dignitas personae

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dignitas personae
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Studia
Moralia
Biannual Review
published by the Alphonsian Academy
Revista semestral
publicada por la Academia Alfonsiana
Rivista semestrale
pubblicata dall’Accademia Alfonsiana
47/2 • 2009
EDITIONES ACADEMIAE ALFONSIANAE
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Studia Moralia 47/2
Luglio -Dicembre 2009
CONTENTS / ÍNDICE / INDICE
In Memoriam
Cenni biografici del professore Santino Raponi . . . . . . . . . . . . .
a cura di Gabriel Witaszek
327
Pubblicazioni del professore Santino Raponi . . . . . . . . . . . . . . .
a cura di Adam Owczarski
329
Articles / Artículos / Articoli
Dignitas personae. Alcuni elementi di antropologia . . . . . . . . . . .
Luis F. Ladaria
Pourquoi le Magistère de l’Église est-il pour la vie?
Note en marge de l’Instruction Dignitas personae . . . . . . . . . .
Réal Tremblay
Dignitas personae. Logica della tecnologia e logica della persona
Giovanni Del Missier
339
355
361
La natura fluida. Le sfide dell’ibridazione, della transgenesi,
del transumanesimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Maurizio P. Faggioni
387
Tecniche di fecondazione artificiale. Aiuto o sostituzione
dell’atto coniugale? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Edmund Kowalski
437
Caritas in veritate. Il nesso tra carità e verità . . . . . . . . . . . . . . . .
Mauro Cozzoli
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CONTENTS / ÍNDICE / INDICE
Reviews / Recensiones / Recensioni
DIANIN GIAMPAOLO – PELLIZZARO GIUSEPPE (a cura di), La Famiglia nella cultura della provvisorietà (J. Silvio Botero G.) . . .
473
MEALEY ANN MARIE, The Identity of Christian Morality
(Terence Kennedy) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
475
MERLO PAOLO, Fondamenti e temi di bioetica (Edmund Kowalski)
479
MATTISON III, WILLIAM C., Introducing Moral Theology: True
Happiness and the Virtues (Dennis J. Billy) . . . . . . . . . . . . . . .
482
VANSINA FRANS D. in collaboration with VANDECASTEELE PIETER, Paul Ricoeur, Bibliographie primaire et secondaire. Primary
and Secondary Bibliography 1935-2008 (Martin McKeever)
486
International Conference / Congreso Internacional
Congresso Internazionale
La teologia morale e il dialogo interreligioso
Cronaca del Seminario estivo dell’Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale (ATISM) . . . . . . . . . . . . . . .
Franco Del Nin e Giovanni Del Missier
489
Chronicle / Crónica / Cronaca
Cronaca dell’Accademia Alfonsiana relativa all’Anno Accademico
2008-2009 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Danielle Gros
499
Books Received / Libros recibidos / Libri ricevuti . . . . . . . . . . .
531
Index of volume 47 (2009) / Índice del volumen 47 (2009) /
Indice del volume 47 (2009) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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In Memoriam
Professore SANTINO RAPONI, C.Ss.R.
1920-2008
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Cenni biografici
del professore Santino Raponi
a cura di Gabriel Witaszek, C.Ss.R.*
Padre Santino Raponi nacque a Caiamari, frazione del comune di
Monte San Giovanni Campano (FR), il 21 luglio 1920. Entrato nella
Congregazione del Santissimo Redentore, emise la professione religiosa il 29 settembre 1938. Venne ordinato sacerdote il 17 marzo
1945. Conseguì le licenze in Teologia all’Angelicum (Roma) nel 1948
e in Sacra Scrittura nel Pontificio Istituto Biblico (Roma) nel 1951, e
il diploma in Liturgia all’Anselmianum nel 1965. Fu professore di
Letteratura italiana e latina; di Sacra Scrittura; di Patrologia e di Liturgia nello Studentato di Cortona (AR) dal 1950 al 1967; di Morale
patristica all’Accademia Alfonsiana, dal 1971 al 2000, e al Teresianum
(Roma), dal 1981 al 1995. Nel XVII Capitolo Generale della Congregazione (1967) venne eletto Consultore Generale, e in tale veste
dette un valido contributo alla revisione delle Costituzioni dei Redentoristi. Morì a Frosinone l’8 ottobre 2008.
Il professore Raponi ha dedicato tutte le forze al bene della sua famiglia religiosa (la Provincia Romana), del suo Istituto e della Chiesa.
Era sempre pronto a mettere a disposizione di chi si rivolgeva a lui le
sue ampie conoscenze scientifiche, specialmente nel campo della Sacra Scrittura, della Patrologia e della Spiritualità redentorista. I vari libri e gli articoli scientifici da lui pubblicati continuano la sua preziosa
presenza accanto ai confratelli e agli alunni, e più in generale ai suoi
lettori. Fedele alla sua vocazione, ha vissuto il carisma redentorista
con la semplicità del tratto, la generosa disponibilità, l’intensa vita di
preghiera e il costante annuncio della sovrabbondante Redenzione.
* L’autore è professore straordinario di teologia biblica nell’Accademia Alfonsiana.
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Pubblicazioni
del professore Santino Raponi
a cura di Adam Owczarski, C.Ss.R.*
Libri
Tentazione ed esistenza cristiana. Il racconto sinottico della tentazione di
Gesù alla luce della storia della salvezza nella prima letteratura patristica (Teologia morale, oggi, 13), Ed. Paoline, Roma 1974, 227 p.
I Redentoristi oggi e domani. Nel 250° di fondazione, Redentoristi, Verona 1982, 66 p.
I Redentoristi oggi e domani, 2a ed. rivista ed ampliata, Editrice Frusinate, Frosinone 2003, 102 p.
• Trad. ceca:
Redemptoristé, dnes a zítra. 260 let od založení, trad. Otto Šárovec,
Stanislav Přibyl, České Budĕjovice, Svatá Hora 1992, 58 p.
Un Umanista del ’700 italiano: Alfonso M. de Liguori, Bettinelli, Verona 1992, 272 p. (coll. E. Marcelli).
Il Fratello Laico redentorista, s.e., Roma 1993, 43 p.
Il carisma dei Redentoristi nella Chiesa. Commento alle Costituzioni (Bibliotheca Historica Congregationis Ssmi Redemptoris, 15), Collegium S. Alfonsi de Urbe, Romae 1993, XV-397 p.
• Trad. spagnola:
El Carisma Redentorista en la Iglesia. Comentario a las Constituciones (Espiritualidad Redentorista, 1), traducción y adaptación
Noel LONDOÑO, Comisión de Espiritualidad CSsR, Editorial
Kimpres, Roma 1993, 263 p.
• Trad. francese:
Le Charisme Rédemptoriste dans l’Église. Commentaire des Constitutions, trad. Arsène Garnier, Province CSsR Lyon-Paris 1998,
104 p.
* L’autore è il direttore dell’Istituto Storico della Congregazione del Santissimo Redentore.
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PUBBLICAZIONI DEL PROFESSORE SANTINO RAPONI
• Trad. inglese:
The Charism of the Redemptorists in the Church. A Commentary on
the Costitutions, transl. by J. Robert Fenili, The Center for Redemptorist Spirituality, Rome 2003, 538 p.
Alla scuola dei Padri. Tra cristologia, antropologia e comportamento morale. Alcuni saggi (Quaestiones Morales, 11), Editiones Academiae
Alphonsianae, Roma 1998, 316 p.
Tre maestri di vita: commemorando e ringraziando [P. Lippert, B. Häring,
J. De la Torre], Accademia Alfonsiana, Roma 1998, 16 p.
Articoli e contributi
Da Bari ad Alessandria d’Egitto, in: Il Santissimo Redentore 31 (1953)
64-65.
Alessandria d’Egitto, in: Il Santissimo Redentore 31 (1953) 102-104.
Il Nilo e il suo paesaggio, in: Il Santissimo Redentore 31 (1953) 152-154,
179-180.
Le piramidi, in: Il Santissimo Redentore 31 (1953) 253-256.
Dall’Egitto ho richiamato mio Figlio, in: Il Santissimo Redentore 32 (1954)
55-57.
La grotta di Betlemme e la Basilica della Natività, in: Il Santissimo Redentore 32 (1954) 244-246.
Maria nei santuari palestinesi, in: Il Santissimo Redentore 32 (1954) 110114.
Maometto e S. Francesco guardiani di Cristo, in: Il Santissimo Redentore
32 (1954) 172-175.
Il S. Sepolcro a Gerusalemme, in: Il Santissimo Redentore 32 (1954) 80-82.
La grotta di Betlemme e la Basilica, in: Il Santissimo Redentore 33 (1955)
272-274.
Getsemani, in: Il Santissimo Redentore 33 (1955) 346-348, 402-404.
Il mistero di Betlemme, in: Il Santissimo Redentore 33 (1955) 510-514.
L’Epifania del Signore, in: Il Santissimo Redentore 35 (1956) 3-5.
Gerico, in: Dizionario Biblico, diretto da Francesco SPADAFORA, Editrice Studium, Roma 21957, 265-266.
Itala, in: Dizionario Biblico, diretto da Francesco SPADAFORA, Editrice
Studium, Roma 21957, 351.
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Ladroni (I due), in: Dizionario Biblico, diretto da Francesco SPADAFORA, Editrice Studium, Roma 21957, 354.
Magi, in: Dizionario Biblico, diretto da Francesco SPADAFORA, Editrice Studium, Roma 21957, 373-374.
Mondo, in: Dizionario Biblico, diretto da Francesco SPADAFORA, Editrice Studium, Roma 21957, 408-409.
Proselita, in: Dizionario Biblico, diretto da Francesco SPADAFORA, Editrice Studium, Roma 21957, 483-484.
Pubblicani, in: Dizionario Biblico, diretto da Francesco SPADAFORA,
Editrice Studium, Roma 21957, 486-487.
Tenda, in: Dizionario Biblico, diretto da Francesco SPADAFORA, Editrice Studium, Roma 21957, 574-575.
Il matrimonio, in: Protestantesimo di ieri e di oggi, a cura di A. PIOLANTI, Libreria Editrice Religiosa F. Ferrari, Roma 1958, 1177-1192.
Rom. 5,12-21 e il peccato originale, in: Divinitas 3 (1958) 520-559.
• Estratto: Rom. 5,12-21 e il peccato originale, Pontificia Accademia
Teologica Romana, Roma 1958, 40 p.
Bibbia e ambiente biblico, in: L’Osservatore Romano 31.05.1962, 5.
La dottrina del peccato in San Paolo, in: La Catechesi con San Paolo (Verba
vitae), vol. 2, Tipografia Editrice Trevigiana, Treviso 1963, 25-76.
L’elezione nella Nuova Alleanza, in: Rivista delle Religiose 14 (1965) 472479.
I fondamenti biblici della vita religiosa, in: Rivista delle Religiose 14 (l965)
20-31.
La piena rivelazione della vocazione nella Nuova Alleanza, in: Rivista delle Religiose 14 (1965) 208-213.
La vocazione nella teologia paolina, in: Rivista delle Religiose 14 (1965)
277-282.
La vocazione religiosa alla luce della Bibbia, in: Rivista delle Religiose 14
(1965) 79-86.
Il tema biblico dell’elezione, in: Rivista delle Religiose 14 (1965) 345-351.
Eletti in Cristo e nella Chiesa, in: Rivista delle Religiose 14 (1965) 605-611.
L’unità della Chiesa contemplata nella sua fonte trinitaria, in: Ecclesia Mater 12 (1974) 17-27.
La Chiesa, popolo di Dio, in: Ecclesia Mater 12 (1974) 70-80.
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PUBBLICAZIONI DEL PROFESSORE SANTINO RAPONI
Consacrazione e servizio, o consacrazione è servizio? (Interrogativo per la religiosa di oggi). Relazione dottrinale all’ottavo Convegno Nazionale
Segreterie F.I.R., Napoli 7-10 maggio 1974, Napoli 1974, 13-39.
I laici e il Concilio Vaticano II, in: Ecclesia Mater 12 (1974) 138-147.
La Madonna nel Vaticano II, in: Ecclesia Mater 12 (1974) 222-227.
Comportamento morale e verità cristiana negli Apologisti del II secolo (I),
in: StMor 18 (1980) 223-244; (II), 19 (1981) 19-49.
• Anche in: Santino RAPONI, Alla scuola dei Padri. Tra cristologia, antropologia e comportamento morale. Alcuni saggi (Quaestiones Morales, 11), Editiones Academiae Alphonsianae, Roma 1998, 9-67.
Carne, in: Dizionario di Spiritualità dei laici 1 (1981) 91-97.
Demonio, in: Dizionario di Spiritualità dei laici, ed. Ermanno ANCILLI,
vol. 1, Edizioni O.R., Milano 1981, 201-206.
Peccato, in: Dizionario di Spiritualità dei laici, ed. Ermanno ANCILLI,
vol. 2, Edizioni O.R., Milano 1981, 116-129.
Gli Operatori della missione popolare, in: Missioni al popolo per gli anni
’80. Atti del I Convegno Nazionale, Roma 2-7 febbraio 1981, a
cura di P.G. NESTI e P.G. PESCE, Ed. Antonianum, Roma 1981,
159-203.
Il tema dell’immagine-somiglianza nell’antropologia dei Padri, in: Temi di
antropologia teologica, coordinati e diretti da Ermanno ANCILLI,
(Studia theologica Teresianum, 1), Teresianum, Roma 1981, 241341.
• Anche in: Santino RAPONI, Alla scuola dei Padri. Tra cristologia,
antropologia e comportamento morale. Alcuni saggi (Quaestiones
Morales, 11), Editiones Academiae Alphonsianae, Roma 1998,
69-193.
Tentazione, in: Dizionario di Spiritualità dei laici 2 (1981) 331-338.
Anche in: Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane 2 (1983)
3363-3369.
• Trad. francese:
Tentation, in: Dictionnaire Encyclopédique du Christianisme Ancien
2 (1990) 2384-2389.
• Trad. spagnola:
Tentación, in: Diccionario Patristico y de la Antigüedad Cristiana 2
(1992) 2065-2069.
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Cristo tentato e il cristiano. La lezione dei Padri, in: StMor 21 (1983)
209-237.
• Anche in: Santino RAPONI, Alla scuola dei Padri. Tra cristologia,
antropologia e comportamento morale. Alcuni saggi (Quaestiones
Morales, 11), Editiones Academiae Alphonsianae, Roma 1998,
195-227.
Il religioso Fratello redentorista, in: Il Fratello religioso nella comunità ecclesiale oggi. Atti del I Convegno Intercongregazionale, Roma 1823 aprile 1982: «La vocazione religiosa del Fratello negli istituti
clericali», a cura di Fernando TACCONE, Edizioni CIPI, Roma
1983, 229-266.
Tobia, una famiglia esemplare, in: Segno 43 (1983) 73-79.
Alfonso De Liguori. Il santo del secolo dei lumi. A proposito della nuova biografia del P. Th. Rey-Mermet, in: Rivista di Vita Spirituale 38 (1984)
383-389.
Formazione storica delle Costituzioni rinnovate della Congregazione del
Santissimo Redentore (1967-1982), in: Spicilegium Historicum Congregationis SSmi Redemptoris 32 (1984) 353-400.
Il ruolo profetico della comunità religiosa, in: Problemi e prospettive dell’evangelizzazione in Sicilia – I padri redentoristi nel 250° anno di fondazione della Congregazione (1732-1982), Padri Redentoristi, Palermo 1984, 117-138.
Rut e Booz, o della benevolenza, in: Segno 48-49 (1984) 79-87.
Giona, la paura dell’amore, in: Segno 50 (1984) 63-69.
S. Alfonso M. de Liguori maestro di vita cristiana, in: Le Grandi scuole
della spiritualità cristiana, a cura di Ermanno ANCILLI, Edizioni
O.R., Roma-Milano 1984, 621-651.
Convegno di studi all’Accademia Alfonsiana sul «nuovo» in teologia morale, in: StMor 23 (1985) 297-305.
Categorie-chiave nelle Costituzioni rinnovate CSsR, in: Spicilegium Historicum Congregationis SSmi Redemptoris 34 (1986) 31-89.
• Trad. portoghese:
Categorias-Chaves nas Constituições renovadas da CSsR, in: Espiritualidade redentorista (Textos, 3), União dos Redentoristas do
Brasil, Editora Santuário, Aparecida, SP 1992, 65-104.
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Attualizzazione del pensiero di s. Alfonso soprattutto in merito all’attività
pastorale a carattere popolare e alla chiamata di tutti alla santità, in:
StMor 25 (1987) 327-358.
La comunità apostolica (redentorista) dedicata a Cristo Redentore nelle Costituzioni rinnovate, in: Spicilegium Historicum Congregationis SSmi
Redemptoris 35 (1987) 339-359.
• Trad portoghese:
A comunidade apostólica (redentorista) dedicada a Cristo Redentor nas
Constituições renovadas, in: Espiritualidade redentorista (Textos, 3),
União dos Redentoristas do Brasil, Editora Santuário, Aparecida, SP 1992, 157-173.
L’opera missionaria della Congregazione del SS. Redentore nelle Costituzioni rinnovate, in: Spicilegium Historicum Congregationis SSmi Redemptoris 35 (1987) 3-51.
• Trad. portoghese:
A obra missionária da Congregação do Santíssimo Redentor nas Constituições renovadas, in: Espiritualidade redentorista (Textos, 3),
União dos Redentoristas do Brasil, Editora Santuário, Aparecida, SP 1992, 105-138.
La comunità apostolica redentorista nelle Costituzioni rinnovate, in: Spicilegium Historicum Congregationis SSmi Redemptoris 35 (1987) 311337.
Interacción, apostolado y vida religiosa. El punto de vista de San Alfonso, in:
Confer 103 (1988) 471-483.
Messaggio alfonsiano, in: Ermelindo MASONE, Alfonso AMARANTE
(ed.), S. Alfonso de Liguori e la sua opera. Testimonianze bibliografiche,
Edizioni Centro Associazioni Redentoriste (Pagani), Napoli 1988,
187-191. Tratto dal libro: I Redentoristi oggi e domani. Nel 250° di
fondazione, 2a ed., Bussolengo 1982, 7-18.
An Introduction to the Study of the Renewed Constitutions and Statutes of
the Congregation of the Most Holy Redeemer, in: Readings in Redemptorist Spirituality, I, [Edited by the] Permanent Commission for
Redemptorist Spirituality, English Edition, [Roma, Curia Generalitia CSsR, 1988], 13-39.
Ribera Emmanuel, rédemptoriste, 1811-1874, in: Dictionnaire de spiritualité ascétique et mistique 13 (1988) 532-534.
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Scuole di spiritualità. 4. La s. di s. alfonsiana in: Dizionario degli Istituti
di Perfezione, diretto da Guerrino PELLICCIA e da Giancarlo ROCCA, vol. 8, Edizioni Paoline, Roma 1988, 1216-1218.
La formazione dei congregati e il governo della comunità apostolica, in:
Spicilegium Historicum Congregationis SSmi Redemptoris 38 (1990)
249-334.
• Trad. portoghese:
A formação dos congregados, in: Espiritualidade redentorista (Textos,
4), União dos Redentoristas do Brasil, Editora Santuário, Aparecida (SP) 1992, 185-196.
Integrazione fra apostolato e vita religiosa. Il punto di vista di S. Alfonso,
in: Vita Consacrata 25 (1990) 176-186.
Key concepts in the Renewed Constitutions of the CSsR, in: Readings in Redemptorist Spirituality, III, [Ed. by the] Permanent Commission
for Redemptorist Spirituality, English Edition, [Rome, Curia Generalitia CSsR, 1990], 81-135.
The missionary work of the CSsR in the Renewed Constitutions, in: Readings in Redemptorist Spirituality, III, [Ed. by the] Permanent Commission for Redemptorist Spirituality, English Edition, [Roma,
Curia Generalitia CSsR, 1990], 136-171.
The Redemptorist Apostolic Community in the Renewed Constitutions
(Chapter II), in: Readings in Redemptorist Spirituality, III, [Ed. by
the] Permanent Commission for Redemptorist Spirituality, English Edition, [Roma, Curia Generalitia CSsR, 1990], 172-192.
The Redemptorist Apostolic Community in the Renewed Constitutions
(Chapter II), in: Readings in Redemptorist Spirituality, III, [Ed. by
the] Permanent Commission for Redemptorist Spirituality, English Edition, [Roma, Curia Generalitia CSsR, 1990], 193-206.
Direttorio, scuola di spiritualità e spiritualità redentorista, in: Spicilegium
Historicum Congregationis SSmi Redemptoris 39 (1991) 187-245.
Formation of the Apostolic Community. A Commentary on Chapter IV of
the Constitutions and Statutes of the CSsR, in: Readings in Redemptorist Spirituality, IV, [Ed. by the] Permanent Commission for Redemptorist Spirituality, English Edition, [Roma, Curia Generalitia CSsR, 1991], 146-159.
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PUBBLICAZIONI DEL PROFESSORE SANTINO RAPONI
Government of the Apostolic Community. A Commentary on Chapter V of
the Constitutions and Statutes of the CSsR, in: Readings in Redemptorist Spirituality, IV, [Ed. by the] Permanent Commission for Redemptorist Spirituality, English Edition, [Roma, Curia Generalitia CSsR, 1991], 160-215.
I Fratelli laici redentoristi al tempo di S. Gerardo, in: San Gerardo tra spiritualità e storia. Atti del convegno nel I Centenario della beatificazione del Santo (Materdomini 24-26 giugno 1993), (Contributi Gerardini, 10), Valsele Tipografica, Materdomini (AV) 1993, 23-75.
I fratelli laici Redentoristi delle origini, in: Spicilegium Historicum Congregationis SSmi Redemptoris 42 (1994) 105-148.
Decalogo e vita cristiana, in: StMor 32 (1994) 93-120.
Anche in: Santino RAPONI, Alla scuola dei Padri. Tra cristologia, antropologia e comportamento morale. Alcuni saggi (Quaestiones Morales, 11), Editiones Academiae Alphonsianae, Roma 1998, 229-255.
Il cristocentrismo della vita cristiana negli insegnamenti dei Padri Apostolici, in: StMor 33 (1995) 211-234.
Anche in: Santino RAPONI, Alla scuola dei Padri. Tra cristologia, antropologia e comportamento morale. Alcuni saggi (Quaestiones Morales, 11), Editiones Academiae Alphonsianae, Roma 1998, 257279.
Las Constituciones como libro de vida, in: Ser redentorista hoy. Testimonios
sobre el Carisma (Espiritualidad Redentorista, 11), Comisión de
Espiritualidad CSsR, Editorial Kimpres, Roma 1996, 115-130.
• Trad. francese:
Les Constitutions comme livre de vie, in: Etre rédemptoriste aujourd’hui. Témoignages sur le charisme (Spiritualité rédemptoriste,
11), L’Apôtre du Foyer, Saint-Etienne 1996, 107-120.
• Trad. inglese:
The Constitutions: a Book of Life, in: To be a Redemptorist today. Reflections on the Redemptorist Charisma, Noel LONDOÑO (ed.), Liguori Publications, Liguori, Missouri 1996, 99-112.
• Trad. portoghese:
As Constituições como livro de vida, in: Ser Redentorista hoje. Testemunhos sobre o carisma (Espiritualidade Redentorista, 7), União
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PUBBLICAZIONI DEL PROFESSORE SANTINO RAPONI
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dos Redentoristas do Brasil. Gráfica e Editora Redentorista,
Goiânia-Goiás 1996, 119-133.
• Trad. tedesca:
Die Konstitutionen als Buch des Lebens, in: Heute Redemptorist zu
sein. Zeugnisse eines Charismas, hrsg. von Noel LONDOÑO, deutsche Ausgabe hrsg. von Josef SCHMITZ, Hofbauer-Verlag, Bonn
1997, 105-119.
La spiritualità redentorista delle origini, in: Spicilegium Historicum Congregationis SSmi Redemptoris 44 (1996) 419-498.
• Trad. portoghese:
A espiritualidade redentorista das origens (Cadernos Redentoristas,
13). Trad. Ivo Montanhese, CERESP – Centro Redentorista de
Espiritualidade: Editora Santuário, Aparecida-SP 1999, 96 p.
Cristo Gesù compimento delle attese dell’umanità in s. Ireneo di Lione,
in: Gesù Cristo Unico Salvatore del mondo, Teresianum, Roma 1997,
29-48.
• Anche in: Santino RAPONI, Alla scuola dei Padri. Tra cristologia,
antropologia e comportamento morale. Alcuni saggi (Quaestiones
Morales, 11), Editiones Academiae Alphonsianae, Roma 1998,
281-302.
La chiamata universale alla santità in s. Alfonso. Il caso delle donne sposate, in: Spicilegium Historicum Congregationis SSmi Redemptoris 45
(1997) 169-204.
• Anche in: La recezione del pensiero alfonsiano nella Chiesa. Atti del
Congresso in occasione del terzo centenario della nascita di S.
Alfonso Maria de Liguori, Roma 5-7 marzo 1997 (Bibliotheca
Historica Congregationis SSmi Redemptoris, 18), Collegium S.
Alfonsi de Urbe, Romae 1998, 169-204.
Il Mistero di Maria Corredentrice in sant’Alfonso Maria De’ Liguori, in:
Maria Corredentrice: Storia e Teologia (Bibliotheca Corredemotionis B.V. Mariae. Sudi e ricerche, 3), vol. 3, Casa Mariana Editrice,
Frigento (AV) 2000, 109-136.
La spiritualità missionaria della Congregazione, in: S. Alfonso torna a Roma, a cura dei Redentoristi della Provincia Romana, Valsele Tipografica, Materdomini (AV) 2000, 50-63.
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PUBBLICAZIONI DEL PROFESSORE SANTINO RAPONI
Il «Padre Nostro» nella catechesi patristica, in: Credo in Dio Padre onnipotente e misericordioso. Con la Chiave verso il Giubileo dell’Anno Duemila (Quaderni di Spiritualità Francescana, 21), Tipografia Pegaso, Firenze 2000, 55-88.
I Fratelli laici redentoristi delle origini. Alcuni medaglioni, in: Spicilegium
Historicum Congregationis SSmi Redemptoris 49 (2001) 411-437.
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DIGNITAS PERSONAE
Alcuni elementi di antropologia
Luis F. Ladaria, SJ*
1. Il riconoscimento della dignità della persona umana
Lasciando a coloro che sono più competenti ed esperti di me il
compito di illustrare gli aspetti concreti e i diversi problemi etici cui
l’Istruzione fa riferimento, mi limito a presentare alcuni presupposti
e alcuni principi fondamentali dell’antropologia teologica che si trovano alla base del documento e ai quali esso esplicitamente in certi
momenti si richiama. Cerchiamo dunque di estrarre dal documento
stesso alcuni di questi principi basilari.
D’importanza decisiva per la retta comprensione di quanto si indica nell’Istruzione è l’affermazione con la quale essa si apre: «Ad
ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale, va riconosciuta la dignità di persona» (1, 1).
Ogni essere umano: dunque, senza distinzione di alcun tipo, di
sesso, razza, condizione, salute o malattia, nelle più diverse circostanze in cui esso si può trovare. La dignità che va riconosciuta ad
ogni essere umano non dipende dalla situazione in cui esso si trova.
Dal concepimento alla morte naturale. È una precisazione a quanto si è detto prima. Di per sé, non sarebbe forse necessaria, poiché, se
si parla di ogni essere umano, non sarebbe necessario dare degli ulteriori chiarimenti. Però ci sarà un facile accordo nell’apprezzare l’e* Secretary of the Congregation for the Doctrine of the Faith.
* Secretario de la Congregaciòn para la Doctrina de la Fe.
Il presente articolo riprende la relazione svolta in occasione della giornata di
studio Dignitas personae. Per una bioetica umana, tenutasi presso l’aula magna dell’Accademia Alfonsiana (Roma, 28 aprile 2009).
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strema utilità di questa indicazione nel nostro contesto concreto: «dal
concepimento»: infatti, si propone qui in termini inequivocabili la dignità del nascituro, e dunque il fatto che nessuna istanza umana può
disporre della vita e dell’integrità fisica di questo essere umano al quale va riconosciuta la piena dignità. È evidente che l’aborto provocato
e tante altre pratiche presuppongono che questa dignità non è riconosciuta. «Fino alla morte naturale», come termine della vita umana,
che non si dovrebbe trovare nemmeno esso sottomesso alle decisioni
di nessuna potestà umana. Si apre qui, come è ben noto, il problema
dell’eutanasia, sul quale direttamente l’Istruzione non tratterà perché
è stato già affrontato in altri documenti1. Non è necessario quindi affrontarlo in questa sede. È sufficiente menzionarlo. In ogni modo l’indisponibilità della vita umana da parte di qualsiasi istanza umana, anche da parte del proprio interessato, è chiaramente affermata.
«Va riconosciuta». Bisogna dare a questa parola tutto il suo valore
e il suo significato. La dignità dell’uomo, che corrisponde al suo essere personale non è una creazione né è una concessione dello Stato, né
di nessuna autorità umana, nemmeno della Chiesa. Questa dignità è
un dono di Dio dal quale abbiamo ricevuto il nostro essere, è dunque
previa a qualsiasi autorità o intervento umano. La dignità personale
dell’uomo va dunque riconosciuta, è un dono di Dio creatore e salvatore. È una dignità che corrisponde a tutti gli uomini e a tutto l’uomo,
perché tutti sono stati creati da Dio a sua immagine e somiglianza e
tutti sono stati redenti da Cristo. L’importanza che Dio attribuisce all’essere umano è evidente per i cristiani per il fatto dell’incarnazione e
di tutta la vita di Cristo. Ma la sacralità della vita umana si trova anche
riconosciuta dalla stragrande maggioranza delle tradizioni religiose ed
appartiene senza dubbio a quei contenuti della legge morale naturale
accessibili a tutti gli uomini a partire da un retto uso della ragione.
«La dignità di persona». Qui ci dobbiamo soffermare un po’ di
più poiché questo concetto riappare diverse volte. Citando l’Istruzio-
1
Cfr. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Declaratio de Eutanasia, Iura et Bona (CDF, Documenta, 157-163); GIOVANNI PAOLO II, Evangelium
vitae, 64-67.
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ne Donum vitae I, 1 la presente Istruzione ribadisce che «l’essere
umano va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento, e pertanto da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di
ogni essere umano innocente alla vita» (n. 4)2. Si ribadisce che una
tale affermazione dovrebbe essere riconosciuta da tutti come appartenente alla legge morale naturale e che dovrebbe essere alla base di
ogni ordinamento giuridico positivo. Purtroppo sappiamo bene che
non è sempre così. Anche se questa verità non è riconosciuta da molti, la Chiesa ha il dovere di continuare a proclamarla con tutta chiarezza e senza ambiguità per essere fedele alla sua missione.
Si parla di dignità della persona, dei diritti della persona, che devono essere riconosciuti all’essere umano a partire dal primo momento della sua esistenza3. Per evitare di dover entrare in definizioni filosofiche e in discussioni che possono creare difficoltà, sia già nel
1987 nell’Istruzione Donum vitae, come adesso nel 2008, si evita di
entrare in questo ambito di problemi, che può far sorgere dei malintesi. Infatti, spesso si parla della persona come di quell’essere che è
dotato di ragione e di libera volontà, in modo tale che sia investito
della responsabilità dei suoi atti4. Naturalmente questo si riferisce alla persona che è in grado di esercitare tutte le sue facoltà, ma non
vuol dire che questo esercizio sia parte integrante della definizione
stessa. D’altra parte ci può essere anche differenza rispetto al tipo di
2
3
Citazione di Donum vitae I, 1.
Cioè, “a partire dal costituirsi dello zigote”, n. 4, citazione di Donum vitae
I, 1.
4
Anche una persona di buona volontà potrebbe arguire in questo senso a
partire del Vaticano II, dich. Dignitatis humanae, (sulla libertà religiosa), 2: «A
motivo della loro dignità tutti gli essere umani, in quanto sono persone, dotate
cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti da personali responsabilità,
sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità...».
Evidentemente il testo non cerca di definire la persona, piuttosto costata che
tutti gli esseri umani sono persone e dunque dotati di queste facoltà distintive.
Non dice che soltanto coloro che possono effettivamente fare uso di queste facoltà sono persone.
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diritti civili (per esempio patrimoniali) riconosciuti al nascituro secondo i diversi ordinamenti giuridici e, in quale senso egli venga riconosciuto come “persona” da questo concreto punto di vista. Si
comprende dunque che si eviti una definizione. D’altra parte ciò che
si dice, quando si parla della persona umana e della sua dignità si può
capire da parte di tutti in questo senso generale. Perciò l’Istruzione,
più che tentare di definire e più che insistere sulle caratteristiche della persona umana che è arrivata al pieno sviluppo, parla della continuità dell’essere umano appunto nelle diverse fasi di questo sviluppo.
Dice così il testo: «Anche se la presenza di un’anima spirituale non
può essere rilevata dall’osservazione di nessun dato sperimentale, sono le stesse conclusioni della scienza sull’embrione umano a fornire
un’indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza
personale fin da questo comparire di una vita umana: come un individuo umano non sarebbe una persona umana?»5. «La realtà dell’essere umano, infatti, per tutto il corso della sua vita, prima e dopo la
nascita, non consente di affermare né un cambiamento di natura né
una gradualità di valore morale, poiché possiede una piena qualificazione antropologica ed etica. L’embrione umano, quindi, ha fin dell’inizio la dignità propria della persona»6.
C’è una continuità nei diversi momenti dello sviluppo di un essere umano. Non ci sono dei “salti” che portino con se mutazione sostanziali. Così si indica anche nell’Istruzione: «Il corpo embrionale si
sviluppa progressivamente secondo un ‘programma’ ben definito e
con un proprio fine che si manifesta con la nascita di ogni bambino»7. Senza entrare dunque nelle definizioni filosofiche che potrebbero dar luogo a interminabili discussioni, nel sottolineare la continuità nello sviluppo progressivo dell’essere umano si vede la ragione
decisiva per affermare che questi, in tutti gli stadi della sua vita, ha
sempre la stessa dignità, la dignità che corrisponde alla “persona”,
che è propria ed esclusiva di essa.
5
Donum vitae, I, 1.
Dignitas personae, 5.
7 Ib. 4.
6
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Il tema ci porta ad una breve riflessione teologica su questo importante concetto. Sappiamo bene che, con precedenti vari in ambito greco-latino, il concetto di persona si è sviluppato sopratutto a
partire dalla e nella tradizione cristiana. Incominciò usarsi nei primi
secoli della Chiesa nell’ambito trinitario, e difficilmente potremmo
minimizzare la portata storica di questo fatto. Il concetto ha offerto
lo strumento per affermare la divinità piena di Gesú, il Figlio, e dello Spirito mantenendo allo stesso tempo il monoteismo che la Chiesa ha ereditato dal popolo d’Israele e dall’Antico Testamento, ma
dando a questa antica verità un senso nuovo e molto più profondo.
Ha permesso poi di affermare la retta fede cristologica, nell’accentuare che la misteriosa unione della divinità e dell’umanità ha avuto
luogo proprio nella persona del Figlio, e che dunque l’umanità è stata assunta nella persona, nell’ipostasi del Verbo. C’è dunque in Gesù
una sola persona. La comprensione della soteriologia cristiana derivante da questa visione cristologica è stata di importanza fondamentale. Gesù il nostro Salvatore è il Figlio unigenito di Dio, fattosi uomo nell’adempimento dei disegni del Padre Egli è veramente Dio
con noi, che condivide la nostra umanità, provato in tutto come noi
eccetto nel peccato (Eb 4, 12; concilio di Calcedonia, DH 301). Nella approssimazione ai misteri fondamentali della fede cristiana il concetto di persona è stato ed è tuttora decisivo.
Dalla teologia il concetto è passato all’antropologia. Quando parliamo di Dio come persona, anzi di un solo Dio in tre persone, e dell’uomo come persona si sottolinea evidentemente la differenza, e la
dissomiglianza, ma nel retto uso dell’analogia si vede che fra Dio e
l’uomo, nella più grande diversità, c’è comunque qualche punto di
contatto. L’uomo è stato creato a immagine di Dio, e questa verità, conosciuta fin dall’inizio, ha acquistato in Cristo, l’imago Dei per eccellenza un contenuto concreto. Cristo è persona nella sua relazione al
Padre, egli è il Figlio unigenito, gli uomini sono chiamati a diventare
in lui anche figli di Dio. Nello Spirito di Gesù possiamo gridare Abbà
Padre (Rm 8, 15; Gal 4, 6), come ci ha insegnato lo stesso Gesù nella
preghiera cristiana per eccellenza (Mt 6, 9-13; Lc 11, 2-4). La dignità
personale dell’uomo, come la sacralità della vita umana, ha a che fare
per i cristiani non soltanto con la creazione, ma anche con la vocazio-
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ne di ogni uomo in Cristo, con la chiamata alla comunione con la vita
divina, a partecipare nell’eterno scambio di amore che è la vita delle tre
“persone” della Trinità. La vocazione dell’uomo è una sola, quella divina, ci insegna il concilio Vaticano II (GS 22; 24; NA 1). E questa vocazione si trova insita in ogni essere umano fin dal momento della sua
concezione, nessuno è privo di questa chiamata, non esiste indipendentemente da essa, da essa deriva per noi cristiani ciò che chiamiamo
l’irripetibilità personale, il fatto che nessuno di noi può essere considerato semplicemente un numero. Dio chiama ciascuno per nome, non
ci guarda soltanto come individui del genere umano. Siamo, appunto,
“persone”. La dignità della persona è in relazione profonda con le caratteristiche uniche e irripetibili di ogni singolo essere umano chiamato a sviluppare la sua vita nella relazione con Dio e con gli altri; cioè,
nella relazione di filiazione rispetto al Padre con la mediazione di Gesù Cristo, il Figlio incarnato, e grazie al dono dello Spirito Santo; e
nella relazione di fraternità con tutti gli uomini chiamati a incorporarsi a Cristo che non si è vergognato di chiamarci fratelli (Eb 2, 11-12.
17). Inoltre, ci ha indicato che lui stesso è destinatario di quanto facciamo o non facciamo verso i piccoli e i sofferenti (Mt 25, 31-46). Come ricorda l’Istruzione, l’uomo possiede una vocazione eterna, ed è
chiamato a condividere l’amore trinitario del Dio vivente8.
Senza nulla togliere ad altre considerazioni, la dignità personale
dell’uomo, dal punto di vista cristiano, viene da queste convinzioni di
fede che la teologia ha illuminato. A questo tema accenna l’Istruzione quando afferma: «È convinzione della Chiesa che ciò che è umano non solamente è accolto e rispettato dalla fede, ma da essa è anche
purificato, innalzato e perfezionato. Dio, dopo aver creato l’uomo a
sua immagine e somiglianza (Gen 1, 26), ha qualificato la sua creatura come “molto buona” (Gen 1, 31) per poi assumerla nel Figlio (Gv
1, 14). Il Figlio di Dio nel mistero dell’Incarnazione ha confermato
8
Cfr. Dignitas personae, 8. Il testo prosegue indicando che l’essere umano deve essere rispettato per il solo fatto di esistere, e che dunque sono da escludere
tutti i criteri di discriminazione in base allo sviluppo biologico, psicologico e fisico.
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la dignità del corpo e dell’anima costitutivi dell’essere umano. Il Cristo non ha disdegnato la corporeità umana, ma ne ha svelato pienamente il significato e il valore: “In realtà solamente nel mistero del
Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo9”»10.
Si mette in risalto anche il fatto che i diversi modi secondo i quali
Dio si prende cura del mondo e degli uomini, in concreto la creazione
e la salvezza, non si escludono, ma si sostengono a vicenda11. Il disegno
amoroso di Dio, già prima della creazione del mondo, contempla l’elezione di tutti in Cristo (Ef 1, 3), la ricapitolazione di tutto in lui (Ef
1, 10); tutti gli uomini sono stati predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio di Dio, il Figlio unigenito, in modo che egli sia il primogenito fra molti fratelli (Rm 8, 29). L’insegnamento neotestamentario della creazione in Cristo (Col 1, 16) rivela questo rapporto intimo
fra creazione e salvezza, che senza confondere i due momenti, li vede
inseriti nell’unico disegno amoroso di Dio. La dignità della creatura,
che la ragione può già riconoscere e riconosce di fatto in tanti ambiti,
riceve alla luce della fede una nuova significazione che non toglie nulla alla dignità creaturale, ma la conferma e la rende più solida.
Ecco il perché del titolo, ben significativo, dell’Istruzione, Dignitas personae, la dignità della persona che va sempre riconosciuta e rispettata e che è precedente a ogni potere umano.
2. La dignità della trasmissione della vita
Ma l’Istruzione non si occupa soltanto della dignità della persona
umana. Tratta anche un altro aspetto intimamente legato ad essa, e
cioè la dignità della procreazione, del modo con cui gli esseri umani
vengono all’esistenza. Alla dignità della persona umana corrisponde
9
VATICANO II, GS 22. Questo insegnamento del Concilio è in relazione intima con l’idea che Cristo è “l’uomo perfetto” (cfr. ibidem). e anche ibidem 41:
“Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più uomo”.
10 Dignitas personae, 7.
11 Cfr. ibidem.
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un modo di venire al mondo degno dell’uomo e della sua vocazione.
L’Istruzione ribadisce l’insegnamento tradizionale della Chiesa, contestato in certi ambienti per le diverse possibilità aperte dalle nuove
tecnologie biomediche, e cioè, che l’origine della vita umana trova il
suo contesto naturale e corrispondente alla dignità dell’uomo stesso
soltanto nell’ambito del matrimonio e della famiglia. Qualsiasi altro
contesto non sarebbe adatto alla grandezza e al valore della generazione umana. Ribadendo quanto è stato già detto nella Donum vitae
si afferma che «una procreazione veramente responsabile nei confronti del nascituro deve essere il frutto del matrimonio»12.
Non è difficile capire il perché di questa affermazione. Tutta la
creazione e specialmente la creazione dell’uomo e della donna sono
il frutto dell’amore di Dio. Dio ha creato soltanto per amore, non per
costrizione o necessità, ma nella suprema libertà che solo l’amore
può garantire. È dottrina teologica comune che la creazione scaturisce dalle processioni divine come una sorte di prolungamento di esse. Bisogna però precisare bene il senso di questa relazione. La vita
divina, eterno scambio di amore (CCC 221), ha il suo principio nel
Padre che genera il Figlio e dal quale procede anche principaliter lo
Spirito Santo13. Queste divine processioni, appartengono all’essere
divino e in questo senso non potrebbero non avvenire. Va da sé che
si deve escludere in Dio ogni sorta di costrizione; perciò la tradizione della Chiesa ci insegna che il Padre non genera il Figlio né per necessità né per volontà, ma per natura (DH 71; 526). Non avrebbe
senso contrapporre in Dio libertà e necessità. Ma a partire da queste
processioni, già in modo totalmente libero e non necessario (DH
3002; 3025), scaturisce la creazione del mondo e dell’uomo14. C’è
un’intima relazione, pur nella grande differenza e, voglio insistere su
questo punto per evitare ogni equivoco, sempre con la totale libertà
divina, fra la Trinità e la creazione. È nell’amore trinitario che essa
trova il suo principio e la sua sorgente. Se questo vale per tutta la
12
Dignitas personae, 6; cfr. Donum vitae. II A,1.
Cfr. S. AGOSTINO, de Trin. XV 17,29; 26,47 (CCL 50, 503-504.528).
14 Cfr. S. TOMMASO D’AQUINO, In I Sent., prol; STh I 45,7.
13
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creazione, vale in modo molto speciale per l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, che è, ci ricorda il concilio Vaticano II,
l’unica creatura sulla terra che Dio abbia voluto per sè stessa e perciò
non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di
sè15. L’essere umano non può essere dunque mai un mezzo per raggiungere altri scopi. Questo è un principio fondamentale dell’antropologia teologica e della morale che dà il senso ed è alla base di molte delle affermazioni concrete dell’Istruzione.
Se Dio crea per amore, se l’uomo è l’oggetto del tutto speciale
dell’amore di Dio, soltanto la donazione amorosa dell’uomo e della
donna nel matrimonio è il modo degno di trasmettere la vita. In questo atto di trasmettere la vita gli sposi sono in un modo molto speciale cooperatori del Creatore. Così si esprimeva il concilio Vaticano
II: «Dio [...] volendo comunicare all’uomo una speciale partecipazione nella sua opera creatrice benedisse l’uomo e la donna, dicendo loro: “crescete e moltiplicatevi” (Gen 1, 28) [...] Nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla, che deve essere considerato come la loro propria missione, sappiano i coniugi di essere cooperatori
dell’amore di Dio Creatore e come i loro interpreti»16. Il Concilio
mette in risalto, come si vede, la cooperazione alla creazione con speciale menzione dell’amore divino. Soltanto nell’amore mutuo, riflesso sempre dell’amore divino, nella donazione mutua degli sposi, che
coinvolge tutto il loro essere, anima e corpo, si trova il contesto e
l’ambito adatto per la cooperazione all’amore di Dio creatore. Questo totale coinvolgimento personale è fondamentale nella procrea-
15
Cfr. Gaudium et spes, 24.
Gaudium et spes, 50. Cfr. GIOVANNI PAOLO II, esort. apost. Familiaris consortio, 14: “Nella sua realtà profonda, l’amore è essenzialmente dono e l’amore
coniugale, mentre conduce gli sposi alla reciproca ‘conoscenza’ che li fa ‘una
carne sola’ (Gn 2,24) non si esaurisce all’interno della coppia, poiché li rende
capaci della massima donazione possibile, per la quale diventano cooperatori
con Dio per il dono della vita ad una nuova persona umana. Così i coniugi, mentre si donano tra loro, donano al di là di se stessi la realtà del figlio, riflesso vivente del suo amore, segno permanente della unità coniugale e sintesi viva ed
indissociabile del loro essere padre e madre”; cfr. anche ib. 19.
16
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zione umana secondo la dignità della persona. Perciò «la Chiesa [...]
ritiene eticamente inaccettabile la dissociazione della procreazione dal
contesto integralmente personale dell’atto coniugale; la procreazione umana è un atto personale della coppia uomo-donna che non sopporta alcun tipo di delega sostitutiva»17. L’Istruzione afferma, riprendendo
un testo di Humanae vitae: «Il matrimonio, presente in tutti i tempi
e in tutte le culture, “è stato sapientemente e provvidenzialmente istituito da Dio creatore per realizzare nell’umanità il suo disegno di
amore. Per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria
ed esclusiva, gli sposi tendono alla comunione delle loro persone, con
la quale si perfezionano a vicenda per collaborare con Dio alla generazione e all’educazione di nuove vite” (Humanae vitae, 8)»18.
Non sarà nemmeno superfluo ricordare qui che nel matrimonio
cristiano si trova l’immagine di Cristo che si è unito alla Chiesa con un
indissolubile vincolo di amore che va aldilà di quanto noi uomini possiamo immaginare: «E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche
Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei [...]. Nessuno, infatti, ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per
questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande, io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (Ef 5, 25. 29-32; Gen 2, 24). La donazione mutua degli sposi li introduce nel mistero dell’amore di Cristo
per la Chiesa e per tutta l’umanità. Questo amore è l’ambito adatto per
la generazione dei figli, che ricevuti e avvolti dai genitori con questo
stesso amore, riflesso dell’amore che Dio ha per tutti gli uomini senza
discriminazioni, possono crescere e essere educati nel contesto corri-
17
Dignitas personae, 16.
Dignitas personae, 7. Citando un testo di Benedetto XVI (L’Osservatore Romano, 11 maggio 2008, 1) l’Istruzione prosegue: “Nella fecondità dell’amore coniugale l’uomo e la donna ‘rendono evidente che all’origine della loro vita sponsale vi è un ‘sì’ genuino che viene pronunciato e realmente vissuto nella reciprocità, rimanendo sempre aperto alla vita [...]. La trasmissione della vita è
iscritta nella natura e le sue leggi permangono come norma non scritta a cui tutti devono richiamarsi”.
18
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spondente alla loro dignità. La rivelazione cristiana apre anche in questo aspetto a un nuovo orizzonte quelle verità sulla dignità della persona che tutti gli uomini possono scoprire mediante la ragione umana.
Alla dignità della persona corrisponde dunque la dignità della procreazione, all’amore infinito di Dio manifestatoci in Cristo corrisponde l’amore reciproco degli sposi che si estende ai figli. Alla dignità della persona e della generazione corrisponde che questa non può avere
altro scopo se non i figli considerati come un fine in se stessi e non come un mezzo per raggiungere altre finalità19. L’essere umano, come
già indicato, non può essere mai ridotto alla categoria di mezzo, manipolabile a volontà. Nessuno di noi è un mezzo per Dio.
3. La dignità della persona e la fraternità umana
Dobbiamo ancora sottolineare un altro aspetto di fondamentale
importanza dal punto di vista dell’antropologia teologica e della morale cristiana. La filiazione divina alla quale tutti gli uomini sono
chiamati richiede da parte nostra, come è stato già insinuato, un senso di fraternità fra tutti gli uomini. C’è fra tutti noi un profondo vincolo di solidarietà che risponde ad un elementare sentimento umano.
Tutte le grandi culture, tutti i grandi spiriti lo hanno riconosciuto.
L’Istruzione ricorda che ci sono molti scienziati e filosofi che vedono
nella scienza medica, nello spirito del giuramento di Ippocrate, un
servizio per la cura delle malattie, l’alleviamento delle sofferenze, e
l’estensione delle cure necessarie in misura equa a tutta l’umanità20.
19
Come un esempio, a questo riguardo, Dignitas personae, 15 segnala: “La
tecnica del trasferimento multiplo comporta di fatto un trattamento puramente
strumentale degli embrioni. [...] Le tecniche di fecondazione in vitro in realtà vengono accettate perché si presuppone che l’embrione non meriti un pieno rispetto, per il fatto che entra in concorrenza con un desiderio da soddisfare”.
20 Cfr. Dignitas personae, 2; cfr. ib. 3, si deve incoraggiare la prospettiva di chi
vede la scienza come un servizio al bene integrale e alla dignità di ogni essere
umano, e auspicare che i risultati di questa ricerca siano disponibili nelle aree
più povere.
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Ma, allo stesso tempo si lamenta il fatto che il crescente sviluppo delle tecnologie biomediche viene considerato da alcuni «in una prospettiva sostanzialmente eugenetica»21. Evidentemente una tale constatazione suscita molte e gravi preoccupazioni. L’Istruzione fa riferimento nel n. 27 alle ipotesi di finalità applicative dell’ingegneria genetica diverse da quella terapeutica, e in concreto le manipolazioni
con fini di miglioramento o potenziamento della dotazione genetica.
È evidente il pericolo che tali ideologie e tali pratiche racchiudono in
sè. Si finirebbe col negare l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, e farebbe prevalere la volontà e la potenza di alcuni sugli altri. Potrebbe
dare vita al dominio dell’uomo sull’uomo, che sarebbe in chiaro contrasto con principi morali molto fondamentali.
La dignità della persona e di ogni persona, non è la dignità di alcuni a scapito degli altri. Una dignità fondata su presupposti che non
siano la comune appartenenza al genere umano sarebbe un profondo
controsenso. Elementari principi di fraternità e di solidarietà umana
dovrebbero ostacolare queste mentalità eugenetiche che finirebbero
per rendere impossibile ogni convivenza umana. In questo senso indica anche l’Istruzione nella sua conclusione: «Proprio in nome della promozione della dignità umana si è [...] vietato ogni comportamento e ogni stile di vita che risultava lesivo di tale dignità. Così, per
esempio, i divieti, giuridico-politici e non solo etici, nei confronti
delle varie forme di razzismo e di schiavitù, delle ingiuste discriminazioni ed emarginazione delle donne, dei bambini, delle persone
malate o con gravi disabilità sono testimonianza evidente del riconoscimento del valore inalienabile e dell’intrinseca dignità di ogni essere umano e segno di un progresso autentico che percorre la storia
dell’umanità»22.
Questo progresso va favorito e merita ogni sforzo possibile. Non
possiamo dimenticare che da un punto di vista cristiano la vocazione
di tutti gli uomini alla filiazione divina in Cristo crea un profondo
vincolo di fraternità dal quale nessuno può essere escluso. La lettera
21
22
Ib.
Dignitas personae, 36.
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agli Ebrei 2, 11, come abbiamo già ricordato, ci dice che Gesù non si
vergogna di chiamarci fratelli. Questi principi trovano anche un campo di applicazione nell’ambito dei temi trattati dalla Dignitas personae.
Conclusione
Con questo intervento e altri simili la Chiesa si fa voce dei poveri
e degli indifesi. Benedetto XVI ricevendo il giorno 8 gennaio 2009 il
Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede ricordava che i
più poveri sono i bambini non nati23. La loro difesa diventa un obbligo che non si può tralasciare. Come dice l’Istruzione: «L’adempimento di questo dovere implica il coraggio di opporsi a tutte quelle
pratiche che determinano una grave e ingiusta discriminazione nei
confronti degli essere umani non ancora nati, che hanno la dignità di
persona, creati anch’essi ad immagine di Dio. Dietro ogni ‘ no’ rifulge,
nella fatica del discernimento tra il bene e il male, un grande ‘sì’ al riconoscimento della dignità e del valore inalienabili di ogni singolo e irrepetibile essere umano chiamato all’esistenza»24.
Possiamo così riassumere i tre passi fondamentali che abbiamo
percorso in questa nostra esposizione: 1) Ad ogni essere umano appartiene la dignità della persona, dal concepimento alla morte naturale. Questa dignità scaturisce dal fatto della creazione ad immagine
di Dio e, ancora di più, dalla chiamata personale alla configurazione
con Cristo e quindi alla filiazione divina nella partecipazione della vita trinitaria. 2) A questa dignità della persona corrisponde la dignità
della trasmissione della vita nella cooperazione con il Creatore; una
trasmissione che trova il suo ambito adeguato soltanto nel matrimo23
Cfr. L’Osservatore Romano 9 gennaio 2009, p. 8. Cfr. anche Dignitas personae, 37, con una citazione di Giovanni Paolo II, AAS 84 (1992), 319: “Come un
secolo fa ad essere oppressa nei suoi fondamentali diritti era la classe operaia, e
la Chiesa con grande coraggio ne prese le difese [...], così ora, quando un’altra
categoria di persone è oppressa nel diritto fondamentale alla vita, la Chiesa sente di dover dar voce con immutato coraggio a chi non ha voce”.
24 Num. 37.
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nio e nella famiglia, nella mutua donazione degli sposi che coinvolge
tutto il loro essere e che è riflesso dell’amore divino. 3) La filiazione
divina alla quale tutti gli uomini sono chiamati deve avere un riflesso
nella fraternità umana. I progressi della scienza medica devono avere
come scopo il miglioramento dell‘attenzione a tutti, mai il miglioramento di alcuni con la discriminazione che questo comporta. Soltanto così la dignità della persona verrà riconosciuta a tutti gli uomini allo stesso modo, il che è un principio assolutamente fondamentale
dell’antropologia cristiana.
