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Il Demone
Delia Tannino
Questo romanzo è dedicato a mia madre Anna.
Quando ho cominciato a scriverlo lei era ancora in vita,
ora che è finito lo è ancora, nel mio cuore.
Grazie per aver creduto in me, sempre e comunque.
Capitolo 1
Un’altra goccia cadde nella piccola pozza deturpandone il
riflesso che, dopo qualche istante, tornò a essere nitido.
Sull’acqua si delineò nuovamente il volto di quell’uomo che
doveva avere fra i venticinque e i trent’anni. I capelli lunghi
poco meno che fin sopra le spalle, i tratti piuttosto femminei e
gli occhi fra il verde chiaro e l’azzurro. Chiunque,
osservandolo, avrebbe potuto notare che in lui c’era qualcosa
di oscuro.
Distolse lo sguardo dalla pozzanghera su cui era chino: si tirò
su e proseguì per la sua strada, anche se ancora non sapeva
dove o da chi l’avrebbe condotto. Non importava, presto
avrebbe saputo, il suo “lavoro” era così.
Erano all’incirca le cinque del mattino, per le strade c’erano
ben poche persone e qualche auto passava di tanto in tanto,
ma lui non era minimamente interessato a ciò che accadeva
all’esterno; rapito com’era dai suoi pensieri, tutto ciò che lo
circondava gli scivolava addosso, ignorava ogni cosa. Si stava
dirigendo verso il ciglio del marciapiede quando qualcosa
attirò la sua attenzione: poco più avanti una ragazza
completamente vestita di nero stava per attraversare la strada.
Lei non se n’era accorta, ma una macchina stava arrivando a
tutta velocità.
Desdemona per l’ennesima volta si rigirò nel suo letto; non
aveva chiuso occhio per tutta la notte, ma nonostante
l’enorme stanchezza non riusciva a prendere sonno. Voltò il
capo verso la radiosveglia sul comodino di fianco al letto,
erano le tre e mezzo di notte; o forse sarebbe stato meglio dire
di mattina?
Sospirò stropicciandosi gli occhi, si mise a sedere sul letto,
cercò a tentoni il telecomando e dopo qualche istante accese la
televisione.
Una breve sigla annunciò un’edizione straordinaria del
telegiornale, una donna bionda, dall’aspetto talmente ordinato
da essere irritante, cominciò a parlare con aria agitata:
«Edizione straordinaria! Il serial killer di Levran ha colpito
nuovamente poche ore fa. Le vittime questa volta sono due:
una donna e sua figlia, di appena cinque anni. Come nei
precedenti casi, sembra che l’assassino abbia colpito usando
scariche elettriche. La polizia e la scientifica non riescono però
ancora a capire come abbia fatto, di che tipo di arma si sia
servito...».
La ragazza spense il televisore sbuffando, buttò nuovamente il
telecomando sul letto, decise di uscire.
Si alzò e si avvicinò all’enorme vetrata che si affacciava sulla
città; al contatto con essa si sentì attraversata da un
inspiegabile e profondo gelo. Quell’ambiente, quelle luci... le
sembravano così distanti...
La familiare insegna verde di un pub lampeggiava metri e metri
sotto di lei: “Il Giardino Incantato”. Le strade erano costellate
di cartelloni pubblicitari tramite i quali qualcuno cercava di
rifilare alla gente l’ultima idiozia figlia del mercato; colorati o
con foto in bianco e nero, artistiche o meno, di questa o di
quell’altra modella. Il quartiere “alto” di Levran si assopiva, ma
non dormiva mai, non si fermava mai; lei invece si sentiva
pietrificata da tempo.
Il viso un po’ tondeggiante, labbra carnose, lunghi capelli
mossi castani, dello stesso colore dei suoi occhi. Di certo non
era come quelle modelle, era troppo abbondante – seno
compreso – per essere una di loro, ma non si riteneva brutta.
Era da molto, tuttavia, che non pensava davvero al suo aspetto
estetico; non le importava più di tanto, a dire il vero.
Si voltò verso il suo appartamento in penombra. Non c’era di
che lamentarsi, era piuttosto lussuoso, di certo bizzarro, ma
lussuoso. Sembrava che in un unico grande salone fossero
state mescolate tutte le stanze della casa, ma l’arredamento era
stato talmente ben disposto che, più che un senso di
confusione, la cosa dava una sensazione di completezza.
Naturalmente faceva eccezione il bagno, verso cui si diresse.
Quando vide il suo riflesso nello specchio a forma di
conchiglia sopra al lavandino scosse leggermente il capo; sul
viso aveva ancora i segni del cuscino.
Quando ebbe finito di prepararsi uscì chiudendo la porta con
tre mandate. Era vestita di nero, come sempre. Le unghie
lunghe coperte da smalto dello stesso colore. Con aria
svogliata entrò nell’ascensore, abitava al quindicesimo piano e
non aveva nessuna intenzione di fare le scale a piedi. Arrivata
al piano terra, con un gesto vago salutò il portinaio senza però
degnarlo di uno sguardo; in effetti lo fece più per abitudine
che non per educazione. Si fermò per la prima volta a pensare
che la portineria veniva sorvegliata persino a quell’ora. Nel
giro di poco si ritrovò a vagare per strade e vicoli senza badare
a dove stesse andando; tutte le sue esperienze, i ricordi e le
emozioni si accumulavano in un’unica grande matassa, resa
ancor più intricata dal torpore dovuto alla mancanza di riposo.
