Gli scritti di cultura medievale e umanistica di
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Gli scritti di cultura medievale e umanistica di
Studi e ricerche sui saperi Medievali Peer e-Review annuale dell’Officina di Studi Medievali Direttore Giuseppe Allegro Vicedirettore Armando Bisanti Direttore editoriale Diego Ciccarelli 18 (gennaio-dicembre 2016) MEDIAEVAL SOPHIA 18 (gennaio-dicembre 2016) Mediaeval Sophia 18 gennaio-dicembre 2016 Sommario Studia Ezio Albrile, Notti alchemiche. Frammenti ermetici taurinensi 1 Antonino Cannata, Antonino Mazzaglia, Claudia Pantellaro, Salvatore Russo, Ricerche nel territorio di c.da Cugno Case Vecchie. Primi dati dalla tomba con menorah incisa 23 Françoise Dejoas, La maiolica a lustro d’importazione spagnola a Gela (CL). Il caso del Castelluccio di Eraclea-Terranova nel XV secolo 35 Francesca Garziano, Un complesso documentario inedito: Il Fondo Pergamene della Biblioteca Fardelliana di Trapani. Per uno studio sulla società e sulla religiosità trapanese del XIII secolo 55 Maria Vittoria Martino, Le Origines di Catone tra Servio e Isidoro di Siviglia: uno studio sulle fonti 111 Alessia Martorana, L’exemplum de canicula lacrimante nella Disciplina Clericalis di Pietro Alfonsi 117 Guglielmo Russino, Confronti pericolosi. La differenza religiosa e i rischi del pluralismo 129 Domenico Sebastiani, Dalla civiltà del grano a quella della carne. Gli animali e l’alimentazione del nobile medievale 137 Postilla Armando Bisanti, «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica di Mauro Donnini «Mediaeval Sophia». Studi w w w. m e d i a e v a l s o p h i a . n e t e ricerche sui saperi medievali E-Review annuale dell’Officina di Studi Medievali 17 (gennaio-dicembre 2015), pp. V-VIII 171 VI Mediaeval Sophia 18 (gennaio-dicembre 2016) - Sommario Sabrina Crimi, L’Algorismus proportionum di Nicola d’Oresme e i Flores Almagesti di Geber: un testimone palermitano 215 Giuseppe Muscolino, The Salvation of Mankind in Late Antiquity: concerning a recent Study 225 Lecturae 235 Acqua e territorio nel Veneto medievale, a cura di Dario Canzian e Remy Simonetti, Roma, Viella, 2012, pp. 257, ill. (Interadria culture dell’Adriatico, 16), ISBN 978-888334-959-1 (Marzia Sorrentino) Averroè, Il Trattato decisivo sulla connessione della religione con la filosofia, a cura di Massimo Campanini, testo arabo a fronte, Milano, Rizzoli, 2015 (Gabriele Papa) Paolo Bianchi, Inchiostro antipatico. Manuale di dissuasione dalla scrittura creativa, Milano, Bietti, 2012 (Antonella Maria Giovanna Modica) I Camaldolesi ad Arezzo. Mille anni di interazione in campo religioso, artistico, culturale. Atti della giornata di studio in occasione del millenario della fondazione del Sacro Eremo di Camaldoli (Arezzo, 9 ottobre 2012), a cura di Pierluigi Licciardello, Arezzo, Società Storica Aretina, 2014 (Armando Bisanti) Santino Alessandro Cugno, Dinamiche insediative nel territorio di Canicattini Bagni (SR) tra Antichità e Medioevo, Oxford, British Archaeological Reports (B.A.R. International Series 2802), 2016 (Marta Fitula) Il Desiderio nel Medioevo, a cura di Alessandro Palazzo, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2014 (Giuseppe Allegro) Des Saints et des Rois. L’hagiographie au service de l ’histoire. Textes réunis par Françoise Laurent, Laurence Mathey-Maille et Michelle Szkilnik, Paris, Champion, 2014 (Armando Bisanti) Estudios de Filología e Historia en honor del profesor Vitalino Valcárcel, coord. Iñigo Ruiz Arzalluz, edd. Alejandro Martínez Sobrino, María Teresa Muñoz García de Iturrospe, Iñaki Ortigosa Egiraun, Enara San Juan Manso,Vitoria, Universidad del País Vasco – Gasteiz, Euskal Herriko Unibertsitatea, 2014 (Armando Bisanti) 18 (gennaio-dicembre 2016) Mediaeval Sophia 18 (gennaio-dicembre 2016) - Sommario VII Fiorentino ville désertée. Nel contesto della Capitanata medievale (ricerche 19821993), a c. di M.S. Calò Mariani, Françoise Piponnier, Patrice Beck, Caterina Laganara, Collection de l’École Française de Rome – 441, Rome 2013 (Ferdinando Maurici) Forme della polemica nell’omiletica latina del IV-VI secolo. Convegno Internazionale di Studi (Foggia, 11-13 settembre 2013), a cura di Marcello Marin e Francesca Maria Catarinella, Bari, Edipuglia, 2014 (Armando Bisanti) Tito Livio Frulovisi, Emporia, edizione critica, traduzione e commento a cura di Clara Fossati, Firenze, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2014 (Armando Bisanti) Gianfranco Maglio, La coscienza giuridica medievale. Diritto naturale e giustizia nel medioevo, Padova, CEDAM, 2014 (Antonella Maria Giovanna Modica) Pietro Maranesi - Massimo Reschiglian, «Beato il servo che…». Intorno alle Ammonizioni di frate Francesco, Studio Teologico Interprovinciale S. Bernardino-Verona, Atti della Settimana di studi Francescani Cavallino (VE), 1-6 Settembre 2013, Edizioni Biblioteca Francescana, Milano 2014 (Maria Cesare) Menegaldi In Ciceronis Rhetorica Glose, edizione critica a cura di Filippo Bognini, Firenze, SISMEL - Edizioni del Galluzzo, 2015 (Giada Boiani) Obscurity in Medieval Texts, edited by Lucie Doležalová, Jeff Rider and Alessandro Zironi, Krems, Institut für Realienkunde des Mittelalters und der frühen Neuzeit, 2013 (Armando Bisanti) Francesco Petrarca, Rerum memorandarum libri, a cura di Marco Petoletti, Firenze, Le Lettere, 2014 (Armando Bisanti) Il Ritorno dei Classici Nell’Umanesimo. St udi in memoria di Gianvito Resta, a cura di Gabriella Albanese, Claudio Ciociola, Mariarosa Cortesi, Claudia Villa, coordinamento editoriale e indici a cura di Paolo Pontari, Firenze, SISMEL- Edizioni del Galluzzo, 2015 (Armando Bisanti) Daniele Solvi, I Santi Lebbrosi. Perfezione cristiana e malattia nell’agiografia del Duecento, Edizioni Biblioteca Francescana, Milano 2014 (Maria Cesare) Studi sull’opera di Alberto Varvaro, Palermo, Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, 2015 (Armando Bisanti) 18 (gennaio-dicembre 2016) VIII Mediaeval Sophia 18 (gennaio-dicembre 2016) - Sommario Attività OSM gennaio-dicembre 2016299 Abstracts, curricula e parole chiave 18 (gennaio-dicembre 2016) 331 Armando Bisanti «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica di Mauro Donnini* Nel giugno del 2013 la Fondazione Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo di Spoleto (CISAM) ha pubblicato, nella collana «Biblioteca del Centro per il Collegamento degli Studi Medievali e Umanistici in Umbria», diretta da Enrico Menestò, un imponente vol. di più di 1000 pagine, contenente la maggior parte degli studi, dei saggi, degli articoli e delle note critico-filologiche di Mauro Donnini sulla cultura e la letteratura latina medievale e umanistica. Mauro Donnini, prima insegnante di Latino e Greco nei licei classici di Perugia e quindi, per molti anni,professore associato e quindi ordinario di Filologia Latina Medievale e Umanistica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Ateneo della stessa città, ha dispiegato un’ampia e varia attività scientifica nel vasto campo della letteratura mediolatina e umanistica in Italia e in Europa. Entro una produzione che spazia in ambiti di ricerca differenti e diversamente articolati, significativa attenzione è stata conferita dallo studioso ad alcuni temi principali e ricorrenti, quali l’edizione critica di testi fino ad allora inediti o mal editi; lo studio della lingua e dello stile degli scrittori medievali e umanistici; le tecniche di “riscrittura”, di “parafrasi” e, soprattutto, di “versificazione” di testi prosastici (ma anche di rielaborazioni, in versi, di precedenti testi poetici); l’analisi della tecnica del racconto (secondo una linea d’indagine molto attiva, proficua e produttiva, oltre che “moderna”, in linea con le ricerche esperite da Propp, Greimas e Segre); il rapporto fra gli scrittori medievali e umanistici e i loro auctores classici; infine, gli studi e le indagini sulla cultura, la letteratura e l’agiografia latina in Umbria fra Tardo Medioevo e Umanesimo. Tematiche, queste, tutte ben messe in risalto ed evidenziate da Donnini nei saggi di cui si compone il vol. del quale, fra breve, tenterò di operare una rassegna, e, d’altra parte, già ben vive anche nelle sue più impegnative monografie, e cioè, fra l’altro, l’edizione della parafrasi in versi latini dei Dialogi di Gregorio Magno, allestita nel sec. XIII e attribuita al cosiddetto Anonimo di Jumièges (Anonymus Gemeticensis), e quella del Teleutologium di Ubaldo di Sebastiano da Gubbio, redatto fra il 1326 e il 13271 (si tratta, pur sempre, di edizioni criti* Questa postilla prende spunto dalla pubblicazione del vol. di Mauro Donnini, «Humanae ac divinae litterae». Scritti di cultura medievale e umanistica, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo (CISAM), Spoleto (PG) 2013, pp. XX + 1076 (Biblioteca del «Centro per il Collegamento degli Studi Medievali e Umanistici in Umbria», n. 25), ISBN 978-88-6809-016-6. 1 Anonimo di Jumièges, I «Dialogi» di Gregorio Magno. Parafrasi in versi latini (sec. XIII), a «Mediaeval Sophia». Studi e ricerche sui saperi medievali w w w. m e d i a e v a l s o p h i a . n e t E-Review annuale dell’Officina di Studi Medievali 18 (gennaio-dicembre 2016), pp. 171-213 172 Armando Bisanti che di testi poco e mal noti e fino ad allora assolutamente inediti, a riprova di quanto si è detto poc’anzi circa l’attenzione dedicata da Donnini all’inedito e al raro). Prima di intraprendere la presentazione e la disamina del vol. in questione, occorre dire subito che esso accoglie ben 46 saggi – fra edizioni, studi, saggi, articoli, relazioni congressuali e note – suddivisi in sette sezioni tematiche (delle quali si darà conto fra breve e che, d’altra parte, costituiscono i centri privilegiati dell’attività scientifica di Donnini), per un complesso – come si è detto in apertura di questa “postilla” – di più di 1000 pagine. I saggi qui accolti sono proposti in ristampa anastatica e si distendono, per gli argomenti da essi esibiti, lungo un arco cronologico d’interesse che va dalla fine dell’Antichità classica fino all’Umanesimo e all’incipiente Rinascimento (l’autore più recente fra quelli di cui lo studioso si occupa, se non vado errato, è l’eugubino Agostino Steuco, morto nel 1548); mentre, per quanto attiene alle date di pubblicazione, ci troviamo di fronte a un patrimonio di studi editi nel corso di 33 anni, dal 1979 (le due note sull’Accessus Ovidii epistularum e sulla Lectura Ovidii epistularum del cod. Assisi, Biblioteca Civica, lat. 302) al 2012 (il saggio sulle sedimentazioni del racconto della vigna di Nabot nella Historia Tudertine civitatis), a ulteriore testimonianza di una “lunga fedeltà”2 e di un impegno costante, inesausto e ininterrotto. E, sempre in via preliminare, occorre rilevare l’importanza e l’opportunità di ripubblicare, in un unico corpus, gli scritti di Donnini, onde consentire agli studiosi di poter disporre, tutti di seguito e tutti insieme, di interventi sparsi qua e là, in riviste, in atti di convegni, in raccolte di studi in onore e in miscellanee non sempre e non tutti di facile e immediato reperimento. Importanza e opportunità di ripubblicazione dei contributi dello studioso che – sembra quasi superfluo rilevarlo – è dovuta anche, e soprattutto, all’eccellente qualità scientifica di tutti gli interventi che qui vengono ripresentati, per non dire dell’invidiabile chiarezza espositiva palesata da Donnini in tutti i suoi scritti, da quelli più giovanili a quelli dell’età più matura e provetta. Nella lettura e nella schedatura dei singoli contributi seguirò l’ordine secondo il quale essi vengono via via accolti e ristampati nel volume. Trattandosi di una serie cospicua di studi, mi limiterò, di volta in volta, a una schematica (ma, comunque, non scheletrica) presentazione del singolo saggio, con le notizie più significative su di esso e, laddove lo riterrò necessario, con la citazione di uno o più passi (molti di questi incura di M. Donnini, Roma 1988; Ubaldo da Gubbio, Teleutologio, a cura di M. Donnini, Firenze 1983. Entrambi i volumi furono, a suo tempo, segnalati da C. Roccaro, rispettivamente in «Schede Medievali» 18 (1990), pp. 153-154; e in «Schede Medievali» 8 (1985), p. 210. Per il Teleutologium cf. anche il più recente intervento di E. Bertin, Nuovi argomenti per l’idiografia di un testimone del «Teleutelogio» di Ubaldo di Bastiano da Gubbio, in «Filologia Italiana» 4 (2007), pp. 79-88. Della versificazione dei Dialogi di Gregorio Magno si tornerà a parlare nel corso di questa rassegna (cf. infra, § 4.5). Si aggiungano, tra le monografie, due volumi nei quali Donnini, ormai oltre un quindicennio fa, ha raccolto alcuni dei suoi saggi precedenti (la più gran parte dei quali ora ripubblicati nel vol. oggetto di questa “postilla”): M. Donnini, Testi e saggi di letteratura latina medievale e umanistica, Spoleto (PG) 1998; Id., «Ars scribendi et narrandi». Aspetti di lingua, di stile e di narratologia in testi mediolatini, Spoleto (PG) 1999. 2 Mutuo qui il titolo di un celebre saggio di G. Contini, Una lunga fedeltà. Scritti su Eugenio Montale, Torino 1974. 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 173 terventi, d’altronde, sono ben conosciuti dagli specialisti), e ancora con l’indicazione completa, in nota, della sede originaria (rivista, atti di convegno, studi in onore, volume miscellaneo, etc.) in cui essi sono stati precedentemente pubblicati. Un diverso modo di presentazione segue invece Giuseppe Cremascoli nel suo scritto introduttivo al vol. (Prefazione, pp. IX-XVI) – e così entriamo finalmente in medias res –, laddove il più anziano studioso (fra l’altro ben vicino a Donnini per ambiti di ricerca e d’interesse, oltre che per reciproci rapporti d’affetto e di stima) delinea con grande chiarezza e capacità di sintesi (quella chiarezza e capacità di sintesi che tutti noi, suoi più giovani colleghi, gli riconosciamo) i contenuti della pubblicazione, articolando la disamina dei contributi in essa ospitati secondo le principali linee di indagine perseguite dallo studioso (recupero di dati sull’interpretazione dei classici in epoca medievale; edizioni critiche di testi inediti o rari; studio della lingua e dello stile degli scrittori mediolatini e umanistici; rapporti con gli auctores, e così via) e osservando, fra l’altro, che «i saggi […] raccolti sono attraversati da una categoria fondamentale della storia dello spirito, cioè l’amore della parola, che si traduce nell’impegno a scrutarne l’intima forza nei testi scelti come base di ricerche e studi» (p. IX); ancora, che essi «hanno come ambito di discorso la letteratura dell’età di mezzo e dell’umanesimo nella varietà dei generi in cui si è espressa lungo il corso dei secoli ed anche in testi inediti, portati alla luce in edizione critica» (p. IX); e, infine, che «ricchissimo è […] l’ambito delle humanae ac divinae litterae in cui si è mosso il Donnini nella sua carriera di studioso e di docente. Ne sono frutto i contributi ai quali qui si è fatto cenno, e gli altri che si snoderebbero numerosi nell’eventuale elenco di una bibliografia completa» (p. XVI).3 1. Come si accennava poco più sopra, la materia del vol. è suddivisa in sette sezioni: 1. Edizioni; 2. Saggi; 3. Lingua e stile; 4. Le versificazioni: le tecniche e i testi; 5. Il riuso delle auctoritates; 6. Analisi del racconto; 7. Note. La prima sezione (Edizioni, pp. 1-251) comprende otto contributi, che qui di seguito si passano in rassegna. 3 Purtroppo manca, nel vol., la bibliografia completa dello studioso (fino al 2013, anno di pubblicazione del vol. stesso). Fra i saggi di Donnini qui non accolti (alcuni dei quali riguardano, però, più la letteratura tardoantica che quella medievale e umanistica), segnalo i seguenti: Annotazioni sulla tecnica parafrastica negli «Evangeliorum libri» di Giovenco, in «Vichiana» 1 (1972), pp. 231-249; Alcune osservazioni sul programma poetico di Sedulio, in «Rivista di Studi Classici» 26 (1978), pp. 427-436; Sul «De vita et moribus philosophorum» di fra Marco Michele da Cortona, in «Studi Francescani» 77 (1980), pp. 263-283; La «Vita Lactantii» di fra Marco Michele da Cortona, in «Studi Francescani» 78 (1981), pp. 123-131; Tre fogli di Gualtiero Burleo nel codice Asis. lat. 570, in «Giornale Italiano di Filologia» 33 (1981), pp. 135-139; Sul testo di Cesare e di Curzio Rufo nel «De pedestribus certaminibus» di Lilio Tifernate, in «Giornale Italiano di Filologia» 37 (1985), pp. 123-126; «Est ara porcorum brevis, et non ara deorum» (Osb. Pan. p. 20 ed. Mai), in «Giornale Italiano di Filologia» 44 (1992), pp. 299-303; Su alcune «Allegoriae in universam Sacram Scripturam» dello Pseudo-Rabano Mauro, on line in «Mediaeval Sophia» 11 (2012), pp. 104-118. Altri contributi qui non ripubblicati verranno via via indicati infra, quando ciò sarà ritenuto necessario. 18 (gennaio-dicembre 2016) 174 Armando Bisanti 1.1. L’«Accessus Ovidii epistularum» del cod. Asis. Bibl. Civ. 302 (pp. 3-11).4 Fra i mss. poco o punto studiati della Biblioteca Comunale di Assisi va segnalato il cod. lat. 302, cartaceo del sec. XV, già sommariamente descritto dal Mazzatinti,5 che comprende tre testi di carattere scolastico: le Glose magistri Petri de Canephys de Parma super Thebaida (ff. 6r-136v), la Lectura Ovidii epistularum (ff. 138r-238v) e il Commentarium in Senecae declamationes (ff. 239r-273v). Donnini si sofferma, in particolare, sull’Accessus Ovidii epistularum (ovvero le Heroides) che si legge in apertura del commento ovidiano e occupa i ff. 138r-138v. Lo studioso presenta e analizza l’accessus in questione (la cui ediz. critica viene riportata in appendice, alle pp. 8-11), istituendo convincenti raffronti con altri testi relativi agli accessus ovidiani e cercando di mettere in risalto la tecnica in esso utilizzata dall’anonimo autore: una tecnica che, nelle sue linee essenziali, non ha nulla di differente rispetto alla maggior parte di quelle usate negli accessus relativi alle opere di Ovidio; inoltre, «è bene avvertire […] che la stessa esigenza di chiarezza dovuta alla destinazione scolastica cui tali testi erano riservati, lo stesso elementare schematismo, le stesse formule a volte perfino con identità di espressione non pregiudicano una certa libertà e autonomia che si esplicano non solo nel togliere e aggiungere qualche dato più o meno significativo, ma soprattutto […] nella capacità di ricercare spiegazioni nuove o di fornire notizie che in alcuni casi sono rivelatrici anche di fantasiosa genialità» (pp. 7-8).6 1.2. Il carme «Ad honorem domini Ladislai incliti regis Apulie» di Bartolomeo del Regno (pp. 13-20).7 Facendo seguito a un suo di poco precedente intervento – qui non riproposto in volume –8 Donnini pubblica un inedito di Bartolomeo del Regno,9 ossia un lungo carme esametrico (189 versi) in onore di Ladislao d’Angiò Durazzo, re di Napoli (inc. Regia Fama volans magna fuit excita pennis), conservato soltanto nel ms. Vat. lat. 5386 della Biblioteca Apostolica Vaticana (ff. 2r-6r). L’edizione vera e propria del testo (pp. 4 Già in «Giornale Italiano di Filologia» 31.1 (1979), pp. 21-29. G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, IV, Forlì 1894, p. 69. 