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SUMMARIES
One of the essential principles of anthropology and Christian morality is the
dignity of the human being in all phases of his existence. This dignity, which
must be acknowledged by everyone, is a gift of the Creator, and is not the result of any human aspirations. Every human is the image of God and is called
in Christ to divine adoption, and thus to participation in the life of the Trinity. In
accordance with this dignity is a fitting manner of the transmission of life,
which is found in the mutual self-donation of spouses in marriage; through this
donation they are co-operators with the Creator in a most eminent manner. Divine adoption brings with it an obligation of fraternal behaviour towards all
men. It would be a contradiction if the advancement of medical science were
to serve only the well-being of a few, and not that of all Humanity.
***
La dignidad de todo ser humano durante todas las fases de su existencia, es
un principio esencial de la antropología y de la teología moral cristianas. Esta
dignidad que todos deben reconocer, es un don del Creador, no de las instancias humanas. Cada hombre es imagen de Dios y es llamado a la filiación
divina en Cristo, participando así en la vida de la Trinidad. A esta dignidad corresponde el modo apropiado de la transmisión de la vida, que consiste en la
donación recíproca de los esposos en el matrimonio; en ella colaboran de modo eminente con el Creador. La filiación divina conlleva la exigencia de comportarse fraternalmente con todos los hombres. Sería contradictorio que el
progreso de la medicina sirviera únicamente al bienestar de algunos y no al de
toda la humanidad.
***
La dignità di ogni essere umano in tutte le fasi della sua esistenza è un principio essenziale dell’antropologia e della morale cristiane. Questa dignità che
tutti devono riconoscere è un dono del Creatore e non di alcuna istanza umana. Ogni uomo è immagine di Dio ed è chiamato in Cristo a la filiazione divina
e così alla partecipazione nella vita della Trinità. A questa dignità corrisponde
un modo adeguato della trasmissione della vita che è la mutua donazione degli sposi nel matrimonio, con la quale sono, in un modo molto eminente, cooperatori del Creatore. La filiazione divina comporta un dovere di comportamento fraterno verso tutti gli uomini. Sarebbe contraddittorio che il progresso
della scienza medica servisse soltanto `per il benessere di alcuni e non di tutta l’umanità.
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EST-IL POUR LA VIE?
Note en marge de l’Instruction Dignitas personae
Réal Tremblay, C.Ss.R.*
En pensant à notre rencontre d’aujourd’hui sur le contenu de la récente Instruction de la Congrégation pour la Doctrine de la Foi: Dignitas personae, je me suis longuement interrogé sur ce qui pourrait
vous intéresser, vu la connaissance approfondie que vous avez sans
doute déjà acquise du document, surtout en ses prises de position sur
quelques problèmes brûlants suscités par les récentes découvertes de la
science biomédicale. En espérant être utile, j’ai pensé fixer mon attention sur l’option radicale et non négociable du Magistère ecclésial en faveur de
la vie humaine, du premier instant de sa conception à sa mort naturelle, et
me demander pourquoi il en est ainsi? Une réponse à la fois succincte
et substantielle à cette question pourrait, me semble-t-il, contribuer,
non seulement à dissiper des doutes ou à modérer des refus, mais encore à créer un climat de confiance et à susciter des adhésions.
Si on lit attentivement les grandes interventions du Magistère des
dernières décennies dans le domaine de la vie (je pense par exemple
à l’Instruction Donum vitae (1987), à l’Encyclique de Jean-Paul II
Evangelium vitae (1995) et naturellement à notre document), je suis
frappé par l’attention portée à l’embryon humain comme tel, à son être,
plutôt qu’à ce qui en détermine l’existence concrète comme les stades de son développement, l’état de sa santé, les drames humains par-
* The author is an ordinary professor at the Alphonsian Academy.
* El autor es profesor ordinario en la Academia Alfonsiana.
Exposé donné à un groupe de journalistes francophones réunis à Rome en
séminaire, le 28 mars 2009.
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fois très profonds et très douloureux qui entourent sa conception,
etc. Comment expliquer cette attitude de l’Église, étrange peut-être
aux yeux de plusieurs?
1. Un premier élément de réponse pourrait être le suivant: le
respect dû à l’engagement de Dieu. Qu’est-ce à dire? Dieu qui “appelle
à l’être ce qui n’existait pas” (Rm 4, 17) est concerné au premier chef
dans l’émergence d’une nouvelle vie, même s’il agit en concomitance avec les causes secondes, l’union des époux en l’occurrence. Le
pouvoir de faire passer du néant à l’existence ne relève que de Dieu,
Source de l’être. Dans le petit de l’homme comme en tout être humain d’ailleurs, il y a la trace de l’action créatrice de Dieu, Origine
sans Origine. À ce titre déjà, l’homme, tout homme vivant, exige un
respect sans condition. Il a comme auteur nul autre que Dieu en personne. Il est l’ouvrage de Dieu. Il porte la signature de Dieu.
2. Lié à Dieu comme à son Créateur, à sa Source ontologique,
l’homme l’est aussi comme à son modèle. La Bible exprime cela en termes d’“image” et de “ressemblance”. “Faisons l’homme à notre image, comme à notre ressemblance”, dit Dieu (Gn 1, 26). Avec cette affirmation, l’on fait un pas de plus dans l’intelligence de l’homme et de
sa dignité. En l’homme, il y a des traits divins comme les facultés de
comprendre et de raisonner, de vouloir et de choisir, d’aimer, de parler, de donner un nom aux êtres animés et inanimés (cfr. Gn 2, 20), de
modeler l’univers (cfr. Gn 1, 28), etc. Le Créateur a comme transposé au niveau de sa créature des traits qui lui sont propres, qui tiennent
de son identité. Tout cela se cristallise pratiquement dans le premier
sourire que l’amour de la mère va puiser dans les entrailles “ontologiques” de son enfant. L’amour maternel, expression des traits du
Créateur, fait émerger en l’enfant, lui aussi marqué des mêmes traits
divins, la re-connaissance de cet amour. Autant dire, pourrait-on ajouter en passant, que, du premier instant de son existence à ce moment
d’intimité avec la mère, il y a eu chez l’enfant comme un continuum qui
n’a pas évolué par ajout ou par imposition extérieure, mais par déploiement intérieur de ce qui était déjà présent en lui dès le premier
moment de sa conception.
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3. Mais ce n’est pas tout. Car Dieu n’a pas tout simplement créé
l’homme pour le simple plaisir de créer et d’exercer sa puissance sur
le néant. L’eût-il fait, il aurait encore été digne de louanges et le fruit
de son agir créateur aurait été naturellement objet d’un respect sans
condition. Mais Dieu – et voilà la merveille des merveilles – crée selon un plan de son amour, selon un dessein de son Coeur: celui de
rendre l’homme participant non plus, cette fois, de traits qui lui ressemblent, le reflètent ou le représentent, mais de son être même, de sa
“nature”, pour parler avec l’apôtre Pierre (cfr. 2P 1, 4). Autant dire
que la consistance de l’homme est divine avec la destinée également
divine qu’elle implique moyennant, naturellement, la fidélité au don
reçu par la foi et le baptême. L’homme est donc de stature divine et
il l’est vraiment. Nous nous appelons “enfants de Dieu – et nous le
sommes –” (1Jn 3, 2), dit s. Jean, pour en accentuer le réalisme en vue
de contrer le rêve toujours renaissant de nos “premiers parents” séduits par la fourberie du Serpent qui leur fit croire qu’ils seraient
“comme des dieux” en se séparant de celui qui pouvait seul les rendre tels (cfr. Gn 3, 5). L’homme ainsi gratifié par Dieu a une dignité
qui dépasse le simplement humain parce que, comme dit Pascal, une
“once de grâce” vaut toute la matière et tout l’esprit de l’univers.
L’homme est donc d’un autre ordre; il est de consistance divine.
4. Mais ce n’est pas encore tout. Car cette “nature” divine donnée
en partage passe par celle du Fils, identifie au Fils du Père. Saint Paul
est explicite: “Dieu envoya son Fils [...] afin de nous conférer l’adoption filiale” (Ga 4, 4-5). C’est par la porte filiale que l’homme pénètre, déjà en ce monde, dans le “Saint des saints” des Personnes divines en attendant de l’être en plénitude dans l’autre.
C’est donc pour tous ces motifs que le Magistère de l’Église se
prononce en faveur de la vie de l’homme, de tout homme, de “sa
conception à sa mort naturelle”. Remarquons aussi le poids ou la gravité de ces motifs. Ils parlent de l’engagement créateur de Dieu et de son
engagement recréateur, engagements qui ont pour conséquences d’attribuer
à l’homme une dignité qui le rend d’abord semblable à Dieu et ensuite
“dieu” lui-même, frère du Fils et enfant du Père qui “est aux cieux”, jouissant en somme d’une “vocation céleste” (cfr. He 3, 1).
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Comme on l’aura sans doute observé, la raison et la foi sont ici
impliquées. Ce binôme n’est pas utilisé par accident ou de façon
superficielle. Il est voulu consciemment parce que la vie de l’homme
revêt, aux yeux de l’Église, une telle importance que toutes les ressources du réel doivent être mises en oeuvre pour en scruter et en
illustrer la grandeur.
On aura aussi observé que la raison n’est pas perçue comme une
réalité parallèle à la foi comme si, à elle seule, elle pouvait être suffisante pour comprendre l’homme. Certes, la raison peut dire et dit
beaucoup sur l’homme et la valeur de sa vie. C’est incontestable et
l’Église n’a, ici comme ailleurs, aucunement l’intention de nier ce fait
ou de l’amoindrir. Pourtant, à elle seule, la raison n’est pas suffisante
pour rendre compte de tout l’homme ou, si l’on veut, de son “mystère” (l’expression est de Vatican II) parce que, au coeur même de la
raison, est présente une aspiration à un dépassement d’elle-même qui
est condition de possibilité de sa consistance et de sa sauvegarde. La
foi vient justement relayer ce “plus” en l’ouvrant à Dieu qui est rédempteur et Père et en lui offrant la possibilité d’entrer en communion avec lui (cfr. Fides et ratio, 12.14).
***
Si on lit la seconde et la troisième partie de Dignitas personae à la lumière de cette brève présentation du contenu de la première partie du
document, les “non” prononcés dans les deux autres parties se métamorphosent pratiquement en des “oui”, un peu comme l’imbroglio apparent ou l’entrecroisement des fils de l’envers d’une étoffe précieuse
devient, vu à l’endroit, un ensemble de figures ou de dessins richement
agencés et brillants de couleurs. Les “non” de l’Église, qui peuvent apparaître comme des trouble-fêtes aux yeux d’une science fière des exploits obtenus jusqu’à maintenant et promis à des découvertes encore
plus sensationnelles, sont en réalité la garantie de ses aspirations. Car
une science qui va contre la vie de l’homme et s’en prend à son Créateur et Recréateur dans le sens précisé plus haut est inévitablement
condamnée à long terme à suivre des mirages et à aboutir à des voies
sans issue. Quelle gloire en effet la science biomédicale peut-elle tirer
des “succès” obtenus au prix de “courts-circuits” impliquant la mort de
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millions d’embryons humains considérés par elle comme des choses et
souvent encore moins? Quelle gloire en revanche peut-elle tirer d’avoir cherché avec patience et acharnement la voie la moins directe ou
la plus difficile par respect pour la vie naissance ou finissante! C’est la
gloire d’avoir cherché et trouvé sans avoir eu à édifier des cimetières.
Car c’est toujours une défaite pour l’homme, pour sa raison et ses capacités de modeler l’univers de s’être illustré au prix de la vie des autres. Tant d’événements tragiques du siècle dernier et de ce début de
millénaire confirment cette affirmation et servent d’avertissements
pour ceux qui seraient encore tentés de s’engager sur ces sentiers mortifères. Et j’ajoute dans ce contexte que ce serait une erreur de penser
que ce qui s’est passé au vu et su du monde entier ne s’applique pas à
ce qui se passe dans le secret des laboratoires. Le visible ou le caché, le
grand ou le petit ne change pas la nature des choses.
***
Souhaitons que ce récent document de l’Église suscite dans le
monde de la science biomédicale une nouvelle prise de conscience de
la grandeur incontournable de la vie humaine pendant toute la durée
de son existence terrestre. Souhaitons aussi que cette nouvelle prise
de conscience soit si profonde qu’elle inspire aux hommes de science
la défense et la promotion de la vie au prix des plus grands renoncements, comme l’acceptation de ne pas être à l’avant-scène de la renommée par suite des détours pris pour ne pas léser ou sacrifier la dignité de la vie humaine. Souhaitons enfin avec l’introduction et la
conclusion de Dignitas personae que les croyants apparaissent aux yeux
de leurs frères et des hommes de bonne volonté comme des modèles
à suivre par leur engagement indéfectible au service de la vie, au service surtout des vies qui peuvent sembler de moindre valeur parce
que plus démunies et plus fragiles1.
1
Pour compléter ces réflexions, voir: R. TREMBLAY, I criteri della fede esaltano quelli della ragione, in L’Osservatore Romano (ed. quot. it.), 06.03.09, 7; ID., Le
Christ, clé de voûte de la dignité et de la sacralité de la vie humaine selon l’Instruction
Dignitas personae, dans RTLu 14 (2009)/1, 13-21.
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RÉAL TREMBLAY
SUMMARIES
The Church would not be the Church of Christ “The Prince of Life” if it did not
promote life in all its meanings. However this general affirmation needs to be
made more explicit through the question: what principles does the Magisterium
draw on to justify the resounding ‘yes’ of the Church to life? This short text
seeks to list these principles in the light of the exposition offered by the recent
Instruction of the Congregation for the Doctrine of the Faith: Dignitas personae.
***
La Iglesia no sería la Iglesia de Cristo, “Príncipe de la Vida”, si no estuviera a
favor de la vida en toda su diversidad de significados. Esta afirmación general necesita aclararse a partir de la siguiente cuestión: en qué principios se basa el Magisterio para justificar el enérgico “sí” de la Iglesia a la vida. Inspirados
en la reciente Instrucción de la Congregación para la Doctrina de la Fe, Dignitas personae, se indican brevemente algunos principios.
***
La Chiesa non sarebbe la Chiesa di Cristo “Principe della Vita” se non fosse a
favore della vita nella pluralità del suo significato. Questa affermazione generale ha bisogno però di essere esplicitata a partire della seguente questione:
su quali principi si appoggia il Magistero per giustificare il “sì” forte della Chiesa alla vita. In questo breve testo, si cerca di elencarli alla luce del contenuto
della recente Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede: Dignitas personae.
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DIGNITAS PERSONAE
Logica della tecnologia e logica della persona
Giovanni Del Missier *
«Due sono le vie, una della vita e una della morte; la differenza tra
le due vie è molta»1. Con queste parole esordisce la Didachè, testo catechistico quasi contemporaneo alla redazione dei Sinottici, che alla
riflessione morale delle prime comunità cristiane della Siria propone
un modulo etico di vasta risonanza, ampiamente diffuso nella riflessione morale classica e di chiare ascendenze bibliche, presentando al
cristiano la possibilità di scegliere liberamente l’orientamento del
proprio agire rispetto a una duplice opzione dagli esiti del tutto divergenti. Analogamente, ma in termini contemporanei, il presente
contributo, dedicato allo studio dell’istruzione Dignitas Personae, intende approfondire l’alternativa tra due paradigmi irriducibili: l’uno
rifacentesi alla tecnologia, l’altro alla persona ai quali si può orientare la soluzione delle molteplici questioni sollevate dalle biotecnolo-
* The author is an invited professor at the Alphonsian Academy.
* El autor es profesor invitado en la Academia Alfonsiana.
Il presente articolo riprende la relazione svolta in occasione della giornata di
studio Dignitas personae. Per una bioetica umana, tenutasi presso l’aula magna dell’Accademia Alfonsiana (Roma, 28 aprile 2009).
1 Didachè, I,1. Il simbolo spaziale delle due vie, già adottato dalla cultura egizia, è ampiamente diffuso nell’Antico Testamento (Dt 30, 15-19; Sal 1; 119, 1-2;
Pr 4, 18-19; Ger 21, 8), viene ripreso nella Regola della comunità o Manuale di disciplina ritrovato a Khirbet Qumran (1QS III,13-IV,26), nei testi neotestamentari (Mt 7, 13-14; Gv 14, 6; in At 9, 2; 18, 25-26; 19, 9.23; 22, 4; 24, 14.22 l’uso
assoluto del termine Via indica la scelta cristiana) e nei Padri apostolici (Didachè; Lettera di Barnaba XVIII-XX). Si trova anche nel testo di apertura del Corano (Sura I, 1.6-7). Cfr. RAVASI G., Il libro dei Salmi. Commento e attualizzazione, vol 1, EDB, Bologna 1985, 75-85.
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gie. Si cercherà, pertanto, di illustrare con chiarezza i termini dell’opposizione duale così come affiorano nei principali documenti magisteriali riguardanti la bioetica e di aiutare a comprendere i possibili scenari culturali sui quali si staglia la riflessione etica in tema di ricerca biomedica, perché essa possa esprimere «un grande “sì” alla vita umana»2.
1. Due logiche divergenti
Già analizzando l’istruzione Donum Vitae può essere rilevata la
costante presenza nel testo di una alternativa tra le possibili modalità di impiego delle risorse rese disponibili dal progresso delle scienze biologiche e mediche, espressa attraverso la tensione oppositiva
di due costellazioni semantiche: da un lato “acquisire potere, dominare, andare oltre i limiti, esporre a rischio, usare, sostituirsi, dissociare, selezionare” e, dall’altro, “assistere, aiutare, facilitare, salvaguardare, difendere, curare, guarire, migliorare”. La prima opzione
desume i suoi criteri di orientamento dall’efficienza tecnica, dall’utilità o da presupposti ideologici, generando dinamiche di controllo,
di violenza e di dominio sulla vita e la morte degli esseri umani, riducendoli in tal modo a oggetti della tecno-scienza, mentre la seconda opzione si lascia guidare dal servizio alla persona, dal rispetto
dei suoi diritti inalienabili e dalla promozione del suo bene integrale, salvaguardando così la dignità umana e l’uguaglianza tra soggetti3. Di qui, l’enunciazione del principio generale secondo il quale
«ciò che è tecnicamente possibile non è per ciò stesso moralmente
ammissibile» e la necessità di una approfondita «riflessione razionale sui valori fondamentali... per formulare la valutazione morale a riguardo degli interventi della tecnica sull’essere umano fin dai primi
stadi del suo sviluppo»4.
2
Dignitas personae, 1.
Cfr. Donum vitae, Intr., 2; I, 4; II, intr.; II, B, 5.
4 Donum vitae, Intr., 4.
3
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A vent’anni di distanza, Dignitas Personae riprende e approfondisce questa opera di discernimento sotto la spinta di nuovi e pressanti interrogativi suscitati dal rapido progredire delle tecnologie biomediche nel settore della procreazione medicalmente assistita, della
manipolazione embrionale e genetica, riproponendo lungo tutto il
testo dell’istruzione la contrapposizione tra due modalità differenti di
rapportarsi alla vita umana5.
Nel variegato panorama filosofico e scientifico attuale è possibile constatare di fatto una ampia e qualificata presenza di scienziati e di filosofi che, nello spirito del giuramento di Ippocrate, vedono nella scienza
medica un servizio alla fragilità dell’uomo, per la cura delle malattie,
l’alleviamento della sofferenza e l’estensione delle cure necessarie in
misura equa a tutta l’umanità. Non mancano, però, rappresentanti della filosofia e della scienza che considerano il crescente sviluppo delle
tecnologie biomediche in una prospettiva sostanzialmente eugenetica6.
Da queste diverse attitudini mentali, come si può facilmente arguire, procedono risposte e scelte operative profondamente diverse
nei confronti dei singoli problemi riguardanti l’inizio della vita: positive e da sostenere quando pongono rimedio a situazioni patologiche e contribuiscono al normale svolgimento dei processi generativi;
negative e non condivisibili quando comportano la soppressione di
esseri umani o ne ledono gravemente la dignità7.
La logica che si ispira ad una visione integrale dell’uomo e pone al
centro la persona, infatti, parla il linguaggio della dignità ontologica e
5
Cfr. FISICHELLA R., Per non riportare indietro le lancette della storia, in L’Osservatore Romano 26 febbraio 2009, 7.
6 Dignitas personae, 2. Sulla questione eugenetica, per un primo approfondimento, cfr. DUSTER T., Eugenics. II. Ethical issues, in POST S.G. (ED.), Encyclopedia of Bioethics, 3rd edition, MacMillan Reference USA, New York 2004, 853859; KEVLES D.J., Eugenics. I. Historical aspects, in POST S.G. (ED.), Encyclopedia
of Bioethics..., 848-853; SANDEL M.J., Contro la perfezione. L’etica nell’età dell’ingegneria genetica, Vita & Pensiero, Milano 2008, 71-88.
7 Cfr. Dignitas personae, 4.
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del riconoscimento dei diritti, cercando sempre di rispettare incondizionatamente ogni essere umano senza discriminazioni e di tutelare la
peculiare specificità umana nella trasmissione della vita che si attua nel
contesto del matrimonio e della famiglia8. Questa visione è in sé orientata e trova pieno compimento nella rivelazione cristiana che accentua
e rafforza il valore della vita alla luce del mistero dell’incarnazione del
Figlio di Dio che «divenendo uno di noi, fa sì che possiamo diventare
“figli di Dio” (Gv 1, 12), “partecipi della natura divina” (2Pt 1, 4)»9, e,
attraverso uno specifico dono di grazia, rende capaci i coniugi di riflettere nella gestualità coniugale l’amore della Trinità10. Pertanto, dal momento che la vita umana è sempre un bene originale e irripetibile, che
va difeso nella sua singolarità e integrità – anche biologica e genetica –,
le biotecnologie devono essere impiegate sempre nella prospettiva della promozione della persona, e qualora nuove promettenti risorse terapeutiche presentino rischi significativi per i pazienti, si richiede una
prudente applicazione del principio di precauzione attraverso il quale si
realizza il servizio e la protezione dovuti all’essere umano11.
Il Magistero intende portare una parola di incoraggiamento e di fiducia nei confronti di [questa] prospettiva culturale che vede la scienza
come prezioso servizio al bene integrale della vita e della dignità di ogni essere umano. La Chiesa pertanto guarda con speranza alla ricerca scientifica, augurando che siano molti i cristiani a dedicarsi al progresso
della biomedicina e a testimoniare la propria fede in tale ambito. Auspica inoltre che i risultati di questa ricerca siano resi disponibili anche nelle aree povere e colpite dalle malattie, per affrontare le necessità più urgenti e drammatiche dal punto di vista umanitario12.
18
Cfr. Dignitas personae, 5-10.
Dignitas personae, 7. Cfr. TREMBLAY R., I criteri della fede esaltano quelli della ragione, in L’Osservatore Romano 6 marzo 2009, 7.
10 Cfr. Dignitas personae, 8-9.
11 Cfr. Dignitas personae, 26; 29-30.
12 Dignitas personae, 3; cfr. anche nn. 12; 32; 35-36 in cui si sottolinea l’alto
valore etico delle professioni sanitarie, si incoraggia la ricerca scientifica e si
guarda con fiducia alla possibilità di ottenere nuove terapie altamente efficaci.
19
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Lo schema delle due vie/logiche di cui stiamo parlando, però, non
è finalizzato a una preordinata condanna della tecnologia in quanto
tale, da scegliersi in alternativa alla persona, ma intende evidenziare
due modalità diverse di concepire l’artificialità: vista come un insieme
di risorse da ordinare al bene degli esseri umani, oppure volta ad assolutizzare il progresso tecno-scientifico fino a produrre esiti antiumani13. Dignitas Personae, infatti, individua in questa seconda logica
uno sguardo riduttivo, oggettivizzante e strumentale della realtà umana, che conduce a concentrarsi sull’efficacia quantitativa dei risultati
perseguiti, ignorando scientemente gli effetti distruttivi sulla vita
umana14, la discriminazione in base allo sviluppo biologico o allo stato di salute,15 la prevalenza del desiderio soggettivo sui diritti16. Gli
esiti che ne risultano appaiono drammatici e tragicamente paradossali: il compimento del desiderio genitoriale giungerebbe a tollerare la
dissociazione tra procreazione e sessualità, l’intrusione di terzi nell’intimità coniugale, la selezione eugenetica, la soppressione degli embrioni in eccesso17; la previsione di ipotetici traguardi terapeutici sembrerebbe giustificare la manipolazione e la distruzione di esseri umani ai primi stadi di sviluppo18; presunti fini di miglioramento e potenziamento della dotazione genica legittimerebbero i tentativi di creare
un nuovo tipo di uomo e di controllarne l’evoluzione, anche attraverso interventi di ibridazione capaci di turbare l’identità specifica umana e di mettere a repentaglio il bene comune, la convivenza pacifica e
la fondamentale uguaglianza degli esseri umani19.
13
Cfr. DI PIETRO M.L., La cura dell’infertilità, in L’Osservatore Romano 18
marzo 2009, 6; FAGGIONI M.P., La vita fra natura e artificio, in Studia Moralia 33
(1995) 333-375.
14 Cfr. Dignitas personae, 4; 14-15.
15 Cfr. Dignitas personae, 8.
16 Cfr. Dignitas personae, 16-17.
17 Cfr. Dignitas personae, 17-22. Cfr. FAGGIONI M., La vena eugenetica della fecondazione in vitro, in L’Osservatore Romano 27 marzo 2009, 6.
18 Cfr. Dignitas personae, 24. Cfr. VESCOVI A.L., Dietro la ricerca sulle staminali
embrionali c’è solo una guerra di brevetti, in L’Osservatore Romano 27 maggio 2009, 7.
19 Cfr. Dignitas personae, 27-29; 33. Cfr. FLANNERY K.L., Possibilità e limiti
della terapia genica, in L’Osservatore Romano 27-28 aprile 2009, 6.
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Se abbiamo rilevato che il confronto oppositivo tra le due logiche è
presente già in Donum vitae come una nota di fondo, mentre è ampiamente diffuso in Dignitas personae fino a imprimere un ritmo binario
alla riflessione etica sulle singole questioni affrontate, dobbiamo riconoscere che era già stato portato in piena luce da Evangelium vitae e
sottoposto ad analisi sistematica nel primo capitolo dell’enciclica, dove si afferma chiaramente che alla cultura che rispetta, difende, ama e
serve la vita umana – in quanto attribuisce ad ogni persona valore inviolabile –, si contrappone una vera e propria struttura di peccato definita «cultura della morte»20. Si tratta di una mentalità edonista e anti-solidaristica promossa da lobbies culturali, economiche e politiche,
largamente diffusa nel tessuto sociale: essa rifiuta il limite, la disabilità, l’infermità poiché non è in grado di trovare nella sofferenza alcun
significato o valore, e perciò tende ad accogliere la vita solo a determinate condizioni di chiara ispirazione efficientista e funzionalista21.
Questa eclissi del valore della vita umana costituisce una minaccia
frontale alla cultura dei diritti dell’uomo e alla stessa convivenza democratica, poiché deformando i concetti di soggettività, dignità e libertà nel senso di un individualismo esasperato e di un’autonomia assoluta, giunge fino «a negare l’altro, sentito come nemico da cui difendersi» e a concepire anche le spettanze fondamentali come relative, convenzionali e negoziabili22. La causa profonda di tutto ciò viene identificata nello smarrimento del senso di Dio e dell’uomo23, cioè
20
In Evangelium vitae l’espressione compare 12 volte e ad essa si contrappone l’antitetica “cultura della vita” (22 volte); affiancate compaiono 3 volte ai nn.
21; 28; 95. Nell’istruzione Dignitas personae l’espressione “cultura della vita” appare una sola volta nel paragrafo finale (n. 37).
21 Cfr. Evangelium vitae, 11-16; 68. «La stessa medicina, che per sua vocazione è ordinata alla difesa e alla cura della vita umana, in alcuni suoi settori si
presta sempre più largamente a realizzare questi atti contro la persona e in tal
modo deforma il suo volto, contraddice sé stessa e avvilisce la dignità di quanti
la esercitano» Evangelium vitae, 4.
22 Cfr. Evangelium vitae, 20. Cfr. PESSINA A., La grammatica della vita e quella della democrazia, in L’Osservatore Romano 11 marzo 2009, 6.
23 Cfr. Evangelium vitae, 21; Gaudium et spes, 36.
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nella perdita di ogni riferimento alla trascendenza e nel conseguente
riduzionismo antropologico. La vita umana
diventa semplicemente «una cosa», che [l’uomo] rivendica come sua
esclusiva proprietà, totalmente dominabile e manipolabile. Così, di
fronte alla vita che nasce e alla vita che muore, non è più capace di lasciarsi interrogare sul senso più autentico della sua esistenza, assumendo con vera libertà questi momenti cruciali del proprio «essere».
Egli si preoccupa solo del «fare» e, ricorrendo ad ogni forma di tecnologia, si affanna a programmare, controllare e dominare la nascita
e la morte. Queste, da esperienze originarie che chiedono di essere
«vissute», diventano cose che si pretende semplicemente di «possedere» o di «rifiutare». Del resto, una volta escluso il riferimento a
Dio, non sorprende che il senso di tutte le cose ne esca profondamente deformato, e la stessa natura, non più «mater», sia ridotta a
«materiale» aperto a tutte le manipolazioni. A ciò sembra condurre
una certa razionalità tecnico-scientifica, dominante nella cultura contemporanea, che nega l’idea stessa di una verità del creato da riconoscere o di un disegno di Dio sulla vita da rispettare24.
In tal modo, tra cultura della morte e tecnologia viene identificato un duplice nesso che possiamo definire materiale e formale, in
quanto non solo «con le nuove prospettive aperte dal progresso
scientifico e tecnologico, nascono nuove forme di attentati alla dignità dell’essere umano»25, ma soprattutto perché la tecnologia si
presenta come modalità peculiare di percezione e di accesso al reale.
In una celebre conferenza del 1953 su La questione della tecnica
Heidegger affermava che «l’essenza della tecnica non è affatto qualcosa di tecnico», per cui se la consideriamo come un fatto neutrale o
puramente strumentale – cioè come scienza applicata – rimaniamo
ciechi di fronte ad essa e incapaci di cogliere la sua intima natura.
24
25
Evangelium vitae, 22.
Evangelium vitae, 4.
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Piuttosto, la tecnica moderna
è un modo del disvelare. La tecnica dispiega il suo essere nell’ambito
in cui accadono disvelamento e non-nascondimento, dove accade
alētheia, la verità... Il disvelamento che governa la tecnica moderna,
tuttavia, non si dispiega in un pro-durre nel senso della poíēsis. Il disvelamento che vige nella tecnica moderna è una pro-vocazione la
quale pretende dalla natura che essa fornisca energia e che possa come tale essere estratta e accumulata...26
Dalla logica della tecnologia il reale viene “messo in luce” nella
forma di una calcolabile concatenazione causale di forze e come oggetto esclusivamente impiegabile, con il rischio supremo di precludere al Dasein ogni altra possibilità di accesso alla Verità27 e diffondendo l’ingannevole apparenza che tutto ciò che esiste sussista unicamente in quanto è un prodotto dell’uomo, perfino l’uomo stesso!28
«È l’illusione per la quale sembra che l’uomo, dovunque, non incontri più altri che se stesso... In realtà, tuttavia, proprio se stesso l’uomo di oggi non incontra più in alcun luogo; non incontra più, cioè,
la propria essenza»29. Queste preziose indicazioni sull’essenza della
tecnica e le implicazioni che ne derivano per l’esistenza umana meritano di essere indagate più a fondo.
26
HEIDEGGER M., La questione della tecnica, in ID., Saggi e discorsi, Mursia,
Milano 1976, 10-11.
27 «Ciò che la civiltà della tecnica impedisce è un’eccedenza di senso rispetto a
quello che il regime della sua razionalità è in grado di esprimere. Il vero rimosso di questa civiltà non è dunque la pulsione, ma la trascendenza, intesa come ulteriorità di senso rispetto ai significati codificati, quindi il simbolo che, per sua
connaturata ambivalenza, si sottrae alla dittatura del segno con cui il regime della razionalità distribuisce i suoi significati» GALIMBERTI U., Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano 20086, 696.
28 Riflettendo sulla Dignitas personae e pur muovendo da presupposti molto
diversi, a conclusioni analoghe giunge GIERTYCH W., La clonazione umana.
Un’abominevole schiavitù biologica, in L’Osservatore Romano 18 aprile 2009, 6.
29 HEIDEGGER M., La questione della tecnica..., 21.
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2. La logica della tecnologia
Secondo quella particolare comprensione prefilosofica e simbolica dell’essere rappresentata dalla mitologia greca, la tecnologia è un
dono che il titano Prometeo fa agli uomini in seguito alla malaccorta distribuzione delle facoltà naturali del fratello Epimeteo il quale,
senza avvedersene, le aveva inopportunamente esaurite assegnandole
agli esseri viventi privi di ragione: essi apparivano
forniti di tutto il necessario, mentre l’uomo era nudo, scalzo, privo
di giaciglio e di armi... Allora Prometeo, non sapendo quale mezzo
di salvezza procurare all’uomo, [...] rubò la scienza del fuoco di Efesto e la perizia tecnica di Atena e le donò all’uomo. Da questo dono derivò all’uomo abbondanza di risorse per la vita, ma, come si
narra, in seguito la pena del furto colpì Prometeo, per colpa di Epimeteo30.
In epoca recente Arnold Gehlen ha sviluppato in modo sistematico questa intuizione: mentre gli animali dispongono di una dotazione istintuale adeguata al proprio ambiente, l’essere umano appare come organicamente manchevole, privo di istinti specializzati che lo
rendano capace di adattarsi a uno specifico ambiente naturale, peculiare per la sua specie. Con questa carenza di base, estremamente bisognoso di protezione – soprattutto nella primissima infanzia –, l’uomo si sarebbe dovuto estinguere dalla faccia della terra, se la sua incompiutezza non lo esponesse a una profusione di stimoli tale da
renderlo aperto al mondo per trascenderlo, costretto ad agire per sopravvivere e a trasformare la realtà circostante in una “seconda natura”, plasmata artificialmente in funzione delle sue esigenze.
La capacità mentale umana, che costituisce un enigma e tale rimane,
sarebbe del tutto inesplicabile se non potessimo vederla in rapporto
alle imperfezioni degli organi e degli istinti dell’uomo. L’intelletto,
30
PLATONE, Protagora, 321c-322a, in ID., Opere complete, Laterza, Bari 1971.
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infatti, permette all’essere umano di liberarsi dalle costrizioni organiche a cui devono sottostare gli animali, e lo mette in grado di trasformare la natura secondo le sue necessità. Se per tecnica si intendono le capacità ed i mezzi con cui l’uomo mette la natura al suo servizio giacché ne conosce proprietà e leggi, le sfrutta e le contrappone le une alle altre, allora la tecnica, in senso più generale, è insita già
nell’essenza stessa dell’uomo31.
Attraverso la sistematica sostituzione degli organi di cui è privo, il
potenziamento delle sue forze limitate e l’agevolazione finalizzata al
risparmio della fatica, la tecnica costituisce un’efficace compensazione della costitutiva debolezza umana; con il dominio e la trasformazione della natura viene così plasmato quel mondo culturale che costituisce la condizione imprescindibile dell’esistenza umana: questo è
l’ambiente antropizzato dalla tecnica, con la quale ha inizio la possibilità di emanciparsi dalla necessità e dalla ciclicità inesorabile della
natura. In questa mediazione tra uomo e natura, viene a prodursi la
tensione verso un futuro che non è da attendere, ma da realizzare, un
avvenire all’insegna di un costante e inesorabile progresso di crescita
e di potenziamento umano32.
La tecnica, infatti, inaugura una nuova temporalità proiettata al
futuro, percorsa dal desiderio e dall’intenzione dell’uomo di rendere
il mondo accogliente e abitabile: Prometeo, infatti, è colui che pensa
in anticipo, che pre-vede e pro-getta, cioè pianifica la scelta di mezzi efficaci, in vista della realizzazione di un fine. Egli ha reso gli uomini «da infanti quali erano, razionali e padroni della loro mente»33
31
GEHLEN A., L’uomo nell’era della tecnica. Problemi socio-psicologici della civiltà industriale, Armando, Roma 2003, 33. Cfr. anche ID., L’uomo. La sua natura e
il suo posto nel mondo, Feltrinelli, Milano 1983.
32 Cfr. GALIMBERTI U., Psiche e techne..., testo eloquentemente dedicato a
«Emanuele Severino, che nel nostro tempo, ha pensato nel modo più radicale il problema della tecnica» p. 5. Pur non condividendo tutte le posizioni assunte dall’autore, riteniamo la sua opera una “vera miniera” da cui trarre documentazione e
spunti di riflessione dei quali la presente sezione è ampiamente debitrice.
33 ESCHILO, Prometeo incatenato, 444.
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abilitandoli a distogliere lo sguardo carico di nostalgia da una lontana età dell’oro ormai perduta, per concentrarsi sul nesso che lega la
passata esperienza da cui si trae la scienza (epistème) e l’immediato futuro nel quale si dispiega il potere (dýnamis) della tecnica.
Quell’«animale non ancora stabilmente determinato» che è l’uomo34, risulta affascinato dalla regolarità dei fenomeni corporei che
sperimenta in sé – il battito cardiaco e la respirazione – e, quasi per
risonanza, intraprende la ricerca degli eventi ritmici, periodici e costanti che accadono attorno a sé. La tecnica si nutre di ripetizione e
si edifica a partire da regolarità conosciute e acquisite: fa dell’esperienza oggetto di indagine per reperire cause che consentano di prevedere effetti, per sottrarsi al caso imprevisto e preparasi all’evento35.
Già Aristotele metteva in stretta relazione memoria ed esperienza,
scienza e tecnica quando affermava che:
Negli uomini, l’esperienza deriva dalla memoria: infatti, molti ricordi
dello stesso oggetto giungono a costruire un’esperienza unica. L’esperienza, poi, sembra essere alquanto simile alla scienza e alla téchnē: in
effetti, gli uomini acquistano scienza e téchnē attraverso l’esperienza.
L’esperienza, infatti, produce la téchnē, mentre l’inesperienza produce il puro caso. La téchnē si genera quando, da molte osservazioni di
esperienza, si forma un giudizio generale ed unico riferibile a tutti i
casi simili36.
34
NIETZSCHE F., Al di là del bene e del male, § 62, in ID., Opere, vol. VIII/1,
Adelphi, Milano 19763.
35 «Io non chiamo arte/tecnica (téchnēn), ma semplice pratica/esperienza
(empeirían) quell’attività che non possiede alcuna comprensione razionale della
natura del suo oggetto, né dei suoi strumenti e, incapace di dar ragione dei fatti, non è assolutamente in grado di collegarli alla loro causa. Io, perciò, non
chiamo arte/tecnica un dato che tale resti, un dato cioè senza ragione (álogoy
prágma)» PLATONE, Gorgia, 465a, Laterza, Bari 1997 (nostra traduzione).
36 ARISTOTELE, Metafisica, I, 980 b 29 - 981 a 8, in REALE G., Introduzione,
traduzione e commento della Metafisica di Aristotele, Bompiani, Milano 2004. Data
la problematicità della traduzione si è preferito mantenere il termine originale
téchnē.
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Procedendo attraverso un sistema di osservazioni parziali, la tecnica promuoverà l’acquisizione di competenze particolari in ordine al
funzionamento dei diversi campi di applicazione e la sua misura sarà la
funzionalità, intesa in termini di efficacia operativa. La tecnologia mira, infatti, ad agire efficacemente sulla natura, a fabbricare e a costruire, espressione di volontà di potenza e di trasformazione. A ben vedere, la sua logica è sempre un sapere (epistéme) orientato al fare (poíesis),
è ragione strumentale che assicura competenza ed efficacia in uno specifico campo di azione attraverso la conoscenza della congruità dei
mezzi nei confronti dei rispettivi obiettivi, ma ignora completamente
il fine dell’azione, cioè se gli obiettivi vadano perseguiti o meno, senza essere in grado di assicurare la capacità di coordinare una tecnica
con le altre e di definire il corretto uso delle risorse disponibili. Questo equivale a dire che la tecnologia non è intrinsecamente buona, ma
solo possiede la possibilità di essere indirizzata al Bene grazie a un altro sapere (phrónesis) orientato all’agire (prâxis) che cioè a partire dalla
concezione del Bene eserciti un primato sulle tecniche; una “tecnica
regia” (basilikè téchnē) che governi ogni sapere strumentale stabilendo
limiti ai beni e ai piaceri disponibili secondo la giusta misura, il conveniente, l’opportuno, il dovuto; giungendo ad armonizzare tra loro
gli interessi particolari potenzialmente conflittuali. Si tratta dell’etica,
della quale nella città ideale per Platone si fa interprete la politica:
oggetto della massima disciplina è l’idea del Bene; è da essa che le cose giuste e le altre traggono la loro utilità e il loro vantaggio... E se
non ne abbiamo conoscenza, anche ammesso che conoscessimo esattamente tutto il resto, ma non essa, vedi bene che a noi non ne deriverebbe alcun vantaggio, così come non ne deriverebbe se possedessimo una cosa senza il Bene37.
In tal modo sono i fini che l’uomo riconosce, sceglie e si propone
a orientare la ricerca mentre l’insieme degli strumenti e i beni prodotti dalla tecnica risultano funzionali alla soddisfazione dei bisogni
37
PLATONE, La Repubblica, VI, 505°, Laterza, Bari 1997 (nostra traduzione).
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e, dunque, ultimamente subordinati all’essere umano: «Padrone della scienza e del pensiero, signore delle tecniche (mēchanóen téchnas)
oltre ogni speranza, si può volgere al male o al bene»38.
Con l’età moderna, però, si inaugura un lento e inesorabile processo di emancipazione della tecnica da questo paradigma classico che le
impone la guida e il vincolo dell’etica. Ispiratore di questa evoluzione
storica è, certamente, Francesco Bacone che vede nella scienza e nella
tecnica l’opportunità per recuperare sulle cose create il dominio perduto in seguito alla colpa originale: se infatti la salvezza come innocenza ritrovata è un dono derivante dalla fede, la trasformazione della
“terra perché dia pane da mangiare” è conquista della fatica umana39.
In questo senso scientia est potentia finalizzata al progressivo dominio
della natura e alla produzione immanente del regnum hominis. Strumento indispensabile per l’attuazione di questo progetto sarà la matematica, capace di ridurre tutte le cose a misura del controllo umano: in
quanto sistema concettuale normativo, astratto e precostituito essa è in
grado di sottrarre la natura alla sua estraneità e di costringerla nei limiti della propria rappresentazione previsionale e progettuale, per disporne efficacemente40. Non si accede più alla verità in maniera ricettiva attraverso la corrispondenza dell’intelletto alla realtà oggettiva41,
38
SOFOCLE, Antigone, 365-366, in PADUANO G. (ED.), Tragedie e frammenti
di Sofocle, UTET, Torino 1982.
39 Cfr. BACONE F., Novum Organum, II, 52, in ID., Opere filosofiche, vol. I, Laterza Bari 1965.
40 Dalle caratteristiche della matematica applicata deriva probabilmente la
propensione della tecnica moderna a concentrarsi sul mondo consolidato e stabile dell’inorganico, mentre ciò che di fluido è presente nel reale e di vitale nel
vivente tende a sfuggire alla sua indagine metodica, razionale e rigorosamente
analitica. L’inorganico si presta più facilmente ad essere inserito in una concezione meccanicistica della natura, a tradursi in termini quantitativi e misurabili,
ad essere indagato attraverso la ricerca di cause empiricamente verificabili. Cfr.
BERGSON H., L’evoluzione creatrice, Athena, Milano 1925.
41 Seguendo il De definitionibus di Isaac Ben Solomon Israeli (855-955),
Tommaso offre la seguente definizione: «Veritas est adaequatio rei et intellectus».
TOMMASO D’AQUINO, Quaestiones disputatae. De veritate, q. 1, art. 1, co. Cfr. anche ID., Summa Theologiae, I, q. 16, art. 1, co.; art. 2, arg. 2.
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ma piuttosto essa è il risultato di una costruzione che costringe la realtà
ad adeguarsi alle ipotesi che vengono sistematicamente sottoposte a
falsificazione e verifica nell’esperimento42, dove il mondo naturale si
risolve nell’artificiale, perché la tecnica viene a costituire la mediazione indispensabile per il conseguimento di qualunque verità scientifica.
La ragione scorge solo ciò che essa stessa produce secondo il suo disegno[...] essa deve procedere innanzi con i principi dei suoi giudizi
basati su stabili leggi e deve costringere la natura a rispondere alle
sue domande, senza lasciarsi guidare da essa sola, per così dire con le
redini. In caso contrario difatti le osservazioni casuali, fatte senza alcun piano tracciato in precedenza, non sono affatto tenute assieme
da una sola legge necessaria, mentre proprio questo è ciò che la ragione cerca e di cui ha bisogno. Tenendo in una mano i principi, sulla cui sola base apparenze concordanti possono valere come leggi, e
con l’altra mano l’esperimento, che essa ha escogitato seguendo tali
principi, la ragione deve accostarsi alla natura, certo per venire
istruita da questa, ma non in qualità di uno scolaro, che si fa sugge-
42
«Il criterio dello stato scientifico di una teoria è la sua falsificabilità, o confutabilità, o controllabilità. [...] L’atteggiamento dogmatico, infatti, è chiaramente in
rapporto con la tendenza a verificare le nostre leggi, o schemi, cercando di applicarli e di confermarli, anche a costo di trascurare le confutazioni; mentre l’atteggiamento critico è pronto a cambiarli, a controllarli, a confutarli e a falsificarli, se possibile. Ciò suggerisce che è possibile identificare l’atteggiamento critico con l’atteggiamento scientifico, e l’atteggiamento dogmatico con quello che
abbiamo descritto come pseudoscientifico. [...] Ammettiamo di esserci deliberatamente imposti di vivere in questo nostro mondo sconosciuto; di adeguarci ad
esso meglio che possiamo; di trarre vantaggio dalle occasioni che possiamo trovarvi; e di spiegarlo se è possibile, e per quanto possibile, benché non sia necessario assumerlo, con l’aiuto di leggi e teorie con potere di spiegazione. Se è questo il compito che ci siamo imposti, allora non vi è procedimento più razionale del metodo per prova ed errore – per congetture e confutazioni, che consiste nell’audace formulazione di teorie, nel tentativo di mostrare che tali teorie sono erronee e nella loro provvisoria accettazione, se i nostri sforzi critici non hanno successo»
POPPER K.R., Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972, 67, 90, 92-93
(corsivo nel testo).
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rire tutto ciò che vuole il maestro, bensì nella qualità di giudice investito della sua carica, che costringe i testimoni a rispondere alle
domande che egli propone loro43.
Se questo capovolgimento gnoseologico offre l’illusione di costituire veramente «l’uomo come misura di tutte le cose»44 e «maître et
possesseur de la nature»45, la sua estrema pericolosità si rivela nella produzione di un capovolgimento etico e antropologico che consegue alla centralità della tecnica in ordine all’acquisizione del sapere. Da
strumento a disposizione del soggetto e da medium tra uomo e natura
qual era originariamente, essa tende a sostituirsi al soggetto e ai fini
da esso determinati, ponendosi come orizzonte ultimo di comprensione dell’uomo stesso, condizione universale per il possesso della natura e l’accumulo delle sue potenzialità46. Infatti, nell’attuale società
tecnologica l’incremento quantitativo delle possibilità offerte dall’apparato tecnico produce un cambiamento qualitativo per cui non è più
l’uomo a scegliere il fine in vista del quale operare, ma è il mezzo stesso a dispiegare lo scenario di tutti i fini che solo per suo tramite sono
ultimamente raggiungibili. «Come creatrice di fini, la tecnica si sostituisce all’uomo che, a questo punto, può solo scegliere all’interno delle possibilità che i mezzi tecnici rendono disponibili»47.
La logica della tecnologia informa di sé tutta la visione del mondo che noi abitiamo e godendo dei benefici che da lei provengono ne
siamo condizionati: ogni realtà – uomo compreso – sembra aver perso valore intrinseco in favore della disponibilità tecnico-strumentale;
43
KANT I., Critica della ragion pura, Prefazione alla II edizione (1787), Adelphi, Milano 1976, 21. Cfr. anche DESCARTES R., Discorso sul metodo, in ID., Opere filosofiche, vol. I, UTET, Torino 1994, 489-553.
44 PROTAGORA, fr. 1, in PLATONE, Teeteto, 152a (fr. 80 B1 D.-K.).
45 CARTESIO, Discorso sul metodo..., VI, 192.
46 «La tecnoscienza è più di una complessa operazione pragmatica, è una vera e propria cultura che pretende di stabilire, con la mediazione di diversi strumenti, il significato e lo scopo della vita, non soltanto di quella umana» PESSINA A., Bioetica. L’uomo sperimentale, Mondadori, Milano 1999, 41.
47 Cfr. GALIMBERTI U., Psiche e techne..., 339.
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la verità viene generalmente misurata dall’esattezza formale e dall’efficacia fattuale; la ragione è riduttivamente intesa in termini esclusivamente funzionali e operativi; i mondi vitali e significativi sono
svuotati di rilevanza e di comunicabilità a meno che non siano riconducibili a schemi empirici e quantificabili; l’azione umana diviene
esecuzione di attività funzionali ad un sistema sul quale il singolo ha
sempre minori possibilità di influenza e tende ad essere da esso controllato; l’individuo si ritrova isolato e potenzialmente in conflitto
con quanti concorrono ad accaparrarsi i beni disponibili; l’etica sperimenta sempre più spesso la propria impotenza a prevenire gli esiti
negativi delle applicazioni scientifiche ed è tentata di abdicare al proprio compito assumendo i contorni di una regolazione procedurale
dei comportamenti, funzionale alle esigenze stesse della tecnica...
Quest’ultima, sotto vari aspetti e in diversi campi, viene così ad assumere un valore assoluto su cui concentrare l’attenzione poiché non
è definibile uno scopo ultimo nella sua produzione di possibilità che
risultano autonome e provvisorie insieme: attraverso la conquista di
mezzi sempre più efficaci presentati ciascuno come fosse il fine ultimo da raggiungere e, contemporaneamente, da oltrepassare utilizzandolo come mezzo per accedere a ulteriori avanzamenti, la logica
della tecnologia ingenera una catena continua – una «cattiva infinità»48 – che carica di inevitabile relativismo ogni progettualità e che
tende ad oscurare il senso propriamente umano dell’agire49.
48
HEGEL G.W.F., Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1830), §§
93-94, Bompiani Milano 2000.
49 «La fede, da parte sua, non teme il progresso della scienza e gli sviluppi a
cui conducono le sue conquiste quando queste sono finalizzate all’uomo, al suo
benessere e al progresso di tutta l’umanità. [...] Avviene, tuttavia, che non sempre
gli scienziati indirizzino le loro ricerche verso questi scopi. Il facile guadagno o,
peggio ancora, l’arroganza di sostituirsi al Creatore svolgono, a volte, un ruolo
determinante. È questa una forma di hybris della ragione, che può assumere caratteristiche pericolose per la stessa umanità. La scienza, d’altronde, non è in grado di elaborare principi etici; essa può solo accoglierli in sé e riconoscerli come
necessari per debellare le sue eventuali patologie. La filosofia e la teologia diventano, in questo contesto, degli aiuti indispensabili con cui occorre confron-
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«Divenuto soggetto, [nel mondo della tecnica] l’uomo non è liberato per la propria affermazione più sicura, ma il suo dominio si converte nella servitù: è ridotto a oggetto, anzi a materiale di impiego»50.
Il moderno Prometeo irresistibilmente scatenatosi alla conquista del
mondo51, alla fine si ritrova incatenato dal prodotto della stessa opera tecnologica – i ceppi di Efesto sulla roccia del Caucaso – e condannato all’incessante ricerca del senso per il quale non sembra intravvedere alcun approdo definitivo52: cosa potrà mai liberarlo dalla
deriva disumanizzante della tecnologica fine a se stessa alla quale lui
stesso ha dato avvio?
tarsi per evitare che la scienza proceda da sola in un sentiero tortuoso, colmo
di imprevisti e non privo di rischi. Ciò non significa affatto limitare la ricerca
scientifica o impedire alla tecnica di produrre strumenti di sviluppo; consiste,
piuttosto, nel mantenere vigile il senso di responsabilità che la ragione e la fede possiedono nei confronti della scienza, perché permanga nel solco del suo
servizio all’uomo» BENEDETTO XVI, discorso Ai partecipanti al congresso internazionale promosso dalla Pontificia Università Lateranense nel X anniversario dell’enciclica “Fides et Ratio” (16 ottobre 2008), in L’Osservatore Romano 17 ottobre
2008, 11.
50 RUGGENINI M., Il soggetto e la tecnica, Bulzoni, Roma 1977, 319. «Paradossalmente quanto più l’uomo diventa capace di manipolare, tanto più perde la
sua sovranità, perché come corpo è molto vulnerabile e come spirito è tanto limitato e finito. Egli, se perde il rapporto con il suo modo naturale di essere, perde se stesso» MIETH D., Cosa vogliamo potere? Etica nell’epoca della biotecnica,
Queriniana, Brescia 2003, 522. Cfr. anche GUARDINI R., Il potere, Morcelliana,
Brescia 19999.
51 Si allude alla suggestiva espressione con cui si apre la prefazione di JONAS
H., Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino 1993,
XXVII: «Il Prometeo irresistibilmente scatenato, al quale la scienza conferisce
forze senza precedenti e l’economia imprime un impulso incessante, esige un’etica che mediante auto-restrizioni impedisca alla sua potenza di diventare una
sventura per l’uomo. La consapevolezza che le promesse della tecnica moderna
si sono trasformate in minaccia, o che questa si è indissolubilmente congiunta a
quelle, costituisce la tesi da cui prende le mosse questo volume».
52 Che sia questo il significato nascosto del supplizio dell’aquila, inviata da
Zeus, a rodergli il fegato che continuamente ricresce, come la domanda sul significato dell’esistenza e l’essenza del reale?
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3. La logica della persona
Per evitare che prenda dimora presso di noi il più inquietante fra
tutti gli ospiti, il nichilismo che si profila alle porte53, appare opportuno seguire un suggerimento che Heidegger – lasciandosi ispirare
dalla filosofia negativa della mistica tedesca e citando il poeta Hölderlin – introduce discretamente nella già citata conferenza sulla tecnica:
«Ma dov’è il pericolo, cresce anche ciò che salva»54. La tecnica antica
ha preso avvio dal limite intrinseco della realtà umana e la tecnologia
contemporanea è giunta a confermare la finitudine di colui che si era
illuso di acquisire un dominio assoluto su ogni cosa: forse perché si è
giunti a tanto, è ora possibile che il dominatore-dominato prenda coscienza della fragilità che lo caratterizza per ritrovare la propria essenza smarrita e istruire una logica della persona che si faccia carico
proprio di quella vulnerabilità inestricabilmente congiunta all’esperienza della tecnologia. E ancora una volta è il mito a indicarci una via!