E poi i suoi genitori... Dove diavolo erano i suoi genitori
quando aveva bisogno di loro? Troppo comodo mettere al
mondo una figlia e poi parcheggiarla in un appartamento
perché tanto “non le manca niente”. Dov’erano andati questa
volta? Neppure se lo ricordava, era impossibile tenere il conto
dei loro viaggi.
Stava per attraversare la strada quando si spaventò a morte:
sentì due braccia afferrarla per la vita e tirarla indietro, poi vide
un’automobile sfrecciare pochi centimetri davanti a sé; realizzò
in quel momento di aver rischiato di essere investita, e di
essere stata salvata da qualcuno.
Voltandosi si ritrovò di fronte un uomo piuttosto alto dai
capelli lunghi; Desdemona non aveva mai visto occhi come i
suoi, verde ghiaccio e poi... Quell’espressione...
«G... grazie» balbettò, ancora visibilmente spaventata.
L’uomo sembrava stupito di ciò che lui stesso aveva appena
fatto.
«Sta’ più attenta» disse con aria confusa mentre già andava via.
La ragazza avrebbe voluto chiedergli di aspettare ma la voce si
rifiutava di venir fuori dalla gola. Non era solo per ciò che le
era appena accaduto; non sarebbe stata in grado di spiegare
esattamente il suo stato d’animo, ma sapeva che era stato lui a
causarlo. Lui... a proposito, qual era il suo nome? Non aveva
neppure avuto il tempo di chiedergli questo.
“Ma che diavolo mi è saltato in mente?” si chiedeva lui che si
stava allontanando a passo svelto. “Che mi è preso?”.
Non aveva niente contro la ragazza, ma quell’azione che gli era
stata dettata dall’istinto in qualche modo lo turbava: dopo
tanto tempo quel lato di lui si ostinava ancora a sopravvivere.
Gli unici risultati erano il nervosismo e il tormento che si
portava dentro.
Prese da una tasca un accendino e un pacchetto di sigarette,
poi ne accese una. Quando fumava il suo aspetto era ancora
più inquietante. Tirava lunghe boccate, aveva uno sguardo
tagliente, era come se nei suoi occhi fossero racchiusi
contemporaneamente il gelo e le fiamme dell’Inferno. Arrivò
davanti a un parco e capì che quella era la sua destinazione.
Evidentemente anche nei quartieri alti le cose non andavano
poi così bene. Chissà chi lo aspettava dietro quel cancello
ornato da rampicanti di un verde lussureggiante.
Prese il viale che conduceva all’interno, continuò a fumare
camminando senza fretta, scrutando le persone intorno a lui.
Ancora il sole non era sorto, ma quando arrivò nel piazzale al
centro del parco non faticò a distinguere una figura: seduto su
una panchina c’era un ragazzo di diciassette anni circa, per un
buon osservatore sarebbe stato impossibile non notare quanto
fosse depresso; con lo sguardo perso nel vuoto si torceva le
mani. Ma lui non aveva bisogno di osservare, lui lo sapeva già.
“Eccolo” pensò e per un attimo sul suo viso comparve un
sorriso sinistro. Gettò a terra la sigaretta che stava fumando,
ormai ridotta al solo filtro, la spense con un piede e ne accese
immediatamente un’altra. Andò a sedersi di fianco al
ragazzino.
«Sembri triste» esordì con l’aria tranquilla di chi con un solo
gesto può risolvere tutti i tuoi problemi. «Forse ho qualcosa
che ti può aiutare...» da una tasca della giacca tirò fuori un
piccolo sacchetto di plastica con dentro della polverina bianca
e glielo porse. Il ragazzo non disse nulla, si limitò a osservarlo
con aria leggermente spaventata.
Davanti alla sua ingenuità l’uomo tornò a sorridere in maniera
sinistra. Si alzò e lasciò cadere il sacchetto sulla panchina.
Salutò imitando scherzosamente il saluto militare, poi andò via
con la sigaretta fra le labbra, senza che la sua disinvoltura lo
abbandonasse anche solo per un istante. Il ragazzo allungò la
mano, esitò un attimo, poi afferrò ciò che lo sconosciuto gli
aveva lasciato, pensando che potesse essere davvero una
soluzione, o quantomeno una via di fuga.
L’uomo continuava a camminare tranquillamente: era certo
che il ragazzo non si sarebbe fatto scappare quella che ai suoi
occhi era un’occasione di ricevere un po’ di sollievo, così come
era certo che nessuno avesse notato la scena; ma se la prima
delle sue due convinzioni corrispondeva alla realtà, la seconda
era del tutto erronea. Qualcuno lo aveva seguito e aveva visto
tutto.
Nascosta dietro uno degli alberi del parco, Desdemona si
mordeva il labbro inferiore. Le mani strette al tronco con tanta
forza che le dita le dolevano, i muscoli tesi. Era disgustata,
arrabbiata, nervosa e stupita. In quel momento si pentì
amaramente di aver deciso di seguire chi poco prima l’aveva
salvata. Una folata di vento fece ondeggiare le fronde sopra di
lei con un fruscio. La ragazza rabbrividì, il cielo grigio a causa
dei nuvoloni carichi di pioggia prometteva cattivo tempo.
“Uno spacciatore! Devo la vita a un dannatissimo
spacciatore”.
Uno di quelli che odiava... dalla morte di Krystel. La sua mente
tornò indietro fino a cinque anni prima.
