci ancora
il carattere di post-naturalità, di terza -naturalità, che caratterizza da
decenni la metropoli planetaria cui apparteniamo, non riuscire ad
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assumere la coincidenza per noi di Natura e di Storia
dell’insediamento umano? Le troppe V coincidenti Valore Verde
Vecchio Vetusto Venerabile Vuoto eccetera, stanno conducendo
irreversibilmente il Paese Normale che declina ad una narcosi che non
accoglie la sfida del rischio del Progetto che è Politico innesco di
Conflitto, produzione di senso del nuovo che costituisca nuovo
Patrimonio non impedito dal refrain abusato della cementificazione
come dis-valore, quasi un prezzo da pagare piuttosto che una
aggiunta possibile di significato.
Per me –per l’ANCSA che rappresento- la cura del territorio storico e
della città esistente significa infine tutela dei processi storico-sociali
della trasformazione necessaria (il famigerato equivocato palinsesto
subisce sottrazioni per avere riscritture), ed attenzione ad una sua
qualità estetica perspicua - che per dover essere processuale e
relazionale non dovrà perciò stesso perdere di vista il bello artistico nei
suoi significati e nei possibili canoni di un oggi che definisco
modernocontemporaneo.
La Festa dell’Architettura segnala negli ultimi tempi che ci siamo resi
conto quanto una malposta spalmatura fanatica della Conservazione
abbia fatto piuttosto la festa all’architettura contemporanea in Italia. E’
un primo salto di qualità importante, quando puoi leggere titoli come
“La rigenerazione urbana: portare il bello dove non c’è”. Tuttavia –per
quanto sia opportuno creare opportunità di competizione qualitativa
mediante concorsi e progetti esplorativi, consultazioni e biennali
tematizzate eccetera- penso che il momento decisivo arrivi soltanto
quando il Bello ritorni ad essere non un di nuovo paranoico obbiettivo
in sé ma piuttosto la modalità appropriata di messa in
rappresentazione di nuove idee di architettura della città
contemporanea, estetica ed etica cioè, libertà a partire dalla necessità.
Qualità della Quantità, nonostante quella materialità che non
dobbiamo disprezzare snobisticamente, da anime belle piuttosto che
da spiriti forti di fronte alle sfide della Tecnica del
Modernocontemporaneo.
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