Mentre stava attraversando un fiume, Cura scorse del fango argilloso.
Lo raccolse pensosa e cominciò a dargli forma. Mentre stava riflettendo su ciò che aveva fatto, sopraggiunse Giove. Cura gli chiese di
infondere lo spirito in ciò che aveva fatto e Giove acconsentì volentieri. Quando, però, Cura pretese di imporre il proprio nome a ciò che
aveva formato, Giove glielo proibì e volle che fosse imposto piuttosto
il suo. Mentre stavano disputando sul nome, intervenne anche la Ter53
Cfr. NIETZSCHE F., Frammenti postumi 1885-1887, fr. 2 [127] in ID., Opere, VIII/1, Adelphi, Milano 1975, 112. Se nel nostro tempo si percepisce con
disagio la rimozione del senso che appare come esito inevitabile della logica della tecnologia, non si presentano come efficaci rimedi né la fuga conservatrice
nelle esperienze pseudo-religiose che propongono un mistero numinoso, ultimamente inconoscibile e alienante; né la soluzione scientista che mira a sostituire il senso con il determinismo riduzionista; né la via gnostica che punta ad
un ampliamento psichico capace di offrire niente di più di una impotente consapevolezza del mutamento in atto. Cfr. GALIMBERTI U., Psiche e techne..., 715.
54 «Wo aber Gefahr ist, wächst / das Rettende auch». HÖLDERLIN F., Patmos, in
ID., Le liriche, Adelphi, Milano 1993 (cit. in HEIDEGGER M., La questione della
tecnica..., 22).
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ra reclamando che fosse imposto il proprio nome, poiché gli aveva dato parte del proprio corpo. I contendenti elessero Saturno – il tempo
– a giudice ed egli comunicò loro la seguente equa sentenza: «Tu,
Giove, dal momento che hai dato lo spirito, dopo la morte riceverai
l’anima; tu, Terra, poiché hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu Cura che per prima diede forma a questo essere, fintanto che
esso vive, lo possieda Cura. Per quanto concerne la controversia sul
nome, lo si chiamerà homo, perché dall’humus è stato tratto»55.
Questa narrazione antropogonica, scarsamente conosciuta, riferitaci dallo scrittore romano Gaius Julius Hyginus (64 a.C.-17 d.C.),
intende esprimere il senso dell’esperienza attraverso il simbolo del
“dare un nome”, cioè definire il significato stabile della realtà, la sua
natura sostanziale. Allusivamente, la realtà umana personale viene
presentata come complessa, duale, ultimamente irriducibile ad una
sola delle sue polarità (materia-spirito, vita-libertà) e si sottolinea come la sua identità si riveli progressivamente nel tempo, che solo permette di giudicare in modo adeguato, giusto e veritiero. La condizione della nostra specie appare come radicalmente segnata dalla
vulnerabilità, sempre in tensione (cura nel senso di preoccupazione e
affanno) perché esposta al rischio di spezzare il fragile equilibrio tra
desiderio infinito e finitudine del corpo, che la mantiene in vita56. Per
questo motivo l’essere umano necessita per tutto il corso della vita,
dal primo istante fino all’ultimo, della cura (nel senso di premura e
sollecitudine) di altri, presenza sollecita e interessamento costante
che mai lo deve abbandonare, rivelando un bisogno strutturale che
l’unità del vivente concreto venga sempre custodita, per prevenire e
porre rimedio a ogni pericolo di separazione interna, anticipatrice e
foriera di morte.
Vulnerabilità e cura, però, non sono in questione solo nei casi di
protezione di chi è incapace di agire autonomamente, ma è un presupposto morale che vede in ogni essere umano una potenziale vitti-
55
56
HYGINUS, Fabulae, 120.
Cfr. RICOEUR P., Finitudine e colpa, Il Mulino, Bologna 1970.
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ma delle azioni altrui e dell’apparato tecnologico57. Esse costituiscono modalità esistenziali di base. Dalla cura l’uomo trae origine e da
essa non deve mai essere abbandonato fintanto che si trova nel mondo, al punto che si può affermare che «la perfectio dell’uomo, il suo
pervenire a ciò che esso può essere, nel suo esser-libero per le sue
possibilità più proprie (per il progetto), è opera della Cura»58. Essa
sola è la dimora in cui l’essere umano può abitare con sicurezza e il
luogo in cui può accogliere l’altro, rispondendo alla provocazione
che sorge nel momento in cui un’altra esistenza vulnerabile gli si presenta innanzi59. Ed è nel contesto della cura che si può esprimere la
libertà personale come responsabilità e, dunque, come esperienza
morale che si manifesta originariamente quale “etica della cura”, intesa come reciprocità previdente e provvidente60.
57 «Vulnerability
expresses two basic ideas. (a) It expresses the finitude and fragility
of life which, in those capable of autonomy, grounds the possibility and necessity for all
morality. (b) Vulnerability is the object of a moral principle requiring care for the vulnerable. The vulnerable are those whose autonomy or dignity or integrity are capable of
being threatened. As such all beings who have dignity are protected by this principle. But
the principle also specifically requires not merely non interference with the autonomy,
dignity or integrity of beings, but also that they receive assistance to enable them to realise their potential» THE BIOMED-II PROJECT, The Barcelona Declaration. Policy
proposals to the European Commission, november 1998, C.4.
58 Cfr. HEIDEGGER M., Essere e tempo, §§ 41-42, Longanesi, Milano 20083,
233-243 (cit. a pag. 242). Qui Heidegger afferma addirittura che «l’essere-nelmondo ha la struttura d’essere della Cura» Ibid., 241.
59 Cfr. LÉVINAS E., Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Jaca Book, Milano 1983; ID., Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaca Book, Milano 19902.
60 «La virtù della cura, la dedizione asimmetrica, non reciproca e parziale al
benessere di un’altra persona, che richiede di rendersi trasparenti ai bisogni dell’altro, è una specifica capacità morale con proprietà che non possono facilmente assimilarsi a quelle di un imperativo categorico di carattere imparziale, cognitivo, ligio al dovere, o che sia espressione di utilitarismo calcolatore. Ma se
prendersi cura di una persona non è la stessa cosa che agire secondo un imperativo categorico o un principio utilitaristico, è nondimeno una capacità morale
umana altrettanto specifica dell’esercizio dell’autonomia morale razionale»
KITTAY E.F., La condizione del disabile: pari dignità, pari cura, in Concilium 39
(2003) 349.
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Fragile e vulnerabile sul piano ontologico (essere contingente e
metafisicamente non necessario); somatico (l’essere carne-sarx esposta
alla malattia e alla sofferenza, attraversata dal desiderio e dalla paura);
psicologico (fragilità emotiva, conflitti inconsci, perdita progressiva
della memoria); sociale (instabilità delle relazioni espressa da Z. Bauman nel concetto di “liquidità”); spirituale (ricerca del senso, aspirazione ai valori, rischio del nichilismo), l’essere umano fa costantemente appello alla protezione, alla presa in carico, alla comprensione
e all’empatia. Solo relazioni reciproche che rispondano a queste esigenze radicali permettono alla nostra comune dignità di emergere e
costituiscono la cura come categoria morale fondamentale, virtù architettonica del discorso etico intorno alla vita, direzione e senso da
imprimere anche all’incalzante progresso della tecno-scienza61.
Senza tradire la nostra natura di esseri ragionevoli e senza abdicare
alla capacità di elaborare strumenti sempre nuovi e più efficaci, dagli
esiti contraddittori della stessa tecnologia siamo spinti a rinunciare ad
ogni illusione di autosufficienza prometeica per ritornare a pensare
realisticamente a noi stessi e agli altri come a esseri segnati essenzialmente dalla finitudine e dall’interdipendenza. Pertanto, vulnerabilità e
cura non sono monopolio della bioetica personalista62 – filone fecondo nel panorama attuale, che molto continua ad offrire alla riflessione
sui temi della vita umana – e neppure esclusiva dell’etica cattolica che
ha fatto dell’uomo vivente concreto la sua prima e fondamentale via di
azione63, ma fanno parte di una consapevolezza laica e universale che,
61
Cfr. TORRALBA ROSELLÓ F., La cura di sé. Prospettiva etica, in SANDRIN L.,
CALDUCH-BENAGES N., TORRALBA ROSELLÓ F., Aver cura di sé. Per aiutare senza burnout, EDB, Bologna 2009, 61-80.
62 Cfr. CARRASCO DE PAULA I., Personalismo e bioetica, in RUSSO G. (ED.), Enciclopedia di bioetica e sessuologia, LDC, Leumann (TO) 2004, 1358-1361; SGRECCIA E., Manuale di Bioetica. Vol. I. Fondamenti ed etica biomedica, Vita e Pensiero,
Milano 20074. Per una presentazione sintetica e un confronto critico tra i diversi
orientamenti bioetici (e tra essi la riflessione femminista sul tema della cura) cfr.
MORDACCI R., Una introduzione alle teorie morali. Confronto con la bioetica, Feltrinelli, Milano 2003.
63 Cfr. Redemptor hominis, 14.
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pur depositatasi al di sotto di pesanti modelli culturali che si muovono
verso prospettive differenti, abita nel profondo della nostra comune
umanità e chiede prepotentemente di emergere per dare forma adeguata a tutti i nostri rapporti, anche quelli mediati dalla tecnica e segnati dal mercato economico. Infatti, la vulnerabilità e l’etica della cura si stanno progressivamente affermando come categorie antropologiche emergenti: certamente implicano un radicale cambiamento di
prospettiva antropologica64, ma dischiudono interessanti potenzialità
nell’ambito variegato della riflessione in tema di interventi sulla vita
umana, soprattutto per la capacità di porre freno alle minacce di quella logica della tecnologia che tende ad esaltare una distorta concezione della libertà intesa come autonomia assoluta e individualista65.
64
Esso chiede di rinunciare a concepire gli individui come completamente
indipendenti e pienamente cooperativi sulla base di un accordo strategico, per i
quali i limiti e le disabilità sono pensate come “casi eccezionali e fuori dalla media”. Occorre invece assumere una prospettiva che pensi fin da subito l’uomo
come essere bisognoso e vulnerabile, le cui relazioni più significative risultano
essere non-cooperative e asimmetriche, estranee ad ogni possibile contratto.
«Se consideriamo i cittadini nostri simili anzitutto quali parti di uno scambio reciprocamente vantaggioso, non saremo mai in grado di annettere valore a coloro che hanno handicap permanenti. E saremo capaci di annettere valore agli anziani disabili solo pensandoli come persone che in altri tempi sono state produttive e che meritano una ricompensa anche solo per la loro precedente produttività. Non è però certamente questo che viene richiesto dalla loro dignità.
Infine, se annetteremo scarso valore o scarsa dignità alle persone in condizioni
di dipendenza, non saremo capaci di riconoscere dignità al lavoro di coloro che
le vestono o le lavano, così come non accorderemo a tale lavoro il riconoscimento sociale che merita» NUSSBAUM M.C., Giustizia sociale e dignità umana, Il
Mulino, Bologna 2002, 47. Cfr. anche D’ADDELFIO G., Considerazioni etiche sul
tema della qualità della vita: l’Approccio delle Capacità di Martha Nussbaum, in Medicina e Morale 55 (2005) 741-767.
65 Cfr. GENSABELLA FURNARI M., Vulnerabilità e cura. Bioetica ed esperienza
del limite, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2008; REICH W.T., Vulnerabilità,
in RUSSO G. (ED.), Enciclopedia di bioetica e sessuologia..., 1817-1823; RENDTORFF
J.D., KEMP P., Basic Ethical Principles in European Bioethics and Biolaw, 2 voll.,
Centre for Ethics and Law – Institut Borja de Bioètica, Copenhagen – Barcelona 2000.
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Questi fermenti culturali non vengono ignorati dall’istruzione Dignitas personae, dove ci sembra di poter rilevare che la categoria della
vulnerabilità compaia per la prima volta nei testi magisteriali66, in
particolare all’inizio e alla fine del documento, quasi a stabilire una
struttura ad inclusione che la rende importante per una corretta ermeneutica del documento. All’inizio si afferma, infatti, che «la fragilità dell’uomo»67 è la ragion d’essere della scienza medica (iatrikē
téchnē), mentre in conclusione si ribadisce che «principi e valutazioni [sono] volti alla tutela della fragile condizione dell’essere umano»68. Inoltre, nel testo si sottolinea «la necessità di tornare ad una
prospettiva di cura delle persone e di educazione all’accoglienza della vita umana nella sua concreta finitezza storica»69, per evitare che
sotto mentite e nobili spoglie di fini migliorativi e di potenziamento
genetico, si introducano forme di discriminazione e di disuguaglianza contrarie al bene comune e alla dignità umana70. Come già accaduto in un atroce passato, infatti,
oggi si assiste ad una non meno grave ed ingiusta discriminazione che
porta a non riconoscere lo statuto etico e giuridico di esseri umani affetti da gravi patologie e disabilità: si viene così a dimenticare che le
persone malate e disabili non sono una specie di categoria a parte
perché la malattia e la disabilità appartengono alla condizione umana
e riguardano tutti in prima persona, anche quando non se ne fa esperienza diretta71.
66
Sebbene non venga impiegato esplicitamente come categoria bioetica, il
concetto compare anche in Donum vitae, Intr., 1 «Cristo ha compassione delle
nostre fragilità: Egli è nostro Creatore e nostro Redentore», e in Evangelium Vitae, 15 in riferimento al malato terminale che «rischia di sentirsi schiacciato dalla propria fragilità».
67 Dignitas personae, 2.
68 Dignitas personae, 37.
69 Dignitas personae, 27.
70 Cfr. HABERMAS J., Il futuro della natura umana. I rischi della genetica liberale, Einaudi, Torino 2002.
71 Dignitas personae, 22.
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GIOVANNI DEL MISSIER
Siamo perciò persuasi che solo accogliendo la fragilità/vulnerabilità come categoria antropologica e integrandola tra i fondamenti
classici della riflessione bioetica sarà possibile che la moderna tecnologia onnipotente e autoreferenziale getti la maschera ambigua di
Prometeo per assumere i tratti del volto compassionevole di Cura ut
hominem possideat, quamdiu vixerit, quoniam prima eum finxit 72. Questa, infatti, è la logica rispondente alla vere esigenze della persona,
una logica che discretamente riproduce nella storia l’agire stesso di
Dio – l’unico grande filantropo (Theós philánthropos secondo la tradizione orientale) – che «ha cura del mondo e dell’uomo»73.
72
73
Cfr. HYGINUS, Fabulae, 120.
Dignitas personae, 7. Cfr. Veritatis splendor, 45.
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SUMMARIES
The instruction Dignitatis personae appears to be characterised by a dual current of opposites; it contrasts two different methods of working with the technical-scientific resources which give impetus to the logic of technology on the
one hand, and the logic of the person on the other. Having uncovered the cultural roots that give rise to these two methods, and the various consequences
which flow from them, this contribution seeks to bring to light the origin, development and problematic outcomes of the contemporary technological
mentality, in order to propose a reformulation of the personalistic approach
through the recovery of human vulnerability and an ethic of care as categories
in the construction of fundamental bioethical discourse.
***
La instrucción Dignitas personae parece caracterizarse por un doble ritmo y a
la vez en oposición: hace la confrontación entre dos modalidades diversas de
empleo de los recursos técnico-científicos que se inspiran alternativamente,
sea en la lógica de la teconología, sea en la lógica de la persona. Después de
evidenciar las raíces culturales de las cuales proceden estas dos lógicas y hacer patentes las consecuencias que de ellas se derivan, el autor intenta hacer
ver el origen, la evolución y los logros problemáticos de la mentalidad contemporánea. Con estos elementos se propone reformular la orientación personalista, recuperando el elemento de la vulnerabilidad humana y de la ética
de la curación como categorías arquitectónicas del estudio de la bioética fundamental.
***
L’istruzione Dignitas personae sembra essere caratterizzata da un ritmo binario e oppositivo che pone a confronto due diverse modalità d’impiego delle risorse tecno-scientifiche che si ispirano alternativamente alla logica della tecnologia e alla logica della persona. Dopo aver messo in evidenza le radici culturali da cui esse provengono e le diverse conseguenze che ne derivano, il
presente contributo cerca di far emergere l’origine, l’evoluzione e gli esiti problematici della mentalità tecnologica contemporanea, per proporre una riformulazione dell’impostazione personalista attraverso il recupero della vulnerabilità umana e dell’etica della cura come categorie architettoniche del discorso bioetico fondamentale.
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LA NATURA FLUIDA
Le sfide dell’ibridazione, della transgenesi,
del transumanesimo
Maurizio P. Faggioni, ofm*
Nella nostra cultura, caratterizzata dalla messa in discussione
delle persuasioni tradizionali e dalla crisi dei grandi quadri generali di riferimento personali e collettivi, anche la categoria di “umano”, un tempo ritenuta un presupposto condiviso, saldo e inconcusso per ogni discorso e argomentazione, sta perdendo sempre più
la nettezza dei suoi contorni. Stiamo assistendo ad una attenuazione del “limes”, del confine, fra umano e non-umano e ad una fluidificazione della natura umana quale fondamento invariante e comune di identità, di titolarità di diritti, di criteriologia etica. I tentativi di creare animali umanizzati, attraverso l’applicazione delle
tecniche di transgenesi e di ibridizzazione, e il progetto di dar vita
ad un essere post-umano, attraverso l’applicazione di biotecnologie
innovative, sono – da versanti diversi e opposti – altrettante sfide al
progetto “uomo”. Dove porre i confini del lecito e dell’illecito senza mortificare la ricerca e il legittimo desiderio dell’uomo di migliorarsi, ma anche senza ferire l’identità e la dignità dell’essere
umano? Con queste sfide si deve e sempre più si dovrà confrontare
anche la bioetica cattolica.
* The author is an ordinary professor of moral theology at the Alphonsian Academy.
* El autor es profesor ordinario de teología moral en la Academia Alfonsiana.
Il presente articolo riprende la relazione svolta in occasione della giornata di
studio Dignitas personae. Per una bioetica umana, tenutasi presso l’aula magna dell’Accademia Alfonsiana (Roma, 28 aprile 2009).
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MAURIZIO P. FAGGIONI
1. Chimere, ibridi e altre stranezze
Nei racconti mitologici di diverse aree culturali sono presenti con
frequenza strane creature che mescolano fra loro in modo bizzarro e
orrendo aspetti di animali diversi. Nella mitologia greca è la Chimera,
con testa di leone, corpo di capra e coda di serpente, a rappresentare
l’emblema di ogni mescolanza animale. Ancora più sconcertanti erano i mostri in cui l’umano si contaminava di animale, come l’Echidna,
madre della Chimera, che era donna splendida nella parte superiore
del corpo e serpente screziato nella parte inferiore, o come le Sirene
che, nell’immaginazione dei Greci, avevano testa e braccia femminili,
ma corpo di uccello con terribili artigli, o come i Centauri, gente della Tessaglia mezzo umana e mezzo equina. Di tutti i mostri teriomorfi uno dei più inquietanti era il Minotauro, nato dall’incontro fra i desideri insani di Pasifae, regina di Creta, che s’era invaghita di un toro
prodigioso, e l’abilità di Dedalo, l’artefice ingegnoso, che le fabbricò
una vacca di legno. La donna, rinchiusa nella vacca, poté unirsi sessualmente al toro e da quella congiunzione nacque il Minotauro, mezzo uomo e mezzo toro. Dedalo è simbolo della techne posta a servizio
dell’hybris umana e capace di rispondere al delirio del desiderio e di
dare vita a esseri ibridi1, creazioni terrificanti e affascinanti insieme.
Come spiega Li Causi, “lo sconcerto dei Greci nel pensare (e nell’ascoltare) la storia del Minotauro o dei Centauri deriva evidentemente dal fascino ambiguo del teriomorfo, che terrorizza e, nello
stesso tempo, attira”2. Un filo rosso lega l’antico Minotauro generato e imprigionato nel Labirinto sull’isola di Creta con i mostri prodotti dal genio folle del dottor Moreau sulla sua isola remota nel mito cinematografico contemporaneo, passando attraverso le trasfor1
La parola ibrido indica un vivente, pianta o animale, frutto di unione fra due
viventi diversi, come il mulo frutto della unione di cavallo e asina. Etimologicamente si vuole riconnessa con hybris, termine greco che indica la tracotanza
umana che non rispetta gli dei e le leggi immutabili del cosmo.
2 LI CAUSI P., Generazione di ibridi, generazione di donne. Costruzione dell’umano in Aristotele e Galeno (e Palefato), “Storia delle donne” 1 (2005) 89-114 (citazione p. 110).
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LA NATURA FLUIDA
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mazioni bestiali operate dalla maga Circe e l’alternarsi di natura
umana e lupina provocato dalle fasi lunari nei leggendari licantropi,
per non parlare dei parti mostruosi che affollano le pagine secentesche di un Aldrovandi o di un Liceto.
Gli incubi e i sogni antichi e nuovi, proiezione di paure e di desideri primordiali, oggi prendono corpo grazie ai progressi biomedici
nel campo della manipolazione di cellule, tessuti e organismi che hanno permesso di operare la commistione di parti provenienti da specie
diverse sino a produrre chimere, ibridi e organismi transgenici. La varietà delle procedure manipolatorie già attuate o solo ipotizzate rende
talvolta incerti e discutibili i confini fra le diverse tecniche e i loro prodotti, ma possiamo cercare di dare alcune definizioni operative3.
La chimera è un animale formato da due popolazioni cellulari geneticamente diverse e provenienti da zigoti diversi4. Chimere tipiche secondo l’intuizione comune, presentanti cioè la compresenza a livello
fenotipico nello stesso individuo di caratteri di specie diverse, sono
quelle prodotte da Steen Willadsen che, combinando cellule provenienti da embrioni di specie diverse, è giunto alla produzione di pecore-capre e pecore-vacche5. Esperimenti di chimerizzazione hanno permesso di chiarire alcuni aspetti dell’embriogenesi e di studiare il rapporto fra strutture cerebrali e comportamenti caratteristici di una cer-
3
Le incertezze interpretative a livello biologico si riflettono - è intuibile sulla valutazione morale, come nel caso della lettura diversa che viene data del
fenomeno della transgenesi, da alcuni avvicinato alla ibridazione.
4 Questa definizione abbraccia anche il chimerismo tetragametico dovuto di
solito alla fusione di due embrioni precoci. Nel mosaicismo, invece, abbiamo la
compresenza di cellule con assetto cromosomico diverso, spesso uno sano ed
uno patologico, ma provenienti da uno stesso zigote. Sul chimerismo segnaliamo due articoli di revisione: RAIMONDI G., TURNQUIST H. R., THOMSON A.
W., Frontiers of immunological tolerance. “Methods in Molecular Biology” 380
(2007) 1-24; YUNIS E. J., ZUNIGA J., ROMERO V., YUNIS E. J., Chimerism and tetragametic chimerism in humans: implications in autoimmunity, allorecognition and
tolerance, “Immunology Research” 38 (2007) 213-236.
5 FEHILLY C. B., WILLADSEN S. M., TUCKER E. M., Interspecific chimaerism
between sheep and goat, “Nature” 307 (1984) 634-636; LE DOUARIN N., Chimere,
cloni e geni, Torino 2002.
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ta specie animale. Ricordiamo, a questo proposito, il trasferimento di
cellule neuronali di quaglia in un cervello di pollo: le cellule nervose
della quaglia trasferite nel cervello del pollo conferivano al ricevente
comportamenti tipici del donatore, come emissioni vocali e movimenti della testa tipici della quaglia6. Esistono anche progetti per studiare
gli effetti del trasferimento di cellule staminali neuronali dell’uomo in
animali, in particolare ratti adulti, in vista di un loro impiego in soggetti malati a scopo riparativo in malattie degenerative o in gravi lesioni del sistema nervoso centrale e periferico7. La scelta dell’animale
ospite presenta – come si può immaginare – gravi problemi etici8.
Un embrione o feto chimerico uomo-animale è, in particolare,
embrione o feto animale in cui è stata introdotta almeno una cellula
integra di una forma di vita umana oppure un embrione o feto umano in cui è stata introdotta almeno una cellula integra di una forma
di vita non umana9.
Si chiama classicamente ibrido l’organismo che risulta dall’unione
di due gameti di specie diverse e, quindi, nelle cui cellule sono com-
6
BALABAN E., Changes in multiple brain regions underlie species differences in a
complex, congenital behavior, “Proceedings of the National Academy of Sciences
USA” 94 (1997) 2001-2006; LONG K. D., KENNEDY G., BALABAN E. Transferring an inborn auditory perceptual predisposition with interspecies brain transplants,
“Proceedings of the National Academy of Sciences USA” 98 (2001) 5862-5867.
7 CUMMINGS B. J., UCHIDA N., TAMAKI S. J. et al. Human neural stem cells differentiate and promote locomotor recovery in spinal cord-injured mice, “Proceedings
of the National Academy of Sciences USA” 102 (2005) 14069-14074; GAO J.,
COGGESHALL R. E., TARASENKO I., WU P., Human neural stem cell-derived cholinergic neurons innervate muscle in motoneuron deficient adult rats, “Neuroscience”
131 (2005) 257-262. A questo proposito ricordiamo la fondazione, nel 2005, del
Transfer of Human brain stem cells to animals USA Interdisciplinary Working Group.
8 GREENE M., SCHILL K., TKAHASHI S. ET AL., Moral issues of human-nonhuman primate neural grafting, “Science” 309 (2005) 385-386; KARPOWICZ P.,
COHEN C. B., VAN DER KOOY D., It is ethical to transplant human stem cells into
nonhuman embryos, “Nature Medicine” 10 (2004) 331-335.
9 Applicando questa definizione in modo rigoroso, un organismo umano in
cui fossero introdotti cellule o tessuti animali integri e viventi (come nel caso
degli xenotrapianti) diventerebbe un organismo chimerico.
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presenti elementi dei genomi di due specie. Un ibrido uomo-animale è un organismo creato attraverso l’impiego di uova e spermatozoi
di origine animali e di origine umana.
Un ibrido è, per esempio, il prodotto della fecondazione di ovociti di hamster con spermatozoi umani nell’ambito del test di penetrazione, anche se usualmente esso viene distrutto prima della fusione dei
nuclei (cariogamia)10.
Sarebbe stato un ibrido l’uomo-scimmia che, nel 1926, Stalin aveva commissionato al biologo Ilya Ivanovic Ivanov per avere un essere infraumano resistente, insensibile al dolore e senza pretese nell’alimentazione. A questo scopo si cercò di inseminare – ma senza successo – femmine di scimpanzè con seme umano, mentre, per motivi
tecnici, non fu possibile fare il tentativo di inseminare donne con seme di scimpanzè11.
Nel contesto delle tecniche di riproduzione artificiale l’impiego di
elementi di origine umana e di origine animale ha portato ad un allargamento della definizione di ibrido uomo-animale fino a comprendervi un ovocita umano fertilizzato da seme non umano; un ovocita non umano fertilizzato da un seme umano; un ovocita non umano denucleato in cui è stato trasferito un nucleo umano; un ovocita
umano o non umano che contiene sets di cromosomi aploidi provenienti da esseri non umani o umani, rispettivamente12.
10
Sul tema, si veda il documento Santosuosso con relative relazione di minoranza in: COM. NAZ. BIOETICA, Problemi della raccolta e del trattamento del liquido seminale umano per finalità diagnostiche, Roma 1991, 16-19. La relazione di minoranza
respinse la definizione di “ibridazione” contenuta nel documento di maggioranza
e parlò di semplice fusione (“mixing”) dello spermatozoo con l’ovocita di hamster.
11 ROSSIIANOV K., Beyond species: Il’ya Ivanov and his experiments on cross-breeding humans with anthropoid apes, “Science in Context” 15 (2002) 277-316.
12 Si veda, per esempio, la descrizione dell’ibridazione uomo-animale che è
presupposta in un documento canadese: “Hybrid means (a) a human ovum that
has been fertilized by a sperm of a non-human life form; (b) an ovum of a nonhuman life form that has been fertilized by a human sperm; (c) a human ovum
into which the nucleus of a cell of a non-human life form has been introduced;
(d) an ovum of a non-human life form into which the nucleus of a human cell
has been introduced; or (e) a human ovum or an ovum of a non-human life form
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Un esempio di queste commistioni uomo-animale è costituita dai
cosiddetti cybrids, esseri, per ora solo embrionali, fondamentalmente
umani, ma nel cui patrimonio genetico, nucleare od extranucleare, sono presenti elementi genetici animali.
Il ricercatore inglese Stephen Minger ha proposto l’uso di ovociti
animali per la riprogrammazione di nuclei di cellule somatiche umane, al fine di produrre cellule staminali di tipo embrionale, senza dover ricorrere all’uso di ovociti umani. Gli embrioni così ottenuti si
presentano come biologicamente umani perché formati al 98% da
DNA umano e, soprattutto, perché in possesso di un genoma umano
sostanzialmente integro. Il restante 2% è rappresentato dal DNA mitocondriale di origine animale che, però, è destinato a funzioni legate
al metabolismo e alla produzione di energia. Si potrebbe parlare di
una clonazione ibrida.
Si chiama, infine, transgenesi il trasferimento nel genoma di un
embrione precoce di un gene esogeno, proveniente, cioè, da un’altra
specie e suscettibile di essere trasmesso alla progenie13. Nella categoria di transgenesi si comprendono anche agli interventi che mirano a bloccare l’espressione di uno o più geni. Gli animali modificati
con queste metodiche sono detti transgenici: in essi le modifiche del
genoma sono minime e tali da non mutare la sua identità genetica e
la sopravvivenza, anche se esistono rischi provenienti da un’espressione anomala del transgene e ripercussioni sull’equilibrio e il funzionamento del genoma.
Dopo le prime esperienze negli anni ’80 del XX secolo, oggi la
produzione di animali transgenici in laboratorio è quasi routinaria,
anche se non sempre si riesce ad ottenere, con precisione sufficien-
that otherwise contains haploid sets of chromosomes from both a human being
and a non-human life form” (DEPARTMENT OF JUSTICE, Assisted Human Reproduction Act, 29-3-2004, 3; http://laws.justice.gc.ca/pdf/Statute/A/A-13.4.pdf; accesso 30-10-2009).
13 HOUDEBINE L.-M., Animal Transgenesis & Cloning, New York 2003. Il termine transgenico è stato coniato da Gordon e Ruddle nel 1981, per indicare un
topo che aveva incorporato due tipi di materiale genetico, uno di origine virale
e uno derivato dal mRNA di leucociti umani.
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te, la voluta collocazione dei geni trasferiti nel DNA dell’animale
ospite. Le tecniche utilizzate sono diverse, ma in genere si basano
sulla modifica genetica in vitro di un embrione animale seguita dal
trasferimento dell’embrione nell’ovidotto o nell’utero di una madre
surrogata14.
Le tecniche di transgenesi sono state utilizzate fino ad oggi con diverse finalità, come la produzione di animali da allevamento con capacità produttive migliorate (latte, caseina), o con caratteristiche fisiche superiori (quantità e qualità di carne), la produzione di farmaci,
proteine e ormoni umani nel latte di bestiame transgenico (pecore,
maiali, mucche, ecc.), lo sviluppo di tecniche di terapia genica germinale, che potrebbero essere applicate all’uomo. la creazione di modelli animali per lo studio in vivo di malattie umane, inclusi i tumori15.
Una applicazione relativamente recente è la produzione di animali transgenici, di maiali transgenici, per la precisione, i cui tessuti sono stati resi più immunocompatibili con l’uomo per superare i gravi
problemi di rigetto degli xenotrapianti16. Una prima possibilità consiste nella inattivazione di alcuni geni in modo da renderli non più
14
Alla vecchia tecnica della microiniezione pronucleare si sono aggiunti i
vettori virali e il trasferimento mirato (gene targeting). Vedere: ROBL J. M.,
WANG Z., KASINATHAN P., KUROIWA Y., Transgenic animal production and animal
biotechnology, “Theriogenology” 67 (2007) 127-133. Un gruppo italiano ha sviluppato una tecnica innovativa, precisa e relativamente semplice per il trasferimento di geni nel maiale: LAVITRANO M. L., BACCI M. L., FORNI M. ET AL., Efficient production by sperm-mediated gene transfer of human decay accelerating factor
(hDaf) transgenic pigs for xenotransplantation, “Proceedings of the National Academy of Sciences USA” 99 (2002) 14230-14235.
15 Si ricordi il discusso oncotopo di Harvard: STEWART T. A., PATTENGALE P.
K., LEDER P., Spontaneous mammary adenocarcinomas in transgenic mice that carry
and express MTV/myc fusion genes, “Cell” 38 (1984) 627-37. Dal punto di vista
etico: SALVI M., Transforming animal species: the case of ‘oncomouse’, “Science Eng
Ethics” 7 (2001) 15-28.
16 LAI L., KOLBER-SIMONDS D., PARK K. W. ET AL., Production of α-1,3-Galactosyltransferase knockout pigs by nuclear transfer cloning, “Science” 5557 (2002) 10891092; DAI Y., VAUGHT T. D., BOONE J. ET AL., Targeted disruption of the α1,3-galactosyltransferase gene in cloned pigs, “Nature Biotechnology” 20 (2002) 251-255.
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funzionali (knock out): ad esempio, il gene responsabile dell’espressione dell’antigene α-gal sulle cellule endoteliali di suino potrebbe essere inattivato in modo da diminuire uno degli stimoli al rigetto. Un’altra possibilità è il trasferimento di geni umani nel DNA animale: le
esperienze più promettenti fino ad ora sono venute dagli organi di
maiali transgenici per l’hDAF (human decay accelerating factor)17. Sono in via di perfezionamento anche metodiche per regolare l’espressione dei transgeni: potrebbe, infatti, essere molto vantaggioso che
un determinato transgene dell’organo di maiale trapiantato si esprima in un particolare momento del periodo post-trapianto, mentre
potrebbe essere svantaggioso che lo facesse in uno stadio differente.
2. Genoma e persona
Prima di poter esprimere valutazioni morali su queste applicazioni biotecnologiche, credo che sia necessario tentare di tematizzare
una questione antropologica fondamentale, quella del rapporto fra
genoma umano e persona umana.
Il genoma umano è al centro di molteplici ricerche e discussioni
di tipo scientifico, ma anche di tipo morale, giuridico, economico e
politico. Quando si dice “genoma umano” ci si riferisce a realtà diverse, fra loro interconnesse, ma fondamentalmente a due aspetti: il
materiale genetico tipico delle specie umana, preso nella sua totalità e
con le sue infinite variazioni individuali, organizzato in particolari
molecole filamentose note come acidi nucleici (DNA ed RNA), e
l’informazione di cui questo stesso materiale genetico è portatore.
17
COZZI E., YANNOUTSOS N., LANGFORD G. A. ET AL., Effect of transgenic
expression of human decay-accelerating factor on the inhibition of hyperacute rejection
of pig organs, in COOPER D. K. C., KEMP E., PLATT J. L., WHITE D. J. G. eds.,
Xenotransplantation. The transplantation of organs and tissues between species, Berlin
1997, 665-682; SMOLENSKI R. T., FORNI M., MACCHERINI M. ET AL., Reduction
of hyperacute rejection and protection of metabolism and function in hearts of human
decay accelerating factor (hDAF)-expressing pigs, “Cardiovascular Research” 73
(2007) 143-152.
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Nonostante gli enormi sforzi e i grandi progressi in questo campo, le nostre conoscenze sul genoma umano sono ancora relativamente scarse. Completato il sequenziamento del genoma umano, ci
siamo accorti che non abbiamo idea delle funzioni di molto materiale genetico, soprattutto del cosiddetto “DNA spazzatura” (“junk
DNA”). Si stanno accumulando osservazioni che questo DNA non
sia per niente “spazzatura”, ma che svolga funzioni importanti nel codificare per i geni multicromosomici, nella regolazione della trascrizione dei geni o nel fornire materiale genetico di riserva. In ogni caso anche il DNA apparentemente o realmente privo di funzioni entra a far parte della identità genetica di un soggetto.
Per quanto si sa, l’elemento cardine per la determinazione di ciascuna specie biologica, inclusa la specie umana, è l’informazione contenuta nel suo genoma. Quando si parla di esseri umani esiste, quindi,
un legame a cascata fra genoma umano, natura umana e stato morale
della persona. Dal genoma dipende la identità biologica ed esso sta,
quindi, al fondamento dell’esistenza di ciascun individuo. Anche nell’essere umano, benché si tratti di una creatura pluridimensionale e
non riducibile alle sole componenti biologiche, lo strato base sul quale e dal quale si sviluppano tutte le altre dimensioni è quello corporeo
ed è dal genoma che lo strato corporeo trae la sua struttura organizzativa. Questa struttura di base, premessa di ogni crescita ed evoluzione
verso la pienezza, è condivisa da tutti gli esseri umani ed è la ragione
biologica e la significazione somatica della comune appartenenza di
ogni uomo ad un solo genere umano. Esiste una interconnessione tra
tutti coloro che essi sono parte della stessa famiglia umana e che partecipano della stessa natura umana, intendendo la natura in senso forte, quale principio invariante che, pur diversamente inverato e compreso nei diversi contesti storico-culturali, include un grado elevato di
universalità e determina i caratteri essenziali dell’umanità: un segno di
questa comunanza di natura è nella comunanza di genoma perché è il
genoma che, ultimamente, dirige il nostro divenire di esseri umani ed
è anche la premessa biologica imprescindibile per lo sviluppo delle nostre capacità peculiari. Noi, pertanto, rispettiamo ogni essere umano,
qualunque sia il suo livello di prestazioni e di qualità di vita, per il solo
fatto che appartiene alla specie umana e la presenza di un genoma
umano è indice di questa appartenenza. Da questo punto di vista il ge-
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noma umano costituisce un comune patrimonio dell’umanità da custodire e proteggere contro manipolazioni e abusi18.
Dire che il genoma umano è segno di umanità non deve farci dimenticare che, per l’antropologia cristiana, noi non siamo umani in
senso pieno perché abbiamo un genoma umano: l’uomo non è il suo
genoma. L’uomo è una realtà complessa e multistratificata, una unitas
multiplex, nella quale – per richiamare la prospettiva aristotelica – uno
spirito personale informa la materia quale unico principio vitale del
suo essere, fonte di tutte le operazioni vegetative, sensitive e intellettive19. Alla fertilizzazione dell’ovocita, con la formazione di un embrione monocellulare dotato di genoma biologicamente umano, ancorché non ancora del tutto funzionante o persino difettivo20, si viene
a costituire un substrato adeguato all’animazione: la struttura organismica elementare dello zigote – comunque esso sia stato formato21 –
offre una adeguata dispositio passiva per ricevere l’anima razionale22.
18
UNESCO, Universal Declaration on the Human Genome and Human Rights,
11 November 1997, art. 1: “The human genome underlies the fundamental
unity of all members of the human family, as well as the recognition of their inherent dignity and diversity. In a symbolic sense, it is the heritage of humanity”.
19 Si veda, per tutto questo aspetto un intervento molto lucido: SEIFFERT J.,
Respect for the nature and responsibility of the person, in VIAL CORREA J., SGRECCIA
E. eds., Human Genome, Human Person and the Society of the Future, Città del Vaticano 1999, 351-394 (soprattutto 378-382).
20 Un soggetto con genoma umano sarebbe pienamente umano in senso ontologico anche se il suo genoma fosse difettivo, purché capace di dirigere la
strutturazione di un organismo. Soggetti con eclatanti anomalie cromosomiche
sono certamente umani, nonostante il loro genoma sia anomalo, difettivo o sbilanciato come nel caso della sindrome di Turner (45, X0) o della sindrome di
Klinefelter (47, XXY) che si associano a disgenesia gonadica o come nel caso
della sindrome di Down (trisomia 21) o nella trisomia 18 in cui si ha un ritardo
mentale più o meno grave.
21 Le nuove tecniche di manipolazione embrionale permettono di avere embrioni non provenienti dalla fusione di gameti (es. per clonazione, per partenogenesi, per embryo splitting). Lo statuto dell’embrione agamico umano è discusso, ma si propende per un riconoscimento della sua umanità.
22 Noi riconosciamo nel patrimonio genetico umano dello zigote un segno
della appartenenza alla specie umana, ma la vera causa dispositiva passiva all’ani-
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Senza addentrarci oltre nei meandri del rapporto fra dimensioni
corporee, incluso il genoma, e dimensioni spirituali nell’uomo, “corpore et anima unus”23, dobbiamo, però, sottolineare l’importante
precisazione epistemologica introdotta dall’istruzione Donum vitae
che “nessun dato sperimentale può essere per sé sufficiente a far riconoscere un’anima spirituale; tuttavia le conclusioni della scienza
sull’embrione umano forniscono un’indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da questo primo comparire di una vita umana”24.
La presenza di un genoma umano non ci “dimostra” che c’è un’anima razionale, ma tale presenza è causa e indice di una appartenenza biologica e di un telos cui tende quel vivente umano, indipendentemente dal fatto che il telos sia conseguito pienamente o meno25. D’altra parte, secondo l’antropologia scolastica, l’anima umana è caratterizzata dalla unibilitas: essa esiste per unirsi alla materia
signata quantitate del corpo, esiste per unirsi ad un corpo umano, vale a dire un corpo strutturato in base al progetto contenuto nel genoma umano26. In tal modo, la dignità dell’imago filialis – che è prima è la vita organismica dello zigote. Non è ancora noto sino in fondo il ruolo
del nuovo genoma nelle primissime ore dalla fertilizzazione, ma non possiamo
qui approfondire il problema.
23 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, 7-121965, n. 14.
24 CONGREGAZIONE DELLA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. Donum vitae, I, 1.
25 Cfr. POSSENTI V. La bioetica alla ricerca dei principi: la persona, “Medicina e
Morale” 42 (1992) 1075-1095 (p. 1092): “[Il personalismo] legge nel movimento teleologico e autoprogrammato dell’embrione verso più compiuti stati corporei e psichici di umanità, la regia di una forma immanente, presente sin dall’inizio e che presiede l’intero processo”. La forma immanente è l’anima.
26 L’anima umana è fatta per informare un corpo, non una molecola lineare
qual è il DNA, per quanto densa di informazione biologica e di vitale importanza per la strutturazione dell’organismo, per cui solo considerando il genoma
come parte integrante del tutto organico si può affermare che l’anima lo vivifica. In questo senso devono intendersi alcune espressioni comparse in un discorso pontificio che suscitarono a suo tempo perplessità. Cfr. GIOVANNI PAOLO II,
Discorso alla Pontificia Accademia per la Vita, 24-2-1998, n. 4, in Insegnamenti di
Giovanni Paolo II, XXI/1, Città del Vaticano 2000, 420: “L’approfondimento an-
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mariamente dello spirito – nell’unità del composto umano viene
partecipata al corpo il quale, a sua volta, si struttura e diviene proprio attraverso lo svolgimento del programma biologico contenuto
nel DNA27.
In antitesi alla antropologia complessa che è presupposta dal personalismo, si avverte nella cultura contemporanea un dilagante riduzionismo genetico che porta a ricondurre ogni aspetto dell’essere umano, incluse le sue qualità morali, a predisposizioni o, addirittura, a determinismi genetici. Una ricaduta del riduzionismo genetico si ha in
coloro che enfatizzano talmente il ruolo umanizzante del genoma da
fare del genoma una sinèddoche dell’organismo vivente e, talora, dell’uomo stesso. Alcuni Autori cattolici giungono ad affermare esplicitamente la sacralità del genoma umano: la teologia parla di sacralità
della persona e di sacralità della vita della persona e suona per noi
piuttosto bizzarro sentir parlare di sacralità del genoma, così come
sarebbe bizzarro sentir parlare di sacralità del cervello28. La sacralità
della vita personale – fondazione ultima della dignità dell’essere
umano – è un riflesso della relazione costitutiva dell’uomo con il suo
Signore ed è una qualità etica inerente alla persona umana. Anche accettando una estensione analogica della sacralità dalla persona umana al genoma umano, supponiamo che una tale sacralità dovrebbe essere una qualità riferita al genoma umano in toto, inteso come una
tropologico, infatti, porta a riconoscere che, in forza dell’unità sostanziale del
corpo con lo spirito, il genoma umano non ha soltanto un significato biologico;
esso è portatore di una dignità antropologica, che ha il suo fondamento nell’anima spirituale che lo pervade e lo vivifica”.
27 Cfr. Catechismus Catholicae Ecclesiae, Città del Vaticano 1997, nn. 363-364:
“Verbum anima ... denotat etiam id ... per quod ille magis peculiariter est imago Dei ... Corpus hominis dignitatem ‘imaginis Dei’ participat”. Cfr. TOMMASO
D’AQUINO, Summa Theologiae, I. q. 9. art. 6, Utrum imago Dei sit in homine solum secundum mentem.
28 Cfr. TONTI-FILIPPINI N., FLEMING J. I., PIKE G. K., CAMPBELL R., Ethics
and Human-Animal Transgenesis, “The National Catholic Bioethics Quarterly”
6 (2006) 689-704 (p. 704): “Such a project represents a failure to respect the sacredness of the human genome and the sacredness of human generation”.
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unità funzionale in relazione con l’organismo vivente, e non certo riferita ai singoli geni che lo compongono29.
Ogni appartenente alla specie umana, ogni essere, cioè, strutturato secondo il programma informativo proprio di un genoma umano,
ancorché questo programma si presenti abnorme o difettivo, possiede una dignità ontologica ed etica di tipo personale. Pertanto, un genoma umano correttamente funzionante, quand’anche fosse trasferito in una struttura cellulare di provenienza animale, come nel caso
della clonazione ibrida, darebbe origine ad uno zigote umano e, virtualmente, ad un organismo umano.
Siamo convinti, infine, che non si debba portare all’esistenza e poi
distruggere un essere il cui status ontologico e, quindi, etico fosse anche solo dubitativamente umano, come nel caso della formazione di
embrioni difettivi attraverso l’impiego di tecniche tipo OAR (oocyte
assisted reprogramming): un dubbio in materia tanto grave esige, infatti, la più grande cautela e, una volta riconosciuto che il nuovo essere
così formato ha un genoma umano, al nuovo essere dovrebbe essere
riconosciuto almeno il beneficio del dubbio riguardo al suo status
umano30.
29
La nozione di organismo è centrale nella filosofia della biologia e nella
bioetica. Si veda: RAMELLINI P., Life and Organisms. Roma 2006.
30 Cfr. CONGREGAZIONE DELLA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione dottrinale Dignitas personae, n. 30: “Le obiezioni etiche, sollevate da più parti contro
la clonazione terapeutica e contro l’uso di embrioni umani formati in vitro,
hanno spinto alcuni scienziati a proporre nuove tecniche, che vengono presentate come capaci di produrre cellule staminali di tipo embrionale senza presupporre però la distruzione di veri embrioni umani. Queste proposte hanno suscitato non pochi interrogativi scientifici ed etici, riguardanti soprattutto lo statuto ontologico del “prodotto” così ottenuto. Finché non siano chiariti questi
dubbi, occorre tenere conto di quanto affermato dall’Enciclica Evangelium vitae: «tale è la posta in gioco che, sotto il profilo dell’obbligo morale, basterebbe la sola probabilità di trovarsi di fronte ad una persona per giustificare la più
netta proibizione di ogni intervento volto a sopprimere l’embrione umano»”.
Abbiamo affrontato l’argomento in: FAGGIONI M. P., Anthropological and ethical
reflections on the production and use of embryonic stem cells, “Cell Proliferation” 41
(2008) suppl. 1, 71-77.
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3. “Non confondere i genomi”
Il disagio oscuro che percorre le favole a sfondo zooantropomorfo antiche e nuove sembra essere indizio di una paura inconscia, la
paura che possa essere scavalcato l’abisso fra la nostra umanità e la
bestialità e che noi possiamo essere di nuovo risucchiati nel gorgo
dell’animalità da cui lo Spiritus Creator un giorno ci ha sollevati.
La salvaguardia dei limiti fra le specie fa parte del rispetto per la
natura, temuta e venerata nel suo mistero sacro e nel suo assetto immutabile, secondo la famosa espressione di Linneo: “species tot numeramus, quot diversae formae in principio ab initio sunt creatae”31.
Lo stesso Aristotele, nel De generatione animalium, si mostra alquanto
perplesso nel dover spiegare la natura di muli e di bardotti perché
questi incroci non sono ben inquadrabili nel contesto della sua metafisica della generazione che prevede la trasmissione dell’eidos o species
da un maschio e da una femmina appartenenti al medesimo eidos, sia
pure secondo un logos diverso in vista della procreazione32. In una prospettiva fissista, ogni commistione fra specie sarà facilmente percepita come un atto che va contro la natura profonda delle cose create.
Non stupisce neppure, allora, che il divieto biblico di far incrociare animali di specie diversa o di seminare in uno stesso campo semi
di piante diverse, divieto che è residuo di superstizioni antiche, sia
stato talvolta richiamato riguardo a quelle biotecnologie che prevedono l’inserimento di elementi genetici estranei in piante e animali33.
31
LINNEO C., Philosophia Botanica. Stoccolma 1751, aforisma 157. Il fissismo
si sfumò molto nelle opere successive ed egli giunse ad ammettere che il Creatore da principio avrebbe creato solo alcune forme viventi fondamentali da cui
sarebbero derivate, per trasformazione, tutte le altre.
32 ARISTOTELE, De generatione animalium, lib. 2 8. 746b1-749a7. Vedere:
MATTHEWS G. B., Gender and Essence in Aristotle, “Australasian Journal of Philosophy” 64 (1986) suppl. 16-23.
33 Cfr. Lev. 19, 19: “Non accoppierai bestie di specie differenti; non seminerai il tuo campo con due sorte di seme, né porterai veste tessuta di due diverse
materie”. Esamina l’obiezione e la confuta, dal punto di vista ebraico: WOLFF
A., Jewish Perspectives on Genetic Engineering, “Jewish Environmental Perspectives” 2 (2001) 1-11.
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Ancora più forte era, sempre nella Bibbia, il divieto di congiungersi
sessualmente con animali, motivato non dall’anomalia di un comportamento sessuale parafilico, ma dal carattere idolatrico connesso a tali unioni ripugnanti, praticati dai Cananei, così come da altri popoli
antichi per ragioni cultuali34. Il Levitico denomina questi congiungimenti bestiali to’ebah, abominio35.
Un argomento teologico che troviamo, esplicito o anche solo implicato, nell’ambito delle discussioni sulle biotecnologie che comportino contaminazioni genetiche tra specie diverse è proprio quello
dell’ordo creationis, in base al quale l’uomo è tenuto a rispettare i confini posti dal Creatore fra le specie36. Questo argomento rimanda, in
ultima analisi, a una verità di fede, quella della creazione del mondo
nella sapienza e nell’amore, e sul corollario di questa verità che, cioè,
l’ordine delle realtà create è un riflesso della sapienza e dell’amore
del Creatore. Potremmo formulare l’argomento sotto forma di un
divieto generale: “Non confondere i genomi”. Data la rilevanza del
genoma umano nel configurare strutturalmente la persona, il divieto
si potrebbe presentare in modo ancora più assoluto quando si tratta
di genoma e di geni umani. In base all’argomento della confusione,
ogni trasferimento di materiale genetico fra l’uomo e l’animale, comportando il superamento del confine biologico ed ontologico fra ciò
che è umano e ciò che è animale, costituisce una violazione della sacralità dell’essere umano37. Qualunque introduzione, anche piccola,
34
Cfr. Lev. 18, 23: “Non darai il tuo giaciglio a una bestia per contaminarti
con essa; così nessuna donna si metterà con un animale per accoppiarsi: è una
perversione”.
35 Il termine ebraico to’ebah definisce ciò che è esecrabile. Esso è usato per
indicare quei peccati che implicano contaminazioni pagane e spesso compare nell’espressione to’ebah ha-goyim, “l’impurità dei Gentili” (cfr. 2 Re 16, 3).
36 Il tema dell’ordo creationis è approfondito in modo sofisticato, nella prospettiva dell’imago Dei da preservare, in: COBBE N., Crossing species boundaries.
Cross-species chimeras: Exploring a possible christian perspective, “Zygon” 42 (2007)
599-628.
37 Cfr. TONTI-FILIPPINI N., FLEMING J. I., PIKE G. K., CAMPBELL R., Ethics
and Human-Animal Transgenesis, 690: “If we deliberately create beings that have
DNA from both human and animal sources, then we have violated the sacredness
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di materiale genetico umano in un animale causerebbe una inaccettabile “confusione” e perciò non si possono creare deliberatamente
esseri viventi che hanno DNA sia da fonti umane sia da fonti animali. Tale confusione delle identità si verificherebbe, infatti, ogni qual
volta geni umani siano introdotti in un organismo animale o entrino
nella formazione di un nuovo essere insieme con geni animali.
L’argomento della confusione ha – a nostro avviso – una impronta troppo marcatamente biologista, ribaltando in dato etico una constatazione biologica, quella della specificità dei genomi dei diversi viventi. Noi preferiamo una argomentazione di impianto più personalista che metta in relazione la specificità del genoma umano con la
identità umana nella sua complessa articolazione psicosomatica e
preferiamo affidarci ad una criteriologia etica che valuti gli interventi biotecnologici coinvolgenti il genoma umano o parti di esso a partire dalla tutela della integrità e dignità della persona umana.
Una aspetto particolare è la questione della liceità della introduzione di geni di tipo umano nell’animale creando animali transgenetici. La tecnica che prevede il trasferimento di geni umani nel genoma
del maiale per renderne i tessuti più compatibili con l’organismo
umano, in vista degli xenotrapianti, ha ricevuto una approvazione, in
linea di principio e rispettate precise condizioni, in un importante
documento della Pontificia Accademia per la vita38. Il Documento si
focalizza sul tema della sofferenza animale e non prende in considerazione un eventuale problema etico derivante dall’introduzione di
geni umani in un organismo animale perché parte dall’affermazione
la transgenesi non compromette l’identità genetica complessiva dell’animale mutato e della sua specie39.
of all human beings”. Come risulta dalle nostre riflessioni, anche noi accettiamo
questa affermazione generale se è riferita al tentativo di formare veri ibridi e,
quindi, esseri dall’incerta umanità e non se riferita al trasferimento di singoli geni effettori. L’opinione di Tonti-Filippini è che “the confusion of identity arises
as soon as any human genes become formative of the new being” (ibid., 693).
38 PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA, La prospettiva degli xenotrapianti.
Aspetti etici e considerazioni etiche, Città del Vaticano 2001.