Era una calda nottata di mezza estate, allora Desdemona aveva
undici anni, Krystel diciassette. Nonostante la differenza d’età
erano amiche per la pelle, così quando la più grande fra le due
era stata invitata a una festa, non aveva esitato a portare l’altra
con sé. La ragazzina era molto eccitata, ma allo stesso tempo
perfettamente a proprio agio, come se grazie alla sua amica
avesse avuto la possibilità di stare un po’ in quello che era
veramente il suo mondo. Le immagini erano ancora
incredibilmente vivide nella sua memoria. Krystel indossava
un lungo abito azzurro che la rendeva simile a una fata. Era
assolutamente splendida.
Desdemona sentì ancora una volta la sua voce riecheggiare fra
le pieghe della mente.
«Ma non ti sei accorta di niente?» le sussurrò a un certo punto
con fare malizioso.
«Di cosa mi sarei dovuta accorgere, scusa?» chiese lei
perplessa.
«Ma sei cieca?». Sgranò gli occhi. «Colin!» fece un cenno col
capo, voleva indicare qualcuno alle sue spalle. «È da almeno
un’ora che non fa altro che guardarti».
«Ma smettila!» arrossì leggermente.
«Giuro Desy!».
«E non chiamarmi Desy!» si finse seccata.
«Non fare la difficile! Lo so che gli sbavi dietro da un secolo».
Desdemona le diede una gomitata.
«Abbassa la voce! E soprattutto non dire stronzate!».
«Oh...» rispose l’amica con un sorriso dispettoso. «Ma non è
una stronzata, è la pura verità.»
«È la pura verità che gli sbavo dietro da un secolo, ma non
dire cavolate, non mi guarda affatto. È più grande di te!»
strabuzzò gli occhi. «Sarebbe un peccato vederlo dietro le
sbarre».
«In effetti... Però ho un’idea». Una nota risoluta comparve
nella sua voce, Desdemona la fissò attendendo che parlasse.
«Puoi sempre molestarlo tu. La polizia non crederà mai che sia
stata tu a violentarlo!».
Entrambe scoppiarono a ridere. Le luci colorate rimbalzavano
da una parte all’altra del giardino di casa Sedry, tutto sembrava
perfetto. La musica veniva fuori a tutto volume dalle casse,
che erano state disposte il più lontano possibile dalla piscina,
onde evitare spiacevoli incidenti, ma le due ragazze avevano
un ottimo udito, sentirono chiaramente qualcuno nominare
“Colin Sedry”. Si voltarono e videro tre ragazze sghignazzare,
ricordavano decisamente delle oche. Desdemona le fulminò
con lo sguardo.
«Non puoi uccidere chiunque lo trovi carino» le fece notare
Krystel.
«Già, però...».
L’amica non poté fare altro che lanciarle uno sguardo
preoccupato. Desdemona prese un bicchiere dal tavolino di
fianco a loro, subito dopo finse d’inciampare rovesciando la
birra su una delle tre, Morgana Freemel. La sventurata fece un
balzo indietro ma era troppo tardi, il suo costoso abito da sera
era macchiato.
«Sta’ attenta!» esclamò con disgusto dandole uno spintone.
Quello che fino a poco prima era parso un bel viso adesso era
deformato da una smorfia di rabbia. «Non si dovrebbe
permettere di partecipare alle feste a chi ancora non ha
imparato a camminare!».
«Non lo si dovrebbe permettere nemmeno a chi si pettina con
i petardi» rispose Desdemona alludendo alla sua bizzarra
acconciatura.
Proprio quando la situazione stava per degenerare, si avvicinò
Krystel, con un sorriso gioviale, fingendo disinvoltura e
stringendo fra le dita i lembi del suo abito in modo che non si
sporcassero di terra.
«Bella festa, vero?» chiese allegra, ma non attese risposta. «Ah,
vieni Desy, c’è una persona che ti voglio presentare!». La
trascinò il più lontano possibile, poi la sua espressione cambiò
di colpo. «Ma sei impazzita? Che ti eri messa in testa?».
«La domanda è cosa si è messa in testa lei...» rispose la
ragazzina con aria noncurante, alludendo nuovamente alla
pettinatura.
«In effetti...» commentò l’amica, che non riuscì a trattenere
una risata.
Da una delle tasche di Desdemona si udì un trillo soffocato, il
cellulare di Krystel stava squillando. Lei glielo passò e la
ragazza, continuando a ridere, rispose.
«Pronto?» ascoltò il suo interlocutore per qualche secondo, sul
suo volto comparve immediatamente un’espressione
terrorizzata. «È uno scherzo vero?» chiese urlando con le
lacrime agli occhi. Dopo pochi attimi scaraventò a terra il
telefono scoppiando a piangere. Si coprì il viso con le mani.
«Cosa è successo?» chiese Desdemona visibilmente
preoccupata; le poggiò entrambe le mani sulle spalle, come per
consolarla, anche se ancora non aveva la minima idea di cosa
fosse accaduto.
«I miei genitori...» rispose singhiozzando «...sono morti in un
incidente...».
In pochi avevano visto la scena, nessuno aveva osato
avvicinarsi. La musica rimbombava con la sua stupida allegria,
le luci in quel momento parvero uno spietato tentativo di
soffocare i gemiti di dolore della ragazza. Nessuno pensò a
cercare di capire, gli invitati, imbarazzati, si limitarono a
distogliere lo sguardo. Vennero a sapere solo il giorno dopo
della morte di Joseph ed Anne Knife. L’avvenimento sarebbe
stato oggetto dei loro pettegolezzi per diversi mesi.