6 Donnini pubblicò nello stesso anno, e sempre nel «Giornale Italiano di Filologia» un altro articolo sulla Lectura Ovidii epistularum del cod. 302 della Biblioteca Comunale di Assisi (qui ripubblicato alle pp. 983-1003: cf. infra, § 7.1). 7 Già in «Giornale Italiano di Filologia» 38.3 (1986), pp. 235-242 (poi anche in M. Donnini, Testi e saggi, cit., pp. 93-100). 8 Cf. M. Donnini, Il «De punctis» di Bartolomeo del Regno, in «Studi e Ricerche dell’Istituto di Civiltà Classica, Cristiana e Medievale dell’Università di Genova» 7 (1986), pp. 73-84 (poi anche in Id., Testi e saggi, cit., pp. 101-112). 9 Cf. G. Martellotti, s.v. Bartolomeo del Regno, in Dizionario Biografico degli Italiani, VI, Roma 1964, pp. 764-765 (poi in Id., Dante e Boccaccio e altri scrittori dall’Umanesimo al Romanticismo, a cura di V. Branca- S. Rizzo, con una premessa di U. Bosco, Firenze 1983, pp. 462-464: Martellotti, però, non faceva menzione del carme in oggetto); N. Marcelli, s.v. Bartholomaeus de Regno Apulie, in C.A.L.M.A. Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi (500-1500), II.1, Firenze 2004, p. 49. 5 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 175 17-20) è preceduta da una sintetica scheda introduttiva, nella quale lo studioso cerca di individuare la cronologia – almeno approssimativa – del componimento (che dovrebbe essere stato redatto intorno al 1408), delinea i contenuti e le tematiche in esso presenti, ne rileva la sostanziale monotonia (dovuta a una sequela di lodi sperticate dell’illustre destinatario, ripetute ad abundantiam), l’artificio e il convenzionalismo retorico: elementi, questi, che comunque sono perfettamente in linea con le caratteristiche di «quei saggi di abilità versificatoria che i maestri bolognesi del tempo erano abituati a dare, preoccupati non tanto di apparire originali, quanto piuttosto rispettosi delle regole delle varie poetrie» (p. 16). 1.3. Una prolusione inedita di Bartolino da Lodi (pp. 21-40).10 Il cod. B 116 sup. della Biblioteca Ambrosiana di Milano, cartaceo del sec. XV, trasmette ai ff. 91r-94r una prolusione in prosa di Bartolino da Lodi, dal lunghissimo titolo Sermo editus per magistrum Bartholinum de Valvassoribus de Laude grammatice atque rhetorice doctorem 14° kalendas aprilis 1419 in gymnasio Caravatensi. Essa, ancora inedita, viene ad aggiungersi agli altri due scritti già noti dello scrittore lodigiano, ossia l’Oratio composita una cum metris pro principio facto super Ovidio Metamorphoseos in Cremona in festo apostolorum Petri et Pauli 1405 e il Rhetoricale compendium.11 Si tratta di un discorso pronunciato dal maestro e grammatico lombardo (già attivo a Bologna e a Cremona)12 in Milano il 19 marzo (terza domenica di Quaresima) del 1419, nel quale egli, dopo aver enunciato i tre argomenti in cui intende articolare la propria prolusione – grammatice commendatio, actus disputativus e gratiarum actio –, propone come theorema al primo argomento la frase della epistola di san Paolo agli Efesini: Eratis aliquando tenebrae, nunc autem lux in Domino. La prolusione appare, in buona sostanza, come una lunga presentazione delle canoniche sette artes liberales (Grammatica, Retorica, Dialettica, Aritmetica, Geometria, Musica e Astronomia), alle quali, però, Bartolino aggiunge anche altre discipline, quali la Filosofia, la Medicina, la Giurisprudenza e, infine, la Teologia. Per quanto attiene agli aspetti compositivi del testo, Donnini insiste giustamente sulla ricca e costante presenza degli auctores, spesso esplicitamente citati (con l’espressa indicazione delle opere), come Aristotele, Esopo, Catone, Cicerone, Orazio, Virgilio, Ovidio, Seneca, Lucano, Valerio Massimo, Boezio, Boccaccio (con la citazione di un ampio passo del libro VI del De casibus virorum illustrium), talvolta semplicemente allusi o tacitamente imitati (come Marziano Capella e Benvenuto Rambaldi da Imola). 10 Già in «Archivio Storico Lodigiano» 105 (1986), pp. 34-55. Su quest’ultimo testo cf., dello stesso M. Donnini, Bartolino da Lodi e il suo «Rhetoricale compendium», in «Archivio Storico Lodigiano» 101 (1982), pp. 17-42 (qui non ripubblicato). 12 Cf. G. Cremaschi, Bartolino da Lodi professore di grammatica e di retorica nello studio di Bologna agli inizi del Quattrocento, in «Aevum» 4 (1952), pp. 309-348; V. Neira Faleiro-J.Chr. Kriesel, s.v. Bartholinus de Valvassoribus de Lodi, in C.A.L.M.A. Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi (500-1500), I.6, Firenze 2003, pp. 682-683 (che però non menzionano i due studi di Donnini sullo scrittore lodigiano). 11 18 (gennaio-dicembre 2016) 176 Armando Bisanti La prolusione di Bartolino, come osserva lo studioso in conclusione della propria analisi, «costituisce nel complesso un’esaltazione degli studi liberali intesi come fondamento della eruditio attraverso la quale l’uomo, di origine divina […], dotato di capacità intellettive […] e per natura desideroso di conoscere […], attua il passaggio dallo stato ferino d’ignoranza alla pienezza della sua umanità […], fino a raggiungere, per mezzo della Teologia, gradum deitatis» (pp. 24-25). Al saggio introduttivo segue l’edizione critica (anche in tal caso, quindi, un’editio princeps) del lungo Sermo (pp. 29-40). 1.4. Un codice trecentesco di fra Niccolò d’Arezzo, OSM, nella Biblioteca Comunale di Perugia (pp. 41-85).13 Si tratta senz’altro di uno dei più impegnati e compiuti fra i saggi presentati da Donnini in questo volume. Lo studioso, in primo luogo, esamina il cod. D 25 della Biblioteca Comunale di Perugia, già sommariamente (ed erroneamente) descritto dal Mazzatinti nel 1895,14 e redige una scheda di presentazione accurata e completa, con la giusta indicazione dei testi in esso accolti (tutti di stampo religioso, spirituale e/o agiografico), ovvero una Nativitas sancti Stephani prothomartiris (ff. 1r-1v), una Nativitas beati Bartholomaei apostoli (ff. 2v-3r), una Conversio beate Hanne (ff. 3r-4r), i Sermones attribuiti a un tale “Nicolaus de Arco” (ff. 4v-47v), le Ystorie (ff. 48r-62v, costituite da 45 brevi notizie storiche o mitologico-antiquarie, con evidente valore esemplificativo, attinte ad autori classici e cristiani, con relativa spiegazione spirituale), le Moralitates super declamationes Senece (ff. 63r-69v), il Liber de passione Christi et doloribus et planctibus matris eius (acefalo e anepigrafo ai ff. 69v-71v), le Materie (ff. 72r-98v, numerosi brevi testi riguardanti argomenti spirituali o di storia sacra) e, quindi, le Questiones limbi (ff. 101r-102r), un Planctus Domine nostre (così genericamente indicato dal Mazzatinti, laddove la corretta denominazione di esso è Incipit plantus Domine nostre valde devotus, ff. 102r-107v) e l’Evangelium Nichodemi (privo però dei primi 10 capp., ff. 107r-111r). In primo luogo, è necessario correggere l’erronea attribuzione dei Sermones, dovuti non a un più o meno fantomatico “Nicolaus de Arco” (come si legge nell’inventario pubblicato dal Mazzatinti), bensì al più noto “Nicolaus de Aretio”, ovvero il frate servita Niccolò d’Arezzo, che, fra l’altro, viene esplicitamente e correttamente menzionato nell’explicit degli stessi Sermones (f. 48r: Expliciunt Sermones […] scripti per me fratrem Nicholaum de Aretio, Ordinis Servorum sancte Marie, die 16 februarii 1395). L’espressione scripti per me non deve, però, far pensare che ci troviamo di fronte a un autografo. Donnini, a tal proposito, propende per l’ipotesi che il ms. sia opera di un amanuense (e ciò soprattutto per l’eleganza e la raffinatezza di esso), pervenuto alla Biblioteca Comunale di Perugia, assai probabilmente, dal convento di Santa Maria dei Servi della medesima città. Quanto a Niccolò d’Arezzo, si tratta del primo giovane frate aretino dei Servi giunto al dottorato in Bologna (nel 1388), la cui figura va pian 13 14 Già in «Studi Storici dell’Ordine dei Servi di Maria» 40 (1990), pp. 7-51. G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia, V, Forlì 1895, p. 100. 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 177 piano delineandosi con maggiore attenzione e approfondimento, alla luce dei vari studi recentemente condotti sulla storia dell’Ordine e dei suoi componenti. In ogni modo, il ms. perugino è di notevolissimo rilievo perché risulta l’unico che, allo stato attuale delle conoscenze, riporti opere di Niccolò d’Arezzo. Dopo questa necessaria sezione introduttiva, Donnini prende in esame due testi del cod., ovvero il sermo sui sette dolori della Vergine e quello del Liber de passione Christi et doloribus et planctibus matris eius (acefalo e anepigrafo nel ms., ma opera di Ogerio di Lucedio). Il primo si configura appunto come un sermone che, a un certo punto, ingloba al suo interno un vero e proprio planctus Mariae, secondo una lunghissima e autorevole tradizione studiata, fra gli altri, da Giovanni Cremaschi che, nel 1955, aveva pubblicato un inedito planctus Mariae da lui scoperto nella Biblioteca di Bergamo.15 L’analisi del planctus perugino esperita da Donnini – che evidentemente non posso ripercorrere qui in tutta la sua ampiezza – palesa, in primo luogo, come autore di esso sia lo stesso Niccolò d’Arezzo e, in secondo luogo, come egli, per la strutturazione e la composizione del suo planctus, si sia chiaramente ispirato – talvolta ad verbum – a quello bergamasco scoperto ed edito da Cremaschi, nonché alle note Meditaciones de passione Christi dello pseudo-Bonaventura: «L’autore – scrive Donnini al termine della sua disamina – utilizza quasi integralmente testi sia lirici, sia discorsivi, cercando di adattarli alla propria esigenza e spiritualità. Egli offre pertanto una nuova testimonianza della fortuna del genere letterario del planctus Mariae all’interno del genere omiletico, mostrando altresì come esso poteva vantare testi assunti a dignità di modello da tener presente, da imitare, se non addirittura da copiare quasi alla lettera per attrarre di volta in volta, in maniera sempre suggestiva, l’attenzione dell’uditore, del lettore, dello spettatore. Il sermo or ora esaminato testimonia, infatti, che alla fine del XIV sec., fra i modelli per opere di tal genere figurava non solo un testo molto noto come le Meditaciones de passione Christi, composto nell’ultimo Duecento o nel primo Trecento, ma anche uno meno celebre e di gran lunga più recente come il Planctus sacratissime Virginis Marie matris Yhesu Christi di poco anteriore al sermo, almeno nella forma in cui ce lo tramanda il codice di Bergamo» (pp. 64-65: l’ediz. critica del sermo di Niccolò d’Arezzo è allestita da Donnini e stampata in appendice al saggio, alle pp. 72-85). Il secondo testo preso in analisi, come si è detto, è il Liber de passione Christi et doloribus et planctibus matris eius di Ogerio di Lucedio, opera di origine cistercense lungamente ed erroneamente attribuita a Bernardo di Chiaravalle (e come tale dubitativamente pubblicata dal Migne nella Patrologia Latina).16 Lo studioso conduce anche in questo caso un’attenta disamina del testo in questione, mostrando come il ms. di Perugia presenti un notevole numero di lezioni poziori rispetto all’edizione del Migne – funestata spesso da veri e propri errori e fraintendimenti, che la rendono sovente incomprensibile – onde, anche a questo proposito, «il codice perugino si rivela […] 15 423-443. 16 Cf. G. Cremaschi, “Planctus Mariae”: nuovi testi inediti, in «Aevum» 29 (1955), pp. 395-412, PL, t. 182, coll. 1133-1142. 18 (gennaio-dicembre 2016) 178 Armando Bisanti non privo di interesse. Esso, infatti, oltre a essere utile ai fini della ricostruzione del suo testo e a gettare luce su un aspetto particolare dell’attività letteraria di fra Niccolò d’Arezzo […], aggiunge una ulteriore testimonianza alla storia della fortuna del componimento pseudo-bernardino» (p. 71). 1.5. Galla Placidia nelle fonti latine medievali, umanistiche e rinascimentali (pp. 87-124).17 La figura dell’imperatrice Galla Placidia ha goduto di enorme fortuna nelle fonti tardoantiche, per le quali «si possono delineare quadri di insieme piuttosto organici ed unitari, contraddistinti ovviamente da interessi e scopi individuali o di gruppo o di sensibilità culturali differenti» (p. 87). Nel Medioevo, nell’Umanesimo e nel Rinascimento, invece, le notizie su di lei riportate dalle varie fonti storiche e cronachistiche, pur numerosissime e variegate, venuto meno l’interesse, da parte di storici e cronisti, per le vicende della Roma della tarda età imperiale, «cominciarono ad essere ricopiate senza alcun segno di compartecipazione e pian piano si dispersero e si frantumarono anche in aree, in tempi e contesti culturali e sociali differenti, fino a perdere o ad alterare le tracce di provenienza e ad assumere il carattere di piatta ripetitività» (p. 87). Alla luce di queste considerazioni preliminari, Donnini propone un’ampia escursione fra testi storici e cronistici medievali, umanistici e rinascimentali nei quali, in varia misura, ricorrano riferimenti – più o meno meditati e complessi – a Galla Placidia. Il numero delle fonti messe a frutto dallo studioso è veramente cospicuo: si va, infatti, da Paolo Diacono ad Agnello Ravennate, da Landolfo Sagace a Benedetto di sant’Andrea del Soratte, da Ermanno Contratto a Bernoldo di Costanza, da Mariano Scoto a Eccheardo d’Aura, da Gregorio da Catino a Sigeberto di Gembloux, da Ottone di Frisinga a Romualdo di Salerno e a Goffredo di Viterbo (i testi dei secc. X-XII, in linea di principio, manifestano una certa indifferenza nei confronti dell’imperatrice). Passando al sec. XIII, la figura di Galla Placidia continua, in genere, a essere assai poco considerata da storici e cronisti (da Alberico delle Tre Fontane a Martino di Troppau, da Ruggero di Wendower a Vincenzo di Beauvais, da Sicardo da Cremona ad Alberto Milioli); fa però eccezione, sotto tale punto di vista, Salimbene da Parma, che in un passo della sua Cronica palesa apertamente la propria ammirazione per la figlia di Teodosio il Grande. Più interessanti – nonché indizi di un differente approccio storiografico e di un diverso punto di vista – risultano poi tre documenti ravennati pubblicati, nel sec. XVIII, da Ludovico Antonio Muratori,18 il primo dei quali, soprattutto, merita una particolare attenzione. Si tratta di un testo da ricondurre nell’ambito della cancelleria di Rinaldo da Concorezzo, arcivescovo di Ravenna dal 1303 e 1321, che, nel confronto con altre fonti, mostra, «in maniera evidentissima, la sua maggior intensità emotiva e la tendenza del suo autore a dilatare ampiamente i temi ed i motivi fondamentali del racconto rivestestendoli di un tono retorico ed epico-sacrale» (p. 101). Ancora per il 17 18 Già in «Studi Medievali» n.s., 35.2 (1994), pp. 695-732. RIS, I, 2, pp. 567-574. 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 179 sec. XIV si segnala, fra gli altri, Riccobaldo da Ferrara, mentre, per spostarci in avanti verso l’Umanesimo, a Galla Placidia dedicano le loro attenzioni – anche in tal caso più o meno approfondite – Pomponio Leto e il Platina, Matteo Palmieri, Iacopo Malvezzi e, in principal modo, Biondo Flavio che, sul fondamento di Orosio, nelle sue celebri Decades redige uno dei più significativi profili di Galla Placidia cui sia possibile imbattersi nel vasto campo della storiografia umanistica. E a Biondo Flavio faranno seguito, in questo, sia Enea Silvio Piccolomini (papa Pio II), sia Marcantonio Coccio (detto il Sabellico), sia Pandolfo Collenuccio. Ma, tornando a Ravenna, nei primi decenni del sec. XVI si rinviene uno dei testi più importanti – e anche dei più ampi e strutturati – per la delineazione biografica della figura e dell’attività di Galla Placidia. Si tratta della Gallae Placidiae Augustae vita, composta dal sacerdote ravennate Giovanni Pietro Ferretti, figlio dell’umanista Niccolò Ferretti, connotata da una fortissima dimensione “agiografica” e conservata manoscritta nei codd. Vat. lat. 5835 della Biblioteca Apostolica Vaticana (ff. 1r-6r) e Mob. 3.2.N. 2/5, Mob. 3.2.F. 2/5, Mob. 3.3.C della Biblioteca Classense di Ravenna (tutti e tre copie del Vat. lat. 5835). Donnini illustra la vita in questione e, in appendice al saggio, ne pubblica l’editio princeps (pp. 116-124), ovviamente sulla base del ms. vaticano. 1.6. L’“Oratio” inedita «Ad Carolum V pro republica christiana» di Agostino Steuco (pp. 125-162).19 Viene illustrato e pubblicato in editio princeps, in questo saggio, un altro inedito di particolare interesse storico e letterario, ossia l’Oratio ad Carolum V pro republica christiana di Agostino Steuco (pseudonimo di Guido Stucchi, 1497/98-1548), originario di Gubbio, forse non molto noto ma assai prolifico scrittore della prima metà del Cinquecento.20 Il cod. Vat. lat. 5313 della Biblioteca Apostolica Vaticana trasmette, ai ff. 1r-11r, l’orazione in questione, indirizzata a Carlo V in occasione del convegno di Lucca del 1541, durante il quale l’imperatore e il papa Paolo III Farnese affrontarono, fra l’altro, la questione del pericolo costituito dalla presenza dei Turchi nei territori imperiali e nel Mediterraneo, soprattutto in seguito alla recentissima notizia della presa di Buda e dell’imminente spedizione di Algeri. L’orazione, per questo motivo, si configura come un testo di innegabile importanza, da una parte perché aggiunge un piccolo ma non insignificante tassello al corpus delle opere dello Steuco (fra le quali spiccano soprattutto il De perenni philosophia e il Contra Laurentium Vallam de falsa donatione Constantini), dall’altra perché rappresenta un importante documento nel quale lo scrittore, in questo caso insignito addirittura della carica di portavoce ufficiale della Chiesa, cerca di convincere Carlo V a farsi promotore di una nuova crociata contro i 19 Già in Storici, filosofi e cultura umanistica a Gubbio tra Cinque e Seicento. Atti del Convegno di Studi (Gubbio, 6-8 aprile 1995), a cura di P. Castelli-G. Pellegrini, Spoleto (PG) 1998, pp. 219-256 (poi anche in Id., Testi e saggi, cit., pp. 299-356). 20 Cf. la documentatissima scheda di E. Guerrieri, s.v. Augustinus Steuchus Eugubinus, in C.A.L.M.A. Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi (500-1500), I.5, Firenze 2003, pp. 536-539. 