39 PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA, La prospettiva degli xenotrapianti, n. 15.
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Questa posizione non contraria, in linea di principio, alla transgenesi ottenuta con geni umani ha creato in alcuni dubbi ed apprensioni, espressi in un articolo pubblicato dal prof. Tonti-Filippini ed altri
eminenti bioeticisti e filosofi sulla rivista australiana National Catholic Bioethics Quarterly40. Secondo gli Autori le affermazioni della Pontificia Accademia per la Vita non sono ben argomentate perché non
si chiarisce se la transgenesi uomo-animale debba essere considerata
una forma di ibridazione uomo-animale e, soprattutto, perché manca un approfondimento sul significato del genoma umano nella formazione e nella generazione della vita umana e una discussione articolata sul significato morale dell’uso di parti del genoma umano per
dare origine a un animale transgenico. Essi giungono anche ad insinuare che questa posizione dell’Accademia sarebbe in contrasto con
alcuni insegnamenti della istruzione Donum vitae della Congregazione per la Dottrina della Fede41.
A rigore, se ogni confusione genetica fosse male, bisognerebbe
proscrivere ogni trasferimento di materiale genetico dal genoma
umano a un genoma non umano (animale o vegetale o batterico) perché sarebbe comunque un’offesa alla sacralità degli esseri umani e
una violazione dei confini creaturali. La condanna dovrebbe includere anche, per esempio, il trasferimento del gene dell’insulina umana
40
Cfr. TONTI-FILIPPINI N., FLEMING J. I., PIKE G. K., CAMPBELL R., Ethics
and Human-Animal Transgenesis, “The National Catholic Bioethics Quarterly”
6 (2006) 689-704. Abbiamo preso in esame in altra sede le principali obiezioni
sollevate e abbiano risposto a ciascuna perché, lasciando da parte il tono piuttosto polemico dell’articolo, bisogna riconoscere che le questioni ivi segnalate non
sono irrilevanti: FAGGIONI M. P., Fuga dal Labirinto. Il dibattito morale sulla transgenesi, “Medicina e Morale” 47 (2007) 1217-1246.
41 TONTI-FILIPPINI N., FLEMING J., PIKE G., CAMPBELL R., Ethics and Human-Animal Transgenesis, 690: “Attempts to achieve human-animal hybridization by fertilization between human and animal gametes were condemned by
the Congregation for the Doctrine of the Faith, in Donum vitae, as contrary to
human dignity”. Ovviamente il contrasto fra il documento dell’Accademia e Donum Vitae I, 6 (che condanna l’ibridazione uomo-animale) esiste soltanto se assimiliamo – come fa l’articolo del prof. Tonti Filippini – la transgenesi a una forma di ibridazione.
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nell’Escherichia Coli per la produzione dell’ormone corrispondente.
Ciò che è male in sé (in questo caso il male in sé sarebbe il superamento del confine fra l’uomo e le altre specie) è male sempre, in qualunque circostanza e per qualunque fine sia compiuto. Neppure Tonti-Filippini, però, sembra ritenere inaccettabile il trasferimento di
parti di genoma umano in organismi semplici, quali i batteri, come
accade nel caso del trasferimento del gene dell’insulina umana nel
batterio Escherichia coli per la produzione di insulina a scopi terapeutici. In effetti, un batterio offre delle strutture organismiche molto
primitive, mentre un mammifero, come il maiale o come la scimmia,
offrono strutture idonee all’eventuale manifestazione di caratteristiche tipicamente umane: altro è, quindi, trasferire un gene umano in
un organismo unicellulare di tipo procariota, altro è trasferire un gene umano in uno zigote animale che può svilupparsi in un organismo
complesso. La possibilità di trasferire caratteristiche tipicamente
umane ad un animale così che esse si esprimano in esso, sembrerebbe essere la ragione principale per proibire la transgenesi uomo-animale. Non ci sarebbe lesione della dignità dell’umanità a trasferire
geni umani in un batterio, mentre questa lesione c’è quando gli stessi geni fossero trasferiti in un animale e il motivo è, appunto, la possibilità di comparsa nell’animale di caratteristiche tipiche dell’uomo.
Torneremo più avanti su questo tema parlando della “umanizzazione” dell’animale.
Si può concordare con gli Autori che nel trasferire geni tra specie
biologicamente più affini all’uomo o più vicine ad esso nella scala
zoologica, occorre molta più prudenza che non fra specie biologicamente lontane: le ripercussioni e le interferenze con il corretto funzionamento del genoma ricevente, così come l’introduzione di alcune modifiche fenotipiche o funzionali potrebbero riuscire molto più
pericolose e drammatiche. Tali problemi, però, non si hanno quando
si tratta di trasferire geni che producono modifiche circoscritte e
controllate di singole strutture o funzioni e, nel caso di mammiferi,
non vengono interessati dai prodotti del gene i centri nervosi: questo
è appunto il caso del maiale transgenico per il gene dell’hDFA. Allo
stato attuale delle conoscenze può essere difficile stabilire a priori
quali geni possono essere trasferiti in modo accettabile e bisogna agi-
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re con prudenza nel decidere, di volta in volta, quali geni possono essere aggiunti o modificati con adeguata sicurezza e con gestibilità degli effetti. L’approvazione da parte dell’Accademia per la Vita del trasferimento del gene umano per l’hDAF e – si badi – non di qualunque procedura transgenetica, si inscrive in questa logica.
In base al criterio etico da noi proposto sono da ritenersi assolutamente contrari alla identità e dignità della persona tutti gli interventi che, attraverso manipolazioni genetiche, mirassero intenzionalmente alla generazione di esseri umani inferiori e, comunque, intaccassero quella natura biologica comune che è a fondamento della naturale uguaglianza e della pari dignità di tutti gli esseri umani. In particolare, la formazione di ibridi uomo-animale comunque ottenuta, nei
quali si abbia la mescolanza di genoma umano e animale e, quindi, di
caratteri somatici e psichici dell’uomo e dell’animale, costituisce un
vulnus alla identità specifica dell’essere umano e una offesa alla dignità della persona42.
Già l’istruzione Donum vitae aveva attirato l’attenzione sulla possibilità di ibridi uomo-animale, sottolineandone la natura aberrante, ed
ha preso una posizione ferma contro la fecondazione interspecifica di
gameti umani ed animali e contro procedure analoghe43. Alla fecondazione interspecifica si possono accostare, per analogia biologica, la formazione di chimere embrionali uomo-animale e il trasferimento di un
genoma umano in ovociti animali denucleati, la cosiddetta clonazione
ibrida44. A questo proposito, nell’istruzione Dignitas personae leggiamo:
42
A nostro avviso, sarebbe invece lecito trasferire nell’uomo a scopo terapeutico singoli geni animali, se questo potesse essere utile e fosse possibile effettuarlo senza rischi per l’integrità psicofisica della persona.
43 CONGREGAZIONE DELLA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione Donum vitae,
I, 6: “Le tecniche di fecondazione in vitro possono aprire la possibilità ad altre
forme di manipolazione biologica o genetica degli embrioni umani, e di questo
tipo sono i tentativi o progetti di fecondazione tra gameti umani ed animali”. La
fecondazione interspecifica è portata solo come un esempio delle possibili procedure illecite di manipolazione biologica o genetica, come si comprende dall’espressione latina “cuiusmodi sunt”, “e di questo tipo sono”.
44 Cfr. SUTTON A., Do human-animal hybrids and chimeras mean the abolition
of man?, “Medicina e Morale” 57 (2007) 329- 344.
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Recentemente sono stati utilizzati ovociti animali per la riprogrammazione di nuclei di cellule somatiche umane – generalmente chiamata clonazione ibrida – al fine di estrarre cellule staminali embrionali dai risultanti embrioni, senza dover ricorrere all’uso di ovociti umani. Dal punto di vista etico simili procedure rappresentano una offesa alla dignità dell’essere umano, a causa della mescolanza di elementi
genetici umani ed animali capaci di turbare l’identità specifica dell’uomo45.
Nel caso dell’ibrido uomo-animale, anche nelle forme più attenuate, come nella clonazione ibrida, risulta evidente la perdita dello
specifico dell’humanum che porta a recare una dolorosa ferita all’integrità dell’identità biologica e, attraverso l’identità biologica, a recare una ferita alla stessa identità personale. In generale si devono condannare come offensivi della dignità della persona tutti gli interventi manipolatori che, intervenendo sul genoma, mirassero a privare
l’uomo di alcune sue qualità tipiche per creare stirpi sub-umane da
indirizzare, per esempio, a lavori pericolosi o noiosi.
Questo indebolimento della percezione etica dello specifico umano è una conseguenza del riduzionismo antropologico che, dopo
l’enfasi antropocentrica della modernità matura, dal XIX secolo ha
portato a diluire la eccedenza ontologica e la eccellenza assiologia
dell’uomo rispetto alle altre realtà terrestri. L’evoluzionismo classico,
in parte ancora erede del pensiero greco e cristiano, continuava a
considerare l’uomo come il punto di arrivo e l’apice di un movimento ascendente che portava dal più semplice al più complesso, ma al
nostro tempo, un evoluzionismo purgato dall’antropocentrismo e da
ogni traccia di finalismo antropico, ha definitivamente spodestato
45
CONGREGAZIONE DELLA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione dottrinale
Dignitas personae, n. 33. L’Istruzione, dopo aver indicato nel turbamento della
identità specifica dell’uomo il motivo fondamentale della condanna della pratica della clonazione ibrida, aggiunge un motivo precauzionale: “L’eventuale uso
delle cellule staminali, estratte da tali embrioni, comporterebbe inoltre dei rischi sanitari aggiuntivi, ancora del tutto sconosciuti, per la presenza di materiale genetico animale nel loro citoplasma. Esporre consapevolmente un essere
umano a questi rischi è moralmente e deontologicamente inaccettabile”.
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l’uomo dal fastigio della storia della vita sul pianeta. In base ad una
visione progressiva dell’evoluzione, riportare l’essere umano a mescolarsi con l’animale sarebbe stato percepito come un irragionevole
percorso a ritroso dall’uomo verso l’animale, opposto al movimento
naturale dall’animale verso l’uomo. Al nostro tempo, invece, attenuati i confini fra umano e infraumano, non percepiamo più l’irragionevolezza di questo degradare della natura umana verso la natura
animale. Addirittura, secondo alcuni Autori, l’attrazione fatale che
sembra risospingere l’uomo verso l’animale, la zootropia, svelerebbe la
radice animale dell’uomo, che è biologicamente frutto di evoluzione,
e il bisogno umano far emergere dalle profondità della memoria il
suo legame con il mondo naturale.
Forse quello che ci trattiene dal praticare gli interventi più aberranti è la paura delle loro conseguenze imprevedibili, ma la paura o
suscita consapevolezza e responsabilità – secondo la lezione di Jonas
sull’euristica della paura – o è destinata a essere rimossa ben presto dal
campo percettivo, soprattutto se contrasta con un utile immediatamente acquisibile. Proprio la clonazione ibrida per avere fonti di cellule staminali dimostra come l’utile immediato dell’uomo sia ritenuto un motivo sufficiente per mettere in pericolo o cancellare lo specifico dell’uomo. Dovremmo riconquistare un senso spontaneo del
valore e della dignità della vita umana per poter avvertire immediatamente, di fronte alla lesione di questo valore e di questa dignità, al
di là e prima delle norme stabilite, ripulsa, che è un moto passionale,
e sdegno, che è un sentimento etico.
4. Cuore di cane ovvero umanizzare l’animale
La possibilità di trasferire con la transgenesi geni umani nell’animale in casi particolari e circoscritti, come la produzione di maiali
transgenici per gli xenotrapianti, ci porta ad esaminare la questione
più generale della umanizzazione dell’animale, cioè della “elevazione” dell’animale verso l’humanum Nella transgenesi l’organismo animale viene umanizzato e tale umanizzazione è, per ora, limitata al
trasferimento di caratteristiche puramente biologiche, sia tissutali,
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sia funzionali, che adattano le strutture animali ai bisogni umani. Si
profila, però, la possibilità di conferire a creature non umane capacità operative di tipo intellettivo ed emotivo simili a quelle umane. Si
tratta di una presa di possesso dell’animale da parte dell’uomo più totale di qualsiasi altra presa di possesso che mai l’uomo abbia finora mai
compiuto. Se, infatti, nella storia dell’umanità, fin dal Neolitico, l’uomo ha imparato a selezionare piante e animali per i suoi bisogni e i
suoi desideri, favorendo le caratteristiche biologiche più confacenti ai
suoi interessi, mai, prima d’ora, l’uomo aveva potuto plasmare a suo
piacimento gli esseri non-umani e, soprattutto, mai prima d’ora aveva potuto immettere in essi tratti derivanti da lui stesso. L’uomo
emula la potenza demiurgica di Colui che lo ha creato a Sua immagine ed imprime, anch’egli, la sua immagine nell’animale.
La medicina dei primi del XX secolo, esaltata dai suoi successi, così come aveva immaginato di creare un essere intermedio fra l’animale l’uomo, aveva anche sognato di umanizzare l’animale. È questo
il nodo narrativo del romanzo breve Cuore di cane di Michail Bulgakov46. Un cane di strada, Pallino, riceve le ghiandole sessuali e l’ipofisi di un delinquente, morto ammazzato in una bettola moscovita, e
questo determina la sua trasformazione in un essere umano, ma sgradevole, opportunista, violento, sessuomane e, soprattutto, membro
attivo del Partito Comunista Sovietico. Il signor Pallino si rivolta
contro il suo creatore che, alla fine, disperato, lo riporta alla condizione iniziale. La sorprendente trasformazione di Pallino in uomo o
in qualcosa di simile all’uomo oggi non è più una avvincente trovata
romanzesca, ma un futuribile con il quale confrontarsi seriamente.
Di fronte ai possibili scenari di commistione uomo-animale sorgono due domande fra loro strettamente connesse: la prima è che cosa significhi propriamente “umanizzare l’animale” e la seconda è che
46
BULGAKOV M. A., Cuore di cane, Roma 1975 (trad. V. Melander). Bulgakov
era medico e nelle sue pagine, pubblicate nel 1928, sapide di sarcasmo contro la
Russia comunista, si sente l’eco della nascente scienza endocrinologica e dei
chiacchierati esperimenti del chirurgo russo Voronoff. Su questo ultimo punto,
vedere: FAGGIONI M. P., Il trapianto di gonadi. Storia e attualità, “Medicina e Morale” 48 (1998) 15-46.
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riflessi possa avere sullo status morale dell’animale una alterazione
biotecnologica di questo tipo.
L’espressione “umanizzare” non può essere assunta in modo stretto per un motivo molto semplice, perché, se davvero potessimo rendere un animale “umano”, non avremmo più un animale, ma un essere umano, appunto. “Umanizzare un animale” significa, più propriamente, impartirgli caratteristiche strutturali e funzionali che ricordano, a qualche livello, quelle dell’uomo, significa, cioè, rendere
l’animale biologicamente più simile all’uomo.
Nel caso del maiale transgenico per gli xenotrapianti non siamo in
presenza di una specie diversa rispetto agli altri maiali. Esso ha un genoma di maiale che continua a funzionare come genoma di maiale,
nonostante l’inserimento di materiale genetico proveniente dal genoma umano, né le modifiche immunologiche causano – a quanto ne
sappiamo – ripercussioni sulle sue funzioni biologiche o i moduli
comportamentali tipici dell’animale di partenza. Non solo non si trasferisce un intero genoma umano, come nella clonazione ibrida, né si
verifica la situazione del possesso di un genoma umano, ancorché in
forma aploide, da parte di uno zigote animale, come accade nel caso
di un ibrido uomo-animale, ma con una transgenesi puntuale di questo tipo si trasferiscono geni umani che non sono legati a strutture e
funzioni ritenute di drammatica importanza nel definire biologicamente la natura umana.
In effetti, non sappiamo quanti e quali geni dobbiamo aggiungere o
modificare per cambiare un animale di una specie in un animale di una
nuova specie, già esistente o non ancora esistente e, analogamente, la
scienza non ha ancora chiarito in modo definitivo come si debba comprendere il fenomeno della speciazione, cioè l’apparizione delle singole specie nel corso dell’evoluzione. Si dà ormai per acquisito che, lungo la storia del nostro pianeta, ci sia stata una lenta e graduale trasformazione dei viventi, così che essi possono essere disposti idealmente
lungo linee evolutive continue, anche se variamente intrecciate e diramate. La gradualità di passaggio tra una specie e l’altra che si può constatare dal punto di vista tassonomico, sino a collegare fra loro tutti i
viventi in una complessa rete di somiglianze e di dissomiglianze, non si
verifica, però, nel singolo vivente. Quando si parla di trasformazione
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dei viventi, come fa l’evoluzionismo darwinista, non si deve pensare ad
una trasformazione graduale di un essere vivente in un altro essere vivente di specie diversa perché ogni vivente, per quanto “imparentato”
con altri, è semplicemente se stesso ed è una espressione concreta della propria specie. Non si può affermare, per esempio, che un animale
ominoideo, in un certo momento della sua esistenza, sia diventato
“umano”, membro del genere Homo, nel senso che sia avvenuta la trasformazione di un individuo di una data specie, dotato, cioè, di una certa essenza e natura, in un individuo di una nuova specie, con una diversa essenza e natura. Si ipotizza, piuttosto, che un Primate, antenato
comune di scimmie antropomorfe e uomo, abbia dato origine a diverse linee evolutive, inclusa quella che ha condotto fino a noi47.
Sotto questo punto di vista, le essenze dei viventi sono immutabili nel senso che ad ogni forma essenziale corrisponde una particolare
struttura vivente. Questo non significa che, per via di trasformazioni
accidentali o artificiali a carico del patrimonio genetico, non possano
emergere nuove specie, come di fatto è accaduto nel corso della storia evolutiva della vita terrestre. Non si tratta, però, della trasformazione di una essenza in un’altra come se la speciazione biologica si
svolgesse per trasformazione graduale di un vivente di un tipo in un
47
Non entriamo nella questione della possibilità metafisica del passaggio da
vivente non umano a vivente umano. Secondo la dottrina cattolica corrente, l’evoluzionismo è accettabile, ma si chiede di salvaguardare la specificità dell’uomo rispetto ai viventi non umani: il divario fra uomo e animali, incluse le scimmie antropomorfe, non è solo un divario di capacità e funzioni, ma è una diastasi
ontologica e per fare questo particolare salto ontologico si richiede la potenza di un
atto divino. La dottrina, già insegnata da Pio XII in Humani Generis (DS 3896),
è stata ripresa anche di recente. Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Messaggio alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, 24-10-1996, n. 6, in Insegnamenti di
Giovanni Paolo II, XIX/2, Città del Vaticano 1998, 574: “Avec l’homme nous
nous trouvons donc devant une différence d’ordre ontologique, devant un saut
ontologique pourrait-on dire”. Si vedano due commenti: MURATORE S., Magistero e darwinismo, “La Civiltà Cattolica” 148 (1997/1) 141-145; VILLANUEVA J.,
Una riabilitazione dell’evoluzionismo? Elementi per un chiarimento, “Acta Philosophica” 7 (1998) 127-148. Cfr. HORN S. O., WIEDENHOFER S. curr., Creazione ed
Evoluzione. Un Convegno con papa Benedetto XVI a Castelgandolfo, Bologna 2007.
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vivente di un altro tipo, ma della comparsa di una specie che prima
non esisteva. Al processo biologico di speciazione corrisponde metafisicamente la comparsa di una nuova essenza o natura e questa comparsa non avviene per un processo, ma per un atto puntuale. Nella
nostra prospettiva, ispirata ad Aristotele e Tommaso, l’essenza di
qualcosa è espressa nella definizione che determina che cosa sia quel
“qualcosa”48: essendo l’uomo il vivente che possiede il logos o ragione,
solo se noi potessimo attribuire ad un animale un logos di tipo umano,
avremmo operato il passaggio da un livello ontologico animale ad un
livello ontologico umano, la vera umanizzazione dell’animale. Non
esiste una gradualità nella natura metafisica di alcun essere e neppure
nel caso dell’uomo: o si è umani o non lo si è. L’idea di una acquisizione graduale dell’umanità è presente in quegli Autori laici che identificano l’umanità con la possibilità di svolgere specifiche funzioni e
che, quindi, ritengono che l’umanità e la corrispondente dignità morale vengano acquisite gradualmente dall’embrione nel corso dell’embriogenesi con la graduale comparsa di quelle capacità e funzioni49. Questa idea si presenta anche in Autori di osservanza tomista –
come J. Maritain50 – i quali vorrebbero spiegare la trasformazione da
una forma di vita all’altra attraverso l’analogia dell’embriogenesi durante la quale si avrebbe il passaggio da una forma vivente inferiore
ad un’altra sino al conseguimento della piena umanizzazione, coincidente con il momento dell’infusione dell’anima spirituale51.
48
Cfr. S. TOMMASO, Summa Theologiae, p. I, q. 3, art. 3: “Essentia vel natura comprehendit in se illa tantum, quae cadunt in definitione speciei”.
49 Cfr. PARFIT D., Ragioni e persone, Milano 1989, 410: “L’ovulo fecondato
non è un essere umano e una persona fin dall’inizio, ma lo diventa lentamente.
La distruzione di questo organismo all’inizio non è moralmente sbagliata, ma a
poco a poco lo diventa”.
50 MARITAIN J., Vers une idée tomiste de l’évolution, “Nova et Vetera” 42 (1967)
87-136.
51 Si veda una critica puntuale in un articolo destinato a negare la possibilità di conciliare l’evoluzione delle specie con la metafisica tomista: BARAZZETTI
E., Il mistero della corporeità originaria e l’equivoco dell’evoluzionismo, “Sacra Doctrina” 43 (1998) 25-120 (sulla posizione di Maritain, pp. 86-110).
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I dubbi che sorgono a proposito della cosiddetta “umanizzazione
dell’animale”, frutto della contaminazione fra genomi animali e materiale genetico umano, animale rimandano, ancora una volta, alla
questione del rapporto fra natura umana e genoma umano. Non sappiamo quanto e quale materiale genetico sia necessario in un vivente
per produrre il substrato biologico minimo per il realizzarsi della
ominizzazione o, per dirla con gli Scolastici, non sappiamo qual è il
minimo biologico che realizza la adeguata dispositio passiva per l’animazione. La scoperta del numero relativamente piccolo di geni nell’uomo rispetto a specie zoologicamente meno complesse e la grande
comunanza di geni fra l’uomo e alcuni mammiferi superiori, induce,
comunque, a pensare che il passaggio biologico fra animale e uomo
non dipenda soltanto da un fattore quantitativo, ma dalla modalità
originale di funzionare tipica del genoma umano52. Non comprendiamo neppure, se non vagamente, il nesso esistente fra corpo umano nelle sue diverse strutture, inclusa quella essenziale del genoma, e
l’identità umana, né in che misura interventi manipolativi a livello del
genoma possano deumanizzare l’uomo o umanizzare l’animale. Il tenore stesso delle domande svela anche la grande difficoltà di far interagire prospettive epistemologiche diverse come quelle della scienza,
e della genetica in particolare, e quella dell’ontologia: questa difficoltà è una sfida per la filosofia e la teologia e ci chiede la rilettura di categorie antropologiche essenziali alla luce del rapido avanzamento
delle conoscenze scientifiche53.
52
Uomo e scimpanzè presentano notevoli differenze di capacità intellettive e
prassiche, eppure le due specie condividono il 99% del patrimonio genetico. Le
piccole differenze finora individuate si stanno, però, rivelando, cruciali, come
quelle che riguardano la “regione umana a rapida mutazione 1” (HRA1) – facente parte del ‘DNA spazzatura’ – che è essenziale per la formazione della corteccia cerebrale, o come il gene FOXP2, che è importante per lo sviluppo di un linguaggio articolato. Vedere: POLLARD K. S. ET AL., An RNA gene expressed during
cortical development evolved rapidly in humans, “Nature” 443 (2006) 167-172; POLLARD K. S., Che cosa ci rende umani?, “Le Scienze” 83 (2009/2) 492, 46-51.
53 Una mediazione fra la prospettiva della genetica e quella della metafisica
può essere rinvenuta nella categoria di natura intesa come principio immanente
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La seconda questione riguarda lo status morale degli animali geneticamente modificati o, per così dire, umanizzati. Sappiamo, a questo proposito, che molti Autori professano visioni attualiste della persona e definiscono la persona indipendentemente dalla appartenenza
alla specie umana, ma in base alla capacità di un essere di porre atti e
funzioni ritenuti tipici della persona. Fra gli attualisti emblematica e
sempre ricordata, per la sua esemplarità, è la posizione di H. Tr. Engelhardt.
Non tutti gli esseri umani sono persone. I feti, gli infanti, i ritardati
mentali gravi e coloro che sono in coma senza speranza costituiscono esempi di non persone umane. Tali entità sono membri della specie umana. Non hanno status in sé e per sé, nella comunità morale.
Non sono partecipanti primari all’impresa morale. Solo le persone
umane hanno questo status54.
Per chi segue impostazioni siffatte non è determinante l’appartenenza alla specie umana (significata dalla presenza di un genoma di
tipo umano) per poter parlare di persona e di diritti della persona, ma
è determinante la capacità attuale di autocoscienza, di autonomia, di
relazionalità e di altre qualità ritenute tipiche della persona. Ci sono
esseri umani non personali e privi di diritti (almeno quelli diretti) e
ci sono esseri biologicamente non umani che, per le loro capacità, accedono allo status di persona, come le scimmie antropomorfe più
evolute. Se la dignità personale dipendesse dalla possibilità concreta
di autocostruzione. La nozioni tomista di natura richiama, infatti, l’ambito delle
operazioni a partire dall’idea che “[natura] videtur indicare essentiam rei secundum quod habet ordinem ad propriam operationem rei, cui nulla res propria operatione destituitur” (S. TOMMASO D’AQUINO, De ente et essentia, n. 3). Cfr. POSSENTI V., Nature, life, and teleology, “The Review of Metaphisics” (2002) 37-60.
54 ENGELHARDT H. T. JR. Manuale di bioetica, Milano 1999, 159. Cfr. ENGELHARDT H. T., WILDES K. W. M., Il concetto di persona e il fondamento di un’autorità morale laica, in AGAZZI E. cur., Bioetica e persona. Milano 1993,13-26. Una
critica puntuale in: ZEPPEGNO G., Bietica. Ragione e fede. Di fronte all’antropologia debole di H. T. Engelhardt Jr., Cantalupa (TO) 2007, 53-64. 92-104.
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di porre certi atti o dalla dimostrazione di particolari capacità intellettive, allora – almeno in teoria – il trasferimento di determinati geni umani nell’animale potrebbe dar vita ad una nuova creatura di natura personale55.
Noi riteniamo che ogni essere umano possieda una dignità personale in quanto umano e non in quanto attualmente senziente o pensante o volente, dal momento che la dignità morale della persona
umana è fondata sulla sua identità ontologica, ancorché parzialmente o totalmente inespressa a livello operativo. Riteniamo, specularmente, che un animale, per quanto modificato e potenziato, non sia
da assimilarsi ad un essere umano e non attinga, pertanto, alla dignità personale propria dell’uomo. Non possiamo, però, neppure escludere che possa darsi una alterazione delle qualità operative di un animale di tale portata da modificarne drasticamente lo status etico rispetto alle condizioni di partenza. Parlando, per esempio, di maiali
transgenici per geni umani, ci si potrebbe chiedere se il trasferimento di geni umani nei maiali potrebbe mai esitare in un essere che non
è più rigorosamente maiale, ma una creatura nuova, la quale, pur non
essendo umana, presenta prestazioni più elevate dei comuni maiali e
possiede, pertanto, uno status morale più elevato degli altri maiali.
Finché si parla della modifica degli antigeni tissutali dell’animale
per rendere i suoi organi più “accettabili” da parte del sistema immunitario umano, non mi pare che si pongano problemi di mutamenti
dello status morale dell’animale, ma nulla vieta di pensare che si possa rendere l’animale operativamente “più simile all’uomo” e migliorare, per esempio, le prestazioni intellettuali di una scimmia o di un
maiale introducendo in essi geni o gruppi di geni umani o – come anche si sta tentando – trasferendo nel loro cervello cellule staminali
umane di tipo nervoso. Potremo avere animali che raggiungono livelli di percezione ed elaborazione del dolore che mai un animale ha avu-
55
Non esiste il “gene dell’umanità”, così come non dovrebbe esistere il “gene dell’intelligenza”, ma è possibile immaginare un transfer di geni che determini, in un certo animale, il potenziamento delle sue capacità intellettive sino a
raggiungere gli standard previsti da questi Autori come indici di umanità.
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to: essi resteranno soltanto animali, ma animali con capacità eccezionali rispetto a quelli di partenza56. Lo status etico di tali creature mostruose e sventurate non raggiungerà lo status etico umano, ma, proprio per l’aumentata consapevolezza e la accentuata capacità di elaborare la sofferenza, perverrà ad uno status etico superiore rispetto a
quello originario. In tal caso, la ragionevole e compassionevole considerazione del benessere animale ci dovrà indurre ad essere tanto più
attenti a non provocare inutili sofferenze a un animale, quanto più
grande è la sua sensibilità e il suo potenziale apprezzamento del dolore e, in generale, ci vieterà di porre in essere creature siffatte.
5. Oltre l’umano: il Transumanesimo
La domanda antropologica di fondo, messa a fuoco dai processi di
ibridazione e di transgenesi, su come modifiche organismiche a livello genomico possano influire sulla soggettività umana e sulla stessa
natura umana, ritorna, con accenti diversi, ma altrettanto urgente e
perentoria, quando si parla di Transumanesimo.
Nell’italiano antico esisteva il verbo, dotto e ricercato, “trasumanar” o “transumanar”, come in questa bella terzina del Paradiso:
Trasumanar significar per verba
non si porìa; però l’esemplo basti
a cui esperienza grazia serba57.
Nei versi di Dante il “trasumanare” è la meta ultima dell’uomo e
rappresenta l’esperienza, ineffabile a parole, di essere elevati per grazia oltre l’umano, verso il nostro compimento trascendente in Dio. Il
nome “Transhumanism” sembra sia stato coniato e introdotto nel
56
Il solo pensare di vedere caratteri tipicamente umani nell’animale, trasformato in una perfetta simia hominis, suscita in molti un senso di sacro orrore:
GREELY H. T., CHO M. K, HOGLE L. F., SATZ D. M., Thinking about the human
neuron mouse, “American Journal of Bioethics (AJOB Neuroscience)” 7 (2007) 5,
27-40.
57 DANTE ALIGHIERI, Paradiso, I, 70-73.
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lessico contemporaneo da A. Huxley nel 1927 per indicare il progetto di creare, con le nuove tecnologie della vita, una umanità superiore all’umanità presente. Si passa, quindi, dal superamento dell’umano per virtù della grazia, nel Sommo Poeta, al superamento dell’umano per virtù di tecnologia, nell’utopia dei Contemporanei.
L’uomo ha sempre vagheggiato di poter oltrepassare i suoi limiti
naturali e la tecnologia è stata considerata come il tentativo dell’ingegno umano di sopperire ai propri deficit per meglio sopravvivere in
un ambiente naturale per lui inospitale. Nella favola antica, Icaro, figlio di Dedalo, l’artefice di automi meravigliosi, cercò di fuggire dal
Labirinto, costruito in Creta da suo padre Dedalo per tenervi imprigionato il mostruoso Minotauro. Con le ali fabbricate dal padre, riuscì a superare le mura del Labirinto, ma, mosso dalla curiosità, si avvicinò troppo al Sole il cui calore sciolse la cera che teneva insieme le
ali artificiali. Dedalo, tradito dalla sua audacia, sembra un monito per
coloro che, presi dalla insoddisfazione per la propria condizione
umana, vogliono oltrepassare i limiti dalla propria natura e volare in
alto oltre i confini del proprio essere.
Le radici culturali del Transumanesimo attuale si possono rintracciare nell’ottimismo di filosofi e scienziati come F. Bacon, D. Hume
e J. Newton e, più tardi, di A. Comte sino ai pragmatisti americani
C. Pierce e W. James, nei confronti delle possibilità offerte all’uomo
dalle conoscenze scientifiche e dalle applicazioni tecnologiche. Lo
sfondo antropologico del Transumanesimo è quello riduzionista proprio dell’empirismo di D. Hume, del materialismo di J. O. de la Mettrie, dell’evoluzionismo di Ch. Darwin. Gli inizi dell’odierno transumanesimo possono essere riconosciuti nel pensiero del filosofo Max
More che, negli anni ’80 del XX secolo, fondò l’Extropy Institute.
Attualmente, fra i maggiori teorici del Transumanesimo è da ricordare lo svedese Nick Bostrom, professore a Oxford e presidente dell’Associazione Mondiale Transumanista, fondata nel 199758. In questo ambito si inseriscono diversi Autori come J. Harris59, J. Hu-
58
59
Le principali pubblicazioni di Bostrom in: www.nickbostrom.com.
HARRIS J., Wonderwoman & Superman. The Ethics of Human Biotechnology,
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ghes60, R. Naan61 e G. Stock62. N. Bostrom ha definito il Transumanesimo come “il movimento intellettuale e culturale che afferma la
possibilità e desiderabilità di migliorare in modo fondamentale la condizione umana attraverso la ragione applicata, specialmente attraverso
lo sviluppo e la larga messa a disposizione di tecnologie per eliminare
l’invecchiamento e potenziare grandemente le capacità umane intellettuali, fisiche e psicologiche”63. Dal punto di vista più esplicitamente disciplinare, Bostrom ha descritto il Transumanesimo come “lo studio delle ramificazioni, promesse e danni potenziali delle tecnologie
che ci permetteranno di superare le fondamentali limitazioni umane,
così come lo studio dei problemi etici connessi con lo sviluppo e l’uso
di tali tecnologie”64. La nozione di “superamento” ritorna nella definizione di Transumanesimo in quanto credo filosofico data da Simon
Young: “L’idea del superamento delle limitazioni umane attraverso ragione, scienza e tecnologia”65.
New York 1992 (trad. it. Wonderwoman e Superman. Manipolazione genetica e futuro dell’uomo, Milano 1997); ID., Enhancing the Species, 2007.
60 HUGHES J., Citizen Cyborg: Why Democratic Societies Must Respond to the Redesigned Human of the Future, Cambridge (MA) 2004.
61 NAAM R., More than Human: Embracing the Promise of Biological Enhancement, New York 2005.
62 STOCK G., Redesigning Humans: Our Inevitable Genetic Future, New York
2002.
63 BOSTROM N., The Transhumanist FAQ. Version 2.1, 2003, 4: “The intellectual and cultural movement that affirms the possibility and desirability of fundamentally improving the human condition through applied reason, especially by
developing and making widely available technologies to eliminate aging and
greatly enhance human intellectual, physical, and psychological capacities”
(www. transhumanism.org/resources/FAQv21.pdf accesso del 30-10-2009).
64 BOSTROM N., The Transhunmanist FAQ. Version 2.1, 2003, 4: “The study
of the ramifications, promises, and potential dangers of technologies that will let
us overcome fundamental human limitations, as well as of the ethical issues involved in developing and using such technologies” (http://www.transhumanism.org/resources/FAQv21.pdf accesso del 30-10-2009).
65 YOUNG S., Designer Evolution: A Transhumanist Manifesto, New York 2006,
15: “The belief in overcoming human limitations through reason, science, and
technology”.
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Il sogno transumanista nasce dall’insoddisfazione per la condizione umana naturale e dal desiderio di procurare il potenziamento (“enhancement”) della natura umana attraverso il ricorso a nuovi saperi e
nuovi ritrovati biotecnologici: dalle neuroscienze, alla intelligenza artificiale, dalle nanotecnologie alle biotecnologie genetiche. Il Transumanista propugna lo sviluppo di tecnologie che consentano la riduzione drastica dell’invecchiamento, il potenziamento delle capacità fisiche e cognitive e persino la possibilità di sopravvivere al proprio
corpo organico con metodologie quali l’ibernazione o il trasferimento di coscienza. Per esempio, attraverso le nanotecnologie applicate al
Sistema nervoso centrale, si può pensare di espandere le capacità della memoria con espansori di memoria artificiali o di instaurare un miglior dominio del soggetto sulle sue emozioni o di permettere ad una
persona di controllare un computer attraverso semplici atti di pensiero. Il traguardo del Transumanesimo è la creazione di esseri postumani, radicalmente nuovi rispetto all’umanità come noi la conosciamo oggi, in una lotta tragica ed eroica contro il limite, la finitezza, la
vulnerabilità. Mentre il Transumanista è semplicemente qualcuno
che sostiene il Transumanesimo, si dovranno chiamare “Transumani”
o “Umani+”, secondo Bostrom, gli esseri di transizione, gli umani
moderatamente potenziati, le cui capacità sono intermedie fra quelle
degli umani attuali e quelle degli umani futuri, i veri “Post-umani”
(gli “Umani++” secondo Bostrom).
L’uomo un tempo chiedeva alla techne di aiutarlo a sopravvivere
nell’ambiente. Secondo la suggestiva interpretazione di A. Gehlen, la
tecnica è necessaria all’uomo per la sue stesse carenze biologiche,
perché l’uomo è un essere carente (Mängelwesen), privo di una forma
data una volta per tutte, privo, rispetto agli animali, di specializzazioni, privo di un ambiente (Umwelt) che gli sia naturalmente corrispondente66. L’uomo è naturalmente un essere tecnico, in quanto è
66
GEHLEN A., Der Mensch. Seine Natur und seine Stellung in der Welt, Berlin
1940 (trad. it. L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, Milano 1983); ID.,
Die Seele im technischen Zeitalter, Hamburg 1957 (trad. it. L’uomo nell’era della tecnica, Milano 1984). Il tema della tecnica come esigenza dell’umana incompiu-
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per la sua natura biologica portato a modificare il mondo (Welt) che
trova di fronte a sé, secondo una sua progettualità e secondo i suoi bisogni e desideri. Questa plasticità umana nei confronti del mondo,
questa capacità di riorientarsi e di ripensarsi, permette all’uomo di
superare la sua innata incompiutezza e, appropriandosi il mondo, di
appropriarsi se stesso.
Oggi l’uomo chiede alla techne di applicarsi alla sua vita, di riplasmare la physis e di perfezionarla e questo è permesso dalle tecnologie
innovative che, dalla fine del XX secolo, si sono affiancate alle tecnologie convenzionali. La differenza essenziale tra le due forme di tecnologia è che la tecnologia convenzionale aveva ed ha lo scopo di
aiutare l’uomo a sopravvivere nell’ambiente e a migliorare la sua vita attraverso il dominio del mondo naturale, intervenendo per integrare, in modo eterogeneo rispetto alla natura, funzioni naturali deficitarie, mentre la tecnologia innovativa, pur avendo anch’essa di
mira un utile per l’uomo e una integrazione delle sue capacità naturali, non lo fa attraverso il dominio di un processo naturale, ma attraverso una sua riproduzione autonoma e, addirittura, attraverso la
ri-plasmazione e ri-creazione delle realtà naturali, non escluso l’organismo umano67.
Stiamo passati da una antropologia della incompletezza, impegnata a integrare e sopperire ai limiti instrinseci dell’essere umano, fatalisticamente rinunciataria di fronte alle sue carenze psicofisiche, a
una antropologia della compiutezza che vuole lanciare l’uomo oltre
se stesso verso una nuova perfezione. Anders, nel saggio L’uomo è antiquato, parla di un passaggio dall’homo faber all’homo creator. “Con la
denominazione homo creator intendo – egli scrive – il fatto che noi siamo capaci, o meglio, che siamo resi capaci, di generare prodotti della natura, che non fanno parte (come la casa costruita con il legno)
tezza percorre uno studio di notevole spessore: GALIMBERTI U., Psiche e techne.
L’uomo nell’età della tecnica, Milano 1999.
67 Per questo aspetto, rimandiamo agli studi di Negrotti: NEGROTTI M., La
terza realtà. Introduzione alla teoria dell’artificiale, Bari 1997; ID., Artificiale. La riproduzione della natura e le sue leggi, Roma-Bari 2000.
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della categoria dei ‘prodotti culturali’, ma della natura stessa”68. Venticinque anni dopo queste parole, l’uomo sembra sempre più imprigionato nel suo incantesimo tecnologico, incantato dal sogno di creare la
vita e di modificare la natura, inclusa la sua. Scrive John Harris in un
celebre saggio:
Siamo anche in grado o lo saremo in futuro, di creare esseri “transgenici” assolutamente inediti per natura e per caratteristiche. Non è
esagerato dire che oggi l’umanità si trova a un bivio. Per la prima volta può incominciare plasmare, letteralmente, il proprio destino, nel
senso che può decidere non solo che tipo di mondo desidera creare e
abitare, ma anche che fisionomia intende darsi69.
In un testo emblematico e spesso citato, H. Tr. Engelhardt vagheggia con enfasi profetica la possibilità di emulare la potenza del
Creatore e di plasmare anche noi, novelli demiurghi, l’uomo a nostra
immagine e somiglianza, a immagine, cioè, del nostro desiderio:
In futuro la nostra capacità di forzare e manipolare la natura umana,
per perseguire i fini stabiliti dalle persone, aumenterà. Quando svilupperemo la capacità di intervenire con l’ingegneria genetica non
solo sulle cellule somatiche, ma anche su quelle germinali, saremo in
grado di plasmare e creare [shape and fashion] la nostra natura umana
a immagine e somiglianza dei fini scelti dalle persone. Se non vi è
nulla di sacro nella natura umana (e nessun argomento puramente
laico potrebbe dimostrare che sia sacra), non vi è alcuna ragione per
la quale, per ragioni appropriate e con appropriata cautela, essa non
debba essere radicalmente cambiata70.
68
ANDERS G., Die Antiquiertheit des Menschen, München 1984 (trad. It. L’uomo è antiquato. 1, Torino 2003, 15).
69 HARRIS J., Wonderwoman e Superman. Manipolazione genetica e futuro dell’uomo, Milano 1997, 38.
70 ENGELHARDT H. T. JR., Manuale di bioetica, 429.
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In molte declinazioni del Transumanesimo si avverte una sorta di
insoddisfazione o persino di rifiuto del valore dell’essere umano a
motivo della sua incompiutezza. L’umana finitezza, condizione esistenziale originaria per una creatura che non è metafisicamente necessaria, viene rifiuta, come nota acutamente Dignitas personae, parlando di alcuni aspetti della manipolazione genetica:
Taluni hanno immaginato la possibilità di utilizzare le tecniche di ingegneria genetica per realizzare manipolazioni con presunti fini di
miglioramento e potenziamento della dotazione genetica. In alcune di
queste proposte si manifesta una sorta di insoddisfazione o persino di
rifiuto del valore dell’essere umano come creatura e persona finita71.
Il presupposto antropologico ed etico degli interventi di manipolazione alterativa della natura umana è che la natura umana così come la conosciamo non è portatrice di valori intangibili che trascendono la materialità della persona. Se tutta la sostanza della persona
sta nella sua materialità e i valori personali sono semplici costruzioni
sovrastrutturali e ideologiche, non si capisce perché imporre limiti
all’intervento sulle dimensioni somatiche, purché sia rispettato il benessere dei singoli soggetti. Sullo sfondo sta quel riduzionismo genetico che riconduce ogni aspetto dell’essere umano all’interazione tra
il genoma e l’ambiente attraverso la mediazione del corpo. Se si ammette che la natura biologica è evocatrice di un progetto-uomo che
si radica nelle strutture biologica, ma le trascende, allora questo progetto-uomo diventa un limite con il quale confrontare e giudicare la
validità dei nostri interventi nell’ambito della vita e della salute umana. Negando, invece, la capacità della natura umana di essere evocatrice misteriosa, ma credibile di un progetto-telos con cui confrontarsi, il desiderio umano viene a doversi confrontare solo con i limiti che
incontra nella stessa natura biologica, limiti che, di fatto, sono puri
ostacoli tecnico-procedurali. Esclusi i valori simbolici di cui è segno
71
CONGREGAZIONE
Dignitas personae, n. 27.
DELLA
DOTTRINA
DELLA
FEDE, Istruzione dottrinale
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la nuda natura, viene meno una criteriologia che possa guidare l’atto
tecnologico, né è immaginabile che la tecnica possa da sola autolimitarsi e orientarsi verso il bene integrale e autentico della persona. La
tecnologia, infatti, è asimbolica perché è semplice “mezzo-strumento”
e non è portatrice di una senso da decifrare, né ha in sé contenuti valoriali da possano esigere rispetto. I valori che guidano la techne quando agisce sulla physis non possono, quindi, essere ricavati dalla techne
stessa, ma devono essere individuati attraverso un’ermeneutica della
physis. È la natura o realtà profonda dell’uomo a essere portatrice di
un senso e che, interpretata, può pertanto diventare una guida dell’agire che coinvolge la persona. Se, invece, si nega ogni valenza etica
permanente alla natura umana, allora l’uomo, nell’usare la techne, si
troverà come un navigante di fronte ad un mare aperto e sconfinato:
l’unica guida dell’agire biotecnologico sarà il desiderio umano, la pura volontà di volere, il perseguimento di fini estrinseci alla natura
umana, sottoposta alla piena trasformabilità. Qui sta una profonda
contraddizione: il desiderio umano viene rispettato perché umano e,
quindi, libero, ma nel progetto transumanista il desiderio umano si
volge contro la natura da cui esso emerge. L’uomo si afferma in quanto libero, negandosi in quanto umano: questo atto di libertà non è
mosso dal bene dell’uomo perché l’oggetto finale di questo atto di libertà è il superamento dell’uomo e, quindi, la sua negazione. Una
volta eliminato ogni riferimento alla natura umana come criterio etico, diventerà un criterio di valutazione della tecnica l’efficienza con
la quale essa permetterà il desiderio di realizzare i suoi obiettivi. Non
sarà più la persona la misura della tecnica, ma la tecnica si dovrà misurare solo con il desiderio di andare oltre la persona e, finalmente,
la tecnica potrà esprimere tutto il suo intrinseco potenziale disumanizzante perché se la tecnica è asimbolica, non è però priva di una sua
ratio interna, la ratio oggettualizzante e calcolante ispirata alla logica
della produzione e della prestazione.
I criteri di efficienza al quale è sottoposta la generazione umana
nelle tecniche di fecondazione artificiale e il corteggio inevitabile
della selezione del prodotto e della razionalizzazione delle procedure, anche a scapito di esistenze umane nascenti, sono soltanto timidi,
ma significativi esempi di che cosa comporti il primato del desiderio
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e dell’efficienza. Né stupisce l’enfasi posta dai Transumanisti sulla
necessità di intervenire sul patrimonio genetico umano sia dal punto
di vista terapeutico, attraverso la terapia genica, sia dal punto di vista
migliorativo, attraverso la manipolazione genetica positiva, sia attraverso la selezione dei soggetti affetti o portatori di malattie genetiche. Sotto questo punto di vista il Transumanesimo appare come una
versione dell’antica Eugenetica, con la differenza che l’Eugenetica
voleva migliorare la razza umana, mentre il Transumanesimo vorrebbe superarla.
Contro il progetto transumanista e contro la negazione della valenza etica della natura umana si sono levate molte voci da prospettive alquanto diverse, fra le quali emergono quelle del filosofo neoaristotelico F. Fukuyama, del filosofo tedesco neomarxista J. Habermas
e dei bioeticisti americani L. Kass e M. Pellegrino72. In questo senso
si muove anche l’articolato documento del President’s Council of
Bioethics, dal significativo titolo di Beyond Therapy. Biotechnology and
the Pursuit of Happiness il quale considera criticamente quattro ambiti di questi interventi “oltre la terapia”: “bambini migliori”, “prestazioni superiori”, corpi senza età”, “spiriti felici”73. Pur muovendosi
da punti di partenza molto diversi e all’interno di orizzonti culturali
eterogenei, possiamo riconoscere un tratto comune: la “natura” uma-
72
Vedere: BALLESTEROS J., FERNANDEZ E. edd., Biotecnología y Posthumanismo, Navarra 2007; FUKUYAMA F., Our Posthuman Future: Consequences of the Biotechnology Revolution, New York 2002; HABERMAS J., Die Zukunft der menschlichen
Natur. Auf dem Weg zu einer liberalen Eugenik?, Frankfurt a.M. 2001 (trad. it. Il
futuro della natura umana, Torino 2001); KASS L., The Wisdom of Repugnance,
1997; ID., Life, Liberty and the Defense of Dignity: The challenge for Bioethics, San
Francisco 2002; ID., Ageless bodies, happy souls. Biotechnology and the pursuit of perfection, “The New Atlantis” 1 (2003) Spring, 9-28; MCKIBBEN B., Enough, 2003;
MITCHELL B., PELLEGRINO D. ET AL., Biotechnology and the Human Good, Washington D. C. 2007; SANDEL M., Contro la perfezione. L’etica nell’età dell’ingegneria genetica, Milano 2008.
73 THE PRESIDENT’S COUNCIL OF BIOETHICS, Beyond Therapy: Biotechnology
and the Pursuit of Happiness, Washington D. C. 2003. I titoli originali delle quattro sezioni sono: “better children”, “superior performance”, “ageless bodies”,
“happy souls”.
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na, il datum del nostro esistere in quanto uomini, è l’ultima difesa
dell’umano, della dignità personale e della democrazia.
Habermas, nel suo saggio su La natura umana, definisce un fenomeno inquietante “il venir meno del confine tra la natura che noi siamo e la dotazione organica che noi ci diamo”74 e riflette senza pregiudizi sulle questioni etiche poste dalla biotecnologie genetiche e, in
particolare, dalla diagnosi e terapia prenatale. Secondo l’illustre filosofo tedesco si possono ritenere ragionevoli gli interventi curativi e
quelle selettivi nei confronti degli esseri umani non ancora nati (eugenetica negativa), mentre gli interventi genetici migliorativi del corredo naturale (eugenetica positiva) compromettono la libertà del soggetto che ne è interessato e, quindi, minano alla base la convivenza
democratica. La ragione principale per impedire la manipolazione
del patrimonio genetico umano è una ragione ispirata alla simmetria
richiesta da autentiche relazioni democratiche.
Egli scrive:
La convinzione che a tutte le persone spetti un eguale status normativo e che tutte debbano darsi simmetrico e reciproco riconoscimento, discende da una ideale reversibilità delle relazioni umane. Nessuno deve dipendere da un altro in modo pregiudizialmente irreversibile. Sennonché con la programmazione genetica nasce una relazione per molti aspetti asimmetrica75.
La teologia cattolica, nel prendere le distanze dal delirio transumanista, porta anzi tutto – come è ovvio – ragioni teologiche e ravvisa “nel tentativo di creare un nuovo tipo di uomo una dimensione ideologica, secondo cui l’uomo pretende di sostituirsi al Creatore”76. Questo argomento è detto anche l’argomento della hybris perché, nella
cultura greca classica, la hybris è la tracotanza dell’uomo di fronte al-
74
HABERMAS J., Il futuro della natura umana, 25.
HABERMAS J., Il futuro della natura umana, 65.
76 CONGREGAZIONE DELLA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione dottrinale
Dignitas personae n. 27
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le potenze sovrumane e la sua arroganza di fronte agli Dei. Ricorda
da vicino l’argomento del rispetto dell’ordo creationis già visto a proposito di transgenesi e ibridazione. Accanto, alle motivazioni più
squisitamente teologiche, i Moralisti cattolici sottolineano con forza
le molte e convergenti ragioni antropologiche che impediscono di
accogliere i capisaldi del Transumanesimo, ragioni autorevolmente
riprese dal Magistero: la tutela del datum umano originario, il rispetto dell’integrità psicofisica della persona, la uguaglianza fra tutti gli
esseri umani e il pericolo di un nuovo “dominio dell’uomo sull’uomo”77. Giovanni Paolo II, parlando alla Associazione Medica Mondiale, già nel 1984 insegnava che qualsiasi intervento sul genoma “deve rispettare la dignità fondamentale degli uomini e la natura biologica comune che è alla base della libertà, evitando manipolazioni che
tendono a modificare il patrimonio genetico e a creare gruppi di uomini differenti, con il rischio di provocare nella società nuove emarginazioni”78.
Enucleando i principali argomenti della Bioetica contro i progetti
transumanisti, il documento del President’s Council of Bioethics scrive:
Se ci sono ragioni essenziali per essere preoccupati per queste attività e per dove possono portarci, noi sentiamo che esse devono avere a
che fare con le sfide portate a ciò che è naturalmente umano, a ciò
77
Così Dignitas personae, n. 27 concludendo un denso paragrafo sulle manipolazioni genetiche alterative. L’insegnamento di Dignitas personae viene esaminato in: SACCHINI D., Finalità applicative dell’ingegneria genetica diverse da quella
terapeutica in Dignitas personae, in RUSSO G. ed., Dignitas personae. Commento all’istruzione sulla bioetica, Messina-Leumann 2009, 204-217. La letteratura di ispirazione cattolica sul tema del transumanesino è in crescita, ricordiamo: BEN
MITCHELL C., PELLEGRINO E., ELSHTAIN J. B. ET AL., Biotechnology and the Human Good, Washington D. C. 2007; POSTIGO DOLANA E., Transumanesimo e postumano: principi teorici e implicazioni bioetiche, “Medicina e Morale” 59 (2009)
271-287; SANNA I. ed., La sfida del post-umano. Verso nuovi modelli di esistenza?,
Roma 2005.
78 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Associazione Medica Mondiale, 29-101993, AAS 76 (1984) 394. Il discorso, incentrato sul tema delle manipolazioni
genetiche, merita di esser letto per intero (Ibidem, 389-395).
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che è umanamente degno o agli atteggiamenti che dimostrano rispetto per ciò che è naturalmente e degnamente umano. Si dà il caso
che almeno quattro considerazioni di questo tipo siano già state trattate, in un luogo o in un altro, nei capitoli precedenti: l’apprezzamento e il rispetto per il “datum naturale” minacciato dalla hybris; la
dignità dell’attività umana minacciata da mezzi innaturali; la preservazione della identità minacciata dai tentativi di autotrasformazione
e il pieno sviluppo umano minacciato da surrogati spuri e banali79.
Sottolineando la valenza etica della natura umana e la necessità del
rispetto della sua integrità come espressione basilare del rispetto per
la persona umana, ci si espone, senza dubbio, all’accusa di una palese
“fallacia naturalista”. La prospettiva propria dell’antropologia personalista ci permette, però, di non cadere di peso nella trappola del biologismo perché, nell’orizzonte di una antropologia realista e di una
concezione multidimensionale dell’uomo, le strutture e i dinamismi
naturali hanno rilevanza, ma solo in quanto essi si riferiscono alla
persona umana e alla sua realizzazione autentica, la quale può verificarsi sempre e solo nella natura umana80. Esiste, pertanto, un legame
etico fra libertà e natura: la libertà del soggetto deve confrontarsi con
la natura complessa dell’uomo e con le strutture naturali, incluso il
genoma, che sono la base dell’esistere umano. Prescindere da quei dinamismi significa violare il progetto-uomo e mettere a rischio non
solo la dignità, ma la stessa identità dell’uomo in quanto persona co-
79
THE PRESIDENT’S COUNCIL OF BIOETHICS, Beyond Therapy, 286-287: “If
there are essential reasons to be concerned about these activities and where they
may lead us, we sense that it may have something to do with challenges to what
is naturally human, what is humanly dignified, or to attitudes that show proper
respect for what is naturally and dignifiedly human. As it happens, at least four
such considerations have already been treated in one place or another in the
previous chapters: appreciation of and respect for “the naturally given”, threatened by hubris; the dignity of human activity, threatened by “unnatural”
means; the preservation of identity, threatened by efforts at self-transformation;
and full human flourishing, threatened by spurious or shallow substitutes”.
