La Cina e la corsa alla conquista dell`Africa

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La Cina e la corsa alla conquista dell`Africa
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La Cina e la corsa alla conquista dell’Africa
a cura dello International Institute for Strategic Studies
La crisi nella regione del Darfur, in Sudan, dove le milizie arabe hanno scatenato
contro la popolazione nera quello che Washington ha definito un autentico
“genocidio”, ha portato al centro dell’attenzione internazionale i rapporti tra la
Cina e il governo di Khartoum.
Nel luglio e nel settembre del 2004, la Cina, principale partner commerciale del
Sudan e maggiore investitore straniero nella sua industria petrolifera, si è
opposta alle Risoluzioni 1556 e 1564 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite che richiedevano al governo sudanese di assumere iniziative contro le
milizie in mancanza delle quali annunciavano la possibilità di sanzioni
all’industria petrolifera. Pechino ha sostenuto che questi provvedimenti
sarebbero stati controproducenti e provocatori. Oltre ad aprire una nuova fonte
di attrito nei rapporti della Cina con gli Stati Uniti e altri paesi, questo episodio
ha rivelato chiaramente la crescente ampiezza e profondità degli interessi e delle
attività cinesi in Africa.
Al momento la politica di Pechino per l’Africa si concentra principalmente sulla
sicurezza delle risorse e questioni ad essa collegati. La rivalità diplomatica con
Taiwan rappresenta un altro fattore chiave dell’attivismo cinese. Infine, la
crescenta importanza assegnata dalla politica estera cinese al multilateralismo, e
la conseguente necessità di coltivare alleanze all’interno delle istituzioni
multilaterali, hanno fortemente stimolato i rapporti tra la Cina e i paesi africani.
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La dimensione economica. La leadership cinese ha identificato i primi vent’anni
di questo secolo come un “periodo di importanti opportunità strategiche”
(zhongyao zhanlue jiyu qi) da “cogliere fino in fondo” per realizzare i suoi
fondamentali obiettivi di sviluppo. Nel contesto africano, Pechino pone l’accento
sull’interazione tra commercio e investimenti e sulla promozione di iniziative
politiche ed economiche ampiamente compatibili. Le relazioni politiche cinoafricane sono fondate sulla comune convinzione che bisogna opporsi all’
“egemonismo”, ossia alla potenza e all’influenza globale dell’America. Da questo
punto di vista, l’intervento di Washington in Iraq e l’inopportunità di altri aspetti
intrusivi della “guerra globale contro il terrorismo” sono stati spesso oggetto di
aspre critiche. Tuttavia, assicurarsi l’accesso alle materie prime dell’Africa, e
soprattutto al suo petrolio, rappresenta la priorità fondamentale per Pechino, che
ha fatto grandi sforzi per sviluppare strette relazioni con paesi produttori di
petrolio quali Algeria, Angola, Nigeria e Sudan. La Cina ha rafforzato i propri
vincoli con i paesi africani attraverso la cancellazione del debito, offrendo
supporto tecnologico e sfruttando questi strumenti di soft power nell’ambito di
una più ampia strategia volta a costruire la propria influenza sul continente.
Nel corso degli ultimi dieci anni, Pechino ha stipulato oltre trenta accordi
strutturali per la concessione di prestiti con più di venti paesi africani. Alcuni
progetti finanziati da questi prestiti hanno avuto uno straordinario successo,
come l’esplorazione di giacimenti petroliferi in Sudan, il rinnovamento della rete
ferroviaria in Botswana, lo sviluppo dell’agricoltura in Guinea, la sfruttamento
delle foreste e l’industria del legname nella Guinea equatoriale, la Mulungushi
Textile Mill (una joint venture) in Zambia e una fabbrica di cemento in
Zimbabwe. Secondo gli strateghi di Pechino, l’economia cinese e quella africana
sono particolarmente complementari, in quanto la Cina possiede la tecnologia, le
capacità manageriali e i capitali di cui hanno bisogno i paesi africani, mentre
l’Africa è ricca di risorse naturali. I commerci tra la Cina e l’Africa sono
notevolmente aumentati, anche grazie al fatto che Pechino ha stabilito sul
continente africano undici centri di investimento e commercio. Il crescente
impegno della Cina in Africa fa parte di una più ampia strategia commerciale che
assegna un ruolo molto importante ai paesi in via di sviluppo: circa il 50% delle
esportazioni cinesi giungono in Asia, America Latina e Africa e oltre il 60% delle
sue importazioni provengono dalle stesse aree.