18 (gennaio-dicembre 2016) 180 Armando Bisanti Turchi, costituendo, quindi, «una testimonianza preziosa dell’impegno profuso dal suo autore in difesa di tutta la respublica christiana» (p. 128). Orbene, Donnini pubblica in appendice al suo saggio, in editio princeps, il testo della lunga oratio dello Steuco (pp. 152-162) e, poiché esso, oltre a essere inedito, non era mai stato esaminato prima di allora, ne redige un’ampia e impegnata presentazione. Lo studioso conduce, infatti, una accurata lettura del discorso pronunciato dallo scrittore di Gubbio, seguendo passo dopo passo le argomentazioni avanzate, soffermandosi sui motivi portanti di esso, sui suoi elementi distintivi e caratterizzanti, sullo stile, sulla lingua, sulle formule retoriche, sui rapporti con gli auctores. In particolare, l’orazione indirizzata all’imperatore mostra – e ciò fin dalle prime battute di essa – la forte dipendenza dalle consimili orationes pronunciate, durante il secolo precedente, dal cardinal Bessarione (lo stesso Steuco confessa questo legame, proprio all’inizio del testo).21 Ciò si manifesta, soprattutto, in «alcune analogie di fondo, in qualche caso espresse anche con un simile linguaggio, segno evidente della volontà dello scrittore eugubino di accordare la propria voce con quella di un celebre rappresentante della tradizione culturale precedente» (p. 150). Non solo, ma rispetto a molte altre opere dello Steuco, più legate a una dimensione locale o addirittura municipalistica (quali, per es., il De nomine Eugubii, il De restituenda navigatione Tiberis, il De revocanda in Urbem aqua Virgine), «l’Oratio ad Carolum V ottempera ad esigenze di portata storica assai più vasta, che la collocano a buon diritto fra gli scritti dello stesso autore testimoni della sua universalità» (pp. 150-151). 1.7. Un inedito di Antonio da Rho: la «Metrica commendatio summi pontificis Martini V» (pp. 163-182).22 Il ms. B 116 sup. della Biblioteca Ambrosiana di Milano, cartaceo del sec. XV (già precedentemente esaminato da Donnini nel saggio su Bartolino da Lodi),23 riporta, ai ff. 95r-97v, un lungo carme di 160 esametri, primo di una silloge di quindici componimenti poetici del frate minorita Antonio da Rho, intitolato Metrica commendatio summi pontificis Martini V, dedicato a Bartolomeo della Capra e centrato sulla smaccata laudatio del nuovo papa Martino V, databile al 1418 e già segnalato da Rutherford in un suo intervento del 1990.24 Donnini pubblica in appendice (pp. 177-182) il componimento, come sempre facendo precedere l’editio princeps da un saggio introduttivo «Hortantur nos tempora, invictissime imperator, atque impellunt ut recolamus ea quae singularis vir cardinalis Bessarion, cum ad principes Italiae de pace componenda scriberet cladesque Christianis impendentes resque Graecorum eversas commemoraret, disseruit» (p. 152). 22 Già in «Franciscana» 4 (2002), pp. 149-168. 23 Cf. supra, § 1.3. 24 Cf. D. Rutherford, A Finding List of Antonio da Rho’s Works and Related Primary Sources, in «Italia Medioevale e Umanistica» 33 (1990), pp. 74-108 (in partic., p. 103). Sulla produzione poetica in lode di Martino V, cf. poi P. Casciano, «Il pontificato di Martino V nei versi degli umanisti», in Alle origini della nuova Roma: Martino V (1417-1431). Atti del Convegno (Roma, 2-5 marzo 1992), a cura di M. Chiabò [et alii], Roma 1992, pp. 143-161; e B. Roest, s.v. Antonius Raudensis, in C.A.L.M.A. Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi (500-1500), I.4, Firenze 2001, pp. 401-404 (dove, però, non vengono menzionati gli studi di Donnini). 21 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 181 nel quale indugia sul contenuto di esso, sulla sua struttura, su determinati elementi caratterizzanti (il ricorso, sovente eccessivo, alla mitologia classica; l’utilizzo degli auctores, soprattutto Virgilio e, in subordine, Lucano; l’ornatus stilistico e compositivo), per concludere che il carme «offre una testimonianza tutt’altro che trascurabile della formazione culturale e dell’abilità versificatoria del francescano di Rho, nel quale si avvertono da una parte la tendenza a non frenare i facili entusiasmi per il nuovo, consistente, nel caso specifico, nello smisurato amore per il mondo classico, avvertibile nel continuo e stucchevole affastellarsi di riferimenti mitologici e di moduli espressivi virgiliani e, in misura minore, lucanei, dall’altra il rispetto della tradizione e dell’educazione scolastica, visibile nell’osservanza delle regole codificate dalle varie artes».25 1.8.Un inedito glossario latino del XV secolo nella Biblioteca Comunale di Perugia (pp. 183-251).26 Il saggio – uno dei più recenti fra quelli accolti nel vol. – si inserisce autorevolmente entro il rinnovato interesse, mostrato da più parti e da innumerevoli studiosi, nei confronti della lessicografia mediolatina: basti pensare alle edizioni dei monumentali vocabolari di Osberno di Gloucester e di Uguccione da Pisa, allestite tra la fine del secolo scorso e gli inizi del nostro,27 nonché, per fare qualche altro esempio, ai numerosi ed eccellenti interventi, in tal direzione, di Giuseppe Cremascoli28 e di alcuni suoi allievi.29 Donnini pubblica l’inedito glossario latino quattrocentesco trasmesso anonimo dal cod. I 118 della Biblioteca Comunale di Perugia, scritto direttamente da un primo compilatore (che ha 25 Donnini tornerà ad Antonio da Rho l’anno successivo, con un altro studio sulla sua produzione poetica (cf. infra, § 7.6). Lo scrittore francescano è personaggio di discreto rilievo nell’ambito dell’Umanesimo italiano, autore di numerose opere e celebre, soprattutto, per le sue infiammate polemiche contro molti colleghi, fra i quali il Valla, che gli indirizzò le roventi Raudensiane note: cf. M. Regoliosi, «Umanesimo lombardo. La polemica fra Lorenzo Valla e Antonio da Rho», in Studi di lingua e letteratura lombarda offerti a Maurizio Vitale, I, Pisa 1983, pp. 170-179; Ead., «Le due redazioni delle «Raudensiane note» e le «Elegantiae» del Valla», in Vestigia. Studi in onore di Giuseppe Billanovich, a cura di R. Avesani [et alii], II, Roma 1984, pp. 559-573; Laurentii Valle Raudensiane note, a cura di G. M. Corrias, Firenze 2007. 26 Già in «Studi Medievali» n.s., 49.1 (2008), pp. 287-355. 27 Cf. Osberno, Derivazioni, a cura di P. Busdraghi [et alii], sotto la direzione di F. Bertini e V. Ussani jr., 2 vols., Spoleto (PG) 1996; Uguccione da Pisa, Derivationes, edizione critica princeps a cura di E. Cecchini [et alii], 2 voll., Firenze 2004. Si vd. anche F. Bertini, «Come affrontare oggi l’edizione critica di un lessico latino medievale: le «Derivationes» di Osberno di Gloucester», in L’edizione dei testi mediolatini. Problemi, metodi, prospettive. Atti della VIII Settimana Residenziale di Studi Medievali (Carini, 24-28 ottobre 1988) (= «Schede Medievali» 20-21 [1991]), Palermo 1991, pp. 93-100 (poi in Id., «Inusitata verba». Studi di lessicografia latina raccolti in occasione del suo settantesimo compleanno raccolti da P. Gatti e C. Mordeglia, Trento 2011, pp. 231-240); P. Gatti, Studi osberniani, Genova 2001; e la mia rassegna Studi recenti su Osberno di Gloucester, in «Studi Medievali» n.s., 45.2 (2004), pp. 963-982. 28 G. Cremascoli, Saggi di lessicografia mediolatina, a cura di V. Lunardini, Spoleto (PG) 2011 (vi sono ristampati 20 saggi e 4 recensioni dello studioso, apparsi fra il 1966 e il 2009). 29 Cf., fra gli altri, Lexicon Monacense Anonymum (München, Bayerische Staatsbibliothek, lat. 17151, 17153, 17194), a cura di V. Lunardini, Firenze 2009 (con le mie segnalazioni, in «Bollettino di Studi Latini» 40,2 [2010], pp. 893-898; e, più in breve, on line in «Mediaeval Sophia» 7 [2010], pp. 288-292). 18 (gennaio-dicembre 2016) 182 Armando Bisanti vergato la più gran parte del testo) e, quindi, proseguito da un altro. Si tratta di un’opera in via di allestimento e non completa, i cui lemmi investono vari campi del sapere. Le spiegazioni si aprono, in genere, nei modi comunemente attestati dalla lessicografia e sono sovente strutturati per derivationem; le glosse sono di diversa ampiezza e vanno da quelle estremamente brevi (limitate alla semplice spiegazione del vocabolo attraverso un singolo termine di più facile comprensione) a quelle di maggiore estensione che, a volte, assumono le dimensioni di un vero e proprio commento. Frequentissimi sono i casi di lemmi entro i quali è possibile individuare citazioni o riferimenti agli auctores classici, con l’ovvia prevalenza di Virgilio (si veda, comunque, l’elenco stilato dallo studioso a p. 186). In buona sostanza – conclude Donnini – il glossario perugino, pur non rivelando strette interconnessioni o dipendenze dai più ampi e vulgati vocabolari del Tardo Medioevo (dall’Elementarium di Papia alle Derivationes di Osberno di Gloucester, dalle Derivationes di Uguccione da Pisa al Catholicon di Giovanni Balbi da Genova) «non si discosta fondamentalmente dalle compilazioni che fin dall’antica tradizione grammaticale continuavano a trasmettere notizie e questioni di vario genere con lo scopo di spiegare le singole parole con altre più comuni, con espressioni capaci di evidenziare sfumature e differenze, con l’etymologia, la derivatio, l’interpretatio nominum, la differentia verborum e con citazioni esemplificative di autori antichi e contemporanei. Esso risulta pertanto utile alla storia del genere lessicografico, se non altro perché fornisce un significativo esempio di rudimentale allestimento di un testo a uso privato mirante a facilitare, oltre alla conoscenza del lessico latino, l’acquisizione di contenuti rispondenti alla cultura letteraria del tempo» (pp. 191-192). L’editio princeps del glossario (pp. 194-251), trattandosi di un autografo, è caratterizzata dalla scrupolosa conservazione della grafia del ms., con le semplici correzioni degli errori dovuti a evidente disattenzione da parte del compilatore e la normalizzazione della punteggiatura e delle maiuscole secondo l’uso moderno. In apparato, lo studioso indica quindi i loci precisi degli auctores, solo laddove essi siano esplicitamente menzionati e nei casi in cui i relativi testi trovino in essi riscontri piuttosto chiari e consistenti e non generiche e vaghe allusioni. 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 183 2. La seconda sezione (Saggi, pp. 253-447) comprende otto interventi, la stragrande maggioranza dei quali dedicati a scrittori umbri e marchigiani, secondo una linea d’indagine assai feconda e caratteristica di Mauro Donnini, della quale si è detto in apertura di questa rassegna. 2.1. Un umanista, una città: Francesco Maturanzio, Perugia al tempo della beata Colomba da Rieti (pp. 255-280).30 Francesco Maturanzio, umanista, cronista e poeta perugino (1443-1518),31 palesa spesso, nei propri componimenti in versi e in prosa, in latino e in volgare, un sentito e sincero amore per la propria città, che si estrinseca sia nell’esaltazione della gloria e della virtus di Perugia, dei suoi storici trascorsi, del suo patrimonio culturale, dei suoi cittadini, sia nello sconforto e nella desolazione, da lui provati, nel vedere invece come la propria patria sia costantemente funestata da lotte intestine, contrasti, sciagure, stragi. Donnini propone un attento esame dei principali passi – ma potrebbero essere molto più numerosi, come egli stesso avverte – nei quali il Maturanzio fornisce testimonianza del proprio amor di patria e, in particolare, si sofferma sulle due elegie indirizzate a Niccolò Perotti, vescovo di Siponto, poeta e grammatico insigne nonché, per alcun tempo, governatore di Perugia,32 su un nutrito elenco di stralci dall’epistolario (in particolare, su una epistola diretta a papa Innocenzo VIII, perché possa autorevolmente intervenire a favore della città umbra dilaniata da insanabili contrasti interni), su alcune orationes (soprattutto, sull’Oratio habita Perusiae pro incohandis studiis, pronunciata durante l’anno accademico 1474-1475, edita e illustrata dallo stesso Donnini in un suo precedente contributo, qui non ripubblicato),33 nonché sulla Cronaca della città di Perugia, in volgare umbro, riguardante gli avvenimenti compresi fra il 1492 e il 1503. Per quanto concerne la Cronaca, lo studioso trascrive e analizza il brano in cui l’umanista narra della venuta, in Perugia, di Colomba da Rieti, già in odore di santità,34 del suo fattivo impegno nei confronti della città e degli eventi che fecero seguito a tale arrivo. La figura di Colomba è, per il Maturanzio, la «testimonianza vivente di un intenso impegno civile e religioso, un modello di santità attiva calata nella realtà 30 Già in Una santa, una città. Atti del Convegno Storico nel V centenario della venuta a Perugia di Colomba da Rieti (Perugia, 10-12 novembre 1989), a cura di C. Casagrande-E. Menestò, Perugia 1990, pp. 35-60. 31 Sulla figura e l’opera dell’umanista cf., in generale, G. Zappacosta, Francesco Maturanzio umanista perugino, Bergamo 1970; Id., Studi e ricerche sull’Umanesimo italiano, Bergamo 1972, pp. 65-156. Aggiornamento bibliografico in F. Contini, s.v. Franciscus Maturantius, in C.A.L.M.A. Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi (500-1500), III.4, Firenze 2010, pp. 446-447. 32 Cf., più di recente, l’intervento di F. Stok, I carmi di Francesco Maturanzio in onore di Niccolò Perotti, in «Studi Umanistici Piceni» 25 (2005), pp. 103-113. 33 M. Donnini, Per una riedizione dell’«Oratio» perugina in lode delle arti liberali di Francesco Maturanzio, in «Giornale Italiano di Filologia» 16 (1985), pp. 259-266. 34 Il testo della Cronaca è pubblicata in «Archivio Storico Italiano» 16 (1851), pp. 3-243 (per il passo in questione, cf. pp. 5-6). 18 (gennaio-dicembre 2016) 184 Armando Bisanti quotidiana della concitata vita cittadina, per la cui serenità ella prega, esorta e minaccia, spinta dall’amore per Perugia che vuol rendere migliore attraverso l’esortazione alla pratica della pietas, indispensabile per la sua salvezza» (pp. 279-280). In conclusione, dal denso e perspicuo contributo di Donnini emerge a chiare lettere «l’impegno sociale, non disgiunto da quello religioso, dell’insigne umanista, ispiratogli dal grande amore verso la sua città e verso Dio, amore che, all’unisono con quello della beata Colomba, reatina per nascita, ma perugina per adozione spirituale, costituisce l’ideale punto di convergenza fra l’umanista e la santa» (p. 280). 2.2. Alla scuola di Grifone di Amelia maestro di Alessandro Geraldini (pp. 281-312).35 Quando, nel 1994, fu pubblicato per la prima volta questo contributo, gli studi e le ricerche su maestro Grifone di Amelia (1428-1476) e sui componenti della famiglia Geraldini (in particolare Antonio e Alessandro) erano ancora quasi tutti di là da venire. In questo, l’intervento di Donnini si configurava, oltre un ventennio fa, come precursore e apripista – se mi si consente l’utilizzo di questo vocabolo – di un’ampia e nutrita serie di indagini sui Geraldini e su maestro Grifone che sono state proposte in questi ultimi tempi, da parte di Francesco Bausi36 e, soprattutto, di Edoardo D’Angelo, che sul docente e grammatico amerino ha pubblicato, nel 2011, un’importante monografia complessiva.37 Lo studioso si proponeva, quindi, di «trarre fuori dalla penombra la figura di Grifone di Amelia, umanista fino ad oggi assai poco conosciuto e non debitamente valorizzato, anche se si continua a definirlo il “Quintiliano di Amelia”» (p. 281). Per far ciò, Donnini proponeva una dettagliata analisi della Vita Grifonis, scritta dal suo concittadino e allievo Pietro Francesco Laurelio e conservata manoscritta nel cod. I 115 della Biblioteca Comunale Augusta di Perugia. Il Laurelio, come appare dalla disamina della sua biografia esperita da Donnini, si sofferma su ogni aspetto della figura, del carattere, della cultura e dell’attività pedagogica del maestro, verso il quale nutre una indefettibile devozione e un profondissimo affetto, non senza tener conto, nella delineazione dei metodi d’insegnamento da lui praticati, delle fondamentali istruzioni di Quintiliano. E, a proposito di Quintiliano, ci si chiede fino a che punto possa ancor oggi essere considerata valida, e in quale misura, l’usuale definizione di Grifone quale “Quinti35 Già in Alessandro Geraldini e il suo tempo. Atti del Convegno Storico Internazionale (Amelia, 19-21 novembre 1992), a cura di E. Menestò, Spoleto (PG) 1994, pp. 124-156. 36 Fr. Bausi, s.v. Geraldini, Antonio, in Orazio. Enciclopedia Oraziana, III, Roma 1998, pp. 243244; Id., s.v. Geraldini, Antonio, nel Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LIII, Roma 1999, pp. 321-324. Cf. anche E. D’Angelo, Il carme di Antonio Geraldini d’Amelia per Francesco Sforza. Editio princeps, in «Medioevo e Rinascimento» n.s., 20 (2009), pp. 209-236; Id., L’«Apostrophe ad exleges Mauros» di Antonio Geraldini d’Amelia: poesia e diplomazia nell’Europa della “Reconquista”, in «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano» 113 (2011), pp. 251-282. 37 E. D’Angelo, Maestro Grifone e i suoi allievi. Cultura latina e scuola in Amelia alla metà del Quattrocento, Spoleto (PG) 2011. Ma, più di recente, cf., dello stesso E. D’Angelo, «Dall’Umbria alla corte di Spagna. L’opera agiografica di Alessandro Geraldini», in Estudios de filología e historia en honor del profesor Vitalino Valcárcel, eds. I. Ruiz Arzalluz [et alii], Vitoria-Gasteiz 2014, vol. I, pp. 207-222. 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 185 liano di Amelia”. In merito a tale questione, lo studioso rileva che, se da un lato è innegabile che il maestro umbro si sia largamente fondato, per la propria attività didattica, sugli insegnamenti quintilianei (a più, riprese, fra l’altro, evidenziati dal Laurelio), dall’altro è altrettanto innegabile che, in Grifone, vi è una componente cristiana che ne sostanzia e vivifica la vita e l’opera. Onde la vulgata definizione risulta alquanto riduttiva. Si aggiunga poi, sempre riguardo all’azione pedagogica espletata dal maestro di Amelia, che egli può essere certamente inserito nel novero dei grandi maestri umanisti del Quattrocento, quali Francesco Barbaro, Maffeo Vegio e, soprattutto, Vittorino da Feltre. Le somiglianze e le concordanze fra i metodi seguiti da Grifone e quelli seguiti da Vittorino sono palesi e lampanti, come emerge dalla lettura parallela della Vita Grifonis del Laurelio, da una parte, e, dall’altra, delle numerose biografie di Vittorino, a suo tempo edite da Eugenio Garin,38 quali il De Victorini Feltrensis vita di Sassolo da Prato, la Vita Victorini Feltrensis di Francesco da Castiglione,39 il De vita Victorini Feltrensis dialogus di Francesco Prendilacqua, il De vita Victorini Feltrensis commentarius di Bartolomeo Platina.40 L’ultima sezione dello studio è quindi rivolta all’identificazione di alcuni allievi di Grifone, e cioè, oltre evidentemente al suo biografo Laurelio, i tre Geraldini di Amelia, Angelo, Antonio e Alessandro.41 Che essi siano stati suoi discepoli, lo si apprende, infatti, dalla Vita Alexandri Geraldini scritta dal fratello Antonio, da alcuni versi che quest’ultimo compose in onore del maestro e dalla più tarda Vita Alexandri Geraldini redatta dal pronipote Onofrio Geraldini. È poi ben noto che, fra gli alunni di Grifone vi sia stato, addirittura, Cristoforo Colombo, il cui progetto fu dal maestro, a quanto pare, vivamente caldeggiato. In conclusione, si può quindi affermare che «la figura del dotto e pio maestro di Amelia viene ora ad acquistare contorni assai nitidi, i quali connotano un vero e proprio modello di esperienza pedagogica e di sapienza umana, religiosa e civile. La conoscenza più approfondita di questo umanista aiuta notevolmente, pertanto, a far luce anche sulla vita culturale della sua città, che grazie a lui non rimase isolata dal più vasto ed articolato panorama della cultura italiana, perché in questa città egli attuò una forma di insegnamento attento alle più recenti impostazioni metodologiche, ispirato in definitiva alle idee di Quintiliano fuse, però, in maniera armonica con le più recenti idee pedagogiche cristiane» (pp. 311-312). 