80 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Enc. Veritatis splendor, 6-8-1993, n. 50.
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sì come lo conosciamo. Il corpo della persona non può mai diventare un semplice oggetto in mezzo agli altri oggetti e, anche se il corpo dell’altro è per me Körper, non posso mai dimenticare che esso è
per l’altro Leib. Il corpo vissuto, che è esperienza della mia identità
umana, non può diventare corpo oggettuale, corpo altrui e termine
possibile della mia manipolazione, a meno di non annullare la medesimezza del Sé nella estraneità dell’Altro. In effetti il sogno transumano è proprio superare la realtà umana attuale, quello che è ciascun Sé umano, per andare verso un Altro humanum, verso una umanità non più umana, post-umana, appunto.
Il pericolo del trans-umano è di diventare dis-umano. Il pericolo
non immaginario è che il transumanesimo non sia un umanesimo.
9. La natura umana è perfettibile?
C’è un accordo universale sulla liceità di tutti gli interventi biomedici volti a ristabilire una ideale funzionalità delle strutture psicofisiche dell’uomo o, comunque, volti a conseguire un migliore grado
di salute purché siano rispettati i criteri generali di proporzionalità,
accettabilità del rischio, informazione e libertà. Questo vale anche
per gli interventi volti a modificare i genoma di un soggetto, escludendo, tuttavia, gli interventi di terapia genica germinale i quali verrebbero trasmessi alla eventuale progenie. In questi termini si esprime la Convenzione di Oviedo, secondo la quale “un intervento che ha
come obiettivo di modificare il genoma umano non può essere intrapreso che per delle ragioni preventive, diagnostiche o terapeutiche e
solamente se non ha come scopo di introdurre una modifica nel genoma dei discendenti”81.
81
CONSIGLIO D’EUROPA, Convenzione sui diritti umani e la biomedicina, 1996,
art. 13. Questa è anche, sostanzialmente, la posizione del Magistero cattolico.
Cfr. CONGREGAZIONE DELLA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione dottrinale Dignitas personae, n. 26: “Gli interventi sulle cellule somatiche con finalità strettamente
terapeutica sono in linea di principio moralmente leciti. Tali interventi intendono ripristinare la normale configurazione genetica del soggetto oppure contrastare
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Anche senza accedere alle tesi del transumanesimo che sogna di
superare la natura umana e di sostituirla con un’altra natura, una natura post-umana, ci si può chiedere se esistano tipologie di interventi che, pur eccedono la stretta terapeuticità, potrebbero essere accettati senza negare o deformare la natura intima della persona umana e
la fisionomia del suo essere ed operare. L’unica posizione eticamente
accettabile è, insomma, quella di salvaguardia nei confronti della natura umana biologica? Fra transumanisti e bioconservatori si può
aprire una terza via82?
Anche chi ritiene che il criterio basilare e imprescindibile per valutare la correttezza degli interventi che interessano l’integrità psicofisica dell’uomo, sia costituito dal rispetto della persona nella sua integralità, può chiedersi se veramente qualunque intervento non strettamente terapeutico sulle strutture biologiche dell’uomo rappresenti
sempre e comunque una lesione e un tradimento della persona. In
particolare, taluni hanno immaginato la possibilità di utilizzare le
tecniche di ingegneria genetica per realizzare manipolazioni che sono al limite fra terapia e miglioramento. Se, per esempio, si prevede
che, in base al suo potenziale genetico, un bambino potrà raggiungere una statura definitiva non patologica, ma ai limiti inferiori della
normalità e che questo sarà con ogni probabilità fonte di frustrazione e di difficoltà di inserimento sociale, potrebbe essere giustificata
una manipolazione genetica che consentisse al bambino di raggiungere una statura maggiore.
Una difficoltà è che, non essendo la desiderabilità di una qualità o
di una capacità fisica o psichica un dato oggettivo, ma dipendendo dai
i danni derivanti da anomalie genetiche presenti o da altre patologie correlate”.
Per motivi circostanziali, legati alla incertezza degli esiti e alla necessità – almeno per ora – di dover ricorrere alla fecondazione in vitro, la terapia genica germinale è ritenuta eticamente non praticabile, ma, una volta superati questi ostacoli, sarà possibile eseguire anche la terapia genica germinale e così non solo si
cureranno i figli, ma si eviterà che essi possano trasmettere un gene patologico
alla loro discendenza
82 Per l’opposizione fra transumanisti e bioconservatori: BOSTROM N., In defence of posthuman dignity, “Bioethics” 19 (2005) 202-214.
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progetti personali, dalle pressioni sociali e dai contesti culturali, risulta difficile stabilire i limiti di liceità per un intervento manipolatorio non strettamente terapeutico, destinato a cancellare una peculiarità che, pur non rispondendo al sistema delle attese sociali, non è patologica, ma è parte della irripetibile singolarità della persona.
Le critiche di Habermas ad ogni eugenetica positiva, non volta,
cioè, a correggere situazioni patologiche, si muovono su questa lunghezza d’onda: c’è il rischio di creare inaccettabili asimmetrie fra genitori e figli e di predeterminare le scelte e il destino dei figli in conformità con le attese dei genitori. Il rispetto del comune patrimonio
genetico umano e delle dotazioni della natura umana sono la base dell’uguaglianza e la loro distribuzione casuale permette di evitare la predeterminazione e la manipolazione della discendenza. L’accettazione
del caso ha, insomma, la funzione di evitare il prevalere della determinazione estrinseca e arbitraria della volontà di alcuni più forti, su altri impossibilitati di far valere il loro punto di vista e i loro legittimi
desideri. È vero che cercare di dare ai figli una dotazione ottimale di
potenzialità biologiche potrebbe anche essere fatto rientrare nella logica del perseguimento del miglior interesse dei figli e nessuno, certamente, riterrebbe degni di biasimo i genitori che scegliessero per i
loro figli le scuole migliori e i migliori insegnanti per sviluppare al
massimo le loro potenzialità. C’è, però, una differenza: la pressione
educativo-culturale, per quanto forte e condizionante, lascia al soggetto margini di opposizione e di scelte alternative, mentre una manipolazione a livello genetico o, comunque, somatico può instaurare situazioni strutturali o coazioni interne insormontabili. Si potrebbe,
forse concludere, che, in linea di principio, potrebbero essere consentito ai genitori di praticare solo quegli interventi sul genoma o, più in
generale sul soma della discendenza che possono essere ritenuti ragionevolmente desiderabili dai figli in quanto finalizzati a fornirli di
dotazioni naturali vicine agli standard della natura umana.
Un discorso ancora più delicato è quello degli interventi biotecnologici che, pur non essendo finalizzati a produrre creature simpliciter post-umane, si prefiggono di fornire a singole persone o gruppi
umani caratteristiche superiori alle capacità permesse dalla natura
umana. Esclusi gli interventi sulla progenie che ha diritto ad essere
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generata nel rispetto della comune natura umana, ci si chiede se sia
lecito che un adulto si sottoponga, liberamente e conscio dei rischi
che corre, a interventi che, per esempio, ne aumentino a dismisura la
forza muscolare o l’acutezza visiva o la attitudine al nuoto o la memoria. Nel campo dello sport, ad esempio rispetto al ricorso a droghe e farmaci, come anabolizzanti o anfetaminici, già gravato di pesanti ipoteche mediche ed etiche, l’ingegneria genetica potrebbe produrre negli atleti risultati virtualmente permanenti e molto efficienti. Applicazioni fantascientifiche potrebbero immaginare di modificare fisicamente gli astronauti per renderli più idonei a vivere nelle
condizioni inospitali di pianeti remoti.
La creazione di soggetti superabilitati e superspecializzati in un
singolo settore di attività potrebbe, comunque, arrivare a snaturare
l’identità umana della persona, perché ogni intervento manipolatorio
che coinvolga le dimensioni biologiche della persona potrebbe avere
imprevedibili riflessi sulla sua identità. Noi sappiamo poco del patrimonio genetico umano, del suo funzionamento e regolazione, sappiamo poco delle interrelazioni fra soma e psiche, dei rapporti fra uomo e ambiente, delle conseguenze a lungo termine di atti che a prima vista, sembrano ispirati al più lodevole spirito umanitario. Se, infatti, la coscienza di sé passa attraverso la mediazione della corporeità, ci si chiede se sarà ancora autocoscienza umana quella di una creatura il cui corpo ha acquisito caratteristiche del tutto aliene dalla nostra specie. Ancora più radicalmente, si può affermare che la natura
umana è manipolabile attraverso interventi di alterazione delle dimensioni corporee. Essendo l’uomo una realtà multidimensionale,
ma unitaria, ogni manipolazione alterativa della struttura corporea ha
ripercussioni sulle dimensioni spirituali della persona. Per l’unità vigente fra anima e corpo, gli interventi sul corporeo, incluso sul genoma, si riflettono sullo spirituale, così che l’humanum nel suo insieme, attraverso le sue dimensioni corporee, risulta aggredibile e modificabile attraverso la techne manipolatrice.
L’istruzione Dignitas personae, affrontando direttamente il tema
del miglioramento e potenziamento del patrimonio genetico umano,
esprime serie preoccupazioni, soprattutto in ordine alle ricadute sulla uguaglianza umana e afferma:
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A parte le difficoltà tecniche di realizzazione, con tutti i rischi reali e
potenziali connessi, emerge soprattutto il fatto che tali manipolazioni
favoriscono una mentalità eugenetica e introducono un indiretto stigma sociale nei confronti di coloro che non possiedono particolari doti e enfatizzano doti apprezzate da determinate culture e società, che
non costituiscono di per sé lo specifico umano. Ciò contrasterebbe
con la verità fondamentale dell’uguaglianza tra tutti gli esseri umani,
che si traduce nel principio di giustizia, la cui violazione, alla lunga, finirebbe per attentare alla convivenza pacifica tra gli individui83.
E, sottolineando l’arbitrarietà dei criteri di discernimento, conclude:
Ci si chiede chi potrebbe stabilire quali modifiche siano da ritenersi
positive e quali no, o quali dovrebbero essere i limiti delle richieste
individuali di presunto miglioramento, dal momento che non sarebbe materialmente possibile esaudire i desideri di ciascun singolo uomo. Ogni possibile risposta a questi interrogativi deriverebbe comunque da criteri arbitrari ed opinabili. Tutto ciò porta a concludere che una tale prospettiva d’intervento finirebbe, prima o poi, per
nuocere al bene comune, favorendo il prevalere della volontà di alcuni sulla libertà degli altri84.
Questi argomenti di natura antropologica sono centrati, in sostanza, sulla salvaguardia della identità e della dignità umana di ciascuno e sui rischi derivanti dalla creazione intenzionale di gruppi
umani differenziati per qualità e prestazioni. Sono argomenti non deboli e, data la rilevanza dei beni in gioco e i dubbi ragionevoli sui pericoli che questi interventi potrebbero comportare, sarà doveroso applicare il cosiddetto principio di precauzione.
Pur cogliendo la ragionevolezza di questa linea prudenziale indicata dal Magistero e persuasi che, allo stato attuale delle nostre cono-
83
CONGREGAZIONE
Dignitas personae, n. 27.
84 Ibidem.
DELLA
DOTTRINA
DELLA
FEDE, Istruzione dottrinale
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scenze, scelte sconsiderate potrebbe avere effetti devastanti sull’umanità futura, teoricamente parlando si potrebbe pensare che, se si tutelasse l’identità umana e la naturale uguaglianza fra gli uomini, se, cioè,
non si ledesse la sostanziale integrità della natura umana, quale è stata posta in essere dal Creatore, allora, per ragioni proporzionate e tenendo conto delle ripercussioni anche a distanza, potrebbero essere
ammissibili alcuni interventi migliorativi sulla struttura psicofisica
dell’uomo. Più precisamente si potrebbero ammettere interventi che
sviluppano la plasticità intrinseca della natura umana lungo le direzioni
indicate dalla teleologia della persona, inscritta nella sua natura, quelle che la filosofia scolastica chiamava le inclinationes naturales85. Questo presuppone – è chiaro – una lettura dinamica della persona umana, sempre in cammino verso livelli crescenti di attuazione della sua
natura ontologica. Quando la techne migliora le condizioni di espressione della natura umana, anche attraverso vie inedite e innovative,
ma sempre rispettando i valori umani fondamentali, si ha quella che
K. Demmer ha definito una “integrazione sensata della natura biologica”86 ovvero una integrazione della struttura e funzionalità psicofisica dell’uomo attuata in continuità con lo svolgersi naturale del suo
essere. Questo permetterebbe di “sfuggire a quell’atteggiamento materialistico e vitalistico di fondo che è convinto di poter creare un uomo migliore, invece di migliorare, come dovrebbe ritenersi giusto, le
condizioni biologiche della sua esistenza personale”87.
Fra un’etica paralizzata dal timore e un’etica ebbra di scienza, credo che si possa trovare una terza via in un’etica della responsabilità del85
Si veda, in questo senso: COMPAGNONI F., Validità e attualità del concetto di
natura umana nella questione dell’ingegneria genetica, in LORENZETTI L. cur., Teologia e bioetica laica, Bologna 1994, 41-53. Sul tema delle inclinationes naturales, si
vedano alcune pagine limpide e autorevoli: PINCKAERS S., Le fonti della morale
cristiana. Metodo, contenuto, storia, Milano 1992, 468-532 La categoria di inclinatio naturalis è stata ampiamente valorizzata in una prospettiva antropologica dinamica in: COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Alla ricerca di un’etica
universale: nuovo sguardo sulla legge naturale, Città del Vaticano 2009, nn. 44-52.
86 DEMMER K., Interpretare e agire. Fondamenti della morale cristiana, Cinisello Balsamo (Mi) 1989, 146.
87 Ibidem.
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l’uomo per l’uomo dove responsabilità – come afferma Luisella Battaglia – “significa innanzitutto la riassunzione, da parte dell’uomo, del
controllo razionale del suo incessante processo di progettazione. Le
nostre responsabilità nascono dal nostro potere e ogni progresso della scienza e della tecnologia aumenta questo potere: sta a noi tenere
presenti tutte le conseguenze volute e possibili del nostro agire”88.
Non ci riconosciamo, quindi, nel solco del pensiero transumanista
che si propone di dar vita, attraverso l’applicazione di diverse biotecnologie, incluse quelle genetiche, ad una realtà umana completamente nuova rispetto a quella attuale, cancellando l’uomo che noi
siamo, ma neppure vorremo escludere a priori la prospettiva di imprimere allo sviluppo psicofisico dell’uomo spinte migliorative in
continuità con le sue potenzialità naturali e nel rispetto della sua dignità, secondo una comprensione allargata e dinamica della signoria
ministeriale che l’uomo, vivente immagine di Dio, possiede anche nei
confronti della propria vita89.
Partendo dalla prospettiva antropologica dell’uomo come creatura affidata da Dio alla propria libertà, Karl Rahner, in uno scritto
molto stimolante risalente al 1968, dedicato al Problema della manipolazione genetica, affermava:
L’uomo non è soltanto l’essere che per ingiunzione di Dio e facendo
proseguire il di Lui compito creativo può e deve “assoggettarsi la
Terra” (ossia l’ambiente in cui vive). Egli è invece anche l’essere affidato alla propria responsabilità per un ordine superiore. Ed è appunto in questo senso che egli è tenuto a “manipolarsi”. Libertà vuol dire inderogabile necessità di autodeterminazione, in virtù della quale
l’uomo – sempre beninteso partendo da un principio già prestabilito
88
BATTAGLIA L., La bioetica e le sfide dell’ingegneria genetica, in SANNA I. ed.,
La sfida del post-umano, 141.
89 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Evangelium vitae, n. 52: “L’uomo, immagine vivente di Dio, è voluto dal suo Creatore come re e signore. La sua, tuttavia, non è una signoria assoluta, ma ministeriale; è riflesso reale della signoria
unica e infinita di Dio. Per questo l’uomo deve viverla con sapienza e amore,
partecipando alla sapienza e all’amore incommensurabili di Dio”.
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e dentro l’orizzonte di possibilità già fissate – “trasforma” se stesso
nella creatura che vuol essere e che, in definitiva, sarà di fatto, nella
validità eterna della sua libera decisione90.
La discussione, anche teologica, è, insomma, aperta e appassionante.
90
RAHNER K., Il problema della manipolazione genetica, in ID., Nuovi saggi. III,
Roma 1969, 341-342. Per comprendere il significato ampio di “manipolazione”
presupposto dall’Autore, rimandiamo al saggio citato la cui lettura è raccomandabile.
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SUMMARIES
The advances of biotechnologies disclose new scenarios which bioethical reflection must confront. The human reality stands in a tension between two
poles which represent the extremes in a dialectical movement of ideal nature
and actual nature. On the one hand the human reality tends to rejoin itself with
the non-human, represented traditionally as animal. On the other hand the human reality is stretching out towards developments which often have notes of
self-negation and the post-human. The non-human and the post-human bear
witness to a weakening of humanity’s self-understanding of its proper identity
and value; it also witnesses to a tendency which makes human nature reflow
into what is no longer certainly human. In line with the teaching of Dignitatis personae the article reaffirms, as illicit various forms of hybridization and chimerism, while retaining as licit in principle the transgenesis of genes of human
provenance in the higher mammals. The article distances itself from the transhuman utopia of giving life to a new post-human entity, and calls to mind the
on-going debate between philosophers and moralists; however it advances the
hypothesis of the moral acceptability of some forms of non-therapeutic manipulation of the genome.
***
Los avances en el campo de las biotecnologías abren nuevos escenarios con
los que la reflexión bioética tiene que confrontarse. Lo humano se encuentra
en tensión entre dos polos, que representan los extremos de un movimiento
dialéctico de carácter ideal y operativo. Por una parte lo humano tiende a juntarse con lo infrahumano, tradicionalmente representado por el animal. Por
otra, se quieren superar de tal manera los límites de lo humano que con frecuencia parece llegarse a su autonegación en el post-umano. Infrahumano y
posthumano son el resultado de una disminución de la autoconciencia humana sobre su propio valor y identidad, a la vez que muestran la tendencia a
hacer desembocar la naturaleza humana en lo que ciertamente no es humano. En sintonía con la Dignitas personae, el artículo reafirma que las diversas
formas de hibridación y quimerismo son ilícitas, mientras que considera lícita
la transgénesis con genes de origen humano, incluso cuando se realiza en
mamíferos superiores. Se rechaza la utopía transhumanista, que pretende dar
vita a un nuevo ser posthumano, y se alude al debate actual entre filósofos y
moralistas a este respecto; sin embargo se plantea la hipótesis de que algunas formas de manipulación no terapéutica del genoma pueden ser moralmente aceptables.
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***
I progressi delle biotecnologie dischiudono scenari nuovi con i quali deve confrontarsi la riflessione bioetica. L’umano si trova in tensione fra due poli che
rappresentano gli estremi di un movimento dialettico di natura ideale e operativa. Da una parte l’umano tende a ricongiungersi con l’infraumano tradizionalmente rappresentato dall’animale. Dall’altro l’umano si protende verso un
superamento che ha spesso i colori dell’autonegazione nel post-umano. Infraumano e postumano testimoniano l’esito di un indebolimento della autoconsapevolezza umana sulla propria identità e valore e la tendenza a far rifluire la natura umana in ciò che non è più sicuramente umano. L’articolo ribadisce, secondo l’insegnamento di Dignitas personae, l’illiceità delle diverse forme di ibridizzazione e chimerismo, mentre ritiene non illecita in linea di principio la transgenesi con geni di provenienza umana anche in mammiferi superiori. Si prendono le distanze dall’utopia transumanista di dar vita da un nuovo essere post-umano e si ricorda il dibattito in corso tra filosofi e moralisti, ma
si fa l’ipotesi di accettabilità morale di alcune forme di manipolazione non terapeutica del genoma.
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TECNICHE DI FECONDAZIONE ARTIFICIALE
Aiuto o sostituzione dell’atto coniugale?
Edmund Kowalski, C.Ss.R.*
Prima di entrare nel vivo della realtà molto complessa del problema menzionato nel titolo vorrei servirmi anche del titolo di un libro
per bambini che parla appunto della procreazione assistita: Mamma
raccontami come sono nato1. Una volta, le nostre carissime nonne e mamme rispondevano di solito in modo seguente: “I bambini li portano le
cicogne o nascono sotto i cavoli”. Adesso, con l’aiuto della “cicogna
biotecnologica”, la precedente domanda necessita di una risposta diversa e personalizzata al grado di curiosità dei “bambini di fastbook”
equipaggiati con i Mobile Internet Devices o degli Ultra Mobile PC di
high technology. La mamma d’oggi, per rispondere a questa domanda
senza elusioni, pur evitando di offrire risposte non richieste o troppo
complicate, può dire semplicemente: “tu sei nato in provetta” o “tu sei
nato con: ICSI, GIFT, TEST o ZIFT”. Penso che non solo per i bambini, ma anche per tanti adulti questi nomi ben codificati parlino più
dei “prodotti” di una “fabbrica” o di un supermercato con settore di
high technology che di mamma e di papà.
Da sempre un uomo e una donna che si legano ad un vincolo sponsale, portano dentro il desiderio di esprimere questo loro amore con il
dono di una vita, un figlio che dia un’impronta nuova alla vita dei suoi
* The author is an extraordinary professor at the Alphonsian Academy.
* El autor es profesor extrordinario en la Academia Alfonsiana.
Il presente articolo riprende la relazione svolta in occasione della giornata di
studio Dignitas personae. Per una bioetica umana, tenutasi presso l’aula magna dell’Accademia Alfonsiana (Roma, 28 aprile 2009).
1 AA.VV., Mamma raccontami come sono nato. Fiabe e filastrocche per raccontare la
procreazione assistita ai bambini, Casa Editrice Mammeonline, Foggia-Perugia 2007.
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EDMUND KOWALSKI
genitori e che sia un costante monito al loro amore. Talvolta, però,
questo desiderio è contrastato dalla sterilità, per cui la coppia, dopo
molteplici tentativi, perde ogni speranza e vive un dramma che la segna come fallita, sconfitta. È proprio contro questo spettro che sono
nate e continuano ad essere perfezionate le tecnologie di fecondazione umana assistita, con un preciso scopo fondante, quello procreativo.
L’espressione “procreazione medicalmente assistita” (PMA) è spesso usata ed appunto percepita come neutrale o solo come aiuto terapeutico, quando essa viene riferita all’uomo. In generale infatti non vi
sono motivi etici di dissenso nei confronti delle tecniche mediche
orientate alla cura di patologie e disfunzionalità nell’organismo umano, ma che dire della tecnica quando non è orientata ad aiutare la natura, ma piuttosto a sostituirsi ad essa?
I motivi di problematicità della questione strutturalmente complessa, sia dal punto di vista antropologico che etico, sono legati alla peculiare natura degli atti umani coinvolti nelle Tecniche di Riproduzione
Assistita (ART – Artificial Reproductive Technologies) e che si innestano in
modo profondo nella dimensione personale della coppia e sono orientati a rendere possibile la nascita di un nuovo individuo umano. In
questo contesto antropologico-assiologico sarebbe opportuno distinguere e analizzare diversi livelli problematici per poter costituire un
apporto valutativo. Questo esame – “alla luce della fede-Rivelazione e
della ragione-esperienza umana” (Gaudium et spes, n. 46; Donum vitae,
Introduzione, 5; Dignitas personae, nn. 7-10) – sarà condotto ai tre livelli fondamentali: fenomenologico (Tecniche di fecondazione artificiale ed il
loro impatto nei processi di procreazione umana), fondativo (Dalle fonti ai
criteri della moralità della procreazione umana) e antropologico-morale
(La fecondazione artificiale: aiuto o sostituzione dell’atto coniugale?).
1. Tecniche di fecondazione artificiale
1. ed il loro impatto nei processi di procreazione umana
La fecondazione artificiale non è un fenomeno dei nostri giorni,
ma si è giunti agli attuali risultati attraverso un percorso storico ben
preciso, dagli sperimenti sulle piante (agronomia, agricoltura) e sugli
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TECNICHE DI FECONDAZIONE ARTIFICIALE
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animali (zootecnica, medicina veterinaria) alla procreazione umana
medicalmente assistita vera e propria2. Accanto al trionfalismo dei casi di successo – 1:4 casi tra le coppie che tentano la GIFT (Gamete Intra Fallopian Transfer) e 1:10 tra quelle che si sottopongono alla FIVET (Fertilization in Vitro and Embryo Transfer) – c’è la desolazione – come si vede – della maggior parte delle coppie il cui tentativo
“ancora una volta” non è stato coronato da un “bambino in braccio”3.
Questa situazione è riscontrabile in tutto il mondo, al punto che le
nuove tecniche riproduttive si stanno perfezionando e diffondendo
rapidamente, e sono ormai tre milioni i bambini nati con la fecondazione assistita dal 25 luglio 1978, dalla nascita cioè di Louise Joy
Brown4, la prima bambina concepita in vitro (Oldham General Hospital, R. G. Edwards e P. Steptoe)5. La tecnica FIVET ha segnato così l’inizio di una nuova era: l’era della procreazione senza sessualità e
senza genitorialità. Di fronte a questa rivoluzione scientifico-tecnica
si prospettano numerosi e molto complessi problemi antropologici,
culturali, etici, giuridici o sociali. Per una comprensione più possibile
2
Cfr. A. BOMPIANI, Lo sviluppo storico delle tecnologie ed il loro impatto nei processi di procreazione umana, in: PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA, La dignità della
procreazione umana e le tecnologie riproduttive. Aspetti antropologici ed etici (Atti della X Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita, Città del Vaticano, 20-22 febbraio 2004), LEV, Città del Vaticano 2005, 42-113.
3 Cfr. AA.VV., La Fecondazione Assistita: il possibile e il ragionevole, Soroptimist
International d’Italia, Viennepierre Edizioni, Monza 1995, 35; Recentemente sono state pubblicate le percentuali di gravidanze cliniche dei diversi centri in Europa iscritti al Registro Europeo della Società Europea di Riproduzione Umana
ed Embriologia (ESHRE, 2007). I dati riportati per ciò che riguarda i cicli svolti in Italia nel 2003 (124 centri iscritti) danno una percentuale complessiva di gravidanze cliniche del 27,8% nelle pazienti sottoposte a FIVET e del 27,5% per
quelle sottoposte ad ICSI (Cfr. ESHRE, Molecular Human Reproduction and Human
Reproduction Update, in Human Reproduction 22 (2007) 6 1513-1525.
4 Per la storia della vicenda, vedi il libro dei genitori di Louise Joy Brown:
LESLIE E JOHN BROWN, Our Miracle Called Louise. A Parents’ Story, Paddington
Press, New York 1979; B. D. BAVISTER, Early history of in vitro fertilization, in Reproduction 124 (2002) 181-196; G. N. CLARKE, A.R.T. and history, 1678-1978, in
Human Reproduction 21 (2006) 7 1645-1650.
5 E. DUSI, I 30 anni della fecondazione, in La Repubblica, 16 luglio 2008, 36.
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completa delle questioni antropologico-etiche connesse alla fecondazione artificiale, in questo punto della nostra riflessione, vogliamo
presentare una sintesi dei principali dati biomedici a riguardo.
Le tecniche di fecondazione artificiale vengono classificate sia in
base alla provenienza dei gameti (spermatozoi e oociti) che in base al
“luogo” dove avviene la fecondazione (l’unione dei due gameti che
formano un nuovo, unico organismo – zigote – embrione – figlio)6.
In base alla provenienza dei gameti si possono dunque distinguere:
1) Tecniche di fecondazione artificiale omologa – tecniche che utilizzano
i gameti della coppia richiedente, coniugata e non, ottenuti attraverso
l’atto coniugale o senza esso [l’atto masturbatorio o l’aspirazione degli
spermatozoi: Aspirazione Percutanea di Spermatozoi per via Testicolare (TESA), Estrazione di Spermatozoi per via Testicolare (TESE),
Aspirazione Microchirurgica di Spermatozoi dall’Epididimo (MESA),
Aspirazione Percutanea di Spermatozoi dall’Epididimo (PESA)];
2) Tecniche di fecondazione artificiale eterologa – tecniche che utilizzano i gameti di una donna e di un uomo, di cui uno o entrambi, sono “donatori” (genitori biologici). Può esserci la “donazione” anche
di “utero” con la pratica del cosiddetto “utero in affitto” e maternità
per procura (“madre surrogata”).
In base al “luogo” dove avviene la fecondazione si parla di due grandi
gruppi di tecniche:
1) Tecniche di fecondazione artificiale intracorporea o fecondazione in
vivo – l’incontro tra il gamete femminile e quello maschile avviene
nel corpo della donna. Sono dunque le tecniche attraverso le quali
l’inseminazione avviene a diversi livelli dell’apparato riproduttore
femminile. Tra queste le più utilizzate sono:
6
Cfr. M. ARAMINI, La fecondazione artificiale. Che cosa dice la legge e che cosa insegna la Chiesa, Portalupi Editore, Casale Monferrato, 2004; M. P. FAGGIONI, La vita nelle nostre mani. Manuale di Bioetica teologica, Edizioni Camilliane, Torino 2004,
275-293; P. MERLO, Fondamenti & temi di bioetica, LAS, Roma 2009, 191-244; C.
NAVARINI, Procreazione assistita? Le sfide culturali: selezione umana o difesa della vita,
Portalupi Editore, Casale Monferrato, 2005; M. L. DI PIETRO, E. SGRECCIA, Procreazione assistita e fecondazione artificiale tra scienza, bioetica e diritto, La Scuola, Brescia 1999; S. LEONE, Nuovo manuale di bioetica, Città Nuova, Roma 2007, 84-104.
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a) inseminazione artificiale (IA) – intracervicale (ICI), intraperitoneale (DIPI), intratubarica (ITI), intrauterina (IUI) e
b) trasferimento intratubarico (nelle tube di Falloppio) di gameti –
GIFT (Gamete Intra Fallopian Transfer) e tecniche analoghe (GIPT
– trasferimento intraperitoneale di gameti; GIUT – trasferimento intrauterino di gameti).
2) Tecniche di fecondazione artificiale extracorporea o fecondazione in
vitro – l’incontro fra il gamete femminile e quello maschile avviene al
di fuori del corpo della donna, in laboratorio, “in provetta” (FIV –
Fecondazione in vitro). Ciò comporta una selezione di ovociti e spermatozoi, e soprattutto degli embrioni più adatti ad essere successivamente trasferiti in utero, altri saranno crioconservati o destinati agli
esperimenti scientifici o “distrutti”. Alle tecniche di fecondazione in
vitro (FIV) sono legate:
a) Tecniche di micromanipolazione – che sono state messe a punto per
i casi di grave insufficienza di spermatozoi (oligospermia) o di grave alterazioni di essi (come l’astenospermia, cioè ridotta motilità) e che consentono allo spermatozoo di penetrare nell’oocita con diverse modalità: ICSI (IntraCytoplasmatic Sperm Injection) – l’iniezione di uno
spermatozoo nel citoplasma dell’oocita; PZD (Partial Zone Dissection) – la parziale dissezione della membrana pellucida dell’oocita; SUZI (Subzonal Injection) – l’iniezione di alcuni spermatozoi sotto la zona pellucida. Queste tecniche comportano gravi rischi come l’aumento sensibile di anomalie cromosomiche e di malformazioni congenite
dovute all’uso di spermatozoi portatori di anomalie cromosomiche o di
difetti strutturali oppure dovuti a danno meccanico o biochimico, conseguenza dell’aver introdotto all’interno dell’oocita del materiale citologico estraneo, come dei virus o del DNA eterologo. Queste anomalie cromosomiche in gravidanze naturali sono molto meno frequenti,
poiché le varie membrane dell’oocita svolgono la funzione di selezionare naturalmente gli spermatozoi più sani e più maturi7.
7
G. M. CARBONE, La fecondazione extracorporea. Tecniche, valutazione morale e
disciplina giuridica, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2004, 9; PONTIFICIA
ACCADEMIA PER LA VITA (a cura di), Il divieto della clonazione nel dibattito internazionale. Aspetti scientifici, etici e giuridici, LEV, Città del Vaticano 2003.
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b) Tecniche di Assisted Hatching (AHA) – consistono nell’assottigliare o praticare una piccola apertura nella zona pellucida, cioè lo strato protettivo che circonda l’embrione. In alcuni casi l’embrione, dopo il trasferimento in utero e lo sviluppo fino allo stadio di blastocisti, non riesce a uscire dal suo “guscio” (la zona pellucida) e rimane
intrappolato senza alcuna possibilità di impiantarsi. Quindi è necessario effettuare un particolare trattamento detto “assisted hatching”
(impianto assistito), che consiste nell’apertura artificiale della zona
pellucida in modo da favorire la fuoriuscita dell’embrione dopo il trasferimento in utero. Questa tecnica può essere anche utilizzata per
aspirare e quindi allontanare dei frammenti citoplasmatici che si possono produrre all’interno dell’embrione. Le indicazioni più comuni
all’utilizzo della Assisted Hatching prima o dopo una fecondazione in
vitro sono principalmente tre: la scarsa qualità degli embrioni (con
un alto grado di frammentazione o una lenta divisione), il fattore inerente alla zona pellucida (gli embrioni hanno una zona pellucida
troppo spessa) e il fattore d’età delle donne in cui il transfer di embrioni è stato già eseguito 3 o più volte e non ha dato esito di gravidanza (spesso legato con zona pellucida dell’embrione troppo spessa). I metodi correntemente impiegati per l’AHA sono chimici, meccanici o con il laser. Il processo a volte danneggia degli embrioni. In
alcuni casi il trattamento è preceduto dall’assunzione di antibiotici
per prevenire eventuali infezioni proprio perché l’AHA priva l’embrione dello strato protettivo che lo protegge dalla presenza di agenti pericolosi presenti nell’utero8.
c) Tecniche di embryo-transfer – FIV-ET (Fecondazione in vitro con
embryo-transfer) e tecniche analoghe (PRETT – preembrionetransfer intratubarico; TEST – embryo-transfer intratubarico; ZIFT
– zigote-transfer intratubarico).
d) Tecniche della clonazione – consistono nella moltiplicazione agamica (asessuale) di un individuo in più copie sia per “fissione gemellare”
8
Cfr. A. BOMPIANI, Lo sviluppo storico delle tecnologie ed il loro impatto nei processi di procreazione umana, in: PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA, La dignità della
procreazione umana e le tecnologie riproduttive, op. cit., 84-87.
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artificiale (in laboratorio – in provetta) dell’embrione precoce, sia per
“trasferimento di nucleo” da una cellula somatica (cellula diploide) a
un ovocita prima denucleato (cellula aploide) e poi “fertilizzato” con
questo nucleo che contiene il corredo genetico completo (diploide)
dell’organismo adulto. In seguito si trasferisce l’ovocita così fertilizzato in utero, dando origine ad un organismo embrionale geneticamente identico ad un organismo adulto preesistente (copia – clone). Alle
tecniche di clonazione sono strettamente legate gli sperimenti con le
cellule staminali embrionali a scopo cosiddetto “terapeutico”9.
e) Tecniche d’ectogenesi – sono tecniche molto avanzate che prevedono, dopo la fecondazione in vitro, lo sviluppo – totale (ectogenesi
totale o gestazione ectobiotica totale) o parziale (ectogenesi parziale
o gestazione ectobiotica parziale) – dell’embrione umano fuori dal
grembo materno (gestazione extrauterina o gestazione ectobiotica):
in utero animale, in utero artificiale (gli incubatori riempiti con liquido amniotico) o in un tessuto tridimensionale di tipo endometriale, necessario per nutrire l’embrione impiantato sino alla formazione
di una placenta emocoriale (processo di annidamento e di sviluppo
embrionale)10.
f) Tecniche di fecondazione interspecifica (anche intra-specie e intersubspecie) – consistono nella fusione di gameti di specie diverse (cibridi o ibridi citoplasmatici, chimere), praticate soprattutto nell’agricoltura11 e nella zootecnia (bardotto o mulo – incrocio tra asino e cavallo; pumapardo – incrocio tra puma e leopardo; zebrallo – incrocio
tra zebra e cavallo). A causa delle barriere prezigotiche (impediscono
la fecondazione) e postzigotiche (riducono la vitalità o la fertilità del-
19
Cfr. D. NERI, La bioetica in laboratorio. Cellule staminali, clonazione e salute
umana (Prefazione di R. Levi-Montalcini), Laterza, Roma-Bari 2003.
10 R. COLOMBO, La gestazione ectobiotica, in L’Osservatore Romano, Sabato 16
febbraio 2002, 4.
11 Cfr. C. DAMIANO, M. A. PALOMBI, La micropropagazione 20 anni dopo: innovazioni tecniche e ottimizzazione dei protocolli delle colture ‘in vitro’, in Frutticoltura 2 (2000) 48-56; A. GRASSOTTI, B. NESI, D. TRINCHELLO, S. LAZZERESCHI,
Ottenimento di ibridi interspecifici di Lilium mediante coltura ‘in vitro’ di ovuli, in
Italus Hortus 14 (2007) 2 35.
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l’ibrido), gli ibridi interspecifici innanzitutto muoiono precocemente
durante lo sviluppo embrionale, se sopravvivono fino all’età adulta
non sono in grado di riprodursi. Neanche la prole degli ibridi interspecifici è in grado di riprodursi. Nel 2008 il governo inglese, su
pressione dei centri di ricerca sulla fecondazione e l’embriologia
(HFEA), ha autorizzato la produzione e la sperimentazione su “embrioni ibridi uomo-animale”, che si ottengono attraverso le tecniche
della clonazione (utilizzando la SCNT – Somatic Cell Nuclear
Transfer), cioè rimuovendo il nucleo dall’ovulo di un animale (coniglio o mucca) e sostituendolo con quello di una cellula umana. Il risultato è, appunto, un ibrido: un miscuglio tra geni umani (per la massima parte 99,99%) e animali (0.01%); sono denominati anche chimere, vale a dire organismi che sono geneticamente di due specie differenti: umana e animale12.
2. Dalle fonti ai criteri della moralità
2. della procreazione umana
Attualmente viene accettata da tutti la percentuale del 10-15% come dato indicante le coppie sposate sterili. Il figlio non nasce per cause che possono interessare la donna (40%) – “sterilità femminile”13; o
l’uomo (40%) – “sterilità maschile”14; o la coppia (20%) – “sterilità di
12
Cfr. P. KARPOWICZ, et al., Developing Human-Nonhuman Chimeras in Human Stem Cell Research: Ethical Issues and Boundaries, in Kennedy Institute of Ethics
Journal 15 (2005) 2 107-134; K. ROSSIIANOV, Beyond Species: Il’ya Ivanov and His
Experiments on Cross-Breeding Humans with Anthropoid Apes, in Science in Context
15 (2002) 2 277-316; N. LE DOUARIN, Chimere, cloni e geni, Bollati Boringhieri,
Torino 2002.
13 Cfr. S. MANCUSO, A. LANZONE, Prevenzione dell’infertilità e sterilità nella
donna, in: PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA, La dignità della procreazione umana e
le tecnologie riproduttive, op. cit., 241-255; R. MARANA, Le terapie chirurgiche della sterilità femminile, id., 225-236.
14 Cfr. A. ISIDORI, Prevenzione dell’infertilità maschile, in: PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA, La dignità della procreazione umana e le tecnologie riproduttive, op.
cit., 237-240.
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coppia”15. In questo contesto dobbiamo anche prendere in considerazione l’odierno fenomeno della famiglia che tende a costituirsi verso i
trenta e quarant’anni, quando le preoccupazioni esistenziali – come
stabilità economica e professionale – sono state almeno principalmente risolte, e il pensiero di un figlio si carica di ulteriori cautele e rimandi, legittimato a volte dal presunto, ed ingiustificato, “diritto ad
avere un figlio” e – contemporaneamente e paradossalmente – “diritto a non averlo” (vedi aborto, “riduzione embrionale”). Più raramente, invece, si tiene conto dei molti figli che avrebbero diritto – ben legittimato e giustificato – a dei genitori, ma sono stati rifiutati od abbandonati16. È certo che non si possa ignorare, tanto meno banalizzare, i giusti e onesti desideri dei coniugi sterili che vogliono “avere i figli” anche con l’“aiuto” delle tecniche di fecondazione artificiale.
All’interno del contesto matrimoniale, e quindi di un amore vicendevole può sorgere una questione fondamentale: se questa particolare
situazione di “vita coniugale feconda” (Humanae vitae, n. 14; Donum vitae, n. 5) o di buona e sincera intenzione di “avere figli” (Gaudium et
spes, n. 51; Humanae vitae, n. 14) non basta a considerare adeguata la dignità della procreazione medicalmente assistita, sapendo che lo scopo
del matrimonio – l’amore fecondo – non può essere realizzato in pienezza a causa dell’esistenza di ostacoli naturali e indipendenti dai coniugi (sterilità dei coniugi o almeno di uno di loro). D’altra parte, nel
contesto della possibilità di dissociare radicalmente le realtà tipicamente umane – come sessualità, fecondazione e procreazione – dalla persona, le nuove tecnologie riproduttive ci obbligano a domandare: quali
sono i beni-valori su cui fondare dei criteri d’orientamento etico collettivo e del discernimento morale individuale se vogliamo mantenere
e promuovere ciò che definisce “propriamente umana” la nostra vita?17
15
Cfr. AA.VV., La Fecondazione Assistita: il possibile e il ragionevole, op. cit., 411; M. L. DI PIETRO, A. G. SPAGNOLO, La consulenza etica con la coppia sterile, in:
PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA, La dignità della procreazione umana e le tecnologie riproduttive, op. cit., 211-224.
16 Cfr. AA.VV., La Fecondazione Assistita: il possibile e il ragionevole, op. cit., 152153.
17 AA.VV., La Fecondazione Assistita: il possibile e il ragionevole, op. cit., 139.
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La natura (“struttura”) del matrimonio – alla luce della Rivelazione (Gen 2, 24; Mt 19, 4-6; Mc 10, 5-8; Ef 5, 31), della Tradizione18
e del Magistero della Chiesa – si basa sull’unione intrinseca e inscindibile “tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e
il significato procreativo” (cfr. Gaudium et spes, n. 49; Humanae vitae,
n. 12; Donum vitae, Introduzione, 1-5; Evangelium vitae, n. 43; Dignitas personae, nn. 4-10). Questa realtà propriamente umana genera e
allo stesso tempo indica i doveri etici sia a livello dell’agire vicendevole ed esclusivo dei coniugi, (chiamato “procreazione propriamente
umana” o “paternità-maternità responsabili”), sia a livello dottrinale
di vivere della fede e secondo la fede, chiamato “obbedienza della fede” (Dei Verbum, n. 10; CCC, n. 891).
Guardiamo da vicino questi due livelli per ben inquadrare la posizione profondamente umanista e personalista della Chiesa universale affermata, prima, nella Costituzione Pastorale Gaudium et spes da
parte dei Padri Conciliari che ci ricordano: “Il bene della persona e
della società umana e cristiana è strettamente connesso con la comunità coniugale e familiare” (n. 47), poi, dal papa Paolo VI nell’Enciclica Humane vitae: “Il problema della natalità, come ogni altro problema riguardante la vita umana, va considerato, al di là delle prospettive parziali – siano di ordine biologico o psicologico, demografico o sociologico – nella luce di una visione integrale dell’uomo e
della sua vocazione, non solo naturale e terrena, ma anche soprannaturale ed eterna (n. 7).
I beni-valori fondamentali da rispettare sia nella procreazione
umana naturale che medicalmente assistita sono principalmente tre:
(1) “il diritto alla vita e all’integrità fisica di ogni essere umano dal
concepimento fino alla morte naturale”; (2) “l’unità del matrimonio,
che comporta il reciproco rispetto del diritto dei coniugi a diventare
padre e madre soltanto l’uno attraverso l’altro” (Donum vitae, II, A,
1); (3) “i valori specificamente umani della sessualità, che ‘esigono
che la procreazione di una persona umana debba essere perseguita
come il frutto dell’atto coniugale specifico dell’amore tra gli sposi’ ”
18
Cfr. Donum vitae, II, 2, nota n. 36.
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(Donum vitae, II, B, 4: l. c; Dignitas personae, n. 12). A tale quadro assiologico si collocano l’agire dell’uomo e della donna (l’atto coniugale) e le sue conseguenze (l’etica della vita matrimoniale e familiare in
generale, la procreazione umana in particolare). In seguito, in primo
luogo, dobbiamo indicare e analizzare le componenti strutturali della natura dello stesso atto coniugale e, ancor più profondamente, della natura delle stesse persone che agiscono, per cercare, in secondo
luogo, il fondamento della norma, che determina la moralità delle
azioni dell’uomo e della donna nell’atto coniugale e che di conseguenza indica ciò che ci interessa in particolare: l’etica della procreazione umana.
“Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e
vero amore ed il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo
alla paternità” (Humanae vitae, n. 12). Le parole sopra citate – secondo Giovanni Paolo II – riguardano quel momento nella vita comune
dei coniugi, in cui entrambi, unendosi nell’atto coniugale, diventano,
secondo l’espressione biblica, “una sola carne” (Gn 2, 24)19. Per chiarire più a fondo quella “connessione inscindibile che Dio ha voluto...
tra i due significati dell’atto coniugale”, dobbiamo rileggere la frase
successiva: “per la sua intima struttura, l’atto coniugale, mentre unisce profondamente gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna”
(Humanae vitae, n. 12). È importante osservare che nella frase precedente il testo appena citato tratta soprattutto del “significato” e nella
frase successiva, della “intima struttura”, cioè della natura propria del
rapporto coniugale. Definendo questa “struttura intima”, il testo fa riferimento “alle leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna”. L’“intima struttura” (natura) dell’atto coniugale, quindi, costituisce la base necessaria per un’adeguata lettura e scoperta dei significati, che devono trasferirsi nella coscienza e nelle decisioni delle perso-
19
GIOVANNI PAOLO II, Nell’atto coniugale inscindibili le finalità unitiva e procreativa, in: GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, Città Nuova-LEV, Città del Vaticano 2003, 453 (cfr. 453-455) [Catechesi].
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ne agenti, e anche indica la base necessaria per stabilire l’adeguato
rapporto di questi significati, cioè la loro inscindibilità. Tale lettura diviene condizione indispensabile per agire nella verità, ossia per comportarsi conformemente al valore-bene e alla norma morale20.
La norma morale, insegnata costantemente dalla Chiesa in questo ambito scaturisce dalla lettura del “linguaggio del corpo” nella
verità. Si tratta qui della verità, prima nella dimensione ontologica
(“struttura intima”) e poi – di conseguenza – nella dimensione soggettiva e psicologica (“significato”)21. “L’uomo e la donna esprimono reciprocamente se stessi nel modo più pieno e più profondo, in
quanto è loro consentito dalla stessa dimensione somatica della mascolinità e femminilità: l’uomo e la donna esprimono se stessi nella
misura di tutta la verità della loro persona”22. “Secondo il criterio di
questa verità, che deve esprimersi nel ‘linguaggio del corpo’, l’atto
coniugale ‘significa’ non soltanto l’amore, ma anche la potenziale fecondità, e perciò non può essere privato del suo pieno e adeguato significato mediante interventi artificiali. Nell’atto coniugale non è
lecito separare artificialmente il significato unitivo dal significato
procreativo, perché l’uno e l’altro appartengono alla verità intima
dell’atto coniugale: l’uno si attua insieme all’altro e in certo senso
l’uno attraverso l’altro” (cfr. Humanae vitae, 12)23. “Perciò, quando
si tratta di mettere d’accordo l’amore coniugale con la trasmissione
responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non
dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi,
ma va determinato secondo criteri oggettivi, che hanno il loro fondamento nella dignità stessa della persona umana e dei suoi atti, criteri che rispettano, in un contesto di vero amore, il significato totale della mutua donazione e della procreazione umana” (Gaudium et
spes, n. 51).
20
Ibidem, 454.
Ibidem, 454.
22 GIOVANNI PAOLO II, L’essenza della dottrina della Chiesa sulla trasmissione
della vita, in: Catechesi, 468.
23 Ibidem, 468.
21
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Per quanto che riguarda il livello dottrinale, chiamato “obbedienza della fede”, dobbiamo sottolineare che l’“ordine morale soggettivo”, cioè la coscienza morale, aiutata e regolata dalla prudenza (recta
ratio agibilium), rende più esistenziale l’“ordine morale oggettivo” in
quanto rappresentato dalla legge e dalle norme morali. Infatti l’atto
umano e morale (“enim actio sit humana et moralis” secondo Sant’Alfonso)24 è il punto d’incrocio dei due ordini: “oggettivo” e “soggettivo”. Parlando delle “fonti della moralità” (principiis moralitatis:
objectum, finis, circumstantiae) di un’azione umana (actus humanus) si
può verificare che, nonostante si insista fortemente sull’obbedienza
all’ordine morale “oggettivo” (cfr. Sant’Alfonso, Theologia Moralis, T.
II, Liber V, art. IV, § II25; CCC, nn. 1749-1761; Veritatis splendor, nn.
71-83), non si deve sottovalutare, però – soprattutto nell’attuale contesto etico-culturale – l’importanza dell’ordine morale “soggettivo”.
Non possiamo comunque dimenticare che la coscienza morale è allo
stesso tempo norma normans e norma normata (Gaudium et spes, n. 16;
CCC, nn. 1776-1802). Ricordando quest’ultima dimensione della coscienza, la Costituzione Pastorale “Sulla Chiesa nel mondo contemporaneo” Gaudium et spes afferma appunto che “i coniugi cristiani siano consapevoli che non possono procedere a loro arbitrio, ma devono sempre essere retti da una coscienza che sia conforme alla legge
divina stessa; e siano docili al Magistero della Chiesa, che interpreta
in modo autentico quella legge alla luce del Vangelo. Tale legge divina manifesta il significato pieno dell’amore coniugale, lo protegge e
lo conduce verso la sua perfezione veramente umana” (n. 50). L’Istruzione Dignitas personae, citando la Dichiarazione conciliare Sulla
libertà religiosa Dignitatis humanae (n. 14), afferma la stessa verità:
“L’intervento del Magistero rientra nella sua missione di promuovere la formazione delle coscienze, insegnando autenticamente la veri-
24
S. ALPHONSUS DE LIGORIO, Theologia Moralis, T. I-IV, Editio Nova (cura
et studio P. Leonardi Gaudé, CSsR), Typographia Vaticana, Romae 1907 (Editio photomechanica 1953), T. II, Liber V, art. 1, I, p. 689.
25 S. ALPHONSUS DE LIGORIO, Theologia Moralis, op. cit., T. II, Liber V, art.
IV, § II, pp. 700-702.
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tà che è Cristo, e nello stesso tempo dichiarando e confermando autoritativamente i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla
stessa natura umana” (n. 10).
3. La fecondazione artificiale:
3. aiuto o sostituzione dell’atto coniugale?
L’atto coniugale, inteso come azione propria ed esclusiva delle persone (gli animali “si riproducono”), ha indubbiamente un versante fisico (“la biologia della generazione”), ma in senso proprio si colloca
nel cuore della vita psico-spirituale dell’uomo e della donna (“generazione – genealogia della persona – continuazione della creazione”,
Evangelium vitae, n. 43)26. Quest’unico atto umano scaturisce dal loro
amore attualmente vissuto ed espresso con un “linguaggio del corpo”
che, nell’ottica del reciproco dono gratuito di sé, si apre alla possibilità della nascita di una nuova vita – con la dignità della persona umana
– che gli stessi coniugi si impegnano ad accogliere e amare (cfr. Donum vitae, Introduzione, 3, l. c, I, 6, II; Dignitas personae, n. 12).
Alla luce di tali criteri sono da escludere tutte le tecniche di fecondazione artificiale eterologa e le tecniche di fecondazione artificiale extracorporea (o fecondazione in vitro), anche omologa, poiché
sono sostitutive dell’atto coniugale e di più comportano l’intervento
di terze persone e le manipolazioni ed eliminazioni degli embrioni
umani, che hanno “fin dall’inizio la dignità propria della persona”
(cfr. Dignitas personae, nn. 5, 12-21; Donum vitae, I, 6, II, 1-8).
Non è troppo difficile osservare che in questi casi si tratta anche
dell’infrazione della regola morale fondamentale secondo la quale “il
fine buono” – anche più onorevole – non giustifica tutti i mezzi, soprattutto quelli disordinati o appunto cattivi dal punto di vista della
26
“Nella biologia della generazione è inscritta la genealogia della persona...
La generazione è la continuazione della creazione”, Evangelium vitae, n. 43;
GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle famiglie Gratissimam sane (2 febbraio 1994), 9,
in AAS 86 (1994) 878.
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qualificazione morale. Restando nella stessa direzione dobbiamo anche analizzare la relazione “mezzi-fine” nell’applicazione delle tecniche di fecondazione artificiale intracorporea (o fecondazione in vivo)
alla procreazione umana connessa con l’atto coniugale. Nel caso si riscontrino delle difficoltà a che l’atto coniugale porti anche i suoi frutti in senso procreativo, si pone il problema dell’opportunità di un intervento medico. Una valutazione etica di tale intervento si può schematicamente riassumere nella seguente domanda: fino a che punto
l’eventuale intervento medico avrebbe carattere di aiuto terapeutico?
Il fine dei coniugi è l’onesto e sincero desiderio (intenzione) di generare un figlio. Per raggiungere questo fine-scopo – supponendo
che hanno già esaurito tutte le terapie accessibili e tutti i metodi naturali – i coniugi prendono la decisione di ricorrere all’aiuto delle
tecniche di procreazione medicalmente assistita “per facilitare il
compimento e per raggiungere il fine” del loro atto unitivo coniugale. Come l’afferma appunto Pio XII, l’Istruzione Donum vitae e Dignitas personae: “L’intervento medico è rispettoso della dignità della
persone quando mira ad aiutare l’atto coniugale sia per facilitarne il
compimento sia per consentirgli di raggiungere il suo fine, una volta
che sia stato normalmente compiuto” (Donum vitae, II, B, 7; Dignitas
personae, n. 12)27. “Sono ammissibili – afferma l’Istruzione Dignitas
personae – le tecniche che si configurano come un aiuto all’atto coniugale e alla sua fecondità” (n. 12). Sembra che la sopramenzionata
ammissione delle “tecniche come aiuto all’atto coniugale e alla sua
fecondità” riguardi solo due gruppi di tecniche di fecondazione artificiale intracorporea, cioè l’inseminazione artificiale omologa (AIH)
e il trasferimento intratubarico (nelle tube di Falloppio) di gameti
(GIFT)28. La GIFT, a differenza dell’inseminazione artificiale omologa, non è menzionata nell’Istruzione Donum vitae e neanche in Dignitas personae, poiché soltanto alcune sue varianti sono connesse con
27
Cfr. PIO XII, Discorso ai partecipanti al IV Congresso Internazionale dei Medici Cattolici, 29 settembre 1949, in AAS 41 (1949) 560.