Il commercio bilaterale tra Cina e Africa ha un valore di circa 18 miliardi di
dollari all’anno, con un aumento quasi del 100% nel corso degli ultimi cinque
anni. E gli strateghi economici di Pechino sono sempre più incoraggiati dalle
nuove opportunità offerte dall’Africa. Il ministro cinese per il commercio estero e
la cooperazione economica considera l’Africa un fondamentale mercato di lungo
periodo per i beni di consumo a basso costo prodotti dalla Cina. Inoltre, Pechino
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assegna alta priorità alle opportunità di investimento nelle economie africane che
le compagnie cinesi potrebbero sfruttare, per esempio nel settore minerario, in
quello delle telecomunicazioni e in quello dell’edilizia. Lo sviluppo dei rapporti
economici è stato rafforzato da joint venture finanziate con prestiti cinesi. Ci sono
ora quasi settecento compagnie cinesi che operano in quarantanove paesi
africani. La maggior parte sono imprese commerciali, aziende industriali, società
di trasporti, aziende agricole o compagnie minerarie. Si prevede che nei prossimi
anni gli investimenti in Africa aumenteranno considerevolmente, in quanto le
aziende cinesi (molte delle quali sono statali e si avvantaggiano dei consigli e
delle risorse del governo) sembrano in grado di vincere la concorrenza degli
investitori stranieri. A giudicare dalle tendenze attuali, è possibile che il volume
dei commerci e degli investimenti cinesi supererà quello dei tradizionali legami
commerciali dell’Africa con le ex potenze coloniali di Inghilterra, Francia,
Germania, Belgio e Portogallo.
Il petrolio africano. La spettacolare crescita economica registrata dalla Cina a
partire dal 1979 non potrà essere mantenuta ancora a lungo se Pechino non riesce
a garantirsi una maggiore sicurezza di approvvigionamenti energ etici e di beni
primari. La ricerca globale di petrolio ha lo scopo specifico di “mettere sotto
chiave i barili” direttamente alla loro fonte. I cinesi non hanno alcuna intenzione
di rimanere ostaggio dei capricci del mercato internazionale del petrolio. Per
questo motivo stanno aumentando gli sforzi per acquistare azioni dei giacimenti
petroliferi africani o per stabilire solidi accordi che garantiscano loro l’accesso a
questi giacimenti . Lo sviluppo di nuove strategie per proteggere le proprie fonti
di approvigionamento petrolifero è una risposta alla sempre maggiore instabilità
del Medio Orient e.
Si prevede che in Cina il consumo annuale di petrolio raggiungerà i 300 milioni
di tonnellate entro il 2010, oltre metà delle quali dovranno essere importate. In
questo momento la metà delle importazioni cinesi di petrolio proviene dal Medio
Oriente. Pertanto, tre questioni fondamentali determineranno la futura politica
energetica della Cina: primo, un aumento delle importazioni dalla Russia (la
recente decisione russa di mutare il percorso di un oleodotto che Pechino aveva
sperato passasse attraverso la Cina ha provocato costernazione e qualche timore);
secondo, la creazione di una scorta nazionale o “riserva strategica” di petrolio;
terzo, una più rapida attivazione di fonti alternative di rifornimento (in tale
contesto, le riserve petrolifere african e dovrebbero assumere un ruolo di
crescente importanza per la strategia cinese).
Durante il suo viaggio in Africa nel febbraio del 2004, il presidente cinese Hu
Jintao ha richiamato l’attenzione sulla necessità di una più stretta e ampia
collaborazione fra Africa e Cina nella ricerca di giacimenti di gas e petrolio. La
visita di Hu in Algeria e Gabon, due importanti produttori di petrolio, è stata
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considerata una tappa essenziale del rinnovato impegno cinese per garantirsi il
rifornimento di fondamentali materie prime. In Gabon, Hu ha firmato un
accordo per la creazione di imprese comuni di estrazione, raffinazione ed
esportazione del petrolio. Grazie al contratto firmato tra la Total Gabon e la
Sinopec cinese il petrolio del Gabon comincerà ad arrivare in Cina. La
partecipazione della Cina nella sudanese Greater Nile Petroleum Operating
Company (che nel 1996 è stato il primo tassello delle operazioni petrolifere cinesi
in Africa), di cui possiede già il 40% delle azioni, sarà ulteriormente rafforzata
con l’apertura di nuovi giacimenti petroliferi nella regione a ovest di Karthoum.
Attualmente, la Cina è il maggiore importatore di petrolio sudanese e i
funzionari cinesi ritengono che il Sudan giungerà presto a soddisfare il 9% del
loro fabbisogno complessivo.
Con grande preoccupazione di Pechino, l’accordo di pace nella regione
meridionale del Sudan favorisce il ritorno delle compagnie petrolifere americane
non più ostacolate dalle sanzioni. Dato il crescente interesse degli Stati Uniti per
il petrolio africano (il 14% delle importazioni americane di petrolio proviene ora
dall’Africa, e si prevede che salirà al 25% nei prossimi anni), appaiono
immediatamente chiari i motivi di concorrenza e attrito fra Washington e
Pechino per l’accesso alle riserve del petrolio africano.