38 E. Garin, Il pensiero pedagogico dell’Umanesimo, Firenze 1958. Su quest’opera – e in generale sul suo autore – cf. il fondamentale saggio di Fr. Bausi, Francesco da Castiglione fra Umanesimo e teologia, in «Interpres» 11 (1991), pp. 112-181 (poi rielaborato, ampliato e fuso con altri studi in Id., Umanesimo a Firenze nell’età di Lorenzo e Poliziano. Jacopo Bracciolini. Bartolomeo Fonzio. Francesco da Castiglione, Roma 2011, pp. 367-521). 40 Quale testimonianza dei rapporti fra il Laurelio e il Platina ci rimane, d’altra parte, un epitafio, recentemente edito e illustrato da E. D’Angelo, «L’epitafio per il Plàtina di Francesco Laurelio d’Amelia», ne Il miglior fabbro. Studi offerti a Giovanni Polara, a cura di A. De Vivo-R. Perrelli, Napoli 2014, pp. 353-362. 41 Su quest’ultimo, per un primo orientamento bibliografico, cf. L. Russo, s.v. Alexander Geraldinus, in C.A.L.M.A. Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi (500-1500), I.2, Firenze 2000, pp. 166-167. 39 18 (gennaio-dicembre 2016) 186 Armando Bisanti 2.3. Note letterarie sul Monteluco (pp. 313-339).42 «Che nell’immaginazione degli antichi greci e latini la sacralità delle campagne, dei boschi, delle spelonche, dei sentieri solitari e dei monti venisse comunemente sancita dalla credenza che in questi luoghi abitassero dèi e dee particolari, non è certamente un mistero per chi abbia un minimo di familiarità con il mondo classico» (p. 313). La stessa cosa, evidentemente, avviene anche nel Medioevo – e, in molti casi, pure nelle età successive – riguardo alle credenze che monti, colli, clivi, boschi e fonti siano contraddistinti da un’aura di indubbia e misteriosa sacralità. Alla luce di queste premesse, Donnini studia le testimonianze letterarie sul Monteluco (zona montuosa e boschiva nei pressi di Spoleto), dal Medioevo fino quasi ai giorni nostri, come sempre sulla scorta di una vasta ricognizione di testi in latino e in volgare, opera di autori che vanno dal Gregorio Magno dei Dialogi (in particolare, la leggenda di Isaac Siro, narrata in Dial. II 8) a Pierfrancesco Giustolo, discepolo di Pomponio Leto, segretario di Cesare Borgia e, fra l’altro, autore di un carme di 129 esametri, dedicato al Monteluco e intitolato Descriptio montis Spoleto imminentis ad Clarelium Lupum (che viene minuziosamente e attentamente analizzato nella sua struttura e nei suoi modelli, in larga prevalenza rappresentati dalla poesia di Virgilio); da Severo Minervio nei De rebus gestis antiquis monimentis Spoleti libri duo, a Michelangelo Buonarroti (che indugiava sul Monteluco in una lettera a Giorgio Vasari del 18 dicembre 1556); e, per spostarci via via in tempi a noi più vicini, dal francescano Antonio da Orvieto, in un suo studio del 1717 sul francescanesimo in Umbria, ai De rebus Spoleti varia, probabilmente della fine del sec. XVIII, conservati in un ms. miscellaneo presso l’Archivio della Porziuncola; nientemeno che da Wolfgang Goethe, che parla di Spoleto e delle zone vicine, da lui visitate il 27 ottobre 1786, sia nel suo Diario (1786), sia, in termini pressoché identici, trent’anni dopo nel Viaggio in Italia (1816-1817), al poeta livornese Giovanni Marradi, che insegnò al Liceo “Giovanni Pontano” di Spoleto dal 1885 al 1887; dal romanziere tedesco Richard Voss, che ricordò l’emozione da lui provata alla vista del Monteluco nell’opera Italia mia! (1910), fino al poco noto romanzo Numi paesani, di Americo Brugnola, pubblicato nel 1921, e alla monografia espressamente dedicata al Monteluco dallo studioso spoletino Carlo Bandini, apparsa nel 1922.43 Donnini, in questo saggio, si muove con grande capacità e scioltezza non solo nel prediletto ambito della letteratura latina classica, medievale e umanistica, ma anche entro il vastissimo campo delle letterature moderne e contemporanee, sia italiane che straniere. In conclusione, si può rilevare che, se il Monteluco «non vive […] nella più alta letteratura, esso è piuttosto “vissuto” da non pochi cultori di essa, per la maggior 42 Già in Monteluco e i monti sacri. Atti dell’Incontro di Studio (Spoleto, 30 settembre - 2 ottobre 1993), Spoleto (PG) 1994, pp. 337-363. 43 Aggiungo che a Spoleto dedica nel 1904 un sonetto delle Città del silenzio Gabriele D’Annunzio, nel quale però non vien fatta menzione del Monteluco: cf. G. D’Annunzio, Spoleto, in Elettra (Laudi del Cielo, del Mare, della Terra e degli Eroi), in Versi d’Amore e di Gloria, ed. diretta da L. Anceschi, a cura di A. Andreoli-N. Lorenzini, vol. II, Milano 1984, pp. 386-387. 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 187 parte di Spoleto o che in questa città e nel suo monte dimorarono sia pure per poco. I loro scritti possono essere più o meno condizionati soprattutto dall’amor patriae, dalle mode letterarie e da occasionali stati d’animo, ma non mancano certo di sincerità e se anche non raggiungono le vette dell’arte, sono comunque la testimonianza di una certa attrattiva che il Monteluco ha esercitato in virtù delle sue doti di maggior pregio: la fascinosa bellezza e l’austera sacralità» (p. 339). 2.4. “Monstra” in testi mediolatini (pp. 341-370).44 Lo studioso propone una lunga rassegna dei monstra (nel senso, anche, di mirabilia, portenta, etc.) che è possibile individuare nell’ambito della letteratura mediolatina. La disamina esperita da Donnini, però, tralascia volutamente tutto il vasto settore costituito dalla produzione di bestiarii e di enciclopedie – in quanto in essi si riscontrano notizie per lo più sclerotizzate e ripetitive – per concentrarsi, invece, su «opere che riflettono meglio situazioni e atteggiamenti concreti dell’uomo di fronte al monstrum in rapporto alla sfera del sacro e del profano, del reale e dell’irreale, della conoscenza diretta e del sentito dire» (p. 342). Prendendo le mosse dalla celebre – e poi divenuta, nel Medioevo, canonica e istituzionale – definizione di portentum formulata da Isidoro di Siviglia (etym. XI 3), Donnini traccia quindi un vasto diorama che tiene conto, in particolare, di alcuni testi-guida (se così posso esprimermi), quali il Liber monstrorum de diversis generibus,45 i molteplici componimenti legati alla leggenda di Alessandro Magno in Oriente (e tutti, in vario modo, derivati dall’Historia de preliis), la Lettera del Prete Gianni,46 il De nugis curialium di Walter Map (nel quale, fra l’altro, ricorre la menzione di Cola Pesce, uomo-pesce la cui leggenda è narrata, fra gli altri, da Gervasio di Tilbury e Salimbene da Parma),47 l’Historia Mongalorum di Giovanni di Pian del Carpine,48 e ancora l’Historia Mongalorum e l’Itinerarium di Guglielmo di Rubruk,49 la Relatio 44 Già ne I «monstra» nell’«Inferno» dantesco: tradizioni e simbologia. Atti del XXXIII Convegno Storico Internazionale (Todi, 13-16 ottobre 1996), Spoleto (PG) 1997, pp. 43-72. 45 Liber monstrorum de diversis generibus. Libro delle mirabili difformità, a cura di C. Bologna, Milano 1977. 46 La lettera del Prete Gianni, a cura di G. Zaganelli, Parma 1990 (su cui cf. la mia segnalazione, in «Schede Medievali» 22-23 [1992], pp. 198-200). 47 Sulle origini e lo sviluppo della celebre leggenda, comunque, è ancor oggi fondamentale il saggio di G. Pitrè, La leggenda di Cola Pesce, in Id., Studi di leggende popolari in Sicilia e nuova raccolta di leggende siciliane, Torino 1904, pp. 1-173 (rist. anast. a cura di Au. Rigoli, pref. di S. Lo Nigro, Palermo 1978); cf. inoltre A. Seppilli, «Mito e circolazione della cultura. In margine alla leggenda di Cola Pesce: “salto nell’acqua” e “vita nel mare”», in Id., Sacralità dell’acqua e sacrilegio dei ponti. Persistenza di simboli e dinamica culturale, Palermo 1977, pp. 294-349; e A. Vàrvaro, Apparizioni fantastiche. Tradizioni folcloriche e letteratura nel Medioevo: Walter Map, Bologna 1994, pp. 53-55. 48 Giovanni di Pian di Carpine, Storia dei Mongoli, a cura di E. Menestò [et alii], Spoleto (PG) 1989 (su cui cf. la mia recens., in «Schede Medievali» 18 [1990], pp. 178-182; e il mio breve scritto – di taglio divulgativo – Fra Giovanni da Pian di Carpine. Un missionario francescano e la sua «Historia Mongalorum», in «Subasio» 11.4 [2003], pp. 12-15). 49 L’Itinerarium è ora pubblicato, in una splendida ediz. critica, con trad. ital. e commento, in 18 (gennaio-dicembre 2016) 188 Armando Bisanti di Odorico da Pordenone, il Chronicon Bohemorum di Giovanni de’ Marignolli, il De mirabilibus Indie di Pietro d’Ailly, giù fino al sec. XVI, con l’Itinerarium di Alessandro Geraldini, primo vescovo di Santo Domingo.50 Fra gli innumerevoli monstra sui quali lo studioso si sofferma con particolare attenzione (e che qui, evidentemente, non posso passare in rassegna) spiccano i giganti (soprattutto nel Liber monstrorum), le Amazzoni (nella Lettera del Prete Gianni), Bucefalo, il cavallo di Alessandro Magno (del quale, nell’Historia de preliis, si favoleggia che fosse addirittura antropofago) e la balena, nella sua doppia connotazione di balena-isola e di balena-demonio (nella Navigatio sancti Brendani e nei Chronica di Rodolfo il Glabro).51 Anche in questo caso, il panorama è tracciato da Donnini in maniera magistrale. Il tema in oggetto, infatti, al di là della quantità notevole dei testi esibiti e analizzati, è affrontato con una specifica attenzione agli elementi attinenti alla cultura e alla mentalità dell’Età di Mezzo. In conclusione, si può affermare che, «indipendentemente dai generi letterari e dalle singole personalità, gli scrittori mediolatini, parlando di monstra, oltre a sognare, divertirsi e conoscere, volevano anche far sognare, divertire e far conoscere, se non altro per liberarsi e liberare gli altri dalle paure generate dall’ignoto e dal difforme, perché discorrere sui monstra significava anche esorcizzarli, combattere le superstizioni ad essi legate, usarli come mezzi per penetrare meglio nelle realtà spirituali e materiali, prender coscienza, in definitiva, come il santo nel deserto, che Deus solus debet timeri e che i mostri tentatori contemnendi sunt et ex toto abiciendi, perché nihil possunt, vel phantasmatibus intimidant, e poter proclamare, come l’Ulisse di Dante, di non essere stati fatti “a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza”» (p. 369). 2.5. Sulla «Passio Domini nostri Yesu Christi» di Cherubino da Spoleto (pp. 371-390).52 Il ms. Z. 102 sup. della Biblioteca Ambrosiana di Milano (sec. XV) contiene, ai ff. 1-20, sei componimenti poetici del francescano Cherubino da Spoleto, in genere ben più noto come predicatore che come versificatore.53 Il primo di essi, dal titolo Passio Guglielmo di Rubruk, Viaggio in Mongolia (Itinerarium), a cura di P. Chiesa, Milano 2011 (anche in questo caso, vd. la mia segnalazione, on line, in «Mediaeval Sophia» 12 [2012], pp. 326-329). 50 Su Alessandro Geraldini cf. supra, § 2.2. Per l’opera in questione, cf. Itinerarium ad regiones aequinoctiali plaga consitutas Alexandri Geraldini Amerini episcopi civitatis Sancti Dominici apud Indos Occidentales, Romae 1631 (rist. anast. a cura di E. Menestò, Todi [PG] 1992). 51 Per la Navigatio sancti Brendani disponiamo della recente ediz. a cura di Rossana Guglielmetti (allestita sulla base dei materiali di lavoro lasciati incompiuti dal suo maestro Giovanni Orlandi): Navigatio sancti Brendani. Alla scoperta dei segreti meravigliosi del mondo, ediz. critica a cura di G. Orlandi-R. E. Guglielmetti, Firenze 2014. Per Rodolfo il Glabro, cf. Rodolfo il Glabro, Cronache dell’Anno Mille (Storie), a cura di G. Cavallo-G. Orlandi, Milano 1989 (con la mia recens., in «Orpheus» n.s., 12 [1991], pp. 241-248). 52 Già in Studi sull’Umbria medievale e umanistica. Scritti in ricordo di Olga Marinelli, Pier Lorenzo Meloni, Ugolino Nicolini, a cura di M. Donnini-E. Menestò, Spoleto (PG) 2000, pp. 219-238. 53 Per un sintetico orientamento bibliografico sullo scrittore, cf. A. Bisanti, s.v. Cherubinus Spo- 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 189 Domini nostri Yesu Christi, è un lungo poemetto di ben 792 esametri, suddiviso in 12 capitoli ed evidentemente fondato sulla narrazione della passione e della morte di Gesù che si legge nei Vangeli cui si aggiunge, in chiusura, un planctus della Vergine davanti alla croce. Donnini, in primo luogo, riassume con ampiezza il componimento, per poi fornire una lettura di esso attenta ai modi della riscrittura e dell’amplificatio dei modelli, agli echi classici (soprattutto Virgilio, ma anche Orazio e Ovidio), alle figure retoriche cui il poeta fa spesso ricorso, alle similitudini, alla tecnica della descriptio loci. Si tratta, in conclusione, di una poesia che «permette di conoscere un nuovo aspetto di Cherubino scrittore e di aggiungere un’interessante testimonianza alla storia del contributo dato dalla sensibilità francescana all’Umanesimo umbro e non soltanto umbro. La Passio Domini nostri Yesu Christi del famoso predicatore francescano, infatti, con il fine pratico di edificare ed ammaestrare le anime degli uomini colti del tempo, non solo non si estranea dal più vasto ambiente culturale coevo, ma fa anche avvertire, attraverso i sentimenti che la fede promuove nel poeta, quanta forza essa, con i suoi entusiasmi di commozione, continui ad avere nella storia letteraria di quel grande e profondo rivolgimento della civiltà italiana ed europea che anche della poesia religiosa ha rinnovato spiriti e forme» (p. 390). 2.6. Le prose e gli inni in latino attribuiti a Iacopone da Todi (pp. 391-414).54 Le prose latine attribuite a Iacopone da Todi – ovvero il breve trattato Qualiter homo potest cito pervenire ad cognitionem veritatis e i Dicta – furono pubblicate nel 1979, in ediz. critica, da Enrico Menestò.55 Da allora, sono mancate indagini relative al loro stile e alla loro lingua. Ancor più difficile, in tal direzione, è la situazione in cui versano gli inni latini attribuiti a Iacopone, non solo perché essi non hanno ancora ricevuto un’ediz. critica, ma soprattutto perché, con l’ovvia eccezione del celeberrimo Stabat mater, essi sono assai probabilmente apocrifi. Nell’affrontare le questioni concernenti lingua e stile di Iacopone prosatore e – assai dubitativamente – innografo, Donnini prende le mosse proprio dagli inni e, in particolare, dai due più significativi, ossia il Cur mundus militat sub vana gloria e lo Stabat mater speciosa. Ritenuti autentici da studiosi della levatura dell’Ozanam e del Raby,56 ma già tolti a Iacopone da Natalino Sapegno,57 i due inni in oggetto sono sicuramente non iacoponici, come la letinus, in C.A.L.M.A. Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi (500-1500), II.5, Firenze 2008, p. 588 (dove purtroppo non è menzione del contributo di Donnini, a me sfuggito quando compilai quella scheda – e, in fondo, me ne dispiace un poco). 54 Già in Iacopone da Todi. Atti del XXXVII Convegno Storico Internazionale (Todi, 8-11 ottobre 2000), Spoleto (PG) 2001, pp. 299-322. 55 E. Menestò, Le prose latine attribuite a Jacopone da Todi, Bologna 1979. 56 A. F. Ozanam, I poeti francescani in Italia nel secolo XIII, Prato (FI) 1854, pp. 123-124; Fr. J. E. Raby, A History of Christian-Latin Poetry from the Beginnings to the Close of Middle Ages, Oxford 19532, pp. 435-436. 57 N. Sapegno, La santa pazzia di Frate Jacopone e le dottrine dei mistici medievali, in «Archivum Romanicum» 7 (1923), pp. 349-372 (a p. 356). 18 (gennaio-dicembre 2016) 190 Armando Bisanti disamina di essi svolta da Donnini comprova ad abundantiam:si tratta, infatti, di pure esercitazioni scolastiche infarcite dei topoi più diffusi e vulgati e, nel caso specifico dello Stabat mater speciosa, di una riscrittura quasi ad verbum dello Stabat mater dolorosa, con la sostituzione del dolore di Maria per la morte in croce del figlio con la gioia di Maria per la nascita del figlio. Passando alle opere in prosa, lo studioso analizza con ampiezza l’epistola in prosa latina da Iacopone inserita all’interno della lauda 68, indirizzata a Giovanni da Fermo o della Verna, malato di quartana; e soprattutto un discreto numero di Dicta, dai quali emerge con tutta evidenza come lo scrittore umbro, scientemente e consapevolmente, abbia in genere fatto ricorso al sermo humilis per la composizione delle proprie opere in lingua latina. Tale scelta stilistica e linguistica non esclude, però, che egli, laddove lo riteneva necessario e nei momenti di maggiore tensione mistica ed espressiva, non facesse ricorso alle armi della retorica, alle tecniche della disputatio, alle più caratteristiche figure di suono e di significato, alla gradatio e alla similitudo. Una innegabile componente retorica, nelle opere in latino attribuite al frate di Todi, che, «sgorgando in lui con tanta immediatezza dalla sua formazione culturale, che è quella dell’uomo di legge, non si configura come mezzo tecnico per conseguire benefici e riconoscimenti terreni, inconciliabili del resto con l’ideale della “santa pazzia” presente nelle laude e nelle prose latine […], ma come naturale esigenza propria dei mistici, i quali […] non frenano le ridondanze, le ripetizioni di termini e di concetti, l’impiego di antitesi, di ossimori, di giochi di parole, di esempi, di gradationes, di metafore e di similitudini per tentare di esprimere l’inesprimibile» (p. 414). 2.7. Per una rilettura dei «Triumphorum libri II» di Pacifico Massimi d’Ascoli (pp. 415-429).58 Vive testimonianze della familiarità che l’umanista e poeta ascolano Pacifico Massimi (noto soprattutto per il famigerato e scollacciato Hecatelegium) ebbe con Braccio Baglioni sono due poemetti encomiastico-celebrativi in esametri latini, i Triumphorum libri II e i Draconidos libri III.59 In questo studio Donnini si dedica alla lettura e all’illustrazione del primo di questi due componimenti, in 386 versi, risalente con molta probabilità al 1459 (l’anno in cui il Massimi si trovava quale studente a Perugia). I Triumphorum libri II, dedicati a Braccio, si caratterizzano per alcuni elementi distintivi – peraltro abbastanza diffusi e correnti nella poesia umanistica latina dell’epoca – che vengono attentamente passati in rassegna dallo studioso: l’invocazione incipitaria alla Musa, cui seguono la presentazione dell’“oggetto” del canto e l’augurio di lunga fama alla poesia e di lunga vita al suo autore; le descriptiones di feste, tornei e battaglie; la descriptio pulchritudinis (in questo caso dedicata a Margherita Montesperelli, amante del Baglioni); il topos modestiae, il topos della “navigazione”, il topos 58 Già in «Studia Picena» 71 (2006), pp. 93-107. Entrambi i componimenti sono editi da G. B. Vermiglioli, Memorie di Jacopo Antiquarj e degli studi di amena letteratura esercitati in Perugia nel secolo XV, Perugia 1813, pp. 81-109. 