28 H. WATT, Genitorialità e nuove tecnologie riproduttive: considerazioni antropologiche, in: PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA, La dignità della procreazione umana e
le tecnologie riproduttive, op. cit., 32 (cfr. 31-41).
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l’atto coniugale (la maggior parte delle tecniche della GIFT, infatti
sono tecniche di fecondazione artificiale extracorporea). Vi è grande
incertezza tra i moderni teologi moralisti tra i pro e i contra per il loro uso dal punto di vista etico29.
“Aiutare l’atto coniugale sia per facilitarne il compimento sia per
consentirgli di raggiungere il suo fine” significherebbe intervenire
nella tappa della procreazione umana “dopo l’atto coniugale” – “una
volta che sia stato normalmente compiuto” – chiamata “fecondazione”, che riguarda un processo naturale di fertilizzazione, cioè l’incontro dei gameti all’interno dell’organo riproduttivo della donna.
Le Istruzioni Donum vitae e Dignitas personae, tuttavia, declamano che
“l’inseminazione artificiale omologa all’interno del matrimonio non
può essere ammessa, salvo il caso in cui il mezzo tecnico risulti non
sostitutivo dell’atto coniugale, ma si configuri come una facilitazione
e un aiuto affinché esso raggiunga il suo scopo naturale” (Donum vitae, II, B, 6: l. c; Dignitas personae, n. 12).
Il fatto di mantenere ferma la chiusura all’uso ausiliario dell’inseminazione artificiale omologa all’interno del matrimonio, tanto più
ad alcune tecniche della GIFT connesse all’atto coniugale, e, allo
stesso tempo, l’apertura al “mezzo tecnico” come “una facilitazione e
un aiuto” del raggiungimento dello scopo naturale dell’atto coniugale, chiarisce il punto successivo dell’Istruzione Dignitas personae: “Sono certamente leciti gli interventi che mirano a rimuovere gli ostacoli
che si oppongono alla fertilità naturale” (n. 13). Malgrado la Dignitas
personae indichi – in modo esemplificativo – soltanto alcune cure come autentiche terapie dell’infertilità della donna (“come ad esempio
la cura ormonale dell’infertilità di origine gonadica, la cura chirurgica di una endometriosi, la disostruzione delle tube, oppure la restaurazione microchirurgica della pervietà tubarica”) si tratta infatti di un
vero, certo e lecito aiuto alla natura (adiuvatio naturae) che mira a risolvere “il problema” che sta “all’origine dell’infertilità”. In altre parole, si tratta delle autentiche terapie il cui scopo fondamentale è
29
Cfr. R. MINATORI, A. G. SPAGNOLO, È compatibile la GIFT con l’insegnamento della “Donum vitae”?, in Medicina e Morale 1 (1998) 201-204.
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guarire o curare le cause prime e principali dell’infertilità che interessano direttamente ambedue i coniugi o almeno uno di loro e non
di “curare” solo i sintomi dell’infertilità, cioè l’atto coniugale infertile come una realtà secondaria e sintomatica. Di conseguenza, in primo luogo, un faticoso cercare, scoprire e adeguarsi alla logica intransigente della cronologia causa-sintomo e diagnosi-terapia indica lo
spostamento necessario e radicale dell’adiuvatio naturae dall’atto coniugale infertile alla coppia dei coniugi-agenti infertili. In secondo
luogo, questo giusto e talvolta doveroso spostamento esprime, sia da
parte della Chiesa che dei coniugi, il rispetto dovuto all’intima struttura-natura dell’atto coniugale personale “che unicamente è degno di
una procreazione veramente responsabile”, “senza che il medico debba interferire direttamente nell’atto coniugale stesso” ed è un vero
adiuvatio naturae, poiché “una volta risolto il problema che era all’origine dell’infertilità, la coppia possa porre atti coniugali con un esito procreativo” (Dignitas personae, n. 13). In terzo luogo, questo spostamento adiuvatio naturae dall’atto coniugale, precisamente dalla
tappa della fecondazione, che spetta alla “natura” (il processo naturale della fertilizzazione), a Dio (creazione-animazione) e ai coniugigenitori come “collaboratori di Dio Creatore nel concepimento e nella
generazione di un nuovo essere umano” (cfr. Gaudium et Spes, n. 50;
Donum vitae, Introduzione, 5; Evangelium vitae, n. 43, Dignitas personae, n. 6), indica indubbiamente che “la fecondazione” non è e non
possa essere una tappa o un azione a se stante, o neutrale, tanto meno un mezzo per raggiungere un fine, ma una realtà che è intrinsecamente legata con l’atto coniugale come suo oggetto, fine e compimento naturale (finis operis). Infatti, l’“interferire direttamente nell’atto coniugale stesso” significherebbe ridurlo a un semplice mezzo
per realizzare i suoi fini soggettivi (finis operantis – desideri, intenzioni) oppure per raggiungere lo scopo ultimo in quanto conseguenza o
effetto (teorie consequenzialiste e proporzionaliste; cfr. Veritatis
splendor, nn. 71-83).
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Conclusioni
Il Magistero della Chiesa cattolica ha sempre cercato di opporre
alla mentalità pragmatica, tecnica ed edonista odierna una cultura
dell’uomo e per l’uomo, una cultura in cui la procreatività venisse intesa come atto delle persone e frutto del dono totale ed esclusivo dei
coniugi (maternità e paternità responsabili)30. La “verità” inscritta
nella “loro persona” – come uomo e donna – richiama l’“unità” e la
“totalità”, per cui nell’espressione della coniugalità nell’atto sessuale
non può manifestarsi l’unione senza che nel contempo vi sia l’apertura alla nuova vita come dono per eccellenza. Cercare di separare o
d’annullare uno di questi elementi strutturali ed essenziali significa
agire non soltanto contro “il significato totale della mutua donazione e della procreazione umana” (Gaudium et spes, n. 51), ma soprattutto contro l’uomo stesso e il mondo dei suoi primordiali ed irrinunciabili beni, valori e diritti.
Nel caso si riscontrino delle difficoltà a che l’atto coniugale porti
anche i suoi frutti in senso procreativo, si pone il problema dell’opportunità di un intervento medico. Secondo la Dottrina morale della Chiesa: “L’intervento medico è rispettoso della dignità della persone quando mira ad aiutare l’atto coniugale sia per facilitarne il
compimento sia per consentirgli di raggiungere il suo fine, una volta
che sia stato normalmente compiuto” (Donum vitae, II, B, 7; Dignitas
personae, n. 12). L’Istruzione Dignitas personae indica alcune autentiche terapie il cui scopo fondamentale è guarire o curare le cause prime e principali dell’infertilità che interessano direttamente ambedue
i coniugi o almeno uno di loro e non di “curare” solo i sintomi dell’infertilità, cioè l’atto coniugale infertile come una realtà secondaria
e sintomatica. Di conseguenza, in primo luogo, si tratta dello spostamento necessario e radicale dell’adiuvatio naturae dall’atto coniugale
infertile alla coppia dei coniugi-agenti infertili. Questo giusto e tal-
30
M. L. DI PIETRO, E. SGRECCIA, Introduzione, in: M. L. DI PIETRO, E.
SGRECCIA, La trasmissione della vita nell’insegnamento di Giovanni Paolo II, Vita e
Pensiero, Milano 1989, 6.
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volta doveroso spostamento, in secondo luogo, esprime il rispetto
dovuto all’intima struttura-natura dell’atto coniugale personale “che
unicamente è degno di una procreazione veramente responsabile”
(Dignitas personae, n. 13). In terzo luogo, lo spostamento adiuvatio naturae dall’atto coniugale, precisamente dalla “fecondazione”, che
spetta alla “natura” (il processo naturale della fertilizzazione), a Dio
(creazione-animazione) e ai coniugi-genitori come “collaboratori di
Dio Creatore nel concepimento e nella generazione di un nuovo essere
umano” (cfr. Gaudium et spes, n. 50; Donum vitae, Introduzione, 5;
Evangelium vitae, n. 43, Dignitas personae, n. 6), indica che “la fecondazione” non è e non può essere una tappa o un azione a se stante, o
neutrale, tanto meno un mezzo per raggiungere un fine, ma una realtà che è intrinsecamente legata all’atto coniugale come suo oggetto,
fine e compimento naturale (finis operis). L’“interferire direttamente
nell’atto coniugale stesso”, infatti, significherebbe ridurlo a un semplice mezzo per realizzare i suoi fini soggettivi (finis operantis – desideri, intenzioni) oppure raggiungere lo scopo ultimo in quanto conseguenza o effetto (teorie consequenzialiste e proporzionaliste; cfr.
Veritatis splendor, nn. 71-83).
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SUMMARIES
The article deals with the problem of the impact of Assisted Reproduction
Techniques (ART) in the processes of human procreation. After a presentation,
in a synthetic way, of the techniques of artificial fecundation (the phenomenological aspect), the sources of the morality of human procreation in the light of
the Magisterium of the Catholic Church (the foundational aspect), the author
offers a solution to resolve the problem mentioned in the title of the article. The
instruction Dignitas personae by indicating, in an illustrative way, only some
cures as authentic therapies of the woman’s infertility, talks of a true, certain
and licit aid to nature (adiuvatio naturae) that aims to solve ‘the problem’ which
is ‘at the origin of infertility’. One is dealing, in fact, with authentic therapies
whose fundamental scope is to heal or cure the prime and principal causes of
infertility which affect directly both the spouses or at least one or other of
them, and not only to ‘cure’ the symptoms of infertility, that is, the infertile conjugal act as a secondary and symptomatic reality. Consequently, in the first
place, a meticulous conformity to the strict logic of the chronology of causesymptom and diagnosis-therapy indicates the necessary and radical shifting
of the adiuvatio naturae from the infertile conjugal act to the infertile coupleas-agents. In the second place, this just and at times obligatory shifting of attention expresses, both on the part of the Church and that of the spouses, the
respect due to the intimate nature-structure of the personal conjugal act,
which alone is worthy of a truly human and responsible procreation.
***
El artículo encara el problema del impacto de las Técnicas de Reproducción
Asistida (ART) en los procesos de la procreación humana. Después de presentar, de un modo sintético, las técnicas de fecundación artificial (aspecto fenomenológico) y las fuentes de la moralidad de la procreación humana a la luz
del Magisterio de la Iglesia Católica (aspecto fundacional), el autor indica una
solución al problema mencionado en el título del artículo. La Instrucción Dignitas personae, indicando a título de ejemplo solo algunos tratamientos como
auténticas terapias para la infertilidad de la mujer, habla de una verdadera, innegable y lícita ayuda a la naturaleza (adiuvatio naturae) que intenta resolver
“el problema” que “origina la infertilidad”. Se trata en realidad de auténticas terapias que tienen como finalidad fundamental sanar o curar las causas primarias y principales de la infertilidad que interesan directamente a ambos
cónyuges o por lo menos a uno de ellos, y no de “curar” solamente los síntomas de la infertilidad, es decir el acto conyugal infértil como una realidad se-
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cundaria y sintomática. En primer lugar, por consiguiente, una ardua adecuación a la lógica intransigente de la cronología causa-síntoma y diagnosis-terapia implica la transferencia necesaria y radical de la adiuvatio naturae del acto conyugal infértil a la pareja de los cónyuges-agentes infértiles. En segundo
lugar, esta justa y hasta ineludible transferencia expresa, sea de parte de la
Iglesia que de los cónyuges, el respeto debido a la íntima estructura natural
del acto conyugal personal, único acto digno de una procreación verdaderamente humana y responsable.
***
L’articolo affronta il problema dell’impatto delle Tecniche di Riproduzione Assistita (ART) nei processi di procreazione umana. Dopo aver presentato, in modo sintetico, le tecniche di fecondazione artificiale (l’aspetto fenomenologico),
le fonti della moralità della procreazione umana alla luce del Magistero della
Chiesa cattolica (l’aspetto fondativo), l’autore ha presentato una soluzione per
risolvere il problema menzionato nel titolo dell’articolo. L’Istruzione Dignitas
personae indicando, in modo esemplificativo, soltanto alcune cure come autentiche terapie dell’infertilità della donna, parla di un vero, certo e lecito aiuto
alla natura (adiuvatio naturae) che mira a risolvere “il problema” che sta “all’origine dell’infertilità”. Si tratta, infatti, delle autentiche terapie il cui scopo fondamentale è guarire o curare le cause prime e principali dell’infertilità che interessano direttamente ambedue i coniugi o almeno uno di loro e non di “curare” solo i sintomi dell’infertilità, cioè l’atto coniugale infertile come una realtà
secondaria e sintomatica. Di conseguenza, in primo luogo, un faticoso adeguarsi alla logica intransigente della cronologia causa-sintomo e diagnosi-terapia indica lo spostamento necessario e radicale dell’adiuvatio naturae dall’atto coniugale infertile alla coppia dei coniugi-agenti infertili. In secondo luogo, questo giusto e talvolta doveroso spostamento esprime, sia da parte della Chiesa che dei coniugi, il rispetto dovuto all’intima struttura-natura dell’atto
coniugale personale, che unicamente è degno di una procreazione veramente umana e responsabile.
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CARITAS IN VERITATE
Il nesso tra carità e verità
Mauro Cozzoli*
È singolare l’incipit e quindi il titolo – Caritas in veritate – dato dal
Papa a un’enciclica di carattere sociale. L’istanza della verità è una costante del magistero di Benedetto XVI ed è significativo che l’abbia
voluta introdurre, come motivo dominante, anche in un documento
di dottrina sociale. Essa pone l’enciclica in continuità e sviluppo con
l’insegnamento di Papa Benedetto.
La carità e la verità vanno riconosciute e coniugate insieme per
un approccio reale e compiuto all’enciclica. Insieme costituiscono
l’elemento base e il filo conduttore, da cui lasciarsi condurre per
un’intelligenza appropriata dei problemi sociali presi in esame. Non
si può andare direttamente a questi e prescindere dal backgound ermeneutico della carità nella verità. Si rischia una riduzione sociologica e l’incomprensione antropologica e teologica dell’enciclica (cfr. §
10). Di qui la necessità di un inquadramento e approfondimento del
tema della carità e della verità e del loro nesso nel documento, che è
il motivo e l’obiettivo di questa riflessione.
1. L’emergenza verità nel sociale
La verità è la passione che deve muovere le intelligenze non solo
a livello teorico dei concetti e dei principi ma anche pratico del vis-
* The author is an ordinary professor of moral theology in the Pontifical Lateran
University and an invited professor at the Alphonsian Academy.
El autor es profesor ordinario de teología moral en la Pontificia Universidad Lateranense y profesor invitado en la Academia Alfonsiana.
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MAURO COZZOLI
suto e delle sue diramazioni sociali. Non si possono affrontare fenomeni ed emergenze sociali con uno sguardo empiristico e prassistico,
centrato su una considerazione meramente tecnica e pragmatica, incapace di coglierli e considerarli in una globalità e profondità di senso e di scopo. Si rischia – come spesso avviene – di «smarrire lo spessore umano dei problemi» (§ 22) e lasciarsi sfuggire l’essenziale, con
gravi ripercussioni sulla cognizione e soluzione delle questioni e delle crisi sociali. La verità è nel tutto: un conoscere selettivo e parziale
non coglie la verità. E «senza verità, senza fiducia e amore per il vero, non c’è coscienza e responsabilità sociale, e l’agire sociale cade in
balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società» (§ 5).
Questo riduzionismo del vero è da considerare nel contesto del
diffuso scetticismo ed eclettismo di una socio-cultura «che relativizza la verità, diventando spesso di essa incurante e ad essa restia» (§ 2;
cfr. § 4. 9. 26). Il Papa è preoccupato del clima di sfiducia verso la verità e la sua intelligenza (cfr. §9); per l’appiattimento del vero sul verificabile e la sua coincidenza con il fattibile (cfr. § 70), esito della riduzione a calcolo ed esperimento del sapere (cfr. § 30); per «la separazione della cultura dalla natura» (§ 26) e della ragione dalla fede
(cfr. § 74); per le derive di “una cultura senza verità” (§ 3). C’è un’emergenza verità oggi che investe il sapere e i suoi contenuti, non solo in ambito strettamente culturale e sul piano personale del vivere e
del conoscere, ma anche in ambito sociale e delle sue interazioni economiche, legali, politiche, ambientali, mass-mediali. I deficit di umanità che si verificano in questi ambiti sono deficit di verità. E le possibilità di sopperire ad essi non sono rimedi prima di tutto materiali
ma risorse di verità.
In quest’ottica di considerazione, «la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica» (§ 75): problema dell’uomo, del senso e del prezzo della sua vita. Alla radice di questa, a sua
volta, c’è la questione epistemologica: il problema del vero e della sua
conoscibilità ai livelli più profondi dell’essere e dell’agire, dei significati e dei valori. Aveva visto bene Paolo VI nella Populorum progressio,
e la sua previsione s’è oggi radicalizzata: «Il mondo soffre per man-
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CARITAS IN VERITATE. IL NESSO TRA CARITÀ E VERITÀ
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canza di pensiero»1 (§ 53). Il deficit primo e basilare non è alla superficie economica e politica delle questioni sociali, ma alla profondità ontologica e assiologica dell’umano, ed ancor prima al sottofondo gnoseologico del conoscere. È per questa radice antropologica ed
epistemologica delle questioni che ogni interpretazione e indirizzo
del sociale deve partire dall’uomo e dal pensiero. È in gioco lo spessore valoriale riconosciuto all’umano e la fiducia accordata al conoscere. Da questo retroterra metaempirico dipende la qualità e la riuscita umana di ogni progetto e operato sociale.
Di qui l’emergenza verità nel sociale. Dire verità è dire un approccio cognitivo libero da preclusioni e riserve: «aperto alla verità,
da qualsiasi sapere essa provenga» (§ 9). Un approccio in grado di
portarsi sull’intero, senza censure ideologiche. Ma per questo «serve
un nuovo slancio del pensiero» (§ 53), libero di apprendere la realtà
per quella che è, nella sua consistenza umana e non solo cosale, nella sua profondità di senso e di valore e non solo alla superficie descrittiva e contabile dei fenomeni. E così conoscere la verità: pervenire a una consapevolezza reale e non apparente, integrale e non parziale, certa e non ingannevole delle cose (cfr. § 9). Siamo alla concezione classica della verità: adeguatio rei et intellectus, la conformità dell’intelligenza al reale.
L’indebolimento empiristico e materialistico del vero porta alla relatività e quindi alla polverizzazione opinionale dei significati, dei fini
e dei valori. Là dove la frantumazione delle opinioni isola e allontana
i soggetti, l’unità del vero avvicina e unisce uomini e popoli nella convivialità delle differenze. «La verità, infatti, è “lógos” che crea “diá-logos” e quindi comunicazione e comunione. La verità, facendo uscire
gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive, consente loro
di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e di incontrarsi nella valutazione del valore e della sostanza delle cose» (§ 4).
Espressione privilegiata del logos e della sua dialogicità è la verità
morale nella legge naturale: la koiné etica di un mondo sempre più
globalizzato, che trova nella «legge espressa dalla medesima natura
1 PAOLO
VI, Lettera enciclica Populorum progressio (26 marzo 1967), 85.
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MAURO COZZOLI
umana» (§ 59) la piattaforma valoriale e normativa per un’interdipendenza planetaria umana e umanizzante, solidale e fraterna. «Una tale
legge morale universale è saldo fondamento di ogni dialogo culturale,
religioso e politico e consente al multiforme pluralismo delle varie
culture di non staccarsi dalla comune ricerca del vero, del bene e di
Dio. L’adesione a quella legge scritta nei cuori, pertanto, è il presupposto di ogni costruttiva collaborazione sociale» (§ 59; cfr. § 68.75).
Conoscere la verità e lasciarsi da essa illuminare e dirigere. «Per
questo la Chiesa la ricerca... e la riconosce ovunque essa si palesi»
(§ 9). Dalla ricerca e dal riconoscimento fluisce l’annunzio: «la missione di verità» della Chiesa, «da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della
sua vocazione» (§ 9). «Missione irrinunciabile», di cui la dottrina sociale è «momento singolare» (§ 9). Con essa la Chiesa vuole «accreditare la verità, mostrandone il potere di autenticazione e di persuasione nel concreto del vivere sociale» (§ 2). La dottrina sociale è «servizio alla verità che libera». Servizio scandito dai due momenti insieme dell’accoglienza e dell’annunzio: «Aperta alla verità..., la dottrina
sociale della Chiesa l’accoglie, compone in unità i frammenti in cui
spesso la ritrova, e la media nel vissuto sempre nuovo della società
degli uomini e dei popoli» (§ 9).
2. La luce del vero sulla carità
L’istanza della verità, del suo potere inverante, nell’enciclica è duplice. Concerne la realtà sociale: la sua istruzione e il suo indirizzo.
Ma ancor prima il principio ispiratore e conduttore dell’azione sociale: la carità. Questa per prima. «La carità è la via maestra della
dottrina sociale della Chiesa» (§ 2). Non è solo un richiamo: è un rilancio. Tutto l’insegnamento sociale è e deve essere ispirato dalla carità (cfr. § 6). Essa è il principio primo e la norma pilota, da cui ogni
indirizzo e comportamento è derivato. L’insegnamento sociale della
Chiesa non risponde ad altri criteri e paradigmi, ma al referente basilare, centrale e finale della carità (cfr. § 5-6): temine con cui il cristiano dice l’amore (cfr. § 1).
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CARITAS IN VERITATE. IL NESSO TRA CARITÀ E VERITÀ
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C’è però un problema d’inveramento della carità. Questo a motivo degli «sviamenti e degli svuotamenti di senso a cui la carità è andata e va incontro, con il conseguente rischio di fraintenderla, di
estrometterla dal vissuto etico e, in ogni caso, di impedirne la corretta valorizzazione. In ambito sociale, giuridico, culturale, politico,
economico, ossia nei contesti più esposti a tale pericolo, ne viene dichiarata facilmente l’irrilevanza a interpretare e a dirigere le responsabilità morali» (§ 2). Di qui «il bisogno di coniugare la carità con la
verità» (§ 2) e, nella luce del vero, riconoscerne il genuino significato e il valore propulsore. «Questa luce è, ad un tempo, quella della
ragione e della fede, attraverso cui l’intelligenza perviene alla verità
naturale e soprannaturale della carità» (§ 3; cfr. § 5.56).
Nella luce naturale del vero, l’intelligenza coglie «il significato di
donazione, di accoglienza e di comunione» (§ 3) della carità, con i
loro risvolti di gratuità, fraternità, condivisione, solidarietà, sussidiarietà, promozione, incentivazione, protezione, riconciliazione
(cfr. § 34-40). Non solo nella sfera «delle microrelazioni: rapporti
amicali, familiari, di piccolo gruppo; ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici» (§ 2). L’intelligenza coglie
altresì la centralità del bene nel conoscere e nell’operare della carità. Questa è bene-volenza: volere il bene dell’altro2. Sia nella forma
dell’alterità-persona: il bene individuale di ciascuno. Sia nella forma
dell’alterità-comunità di persone: il bene comune (cfr. § 7), «il bene
di quel “noi-tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale. Non è un bene ricercato per
se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e
che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il
loro bene» (§ 7). L’intelligenza coglie ancora la sinergia della carità
con la giustizia: la carità non è in un rapporto di antitesi o di supplemento ma d’integrazione e di reciprocità con la giustizia. Da una
parte, la suppone e la implica quale sua «prima via»: non posso donare per carità del «mio» all’altro, senza avergli dato per giustizia
prima il «suo». Dall’altra, la carità «completa la giustizia nella logi-
2 «Amare
est velle alicui bonum» (Tommaso d’Aquino, S.Th., I-II q. 26, a. 4).
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ca del dono e del perdono» (cfr. § 6.34.36.38.39) E soprattutto l’avvalora: «dà valore teologale e salvifico ad ogni impegno di giustizia
nel mondo» (§ 6).
Siamo così alla luce soprannaturale del vero, che ci fa risalire alla carità fontale divina, alla sorgente trinitaria: «Dio è carità» (1Gv
4, 8.16). «Dalla carità di Dio tutto proviene, per essa tutto prende
forma, ad essa tutto tende» (§ 2). La carità non è un amore a partire dall’uomo, ma da Dio. «La sua scaturigine è l’amore sorgivo del
Padre per il Figlio, nello Spirito Santo» (§ 5). Il che mette in luce la
natura di grazia della carità: «La carità è amore ricevuto e donato.
Essa è “grazia” (cháris)» (§ 5). «Destinatari dell’amore di Dio, gli
uomini sono costituiti soggetti di carità, chiamati a farsi essi stessi
strumenti della grazia, per effondere la carità di Dio e per tessere
reti di carità» (§ 5). Nella luce soprannaturale del vero, «Dio è carità» (1Gv 4, 8.16), «la carità è da Dio» (1Gv 4, 7), «noi amiamo
perché egli ci ha amati per primo» (1Gv 4, 19). «A questa dinamica
di carità ricevuta e donata risponde la dottrina sociale della Chiesa.
Essa è caritas in veritate in re sociali» (§ 5). Dire dottrina sociale è dire tutta l’azione sociale, che la carità illumina e dirige. Tutto l’operare sociale è sotto l’azione suscitatrice e conduttrice della carità
nella verità.
«Nella verità la carità riflette la dimensione personale e nello stesso tempo pubblica della fede nel Dio biblico, che è insieme Agápe e
Lógos: Carità e Verità, Amore e Parola» (§ 3). Questa matrice divina
«pone l’uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono» (§ 34):
«La verità e l’amore non si possono produrre, si possono solo accogliere. La loro fonte ultima non è, né può essere l’uomo, ma Dio, ossia Colui che è Verità e Amore... Ciò che ci precede e ci costituisce –
l’Amore e la Verità sussistenti – ci indica che cosa sia il bene e in che
cosa consista la nostra felicità» (§ 52, cfr. § 34.78). Il Papa insiste su
questa valenza di dono dell’amore e del vero, mettendone in luce l’incidenza epistemologica, antropologica e sociale. «La verità, che al
pari della carità è dono, è più grande di noi, come insegna sant’Agostino. Anche la verità di noi stessi, della nostra coscienza personale,
ci è prima di tutto “data”. In ogni processo conoscitivo, in effetti, la
verità non è prodotta da noi, ma sempre trovata o, meglio, ricevuta.
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Essa, come l’amore, “non nasce dal pensare e dal volere ma in certo
qual modo si impone all’essere umano”. Perché dono ricevuto..., la
carità nella verità è una forza» (§ 34)3: è più che un sapere, è un potere di liberazione e innovazione (cfr. § 5). L’origine in Dio della carità e della verità c’immette nella logica del dono, la quale libera dalla presunzione del dominio e dell’arbitrio e apre all’accoglienza fedele e grata (cfr. 63 77).
In questa luce inverante della ragione e della fede la carità esce da
una duplice strettoia. Quella di «un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali», per il quale l’amore «diventa un guscio
vuoto..., preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario»
(cfr. §3). In secondo luogo la strettoia di «un fideismo che priva la
carità di respiro umano ed universale» (§ 3), così da ridurla a pia
opera di beneficenza, socialmente irrilevante. La carità è liberata ed
insieme valorizzata, al punto da essere indicata come il principio
guida di tutta la dottrina e l’azione sociale. Nella luce avvalorante
del vero, la carità esprime e libera tutta la sua «forza» di trasformazione, unificazione e sviluppo, nelle vicende sempre nuove della storia (cfr. § 5. 34). La socio-economia globalizzata del nostro tempo
non ha meno bisogno di questa forza, soprattutto in ordine alla «vittoria sul sottosviluppo». A tal fine non basta «il miglioramento delle transazioni fondate sullo scambio» e neppure «i trasferimenti delle strutture assistenziali di natura pubblica». Occorre «l’apertura, in
contesto mondiale, a forme di attività economica caratterizzate da
quote di gratuità e di comunione». Ma gratuità e comunione non
s’acquistano a nessun mercato, né si possono disporre per legge.
Possono essere solo suscitate dall’interno, dalle profondità spirituali delle persone. A suscitarle è la carità, l’anima di «persone aperte al
dono reciproco», di cui «sia il mercato sia la politica hanno bisogno» (cfr. § 39. 36. 38).
3
Il rimando a Sant’Agostino è precisamente al De libero arbitrio II 3,8 sg. Il
brano citato è tratto da BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Deus caritas est (25
dicembre 2005), 3.
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3. La luce della «carità nella verità» sullo sviluppo
«La carità non esclude il sapere, anzi lo richiede, lo promuove e lo
anima dall’interno», il sapere della fede come quello della ragione,
della stessa ragione scientifica. Non soltanto «le esigenze dell’amore
non contraddicono quelle della ragione», ma la carità è essa stessa un
sapere: matrice di un sapere sapienziale, «capace di orientare l’uomo
alla luce dei principi primi e dei suoi fini ultimi» (cfr. § 30). «Non c’è
l’intelligenza e poi l’amore: ci sono l’amore ricco di intelligenza e
l’intelligenza piena di amore» (§ 30). Il nesso con la verità è così
stretto e integrato, l’immersione nel vero talmente significativa, che
“la carità nella verità” – caritas in veritate – diventa un principio guida: il principio ispiratore del conoscere, del decidere e dell’agire sociale. Siamo così alla seconda istanza della verità nell’enciclica, la
realtà sociale da inverare, dal livello ricognitivo di dati e fatti al livello normativo di criteri, indirizzi e progetti (cfr. § 30).
La carità nella verità è principio di una percezione integrale, a tutto campo, della realtà sociale e quindi dei rimedi alle condizioni e ai
fattori di crisi. C’è infatti il rischio – come rilevato all’inizio – di un
approccio unilaterale, ideologico e riduttivo al sociale e ai suoi risvolti economici, politici, giuridici, culturali, mass-mediali ambientali: incapace di cogliere la globalità e la profondità umana dei fenomeni sociali. E dal momento che il rischio non è solo ipotetico ma è
corso di fatto, occorre avanzare le istanze del vero e farle valere,
smentendo visioni e valutazioni erronee e parziali, e aprendo le intelligenze a dimensioni e aspetti trascurati o sottovalutati.
Nella linea tracciata dall’enciclica Populorum progressio di Paolo
VI, a oltre quarant’anni dalla sua pubblicazione, la Caritas in veritate
assume lo sviluppo a paradigma d’indirizzo e verifica delle condizioni di benessere dei popoli e della comunità dei popoli (cfr. §10). Paradigma comunemente accolto: lo sviluppo è nelle aspirazioni di tutti
(cfr. § 69). Ma dal momento che il paradigma stesso va incontro a decurtazioni e distorsioni di senso, occorre inverare il paradigma (cfr. §
18). E qui Benedetto XVI rilancia, richiamandola in vario modo, «la
connotazione essenziale dell’“autentico sviluppo”» (§ 18), enunciata
con formula incisiva da Paolo VI: «sviluppo di tutto l’uomo e di tut-
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ti gli uomini» (§ 8; cfr. § 17.18)4. Espressione questa dell’integralità
dello sviluppo («tutto l’uomo»), che non esclude le dimensioni spirituali e trascendenti della persona (cfr. § 11. 18. 76. 77); e dell’universalità («tutti gli uomini»), che non esclude nessun individuo e nessun
popolo dai suoi benefici (cfr. § 18.55). È questa la verità basale dello
sviluppo, lungo tutte le direttrici – economiche, finanziarie, politiche, culturali, ecologiche, telematiche – in cui prende corpo. Tale verità trova il suo radicamento più profondo nella prospettiva biblicoteologica della vocazione e, con essa, della relazione filiale a Dio e
fraterna in Cristo (cfr. § 11.16-19.52).
È questo il vero sviluppo che la carità assume come via e strumento del suo farsi storia nell’oggi delle società, e che contribuisce essa
stessa ad inverare. Assunto a via privilegiata della carità nel sociale, lo
sviluppo non può non trovare ed esprimere la sua profondità umana,
le sue prospettive trascendenti, la sua apertura a tutti. Lo sviluppo diventa davvero la promessa di un umano migliore: «Solo con la carità, illuminata dalla luce della ragione e della fede, è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più umana e umanizzante. La condivisione dei beni e delle risorse, da cui proviene l’autentico sviluppo, non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il
male con il bene (cfr. Rm 12, 21) e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà» (§ 9; cfr. § 34).
4. La luce della «carità nella verità» sulla realtà sociale
La caritas in veritate – la carità illuminata dal vero e la verità abitata dall’amore – è fattore d’inveramento dello sviluppo e, con esso, di
tutta la realtà in cui e attraverso cui lo sviluppo prende corpo. È una
realtà polivalente, che l’enciclica scandisce nelle sue espressioni
emergenti e critiche, per mettere in luce elementi favorevoli e problematici, analizzare cause e conseguenze, aprire prospettive e tracciare percorsi di sviluppo per ognuna. Anzitutto il fenomeno pro-
4 PAOLO
VI, Populorum progressio, d. c., 42.
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gressivo e pervasivo della globalizzazione, da sottrarre ai determinismi dei mercati e delle tecnocrazie e acquisire alla responsabilità dei
soggetti (cfr. § 42). «Il rischio del nostro tempo è che all’interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l’interazione
etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere
come risultato uno sviluppo veramente umano» (§ 9). Di qui il bisogno di inverare con la carità la globalizzazione, per canalizzare ed
elevare il dato socio-economico dell’interdipendenza al livello etico e
umano della fraternità, della solidarietà e del bene comune della famiglia umana: «sospingerla – dice il Papa – verso traguardi di umanizzazione solidale (cfr. § 9. 13. 19. 33. 42. 43. 67).
Nel contesto di una società in via di globalizzazione, ai raggi della carità nella verità vengono vagliati dall’enciclica i fenomeni odierni della scienza e della tecnica, dell’alimentazione e della fame, della
povertà e della disoccupazione, del lavoro e delle organizzazioni sindacali, dei diritti-doveri e della libertà religiosa, del mercato e del
commercio, della finanza e del credito, dell’impresa e dell’imprenditorialità, del profitto e delle sue destinazioni, dei consumatori e delle loro associazioni, della società civile e dello stato, della crescita demografica e della denatalità, della sessualità e della procreazione responsabile, della bioetica e della vita umana, dei programmi di sviluppo e della cooperazione internazionale, della natura e dell’ambiente, delle risorse e del loro sfruttamento, delle migrazioni di massa e del turismo internazionale, dei mezzi di comunicazione e dell’educazione, del bene comune globale e del suo governo.
L’analisi di questi fenomeni si misura con le istanze e le sfide della crisi economico-finanziaria mondiale in atto, e con le responsabilità che sono dietro di essa, come dietro ogni sfruttamento, dissipazione e ingiustizia. Non è vero che le ragioni dell’economia discordano da quelle della carità e della morale. Non c’è un’ipoteca economica sulla morale, così da legittimare come inevitabile un tasso d’emarginazione e d’ingiustizia. Come a dire: se si vuol essere economicamente produttivi (e competitivi) si deve poter essere moralmente
ingiusti (cfr. § 32). Questo determinismo è falso: «È da ritenersi errata la visione di quanti pensano che l’economia di mercato abbia
strutturalmente bisogno di una quota di povertà e di sottosviluppo
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per poter funzionare al meglio» (§ 35). Nell’unità del vero razionalità economica e razionalità etica, convenienza e rettitudine, guadagno
e giustizia si implicano e si incontrano: «C’è una convergenza tra
scienza economica e valutazione morale» (§ 32). Sul versante dei benefici come su quello delle perdite. Sul versante dei benefici: «Rispondere alle esigenze morali più profonde della persona ha anche
importanti e benefiche ricadute sul piano economico. L’economia infatti ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento, ... di
un’etica amica della persona» (§ 45)5. Sul versante delle perdite: «I
costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani» (§ 32; cfr. § 35).
5. Centralità dell’uomo e della sua libertà
Assunti nell’economia della caritas in veritate, questi fattori-eventi
sono sottratti alla fattualità del mero accadere, da una parte, e al determinismo scientifico-tecnico, dall’altra. Con la carità nella verità entra in gioco la libertà, è in primo piano l’uomo, che con il suo spirito
(intelligenza e volontà) trascende tutti i determinismi. La soggettività
assume e governa l’oggettualità, l’agire il fare. «Parla con chiarezza, a
questo riguardo, la dottrina sociale della Chiesa, che ricorda come l’economia, con tutte le sue branche, è un settore dell’attività umana» (§
45). Non un processo meccanico di cui l’uomo è spettatore e succube,
ma un evento umano di cui è attore e signore: l’economia è nelle sue
mani ciò che egli la fa diventare. Per questo «non è lo strumento a dover essere chiamato in causa ma l’uomo, la sua coscienza morale e la
sua responsabilità» (§ 36). Una realtà socio-economica «a priori non è
né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno» (§ 42)6.
Il che vien detto prima di tutto dello sviluppo: «Lo sviluppo umano
integrale suppone la libertà... Nessuna struttura può garantire tale svi-
5
Un’etica centrata su «due pilastri»: «l’inviolabile dignità della persona
umana» e «il trascendente valore delle norme morali naturali» (cfr. § 45).
6 Brano tratto da GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Pontificia Accademia delle
Scienze Sociali (27 aprile 2001) in Insegnamenti XXIV, 1 (2001), 800.
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luppo al di fuori e al di sopra della responsabilità umana... “Ciascuno
rimane l’artefice della sua riuscita o del suo fallimento”» (§ 17)7. Questo significa che né lo sviluppo è il risultato di un fare tecnico: «chiave dello sviluppo è un’intelligenza in grado di pensare la tecnica e di
cogliere il senso pienamente umano del fare dell’uomo, nell’orizzonte
di senso della persona presa nella globalità del suo essere» (§ 70); «lo
sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e
uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello
del bene comune» (§ 71). Né il sottosviluppo è «frutto del caso o di
una necessità storica»: le sue cause «non sono primariamente di ordine materiale» ma legate al pensare e al volere responsabile dell’uomo
(cfr. § 17.19). Lo stesso è detto della globalizzazione, da assumere in
un quadro etico di responsabilità: «Ciò consentirà di vivere ed orientare la globalizzazione dell’umanità in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione» (§ 42). Ciascun settore economico è acquisito alla coscienza morale degli operatori: il mercato (cfr. § 35),
l’imprenditoria e gl’investimenti (cfr. § 40), la finanza (cfr. § 65), gli acquisti e i consumi (cfr. § 66).
Di qui la centralità dell’uomo e della sua libertà nello svolgimento
dei processi sociali (§ 25. 47)8. Libertà che nella prospettiva teologale
della vocazione assume forma dialogica di ascolto-risposta a un appello-progetto di Dio, offerto al discernimento vigile e fedele dell’uomo
(cfr. § 11.16-18. 48. 52). Non c’è spazio per la necessità e il fatalismo.
Con l’intelligenza l’uomo si apre alla conoscenza dei significati, dei valori e dei fini e si fa regola e giudizio di dati ed eventi. Con la volontà
si apre alla progettualità e si fa decisione e azione (cfr. § 14. 36. 40. 42.
43. 68. 70) La caritas in veritate è principio di un discernimento e di un
disegno in grado di assumere dati ed eventi e convogliarli su una direttrice di sviluppo globale e solidale, garante dell’autentico benessere
«di tutte le persone e di tutti i popoli nell’unica comunità della famiglia umana» (§ 54).
7 Il
brano citato è tratto da Paolo VI, Populorum progressio, d. c., 15.
Cfr. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla
Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes (7 dicembre 1965), 63.
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SUMMARIES
The opening words Caritas in veritate are unusual and atypical as the title and
main line of thought for a social encyclical. The insistence on truth is a constant of the magisterium of Pope Benedict 16th and it is significant that he
wished to introduce, in a synergic relationship to charity, this theme also in a
document of social doctrine. This places the encyclical in continuity and development with the magisterium of Pope Benedict. Charity and truth are recognized and combined together to give a real and complete approach to the
encyclical. Together they constitute the basic element and dominant motivation, which allows one to be led through an appropriate knowledge to the social questions examined. It is not possible to proceed immediately to these
questions and ignore the hermeneutical background of charity in the truth.
That would risk a sociological reductionism, and an anthropological and theological incomprehension of the Encyclical. From this comes the necessity of
the proper placing and deepening of the relationship between charity and truth
in the document. That is the motive and objective of this reflexion.
***
Es singular y atìpico L’incipit – Caritas in veritate – que es el tìtulo y el hilo conductor de una encìclica social. La instancia de la verdad es una constante del
Magisterio de Benedicto XVI, y es significativo que lo haya introducido en relación sinérgica a la caridad, en un documento de doctrina social. Eso pone
a la encìclica en continuidad y desarrollo con el magisterio del Papa Benedicto. La caridad y la verdad van reconocidos y conjugados juntos para un acercamiento real y completo a la enciclica. Juntos constituyen el elemento base
y el motivo dominante, de aqui dejarse conducir por una inteligencia apropiada de los problemas sociales puestos en examen. No se puede ir directamente a éstos y presindir del backgound hermenèutico de la caridad en la verdad. Se corre el riesgo de una reducción sociológica y la incomprensión antropológica y teológica de la encìclica. De aquì la necesidad de encuadrar y
profundizar la relación entre caridad y verdad en el documento, que es el motivo y el objetivo de ésta reflexión.
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***
È singolare e atipico l’incipit – Caritas in veritate – che fa da titolo e filo conduttore di un’enciclica sociale. L’istanza della verità è una costante del magistero di Benedetto XVI ed è significativo che egli l’abbia voluta introdurre, in
relazione sinergica alla carità, anche in un documento di dottrina sociale. Essa pone l’enciclica in continuità e sviluppo con il magistero di Papa Benedetto. La carità e la verità vanno riconosciute e coniugate insieme per un approccio reale e compiuto all’enciclica. Insieme costituiscono l’elemento base
e il motivo dominante, da cui lasciarsi condurre per un’intelligenza appropriata dei problemi sociali presi in esame. Non si può andare direttamente a questi e prescindere dal backgound ermeneutico della carità nella verità. Si rischia
una riduzione sociologica e l’incomprensione antropologica e teologica dell’enciclica. Di qui la necessità di un inquadramento e approfondimento del
rapporto tra carità e verità nel documento, che è il motivo e l’obiettivo di questa riflessione.
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Reviews / Recensiones / Recensioni
DIANIN GIAMPAOLO – PELLIZZARO GIUSEPPE (a cura di), La Famiglia
nella cultura della provvisorietà, Facoltà Teologica del Triveneto,
Messaggero, Padova 2008, 381 p.
Se trata de una obra centrada en la Pastoral Familiar llevada a cabo
con la colaboración de 16 autores; es fruto de una reflexión en equipo
hecha en un Seminario Interdisciplinar sobre la pastoral familiar, organizado en la Facultad Teológica del Triveneto en el curso académico
2006-2007 por los dos coordinadores de la obra (Dianin y Pellizzaro).
La obra se compendia en tres partes que hacen referencia a los ‘interrogativos que plantea la praxis pastoral’ (pp. 47-131), a ‘la reflexión
teológico-pastoral sobre la familia’(pp. 135-240) y al ‘Cuidado pastoral a dar a la familia’ (pp. 243-372). Se podría afirmar que los colaboradores en esta reflexión interdisciplinar se han dejado guiar por el
método conciliar que sugiere examinar la realidad, iluminarla a la luz
de la doctrina eclesial en vista a dar una respuesta pastoral. El origen
de esta obra fue, en un principio, un ‘Seminario Interdisciplinar’ cuyo
objetivo era introducir a los Estudiantes de la Facultad en la elaboración de un método pastoral; pero, a largo plazo, terminó por ser una
reflexión crítica de la pastoral familiar que se lleva a cabo en las comunidades cristianas en vista a mejorar esta misma pastoral.
Sirven de marco a estas tres partes la Presentación de la obra, a cargo de G. Pellizzaro y la última colaboración suscrita por T. Vanzetto:
este marco es significativo porque se abre la reflexión con un análisis
de la familia en la cultura de la provisoriedad y se cierra con una perspectiva de solución a los problemas actuales de la familia por parte del
‘Tribunal Eclesiástico y de la conciencia de nulidad’.
Entre los ‘interrogativos que surgen de la praxis pastoral’ según la
relación hecha por tres estudiosos, aparecen éstos: ‘qué tipo de pas-
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toral para qué modelo de familia, dentro de qué comunidad eclesial?’;
otro interrogante es acerca de la preparación al matrimonio; de frente a esta preparación, novios y agentes de pastoral manifiestan sus inquietudes: de una parte, hay una gran divergencia de actitudes amorosas y, de otra, los agentes de pastoral se preguntan acerca de la actitud a asumir; un tercer interrogativo lo constituye el trato pastoral
a dar a las parejas en situación irregular que interpelan a la comunidad cristiana sobre la pertenencia a la iglesia y la posibilidad de participar en los sacramentos.
La segunda parte del libro centra la reflexión sobre cinco aspectos
doctrinales: el camino hecho por la Iglesia Italiana (1968-1993) que
culmina con la publicación del Direttorio di Pastorale Familiare per la
Chiesa in Italia; la reflexión teológica llevada a cabo en el Triveneto
que da un relieve especial al ‘misterio nupcial’, a la ‘iglesia doméstica’ y al ‘ministerio eclesial’ de los cónyuges; la transmisión de la fe en
familia siguiendo una triple fase (kairótica, proyectual y estratégica);
un cuarto aspecto trata del ‘nuevo ritual del matrimonio’ en relación
con la pastoral matrimonial; finalmente, el tema de las convivencias
y uniones de hecho como un desafío a la pastoral.
La tercera parte, dedicada al cuidado pastoral de la familia, la más
extensa de todas, recoge 6 relaciones centradas en el ‘acompañamiento’ que, según E. Algeri, supone tres pasos: 1. pasar del disgusto y la desconfianza a la escucha confiada y paciente; 2. abrir la posibilidad de hacer camino en la fe para no dejarse bloquear por la doctrina sino para llegar al encuentro personal; 3. más allá del indivualismo religioso y de la soledad existencial es importante que este
acompañamiento se realice dentro de la comunidad cristiana (p. 42).
El acompañamiento a las parejas que prevalece en esta tercera parte se opera en diversos campos de la pastoral: en primer lugar, en un
contexto de ‘cultura provisoria’ que cuestiona seriamente la fidelidad
conyugal; el acompañamiento espiritual se hará atendiendo a la dinámica relacional de pareja; los ‘consultores familiares’ harán este
acompañamiento mediante un plan de ayuda a la relación de pareja;
el intento de hacer la reconciliación entre ética y afectividad se orientará a la relación entre padres e hijos. La cuarta relación se ha ocupado del acompañamiento pastoral a las parejas cuyo vínculo se ha
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roto; por último, y para cerrar la obra, se presenta el sentido y valor
que tiene el Tribunal Eclesiástico junto con la posibilidad de una pareja de hacer valer el dictamen de su conciencia de nulidad.
Vanzetto, autor de la última contribución, no reporta una alusión a
la ‘epiqueya’ que hizo Benedicto XVI siendo Prefecto de la Congregación de la Doctrina de la Fe a propósito de posibles errores que podrán presentarse en los procesos matrimoniales a causa del no-correcto funcionamiento de los tribunales eclesiásticos en algunas partes.
La obra que estamos recensionando tiene varios méritos: en primer lugar, se trata de una reflexión interdisciplinar (psicólogos, pedagogos, moralistas, canonistas, especialistas en catequesis, liturgistas, delegados de pastoral familiar diocesana, etc) lo que revela la riqueza y competencia de cada una de las relaciones; en segundo lugar,
la obra presenta una visión panorámica de los diversos campos de la
pastoral familiar (la realidad concreta de la familia al presente, la renovación doctrinal que el Concilio Vaticano II impulsó, la inquietud
pastoral de cara a los nuevos problemas que se van presentando), etc.
Un tercer mérito es la presentación que los autores hacen en cada
una de sus relaciones de la realidad concreta de la Iglesia Italiana en
la perspectiva de renovación de la pastoral familiar.
Esta obra, por la variedad temática que recoge, constituye una rica panorámica desde la cual se puede contemplar el amplio horizonte de la pastoral de la familia en Italia con sus luces y sombras.
J. SILVIO BOTERO G., C.SS.R.
MEALEY ANN MARIE, The Identity of Christian Morality, Ashgate,
Farnham, Surrey 2009, 187 p.
This volume belongs to the series Ashgate New Critical Thinking in
Religion, Theology and Biblical Studies which carries titles in moral theology and has an emphasis on pressing ethical issues both in theory
and practice. Mealey’s study is a reworking of her doctoral dissertation and so sets definite limits to what she discusses and wants to
achieve. In this sense it follows the classic lines for a thesis. It takes a
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bi-focal view of its subject. The first concentrates on the impasse in
the renewal of Catholic moral theology since the Second Vatican
Council. What would a truly christocentric moral theology really
look like? Would it be constituted essentially by a set of norm drawn
from the faith whose content is furnished by Scripture? Such an approach is known as a Glaubensethik or in English as a faith-ethic. This
type of moral theology contends that it is the addition of unmistakable Christian norms to those that composed a merely rational ethic
that make it a specifically Christian ethic.
The party opposed to this approach emphasized morality’s rationality above its faith dimensions and is called the autonomy school.
What made moral theology for this school was its intentionality and
motivation, or as it was often expressed an autonomous ethic in a faith
context. Although this debate was largely derived from German
sources the author has no intention of tracing in detail how it overflowed into English-speaking moral theology as Vincent MacNamara
does in his Faith and Ethics. In spite of calling the first chapter “The
Emergence of the Christian Proprium Debate” in many ways the aim
is more extensive. It seeks to situate the proprium conflict within the
overall story of moral theology perhaps not so much after the Council as in the wake of the encyclical Humanae vitae. What is particularly noticeable is the choice of authors that Mealey follows, with a
predilection for Josef Fuchs, Charles Curran and Joseph Selling.
These are taken as the authoritative figures she appeals to for her arguments. Advocates from the other side such as Konrad Hilpert,
Joseph Ratzinger and Bernhard Stöckle do not feature nearly as
prominently. Other truly leading personalities from the same period
are enigmatically absent from the drama. But in the end the author is
not so much interested in the authors as such as in unraveling and
finding a way through the impasse this debate has precipitated at the
center of the Church’s living out the demands of the Gospel in the
world. In the end Mealey wants to get beyond the tensions that arise
from the mutual accusations made by both parties in the debate and
the destructive atmosphere that surrounds such strife. The autonomy
school was charged with a lack of orthodoxy and of infidelity to the
Church in matters that touched her moral teaching and how it is
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founded in faith. On the other side a faith-ethic seemed to draw solutions from tradition whose relevance to contemporary problems was
not at all evident. It seemed to betray a lack of attention to history and
the “signs of the times” and so often to abandon people to irresolvable
problems in the name of abstract, seemingly remote truths.
Mealey’s problem is whether it is possible to adhere to the Church’s
magisterial teaching on morality respectfully and critically without
coming into conflict with it in formal dissent. In order to get beyond
the impasse in moral theology that lets neither party make progress
she proposes going outside the set schemas. She does this by appealing to the philosophical thought of Paul Ricoeur and his way of reconciling parties in conflict. Mealey can thus claim to be a new voice
that probably reechoes what many observers consider should be the
way ahead. She appears then to be expounding a quite Catholic
stance but with rather uncatholic means. Her first chapter witnesses
to how a younger scholar perceives the current situation and how the
next generation of moral theologians is yearning for a new source of
hope to reinvigorate their discipline.
The author is therefore concerned with the status of moral theology today. Characteristic of this thesis is that it is not an inquiry into
how the magisterium set about resolving the above problem, but of
how, employing Ricoeur’s thought, moralists might forge a positive relation with authority that opens up possibilities of developing the tradition in fresh ways. Unfortunately it seems to have escaped her attention that when the magisterium did intervene on questions concerning the foundations of moral theology in the encyclical Veritatis
splendor in 1993 it was far too wise to get caught in the quicksand of
opinions she seeks to avoid. It too had to look at this problem from another perspective, fundamentally that of the sequela Christi.
And so the second focus is on the ethical philosophy of Paul Ricoeur, the strengths and weaknesses of whose thought is discussed in
the sixth and last chapter, “The Limits of a Ricoeurian Approach to
Christian Ethics.” The middle chapters are spread along a thread
that elegantly connects the first and last chapters, the origin and end
of the thesis. This thread transmits a generative tension that establishes a dialectic between aspects of the proprium problem and the
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relevant themes from Ricoeur. The author grasps this occasion to introduce the world of Catholic moral theology to Ricoeur’s thought as
a stimulus to further reflection. She depends on in-depth studies on
Ricoeur such as those of William Schweiker from the Chicago Divinity School, Henrik Opdebeeck from Louvain and other scholars
who specialize in hermeneutics. Again her goal is to provide an
overview rather than an original interpretation of his thought so as
to establish what the Christian identity of moral theology should be.
The case develops over four chapters. She begins by showing how
hermeneutics leads to a responsibility based conception of the self.
Chapter 2 examines the topics of the temporal character of texts, especially from Scripture, the ethical proposals they suggest, the interaction between the world of the reader and the text, and lastly the
ethical significance of narrative. Ontological questions are “bracketed off ” in favour of an understanding of history through hermeneutics. Chapter 3 focuses on the Gospel as source of moral theology
that does not add new norms but brings about a new relationship
with God in Christ. The Covenant is radically a call to freedom, a
liberation from all that restricts and oppresses humanity rather than
obedience to a law imposed externally. Freedom in living out this
new Covenant relationship with God that transforms the world characterises Christian morality. Chapter 4 discusses how this issues in
moral growth in goodness and holiness. This call is mediated
through prophetic, narrative, prescriptive, wisdom and hymnic discourse in Scripture, i.e. through all the forms in which Scripture
speaks to us. In the end this means specifying spiritual practices that
build a Christian identity that leads on to a thorough discussion of
the mutual relationship of love and justice, and how Ricoeur’s first
and second naivety are relevant to this relationship. Tradition as a
theme comes to the for in Chapter 5. It is interpreted according to a
hermeneutic of historical consciousness with a nod to Gadamer. The
emphasis is on continuity and discontinuity in history which allows
the tension between relativism and subjectivism in ethics to be overcome. Ricoeur treats tradition as traditionality, traditions and Tradition (with a capital T) so that there is both innovation and sedimentation in tradition. The author underlines the need for an authority
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that gets the whole community involved in the transmission of a tradition. This helps the author to perceive “the Catholic magisterium”
in a positive light.
In the sixth chapter the author as it were balances her enthusiasm
for Ricoeur by asking if there might not be some limits, especially if
his thought might not tend to exclusivism so that Christian morality
would be that of a sect. There is a long and critical discussion of
Stanley Hauerwas’s ethics which brings out its sublelties. In the end
Ricoeur is absolved from these objections because his ethics is not a
merely self-centred Christian witness to the world but labours genuinely for its good and its advancement without compromising its utterly Christian quality.