Da quel momento cambiò ogni cosa; quel sorriso così fresco e
solare non sarebbe mai più comparso sul viso di Krystel. Nel
giro di poco tempo Desdemona si era ritrovata a guardare la
sua migliore amica distruggersi senza poter fare nulla per
aiutarla, e quante litigate...
Lo shock nello scoprire che faceva uso di droga, la delusione
nel vedere che per quella roba si stava allontanando da tutte le
persone che amava, la rabbia e i sensi di colpa, prima quando
Krystel si era ridotta ad essere una tossicodipendente, poi
quando la droga se l’era portata via.
Rammentò l’ultima volta che si erano rivolte la parola. La
ragazza, un tempo splendida, ora non era altro che l’ombra di
se stessa. Indossava pezzi di stoffa: stracci, più che vestiti…
Già, perché era arrivata a vendere anche quelli.
«Non hai mai capito niente Desdemona, mai!» sul viso
innaturalmente scavato c’era un’espressione dura.
«Io non ho capito niente? Capisco benissimo che ti sei ridotta
così solo perché non hai mai voluto ascoltare nessuno!» era
fuori di sé dalla rabbia, non avrebbe voluto urlare, ma non
poteva farne a meno.
Krystel rise amaramente.
«Non hai mai capito niente né della mia situazione, né delle
feste a cui andavamo...» la guardò con aria quasi divertita.
«Nemmeno dei tuoi genitori, se è per questo...».
«Chiudi quella fogna Krystel! Non ho intenzione di restare a
guardare mentre tu ti ammazzi!».
«È troppo comodo dirlo adesso, mia cara, ormai è già fatta».
Rise sguaiatamente, ma la sua risata si spense di colpo quando
Desdemona le diede uno schiaffo.
«Se non vuoi il mio aiuto, non avrai più nemmeno la mia
amicizia» si voltò e, semplicemente, se ne andò.
Solo in quel momento lo sguardo della ragazza diede segni di
rinsavimento, solo in quel momento si rese davvero conto
della situazione: aveva perso l’ultima persona che le era rimasta
accanto. Ma ormai era troppo tardi, la sua amica se n’era
andata per sempre.
Trattenne le lacrime e decise di continuare a seguire
quell’uomo; non credeva che la cosa si sarebbe rivelata utile,
ma non poteva fare diversamente, era più forte di lei. Fece un
profondo respiro prima di riprendere a pedinarlo, celata dalla
vegetazione del parco.
“Ma per oggi non ho ancora finito” pensò l’uomo mentre
tirava una lunga boccata di fumo. Si chiese quale sarebbe stata
la sua prossima meta. Pochi istanti dopo capì e divenne
palesemente nervoso. Si passò una mano fra i capelli
scostandoli dal viso, per un attimo socchiuse gli occhi
rammentando da dove tutto era cominciato, ma ora non c’era
spazio per i ricordi. Doveva sbrigarsi. Ricominciò a camminare
a passo svelto. Finalmente varcò il cancello del parco. Fuori lo
attendeva la città che iniziava a risvegliarsi in un’atmosfera
uggiosa. Le auto che passavano lasciavano nell’aria odori
sgradevoli che si mischiavano a quello – già di per sé pesante –
dei rifiuti che erano stati abbandonati accanto ai bidoni, ormai
stracolmi, sui marciapiedi. Questo era ciò che accadeva nei
quartieri alti, in quelli bassi nessuno avrebbe avuto la premura
di lasciarli lì vicino, sarebbero stati sparpagliati per la strada.
“Quando sei povero in canna lo spirito civico non è
precisamente la tua prima preoccupazione”.
Proseguì per circa un centinaio di metri prima di addentrarsi in
un vicolo stretto e sporco, con cassonetti e sacchi
d’immondizia. Di tanto in tanto qualche topo faceva capolino
per poi tornare a cibarsi fra i rifiuti. Sembrava una piccola e
squallida discarica. Proprio come quegli avanzi o quegli oggetti
che ormai nessuno voleva più, gettato su una poltiglia lurida,
c’era un uomo sulla quarantina con la barba incolta, i vestiti
sporchi e logori. Con tutta probabilità era ubriaco.
Aveva trovato ciò che cercava.
Desdemona rimase perplessa nel vedere quell’improvviso
cambiamento. Di colpo l’uomo che l’aveva salvata era
diventato irrequieto e sembrava avere una gran fretta. Ma
perché? Non aveva parlato con nessuno dopo quel ragazzo ed
escludeva che avesse ricevuto un messaggio o una telefonata,
se ne sarebbe accorta. Concluse che di certo doveva
improvvisamente essersi ricordato di qualcosa. Anche se
questa spiegazione non la convinceva fino in fondo, non ce
n’erano altre plausibili. Dannazione! Se avesse continuato a
camminare così velocemente nel giro di poco l’avrebbe perso
di vista. Sempre tenendosi nascosta lo guardò uscire dal parco;
questo complicava tutto: fuori sarebbe stato più difficile
seguirlo senza che lui se ne accorgesse. Decise di affrettarsi. La
paura di essere scoperta le faceva provare un malessere fisico,
come una morsa allo stomaco, che diventava sempre più forte.