59 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 191 panegiristico del “sopravanzamento” (secondo il quale i moderni sono migliori degli antichi), la formula del cedat; e, ancora, il motivo del locus amoenus, le similitudini, il ricorso costante alle principali figure di suono e di significato. Quanto agli auctores riecheggiati dal Massimi, come sempre i più utilizzati e “allusi” sono Virgilio e Ovidio, nei confronti dei quali il poeta quattrocentesco esercita una singolare tecnica di aemulatio. In ultima analisi, Pacifico Massimi rivela quindi, nel poemetto, «anzitutto il piacere di descrivere, evidente specie nella prolissità di alcune lodi e nella ripetitività di alcuni vocaboli e immagini. La rilettura del carme, poi, avendo messo in risalto l’uso di espedienti retorici, anche raffinati, e la riutilizzazione di moduli espressivi virgiliani e ovidiani, effettuata a volte con ripresa di termini, ma non pedissequa, permette di riconoscere al poeta ascolano l’abilità di conferire al dettato, a seconda dei momenti, una patina di epica solennità, di bucolica delicatezza e di comprovata cultura ispirata ai canoni letterari del suo tempo. Tutto ciò denota un’indubbia dimestichezza con la versificazione latina e un gusto artistico che a volte non ha nulla da invidiare a quello dei grandi poeti latini della stessa epoca» (p. 429). 2.8. «Arrianae hereseos damnatio» nei «Dialogi» di Gregorio Magno (pp. 431-447).60 Nei Dialogi di Gregorio Magno ricorrono – seppure non in maniera incisiva – alcuni racconti agiografici testi a bollare e a condannare l’eresia ariana. In questo saggio Donnini si propone di «analizzare questi racconti facendo attenzione specialmente alle strutture narratologiche, ai mezzi espressivi, ai temi e motivi letterari con cui egli intende rendere più incisivo il proprio discorso» (p. 432). Si tratta di una serie di narrazioni di vite e miracoli – come d’altronde è caratteristica costante in tutto lo scritto gregoriano – di cui sono protagonisti personaggi in vario modo seguaci dell’arianesimo, uomini qualunque, re, vescovi, Goti, Visigoti, Ostrogoti, Vandali e Longobardi, spaziando in un’area geografica che comprende Italia, Spagna e Africa. Gregorio Magno, onde evidenziare la notevole e perniciosa diffusione dell’eresia ariana fra i barbari e far sì che appaia impellente e inderogabile la necessità di opporsi a essa e di combatterla con ogni mezzo, e «ben conoscendo i destinatari dei suoi Dialogi, piuttosto che offrire loro nozioni teoriche di natura storico-dottrinale volte a confutare le idee dell’arianesimo, si preoccupa soprattutto di fare conoscere le nefande e crudeli azioni degli ariani in modo da rendere più evidente, per contrarium, sempre attraverso la loro condanna e sconfitta, l’esaltazione e la vittoria della vera fides espressa dall’ideale religioso biblico-monastico dei viri Dei, divenuti modelli di vita in quanto ardenti testimoni di una fede ispirata all’ideale della ascesi […] o vissuta fino al martirio cruento […]» (p. 447). 60 Già in Gregorio Magno e l’eresia tra memoria e testimonianza. Atti dell’Incontro di Studio delle Università degli Studi di Perugia e di Lecce con la collaborazione della Fondazione Ezio Franceschini e della Società Internazionale per lo Studio del Medioevo Latino (SISMEL) (Perugia, 1-2 dicembre 2004), a cura di A. Isola, Firenze 2009, pp. 63-79. 18 (gennaio-dicembre 2016) 192 Armando Bisanti 3. La terza sezione (Lingua e stile, pp. 449-616) ospita cinque contributi. 3.1. Appunti sulla lingua e lo stile del «Liber» della beata Angela da Foligno (pp. 451-483).61 Ad Angela da Foligno viene comunemente attribuito, per convenzione, il Li62 ber, benché sia noto come esso sia stato compilato da diversi redattori, dei quali, come della stessa Angela, mancano altri scritti sui quali istituire dei confronti per rilevare uguaglianze o similarità contenutistiche, linguistiche e stilistiche.63 L’unico dato sicuro, a tal proposito, è che il compilatore della prima parte dell’opera, il Memoriale, e fors’anche delle prime dodici Instructiones della seconda parte e della trascrizione in latino di quanto la beata gli dettava in volgare e di quanto ella stessa, sempre in volgare, aveva detto a un giovinetto, è anche autore del prologo, dell’epilogo e di numerosi altri interventi più o meno estesi, che ricorrono a più riprese all’interno del Liber. Il fatto, poi, che di lui si ignorino l’identità e la formazione culturale, potrebbe rappresentare un ostacolo per qualsiasi ricerca vòlta allo studio della lingua e dello stile dell’opera. In realtà, però, come afferma Donnini all’inizio di questo saggio – e come poi prova indiscutibilmente alla luce di svariati approcci – l’ostacolo è più apparente che reale, in quanto, in ogni modo, è possibile procedere ugualmente a una disamina linguistica e stilistica delle parti del Liber di cui è responsabile questo ignoto scrittore, al fine di evidenziarne le caratteristiche e di delinearne, meglio di quanto sia stato fatto finora, la formazione culturale e letteraria. Lo studioso, quindi, procede a una lunga disamina linguistica e stilistica di molteplici passi del Liber (il prologo, il racconto dei “venti passi” dell’ascesi mistica di Angela, alcune instructiones), dalla quale emerge la predilezione, da parte del compilatore, per il sermo humilis, e ciò in osservanza a quanto prescritto ed esemplificato dallo stesso san Francesco nei suoi scritti in latino (in ciò seguito da moltissimi discepoli e imitatori). Un sermo humilis, comunque, che, nel confronto con gli scritti del santo di Assisi, risulta «contraddistinto soprattutto dallo stesso gusto realistico, dalla stessa alternanza di termini riconducibili ora nell’area del sacro ora in quella del profano, ora di ascendenza biblica ora afferenti alla vita quotidiana o a quella sociale e, per quanto concerne lo stile, evidenziano l’uso di frequenti coppie di termini, di figure stilistiche, specie quelle miranti a suscitare effetti fonici particolarmente avvertibili 61 Già in Angela da Foligno terziaria francescana. Atti del Convegno Storico nel VII centenario dell’ingresso della beata Angela da Foligno nell’Ordine Francescano secolare (1291-1991) (Foligno, 17-19 novembre 1991), a cura di E. Menestò, Spoleto (PG) 1992, pp. 182-213. 62 Cf. L. Thier-A. Calufetti, Il «Libro» della beata Angela da Foligno, Grottaferrata (RM) 1985. 63 Amplissima è la bibliografia generale e specifica che, in questi ultimi decenni, si è accumulata su Angela da Foligno (per merito, anche, dei molteplici interventi di Claudio Leonardi, alcuni dei quali ripubblicati in Id., Medioevo latino. La cultura dell’Europa cristiana, a cura Fr. Santi, Firenze 2004, pp. 619-624; e in Id., Agiografie medievali, a cura di A. Degl’Innocenti - Fr. Santi, Firenze 2011, pp. 595-611). Per una prima, parziale informazione, cf. St. Brufani, s.v. Angela de Fulgineo, in C.A.L.M.A. Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi (500-1500), I.3, Firenze 2001, pp. 263-264. 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 193 nell’accumulo di commata e di cola, a volte persino con la rima, che costituiscono le strutture portanti dello stilus Isidorianus e soprattutto della costante compaginatura paratattica conseguita mediante la frequentissima ripetizione della copulativa et» (pp. 481-482). Onde è lecito concludere che, se «le componenti fondamentali del sermo e dello stilus dell’intero Liber […] sono […] le stesse che connotano complessivamente la lingua e lo stile del santo assisiate», non è del tutto azzardato «avanzare l’ipotesi che proprio quest’ultimo abbia trasmesso ai suoi seguaci, e quindi anche ai redattori del Liber angelano, oltre agli insegnamenti spirituali, persino le forme adeguate per renderli più facilmente comprensibili» (p. 483). 3.2. L’“animae transformatio” nella «Instructio II» del «Liber» di Angela da Foligno: esigenza didascalica ed espressività (pp. 485-505).64 Anche questo saggio è dedicato al Liber di Angela da Foligno, ma in una direzione differente – nonché più circoscritta – dell’intervento precedente. Donnini passa in rassegna e analizza, qui, i vari passi dell’opera nei quali ricorre il motivo della trasformazione dell’anima, soffermandosi, comunque, con maggiore ampiezza sulla parte iniziale della Instructio II, al fine di dimostrare come il tema venga svolto in essa alla stregua di un piccolo trattato, con mezzi espressivi capaci di fare presa su un largo pubblico di lettori. Anche qui Angela – e insieme a lei, il compilatore della instructio – appare come «la legittima erede spirituale di Francesco, in conformità all’opinione […] radicatasi nel suo cenacolo» e, «proprio perché figlia unigenita del padre fondatore e di conseguenza sua unica erede, avendo sperimentato, come lui, il momento dell’unione mistica con Cristo crocefisso», ella «esorta all’imitazione di Francesco per consolidarne la memoria e garantirne la continuità. Di questo ha voluto dare testimonianza anche il redattore della Instructio II» (p. 155). 3.3. Sul lessico giuridico nelle fonti altomedievali: polisemia ed esattezza di significato in un latino fra letteratura e diritto (pp. 507-538).65 Questo e il contributo immediatamente successivo ci pongono di fronte a un tema delle ricerche di Donnini che, pur non essendo fra i più ricorrenti, è comunque indice di curiositas intellettuale, nonché di attenzione per i fatti linguistici emergenti anche da testi che non possono esser certo considerati “letterari”, quali le fonti giuridiche o gli statuti umbri del sec. XIII. In questo primo saggio, lo studioso analizza la presenza e il significato, in testi dell’Alto Medioevo fra i più diversi e disparati, di determinati termini latini dalla precipua valenza giuridica, quali – fra gli altri – iustitia, aequitas, iudicium, lex, rectitudo, satisfactio, compositio. Dalla disamina qui proposta, 64 Già ne Il «Liber» di Angela da Foligno e la mistica dei secoli XIII-XIV in rapporto alle nuove culture. Atti del XLV Convegno Storico Internazionale (Todi, 12-15 ottobre 2008), Spoleto (PG) 2009, pp. 135-155. 65 Già ne La giustizia nell’Alto Medioevo (secoli V-VIII). Atti della XLII Settimana di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo (Spoleto, 7-13 aprile 1994), vol. II, Spoleto (PG) 1995, pp. 1209-1240. 18 (gennaio-dicembre 2016) 194 Armando Bisanti risulta «come nelle fonti altomedievali […] la polisemia dei termini giuridici non ne pregiudichi la trasparenza. I vari legislatores, siano stati essi funzionari o letterati o abbiano svolto entrambe le attività, mettevano quindi bene a frutto la loro formazione scolastica e fondamentalmente basata sullo studio della grammatica e della retorica per rendere la norma giuridica immediatamente comprensibile e più attraente sul piano formale, nell’ambito, perciò, di un latino fra letteratura e diritto. Pluralità semantica, dunque, ma coniugata con la proprietas verborum, che si esplica nel dare a ciascun termine il significato che di volta in volta gli è dovuto, per far sì che ciascuna frase venga compresa in ogni sua parte» (pp. 537-538). 3.4. La lingua degli statuti umbri del XIII secolo (pp. 539-569).66 In maniera parzialmente analoga al precedente, in questo secondo intervento Donnini indugia sulla lingua del corpus degli statuti di Todi del 1275, di Perugia del 1279, di Spoleto del 1296. Si tratta di un corpus assai omogeneo, sia per quel che riguarda l’area politica e territoriale di riferimento, sia per quanto attiene al ristretto arco cronologico. Gli studi sulla lingua – e anche sulla grafia – di tali documenti, quando Donnini scriveva il suo articolo (vent’anni fa) erano ancora ben pochi (e non credo che la situazione oggi sia cambiata in modo sensibile), onde le expertises proposte dallo studioso risultano – qui come altrove, e spesso anche entro questo stesso vol. – di grande novità e di indubbia rilevanza. Per sintetizzare, la lingua degli statuti tudertini, perugini e spoletini dell’ultimo quarto del sec. XIII si configura, in definitiva, «come un diasistema i cui assi portanti sono costituiti dalla lingua scritta e da quella parlata», e i cui elementi ricorrenti e caratterizzanti, soprattutto per quel che riguarda lo stile, sono rappresentati «dalla ridondanza, dal frequente uso della sinonimia, dalla ripetizione ravvicinata di termini e di espressioni più o meno ampie concettualmente simili, elementi comuni alla tradizione giuridica ormai da tempo cristallizzati in simili testi», nonché dalla presenza di «volgarismi, colloqualismi e tecnicismi, genuina e fresca espressione di ogni realtà storico-sociale» (p. 569). 3.5. Sul latino del Savonarola: problemi di stile (pp. 571-616).67 Si tratta del più vasto e impegnato fra gli studi accolti in questa sezione dedicata alle questioni linguistiche e stilistiche dei testi mediolatini. Col Savonarola, in effetti, siamo ben oltre il Medioevo – anzi, cronologicamente parlando, siamo forse anche al di fuori dell’Umanesimo – ma il fatto che un medievista come Donnini si interessi a lui testimonia – se ve ne fosse ancora bisogno, dopo quanto si è detto a proposito di alcuni stu- 66 Già ne Gli statuti comunali umbri. Atti del Convegno di Studi in occasione del VII centenario della promulgazione dello Statuto Comunale di Spoleto (1296-1996) (Spoleto, 8-9 novembre 1996), a cura di E. Menestò, Spoleto (PG) 1997, pp. 337-367. 67 Già in Girolamo Savonarola: l’uomo e il frate. Atti del XXXV Convegno Storico Internazionale (Todi, 11-14 ottobre 1998), Spoleto (PG) 1999, pp. 75-120. 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 195 di già passati in rassegna e prima di ciò che si dirà nelle pagine seguenti in merito ad altri interventi – l’apertura culturale, la curiositas intellettuale, la disponibilità dello studioso. Ciò premesso, e non potendo tracciare un dettagliato resoconto del contributo in questione – trattandosi di un saggio analitico, sarei costretto a fare l’analisi di un’analisi – basti rilevare come dal panorama delineato da Donnini emerga che la lingua e, in particolare, lo stile delle prose latine redatte dal terribile frate durante la sua breve vita terrena, siano caratterizzate da uno stilus humilis, dalla imitatio del latino biblico e, per converso, da un conclamato – sebbene non sempre pienamente conseguito – rifiuto della retorica classica e, soprattutto, dell’eloquentia di Cicerone (contro il quale Savonarola si scaglia a più riprese, con quei toni veementi e irruenti che tutti ben conosciamo). 4. La quarta sezione (La versificazione: le tecniche e i testi, pp. 617-724) presenta, come la precedente, anch’essa cinque interventi. 4.1. Versificazioni: i testi (pp. 619-647).68 Donnini presenta qui un ampio diorama sulle versificazioni mediolatine di precedenti testi in prosa. Ovviamente, trattandosi di un corpus vastissimo, lo studioso si limita a brevi informazioni su ogni singolo testo o autore, quantunque non manchino qua e là, nella sua disamina, osservazioni spesso puntuali e talvolta illuminanti. I testi e gli autori presentati sono raggruppati in sezioni tematiche: parafrasi bibliche (Giovenco, il De Sodoma e il De Iona, Paolino da Nola, Cipriano Gallo, Sedulio, lo Pseudo-Ilario, Mario Vittorio, Draconzio, Avito, Aratore, Beda, Sigfrido di Corbie, i Versus in canticis canticorum, il De contentione Zabuli cum Averno, il De divite et paupere Lazaro, Floro di Lione, Teodulfo d’Orléans, Walahfrido Strabone, Paolino d’Aquileia, i ritmi De Iudith et Olofernum e Amplam regalis Susis dicta civitas, Williramo, Giovanni da Lodi, Lorenzo di Durham, Pietro Riga, Leonio di Parigi, Matteo di Vendôme, Marbodo di Rennes, Ildeberto di Lavardin, Bonaventura da Bagnoregio, Andrea Sunone e Giraldo di Cambrai); testi agiografici (Paolino di Périgueux, Venanzio Fortunato, Beda, Alcuino, Brun Candido di Fulda, Eirico d’Auxerre, la Passio sancti Leodegarii, la Passio Iustini, Walahfrido Strabone, Eginardo, Erigero di Lobbes, Angelramo di Saint-Riquier, Sigeberto di Gembloux, ancora Ildeberto di Lavardin,69 Enrico d’A- 68 Già ne Lo Spazio letterario del Medioevo. I. Il Medioevo latino, diretto da G. Cavallo-Cl. Leonardi-E. Menestò, vol. III. La ricezione del testo, Roma 1995, pp. 221-249. 69 Ma il giudizio negativo sulla Vita beate Marie egyptiace di Ildeberto di Lavardin, qui formulato da Donnini («la versificazione si attiene fedele allo snodarsi del racconto in prosa, ma è fin troppo evidente il ricorso alla amplificatio nell’inserimento di lunghi discorsi e di osservazioni personali che compromettono spesso l’efficace semplicità del modello, già falsata del resto dalla costante ricerca degli ornamenti retorici divenuti di abitudine nell’intera produzione di questo poeta», pp. 636-637), non mi trova per nulla d’accordo (ed è uno dei pochissimi casi in cui dissento da quanto affermato da lui). D’altronde, io stesso ho cercato di proporre una lettura assai più “cordiale” del poemetto agiografico ildebertiano nel mio «La figura di Zosima, padre autorevole, nella leggenda di Maria Egiziaca», in Au- 18 (gennaio-dicembre 2016) 196 Armando Bisanti vranches, la Legenda sanctae Clarae, l’Anonimo di Jumièges); altri autori di vario genere, epigrammatici, storici, epici, grammaticali, scolastici, favolistici (Prospero di Aquitania, Aldelmo di Malmesbury, Sedulio Scoto, Ubaldo da Gubbio, il cosiddetto Poeta Saxo, i Gesta Apollonii, la Coena Cypriani, Alessandro di Villedieu, Everardo di Béthune, Giovanni di Beauvais, Alessandro Neckam). In conclusione del suo ampio excursus, lo studioso scrive: «Le versificazioni di testi in prosa, per quanto sul piano teorico sembrino risolversi agli occhi del lettore moderno in un’operazione, per così dire, “sbagliata”, soprattutto per la mancanza di originalità di fondo che svilisce la tensione espressiva del testo più antico, per il virtuosismo, per l’adozione di una forma asservita ai gusti della letteratura pagana anche in temi cristiani e per una certa disarmonia nelle proporzioni, vennero in realtà tenute in grandissima considerazione dai loro autori, dai committenti e dai destinatari, in virtù delle funzioni ad esse sottese, rispondenti di volta in volta a ben precise esigenze. Allo storico, poi, della cultura e della mentalità tali componimenti poetici offrono documenti di grande interesse se non altro perché concorrono a gettar luce sulla doctrina dei vari versificatori e sulla fortuna dei corrispettivi testi in prosa in determinate epoche e località» (pp. 646-647). 4.2. Versificazioni: le tecniche (pp. 649-668).70 Il saggio costituisce, col precedente, un dittico pressoché inscindibile. Donnini esamina le principali tecniche di versificazione durante il Medioevo latino, nonché alcune nuove forme metriche e ritmiche, l’utilizzo della rima, la metrica “tradizionale”, la sequenza e il tropo, le artes versificandi e le poetrie del XII e XIII secolo. 