The last deciding question is about character. Ricoeur comes out
for a priority of tradition in forming character, but the specificity of
a Christian conscience arised not in spite of or against but precisely
through the realizing of personal freedom. The author find this a
very positive and fruitful way of approaching church authority that
cuts through the recent impasses in moral theology.
TERENCE KENNEDY, C.SS.R.
MERLO PAOLO, Fondamenti e temi di bioetica, (Nuova Biblioteca
di Scienze Religiose, Vol. 12), Libreria Ateneo Salesiano (LAS),
Roma 2009, 376 p.
L’Autore è docente di Etica Teologica presso la sezione torinese e
la sede romana della Facoltà di Teologia della Pontificia Università Salesiana. A livello scientifico Paolo Merlo, SDB, si occupa di questioni
della bioetica, della morale familiare e sessuale. A livello educativo –
formativo l’Autore è coinvolto nei dibatti e nelle iniziative promosse
nell’area torinese dal “Gruppo Cattolico di Bioetica” e dall’“Associazione Bioetica & Persona”.
Il presente volume, diviso in 13 Capitoli, raccoglie i vari contributi nell’ambito bioetico maturati nel corso di lezioni e conferenze
rivolte a studenti di teologia e di medicina, a professionisti del mon-
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do della salute e a docenti a vario titolo interessati alla bioetica (Presentazione). Il titolo della raccolta dei nuclei tematici bioetici – già
pubblicati (Capp. 1-2, 8, 12-13) e non pubblicati – rispecchia adeguatamente il suo contenuto binario: (1) Fondamenti: una presentazione delle origini, della fondazione e dell’identità della bioetica
(Capp. 1-4) e (2) Temi di bioetica: tematiche bioetiche specifiche
(Capp. 5-13), tra le quali spiccano quelle relative all’inizio della vita
umana (statuto dell’embrione umano, riproduzione artificiale, clonazione, aborto procurato, ingegneria genetica) e alla sua fine (morire
con dignità, suicidio assistito ed eutanasia).
Nonostante l’Autore abbia un approccio piuttosto generico alla
tematica bioetica, come anche l’Editore fa notare, vorremmo evidenziare quelle che consideriamo due novità nella proposta di P. Merlo:
una “storica”, evidente nella presentazione delle origini della bioetica come scienza-etica e una seconda “metodologica” per affrontare
efficacemente l’attuale pluralismo etico e bioetico.
Per quanto riguarda la prima novità, quella storica, P. Merlo presenta gli ultimi risultati della ricerca sulle origini del termine e del
contenuto della bioetica. Alla luce di questa indagine risulta che il
primo autore nel mondo scientifico ad utilizzare il neologismo “bioetica” non è – come comunemente si pensa – Van Rensselaer Potter
(1970-71), ma Fritz Jahr, pastore e teologo evangelico in Halle an der
Saale, che in un suo breve articolo nel 1927 ha introdotto per la prima volta il termine “Bio-Ethik” proponendo di ripensare la relazione dell’uomo con il mondo degli animali e delle piante in modo da
trattare ogni vivente allo stesso livello, cioè come un fine in se stesso. Sette anni dopo Jahr parla già dell’“imperativo bioetico” di rispettare e trattare tutti i viventi come un fine all’interno del Quinto
Comandamento del Decalogo (p. 7).
La seconda novità dell’elaborazione di P. Merlo, quella “metodologica”, riguarda l’attuale dibattito sui principi e sulla fondazione della bioetica come “scienza” o “etica” della vita. Sulla scia del Method in
Theology (1972) di Bernard Joseph Francis Lonergan (1904-1984),
gesuita e pensatore canadese, l’Autore prende in considerazione le
tre prese di posizione in ambito “conoscitivo”, “morale” e “religioso”
che connotano i diversi sistemi di pensiero etico-filosofico: la teoria
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del conoscere umano, il criterio della scelta morale umana e la relazione dell’uomo con l’Assoluto. Alla luce di questi tre fattori metodologico – ermeneutici si può comprendere meglio se le divergenze
sono riconducibili ad una presa di posizione sulla natura dell’attività
conoscitiva umana (empirismo, realismo o idealismo) o sul criterio
delle scelte morali (il valore-bene o l’utile e la soddisfazione soggettiva) o sulla relazione con l’Assoluto (il credente o l’ateista, il laico).
Al contempo, d’altra parte, una sincera autocritica e il superamento dell’attività conoscitiva meramente soggettiva o il mutamento
del criterio delle proprie scelte, individuato non più nell’“utile” o
nella “soddisfazione” ma nel “valore-bene” o, ancora, il prendere in
considerazione ciò che ci tocca assolutamente e ci sovrasta come
Grande Mistero della Vita, Trascendenza e totalmente Altro, può
aprire una strada alla comune e piena ricerca del vero e del bene. Tale cammino mai finito rimarrebbe l’unico modo con cui ogni uomo
può porsi dinanzi al vero e al servizio del bene di tutti gli uomini.
Le posizioni fondamentali in ambito conoscitivo, morale e religioso hanno fornito all’Autore le chiavi di lettura per interpretare alcune differenze di fondo che distanziano i noti approcci all’etica e di
conseguenza alla bioetica (soprattutto di matrice liberale e utilitarista), e gli sono stati d’aiuto anche per cercare gli eventuali margini di
dialogo, sul piano fondativo e nella formulazione dei criteri operativi, tra un orizzonte etico illuminato dalla fede cristiana e i filoni di
pensiero “bioetico laico”.
L’approccio alle problematiche dell’etica della vita in contesto di
fede cristiana, secondo l’Autore, richiede adeguata attenzione ai dati
scientifici (la concretezza del reale), una ripresa in chiave filosofica,
antropologica ed etica e, infine, una rilettura in prospettiva teologica
(Bibbia, Tradizione, Magistero). L’articolazione proposta da una ricognizione sulle evidenze scientifiche accertate, integrata da una mediazione filosofica condotta all’interno delle coordinate antropologiche ed etiche, delineate nelle questioni fondative e sul piano metodologico, creano una piattaforma per poter integrare gli elementi acquisiti con il valore-bene integrale dell’uomo, compreso anche della
fede in Cristo Gesù, e per il più ampio dibattito pubblico sulle questioni bioetiche contemporanee.
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Nell’attuale contesto socio-culturale l’esigenza di sviluppare dei
contributi importanti ed urgenti nel dibattito pubblico, contrassegnato dall’eterogeneità delle impostazioni teoriche e dalla marginalizzazione apriorica della prospettiva teologica, ha condotto P. Merlo a privilegiare un approccio prevalentemente etico-filosofico alle
tematiche bioetiche, sia fondamentali che specifiche, integrato dalla
riflessione etico-teologica e dai recenti insegnamenti del Magistero
della Chiesa Cattolica in materia. Per lo stesso scopo sono stati articolati e interpretati i temi specifici della bioetica.
La chiara metodologia di base e il presentare i temi bioetici specifici (aspetti clinici, socio-culturali, antropologici ed etici) ha reso meno impervio – per l’Autore – il compito di interpretare e articolare i
differenti apporti conoscitivi per una nuova elaborazione dell’etica
della vita. Per il Lettore, invece, la nuova elaborazione dell’etica della vita non solo facilita il percosso nell’accostarsi all’uomo e alla sua
vita all’insegna dell’interdisciplinarità, ma soprattutto svela i “valori
deboli” come “utile” e “mia soddisfazione” in alcune impostazioni
bioetiche più diffuse che, trascurando i “valori-beni forti” come “uomo”, “persona” e “vita umana”, praticamente e tragicamente negano
la vita ai soggetti più vulnerabili come bambini non ancora nati, malformati, anziani o ammalati nella fase terminale della loro vita.
EDMUND KOWALSKI, C.SS.R.
MATTISON III, WILLIAM C., Introducing Moral Theology: True Happiness and the Virtues, Grand Rapids, MI: Brazos Press, 2008,
429 p.
The author addresses this introductory textbook to those who
have no background in the academic discipline of moral theology (p.
15). His aim in writing it is not to train moral theologians, but “to
enable people to understand and utilize their practical reasoning better so as to live more virtuous lives” (p. 16). The book was written “as
an exercise of hospitality” and evolved over a period of six years of
teaching an introductory course in moral theology at four American
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universities (p. 1). Like any good host, he seeks in his teaching to listen to what his students have to say, as well as offer them something
by way of intellectual refreshment. In doing so, he wishes not merely to impart information to his students, but to engage them in a conversation that would help them to probe more deeply into the meaning and relevance of the “good life.”
The book is based on two foundational ideas: (1) that happiness is
the goal of the good life, and (2) that living happily depends on attaining a truthful understanding of ourselves, the world we live in,
and the beyond (p. 12). The author fleshes out these insights with
five distinct goals in mind. In the first place, he wishes “to present the
riches of the Western (particularly Christian) traditions of moral
thought in an accessible and hospitable manner” (p. 13) Secondly, he
seeks to present moral theology “as informing the common everyday
questions of our lives primarily through the concept of virtue” (p.
13). Thirdly, he seeks “to present a comprehensive account of moral
theology” (p. 13). Fourthly, he seeks to present “a truthful grasp of
the way things are in reality” and to help the reader see the moral relevance of the important “big-picture” questions of life (p. 14). Finally, in the spirit of the venerable tradition moral casuistry, he deals
with a number of case studies for the purpose of offering practical
guidance and also “to illustrate the important difference it makes to
attend to virtue in moral theology” (p. 14).
The book is divided into two parts and flows from these foundational ideas and goals. The first half treats the cardinal virtues. It begins with three chapters dealing with how people think and act with
regard to practical matters such as “why be moral?” (chapter 1), intentionality and freedom (chapter 2), and the nature and various
kinds of virtue (chapter 3). There then follows a chapter on each of
the cardinal virtues: temperance (chapter 4), prudence (chapter 5),
justice (chapter 7), and fortitude (chapter 9). Interspersed with these
chapters are those dealing with case studies pertaining to the use of
alcohol (chapter 6) and the dropping of the atomic bomb in the Second World War (chapter 8).
The second half of the book deals with the theological virtues. It
begins by showing how the Christian narrative shapes the life of
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virtue (chapter 10) and follows with chapters on faith (chapter 11),
hope (chapter 13), and love (chapter 15). Mixed in with these chapters
are ones dealing with key themes of the Christian narrative: sin (chapter 12), Jesus Christ (chapter 14), and grace (chapter 16). The book
continues with chapters offering practical guidance on case studies
dealing with questions regarding when to have sex (chapter 17) and
end of life issues, particularly euthanasia (chapter 18). The book closes with an epilogue on the importance of prayer, liturgy, and the
sacraments for living the virtuous life. Each chapter ends with a list of
study questions, a glossary of terms to know, questions for further reflection, and suggestions for further reading. The author also supplies
an ample bibliography and a helpful index (pp. 14-15).
This reviewer was impressed by the way the author weaves together three characteristic themes of contemporary moral theology –
narrative, virtue ethics, the return to case studies (casuistry) – into a
unified whole. The author, moreover, structures his book in such a
way so as to insure that the material is easily understandable and accessible to his readers. This can be seen most clearly in his decision
to rearrange the traditional order of the treatment of the cardinal
virtues (from prudence, justice, fortitude, temperance to temperance,
prudence, justice, and fortitude). He treats temperance first, he says,
because it is more accessible to today’s readers and provides an excellent opportunity to examine the role of the emotions in the moral
life (p. 16).
This reviewer was also impressed by the author’s concern for integrating spirituality and morality in his presentation as seen especially in his epilogue entitled, “Praying for Virtues” (pp. 393-409).
His interest in the impact of prayer, liturgy, and the sacraments on
the moral life reflects a growing trend in Catholic moral theology to
dialogue with and find its place within the whole of the Catholic
Christian faith rather than as a separate, isolated discipline. The close
correlation drawn between the virtues and the seven petitions of the
Lord’s prayer was very well done. The book’s popular style, moreover, and the author’s stated purpose of helping his readers to grow
in virtue reflects a deep concern for both the integration of the spiritual and moral spheres of life and the reader’s growth in holiness.
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This reviewer also enjoyed the author’s use of a wide variety of
philosophical, theology, and literary sources, as well as concrete examples from human experience to present his claims. In doing so, he
was able to communicate the depth of the moral traditions of Western civilization and to highlight the centrality of Christianity for its
future development.
As far as the book’s shortcomings are concerned, this reviewer was
disappointed that more space was not given to the way in which grace
and the theological virtues perfect the cardinal virtues. He was also
disappointed that the author did not develop the important link between the theological and cardinal virtues and the gifts of the Holy
Spirit a very important theme in the relationship understanding of
the relationship between spirituality and morality. Instead of four
case studies, moreover, the book would have been more “complete”
if he had expanded the number to seven in order to have one case
study after each of the major virtues treated in the book.
These few shortcomings, however, do not diminish the author’s
important achievement in this work. As its title suggests, the book
succeeds in introducing moral theology to a popular audience and in
pointing out the way to true happiness. It would serve as an excellent
textbook for introductory undergraduate courses in Catholic moral
theology, as well as in parish adult education courses on the same
subject. It could also be used as a resource for teaching moral theologians how to teach by encouraging them to simplify their presentations and making their material more accessible. When coupled
with appropriate secondary reading, it might also serve as a valuable
text in introductory seminary and graduate courses.
DENNIS J. BILLY, C.SS.R.
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VANSINA FRANS D. in collaboration with VANDECASTEELE PIETER,
Paul Ricoeur, Bibliographie primaire et secondaire. Primary and
Secondary Bibliography 1935-2008, Uitgeverij Peeters, LeuvenParis-Dudley, MA 2008. (Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum Lovaniensium CCXXII), 624 + XXX p.
This book is a monument to the life and work of Paul Ricoeur
who died in 2005. Building on his earlier version published in 2000,
Frans Vansina, with the help of Pieter Vandecasteele, has produced
a colossal updated version of Ricoeur’s primary and secondary bibliography. One can only imagine the amount of time and energy that
has gone into the compilation of a work of such dimensions and of
such complexity. All who have an interest in Ricoeur and who acknowledge the importance of his contribution to ethics (and thus at
least indirectly to moral theology) will be grateful for this marvellous service.
Before considering the bibliography itself, it is worth attending to
some aspects of the introductory material and general presentation
of the work. Not to be underestimated is the fine colour photograph
on the front cover: it helps to remind us that “Ricoeur” is not just a
bibliographical datum but a fellow human being and a scholar who
once lived among us. The photograph is marvellously realistic and
yet there is something sublime in the author’s gaze, fruit of decades
of intense speculation. All of this finds poignant expression in the
brief biographical sketch at the beginning of the volume. It will be of
interest to many readers to know, for instance, that Ricoeur had five
children and that some of his earliest works were composed in the
margins of other books for want of paper in a prison camp in Poland.
The fact that all the introductory material (including the indispensable explanation of the excellent system of codification in operation)
makes the volume all the more useful outside French-speaking countries. One minor problem in this regard is the imperfect quality of
the English translation (e.g. “Il se met donc à une étude vaste...” on
page XXIV is rendered into English as “So, he put on a broad and indepth study...” on page XXVII!). A close reading by a native English
speaker could have eliminated such blemishes.
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Coming now to the bibliographies as such the task facing the
compilers involved all the usual difficulties which emerge when a
proliferous author becomes famous and his or her works are translated into various languages (34 in this case!). The result is a
labyrinth of bibliographical detail concerning editions, translations,
prefaces and so forth. The authors impose order on this material first
of all by dividing the book into primary and secondary bibliography
each with an index of names and an index of themes in French and
English. The material is further divided into major categories such as
books, articles, theses etc. and then ordered by year. An elaborate
system of cross references allows the reader to perceive at a glance
the place a given text occupies in the history of editions, translations,
reviews etc. With very little practice it is thus possible to move with
ease between sections of the book.
Inserted in the prestigious Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum
Lovaniensum, the volume is an indespensable acquisition for any library interested in the humanities.
MARTIN MCKEEVER, C.SS.R.
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La teologia morale e il dialogo interreligioso
Cronaca del Seminario estivo dell’Associazione Teologica
Italiana per lo Studio della Morale (ATISM)
Mazara del Vallo, 6-10 luglio 2009
Franco Del Nin e Giovanni Del Missier
Dal 6 al 10 luglio si è tenuto a Mazara del Vallo (Trapani), il seminario di studio dell’Associazione Teologica Italiana per lo Studio
della Morale (ATISM) dedicato all’approfondimento critico del tema
La teologia morale e il dialogo interreligioso, brillantemente organizzato
dalla sezione siciliana dell’associazione.
La sessione inaugurale Le sfide del pluralismo religioso che mirava a
definire i termini fondamentali della questione, si è aperta con la relazione Dalla “Dignitatis Humanae” alla “Dominus Jesus”: quali implicanze per la teologia morale?, nella quale Antonio Parisi (Facoltà Teologica di Sicilia – Palermo) ha inteso offrire «un quadro di motivazioni e di ragioni che illustrano le caratteristiche, la necessità e i limiti del dialogo interreligioso», in riferimento alle due autorevoli dichiarazioni. Punto di partenza della relazione è stata l’affermazione
del teologo J. Ratzinger sulla centralità della religione in ordine alla
formazione della cultura e dei valori che in essa si esprimono, segno
eloquente di una universale disposizione antropologica al divino e
dell’incontro misterioso nella profondità dell’esistenza tra l’essere
umano e la Verità1. Iniziando da tale fondamento è possibile istruire
le questioni dei rapporti tra religione, cultura ed etica, e del dialogo
interreligioso su temi specificamente morali, traendo dai documenti
del Concilio Vaticano II l’incrollabile fiducia nelle capacità della ragione umana di ricercare e conoscere il bene, a partire da quel nucleo
1
Cfr. J. RATZINGER, Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del
mondo, Cantagalli, Siena 2003.
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FRANCO DEL NIN – GIOVANNI DEL MISSIER
centrale dell’esperienza morale che è la coscienza, compresa come
«intima esistenziale relazione con Dio»2. I rischi di derive relativistiche e soggettiviste di talune impostazioni sono ben visibili nella storia recente della teologia morale con l’estremizzarsi della contrapposizione tra morale autonoma ed etica della fede, e l’esasperazione dell’acceso dibattito intorno alla specificità dell’etica cristiana. Di queste
preoccupazioni si è fatta interprete la Dominus Iesus, rinnovando l’invito del concilio ad una comprensione propriamente teologica dell’etica3, capace di tematizzare adeguatamente il rapporto tra coscienza
e verità, l’unicità del ruolo di Cristo in ordine alla salvezza di ogni
uomo, l’uso della Parola di Dio nell’elaborazione della riflessione
morale, l’esistenza di una legge naturale che permetta l’elaborazione
di un’etica universale, il significato propedeutico delle diverse culture ed esperienze religiose in ordine alla recezione del messaggio
evangelico che la Chiesa è chiamata ad annunciare. A. Parisi, seguendo la direzione suggerita da Veritatis splendor, ritiene che un
compito così arduo si debba risolvere nell’elaborazione di una morale Teonoma, o meglio ancora Cristonoma, dal momento che «la vita
morale cristiana è percepita come risposta personale “in Cristo” alla
chiamata del Padre. Ogni cristiano è un essere “in Cristo”; la sua
condotta morale è la traduzione e la manifestazione vitale del proprio
essere “in Cristo”». Tale impostazione – che può essere anche descritta come «morale “nella fede”» – non sottrae all’etica carattere di
universalità, ma è in grado di dischiudere ogni uomo al senso pieno
della storia e di aprirlo al dono di Dio in Cristo, compimento della
propria umanità4. Di fronte a questo appello divino l’uomo è responsabile, cioè chiamato a rispondere in prima persona attraverso la vita
morale che costituisce il movimento verso Dio. Nel dialogo interreligioso, allora, l’apporto propriamente cristiano appare così rilevante
e insostituibile: il mondo in quanto affidato all’uomo da Dio è dota-
2
Cfr. Gaudium et spes, n. 16.
Cfr. Optatam totius, n. 16.
4 «Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo»
Gaudium et spes, n. 41.
3
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SEMINARIO ESTIVO DELL’ATISM
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to di significati intelligibili da conoscere e assecondare; l’uomo di fede è messo in grado di guardare all’avvenire con reale fiducia e capacità progettuale; la Chiesa si pone a servizio della libertà umana illuminandone il cammino di ricerca della verità e del bene, a partire dal
dono affertole nella Rivelazione.
Michele Aramini (Università Cattolica – Milano) nella sua conversazione Immigrazione, multiculturalità e teologia morale ha inizialmente presentato i principali risultati della riflessione in tema di pluralismo etico e culturale. Essi sono stati identificati nell’atteggiamento fondamentale del dialogo (principio ecumenico) che presuppone una
reale presenza della verità di Dio e percezione del bene nei diversi interlocutori, e nel riferimento comune a un insieme di diritti umani e
di reciproci doveri che si fondano sull’identità stessa della persona e
permettono una convivenza civile, al riparo da ogni tentazione di
egemonia o di relativismo culturale. Poste queste basi imprescindibili di un’etica trans-culturale e volendo «correggere la troppo facile e
diffusa riduzione della questione posta dal pluralismo al profilo del rispetto delle differenze», sono stati prospettati alcuni nodi problematici e ancora irrisolti. Si è trattato principalmente dell’erosione del significato religioso e dell’indebolimento della funzione critica della
fede nei confronti delle culture, esiti che il pluralismo produce non
solo sul piano fattuale imponendo il reciproco riconoscimento e il rispetto tra le diverse posizioni, ma sul piano teorico fino a svuotare di
senso ogni pretesa veritativa della religione e relegandola nell’ambito privato della pura preferenza individuale, sottratta al dibattito
pubblico proprio nei suoi contenuti fondamentali. Ciò sarebbe all’origine di una profonda crisi del soggetto credente, della sua identità
frammentata e dell’incerto rapporto tra fede e vita, fino ad investire
questioni propriamente teologiche come la formazione della coscienza morale e il sensus fidei fidelium. A tal fine si è prospettata la necessità di uno sforzo teorico di elaborazione teologica del fenomeno
del pluralismo e del multiculturalismo, intorno alle problematiche
relazioni che intercorrono tra fede e cultura, convinzioni religiose e
ideologia, appartenenze religiose e cittadinanza, forme immediate
del sentire e identità della coscienza credente. La carenza di una simile tematizzazione avrebbe pesanti ricadute negative sulla vita della
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comunità cristiana, sulla pastorale e sull’annuncio cristiano che già si
farebbero percepire come “emergenza educativa”.
La seconda sessione Quale etica per i figli di Abramo? ha aperto
un’ampia e documentata finestra sull’Islam grazie alla relazione Etica
coranica ed etica evangelica, confronto con la morale islamica, tenuta da
Maurice Borrmans (Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamici – Roma), nella quale l’insigne studioso ha sottolineato come la morale dei
musulmani sia una «forza efficiente orientata verso il bene» che garantisce al credente una serenità d’anima di fronte al suo Creatore,
che lo guida, lo giudicherà e lo retribuirà. Il Corano, lungi dall’essere autorivelazione di Dio, intende semplicemente trasmettere i comandamenti rivolti all’uomo: i 114 capitoli (sure) che lo costituiscono propongono una morale della legge (sharia) marcatamente veterotestamentaria, modellata sul decalogo sinaitico, all’interno della
quale è difficile distinguere tra etica e diritto, tanto che alcuni riferendosi alle società musulmane parlano di “nomocrazia”5. Dal punto
di vista storico, però, nell’Islam si trova una pluralità di scuole e correnti anche in campo morale, al punto che è possibile sostenere l’esistenza di “tre Islam” distinti con altrettante diverse morali6: l’Islam
della Legge, quello della Saggezza e quello della Mistica. Non si può
non tener conto di questa dimensione “relativizzante” in sede di confronto con l’etica evangelica, perché chi si attiene alla Legge si ritroverà vicino agli Ebrei di stretta osservanza; chi opta per la Saggezza
filosofica troverà corrispondenza con i sostenitori dell’illuminismo
razionalizzante occidentale; mentre chi preferisce la Mistica si sentirà imparentato con i Cristiani di tutte le confessioni che ricercano la
via della santità. Tuttavia possiamo certamente trovare una comune
piattaforma di confronto morale attorno ai dieci comandamenti in
quanto espressione di valori essenziali su cui costruire un’antropologia personalistica che vede nell’uomo “il vicario o il califfo” di Dio
5
Volendo fare un paragone con la tradizione cattolica, possiamo dire che alla morale fondamentale, nell’Islam corrispondono i fondamenti del diritto.
6 Cfr. prof. ‘Abd al-Wahhab Buhdibada, attuale presidente dell’Accademia
Tunisina delle Scienze e Belle Arti.
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per l’Islam, “l’immagine e la somiglianza” di Dio per l’Ebraismo e “il
figlio divinizzato per adozione” per i Cristiani. Secondo il relatore si
può affermare, allora, che la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948) può essere assunta – pur con le sue irrisolte questioni
fondative ed ermeneutiche – come programma etico unificatore delle tre grandi religioni monoteiste. Va da sé che non mancano esempi
nel mondo musulmano di avvicinamento all’etica evangelica e quindi al precetto dell’amore indiviso, come recentemente testimoniato
dalla Lettera dei 138 rappresentanti dell’Islam raggruppati dall’Accademia Reale di Amman e indirizzata ai capi delle diverse comunità cristiane del mondo, dove espressamente è detto che «il vero monoteismo consiste nell’amor di Dio e nell’amore del prossimo». Quindi, a
chi si fa sostenitore dell’impossibilità di un pacifico confronto fra
morale evangelica e morale islamica, si può rispondere che la recente storia ha fatto emergere la grande potenzialità di un dialogo fondato sui valori che testimonia lo stesso carattere trascendentale della
persona e il suo destino d’eternità. È un siffatto dialogo che può servire da motore propulsore di condivisione di molte cose sul mistero
di Dio, sul dono della Parola, sul ruolo dei profeti, sull’importanza
della comunità e della preghiera fino alle vie della santità.
La relazione Le parole del Sinai e il Discorso della Montagna, confronto con la morale ebraica è stata affidata a Giuseppe Bellia (Facoltà Teologica di Sicilia – Palermo), la cui analisi si è concentrata intorno ai
temi di storia, alleanza e persona. Al fine di «evitare il rischio, antico
e attuale, di trasformare la vivezza del segno narrato in “cosa” sterile
da idolatrare», il teologo biblico ha cercato di evidenziare il nucleo
sorgivo dell’antico patto, identificandolo nel primato di un dono che
indica essenzialmente la benefica presenza divina nella storia (consapevolezza espressa al massimo grado nella preghiera dei Salmi). Di
questa gratuita esperienza originaria lo stesso Decalogo rappresenta
un’amplificazione narrativa, ulteriormente elaborata nel Pentateuco
e tramandata nell’interpretazione teologica delle diverse tradizioni
d’Israele. L’ascolto della Parola non ha una prevalente funzione cognitiva, quanto una finalità propriamente etica: la memoria della salvezza storica gratuitamente donata mira a trasformare i pensieri e a
modificare la condotta individuale, per disporre la persona all’acco-
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glienza del proprio simile (esigenza fondamentale rivendicata con
forza dalla predicazione profetica). Nel contesto dell’Alleanza biblica, pertanto, la persona si contraddistingue per l’ascolto fiducioso (fides qua), l’assenso sapiente (fides quae) e la condotta obbediente. Una
simile comprensione dell’alleanza e dell’impegno morale come risposta personale di portata teologale costituisce un terreno comune
di innegabile continuità tra antico e nuovo patto. La discontinuità,
invece, va ricercata nell’originalità dell’ermeneutica cristiana delle
Scritture veterotestamentarie radicata nel rapporto con il Signore
Gesù e nella tensione escatologica che promana dall’evento pasquale: questa esegesi cristocentrica che procede dalla fede in Cristo alla
Scrittura e non viceversa, permette una lettura integrale ed unitaria
dei due Testamenti, e consente «di passare da un interesse antropologico per le Scritture ad una comprensione vitale e attiva che impegna il lettore/uditore credente a testimoniare responsabilmente il mistero di cui si sente partecipe». Segno eloquente del novum cristiano
è rappresentato dalle beatitudini7 che, superando i confini della Legge, aprono alla prospettiva smisurata del sentire divino che orienta ad
un amore eterno ed invincibile, annunciato e realizzato dall’umanità
di Cristo, attualizzato storicamente dall’agire dei suoi discepoli, segno anticipatore della partecipazione alla stessa vita trinitaria.
La terza sessione Ex oriente lux ha cercato di offrire una panoramica dell’etica delle grandi tradizioni orientali, in particolare induismo e
buddismo. Antonia Tronti, saggista e insegnante di yoga cristiano, ha
dato avvio alla relazione Tra biocentrismo e antropocentrismo, confronto
con la morale induista con la paradossale constatazione che nelle lingue
indiane tradizionali non esiste il termine “sacro”, a motivo del fatto
che per tale cultura “tutto è sacro”. La vita è percepita come un feno7
G. Bellia distingue opportunamente: «Le beatitudini di Matteo come senso e adempimento escatologico di una presenza divina nascosta, ormai svelata
dal Signore, dall’Emmanuel che comanda di annunciare e di rendere partecipe
della reciprocità trinitaria ogni uomo. In Luca le beatitudini sono svelamento e
compimento della “nuova alleanza” voluta da un Dio che si fa compagno di
viaggio dell’uomo nel cammino verso la reciprocità; ma anche di una reciprocità in cammino verso la sua pienezza storica ed escatologica».
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meno unitario: il mondo divino, umano e naturale non sono separati
perché all’origine troviamo l’Uno divino indiviso e informe da cui
promanano le molteplici forme del mondo, collegate dall’atman (il vero sé), principio unificatore presente ovunque. Per non incrinare la
relazione primaria con il divino di cui è manifestazione, ogni cosa deve rispettare il dharma (ordine, norma, giustizia), la legge che garantisce l’ordine del cosmo e della stessa società, secondo la quale ogni
essere appartiene a una realtà indivisa e unificata, a un corpo ordinato e armonico. Ognuno è pertanto chiamato a riconoscere il proprio
dharma individuale e a contribuire all’armonia del tutto, mantenendo
il proprio posto e svolgendo il compito assegnato, riconoscendo e ordinando gli oggetti del desiderio: artha (beni materiali), kama (il piacere), dharma (giustizia sociale); moksha (libertà spirituale). Il male
morale consiste principalmente nell’avidya, il mancato riconoscimento della relazione originaria con il fondamento della vita, da cui si origina l’illusoria percezione della separazione dall’Uno, la considerazione del proprio io come entità indipendente e autonoma, la volontà di
potenza e la violenza, i disordini e i conflitti. Tutto ciò è adharma, disarmonia e rottura dell’ordine, che può essere ricomposto grazie all’intervento soccorritore dell’avatara, ovvero le diverse incarnazioni
del divino che vengono in aiuto del mondo decaduto8. Quella induista, pertanto, può essere considerata una morale ascetica e non-violenta, perché l’individuo deve vincere ogni tentazione di egocentrismo e autosufficienza, per assecondare i principi che discendono naturalmente dalla concezione del mondo e della vita. È così che trovano origine, per esempio, le cinque yama (astinenze) del sistema Yoga
Patanjali: non esercitare violenza, non rubare, non accumulare, non
mentire, progredire nella conoscenza di Brahaman, il divino, la cui valenza è necessariamente universale e non eteronoma, in quanto norme che promanano in modo naturale dal profondo di se stessi e in ar-
8
Troviamo esemplificato tutto questo nel caso di Krishna che secondo il
fondamentale testo induista della Bhagavad Gita, istruisce l’eroe Arjuna nel bel
mezzo della battaglia che corre fra gli uomini per riportare l’equilibrio e la pace ricordando agli stessi la loro comune origine.
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monia con il cosmo. Sentendosi parte di un’unica grande realtà, l’istinto di aggressività e di possesso possono essere annullati in nome
della reciproca appartenenza al Tutto.
La seconda relazione I sentieri della perfezione, confronto con la morale buddista è stata tenuta da Michael Fuss (Pontificia Università Gregoriana – Roma) che ha presentato il buddismo come un sistema morale aperto alla dimensione religiosa, che non impone precetti, ma offre una conoscenza e una via di salvezza orientate all’altruismo profondo e sincero. L’esistenza umana è sottoposta ad un cambiamento
incessante (impermanenza), all’esperienza di una radicale passività
(dolore, sofferenza, frustrazione) e all’interdipendenza con tutta la
realtà cosmica (non sé). La libertà individuale è interpellata nella gestione del momento presente, con conseguenze sovraindividuali e responsabilità per il futuro, in quanto gli atti umani sono sempre inseriti in una concatenazione di cause ed effetti (carma) cui tutta la realtà è
sottomessa. Tale ciclicità è tenuta in moto da tre “peccati capitali”: desiderio, concupiscenza, avidità (gallo); ignoranza (maiale); odio, avversione, violenza (serpente). Solo il nirvana si colloca al di fuori della ruota inesorabile della ripetitività, da cui è possibile sottrarsi percorrendo la via indicata dal Budda (retta parola, retta azione, retto
pensiero, retta visione, ecc.), che coincide con un percorso di “conversione intramondana”, un processo di risveglio esistenziale, un cammino di perfezione graduale fino alla eliminazione di ogni illusione su
di sé, all’annichilimento della vanità e al superamento del male. Dimorare nel nirvana significa praticare i precetti morali seguendo una
via media tra edonismo e ascetismo. La virtù suprema è l’altruismo
che si esprime nella benevolenza verso tutti gli esseri, nella compassione delle sofferenza altrui, nella condivisione empatica delle gioie e
nell’equanimità ovvero la libertà senza preferenze soggettive. Su questo sfondo tradizionale, infine, il relatore ha fatto intravvedere alcune
interessanti possibilità di attualizzazione e di dialogo interreligioso intorno a problematiche etiche contemporanee: le consonanze del buddismo impegnato attuale con i temi della dottrina sociale della Chiesa (ingiustizia strutturale e sofferenza sociale); l’aspetto corporativo e
solidaristico della morale buddista che manifesta interessanti convergenze con l’etica della cura dei soggetti più deboli; le indicazioni sul-
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l’immoralità dell’aborto e dell’eutanasia intesi come riprovevoli atti di
violenza, accompagnati però da momenti rituali di elaborazione del
lutto familiare attraverso la memoria dei feti abortiti e l’ars moriendi
dei testi tibetani dalla cui sapienza si potrebbero trarre interessanti
spunti per l’accompagnamento dei malati terminali.
La sessione conclusiva del seminario di studio La fascinazione del
sacro ha dato spazio alla relazione Magia, sette e nuovi movimenti religiosi a cura di Tullio De Fiore (Responsabile del GRIS – Palermo).
Evidentemente si tratta di un fenomeno diffuso e variegato che pone
di fronte alla difficoltà di inquadrarlo analiticamente dal punto di vista sociologico, psicologico, filosofico o semplicemente culturale. Infatti, gli adepti di tali esperienze sfuggono ad una specifica collocazione sociale, anagrafica e motivazionale, essendo i gruppi funzionali a una vasta gamma di esigenze genericamente definibili come “spirituali”. Ciò produce un certo “vagabondaggio religioso”, con appartenenze multiple o successive che producono un mix esperienziale assolutamente personale e difficilmente classificabile. Certamente la
forte attrattiva dei movimenti religiosi alternativi poggia sulla marcata frammentazione della vita sociale contemporanea, inadeguata a rispondere al bisogno di originalità del singolo e all’esigenza di coinvolgimento in relazioni umane non superficiali. In tale contesto facile preda delle sette sono soprattutto le giovani generazioni che spesso, non trovando negli adulti guide preparate e risposte alle domande di senso della vita, cedono all’attrattiva di leader carismatici che offrono una certa sicurezza psicologica e sembrano poter colmare la sete della propria ricerca. Particolarmente conturbante è la proliferazione dei culti satanici, anch’essi diffusi fra i giovani a motivo dell’attrattiva del proibito e delle realtà inesplorate, del fascino della ribellione e del sovvertimento dell’ordine costituito in campo sociale e religioso (cfr. M. Manson), della prospettiva di ottenere facilmente potere, sesso, soldi, salute, successo. Il fenomeno sembra che si estrinsechi in quattro filoni principali: satanismo razionalista (movimento
decisamente anticristiano ed edonista che si prefigge la liberazione da
ogni vincolo morale); satanismo occultista (pur accettando la visione
del Dio cristiano, la deforma in senso dualista e afferma un’opzione
fondamentale a favore del demonio); satanismo acido (esalta la poten-
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za distruttrice di satana, archetipo della violenza, e prevede l’uso di
droghe naturali o sintetiche, psicofarmaci e alcolici); satanismo luciferino (di ascendenze gnostico-manichee, crede nell’esistenza di un dio
cattivo che vuole ingannare l’uomo, contrapponendovi lucifero quale forza liberatrice e principio di emancipazione). Un fenomeno così
complesso pone una seria sfida alle comunità cristiane, soprattutto
nel modo di atteggiarsi di fronte alle persone che vi si trovano coinvolte e cercano in qualche modo di uscirne. Il relatore ha identificato in una approfondita formazione biblica e in una solida catechesi
fondata sugli insegnamenti della Chiesa la miglior prevenzione primaria, mentre per chi vuole ritornare ad abbracciare la fede cattolica
si pone la necessità di elaborare itinerari personalizzati di re-iniziazione, in un clima di accoglienza fraterna e dialogante, sfuggendo posizioni moralistiche o apologetiche. Ciò richiede una accurata formazione dei presbiteri e degli operatori pastorali con un adeguato
approfondimento teologico del problema, per non lasciare alla sola
buona volontà dei singoli l’onere di interventi che si rivelano come
urgenti e indispensabili.
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ACCADEMIA ALFONSIANA
Cronaca relativa all’anno accademico 2008-2009
Danielle Gros*
1. Eventi principali
1.1. Inaugurazione dell’anno accademico
L’anno accademico 2008-2009 è stato inaugurato il 10 ottobre
2008, con una concelebrazione eucaristica celebrata nella Chiesa di
S. Alfonso e presieduta dal Rev.mo Padre Joseph W. Tobin, Superiore Generale della Congregazione del Santissimo Redentore e Moderatore Generale dell’Accademia Alfonsiana, che ha anche tenuto l’omelia (Cfr. Inaugurazione dell’anno accademico 2008-2009, Roma, Edacalf, 2008, pp. 5-8). La messa solenne è stata concelebrata anche dal
Preside, Prof. Martin McKeever, dal Vicepreside, Prof. Bruno Hidber, dal Rettore della Comunità Redentorista, R. P. Darci José Nicioli e da numerosi professori e studenti.
Al termine della celebrazione, nell’aula magna dell’Accademia si è
svolto l’atto inaugurale articolato in due momenti:
• il primo, sostanziatosi nella Relazione del Preside sull’anno accademico 2007-2008 (Cfr. Ibidem, pp. 9-19), durante il quale sono
stati richiamati gli avvenimenti più significativi avvenuti durante lo scorso anno accademico;
• il secondo, marcato dalla prolusione Creazione benedetta e redenta. Teologia ed etica del creato in Bernhard Häring e nella riflessione
teologica contemporanea, tenuta dal Prof. Giuseppe Quaranta,
o.f.m.conv., Professore della Facoltà Teologica del Triveneto
(Cfr. Ibidem, pp. 21-45).
* Segretaria Generale dell’Accademia Alfonsiana.
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Come ogni anno, l’atto accademico, conclusosi con un rinfresco,
è stato occasione per uno scambio di idee tra professori, ufficiali e
studenti.
Il 30 ottobre 2008, nella Basilica Vaticana, il Preside dell’Accademia, Prof. Martin McKeever, e numerosi studenti dell’Accademia,
hanno partecipato alla messa d’inaugurazione dell’anno accademico
di tutti gli atenei ecclesiastici romani, presieduta dal Prefetto della
Congregazione per l’Educazione Cattolica, Em.mo e Rev.mo Sig.
Card. Zenon Grocholewski. Al termine della celebrazione, il Santo
Padre Benedetto XVI è giunto in Basilica e dalla Cattedra ha rivolto
un saluto ai presenti e impartito la benedizione apostolica.
1.2. Nomine
Il 18 settembre 2008, il Moderatore Generale dell’Accademia Alfonsiana, Rev.mo P. Joseph Tobin, ha nominato Prefetto della Biblioteca Sant’Alfonso per il prossimo triennio il Rev. Padre Vicente
García García, c.ss.r., della Provincia Redentorista di Madrid.
1.3. Attività accademiche, avvenimenti ed incontri
1.3.1. Incontro Preside/Studenti
L’8 ottobre 2008, durante il consueto incontro d’inizio anno tra il
Preside, la Segretaria Generale e i nuovi studenti, questi ultimi sono
stati informati su diversi aspetti riguardanti la struttura dell’Accademia e la vita accademica in generale. Al termine dell’incontro, i Consulenti accademici hanno ricevuto i nuovi studenti appartenenti ai rispettivi gruppi linguistici, per poterli orientare verso una programmazione sistematica dei corsi e seminari del biennio per la licenza.
1.3.2. Funerali del Prof. Santino Raponi
Il 9 ottobre 2008 si sono svolti a Frosinone, in presenza del Preside, Prof. Martin McKeever, e di numerosi professori, i funerali del
Prof. Santino Raponi, Professore dell’Accademia Alfonsiana, dal
1971 al 1995.
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1.3.3. Inaugurazione dell’anno accademico
1.3.3. alla Pontificia Università Lateranense
Il 29 ottobre 2008, il Preside e la Segretaria Generale, Sig.ra Danielle Gros, hanno rappresentato l’Accademia all’atto d’inaugurazione dell’anno accademico della Pontificia Università Lateranense,
svoltosi, come ogni anno, alla presenza di numerose autorità ecclesiali e civili.
1.3.4. Elezione dei Rappresentanti degli Studenti
Il 18 novembre 2008 l’assemblea degli studenti, presieduta dal
Preside, Prof. Martin McKeever, ha eletto, quali propri rappresentanti, P. Alvaro Martín Lugo Espinola, c.ss.r., studente paraguayano
del primo anno di licenza e D. Julio Vicente Orellana, studente guatemalteca della diocesi di Boise (Stati Uniti d’America), iscritto al secondo anno dello stesso ciclo. Questi rappresentanti, con la loro elezione, diventano membri del Consiglio Accademico e fungono da
portavoce degli studenti presso le autorità accademiche ed amministrative dell’Accademia.
1.3.5. Visita accademica
Il 19 novembre 2008, l’Accademia ha ospitato, per un colloquio
sul tema What am I doing when I do moral theology?, alcuni professori
stranieri (i Proff. J. Porter, E. Schockenhoff, O. O’Donovan e P. Bordeyne).
1.3.6. Giornata di studio e presentazione del libro
1.3.6. “Bernhard Häring: un redentorista felice”
Il 20 novembre 2008, nell’Aula Magna dell’Accademia, si è svolta
una giornata di studio sul tema Parola di Dio e morale. Il programma
della giornata prevedeva l’intervento del Prof. Vincenzo Viva che, a
causa di un’indisposizione, non è potuto intervenire. Ha quindi iniziato il Prof. Andrzej Wodka, con una relazione dal titolo La Parola
di Dio nella teologia di Bernhard Häring.
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Dopo una proficua discussione tra i presenti, il Prof. Martin
McKeever, Preside dell’Accademia Alfonsiana, ha presentato il libro
in epigrafe, pubblicato in tre lingue (italiano, inglese e spagnolo) in
onore del P. Bernhard Häring, di cui ricorreva il decimo anniversario della morte. Nel pomeriggio, il Prof. Klemens Stock, Professore
presso il Pontificio Istituto Biblico nonché Segretario della Pontificia Commissione Biblica, ha tenuto una relazione sul tema Bibbia e
morale. Radici bibliche dell’agire cristiano. Il recente documento della Pontificia Commissione Biblica. La giornata si è conclusa con l’intervento
del Prof. Aristide Fumagalli, della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, dal titolo Il rapporto tra Sacra Scrittura e agire morale: una
proposta teoretica.
1.3.7. Festa degli studenti
I Rappresentanti degli studenti hanno organizzato, mercoledì 17
dicembre 2008, una festa per celebrare il Natale. Alla celebrazione
eucaristica ha fatto seguito un momento di festa con canti tipici di vari paesi.
1.3.8. Riunione annuale dell’ATISM
Il 16 gennaio 2009 si è tenuta, nei locali dell’Accademia, la riunione annuale dell’ATISM (Associazione Teologica Italiana per lo
Studio della Morale), sezione centro.
Argomento dell’incontro: Identità e scopo dell’essere umano nel Corano. Relatore: Prof. Joseph Ellul, o.p., docente di Ecumenismo e Dialogo Interreligioso presso la Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino.
1.3.9. Assemblea degli Studenti
Gli studenti si sono riuniti in assemblea ordinaria il 19 febbraio
2009, nell’Aula Magna dell’Accademia. L’incontro è stato presieduto
dai loro Rappresentanti e ha permesso ai partecipanti di formulare alcune proposte da sottoporre al Consiglio Accademico.
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1.3.10. Gita a Siena
Il 28 marzo 2009 gli studenti hanno organizzato una gita a Siena.
Anche quest’anno, la partecipazione è stata numerosa.
1.3.11. Festa di S. Alfonso
Come ogni anno, il Preside ha invitato le autorità della Pontificia
Università Lateranense, dell’Accademia Alfonsiana e i Rettori dei
collegi, seminari e convitti che affidano i loro studenti al nostro Istituto, ad un pranzo festivo che si è tenuto il 1 aprile 2009. In questo
giorno, in segno di ringraziamento, l’Accademia invita tutti coloro
che, in vari modi, le sono vicino condividendo l’impegno per la formazione teologico-morale dei giovani.
1.3.12. Giornata di studio sul tema
1.3.12. “Dignitas personae. Per una bioetica umana”
Il giorno 28 aprile 2009, la Commissione per le Attività Culturali
ha organizzato una giornata di studio sul tema Dignitas personae. Per
una bioetica umana. Il Prof. Giovanni Del Missier, dell’Accademia Alfonsiana, ha tenuto una relazione dal titolo Logica della tecnologia e logica della persona. Ha fatto seguito la relazione della Dott.ssa Maria
Luisa Di Pietro, della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, intitolata Dignità della persona
ed eugenetica. Il Prof. Edmund Kowalski, dell’Accademia Alfonsiana,
ha concluso gli interventi della mattina con la relazione dal titolo Tecniche di fecondazione artificiale: aiuto o sostituzione dell’atto coniugale?
Nel pomeriggio, S.E.R. Mons. Luis Ladaria, Segretario della
Congregazione per la Dottrina della Fede, ha parlato degli Aspetti
antropologici dell’Istruzione “Dignitas personae” su alcune questioni di
bioetica, mentre il Prof. Maurizio Faggioni dell’Accademia Alfonsiana, nella relazione conclusiva, ha trattato di Transgenesi e transumanismo.
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1.3.13. Workshop didattico
Sabato 9 maggio 2009 si è svolto un workshop didattico riservato
agli studenti dell’Accademia Alfonsiana, dal titolo Come insegnare teologia morale fondamentale? Il workshop, diretto dal Preside, Prof.
Martin McKeever e dal Prof. Vincenzo Viva ed equipe, ha riscosso
molto successo tra gli studenti.
2. Consiglio dei Professori
I professori invitati si sono riuniti il 9 ottobre 2008 per eleggere i
loro Rappresentanti per il Consiglio dei Professori e per il Consiglio
Accademico. Sono stati eletti: i Professori Silvio Botero e Alvaro
Córdoba, per il Consiglio dei Professori, e i Professori Raphael Gallagher e Vincenzo Viva, per il Consiglio Accademico.
Durante l’anno accademico 2008-2009, il Preside ha convocato 5
volte il Consiglio dei Professori, che ha potuto così deliberare su numerosi temi attinenti alla vita dell’Accademia: preventivo, varie questioni accademiche, programmazione per il biennio 2009-2011, promozione dei docenti, relazioni annuali delle commissioni permanenti, valutazione dell’anno accademico, ecc.
3. Consiglio Accademico
Il Preside ha convocato il Consiglio Accademico in data 26 febbraio 2009. Tema principale: la discussione sulla programmazione
accademica.
4. Consiglio di amministrazione
Dal 13 al 15 gennaio 2009 si è riunito il Consiglio di Amministrazione dell’Accademia Alfonsiana, convocato dal Moderatore Generale che lo ha anche presieduto.
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A questo incontro hanno preso parte tra gli altri:
• il Preside, Prof. Martin McKeever, che ha svolto un rapporto
sulla situazione accademica;
• la Segretaria Generale, Sig.ra Danielle Gros, che ha relazionato sulla situazione amministrativa e su vari aspetti attinenti agli
studenti;
• il Delegato del Consiglio dei Professori, Prof. Seán Cannon,
per descrivere la situazione del corpo docente;
• l’Economo, R.P. Alfeo Prandel, per esporre la situazione finanziaria;
• l’Executive Director for Development, R.P. John Vargas, per informare sullo status delle pubbliche relazioni.
Dopo aver esaminato i vari rapporti con grande attenzione, il
C.d.A. ha constatato con soddisfazione il lavoro svolto per rinnovare
e rafforzare le strutture dell’Accademia Alfonsiana, in modo da poter
espandere le sue risorse, ed ha espresso il proprio apprezzamento per
l’attività sviluppata dai singoli uffici.
Il C.d.A. ha inoltre formulato alcune raccomandazioni, grazie alle
quali potranno essere potenziati sia l’aspetto amministrativo che
quello accademico.
5. Corpo docente
5.1. Stato attuale
In questo anno accademico, l’Accademia Alfonsiana si è avvalsa
della collaborazione di 30 professori, di cui 5 ordinari, 6 straordinari, 2 associati, 16 abitualmente invitati e 1 emerito.
Tra questi, 30 hanno svolto 35 corsi e diretto 24 seminari e numerose tesi di licenza e di dottorato. Altri ancora, in qualità di professori invitati, hanno anche insegnato presso diversi centri ecclesiastici romani e partecipato a numerosi convegni e congressi.
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5.2. In memoriam
L’8 ottobre 2008 è deceduto il Prof. Santino Raponi, c.ss.r., professore emerito dell’Accademia Alfonsiana. Il Prof. Raponi era nato
il 25 luglio 1920. Ha insegnato all’Accademia dal 1971 al 1995 nel
campo della morale patristica.
5.3. Pubblicazioni dei Professori
Da evidenziare che molti docenti, oltre alla loro principale attività didattica e di assistenza agli studenti, hanno anche pubblicato diverse opere, offrendo in tal modo un utile contributo alla ricerca
scientifica (Cfr. Inaugurazione dell’anno accademico 2009-2010, Roma,
Edacalf, 2009).
5.4. Collegialità accademica
Durante il corso dell’anno accademico, al fine di promuovere la
collegialità tra i professori dell’Accademia, sono stati organizzati dal
Preside diversi incontri per discutere temi attinenti alle diverse discipline dell’Istituto.
6. Studia Moralia
L’impegno della Commissione per Studia Moralia e la collaborazione dei Professori interni ed esterni, hanno permesso la regolare
pubblicazione dei due fascicoli della rivista Studia Moralia, per l’anno
2008. Da segnalare che sono stati resi disponibili sul sito internet dell’Accademia (http://www.alfonsiana.edu) gli indici dell’intera collezione dei volumi di Studia Moralia (a partire dal 1963 fino ad oggi).
7. Studenti
Nell’anno accademico 2008-2009, gli studenti sono stati 317 (282
uomini e 35 donne), di cui 288 ordinari (119 del secondo ciclo e 169
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del terzo ciclo) che si sono preparati per conseguire i gradi accademici, 24 straordinari e 5 ospiti.
La provenienza degli studenti è riferita a tutti i continenti: 143
dall’Europa, 55 dall’Asia, 79 dall’America (Nord, Centro e Sud), 37
dall’Africa e 3 dall’Australia.
Divisi per appartenenza religiosa, 168 sono del clero secolare, 124
tra religiosi e religiose appartengono a 60 diversi ordini, mentre 25
sono i laici.
Durante l’anno accademico 2008-2009 sono state difese con successo 24 tesi di dottorato e 22 studenti, dopo la pubblicazione delle loro rispettive tesi, sono stati proclamati dottori in teologia della Pontificia Università Lateranense, con specializzazione in teologia morale.
Inoltre, 64 studenti hanno conseguito la licenza in teologia morale.
Da segnalare i numerosi incontri avvenuti tra il Preside e i Rappresentanti degli Studenti, che hanno consentito di deliberare su varie questioni riguardanti gli studenti stessi.
8. Informazioni sugli ex-studenti
8.1. In memoriam
Il 9 settembre 2008 è deceduto all’età di 37 anni l’ex-studente dell’Accademia Alfonsiana P. Cleverson Moreira Souza, sacerdote della
diocesi di Itabuna (Brasile). Ha studiato all’Accademia dal 2001 al
2003, anno in cui ha ottenuto la licenza in teologia morale.
8.2. Nomine
Durante l’anno accademico 2008-2009, 10 ex-studenti dell’Accademia Alfonsiana sono stati elevati alla dignità episcopale (o, se già
Vescovi, hanno ottenuto incarichi superiori):
• S.E.R. Mons. Róbert Bezák, c.ss.r., finora Amministratore della parrocchia di Banská Bystrica – Radvan (diocesi di Banská
Bystrica) e Superiore della casa dei Padri Redentoristi nella medesima parrocchia, nominato Arcivescovo di Trnava (Slovacchia). È stato studente dell’Accademia dal 1990 al 1993;
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• S.E.R. Mons. Mateus Feliciano Tomás, finora Cancelliere della
Curia arcidiocesana, Direttore del Segretariato arcidiocesano di
pastorale e Parroco della Cattedrale di Huambo, nominato primo Vescovo di Namibe (Angola). È stato studente dell’Accademia dal 1991 al 1996;
• S.E.R. Mons. Joseph Kariyil, finora Vescovo di Punalur, nominato Vescovo di Cochin (India). È stato studente dell’Accademia dal 1978 al 1983;
• S.E.R. Mons. José Mazuelos Pérez, finora Delegato per la pastorale universitaria dell’Arcidiocesi di Sevilla, nominato Vescovo di Jerez de la Frontiera (Spagna). È stato studente dell’Accademia dal 1993 al 1998;
• S.E.R. Mons. Franco Mulakkal, finora Tesoriere dell’Unione
Apostolica del Clero e Consultore del Pontificio Consiglio per
il Dialogo Interreligioso, nominato Vescovo Ausiliare di Delhi
(India). È stato studente dell’Accademia dal 1997 al 2001;
• S.E.R. Mons. Christopher Prowse, finora Vescovo titolare di
Baanna ed Ausiliare di Melbourne, nominato Vescovo di Sale
(Australia). È stato studente dell’Accademia dal 1993 al 1995;
• S.E.R. Mons. Matthias Ri Iong-hoon, finora Vescovo Ausiliare
di Suwon, nominato Vescovo Coadiutore di Suwon (Corea). È
stato studente dell’Accademia dal 1984 al 1988;
• S.E.R. Mons. Manuel da Silva Rodrigues Linda, finora Rettore
del Seminario diocesano di Vila Real, nominato Vescovo Ausiliare di Braga (Portogallo). È stato studente dell’Accademia dal
1988 al 1990;
• S.E.R. Mons. Valentine Tsamma Seane, finora Parroco della
Cattedrale di Gaborone e Cappellano del St. Joseph’s College,
nominato Vescovo di Gaborone (Botswana). È stato studente
dell’Accademia dall’1999 al 2001;
• S.E.R. Mons. José Benedito Simão, finora Vescovo titolare di
Tagaria, Ausiliare di São Paulo e Vicario episcopale per la Regione Brasilandia dell’arcidiocesi di São Paulo, nominato Vescovo di Assis (Brasile). È stato studente dell’Accademia dal
1986 al 1990.