Il cuore martellava nel petto senza pietà, ebbe quasi paura che
lui potesse sentirlo. Forse era una persona davvero pericolosa,
forse se si fosse accorto che lo stava seguendo non avrebbe
esitato a farla fuori, in fondo era uno spacciatore, ma... Il
ricordo del suo sguardo sconvolse completamente quei
pensieri. Com’era possibile che una persona con quegli occhi –
e che per giunta l’aveva salvata – fosse così? Scacciò dalla
mente quelle idee che non facevano altro che confonderla,
pedinarlo era già abbastanza complicato stando ben
concentrata.
Ora stavano camminando lungo un marciapiede, lei si teneva a
debita distanza ma, nonostante questo, se per qualsiasi motivo
si fosse voltato, l’avrebbe scoperta immediatamente. Questa
consapevolezza le fece provare nuovamente la familiare stretta
allo stomaco. Perché si stava cacciando in questo guaio più
grande di lei? Perché non riusciva a farne a meno? Perché?
Lui imboccò un vicolo, Desdemona si avvicinò ma non svoltò
all’angolo, rimase al riparo di quella parete, l’unica cosa che al
momento potesse proteggerla. Sentì il rumore dei passi
dell’uomo che lentamente si stava muovendo nella direzione
opposta, dunque si affacciò quel tanto che bastava per vedere
cosa stesse accadendo. In mezzo a tutta quella sporcizia vide
l’uomo guardarsi intorno per qualche istante, poi qualcosa
attirò la sua attenzione, o meglio qualcuno: sdraiato sul
marciapiede c’era un poveretto, chissà, forse qualcuno che
come Krystel era stato travolto dagli eventi.
Lui si avvicinò al barbone.
«Steven Joe Pag» esordì sibilando. Il senzatetto si voltò a
guardarlo con aria spaventata, ma non esitò a trafiggerlo col
suo sguardo e continuò. «Ortatu Diaboli» disse distendendo il
braccio sinistro con il palmo della mano rivolto verso l’alto
«exe anima!» urlò chiudendo la mano in un pugno, serrandolo
con la stessa forza con cui un marinaio tira una fune.
Una sagoma viola, evanescente e luminosa, con forma molto
simile a quella di una figura umana, si liberò dal corpo del
barbone che in quell'esatto momento cessò di dare il benché
minimo segno di vita.
Desdemona rabbrividì, non poteva essere vero ciò che i suoi
occhi vedevano. Le dita contratte sull’angolo del muro, le
nocche diventate bianche mentre il suo respiro si faceva
irregolare. Che diavolo stava succedendo? Aveva davvero
capito bene? Quella sagoma altro non era che un’anima?
Lo spirito faceva di tutto per divincolarsi dalla presa che
l’uomo, pur senza toccarlo, esercitava su esso.
L’uomo protese anche l’altro braccio.
«Daemones, animam deprehendite et ipsam Inferos trahete!».
Fu allora che dall’asfalto emersero altre figure, ma queste
erano nere come la pece. L’aria si riempì di urla che facevano
gelare il sangue e che avevano ben poco di umano.
Afferrarono quella che fino a pochi secondi prima era stata la
preda di quel personaggio misterioso e la trascinarono con
loro nelle viscere della terra. L’anima si dibatteva inutilmente,
venne portata via senza avere nessuna possibilità di scampo.
Insieme a quelle entità svanirono anche le urla.
Desdemona stavolta era veramente in preda al panico: cosa
diavolo era successo? Cosa doveva fare? Di certo doveva
scappare, se quel tipo l’avesse scoperta... non riusciva neppure
a immaginare cosa sarebbe accaduto. Dannazione! Se solo
fosse riuscita ad andarsene di lì... Ma le gambe non
rispondevano, come se il terrore l’avesse incollata al
marciapiede e a quel muro. Intanto sentiva il suono dei suoi
passi avvicinarsi, fra pochi istanti l’avrebbe scoperta.
Capitolo 2
Desdemona rimase lì, incapace di accettare ciò che aveva visto,
incapace di reagire in qualunque maniera. I passi dell’uomo
erano sempre più vicini e lei sentiva il cuore in gola. Appena
uscì dal vicolo, i suoi occhi, che sembravano racchiudere un
universo in tumulto, incontrarono quelli della ragazza,
spaventata come forse non era mai stata in tutta la sua vita. Si
sentì trafitta dal suo sguardo, ancora paralizzata dalla paura
tentò di dire qualcosa, ma fu un tentativo del tutto inutile.
«Che diavolo ci fai tu qui?» chiese lui nascondendo lo stupore
con la rabbia. «Mi hai seguito!».
«Io...» provò a cominciare lei, ma venne subito interrotta.
«Cos’hai visto?».
Tremava, ma si fece coraggio.
«E tu cos’hai fatto? Cos’è successo là dietro?».
L’uomo l’afferrò per un polso e la avvicinò a sé, parlandole
all’orecchio sibilò:
«Non hai idea del guaio in cui rischi di cacciarti...» socchiuse
per un attimo gli occhi sentendo il profumo dei capelli di lei.
«Se sei furba fingerai che non sia accaduto nulla».
«Io voglio sapere» bisbigliò la ragazza, gli occhi ancora pieni di
terrore.
Lui rise.
«Credimi, non lo vuoi».
Desdemona sentiva che il polso cominciava a dolere.
«Mi fai male» disse piano, quasi fosse stata una confidenza,
così lui la lasciò.
«Rimani fuori da questa storia, tu che puoi» si voltò per
andarsene, ma non fece in tempo a fare un solo passo.
«Almeno dimmi qual è il tuo nome!».
Tornò a guardarla con un sorriso fra l’amareggiato e lo
strafottente.
«Ti conviene anche stare lontana da me».