4.3. Il racconto della Fuga in Egitto nella «Iosephina» di Jean Gerson (pp. 669-690).71 Facendo seguito ai numerosi e pregevoli interventi sulla poesia biblica dell’umanista francese Jean Gerson e, in particolare, sulla sua Josephina (poema esametrico composto nel 1418 e dedicato alla narrazione della vita e delle vicende di san Giuseppe), proposti da Giovanni Matteo Roccati e da Antonio Placanica fra il 1989 e il 2001,72 lo studioso presenta in questo saggio alcune osservazioni sulla tecnica compositiva utilizzata dallo scrittore nei versi relativi al racconto della fuga in Egitto della Sacra Famiglia (vv. 107-214), esemplato sul Vangelo di Matteo (2, 13-14). Donnini fornisce – secondo il suo metodo, consueto e ben sperimentato in tanti altri contributi – un’ampia e approfondita disamina delle modalità e delle tecniche di rielaborazione esperite dal Gerson rispetto all’ipotesto evangelico, fondate sul rimaneggiamento e sul caratteristico procedimento dell’amplificatio: basti pensare che il ctor et Auctoritas in Latinis Medii Aevi Litteris – Author and Authorship in Medieval Latin Literature. Proceedings of the VIth Congress of the International Medieval Latin Komitee (Benevento-Naples, November 9-13 2010), ed. by E. D’Angelo-J. M. Ziolkowski, Firenze 2014, pp. 69-83. 70 Già ne Lo Spazio letterario del Medioevo, cit., pp. 251-270. 71 Già in «Studi Medievali» n.s., 45.2 (2004), pp. 771-794. 72 Gli estremi bibliografici degli studi di Roccati e Placanica si leggono a p. 669, note 1-2. 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 197 brevissimo passo di Matteo, composto da due sole sequenze (l’ordine dato dall’angelo a Giuseppe e la sua pronta esecuzione da parte di quest’ultimo) per non più di cinque righe a stampa nelle moderne edizioni, viene “diluito” dal poeta francese in più di 100 versi, contraddistinti dal gusto per la descriptio, dall’innesto, in essi, di riflessioni personali, di sezioni dialogiche e tratti narrativi per lo più miranti a sottolineare i vari stati d’animo dei personaggi e a delineare delicati quadretti caratterizzati, spesso, da una specifica attenzione agli affetti familiari e alla poesia delle piccole cose.73 Gerson, inoltre, fa ricorso «a vari registri, da quello lirico a quello psicologico, da quello umile a quello solenne, tutti pervasi, comunque, dall’intento didascalico-edificatorio. Al fine poi di elevare il tono della lexis egli ha attinto in varie occasioni alla poesia di Virgilio, riadattandola liberamente alle nuove esigenze formali e spirituali. Ancor più rilevante risulta il ricorso alla Scrittura, le cui espressioni più o meno ampie vengono parafrasate o paene ad verbum o ad sensum anche nelle parti della versificazione che non mostrano alcun rapporto con le pericopi bibliche da cui esse sono scaturite» (p. 691). L’analisi di Donnini, in conclusione, dimostra altresì che «la narratio poetica diventa assai spesso spettacolo drammatico in cui si avverte l’appassionata compartecipazione dello scrittore alle azioni ed ai sentimenti dei personaggi allo scopo di tener vivo […] il culto della Vergine e di favorire la devozione a san Giuseppe che, come è noto, sarà ufficializzata proprio grazie ad alcuni teologi parigini, in particolare a Gerson, e agli ordini mendicanti, specie i Francescani» (p. 692). 4.4. L’inno V del «Peristephanon liber» di Prudenzio ed i «Versus de sancto Vincentio» di Ildeberto di Lavardin: analogie e variazioni (pp. 693-712).74 Prendendo spunto da una suggestione avanzata, nel 1954, da Nino Scivoletto,75 lo studioso conduce un ampio e perspicuo esame parallelo dei Versus de sancto Vincentio di Ildeberto di Lavardin, in esametri leonini, e del suo riconosciuto modello, ossia l’inno V del Peristephanon liber di Prudenzio, consistente, appunto, nella Passio sancti Vincentii martyris, in dimetri giambici. Se Ildeberto di Lavardin – o chi per lui, dal momento che i Versus rientrano fra le moltissime opere di dubbia attribuzione al poeta francese – sottopone l’inno prudenziano a un processo di amplificatio, modifi73 In questo, la sezione del poemetto gersoniano analizzata da Donnini mi farebbe pensare, per analogia di argomento e di trattazione, al Maria di Rosvita di Gandersheim, il primo dei suoi otto poemetti agiografici, all’interno del quale figura – come è noto – il racconto della fuga in Egitto di Giuseppe, Maria e Gesù (vv. 630-824: in Rosvita di Gandersheim, Poemetti agiografici e storici, a cura di L. Robertini-M. Giovini, Alessandria 2004, pp. 60-68; cf. il mio La fuga in Egitto, la distruzione degli idoli, la conversione di Afrodisio (Rosvita, «Maria» 692-862), on line, in «Mediaeval Sophia» 10 [2011], pp. 23-31). Solo che, piuttosto che sui Vangeli canonici, Rosvita si fondava sul Vangelo apocrifo dello Pseudo-Matteo; né, d’altronde, Gerson poteva certo conoscere, nel 1418, gli scritti della canonichessa sassone, scoperti da Conrad Celtis soltanto nel 1494 nel convento di Sant’Emmerano in Ratisbona. 74 Già ne La poesia tardoantica e medievale. Atti del II Convegno Internazionale (Perugia, 15-16 novembre 2001), a cura di A. M. Taragna, Alessandria 2004, pp. 109-128. 75 N. Scivoletto, Spiritualità medioevale e tradizione scolastica nel secolo XII in Francia, Napoli 1954, pp. 106-108. 18 (gennaio-dicembre 2016) 198 Armando Bisanti cando, aggiungendo e, qua e là, anche tagliando e sopprimendo, è in ogni caso da rilevare come il componimento ildebertiano (o pseudo-ildebertiano) rappresenti un segno – uno dei tanti – dell’immensa fortuna goduta da Prudenzio durante tutto il Medioevo, da parte di scrittori e poeti «che hanno letto e riletto la sua opera sempre con ammirato interesse» (p. 712).76 4.5. I «Dialogi» di Gregorio Magno: una riscrittura in versi latini del XIII secolo (pp. 713-724).77 Donnini ritorna alla versificazione dei Dialogi di Gregorio Magno a opera del cosiddetto “Anonimo di Jumièges” (Anonymus Gemeticensis), già da lui stesso pubblicata in ediz. critica nel 1988.78 Si tratta di una rielaborazione in 6756 esametri del testo agiografico gregoriano (cui si aggiungono una praefatio di 19 versi e un epilogus di 18), tramandata esclusivamente dal ms. A. 540 (510) della Bibliothèque Municipale di Rouen, autografo (come da Donnini già dimostrato nella sua edizione del 1988), che costituisce non solo un’importante testimonianza della fortuna dei Dialogi, ma anche un significativo esempio di versificazione agiografica.79 In questo saggio lo studioso mira a evidenziare alcuni aspetti della tecnica parafrastica utilizzata dall’anonimo, focalizzando la propria attenzione, in principal modo, su alcune omissioni, sostituzioni, sviste o aggiunte, tanto più interessanti in quanto emergono entro un’opera che, in linea di massima, si mantiene assai vicina al modello prosastico. Fra i molti esempi proposti da Donnini – che, qui come in altri casi, non posso ovviamente prendere in considerazione – il più illuminante mi sembra quello riguardante la citazione, al v. 1282 della versificazione (corpus ditat humum, celos quoque spiritus), del v. 50 (qui celos anima, corpore ditat humum) del carm. min. 18 Scott di Ildeberto di Lavardin,80 dedicato alla morte del maestro Berengario di Tours: fatto, questo, già ben evidenziato dallo studioso in una sua ormai lontana nota del 1988 (qui non ripubblicata).81 Ora – osserva Donnini – se si considera che in tutto il testo «questo 76 Per alcuni aspetti particolari della fortuna di Prudenzio nel Medioevo, mi sia consentito di rimandare ad A. Bisanti, Prudenzio nel X secolo. A proposito di alcuni studi più o meno recenti, in «Auctores Nostri» 5 (2007), pp. 39-64; cf. anche uno degli ultimi scritti (apparso postumo) di F. Bertini, «L’“auctoritas” virgiliana e prudenziana nel Waltharius», in Auctor et Auctoritas in Latinis Medii Aevi Litteris, cit., pp. 57-68. 77 Già in «Studi Medievali» n.s., 52.1 (2011), pp. 275-286. 78 Cf. supra, nota 1. Prima che da Donnini, l’opera era stata studiata, ma in modo alquanto sommario, da E. Bertaud, «Une traduction en vers latins des «Dialogues» de Saint Grégoire», in Jumièges. Congrès Scientifique du XIIIe centenaire (Rouen, 10-12 juin 1954), Rouen 1955, pp. 625-635. 79 A tal proposito, nella sua segnalazione dell’ediz. del 1988, Roccaro scriveva che «il lavoro di Mauro Donnini risulta […] particolarmente meritorio: e ciò non soltanto perché consente la fruizione di un testo rimasto fino ad oggi inedito, ma anche perché contribuisce con la sua accurata ricostruzione alla conoscenza di un ambiente storico-culturale di grande interesse, al cui interno questo scritto trova la sua giusta collocazione» (C. Roccaro, recens. cit. [cf. supra, nota 1], p. 154). 80 Hildebertus, Carmina minora, rec. A. Br. Scott, Leipzig 1969, p. 8. 81 M. Donnini, Un’eco di Ildeberto di Lavardin nel «Dialogus Gregorii» dell’Anonymus Geme- 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 199 costituisce l’unico riecheggiamento di uno scrittore precedente e che la formazione scolastica del poeta parafraste emerge comunque dalla sua aggiunta di una prefazione e di un epilogo contenenti motivi divenuti topici in simili contesti, il fatto che egli in tutto il resto della parafrasi abbia cercato di restare fedele al modello […] fa maggiormente risaltare la sua viva ammirazione e il suo profondo rispetto nei confronti del testo gregoriano. È allora evidente che l’anonimo parafraste ha voluto dare una veste poetica ai Dialogi di Gregorio allo scopo di continuare a tenerne viva la gloria e di propagandare l’autentico ideale biblico-monastico dei viri Dei in essi celebrati» (p. 723). 5. La quinta sezione (Il riuso delle “auctoritates”, pp. 725-797) ospita sei interventi, tutti in genere abbastanza brevi e circoscritti. 5.1. Riecheggiamenti virgiliani nella «Vita sancti Marini» (pp. 727-741).82 La Vita di san Marino vescovo di Rimini è un testo agiografico che, dopo essere stato oggetto di interesse da parte di vari studiosi fin dalle indagini di Paul Aebischer del 1962, non ha invece, negli ultimi tempi, ricevuto le cure che indubbiamente merita.83 Fra l’altro, la promessa edizione critica a cura di Carlo Dolcini non ha visto la luce,84 onde è necessario, per accostarsi a essa, rifarsi ancora al testo di Bonino Mombrizio, risalente al sec. XV.85 In questo saggio Donnini conduce un’accurata disamina dei luoghi nei quali l’agiografo si è ispirato a Virgilio, mostrandosi scrittore dotato di ottima cultura classica. 5.2. In margine alla “doctrina” e alla “ratio imitandi” dell’agiografo di san Marino (pp. 743-749).86 A un anno di distanza dalla pubblicazione dello studio precedente sulla Vita sancti Marini, Donnini ritorna al testo agiografico con tre brevi note volte a far luce sulla cultura dell’autore e sul modo in cui egli utilizza le fonti. La prima riguarda l’espres- ticensis, in «Giornale Italiano di Filologia» 40 (1988), pp. 109-112. 82 Già in «Hagiographica» 1 (1994), pp. 101-115. 83 Cf. P. Aebischer, Essai sur l’histoire de Saint-Marin des origines à l’an Mille, Saint-Marin 1962. Ma cf. più recentemente, dello stesso M. Donnini, Una rilettura della «Vita Sanctorum Marini et Leonis», in «Scuola Secondaria Superiore - Repubblica di San Marino. Annuario» (2011-2012), pp. 227-278 (qui non ripubblicato). 84 C. Dolcini, Ancora ipotesi sulle origini di San Marino. Storia e critica della «Vita sancti Marini», in «Romagna» 7 (1983), pp. 5-14. 85 Bonini Mombritii Sanctuarium seu Vitae sanctorum, II, Mediolani, s.d. [sed ante 1480], pp. 52r-55v (poi Parisiis 1910, pp. 95-102). Dopo la pubblicazione del saggio di Donnini – e anche del successivo, sul medesimo testo – la Vita sancti Marini è stata pubblicata, in ediz. critica, da Andrea Donati, all’interno del suo vol. San Marino tra storia e leggenda. Da Omero a Pier Damiani, Rimini 2010, pp. 195-212 (introd.), 213-236 (testo e trad. ital.); cf. inoltre S. Donghi, I testimoni medievali della «Vita sancti Marini». Analisi codicologica e paleografica, San Marino 2007. 86 Già in «Hagiographica» 2 (1995), pp. 137-143. 18 (gennaio-dicembre 2016) 200 Armando Bisanti sione classe Pontica (p. 96, l. 7),87 laddove l’agg. Pontica è da interpretarsi nel significato, ben attestato nella classicità e nel Medioevo, di “feroce”, “barbara”, “malefica; la seconda, la similitudine delle api (p. 96, ll. 31-34), assai probabilmente derivata dalla Vita Eligii episcopi Noviomagensis di Dadone e dalla Vita Willbrordi archiepiscopi Traiectensis di Alcuino; la terza, la frase, pronunziata dallo stesso santo, nullum diei perdidi in quo nihil boni fecerim (p. 96, ll. 52-53), che viene persuasivamente ricondotta alla celebre affermazione amici, diem perdidi dell’imperatore Tito nella biografia svetoniana (Tit. 8,2). 5.3. Bibbia e storiografia (pp. 751-764).88 La Bibbia ha ricoperto un ruolo fondamentale nella cultura e nella produzione letteraria del Medioevo – sembra addirittura superfluo ribadirlo – e anche nella storiografia dal VI al XIII sec. il suo influsso è stato assolutamente determinante. Affrontando il tema relativo, appunto, all’influenza che la Sacra Scrittura ha esercitato sulla storiografia mediolatina, Donnini trascorre rapidamente e sinteticamente – ma, come sempre, con esempi scelti con sagacia ed eccellenti osservazioni – su un gran numero di testi particolarmente significativi di un panorama che, ovviamente, potrebbe essere (ed è) ben più vasto e pressoché sterminato, quali i Chronica di Cassiodoro, il De summa temporum vel origine actibusque gentis Romanorum di Jordanes, il De excidio et conquestu Britanniae di Gilda, l’Historia Francorum di Gregorio di Tours, l’Historia Gothorum di Isidoro di Siviglia, il De temporibus liber e il De temporum ratione di Beda, l’Historia Romana e l’Historia Langobardorum di Paolo Diacono, la Vita Karoli di Eginardo, le Vitae Hludowici imperatoris di Tegano e del cosiddetto Astronomo, il De gestis Karoli imperatoris di Notker di San Gallo, il De rebus gestis Aelfredi di Asser di Sherborne, il Liber Pontificalis di Agnello Ravennate, l’Historia Langobardorum Beneventanorum di Erchemperto, l’Adbreviatio de gestis Langobardorum di Andrea da Bergamo, l’Antapodosis di Liutprando di Cremona, le Historiae di Richero di Reims, il Chronicon Salernitanum e il Chronicon di Benedetto di sant’Andrea del Soratte e quindi, scendendo lungo i secoli successivi all’anno Mille, le Historiae Francorum di Aimoino di Fleury, il Chronicon di Thietmaro di Merseburg, il Chronicon di Ademaro di Chabannes, la Vita Chuonradi imperatoris di Wipone, gli Annales di Lamberto di Hersfeld, i Gesta Hammaburgensis ecclesiae pontificum di Adamo di Brema, le Historiae di Rodolfo il Glabro, l’Historia di Orderico Vitale, gli anonimi Gesta Francorum et aliorum Hierosolymitanorum, i Gesta Francorum Ierusalem expugnantium di Fulcherio di Chartres, i Gesta Dei per Francos di Guiberto di Nogent, l’Historia Hierosolymitana di Guglielmo di Tiro, il Chronicon Farfense di Gregorio da Catino, il Chronicon di Alberico delle Tre Fontane e, per concludere, la Cronica di Salimbene e la Cronica Ianuensis civitatis di Iacopo da Varazze. 87 88 Anche in questo studio Donnini utilizzava l’ediz. di Bonino Mombrizio (cit. supra, nota 85). Già ne La Bibbia nel Medio Evo, a cura di G. Cremascoli-Cl. Leonardi, Bologna 1996, pp. 315-326. 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 201 5.4. Suggestioni dei «Dialogi» di Gregorio Magno nella vita di san Felice di Agnello Ravennate (pp. 765-770).89 In alcuni racconti inseriti da Agnello Ravennate nel suo Liber Pontificalis si avverte la presenza di motivi narratologici risalenti ai Dialogi di Gregorio Magno. Se tale filiazione è già stata rilevata a proposito del miracolo relativo alla moglie del vescovo Severo, la quale, da morta, si rigira su un fianco, nella tomba, per far posto al cadavere della figlia (Lib. Pont. 15 ~ Dial. III 23), non è invece stato notato come due brevissimi racconti aventi per protagonista san Felice siano anch’essi derivati da analoghi momenti narrativi dell’opera gregoriana. Si tratta di due aneddoti nei quali, rispettivamente, Felice smaschera un falso zoppo e mostra la propria generosità nei confronti di alcuni marinai impostori, chiaramente ispirati al racconto in cui Benedetto, nei Dialogi (II 14-15), smaschera l’inganno di re Totila e profetizza riguardo allo stesso sovrano goto. Infatti, «oltre all’identico tipo di protagonista, costituito da un santo, in entrambi gli scritti si riscontra […] un congruo numero di analogie, a cominciare da quelle consistenti nelle stesse sequenze narrative, seppur disposte in ordine inverso e contraddistinte da personaggi e situazioni differenti» (p. 766). Le corrispondenze fra Agnello e Gregorio Magno, alla luce della disamina delle sequenze effettuata da Donnini, non possono essere certo ritenute casuali, a riprova, fra l’altro, dell’enorme fortuna goduta dai Dialogi nella tradizione agiografica ed esemplare successiva. 5.5. Intorno ad un’ascendenza di Cassiodoro nella «Vita sancti Athanasii» (BHL 735) (pp. 771-777).90 Nel cap. II della Vita maior sancti Athanasii (BHL 735), biografia di Atanasio vescovo di Napoli (840-872),91 si legge un passo in cui viene rimarcata l’erudizione nella lingua greca e in quella latina del padre, Sergio I, futuro duca di Napoli (840864). Donnini propone di individuare, quale modello del brano in questione, il passo in cui Cassiodoro, nelle Institutiones (I 23,2), si sofferma sulla grandissima perizia dell’abate Dionigi nella lingua latina. Anche in questo caso – come nella nota precedente e in altri interventi – i raffronti operati dallo studioso sono ineccepibili e pienamente convincenti. 5.6. Poeti paleocristiani, tardoantichi e medievali nella lessicografia latina dei secoli XI-XIII (pp. 779-797).92 Fondandosi sui quattro grandi vocabolari dei secc. XI-XIII – l’Elementarium di Papia, il Catholicon di Giovanni Balbi da Genova, le Derivationes di Osberno di 89 Già in «Hagiographica» 3 (1996), pp. 89-94. Già in «Vetera Christianorum» 40 (2003), pp. 293-299. 91 Il testo agiografico è stato edito da A. Vuolo, Vita et translatio sancti Athanasii Neapolitani episcopi (BHL 735 e 737) saec. IX, Roma 2001. 92 Già ne La poesia tardoantica e medievale. Atti del IV Convegno Internazionale di Studi (Perugia, 15-17 novembre 2007) = Atti in onore di Antonino Isola per il suo 70° genetliaco, a cura di C. Burini De Lorenzi-M. De Gaetano, Alessandria 2010, pp. 355-373. 