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9. Gradi accademici conferiti
9.1. Dottori designati
Nel corso dell’anno accademico 2008-2009, 24 studenti hanno difeso pubblicamente la loro dissertazione dottorale:
ACOSTA LÓPEZ, Orlando René (Perù, o.f.m.conv.): Lectura teológica moral del martirio de Michael Tomaszek, Zbigniew Strzalkowski y
Alessandro Dordi. Significado y alcance de las virtudes teologales – 29 aprile 2009; Moderatore: Prof. Martin McKeever
La presente investigación teórico-práctica pretende ofrecer una
contribución al significado y alcance de las virtudes cardinales-teologales en la vida moral cristiana y, si es necesario, martirial. Esto ha
significado para nuestro estudio: repensar el martirio cristiano y distinguirlo entre las diversas tipologías de martirio y relacionarlo con
la vida moral cristiana; considerar las virtudes como “indicadores” y
“disposiciones” permanentes que nos ayudan dinámicamente a buscar la verdad moral y a servir de “guías” que nos orientan colectivamente a la correcta realización de la identidad cristiana; tener en
cuenta los aportes que las virtudes pueden proporcionar tanto a la teología moral-pastoral, como a la teología espiritual-martirial; dar una
respuesta a la llamada de Dios en el acontecimiento de la Caridad
Trinitaria, el seguimiento de Cristo y la educación en las virtudes a
través de una vida virtuosa, responsable y consecuente ante si mismo
y ante los demás, en orden a producir frutos en la caridad para la vida del mundo y contribuir a la edificación de una sociedad más humana, por tanto, más cristiana.
CARLIN, Paolo (Italia, o.f.m.cap.): Etica e informazione giornalistica
nel telegiornale – 5 maggio 2009; Moderatore: Prof. Silvio Sassi
La forma più tradizionale di informazione televisiva è rappresentata dall’appuntamento quotidiano con le notizie del telegiornale,
profondamente connesso con le abitudini della gente. Spesso si sen-
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te dire nel parlare comune: “lo ha detto il Tg” o “lo hanno detto in
Tv”. Il Tg è lo strumento attraverso il quale si mette in scena il mondo, si diffondono le notizie riguardanti gli avvenimenti accaduti; in
realtà è anche lo strumento informativo più limitato e “manipolato”.
Nel nostro lavoro ci siamo chiesti come nasce un telegiornale, abbiamo ricercato il fondamento del diritto umano ad essere informati ed
analizzato le leggi, i codici deontologici e l’etica cristiana a tutela di
tale diritto e di una corretta informazione, confrontando questi con
la realtà del Tg oggi. Abbiamo poi provato a formulare alcune possibilità per una informazione corretta e umana.
CHITTUPARAMBIL, Francis (India, o.c.d.): The Human Body in
Christian and Hindu Perspectives. A Dialogue for a Foundation in Indian
Biomedical Ethics – 3 dicembre 2008; Moderatore: Prof. Maurizio
Faggioni
This study on the value and significance of the human body in the
Christian and Hindu perspectives can serve as a foundation of Indian biomedical ethics, sexual ethics and other ethical discourses related to the human body. The Christian theological and magisterial
discussions, while trying to eliminate every type of dualistic understanding, whether Platonic or Cartesian, and every type of monism,
whether materialist or spiritualistic and basing itself on the Sacred
Scripture and on the traditions, has arrived at the concept of the unity of the person and strongly exhorts respect of the human body on
account of its intrinsic dignity. What is necessary in the context of
India is a search either for the same concept of unity or any other
concepts that could highlight the value of the human body so as to
promote the respect and care of the human body. This research
proves that the Christian concept of unity of body and soul can find
a parallel in the Brahman-ātman identity or unity as found in the
Hindu Sacred Scripture Upanishads and brings to light the arguments from it to promote the dignity and care of the abode of Brahman, the human body.
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DUGANDZIC, Peter (U.S.A., diocesi di Rockville Centre): A Secular “Faith in Progress” and a Catholic Anthropology in the United States
with Reference to Sexual Morality in the Writings of Paul Kurtz and Karol
Wojtyła/John Paul II – 13 dicembre 2008; Moderatore: Prof. Seán
Cannon
Public debates as to what constitutes sexual morality have increased in the United States during the most recent century, particularly within the education forum. The debates typically focus on
specific issues while rarely delving into the deeper structures of
morality. In general, the two sides of the debate are often considered
scientific/ secular versus religious. This dissertation examines a representative author from each perspective and demonstrates that the
source of the moral division is at the anthropological level and contends that until addressed at that level, the resolution of the specific
issues remains in doubt. The secular author chosen is Paul Kurtz and
the Catholic is Karol Wojtyła/John Paul II.
EL TERS, Georges (Libano, m.l.): La prévention du SIDA au Liban:
Évaluation bioéthique et propositions éducatives – 24 febbraio 2009; Moderatore: Prof. Giovanni Del Missier
Beaucoup dans le monde souffrent du VIH/SIDA et c’est un lourd
fardeau de souffrance, une croix à porter pour chaque individu et
pour sa famille. Il ne s’agit pas seulement d’une maladie corporelle,
mais bien souvent d’une maladie qui exprime la détresse plus profonde du cœur, de l’esprit, des relations humaines et de l’âme de la
personne. Le but de cette recherche n’est pas de rechercher ce qui est
nouveau sur le SIDA, mais ce qu’on peut faire pour la prévention de
cette maladie au Liban du point de vue éthique, de l’éducation sanitaire et sexuelle dans la famille et dans l’école.
L’objet central de ce travail est la compréhension de la prévention
du Sida au Liban comme évaluation bioéthique et propositions éducatives. Dans cette perspective, on propose un modèle éducatif pour
la famille et l’école. Ce modèle constitue aujourd’hui une sorte de
prévention actuelle pour cette maladie au Liban.
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FERREIRA DA SILVA, Wagner (Brasile, arcidiocesi di Palmas-Tocantins): A contribuição dos Novos Movimentos Eclesiais na formação da
consciência moral: uma análise da experiência da Comunidade Canção Nova
no Brasil – 12 febbraio 2009; Moderatore: Prof. Sabatino Majorano
A contemporaneidade, marcada pelo pluralismo cultural e religioso, apresenta não poucos desafios à formação da consciência moral.
Tal desafio é inerente à missão da Igreja e de suas instituições, comunidades religiosas, pastorais, associações e movimentos. No cenário eclesial, constata-se a emergência dos novos movimentos eclesiais
e das novas comunidades, empenhados com a nova evangelização. A
tese doutoral objetiva analisar a contribuição dada à formação da
consciência moral dos membros de uma dessas agregações eclesiais
emergentes: a Comunidade Canção Nova. Com sua origem no Brasil e espiritualidade carismática, tal agregação se propõe evangelizar
pelos meios sociais de comunicação, conforme as indicações do n. 45
da exortação Evangelii nuntiandi. Constituída de fiéis católicos de diversos estados de vida, a Canção Nova se propõe a formar homens novos para um mundo novo e, para isso, dispõe de um projeto formativo
com o qual prepara seus afiliados à realização de sua missão.
GANNON, Brian (U.S.A., diocesi di Bridgeport): Towards a Greater
Emphasis of Grace in the Moral Life: The Thought of Servais Pinckaers,
o.p., in Conjunction with the Catechism of the Catholic Church – 30 marzo 2009; Moderatore: Prof. Bruno Hidber
This thesis has two thrusts: theological anthropology and pastoral
application. The former responds to the need to more greatly centralize grace in moral theology as attested to by various sources including the United States Conference for Catholic Bishops. Servais
Pinckaers, O.P., by focusing on the New Law, the natural desire for
God and fundamental moral themes, offers a strong model for such
emphasis. The Catechism of the Catholic Church strengthens Pinckaers’
model with a magisterial, systematic basis for such grace emphasis.
Together they provide an excellent means for centralizing grace in
fundamental moral themes, as well as a means through which to re-
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view catechisms for grace emphasis. The United States Catholic Catechism for Adults provides the pastoral application as a new national
catechism through which this model reveals strong and weak grace
emphases in fundamental moral categories.
GIOENI, Anna Rosaria (Italia, diocesi di Catania): La sollecitudine
chiave di lettura dell’universo femminile. Contributo della teologia femminista e del magistero pontificio dagli anni ‘60 all’inizio del terzo millennio
– 13 febbraio 2009; Moderatore: Prof. Sabatino Majorano
L’ultimo cinquantennio è stato caratterizzato da grandi trasformazioni sociali e culturali, le quali hanno attraversato e modificato l’universo femminile. È ormai evidente che tali cambiamenti hanno apportato il giusto riconoscimento del ruolo della donna, non solo nella sfera privata, ma anche in quella pubblica. Allo stesso tempo, però,
si è verificato un processo molto pericoloso, infatti, insieme a tutti
quegli aspetti che privavano metà dell’umanità della dignità e delle
pari opportunità, sono stati rigettati anche aspetti preziosi della tradizione femminile.
Questo lavoro nasce dal desiderio di rivalutare la dimensione della sollecitudine, peculiarità da sempre caratterizzante il mondo femminile, trovando spunti di riflessione nella teologia femminista e nel
magistero pontificio. Far dialogare due riflessioni spesso messe in
contrapposizione o considerate parallele è stata la sfida che ha accompagnato tutto il percorso di ricerca.
GÓMEZ VARGAS, Francisco (Colombia, o.f.m.): La persona del
emigrante-immigrante de frente a la globalización. Dimensión ética pastoral – 7 maggio 2009; Moderatore: Prof. José Silvio Botero Giraldo
Nuestra investigación parte del fenómeno de la emigración-inmigración desde la globalización en sus distintos contextos, como mediación socio-analítica: nuestra intención es invitar a la reflexión sobre la situación de los inmigrantes desde su identidad de sujetos y no
sólo como objetos de la globalización. El análisis se hace a la luz de
la Biblia y del Magisterio de la Iglesia, encontrando dos claves de lec-
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tura: la justicia y la misericordia, como mediación hermenéutica. Al
llegar a la mediación práctica, proponemos cuatro criterios éticos que
orienten la pastoral: la ley natural, ‘regla de oro’, derechos humanos
y dimensión religiosa. La emigración-inmigración se convierte en
fuente inspiradora de la reflexión teológica, concretamente en la “teología de inmigrantes”. El modelo trinitario de comunión en la diversidad se pone como eterna instancia crítica de toda sociedad totalitaria, monolítica, discriminatoria y cerrada al diverso, al inmigrante. Desde esta perspectiva la inmigración se convierte en lugar teológico, en semilla del Verbo y en signo de los tiempos.
IGIRUKWAYO, Antoine Marie Zacharie (Burundi, o.c.d.): Agir
dans le Christ. Contribution d’Émile Mersch à la fondation de la morale
chrétienne – 12 novembre 2008; Moderatore: Prof. Jules Mimeault
Une approche de Morale et corps mystique en unité avec les autres
œuvres d’Émile Mersch permet de retracer les lignes majeures de sa
contribution spécifique et toujours actuelle à la fondation de la morale chrétienne. La méthode de la connexio mysteriorum lui a servi pour
placer la notion simple et complexe du Christ total au centre de tous les
champs de la théologie. Pour la théologie morale chrétienne, l’étude
minutieuse du rôle de l’humanité du Christ en tant qu’« être d’union
» a éclairé la fondation de l’action comprise comme un agir en relation
qui embrasse d’une même étreinte l’aspect transcendant, l’aspect social
et l’aspect cosmologique. À cette fin les données de la théologie dogmatique sont intégrées méthodologiquement dans la recherche; les catégories de la théorétique morale en résultent transformées; l’aspect
moral des grands thèmes de l’existence chrétienne est mis en lumière.
IKPENWA, Albert (Nigeria, diocesi di Enugu): Economic Emancipation: The Crisis of a Christian Value System and the Alienation of the Human Person in a Globalized Economy – 28 maggio 2009; Moderatore:
Prof. Raphael Gallagher
The quest for self-enrichment, realization and contentment is as
old as humanity itself. This quest has given rise to activities aimed at
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promoting particular or overall good of the human person. This
work focuses on economic activities, especially in the era of globalization taking into consideration, their relationship with some of the
traditional values of the Church. Such values like the dignity of the
human person, labour, family, solidarity and subsidiarity are considered here from both local and global perspectives. This inquiry demonstrates to what extent the human person is the architect of economic activities. It also analyses the relationship between such economic activities and the aforementioned values and how such relationship can promote or alienate the human person from God, self,
fellow humans, society and nature.
KHONDE, Godefroid (Repubblica Democratica del Congo, diocesi di Matadi): Inculturation chrétienne du mariage au Congo. Problèmes
et perspectives – 21 maggio 2009; Prof. José Silvio Botero Giraldo
Il s’agit d’une réflexion portée sur la capacité d’inculturer chrétiennement le mariage traditionnel congolais qui est la source même
de la culture congolaise. L’inculturation qui est à la fois une incarnation de l’Évangile dans les cultures autochtones et en même temps
l’introduction de ces cultures dans la vie de l’Évangile, aide l’Évangile à s’engager, grâce à des critères bien définis, sur un nouveau terrain de la libération pastorale dans les secteurs sensibles de la vie sociale dont le mariage traditionnel. Cependant, l’inculturation chrétienne du mariage a besoin de quelques mécanismes comme vérité et
amour, théorie et pratique, raison et cœur, idéal et réalité concrète
pour conduire le mariage traditionnel congolais à se réaliser progressivement jusqu’à sa plénitude.
KIM, In Hye (Corea del Sud, Movimento dei Focolari): Matrimonio
via di santificazione, famiglia piccola chiesa e comunità d’amore in Igino
Giordani – 3 novembre 2008; Moderatore: Prof. Basilio Petrà
Questa ricerca indaga il valore e il significato profondo del matrimonio e della famiglia cristiana, specialmente la loro dimensione teandrica, enunciata da un personaggio poliedrico, Igino Giordani (1894-
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1980): politico, bibliotecario, agiografo, giornalista, nonché laico impegnato nella Chiesa. Egli afferma che i coniugi cristiani sono chiamati alla santificazione non “nonostante” il matrimonio, ma “attraverso” il matrimonio, poiché esso è reale “partecipazione” alle nozze di
Cristo con la Chiesa. Viene approfondita la sua ricca dimensione teologica della famiglia come piccola chiesa e comunità d’amore. Giordani –
ora Servo di Dio – con la sua stessa vita ne è stato un luminoso “testimone” e ha svolto il ruolo di “profeta” e “precursore” del Concilio Vaticano II in questi ambiti della riflessione teologico-morale.
KOOPMAN, Joseph (U.S.A., diocesi di Cleveland): Christ or Dionysus: The Moral Contribution of René Girard to the Modern Crises of Violence
and Relativism – 13 maggio 2009; Moderatore: Prof. Bruno Hidber
This thesis explores the contribution that the anthropological theory of René Girard may offer moral theology, particularly in regards
to the modern crises of violence and relativism. Following an examination of the genesis and methodological intricacies of Girard’s unified theory, this thesis offers a synthesis of Girard’s thought within
the moral parameters of sin and conversion, centered on Girard’s understanding of ‘mimetic desire’ and the ‘scapegoat mechanism.’ In
light of these findings, the thesis turns to a Girardian interpretation
of modern relativism and violence, situated within a Girardian interpretation of history and the influence of the Gospels and Christianity in the de-mystification of the world. The solution to what Girard
describes as the ‘apocalyptic violence’ of the modern world does not
lie in relativism’s rejection of Christianity, but rather in the hope of
conversion offered by Christ.
LYUBEZNYY, Ruslan Metodio (Ucraina, diocesi di Leopoli): Il
Confessore come “medico” nell’attuale rinnovamento del Sacramento della
Riconciliazione. Il contributo di D. Tettamanzi, G. Moioli, G. Gatti – 20
gennaio 2009; Moderatore: Prof. Sabatino Majorano
Le difficoltà che il sacramento della riconciliazione incontra nel
nostro contesto restano molteplici e gravi, nonostante gli sforzi teo-
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logici e pastorali compiuti in questi ultimi decenni. La tesi vuole contribuire al loro superamento approfondendo il ruolo e lo stile del
confessore. Pone soprattutto in risalto il fondamentale compito di
medico spirituale. A questo fine, lasciandosi guidare dalle istanze di
rinnovamento del Concilio Vaticano II e del magistero successivo, la
tesi analizza la proposta teologica e pastorale di tre autori italiani, che
hanno dedicato al tema una particolare attenzione, evidenziando le
prospettive e gli stimoli più significativi.
MEENPUZHACKAL, Joseph (India, c.s.t.): Dietrich von Hildebrand’s Understanding of Marriage. A moral analysis of the Meaning of
Love and Intimacy between Man and Woman – 26 marzo 2009; Moderatore: Prof. Seán Cannon
This doctoral dissertation exposes the significance of love and intimacy between man and woman in married life as explained by the
German philosopher Dietrich von Hildebrand, for whom the value
response theory is the corner-stone upon which he chisels his system
and the axis around which he makes his theology of marriage revolve.
The spousal love is characterised by the fact that it is the purest Ithou communion. Von Hildebrand distinguishes two fundamental dimensions of communion: I-thou communion, where two persons
stand face to face, and the we-communion, where persons stand side
by side and turn together toward a third object. Von Hildebrand with
his realistic phenomenological principles regards spousal love as a
love which responds to values.
NDELACHO, Daudi Bernard Msaki (Tanzania, a.l.c.p.): Preparation
for Christian Marriage among the Present-day Tanzanian Christians: Towards an Integration of the Traditional Approach among the Chagga with
the Roman Catholic Approach – 17 dicembre 2008; Moderatore: Prof.
Seán Cannon
Preparation for marriage among the indigenous Chagga of Tanzania was a lengthy process in keeping with their view of marriage as
a serious commitment to a reality which was communitarian i.e. unit-
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ed the living, the dead and the unborn. Many worthy features of this
process were lost in the work of first evangelization by Europeans
who insisted on a strictly canonical preparation for and celebration of
church marriage. Our thesis is that today marriage preparation
among Chagga Christians is in need of an inculturated evangelization which would integrate features of the customary process with
the program of pastoral preparation in which full participation by the
local Christian community would be favored. Small Christian Communities could take the place of the extended families in supporting
marriage and guaranteeing its stability.
NGUYEN, Van Tuan (Vietnam, diocesi di Long Xuyen): La famiglia
come comunità di amore al servizio della vita: possibilità e sfide nell’attuale cambiamento sociale del Vietnam – 29 maggio 2009; Moderatore:
Prof. Sabatino Majorano
La famiglia come comunità di amore al servizio della vita è il tema della nostra ricerca che è partita dalla situazione storica attuale
segnata da radicali cambiamenti sociali in atto. Questa situazione
condiziona profondamente la vita familiare. La famiglia dunque è
chiamata a vivere delle sfide impegnative ma anche delle possibilità
interessanti.
Abbiamo innanzitutto approfondito il senso teologico della famiglia e della sua missione seguendo l’insegnamento della Chiesa. Poi
abbiamo sviluppato la missione della famiglia al servizio della vita.
Siamo quindi passati ad applicare questo apparato dottrinario alla famiglia cristiana indagando sulla prospettiva etica e pastorale nel contesto socio-culturale del Vietnam nell’attuale momento storico.
Tutto questo lavoro è bene rappresentato nelle parole della Familiaris Consortio di Papa Giovanni Paolo II (n.86) che afferma:
“Amare la famiglia significa saperne stimare i valori e le possibilità, promovendoli sempre. Amare la famiglia significa individuare i
pericoli e i mali che la minacciano, per poterli superare. Amare la famiglia significa adoperarsi per crearle un ambiente che favorisca il
suo sviluppo”.
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POOPPANA, Jude Joseph (India, s.d.b.): The Eucharist and the Commandment of love: a study on the sacrament as a pre-eminent expression of
philia/communion realized through koinonia, diakonia, and martyria – 7
gennaio 2009; Moderatore: Prof. Dennis Billy
It applies the theory of philia or koinonia or communion, as seen
from the perspective of the Commandment of love to the Eucharist.
This bonding highlights a “love-schema” between God and “we” in a
community wherein we will be God’s co-workers. This perspective is
unique in that it offers us a new moral context, wherein the Eucharistic Communion as described above provides a renewed identity, mission, and a distinct theological foundation for Christian ethics. The implications realized through this model have been spelt out as koinonia,
diakonia and martyria. This study cursorily spans the sectors of Moral
Theology, Scripture, Dogmatics, Sacramental theology, Spirituality
and Patristics and offers a modest contribution towards an understanding of the unity of the above disciplines – a unity to be highly desired.
RESENDE, Nilson de Paula (Brasile – diocesi di San José do Rio
Preto): “Eubiosia” e a promoção humana. Uma análise ético-teológica na
ação pastoral no Brasil – 26 marzo 2009; Moderatore: Prof. Edmund
Kowalski
Este estudo procura apresentar o conceito de eubiosia (vida boa)
em nível ético-teológico dentro da perspectiva da bioética personalista fundamentada na pessoa, na comunidade e na sociedade. Reconhece uma bioética da eubiosia no valor, no sentido da vida humana e
de sua realização. Descreve a realidade brasileira do século passado e
sua transformação com o fenômeno da urbanização. Apresenta a definição de eubiosia e a sua aplicação na promoção humana. Reflete a
teologia da eubiosia e Jesus Cristo como o doador da vida em abundância e por fim, análise ético-teológica à ação das pastorais da família e da saúde, onde melhor se concretiza a eubiosia como promotora no anúncio e na defesa da vida. O projeto de eubiosia está dentro
de uma responsabilidade ética, reconhece a vida humana como digna, sacra, inviolável, inalienável e intransponível.
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SILVA FERREIRA, José Domingos (Brasile, c.ss.r.): Rosto e responsabilidade. A ética da alteridade em Emmanuel Lévinas: Uma aproximação à América Latina – 11 maggio 2009; Moderatore: Prof. Martin
McKeever
No tema da nossa pesquisa são evidenciadas duas categorias fundamentais para a ética levinasiana. Trata-se do rosto e da responsabilidade. O rosto apresenta-se ao nosso mundo e significa por si mesmo, não
há necessidade de outra significação pelo conceito. A responsabilidade
nasce diante do apelo do outro, ao qual o eu não pode ausentar-se. Para Lévinas, a responsabilidade constitui a estrutura fundamental da
subjetividade. Sou responsável de uma responsabilidade total, que responde por todos os outros e por tudo o que é de todos, mesmo pela
sua responsabilidade. Assim, rosto e responsabilidade indicam concretamente a ética levinasiana que se caracteriza como uma ética da responsabilidade diante do rosto do outro que me interpela. O tema da
nossa pesquisa se conclui com uma aproximação desta ética à América
Latina para indicar que existe uma correspondência entre o pensar levinasiano e a realidade concreta latino-americana. Neste sentido, diante do rosto miserável do outro devo tornar-me responsável.
STORTO, Luigi (Italia, diocesi di Roma): L’imperativo etico dell’accoglienza nell’opera e negli scritti di Don Luigi di Liegro – 19 dicembre
2009; Moderatore: Prof. Sabatino Majorano
Dopo un ampio capitolo sulla Chiesa italiana del dopo Concilio,
chiamata ad essere testimone della carità di Cristo davanti alla società contemporanea, il candidato ha studiato la Chiesa di Roma da
Paolo VI a Benedetto XVI, evidenziandone il progressivo distacco
dalla dipendenza della centralità della Santa Sede fino a divenire una
Chiesa diocesana vera e propria. Insieme con papa Montini e Giovanni Paolo II e i Cardinali vicari Ugo Poletti e Camillo Ruini,
emerge la figura di un sacerdote romano Don Luigi Di Liegro (19281997) che, meglio di ogni altro, ha saputo interpretare l’anima della
città negli ultimi trenta anni di un secolo che è stato lungo, difficile
e contraddittorio. Lo ha fatto da sacerdote e da cittadino, riscopren-
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do le antiche e nuove povertà e ponendosi al servizio degli ultimi con
i suoi scritti e soprattutto con le sue opere. L’autore ha potuto consultare molti scritti ancora inediti, rilevando un appassionato impegno di ascolto, di denuncia dei ritardi negli interventi e di condivisione con i più deboli, usando tutti gli strumenti che poteva avere a
disposizione.
TENG, Woon Pheng (Malaysia, diocesi di Melata-Johor): Be Merciful: The Tragedy and Productive Power of Suffering Humanum in E. Schillebeeckx and the Analects of Confucius. An Ethical Analysis of Themes on
Being Human – 5 giugno 2009; Moderatore: Prof. Raphael Gallagher
I explore the understanding, development and practice of mercy
in Western (Judeo-Christian, Greco-Roman) and Eastern (ChineseConfucian) traditions in terms of their selected textual ‘canon’ and
contextual interpretation. The common characteristics of the investigated concepts hesed, eleos, clementia, ren, xiao-ti, junzi are correlated to the negative contrast experience of human suffering with the
help of E. Schillebeeckx. The dialectical tension of contrast experiences ground the moral imperative in its ‘immediate, concrete, inner
meaning’ that generates positive action to remove the causes of suffering. The tragic, critical, and productive power of suffering is seen
in the light of the desirable, but threatened humanum. There is a natural, asymmetrical mutual kinship-in-flesh, yet extensive ties which
can negotiate between ‘orthodoxy,’ ‘orthopathy,’ and ‘orthopraxy’
that work for human flourishing.
VULETIC, Suzana (Croazia, diocesi di Dakovo): La sfida della salute e il personalismo medico con particolare riferimento alla situazione croata – 18 giugno 2009; Moderatore: Prof. Maurizio Faggioni
La tesi riflette sull’etica medica contemporanea, indebolita e ammalata nella sua propria identità umanitaria, che non sembra riuscire
più ad essere a pieno servizio della vita. Si parla di ri/umanizzazione
dell’assistenza sanitaria attraverso il prisma della medicina basata su
un’antropologia personalista, che permetterà, nel rispetto della plu-
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ralità dei “valori” etici, di sviluppare atteggiamenti più attenti alla dignità umana e alla tutela della vita e della salute. Inoltre si cerca di indirizzare la riforma sanitaria croata verso alcuni principi proposti da
parte delle Organizzazioni Internazionali per la difesa e il rispetto dei
pazienti e sotto l’impulso della Chiesa, per realizzare una medicina
sostenibile e moralmente accettabile secondo giustizia e umanità, di
un servizio sanitario onestamente rispettoso dei beni fondamentali
dell’uomo.
9.2. Dottori proclamati
Durante l’anno accademico 2008-2009, 22 studenti, ai quali è stato conferito il titolo di dottore in teologia con specializzazione in
teologia morale, hanno pubblicato, alcuni in versione integrale, la loro tesi dottorale:
ACOSTA LÓPEZ, Orlando René, Lectura teológica moral del martirio de Michael Tomaszek, Zbigniew Strzalkowski y Alessandro Dordi.
Significado y alcance de las virtudes teologales. Excerpta, Roma 2009,
146 pp.
BIZIMANA, Georges, La pastorale des communautés ecclésiales de base
comme voie d’éducation à la justice et au pardon en vue de la réconciliation du peuple burundais. Excerpta, Roma 2008, 262 pp.
CHITTUPARAMBIL, Francis, The Human Body in Christian and
Hindu Perspectives: A Dialogue for a Foundation in Indian Biomedical
Ethics. Excerpta, Roma 2009, 132 pp.
ĆURKOVIĆ, Jasna, Etica della memoria. Una proposta sull’esercizio
della memoria. Excerpta, Roma 2008, 139 pp.
DUGANDZIC, Peter, A Secular “Faith in Progress ” and a Catholic
Anthropology in the United States with Reference to Sexual Morality in
the Writings of Paul Kurtz and Karol Wojtyla / John Paul II. Roma
2008, 294 pp.
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EL TERS, Georges, La prévention du SIDA au Liban: Évalutation
bioéthique et propositions éducatives. Excerpta, Roma 2009, 136 pp.
FERREIRA DA SILVA, Wagner, A contribuição dos novos movimentos
eclesiais na formação da consciência moral: uma análise da experiência da
Comunidade Canção Nova no Brasil. Excerpta, Roma 2009, 129 pp.
GANNON, Brian Patrick, Towards a Greater Emphasis of Grace in the
Moral Life: The Thought of Servais Pinckaers, o.p., in Conjunction
with the Catechism of the Catholic Church. Roma 2009, 333 pp.
GIOENI, Anna Rosaria, La sollecitudine chiave di lettura dell’universo
femminile. Contributo della teologia femminista e del Magistero Pontificio dagli anni ‘60 all’inizio del terzo millennio. Excerpta, Roma
2009, 102 pp.
GÓMEZ VARGAS, Francisco, La persona del emigrante-inmigrante
de frente a la globalización. Dimensión ética y pastoral. Excerpta, Roma 2009, 151 pp.
GORCZYNSKI, Krzysztof, Persona ed etica nella filosofia fenomenologica di Roman Ingarden. Roma 2009, 339 pp.
IGIRUKWAYO, Antoine M. Z., Agir dans le Christ. Contribution
d’Émile Mersch à la fondation de la morale chrétienne. Excerpta, Roma 2009, 254 pp.
KIM, In Hye, Matrimonio via di santificazione, famiglia piccola chiesa e
comunità d’amore in Igino Giordani. Excerpta, Roma 2009, 273 pp.
KOOPMAN, Joseph, Christ or Dionysus: The Moral Contribution of
René Girard to the Modern Crises of Violence and Relativism. Roma
2009, 318 pp.
MEENPUZHACKAL, Joseph, Dietrich von Hildebrand’s Understanding of Marriage. A Moral Analysis of the Meaning of Love and Intimacy between Man and Woman. Excerpta, Roma 2009, 213 pp.
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NDELACHO, Daudi Bernard Msaki, Preparation for Christian Marriage among the Present-day Tanzanian Christians: Towards an Integration of the Traditional Approach among the Chagga with the Roman
Catholic Approach. Excerpta, Roma 2009, 136 pp.
NDREMANDINY, Christophe, Fihavanana e solidarietà cristiana
nella società globalizzata in Madagascar. Excerpta, Roma 2008, 88
pp.
NGUYEN, Van Tuan, La famiglia come comunità di amore al servizio
della vita: possibilità e sfide nell’attuale cambiamento sociale del Vietnam. Excerpta, Roma 2009, 118 pp.
POOPPANA, Jude Joseph, The Eucharist and the Commandment of
love: A study on the sacrament as a pre-eminent expression of philia/
communion realized through koinonia, diakonia, and martyria. Excerpta, Roma 2009, 98 pp.
RESENDE, Nilson de Paula, “Eubiosia” e a promoção humana. Uma
análise ético-teológica na ação pastoral no Brasil. Excerpta, Roma
2009, 103 pp.
SILVA FERREIRA, José Domingos, Rosto e Responsabilidade. A ética
da alteridade em Emmanuel Lévinas: uma aproximação à América Latina. Excerpta, Roma 2009, 150 pp.
STORTO, Luigi, L’imperativo etico dell’accoglienza nell’opera e negli
scritti di Don Luigi di Liegro. Excerpta, Roma 2009, 144 pp.
9.3. Licenziati in teologia morale
Durante l’anno accademico 2008-2009, 64 studenti hanno ottenuto la licenza in teologia morale:
ABDOU, Atef Abouel Kheir (Egitto – o.f.m.): L’eutanasia: aspetti etici tra cultura d’oggi e responsabilità umane.
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AMADO PARRA, Gerardo (Colombia – c.i.m.): Enfermedad humana y ética: una reflexión teológico-pastoral.
ASCANI, Ascanio (Italia – diocesi di Tivoli): Il rapporto verità libertà: Dimensioni morale, psicologica e teologico-antropologica.
BARBOSA DIAS, Hélio (Brasile – diocesi di Coroata): Família e
formação moral no Brasil hoje, segundo as indicações do Celam e CNBB.
BENZI, Lorenzo (Italia – f.d.p.): Il Capitalismo e la Centesimus Annus.
BERNARDO DE LIMA, Ronaldo (Brasile – diocesi di Pesqueira):
A “terapia do Amor” proposta por João Paulo II, para o crescimento moral de pessoas em dificuldades: Uma resposta à recuperação de usuários de
drogas no Brasil.
BOSSERT, Goetz (Germania – diocesi di Freiburg): The challenge of
the Church to promote solidarity in an increasingly secularized society.
BOTELLO URIBE, José David (Messico – diocesi di Tula): La calidad de la vida humana. Significado y uso del concepto desde la perspectiva cristiana.
BOYER, Landry (Francia – diocesi di Papeete): La physionomie éthique de la vocation au mariage et son enracinement ecclésiologique et
théologique.
CALEFFI, Simone (Italia – diocesi di Roma): La speranza nel Magistero recente della Chiesa.
CHANGETH, Geevarghese (India – diocesi di Marthandam): The
Moral Meaning of Human Sexuality in the Life of Consecrated Celibates.
D’HEREAUX, Matthew Anthony (Trinidad e Tobago – diocesi di
Port of Spain): A Pastoral Response to a few marginal groups who have not benefitted from the evolution of Human Rights.
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DA SILVA ARAUJO JUNIOR, Oton (Brasile – o.f.m.): A conversão
à luz dos escritos de São Francisco de Assis.
DE MELO JUNIOR, Menete Severiano (Brasile – diocesi di Penedo): Co-responsabilidade em favor da vida. A bioética na perspectiva da
educação e da formação da consciência no Brasil hoje, à luz da Evangelium Vitae.
ELÍAS STANG, Hugo Ariel (Argentina – c.ss.r.): Sensus fidelium y
vida cristiana. La importancia de un concepto tradicional para el discernimiento creyente de los desafíos éticos actuales.
FERLA, Anésio (Brasile – p.s.d.p.): Promover uma cultura de vida na
realidade brasileira em resposta à cultura de morte.
FIORAVANTI, Loreto (Italia – o.f.m.): L’anzianità. Questioni antropologiche ed etiche.
FIORELLI, Paolo (Italia – diocesi di Roma): La carità in alcuni saggi di teologia contemporanea e nell’enciclica Deus Caritas est di Benedetto XVI.
GANG, Dongke (Cina – diocesi di Xingtai): La missione educativa dei
genitori secondo la Familiaris Consortio con riferimento particolare alla
cultura cinese.
GOMES, Ademildo (Brasile – o.a.r.): Cristãos comprometidos e a homossexualidade: orientações formativas e pastorais.
GOMES, Rogério (Brasile – c.ss.r.): A vulnerabilidade humana e a técnica: uma leitura em chave bioética.
HALABICOVA, Vera (Repubblica Ceca – s.c.b.): Aspetti antropologici-etici della procreazione umana medicalmente assistita.
HARTONO, Hibertus (Indonesia – m.s.f.): Il cammino dell’amore
della vita famigliare nel libro di Tobia. Un modello per le giovani coppie
in Indonesia d’oggi.
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HRISHCHENKO, Ihor (Ucraina – diocesi di Kyiv): L’aspetto etico
della sperimentazione sulle cellule staminali embrionali.
JOHN STANLEY, Sahayaraj (India – s.j.): Corporate Social Responsibility – Towards an Ethical Future (with a special reference to the Catholic Social Teaching).
JOSEPH, Rengith (India – diocesi di Thamarassery): The Role of Catholic Parents in the Moral Formation of their Children with Special
Reference to the Present Family Problems in Kerala.
JUNDOS, Ruel (Filippine – diocesi di Bacolod): The Moral Implication of the “Diakonia” of the Truth in the Fides et ratio of Pope John
Paul II.
KATANCHERRY A., Peter Tajish (India – O. de. M.): The Human
Person and his Dignity in Relation to his Action and Truth in Karol
Wojtyla’s “Acting Person” and “Love and Responsibility”.
KHUDER, Saadi M. Khuder (Irak – diocesi di Bagdad): Il consenso
matrimoniale tra atto di volontà e l’amore coniugale.
KMEC, Jozef (Slovacchia – diocesi di Kosice): Il desiderio di felicità e
il fine ultimo.
KUTLESA, Mislav (Croazia – diocesi di Zagabria): Il giuramento
d’Ippocrate alla luce del Magistero della Chiesa Cattolica.
LE, Luan (Australia – o.f.m.cap.): John Paul II: A Theology of the Body.
His Anthropological and Theological Approaches to the Concepts of the
Human Person, Relationship and Marriage.
LINA, Paskalis (Indonesia – s.v.d.): The Roman Catholic Church’s Position on Capital Punishment: Some Moral Assessments for a Culture
of Life.
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LOPES, Magnus Henrique (Brasile – o.f.m.cap.): A dignidade da pessoa humana e a homossexualidade: do conhecimento ao acolhimento, um
caminho pastoral.
LUNARDON, Gianfranco (Italia – m.i.): Senso del soffrire e compito
della coscienza. L’ermeneutica della malattia e del dolore nella cultura
contemporanea.
MANCUSO, Antonio (Italia – diocesi di Palermo): Bioetica e disabilità. Aspetti antropologici, etici e pastorali nel contesto italiano.
MANIWANG, Macwayne (Filippine – c.i.c.m.): A Moral Perspective
to the Two Approaches to Female Prostitution: Regulation and Abolition.
MARTÍNEZ VÁSQUEZ, Jonny (Perù – c.p.): Informe final de la
Comisión de la Verdad y de la Reconcliación (2003). Aspectos morales de
la reconciliación peruana.
MEJÍA ORTIZ, Julio Miguel (Ecuador – diocesi di Santo Domingo C.L.D.): La esterilización quirúrgica femenina como método de contracepción.
MELONI, Stefano (Italia – diocesi di Roma): La formazione all’impegno caritativo. I percorsi proposti dalla Caritas diocesana di Roma in
questi ultimi anni.
MONTESINO DELGADO, Heres Gabriel (Repubblica Dominicana – diocesi di Mao-Montecristi): Dimensión ética del Estado en la
Enciclica Pacem in terris.
MOSKAL, Dariusz (Polonia – r.c.j.): Maturità affettiva dei candidati
al presbiterato secondo la teoria dell’attaccamento e Pastores Dabo Vobis.
ODUBELA, Ademola Michael (Nigeria – o.s.j.): Man’s quest for truth
and the challenge of advertising.
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OKUTA, Ignatius Chikwado (Nigeria – diocesi di Enugu): Character Education and Moral Development according to William K. Kilpatrick. A Critical Approach in the Light of the recent Teaching of the
Church on Education.
PATZÁN LAROJ, Víctor Aníbal (Guatemala – diocesi di Guatemala): El acto conyugal: su significado unitivo y procreativo a la luz de la
Humanae Vitae.
PENDANATHU THOMAS, Sebastian (India – o.f.m.conv.): The
Church’s Teaching on Human Sexuality, Marriage and the Ethics of
Human Cloning.
POROKHONKO, Petro (Ucraina – diocesi di Ternopil): La morale
matrimoniale nel contesto del sistema del diritto matrimoniale in Ucraina.
QIAN, Li (Cina – diocesi di Jilin): L’educazione morale sessuale per i
giovani cattolici contemporanei nella Chiesa Cattolica in Cina.
REIGADAS RAMÓN, Ángel (Spagna – diocesi di Maiorca): Estudio de algunas cuestiones morales que plantea la novela Crimen y Castigo de F. Dostoievski.
RODRÍGUEZ RODRÍGUEZ, Santiago (Repubblica Dominicana
– diocesi di Puerto Plata): La perfección cristiana de la pareja a la luz
de la Gaudium et spes (46-52). Una reflexión teológico-pastoral.
ROMERO VÍQUEZ, Mauricio Antonio (Costa Rica – o.f.m.cap.):
Conocimiento moral para el acompañamiento ético-pastoral de personas
homosexuales.
RUHLAND, Kristin Irene (U.S.A. – r.s.m.): Person and Virtue in the
Summa Theologica of Saint Thomas Aquinas.
SAVURIMUTHU, Arockia Dass (India – o.f.m.cap.): A Critical
Evaluation on Medical Paternalism and Patient’s Autonomy.
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SCHRAGE COMENCINI, Marco Helmut (Germania – diocesi di
Osnabruck): Die Comece und der europäische Verfassungskonvent. Der
Beitrag der katholischen Kirche unter besonderer Berücksichtigung der
Aspekte der Solidarität und Subsidiarität.
SCIARILLO, Gianluca (Italia – o.f.m.): L’eucaristia fonte e culmine della vita cristiana: prospettive magisteriali ed esperienza di san Francesco.
SHABA, Azad Sabri (Irak – diocesi di Erbil): L’etica del dialogo interreligioso tra cristiani e musulmani.
SPAVIERO, Paolo (Italia – diocesi di Latina): Il fondamento cristologico della coscienza nel pensiero di J. H. Newman. Analisi della lettera
al Duca di Norfolk.
TAWFIK KALDAS, Hanna Seddik (Egitto – diocesi di Ismailia):
Re-imagining Marriage among Egyptian Christians: from the “Hymen
Obsession” to the “Domestic Church”.
THAVAMANICKAM, Lawrence (India – o.f.m.cap.): The Dalit Families in the Tamil Catholic Church. The Problems and the Proposals.
THERA, Esther (Mali – f.i.c.m.): Stérilité et fécondation artificielle.
Perspectives d’une éthique de la procréation au Mali.
TRACANNA, Claudio (Italia – diocesi di L’Aquila): Le dichiarazioni
anticipate di trattamento con particolare riferimento alla situazione italiana.
VAN ANTWERPEN, Marinus Johannes (Australia – diocesi di
Adelaide): The Moral Implications of Judith Rich Harris’ Hypothesis of
Human Formation.
VITIELLO, Patrizio (Italia – diocesi di Albano Laziale): Rapporto tra
coscienza e legge negli scritti di Domenico Capone.
WARZYNSKI, Waldemar Dariusz (Polonia – c.ss.r.): “L’incontro” come categoria etica centrale nel pensiero evangelico di Aleksandr Men’.
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Books Received / Libros recibidos
Libri ricevuti
ARCE RICHARD, La recepción del Concilio Vaticano II en la Arquidiócesis
de Montevideo (1965-1985), Disertación para el Doctorado en la Facultad de Teología de la Pontificia Universidad Gregoriana, Doble
Clic Editoras, Montevideo 2008, 495 p.
BATTISTELLA GRAZIANO (a cura di), Migrazioni. Questioni etiche,
(Quaderni Simi 6), Urbaniana University Press, Roma 2008, 261 p.
BENTELE KATRIN, STEIMBACH-STEINS MARIANNE, HILPERT KONRAD, MAIER HANS, MÜNK HANS J. (Hrsg.), Theologie und Menschenrechte, (Theologische Berichte 31), Paulusverlag Freiburg Schweiz,
Freiburg Schweiz 2008, 266 p.
BORRIELLO LUIGI, Esperienza mistica e teologia mistica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, 290 p.
BROWNING DON S., Etica cristiana e psicologie morali (titolo originale:
Christian Ethics and the Moral Psychologies), EDB, Bologna 2009,
342 p.
BUSCEMI PASQUALE, Un vescovo in dialogo con la sua chiesa: Mario Sturzo e le sue lettere pastorali, (Documenti e Studi di Synaxis 21), Studio
Teologico S. Paolo, Catania 2008, 253 p.
CARLOTTI PAOLO, L’altezza della vocazione dei fedeli in Cristo. Teologia
morale e spirituale in dialogo, LAS, Roma 2008, 139 p.
CONILL SANCHO JESÚS, Dalla legge naturale all’universalismo ermeneutico, (Quaderni di Filosofia. Nuova Serie 7), Pontificia Facoltà Teologica Dell’Italia Meridionale. Sezione S. Tommaso D’Aquino – Napoli, Campania Notizie Srl, Editoriale Comunicazioni Sociali, Napoli 2009, 33 p.
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BOOKS RECEIVED / LIBROS RECIBIDOS / LIBRI RICEVUTI
CONSOLI SALVATORE E FINOCCHIARO CARMELO (a cura di), Frate Gabriele Maria Allegra. Tra Cina e Sicilia. Bibbia e spiritualità, (Atti del
Convegno di studi organizzato dall’Ordo Fratrum Minorum Provincia Siciliane “Santissimi nominis Jesu” e dallo Studio Teologico S.
Paolo), (Quaderni di Synaxis 22, Synaxis XXVI/2 – 2008), Giunti,
Studio Teologico S. Paolo, Catania 2008, 188 p.
CORBELLA CARLA, Resistere o andarsene? Teologia e psicologia di fronte
alla fedeltà nelle scelte di vita, EDB, Bologna 2009, 190 p.
DIJON XAVIER, Les droits tournés vers l’homme, CERF, Paris 2009, 170 p.
DOS SANTOS EUNICE, La morte mistica in san Paolo della Croce, Città
Nuova Editrice, Roma 2007, 169 p.
FERRERO MICHELE – SPATARO ROBERTO (editors), Saint Paul. Educator to faith and love, Studium Theologicum Salesianum “SS Peter and
Paul”, Jerusalem 2008, 230 p.
GALINDO GARCÍA ÁNGEL (Coord.), Hacia una teología de la familia,
Universidad Pontificia de Salamanca 2009, 367 p.
GHIBERTI GIUSEPPE (a cura di), Paolo di Tarso a 2000 anni dalla nascita, (Studia Taurinensia 28), Effatà Editrice, Cantalupa 2009, 426 p.
GROCHOLEWSKI ZENON, Refleksje na temat prawa. Prawo naturalne.
Filozofia prawa, Homo Dei, Kraków 2009, 101 p.
KEENAN JAMES F. (a cura di), Etica Teologica cattolica nella Chiesa universale. Atti del primo Congresso interculturale di teologia morale, EDB,
Bologna 2009, 376 p.
MACHINEK MARIAN, Spór o status ludzkiego embrionu, Wydawnictwo
Uniwersytetu Warminsko-Mazurskiego, Olsztyn 2007, 401 p.
MEALEY ANN MARIE, The Identity of Christian Morality, (Ashgate new
critical thinking in religion, theology and biblical studies), ASHGATE, Burlington 2009, 187 p.
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BOOKS RECEIVED / LIBROS RECIBIDOS / LIBRI RICEVUTI
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MERLO PAOLO, Fondamenti e temi di bioetica, (Nuova Biblioteca di
Scienze Religiose 12), LAS, Roma 2009, 375 p.
MOVIMENTO PRO SANCTITATE (a cura di), Vita teologale vita nello Spirito (Atti del III Convegno di Studi su Guglielmo Giaquinta, Roma 1
dicembre 2007), Edizioni Pro sanctitate, Roma 2008, 108 p.
NERVO GIOVANNI, Giustizia e pace si baceranno. Educare alla giustizia,
Edizioni Messaggero Padova, Padova 2009, 99 p.
PASQUALE GIANLUIGI, The History of Salvation. For a Word of Salvation
in History, Academia Verlag, Sankt Augustin 2009, 159 p.
PETRA’ BASILIO, La contraccezione nella tradizione ortodossa. Forza della
realtà e mediazione pastorale, EDB, Bologna 2009, 133 p.
PIFFARI PIETRO, Alla scoperta del mistero cristiano. Un coerente metodo
storico-trascendentale nel dialogo tra ragione e fede, Edizioni Cantagalli,
Siena 2008, 367 p.
PUENTE LÓPEZ JULIO, Ferdinand Ebner. Testigo de la luz y profeta, Revista “Estudios”, Madrid 20082, 489 p.
RUSSO GIOVANNI (ed.), Bioetica medica. Per medici e professionisti della
sanità, Editrice Coop. S. Tom, Messina 2009 e Editrice Elledici, Leumann 2009, 431 p.
RUSSO GIOVANNI (ed.), Dignitas personae. Commenti all’istruzione su
alcune questioni di bioetica, Editrice Coop. S. Tom, Messina 2009 e
Editrice Elledici, Leumann 2009, 315 p.
SANNA IGNAZIO (ed.), Emergenze umanistiche e fondamentalismi religiosi. Con quale dialogo? (La dialettica 31), Edizioni Studium, Roma
2008, 204 p.
TERRACCIANO ANTONIO (a cura di), Attese e figure di salvezza oggi, (Biblioteca Teologica Napoletana), Pontificia Facoltà Teologica dell’Ita-
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BOOKS RECEIVED / LIBROS RECIBIDOS / LIBRI RICEVUTI
lia Meridionale. Sezione S. Tommaso D’Aquino – Napoli, Campania
Notizie Srl, Editoriale Comunicazioni Sociali, Napoli 2009, 338 p.
VERGANO GIANCARLO, La forza della grazia. La teoria della causalità
sacramentale di L. Billot, Cittadella Editrice, Assisi 2008, 312 p.
VETRALI TECLE (a cura di), La santità terreno di unità, (Quaderni di
Studi Ecumenici, 18), I.S.E. “San Bernardino”, Venezia 2009, 234 p.
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INDEX OF VOLUME 47 (2009)
ÍNDICE DEL VOLUMEN 47 (2009)
INDICE DEL VOLUME 47 (2009)
In Memoriam
WITASZEK Gabriel, Cenni biografici del professore Santino
Raponi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
327
OWCZARSKI Adam, Pubblicazioni del professore Santino Raponi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 329-337
Articles / Artículos / Articoli
AMARANTE V. Alfonso, Istruzione al Popolo. La proposta catechetica alfonsiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
COZZOLI Mauro, Eucharist and moral life in the teaching of
Benedict XVI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
COZZOLI Mauro, Caritas in veritate. Il nesso tra carità e verità
DEL MISSIER Giovanni, Dignitas personae. Logica della tecnologia e logica della persona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
FAGGIONI P. Maurizio, La natura fluida. Le sfide dell’ibridazione, della transgenesi, del transumanesimo . . . . . . . . . . .
KELLY J. Anthony, The Global Significance of Natural Law
A Communications Problem? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
KOWALSKI Edmund, Tecniche di fecondazione artificiale. Aiuto o sostituzione dell’atto coniugale? . . . . . . . . . . . . . . . . .
LADARIA F. Luis, Dignitas personae. Alcuni elementi di antropologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
MACDONALD Sebastian, “Means testing” for reliable moral
analysis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
PARISI Faustino, Il valore della virtù della prudenza in Domenico Capone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
SPINDELBÖCK Josef, Sittliche Kriterien der Organspende beim
Menschen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
75-97
127-139
459-472
361-385
387-436
141-168
437-457
339-353
169-200
99-125
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INDEX OF VOLUME 47 (2009)
TREMBLAY Réal, Pourquoi le Magistère de l’Église est-il pour
la vie? Note en marge de l’Instruction Dignitas personae . . 355-360
TRISOGLIO Francesco, San Giovanni Climaco: la dottrina mo39-74
rale e ascetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
VIOTTI Sebastiano, Un dovere negletto: date a Cesare . . . . . 201-235
WITASZEK Gabriel, L’alleanza dimenticata. Richiamo etico dei
7-37
profeti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Reviews / Recensiones / Recensioni
CONIGLIARO Francesco, Proceduralità e Trascendentalità in J.
Habermas (Alfonso V. Amarante) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
DE TAVERNIER Johan – SELLING Joseph – VERSTRAETEN Johan
– SCHOTMANS Paul (eds.), Responsibility, God and Society.
Theological Ethics in Dialogue. Festschrift Roger Burggraeve
(Martin McKeever) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
DIANIN Giampaolo – PELLIZZARO Giuseppe (a cura di), La Famiglia nella cultura della provvisorietà (J. Silvio Botero G.)
GROCHOLEWSKI Zenon, La legge naturale nella dottrina della
Chiesa (a cura di Luigi Cirillo) (Raphael Gallagher) . . . . . .
HUNG MANH TRAN Peter, Advancing the Culture of Death: Euthanasia and Physician-Assisted Suicide (Walter Black) . . . . .
LÁZARO PULIDO Manuel (Editor), Mujer y realidad del aborto: un
enfoque multidisciplinar. Actas del I. Congreso Internacional Multidisciplinar ‘Mujer y realidad del aborto’ (J. Silvio Botero G.)
LÁZARO PULIDO Manuel – PIÑERO Ramón de LA TRINIDAD
(Editores), Jesús de Nazaret. Pensando desde Joseph RatzingerBenedicto XVI (J. Silvio Botero G.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
MEALEY Ann Marie, The Identity of Christian Morality (Terence Kennedy) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
MERLO Paolo, Fondamenti e temi di bioetica (Edmund Kowalski)
MATTISON III, William C. Introducing Moral Theology: True
Happiness and the Virtues (Dennis J. Billy) . . . . . . . . . . . . . .
PASINATO Matteo, Morale e «Christus totus». Etica, cristologia ed
ecclesiologia in Émile Mersch (Jules Mimeault) . . . . . . . . . . .
VANSINA Frans D. in collaboration with VANDECASTEELE Pieter, Paul Ricoeur, Bibliographie primaire et secondaire. Primary
and Secondary Bibliography 1935-2008 (Martin McKeever)
265-268
268-272
473-475
272-274
275-278
279-282
282-285
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Book Presentation / Presentación del libro
Presentazione del libro
KENNEDY Terence, Praticare la parola . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
COZZOLI Mauro, L’ascesa dell’uomo al Dio vivente . . . . .
SCHMITZ Philipp, La vita umana degna del Vangelo . . . . .
KENNEDY Terence, “Siate di quelli che mettono in pratica
la Parola” (Gc 1, 22) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
291-304
291-297
298-302
303-304
International Conference / Congreso Internacional
Congresso Internazionale
DEL NIN Franco e DEL MISSIER Giovanni, La teologia morale e
il dialogo interreligioso. Cronaca del Seminario estivo dell’Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale (ATISM) (Mazara del Vallo, 6-10 luglio 2009) . . . . . . . . 489-498
FAGGIONI P. Maurizio, Le nuove frontiere delle genetica e il rischio
dell’eugenetica. Resoconto del Congresso in occasione della
XV Assemblea della Pontificia Accademia per la Vita (Roma, 20-21 febbraio 2009) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 305-314
Chronicle / Crónica / Cronaca
GROS Danielle, Cronaca dell’Accademia Alfonsiana relativa
all’Anno Accademico 2008-2009 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 499-530
Books Received / Libros recibidos / Libri ricevuti . . . . .
531-534
Index of volume 47 (2009) / Índice del volumen 47 (2009)
/ Indice del volume 47 (2009) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 535-537
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Realizzazione editoriale
SERVIZI INTEGRATI PER LA GRAFICA,
LA STAMPA E L’EDITORIA
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