Lei lo fermò toccandogli un braccio; lui avrebbe benissimo
potuto proseguire come se nulla fosse, la ragazza non stava
esercitando la minima forza, eppure non riuscì a fare a meno
di voltarsi.
«Prima mi hai salvato la vita, ora credevo che mi avresti uccisa
o peggio, invece a quanto pare ancora tenti di proteggermi,
vorrei conoscere almeno il tuo nome, per favore...».
L’uomo poggiò la sua mano su quella che Desdemona teneva
ancora sul suo braccio; proprio in quell’istante sentì una goccia
sulla pelle: stava ricominciando a piovere.
«Lascia stare...» disse, scostando con delicatezza la mano di lei,
la sua voce era molto calma. Strano a dirsi, ma sembrava quasi
dispiaciuta.
Lui fece per andare via, ma lei cominciò a camminare al suo
fianco.
«Ma cosa ci perdi?».
«Non è questione di cosa ci perdo io, è questione di cosa ci
perdi tu».
«Ma ormai ho visto troppo per non voler sapere di più...».
«Mmmm... Chissà...» disse lui con aria ironica mentre alzava gli
occhi al cielo. «Magari lo shock di avere rischiato di morire ti
ha causato un’allucinazione!».
«Già, peccato che io sia assolutamente certa di ciò che ho
visto!» rispose Desdemona quasi arrabbiata.
Lui rise.
«Lasciami indovinare... Non hai intenzione di lasciarmi in pace
finché non saprai quello che vuoi, non è così?».
«Precisamente!» sembrava soddisfatta del fatto che la sua
tenacia, o testardaggine che dir si voglia, risultasse così
evidente.
Ora stava piovigginando.
L’uomo non rispose, si limitò a dare un calcio a una lattina
accartocciata che qualcuno aveva lasciato sul marciapiede.
«Allora?» chiese lei impaziente.
«Per quanto mi riguarda prenderò un taxi e tornerò a casa».
La pioggia aveva ripreso a cadere e si faceva sempre più
intensa. Era assurdo come la natura non trascurasse neppure
Levran, una città che sembrava esserle nettamente ostile, con
le sue mura che sapevano di giornate uggiose e il cemento che
sembrava invadere ogni cosa.
«Hai detto che è questione di ciò che io ho da perdere; bene,
voglio rischiare, è un mio diritto. No?».
«Beh... è un po’ strana come situazione: non posso dirti niente
perché ti metterei in un brutto guaio, ma non puoi decidere
cosa è meglio proprio perché non sai. Quello che in effetti mi
è lecito dirti è che, se sceglierai di conoscere come davvero
stanno i fatti e chi sono io, quasi di sicuro lo rimpiangerai.
Ogni tua convinzione potrebbe essere distrutta, potresti anche
essere costretta a rinunciare ai tuoi affetti e alla tua vecchia
vita, se proprio le cose dovessero andare per il peggio» alzò un
sopracciglio guardandola, come per chiederle quale fosse la sua
decisione finale.
Desdemona lo guardò a sua volta; era visibilmente stupita
dall’incredibile naturalezza con cui aveva detto quelle cose: era
infinitamente strano, sia che stesse scherzando, sia che fosse
serio.
Alzò le spalle.
«Ma chi sei? 007?».
Lui rise di gusto.
«Sotto certi aspetti sono anche meglio!».
Ormai erano entrambi zuppi; finalmente l’uomo scorse un
taxi, fece cenno alla ragazza di seguirlo.
«Per attraversare vuoi che ti dia la mano o ce la fai a non farti
investire?» chiese non riuscendo ancora a smettere di ridere.
Lei rispose con una smorfia e lo seguì. Non sarebbe stato
semplice trovare un altro taxi sotto la pioggia e a quell’ora del
mattino. Arrivati davanti all’auto lui aprì la portiera e la fece
accomodare, fingendosi serio in un atto di “galanteria” che
con quell’espressione sul volto, ma soprattutto sotto quello
che ormai era un acquazzone, non poteva che essere comico.
Chiuse la portiera ed entrò dall’altra parte. Il tassista li guardò
malissimo: fradici com’erano, solo sedendosi stavano
riducendo i sedili in uno stato penoso.
«Dove vi porto?» chiese cercando di fare finta di niente.
L’uomo rispose dando l’indirizzo del suo appartamento, poi
rivolse lo sguardo a ciò che scorreva fuori dal finestrino. In
mezzo al solito grigiore di tanto in tanto c’era qualche insegna
colorata, qualche cartellone pubblicitario e ora che il sole – che
si poteva appena indovinare dietro nuvoloni carichi d’acqua –
stava sorgendo, erano un po’ più frequenti le figure umane.
Ripensò a come aveva vissuto gli ultimi tre anni della sua vita;
di certo non gli piaceva per niente, anzi, lo detestava, ma
pensare a come non li aveva trascorsi e a ciò che aveva perso
gli avrebbe fatto molto più male, dunque forse era meglio così.
«Mi racconterai tutto?» chiese Desdemona con voce calma.
«Ho altra scelta?» domandò lui, non riuscendo a nascondere
un velo di tristezza per i pensieri di qualche istante prima.
Lei si sentì quasi in colpa, così, senza dire nulla, abbassò lo
sguardo. Per un attimo si fermò a riflettere sull’assurdità di
quanto stava accadendo: era seduta di fianco a uno
sconosciuto che forse era uno spacciatore, uno stregone o
magari entrambe le cose. Come se non fosse bastato stava
andando a casa sua ed era stata lei a seguirlo. Lo guardò; era
nuovamente assorto nei suoi pensieri. Notò che fra loro c’era
una certa somiglianza... Inoltre poco prima le aveva salvato la
vita. Come poteva un uomo così essere malvagio?