90 18 (gennaio-dicembre 2016) 202 Armando Bisanti Gloucester e le Derivationes di Uguccione da Pisa, questi ultimi due recentemente pubblicati in ediz. critica,93 mentre di Papia e di Giovanni Balbi manca ancor oggi un testo filologicamente attendibile – Donnini propone un’indagine sulle citazioni di poeti paleocristiani, tardoantichi e medievali che i quattro lessicografi inseriscono nelle loro opere. Fra gli auctores e le opere via via esaminati, e dei quali variamente ricorre mezione in Papia, Balbi, Osberno e Uguccione, figurano Ambrogio, Prudenzio, Prospero d’Aquitania, Sedulio, Draconzio, Boezio, Venanzio Fortunato, l’Ecloga Theoduli, Odone di Meung, il Novus Avianus Astensis, il Pamphilus, il Geta di Vitale di Blois, il Facetus, Marbodo di Rennes, l’Aesopus attribuito al cosiddetto Gualtiero Anglico, Alano di Lilla, Matteo di Vendôme, il Graecismus di Everardo di Béthune e il Doctrinale di Alessandro di Villedieu, Pietro Riga. Le presenze – ma anche le assenze, le diminuzioni e gli incrementi delle citazioni – di questi poeti e di queste opere in versi in Papia, Balbi, Osberno e Uguccione testimoniano, in ogni modo, di un’attenzione precipua, da parte dei compilatori dei quattro lessici, nei confronti della scuola e dei programmi d’insegnamento in essa condotti e degli autori che a scuola si leggevano, la maggior parte dei quali compaiono nell’elenco che si è or ora stilato. I lessicografi medievali, «consapevoli che la lingua è un’entità non statica, ma in continua evoluzione e fedeli interpreti del significato corrente delle parole, hanno sapientemente fatto ricorso, per meglio illustrarle, anche ad esempi metrici tratti da testi coevi ad essi particolarmente familiari in quanto letti nella scuola» (p. 796). Insomma, per concludere, «le citazioni dei poeti paleocristiani, tardoantichi e medievali nella lessicografia dei secoli XI-XIII, evidenziando l’emarginazione di alcuni di loro, la sopravvivenza in varia misura di altri e l’utilizzazione di altri ancora fra quelli “moderni” […], concorrono a gettare ulteriore luce non solo sul modus operandi dei singoli lessicografi e sulla loro doctrina, ma anche sul Fortleben dei poeti citati e dei generi letterari da questi seguiti, sulla storia della scuola e sui contorni della cultura del tempo notoriamente pervasa da straordinario fervore intellettuale, cui anche la lessicografia recò un contributo talmente valido da lasciare segni profondi in epoca umanistica ed oltre» (p. 797). 6. La sesta sezione (Analisi del racconto, pp. 799-980) consta di otto interventi e, insieme alla prima (quella dedicata alle edizioni di testi inediti o mal editi, delle quali si è già detto più sopra), risulta la più ampia e corposa di tutto il vol., a riprova dell’interesse e dell’attenzione prestati da Donnini nei confronti di tali argomenti. 6.1. Il “racconto” sull’amore incestuoso in Pietro Pittore (pp. 801-810).94 All’interno del poemetto misogino De muliere mala, Pietro Pittore inserisce, ai vv. 87-213, un lungo exemplum dal titolo De illa que impudenter adamavit filium 93 Cf. supra, nota 27. Già in Semiotica della novella latina. Atti del Seminario Interdisciplinare «La novella latina» (Perugia, 11-13 aprile 1985), a cura di L. Pepe, Perugia 1986, pp. 236-246. 94 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 203 suum.95 Si tratta di un racconto – ovviamente destinato, dal poeta medievale, a uno scopo didascalico e moralistico – centrato sul tema dell’amore incestuoso di una madre per il proprio figlio, scandito attraverso cinque sequenze che vengono individuate e analizzate da Donnini: 1. la madre invita il figlio a giacere con lui; 2. il figlio rifiuta; 3. la madre accusa falsamente il figlio di aver tentato di usarle violenza; 4. il figlio è riconosciuto colpevole; 5. Dio rivela la verità, salva il figlio e punisce la madre. Come si vede anche da questo semplice schema, siamo di fronte a una struttura debitrice, in gran parte, dei consimili racconti mitologici (in primis il mito di Fedra e Ippolito, dove però si tratta di una matrigna e del figliastro) che possono leggersi nell’Ippolito di Euripide, nella Phaedra di Seneca, in Apuleio (met. X, 2-12)96 e in Eliodoro (Etiop. I, 9, 4-17). Non solo, ma l’analisi del racconto mostra come siamo in presenza di un diffuso motivo narratologico, che potrebbe essere denominato “restaurazione dell’ordine sociale costituito” (tema che, a sua volta, si articola in tre momenti: 1. affermazione di un ordine sociale; 2. violazione dell’ordine; 3. ristabilimento dell’ordine). In ogni modo, la disamina dell’exemplum di Pietro Pittore esperita da Donnini mostra come il poeta mediolatino, lungi dall’ispirarsi ai modelli di Euripide, Seneca, Apuleio ed Eliodoro – non tutti, fra l’altro, da lui immediatamente raggiungibili – sia sia fondato, soprattutto, sulla celebre vicenda del casto Giuseppe e della moglie di Potifar che si legge nel libro biblico del Genesi (39, 7-23) e che, in buona sostanza, è all’origine (diretta o indiretta) di tutte le narrazioni di questo tipo (tanto è vero che, com’è noto, essa ha dato il nome al diffuso motivo narratologico denominato appunto “Potifar-Motiv”). 6.2. La «Passio» di santa Barbara: sedimentazioni e variazioni di motivi narratologici (pp. 811-834).97 La vicenda relativa alla passione e al martirio di santa Barbara ha conosciuto, già a partire dalla versione greca del VI-VII sec.,98 una larga e costante fortuna nella letteratura agiografica e devozionale medievale e umanistica, fino a Bonino Mombrizio (sec. XV). Fra le varie redazioni del racconto, particolarmente interessante, ai fini di una disamina degli elementi narratologici presenti in esso, risulta la più antica fra le 95 Petri Pictoris Carmina nec non Petri de Sancto Audemaro Librum de coloribus faciendis, hrsg. von L. van Acker, Turnhout 1972, pp. 105-116 (su cui cf. J. Stohlmann, Zur Überlieferung und Nachwirkung der «Carmina» des Petrus Pictor, in «Mittellateinisches Jahrbuch» 11.1 [1976], pp. 5191). Il poemetto è quindi stato ripresentato, con trad. spagnola, da M. Puig Rodríguez Escalona, Poesía misógina en la Edad Media Latina (ss. XI-XIII), Barcelona 1995, pp. 178-201. 96 Su cui cf. M. Donnini, «Apul. Met. X 2-12. Analogie e varianti di un racconto», in Letterature classiche e narratologia. Atti del Convegno (Selva di Fasano [BR], 6-8 ottobre 1980), Perugia 1981, pp. 145-160 (qui non ripubblicato). 97 Già in Santa Barbara nella letteratura e nel folklore, a cura del Centro di Studi Varroniani, Rieti 1988, pp. 19-42. 98 Cf. C. Crimi, «Testi bizantini, editi ed inediti, su santa Barbara», in La Sicilia nella tarda antichità e nell’alto Medioevo. Religione e società. Atti del Convegno di Studi (Catania-Paternò, 24-27 settembre 1997), a cura di R. Barcellona-S. Pricoco, Soveria Mannelli (CZ) 1999, pp. 233-251. 18 (gennaio-dicembre 2016) 204 Armando Bisanti versioni latine, pubblicata da Pio Paschini nel 1927.99 È sulla base di tale versione che Donnini conduce la sua lettura del testo agiografico, anche in questo caso indugiando sulla struttura di esso, sui temi e i motivi narratologici in esso rilevabili e, soprattutto, mettendo in ampio risalto due componenti fondamentali: da un lato, le evidenti somiglianze (dalle quali, però, non sono disgiunte altrettanto evidenti differenze) fra la passione di santa Barbara e le precedenti passioni di santa Cristina e di santa Irene,100 nonché l’apocrifo vetero-testamentario Joseph et Aseneth; dall’altro, il fatto che tutte e tre le passiones di Cristina, Irene e Barbara (e, in parte, anche Joseph et Aseneth) rivelano fortissimi e innegabili rapporti (diretti o mediati) col mito classico di Danae, rapporti che, già individuati nel lontanissimo 1696 dal Papebroch e quindi ribaditi nel 1892 dal Wirth, sono stati in seguito ritenuti poco attendibili e fondati dal Paschini e dal Philonenko,101 e che invece Donnini ribadisce con determinazione e corrobora attraverso una serie di raffronti assolutamente persuasivi e pienamente sottoscrivibili. 6.3. Motivi narratologici nella «Historia» di san Giuliano l’Ospitaliere (pp. 835-852).102 Il saggio, nella struttura complessiva e nell’articolazione delle osservazioni e delle proposte, risulta molto simile al precedente (e, come quello, ottimo). Se in quel caso si trattava dell’individuazione dei motivi narratologici all’interno del racconto della passione e del martirio di santa Barbara, qui il testo sottoposto a verifica e ad analisi è invece la Historia beati viri Iuliani martyris, pubblicata nel 1945 dal De Gaiffier,103 il più ricco di dettagli fra gli innumerevoli scritti agiografici su san Giuliano l’Ospitaliere, uno dei santi più celebri e venerati durante tutto il Medioevo.104 Dopo avere, per chiarezza di trattazione, presentato una breve sintesi della vicenda, lo studioso rileva, in prima battuta, come il tema fondamentale di essa – ossia 99 P. Paschini, Santa Barbara. Note agiografiche, Roma 1927, pp. 26-34. Sulla tradizione agiografica mediolatina concernente santa Irene, cf. il recente, ampio studio di R. E. Guglielmetti, Le vite latine inedite di santa Irene. Studio ed edizione critica, in «Filologia Mediolatina» 18 (2011), pp. 159-279. 101 Cf. D. Papebroch, «Responsio ad exhibitionem errorum per adm. R.P. Sebastianum a s. Paulo», O.C., 24-7-1696, in Acta SS. Bollandiana apologeticis libris in unum volumen nunc primum contractis vindicata, Antverpiae 1755, p. 370; A. Wirth, Danae in christlichen Legenden, Wien 1892, pp. 105 ss.; P. Paschini, Santa Barbara, cit., p. 65; M. Philonenko, Joseph et Aséneth. Introduction, texte critique, traduction et notes, Leiden 1968, pp. 110 ss. 102 Già in «Ars narrandi». Scritti di narrativa antica in memoria di Luigi Pepe, a cura di C. Santini - L. Zurli, Napoli 1996, pp. 159-176. 103 B. de Gaiffier, La légende de saint Julien l’Hospitalier, in «Analecta Bollandiana» 63 (1945), pp. 145-219 (il testo si legge ivi, pp. 200-219). Molti anni dopo, lo stesso studioso ritornò sulla leggenda giulianea: Id., La légende de saint Julien l’Hospitalier. Notes complementaires, in «Analecta Bollandiana» 94 (1976), pp. 5-17. 104 Per un quadro sintetico ma informato sulle varie opere agiografiche su san Giuliano – oltre che per alcune selettive indicazioni bibliografiche – cf. quanto annota Giovanni Paolo Maggioni, in Iacopo da Varazze, Legenda aurea, con le miniature del codice Ambrosiano C 240 inf., testo critico riveduto e comm. a cura di G. P. Maggioni, trad. ital. coordinata da Fr. Stella, II, Firenze 2007, pp. 1506-1508. 100 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 205 l’inconsapevole uccisione dei genitori, da parte di Giuliano – rinvii alla storia di Edipo, quantunque l’agiografo si muova con autonomia e libertà nei confronti del mito classico, «facendolo accortamente rivivere in un altro genere letterario pervaso da una nuova spiritualità» (p. 839). Ma altri temi narratologici innervano prepotentemente il racconto, quali lo “scambio di persona”, la “composizione della famiglia del protagonista e la sua prospera situazione”, i “viaggi” compiuti dal santo, l’“amore” (temi, questi ultimi due, che costituiscono gli assi portanti del romanzo antico), oltre alla narrazione di fatti che, pur nella loro finzione, tradiscono e rivelano elementi della vita reale, quali il “sogno”, la “tempesta”, il “banchetto” e, ancora, il “falso delinquente” e, soprattutto, la “presentazione in incognito” (motivo articolato in tre fasi: 1. un re – o un santo, o un dio – si presenta sotto mentite spoglie; 2. egli viene o non viene accolto benevolmente; 3. riconoscimento), il “traghettamento” e la “caccia”. In conclusione, non si può non essere d’accordo con Donnini, quando afferma come occorra riconoscere all’anonimo agiografo «l’abilità con la quale egli, attingendo ad un ricco arsenale di motivi letterari di larghissimo impiego specie nella letteratura narratologica, abbia saputo innestarli nel racconto per creare nei lettori emozioni capaci di tenerne sempre desta l’attenzione, assicurando così la ricezione del messaggio che egli intendeva trasmettere» (p. 851). 6.4. Le “passiones” dei martiri di Septempeda e di Osimo: analisi del racconto (pp. 853-867).105 Marone, Sisinnio, Diocleziano e Fiorenzio sono i primi santi martiri del Piceno, del primo dei quali si narra nei Gesta Nerei et Achillei il martirio presso un podere nella cittadina di Septempeda, insieme ai due compagni Eutiche e Vittorino;106 mentre gli altri, lapidati nella campagna di Osimo, sono accomunati nella medesima vicenda narrata nella Passio sancti Anthimi.107 Donnini volge la propria attenzione sul modus narrandi adoperato dai rispettivi agiografi, cercando di individuare i mezzi attraverso i quali essi hanno inteso trasmettere i significati delle loro opere ai destinatari di esse. In particolare – come si evidenzia alla fine della disamina dei due testi, ricca di esempi e di osservazioni – gli autori di essi, «fedeli interpreti dei valori religiosi della tradizione locale, avrebbero insistito, nella loro opera di riscrittura di racconti precedenti […], sullo strumento del martirio, in quanto convinti, come i loro predecessori, che esso, proprio perché legava in modo ideale alla memoria del protomartire quella dei santi martiri da loro esaltati, avrebbe continuato ad accrescerne notevolmente il prestigio» (p. 867). 105 Già in Agiografia e culto dei santi nel Piceno. Atti del Convegno di Studio svoltosi in occasione della 11a edizione del “Premio Internazionale Ascoli Piceno” (Ascoli Piceno, 2-3 maggio 1997), a cura di E. Menestò, Spoleto (PG) 1998, pp. 41-55. 106 Il testo si legge in AA.SS. Maii, III, pp. 4-16. 107 Cf. M. Gr. Mara, Contributo allo studio della «Passio Anthimi», Roma 1964, pp. 47-69. 18 (gennaio-dicembre 2016) 206 Armando Bisanti 6.5. L’“ars narrandi” nel «Carmen in honorem Hludowici» di Ermoldo Nigello (pp. 869-934).108 Si tratta, a mio modo di vedere, non solo di uno dei più vasti e significativi fra i contributi accolti nel vol. (ben 66 pp.), ma anche del più ampio e importante fra glistudi recentemente apparsi – o, almeno, fra quelli di mia conoscenza –sul De gestis Hludowici imperatoris di Ermoldo Nigello, un lungo saggio destinato all’individuazione dei caratteri descrittivi del Carmen in honorem Hludowici e teso allo scopo di far luce sull’arte narrativa di Ermoldo. Lo studioso analizza minuziosamente, con una particolare attenzione verso gli elementi compositivi e stilistici, una gran quantità di episodi del poema post-carolingio.109La disamina proposta da Donnini, articolata per temi, trascorre sulla celebrazione di Ludovico il Pio (vv. 40 ss.) e sulla sua descriptio fisica (vv. 806-847); sulla laudatio di Benedetto di Aniane (vv. 1184-1201); sulla visio di Teutram (vv. 2534-2591); sul viaggio di Ludovico il Pio per raggiungere la città di Vannes e liberarla dall’assedio e dai saccheggi dei Bretoni (vv. 1522-1559); sui discorsi – che, coerentemente col modulo epico, hanno nel poema una presenza rilevante – quelli di Ludovico (vv. 942-1039, 1592-1593) e del condottiero bretone Murman (vv. 1622-1627, 1648-1663); sulla festa preparata dall’imperatore in occasione della visita del papa, a Reims (vv. 858-880); sulle battaglie e gli scontri epici, quali l’assedio di Barcellona (vv. 302-347); sulle descrizioni di città, come, ancora, Barcellona (vv. 102-117); sulla fondazione della abbazia di Conques (vv. 230-241); sulle descrizioni di opere d’arte (vv. 2062-2163) e di popoli (i Bretoni, vv. 1296-1311; i Franchi, vv. 1406-1411); sui duelli (vv. 1848-1871); sui temi, ancora una volta, della caccia (vv. 2362-2415) e del banchetto (vv. 2418 ss.); sulla descrizione di doni (vv. 2254-2277) e, in generale, sulle similitudini che costellano il testo, quasi tutte ispirate all’aureo modello virgiliano. Le conclusioni che emergono dalla lunga analisi esperita da Donnini giovano a mettere in risalto come «nella varietà dei motivi e tratti letterari e dei “generi” – storia, etnografia, panegirico, epica, bozzetto di vita quotidiana, agiografia, autobiografia – risalti sempre l’arte narrativa di Ermoldo contraddistinta dal desiderio di raccontare con precisione e con finalità ben chiare, desiderio avvertibile in tratti realistici, in spunti intrisi di ironia beffarda o di agghiacciante tragicità, in momenti di esegesi, di insegnamento, di propaganda, di introspezione psicologica. Trattasi inoltre di un desiderio che trasforma spesso il racconto in spettacolo ed evidenzia la viva partecipazione del poeta che, per tener alto il tono del racconto, per dar vivacità e freschezza a temi e motivi,per conferire forza a sentimenti e per assecondare i gusti di un pubblico pronto a cogliere i legami che univano la nuova epica a quella tradizionale, ricorre assai spesso a citazioni 108 Già in «Studi Medievali» n.s., 47.1 (2006), pp. 111-176. Un precedente, in tal senso (applicato però soltanto a un singolo episodio del poema), è rappresentato dal lavoro di Chr. Ratkowitsch, Die Fresken im Palast Ludwigs des Frommen in Ingelheim (Ermold. Hlud. IV 181 ff.). Realität oder poetische Fiktion, in «Wiener Studien» 107-108 (1994-1995), pp. 553-581. Ma, per una bibliografia – ovviamente indicativa – sul poeta post-carolingio, cf. R. Angelini, s.v. Ermoldus Nigellus, in C.A.L.M.A. Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi (500-1500), III.3, pp. 287-288. 109 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 207 di autori letti, a scuola, a motivi topici, a figurae verborum, a figurae sententiarum, a figurae grammaticae e ad un avveduto uso dell’aggettivazione,espedienti artistici tutti ritenuti più che legittimi nel genus laudativum, di cui ancheil Carmen in honorem Hludowici di Ermoldo costituisce un mirabile esempio» (p. 934).110 6.6. Il mito di Ercole e Caco nelle cronache latine di Todi (secoli XIII-XIV) (pp. 935-946).111 Il celebre mito di Ercole e Caco, ben attestato nei classici latini (Verg. Aen. VIII 193-267; Prop. IV 9, 1-16; Ov. fast. I 543-578; Liv. I 7, 4-7), è presente anche nella Historia Tudertine civitatis, anonima cronaca della città di Todi redatta nella seconda metà del sec. XIII, nella Urbis Tuderis historia (secc. XIV-XV), attribuita a un tal Quirino Colono (autore, ovviamente, del tutto immaginario), e nell’Exemplum historiarum Tudertinarum, epitome anonima composta probabilmente entro il sec. XV.112 Donnini trascrive e analizza i tre testi – il secondo dei quali brevissimo – spesso indugiando in comparazioni fra l’uno e gli altri, evidenziando analogie e difformità (anche in relazione con le fonti antiche usufruite dai tre compilatori) e rilevando come, in essi, il mito di Ercole e Caco si presenti sovente in forme contaminate da notizie che non trovano alcun riscontro né nei modelli classici né in altri cronisti medievali, ed è quindi ben chiaro che tali “innovazioni” siano da assegnare ai singoli, anonimi autori delle tre cronache, «secondo la ben nota abitudine dei letterati medievali di nutrire scarso rispetto della “realtà storica” dei miti, al punto tale da trasformarli e da adattarli alle nuove esigenze» (p. 945). Ed è significativo, in tale ottica, che il mito in questione, nei tre cronisti, non riveste più la valenza di un aition di una cerimonia religiosa (come negli auctores), bensì quella di un aition della fondazione di una città, Todi appunto, che in tal modo si attribuiva, addirittura, allo stesso Ercole. In definitiva, «tutti e tre i cronisti, facendo risalire la fondazione di Todi al più forte degli eroi, si ponevano nella schiera di quei cultori del genere encomiastico-descrittivo, che, operando sul piano della fantasia, facevano risalire le origini delle città da essi celebrate ad un esule troiano o latino. E se si considera che il racconto mitico […] proclama indirettamente l’esistenza di Todi ancor prima della fondazione di Roma, esso si carica anche di una valenza antiromana di fortissima presa nell’orizzonte mentale della collettività cittadina» (pp. 945-946). 110 Ho ripreso qui – con poche modifiche – quanto da me già scritto ne «La poesia epico-storica mediolatina (secc. VI-X). Caratteri generali, consistenza del “corpus” e stato della ricerca», in Medioevo oggi. Tra testimonianze e ricostruzione storica: metodologia ed esperienze a confronto. Convegno di studio “In ricordo di Maria Rita” (Agrigento, Monastero di Santo Spirito, 26-27 ottobre 2007 = «Schede Medievali» 48 [2010]), a cura di A. Musco, Palermo 2010, pp. 41-78 (in partic., pp. 59-60); e quindi nel vol. L’epica latina altomedievale e il «Waltharius», Palermo 2010, pp. 57-58. 111 Già in «Studi Medievali» n.s., 50.2 (2009), pp. 739-750. 112 Cf. Le cronache di Todi (secc. XIII-XVI), a cura di G. Italiani [et alii], Firenze 1979. 18 (gennaio-dicembre 2016) 208 Armando Bisanti 6.7. Motivi narratologici e forme letterarie nella «Historia Tudertine civitatis» (secolo XIII) (pp. 947-969).113 Donnini torna, con questo saggio, all’Historia Tudertine civitatis (del quale si è occupato nel saggio precedente e di cui tornerà a occuparsi nel successivo).114 In questo caso, piuttosto che indugiare su un singolo episodio del racconto – come nell’intervento precedente e, ancora, nel susseguente – lo studioso fornisce un contributo volto alla lettura complessiva del testo, conducendo una puntuale disamina dei motivi narratologici e delle forme letterarie che è possibile individuare, sceverare e analizzare all’interno dell’anonima cronaca. Il saggio, infatti, assume la configurazione di un esame squisitamente “letterario” della Historia, secondo un procedimento che fino ad allora non era mai stato condotto (mentre non erano mancati, su di essa, studi di carattere storico o topografico).115 Fra i motivi narratologici che Donnini individua e analizza, si segnalano qui la “fondazione di città da parte di esuli troiani o latini sul suolo italico” (Hist. 7-14); la “restaurazione dell’ordine sociale costituito” (Hist. 23-29); l’“ospitalità” (presente in vari passi del testo); la “presentazione in incognito” (Hist. 67-128);116 le “nozze di uno straniero con la figlia di un potente del luogo” (tema che ricorre a più riprese); il “tradimento della propria città” (presente nel testo sia nella variante del “tradimento per amore”, sia in quella di “tradimento per denaro”);117 l’“incursione notturna in un campo nemico” (Hist. 151-155);118 lo “scontro militare” (Hist. 131-151). A tali motivi narratologici – tutti contrassegnati dal gusto, da parte dell’anonimo cronista, per il racconto e la descriptio – si uniscono altresì alcune forme letterarie, tese a ravvivare la narrazione (dialoghi e discorsi dei personaggi, trascrizioni di ipotetiche epistole). Dall’insieme delle considerazioni e dei sondaggi svolti da Donnini emerge come 113 Già in Todi nel Medioevo (secoli VI-XIV). Atti del XLVI Convegno Storico Internazionale (Todi, 10-15 ottobre 2009), Spoleto (PG) 2010, pp. 791-813. 114 Il testo è pubblicato – con trad. ital. a fronte – ne Le cronache di Todi (secc. XIII-XVI), cit., pp. 64-93. 115 Cf. M. Grondona, Appunti sulle cronache antiche di Todi, in «Studi Medievali» n.s., 23.1 (1982), pp. 387-439. 116 Nell’Historia Senna, figlio di Remolo (sic!), entra da solo in abito da contadino nella città di Eclis (l’antico nome di Todi) allo scopo di attingere notizie in incognito. Qui il motivo si qualifica, dunque, secondo la variante della “regalità sotto mentite spoglie”, già ben presente nella letteratura mediolatina, per es. in Paolo Diacono e in Liutprando di Cremona: cf. C. Santini, «Regalità sotto mentite spoglie (Liud. Crem. Antap. I 11)», in Letterature classiche e narratologia, cit., pp. 331-340. 117 Al tema narratologico del “tradimento per amore” attengono, fra gli altri, sia il mito classico di Scilla sia la vicenda di Romilda narrata da Paolo Diacono (Hist. Lang. IV 37), per cui cf. il mio Scilla e Romilda: due modelli per una lavandaia omicida. Sulla “tragedia” «Due lotrices» di Giovanni di Garlandia, in «Studi Medievali» n.s., 49.2 (2008), pp. 657-677. 118 Basti pensare, fra i classici, alle sortite notturne di Ulisse e Diomede (Hom. Il. X 220-298), di Eurialo e Niso (Verg. Aen. IX 314-445) e di Opleo e Dimante (Stat. Theb. X 347-448); mentre, per l’epica mediolatina, è sufficiente ricordare l’episodio di Simmaco e Nicanore, nell’Alexandreis di Gualtiero di Châtillon (IX 78-117: per cui vd. A. Bisanti, Simmaco e Nicanore. Amicizia ed eroismo nell’«Alexandreis» di Gualtiero di Châtillon, in c.s.). 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 209 l’Historia Tudertine civitatis «presenti, in definitiva […], un intreccio di miti, di leggende, di “storie” romanzate, di motivi narratologici, di forme letterarie e di espedienti stilistici capaci di vivacizzare la semplicità della narratio» (p. 968), in un testo mediante il quale «l’anonimo dà prova di aver voluto celebrare Todi nella consapevolezza di scrivere qualcosa di nuovo, senza farsi scrupolo di stravolgere, assai spesso, persino la tradizione, un qualcosa, dunque, che non sarebbe stato oggetto di studio o di discussione dotta, ma soltanto mezzo di piacevole intrattenimento, lasciando comunque al lettore più attento il piacere di scoprire, dietro il velo di una scaltrita arte allusiva […], importanti riflessi di una precisa realtà topografica, politica e religiosa» (p. 969). 6.8. Sedimentazioni del racconto della vigna di Nabot nella «Historia Tudertine civitatis» del XIII secolo (pp. 971-980).119 L’influenza dell’episodio biblico della vigna di Nabot (3 Reg. 21, 1-16) nella Historia Tudertine civitatis (già ricordata a proposito dei due contributi precedenti) viene da Donnini ben documentata attraverso la rilevazione delle presenze, in entrambi i testi – quello vetero-testamentario e quello tardo-medievale –, di alcune importanti e innegabili corrispondenze di struttura complessiva, oltre che d’espressione, di sintgami, di sententiae, di immagini, di circostanze, di sensazioni. D’altra parte, occorre rilevare che l’episodio biblico, sia per il suo evidente valore didascalico-moralistico, sia per la sua brevitas, ben si prestava a costituire un exemplum per i rectores della cittadina e del popolo di Todi, cui l’Historia era indirizzata; e, ancora, che «il racconto duecentesco, oltre a costituire una testimonianza della Bibbia quale ispiratrice di nuclei e motivi narratologici di indubbia valenza pedagogica, contribuisce anche a gettare luce sull’abilità dell’anonimo cronista nel tradurre allusivamente l’episodio biblico in una fantasticheria, come ha fatto del resto in altre parti della stessa opera, peraltro non prive anche queste di tratti di suggestiva lettura e di intenti moralizzatori» (p. 980). 7. La settima e ultima sezione (Note, pp. 981-1044) accoglie sei interventi, in genere brevi o brevissimi. 7.1. La «Lectura Ovidii epistularum» del cod. Asis. lat. 302 (pp. 983-1003).120 Donnini riprende lo studio della Lectura Ovidii epistularum contenuta nel ms. lat. 302 della Biblioteca Comunale di Assisi, il cui accessus era già stato da lui edito in un contributo di poco precedente (ed è il contributo che apre il vol., e del quale si è già detto).121 Qui lo studioso illustra con la dovuta ampiezza i vari aspetti del commento ovidiano (un testo, fra l’altro, di considerevole estensione, occupando ben 100 ff. del ms.), nel quale l’anonimo autore annota tutte le Heroides, a eccezione di quella 119 Già in «Studi Medievali» n.s., 53.1 (2012), pp. 83-92. Già in «Giornale Italiano di Filologia» 31.3 (1979), pp. 209-229. 121 Cf. supra, § 1.1. 120 18 (gennaio-dicembre 2016) 210 Armando Bisanti di Saffo a Faone (her. XV) e di quella di Ipsipile a Giasone (her. VI), oltre che di altri passi più brevi di altre epistole. È un commento che, globalmente, si presenta molto dettagliato e informato – anche sulla vita e sulle altre opere di Ovidio – contrassegnato, fra l’altro, da uno spiccato gusto per le digressioni di carattere mitologico (come d’altronde avviene nella più gran parte dei commenti medievali a Ovidio), dalla frequenza di osservazioni che, sulla scia di una lunghissima tradizione di stampo “isidoriano”, propongono e sviluppano etimologie assolutamente fantasiose, e «dalla presenza di molteplici note che vengono ad aprire piccoli squarci su antichi e moderni costumi nazionali capaci senza dubbio di tener desta l’attenzione dei giovani scolari interessati a problemi riguardanti gli aspetti della vita quotidiana del passato e del presente» (p. 998). Assai pochi sono, invece, gli auctores classici e medievali esplicitamente menzionati o allusi nel commento: infatti, a parte Aristotele, Cassiodoro e Remigio d’Auxerre ricordati nell’accessus, troviamo soltanto Boezio, Lucano e Orazio. Dall’insieme delle osservazioni avanzate da Donnini si può, comunque, concludere che «il testo esaminato si rivela quale ulteriore documento interessante per la storia della cultura medioevale che […] proprio attraverso l’opera dei commentatori tiene desto in notevole misura il gusto per il mondo classico, oggetto primario di studio nelle numerose scuole del tempo» (p. 1003). 7.2. Nota a Hildeb. «De nummo» 149-156 (pp. 1005-1009).122 Nel De nummo (o Quid suum virtutis) pseudo-ildebertiano (e come opera di Ildeberto ancora presentato e studiato da Nino Scivoletto123 e quindi dallo stesso Donnini nella sua nota, laddove esso, invece, è con una certa verosimiglianza attribuibile a Teodorico di Saint-Trond),124 ai vv. 149-156 si leggono quattro distici elegiaci nei quali viene narrato un celebre episodio che vede protagonista il filosofo cinico Diogene, un aneddoto sul disprezzo della ricchezza e dei beni materiali che ha goduto di una discreta fortuna nella letteratura e nella poesia mediolatina: esso, infatti, risulta attestato nell’anonimo De nugis philosophorum, in Tommaso di Cantimpré, nello Speculum morale di Vincenzo di Beauvais, nel De vita et moribus philosophorum di Walter Burleigh e, infine, nel De vita et moribus illustrium philosophorum di fra Michele da Cortona (prima metà del sec. XV). 122 Già in «Giornale Italiano di Filologia» 32.3 (1980), pp. 259-263. N. Scivoletto, Spiritualità medioevale e tradizione scolastica, cit., pp. 85-105. 124 Cf. Quid suum virtutis. Eine Lehrdichtung des XI. Jahrhunderts, ed. A. Paravicini, Heidelberg 1980 (edizione apparsa pressoché contemporaneamente alla nota ildebertiana di Donnini, e della quale lo studioso, evidentemente, non poté tener conto); P. Lendinara, Una nuova versione del «Quid suum virtutis», in «Schede Medievali» 14-15 (1988), pp. 15-28. Per una messa a punto critico-bibliografica sul problema attributivo del cosiddetto De nummo, cf. A. Bisanti, Ildeberto di Lavardin: vita, opere, problemi attributivi, in «Quaderni Medievali» 59 (2005), pp. 310-328 (alle pp. 316-317). 123 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 211 7.3. Sul commento a Persio del Perusinus H 63 (pp. 1011-1016).125 Il cod. H 63 della Biblioteca Comunale Augusta di Perugia (sigla Pe), corrispondente al n. 578 dell’inventario del Mazzatinti,126 è un ms. miscellaneo, cartaceo, dei secc. XV-XVI, scritto a più mani e contenente, in massima parte, commenti ad autori classici. Fra questi figura un inedito commento ai coliambi e alle satire di Persio, dal titolo Commentarium in Persii poemata cum textu (ff. 45r-82v). Come la presentazione e la disamina di esso, svolte da Donnini, mostrano chiaramente, si tratta di un’opera non certo di grandissimo valore né di notevole rilievo nel vasto campo dei commenti ai classici latini in generale e a Persio in particolare. Sono comunque assai rilevanti – nonché indizio di ottima cultura, da parte dell’anonimo – i riferimenti a Guarino Veronese (che viene citato ben otto volte, all’interno del testo) e alle Genealogie deorum gentilium del Boccaccio (utilizzate tre volte, sempre in relazione a personaggi del mito, nella fattispecie Ipsipile, Fillide e Antiope). 7.4. Una silloge alfabetica dei «Proverbia Senece» nel cod. Asis. 369 (pp. 10171019).127 Nel suo saggio del 1973 sulla silloge alfabetica delle sententiae senechiane attinte al De providentia, al De constantia sapientis e al De ira, Gerard Meersseman affermava che, di essa, esisteva una sola attestazione, nel ms. 44 del Seminario di Treviri (sigla T, ff. 113r-116r).128 In questa nota, Donnini segnala invece l’esistenza di un’altra silloge quasi del tutto identica a quella del ms. trevirense (e, inoltre, ben più antica), che si legge ai ff. 152r-152v del cod. Asis. 369 (sigla A), conservato nel Fondo Antico della Biblioteca Comunale di Assisi. Le due sillogi di Proverbia Senece risultano strettamente imparentate, come emerge con chiarezza da alcuni paralleli istituiti e illustrati dallo studioso; e, inoltre, occorre rilevare che «il testo di A è senza dubbio non privo di interesse non solo perché aggiunge un altro testimone alla tradizione rappresentata finora soltanto da T, fra l’altro molto più recente, ma soprattutto perché si rivela di fondamentale importanza per la costituzione del testo della silloge stessa e per la sua fortuna» (p. 1019). 7.5. Coordinate spazio-temporali di una microagiografia vescovile negli epitaffi di Venanzio Fortunato (pp. 1021-1032).129 Il libro IV dei Miscellanea carmina di Venanzio Fortunato è aperto da dieci brevi epigrammi funerari in onore di undici vescovi della Gallia merovingica. Donnini fornisce una rapida disamina di questi componimenti – in realtà assai poco studiati – 125 Già in «Giornale Italiano di Filologia» 33.3 (1981), pp. 255-260. G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti, V, cit., p. 153. 127 Già in «Studi Medievali» n.s., 24.1 (1983), pp. 367-369. 128 Cf. G. G. Meersseman, Seneca maestro di spiritualità nei suoi opuscoli apocrifi dal XII al XV secolo, in «Italia Medioevale e Umanistica» 16 (1973), pp. 43-135 (a p. 72). 129 Già in Venanzio Fortunato tra Italia e Francia. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Valdobbiadene, 17 maggio 1990 - Treviso 18-19 maggio 1990), Treviso 1993, pp. 247-258. 126 18 (gennaio-dicembre 2016) 212 Armando Bisanti soffermandosi, in particolare, su alcuni elementi (in gran parte topici di questo genere di letteratura) che li caratterizzano distintivamente, quali il disinteresse per le cose materiali, legate alla breve permanenza del corpo sulla terra e la volontà di procurare ricchezze spirituali; il richiamo a operare il bene e a fuggire il male; la contrapposizione fra il corpo, che rimane legato alla terra, e l’anima, che invece ascende al cielo; la gioia del vescovo salito in Paradiso e la tristezza di coloro che restano pellegrini sulla terra; e ancora, la munificenza verso i poveri, il fattivo impegno che i presuli hanno profuso alle necessità della Chiesa per tenerne alto il prestigio, la stessa loro descriptio fisica e spirituale. Elementi, tutti, che concorrono a far sì che si possa mettere in risalto come Venanzio Fortunato, in queste sue composizioni, abbia teso a un prevalente intento agiografico: «Non soltanto micro ricordi, dunque, ma piuttosto microagiografie che oltre a costituire un’ulteriore documentazione per la storia della tipologia della santità vescovile dell’epoca in cui vennero scritte, diventano anche fonte di conoscenza dei sentimenti del loro autore, il quale vede appunto, nella vita dei vescovi da lui commemorati, l’esaltazione di una santità che gli è particolarmente cara, quella martiniana percepita nella componente fondata sull’amore per il prossimo e sul patrocinio prestato alla città» (p. 1029).130 7.6. Antonio da Rho: un poeta orante per Filippo Maria Visconti (pp. 1033-1044).131 In questo, che è l’ultimo contributo ripresentato nel vol., Donnini ritorna, a distanza di un anno, alla figura e all’opera di Antonio da Rho, del quale aveva già illustrato e pubblicato, nel 2002, l’inedita Metrica commediatio summi pontificis Martini V dedicata a Bartolomeo della Capra nel 1418.132 Ai ff. 27v-31r del cod. 793 della Biblioteca Trivulziana di Milano si legge un gruppo di nove poesie in esametri (con una dedica), non precisamente databili, attribuibili allo scrittore francescano e ancora inedite. I componimenti in oggetto – tutti brevi o brevissimi – sono preceduti da un carme di dedica all’umanista visconteo Pier Candido Decembrio (De icona Philippi Marie Petro Candido, 12 vv.) e contengono preghiere in favore di Filippo Maria Visconti, duca di Milano, rispettivamente alla Vergine (I. Ad beatam Virginem oratio, 16 vv.), a san Giovanni Battista (II. Ad beatum Iohannem Baptistam, 11 vv.), a santa Elisabetta (III. Ad beatam Helisabeth, 15 vv.), a sant’Antonio abate (IV. Ad beatum Antonium, 16 vv.), a san Pietro Martire (V. Ad beatum Petrum martirem, 22 vv.), a san Guiniforte (VI. Ad beatum Guinifortum, 16 vv.), a san Sebastiano (VII. Ad beatum Sebastianum, 17 vv.), nonché una lode della festività dei santi Quirico e Giulitta (VIII. Exultatio felicis et solemnis diei, 21 versi) e, infine, una preghiera a questi due ultimi santi (IX. 130 Dopo Donnini, alla poesia funeraria di Venanzio Fortunato (sebbene non a quella specificamente vescovile) ha dedicato, fra gli altri, alcuni interventi P. Santorelli, «L’«Epitaphium Eusebiae» di Venanzio Fortunato (IV 28)», in La poesia cristiana latina in distici elegiaci. Atti del Convegno internazionale (Assisi, 20-22 marzo 1992), a cura di G. Catanzaro e Fr. Santucci, Assisi 1993, pp. 285-294; Venanzio Fortunato, Epitaphium Vilithutae (IV 26), a cura di P. Santorelli, Napoli 1994. 131 Già in «Franciscana» 5 (2003), pp. 231-242. 132 Cf. supra, § 1.7. 18 (gennaio-dicembre 2016) «Humanae ac divinae litterae». Gli scritti di cultura medievale e umanistica... 213 Ad beatos Iulitam et Quiricum, 6 vv.). Donnini analizza attentamente le poesie, individuando nelle prime sette di esse un’identica struttura quadripartita (1. invocazione; 2. notizie sul santo invocato; 3. richiesta di aiuto; 4. elogio del Visconti), il che ingenera uno schematismo che provoca una monotona e artificiosa freddezza complessiva, accresciuta dalle frequenti ripetizioni di espressione e di dettato e da una invariabile fissità d’impianto. Anche in questo caso – come già nella Metrica commediatio – Antonio da Rho ricorre di frequente alla mitologia classica e al prediletto Virgilio, cui qui si affianca, quasi alla pari, Ovidio; e anche in questo caso lo scrittore fa ampio e abbondante uso delle più note figure retoriche di suono e di parola. Siamo quindi, nel complesso, di fronte a un piccolo corpus poetico certamente non di altissimo valore, le cui caratteristiche non si differenziano da quelle di «tanti altri umanisti che, nell’esaltazione dei potenti del tempo, si preoccupavano soprattutto di fare sfoggio della loro doctrina e della loro abilità versificatoria, dimostrabile quest’ultima in modo particolare attraverso l’uso di accorgimenti retorici, nel tentativo di rendere il dettato più attraente e più adatto ai personaggi di volta in volta celebrati» (p. 1044). 18 (gennaio-dicembre 2016)