“Nel suo sguardo si leggono molte cose” pensò “ma la
cattiveria non è di certo fra queste”.
Aveva la sensazione che fossero incredibilmente simili, forse
era anche per questo che si stava fidando di lui nonostante
tutto.
Una volta giunti a destinazione l’uomo tirò fuori il portafoglio
dalla tasca destra della sua giacca nera e pagò il tassista.
Uscirono dal taxi e Desdemona, socchiudendo le palpebre a
causa della pioggia, lo guardò come per chiedergli in che
direzione dovessero andare. Lui le fece un cenno, così lo seguì.
A pochi metri di distanza da dove il taxi li aveva lasciati c’era il
portone in cui doveva trovarsi il suo appartamento. A
giudicare dallo stato delle facciate dei palazzi, quel quartiere
non era propriamente una discarica, ma non ci mancava poi
molto. Gli edifici erano resi ancora più grigi dalla pioggia
battente che scrosciava sull’asfalto e sui giardinetti maltenuti
all’interno dei condomini. Probabilmente avrebbero dovuto
dare un tocco naturale al tutto, in realtà facevano l’esatto
opposto; come se ce ne fosse stato bisogno, evidenziavano
quanto tutto ciò che li circondava fosse artificiale.
Mentre lui cercava le chiavi, la ragazza ebbe modo di dare
un’occhiata veloce al citofono, ma stranamente erano riportati
in tutto solo tre o quattro cognomi. Immaginò che quello della
persona di fianco a lei non ci fosse.
Finalmente trovò le chiavi e aprì il portone, aspettò
Desdemona, poi lo richiuse. Ora il rumore della pioggia
arrivava a loro con molta meno intensità. Salirono qualche
gradino, facendo bene attenzione a non scivolare per via delle
scarpe bagnate, fino ad arrivare all’ascensore. Una volta entrati
l’uomo premette un pulsante scegliendo di andare all’ottavo
piano.
Nel piccolo ascensore la ragazza si sentiva quasi costretta a
fissarlo e la cosa la metteva piuttosto a disagio, lui invece non
sembrava minimamente imbarazzato, eppure il suo sguardo
era rivolto verso di lei.
Sentì una vampata di calore avvolgerle il viso, così portò la
mano sinistra all’altezza della spalla e cominciò a fissare le
proprie unghie, come sempre coperte da smalto nero. L’uomo
sorrise.
Strana quella ragazza... Ora era bastato così poco a metterla in
imbarazzo, mentre fino a neanche venti minuti prima lo stava
praticamente inseguendo.
L’ascensore si fermò. Lui aprì la porta e la mantenne finché
non uscì anche Desdemona.
«Grazie» disse lei a bassa voce.
«Di niente» rispose lasciando andare la porta con aria
indifferente.
La ragazza rabbrividì, un paio di ciocche di capelli bagnati le si
erano appiccicate al viso. Attese per qualche istante, finché lui
non ebbe aperto la porta d’ingresso. Dall’interno si voltò a
guardarla, così lei avanzò.
Entrando non poté fare a meno di guardarsi intorno. La
curiosità era troppo forte, forse osservando bene il luogo in
cui viveva sarebbe riuscita a capire qualcosa in più dell’uomo
che l’aveva salvata. Di fianco alla porta, su un muro, c’era un
attaccapanni su cui erano poggiate tre giacche: una di jeans,
una di pelle rossa ed un'altra che pure sembrava essere fatta di
jeans, ma era scura e lunga; sulla schiena si leggeva una scritta
bianca: “Your pretty face is going to Hell”. All’altro lato
dell’ingresso c’era uno specchio. La colpì il fatto che non ci
fosse neppure un quadro o una foto, le pareti erano
completamente spoglie. Regnava il disordine. Qua e là si
potevano vedere panni sporchi e puliti mischiati, anche
qualche libro aperto giaceva sul pavimento.
Desdemona lo guardò con aria perplessa, così lui le risparmiò
la fatica di porgli la domanda.
«Quando sono a casa ho il vizio di star seduto a terra, quindi
quando leggo tengo i libri sul pavimento...» fece una pausa
guardandosi intorno con aria di superiorità, come se fosse
stato assurdo aspettarsi che lui pensasse a simili sciocchezze.
«E come puoi vedere spesso li lascio lì».
L’uomo chiuse la porta, si pulì le scarpe sul tappeto, poi si
tolse la giacca completamente bagnata lasciandola cadere a
terra. Sbuffando si passò una mano fra i capelli scuri.
«Non credo di avere qualcosa della tua taglia...» disse
osservandola.
«Cosa?» chiese lei senza capire.
«Hai presente i vestiti?» chiese lui ironicamente alzando le
sopracciglia. Vedendo l’espressione ancora perplessa della
ragazza continuò: «Sei fradicia e non mi va di stare ad assistere
una ragazza ammalata».
Lei alzò le spalle.
«Direi che abbiamo altro a cui pensare, non credi?».
Finse per un attimo di pensarci.
«Forse hai ragione» rispose con semplicità.
La ragazza lo fissò in attesa che finalmente si decidesse a
spiegarle tutto. Lo guardò abbassare leggermente la testa
mentre si accendeva un’altra sigaretta, la camicia nera di raso,
con un paio di bottoni slacciati, accarezzava la sua pelle. Con il
capo ancora chino alzò lo sguardo, un ciuffo gli cadeva davanti
agli occhi.
«Voglio sapere» disse lei a bassa voce ma con fermezza.
L’uomo lasciò che il fumo gli uscisse dalle labbra,
un’espressione seria comparve sul suo volto.
«Hai preso la tua decisione...».
«Prima di tutto qual è il tuo nome?».
Sorrise.
«Nonostante quello che hai visto, la paura in te non è
abbastanza forte da vincere la curiosità».
Desdemona sorrise a sua volta.
«Beh, visto che ci tieni così tanto... Rabies, mi chiamo Rabies».
«Mmm... particolare come nome. Io sono Desdemona».
«Anche il tuo non scherza» commentò lui quasi con
impazienza. «Ora... io non so quali siano le tue convinzioni
religiose, ammesso che ne abbia, ma quanto sto per dirti
potrebbe sconvolgere il tuo modo di vedere le cose».
«Questo me l’hai già detto...» in circostanze normali avrebbe
riso in faccia a chi le stava davanti per una frase del genere, ma
ora la situazione era tutto meno che normale.
«Hai mai sentito parlare di persone che vendono l’anima al
Diavolo?» chiese con un mezzo sorriso canzonatorio.
«Sì ma...».
La interruppe immediatamente.
«Ecco, non è un modo di dire. Se hai una vita di merda il
grande capo a volte ti manda uno dei suoi, che ti propone un
affare. Lui per un po’ ti dà ciò che vuoi e tu, in cambio, gli dai
l’unica cosa che un essere umano gli possa offrire, cioè...» fece
una breve pausa e Desdemona sentì la tensione crescere
«l’anima. A volte decide di trascinare le anime con sé
all’Inferno, in altri casi le lascia sulla Terra a fare dei lavori per
lui. Io sono una di queste ultime» terminò facendo un inchino.
«Mi stai prendendo in giro» disse lei ridendo, non perché fosse
divertita, ma a causa del nervosismo.
«Tu dici?» chiese lui inarcando un sopracciglio.
«Quello che stai dicendo è semplicemente impossibile!»
rispose visibilmente alterata.
Rabies la guardò con aria di sfida.
«Mmm... e sentiamo un po’, hai un modo migliore di spiegare
ciò che hai visto in quel vicolo? Scegli tu in cosa credere: io
dico la verità, o forse sei pazza?».
Capitolo 3
Desdemona aprì gli occhi. I raggi del sole, ormai alto nel cielo,
filtravano dall’enorme vetrata della sua stanza illuminandola.
Era sdraiata al centro del letto a due piazze. Che strano sogno
aveva fatto, chissà se aveva un significato. “Rabies”, nome
strano almeno quanto il sogno. Scendendo dal letto qualcosa la
fece rabbrividire: aveva appoggiato un piede sui vestiti bagnati
che aveva lasciato a terra.
«Diavolo! Non è stato un sogno!».
Chiuse gli occhi, si passò una mano fra i capelli e facendo un
respiro profondo tentò di rammentare cosa fosse successo.
Pian piano i ricordi riaffiorarono nella sua mente: dopo che
l’uomo le aveva detto quelle cose, lei era scappata via e lui non
aveva neppure tentato di fermarla; evidentemente si aspettava
una reazione del genere, anche se la ragazza stessa non riusciva
a comprendere il proprio comportamento: aveva visto Rabies
strappare l’anima a un barbone, che altra spiegazione avrebbe
potuto esserci? Forse era proprio questo il punto: non capire
l’accaduto le faceva molto meno paura rispetto a ciò di cui era
venuta a conoscenza.
I suoi occhi. Quel pensiero attraversò la sua mente e le trafisse
il cuore. Non era semplicemente per il loro colore, niente
affatto. Era il modo che aveva di guardare, era ciò che in esso
si leggeva...
Riaprì gli occhi nello sciocco tentativo di cancellare tutto
questo dalla propria memoria.
E adesso? Cosa doveva fare? Cercare di continuare a vivere
come se non avesse visto nulla, come se non fosse stata in
debito con qualcuno, sarebbe stato stupido e inutile. Entrò in
bagno e si mise sotto la doccia. Aprì l’acqua.
Si chiese se fosse il caso di tornare da lui, in fondo le aveva
salvato la vita.
Forse la tristezza radicata nel profondo della sua anima era
dovuta proprio al suo patto col Diavolo, forse lei poteva fare
qualcosa per scioglierlo. Si stupì dell’idiozia di ciò che aveva
appena pensato: lei, una ragazza di sedici anni, sciogliere il
patto fra un uomo e il Diavolo? Non si stava un tantino
sopravvalutando?
Sorrise per un attimo: non risparmiava l’ironia neppure a se
stessa. Starnutì; forse dormire mezza nuda non era stata
un’ottima idea.
Un’ora e mezza dopo era di nuovo in quell’ascensore che,
nonostante le dimensioni ridotte, non sembrava più così
piccolo. Quando si fermò Desdemona aprì la porta e uscì.
L’appartamento del suo salvatore era lì, bastava solo avere il
coraggio di bussare.
Fece un respiro profondo, si avvicinò all’entrata. Prima che
avesse il tempo di fare qualsiasi altra cosa, la porta si aprì e
comparve Rabies, jeans neri a zampa d’elefante, maglietta dello
stesso colore con sopra la lunga giacca scura che lei aveva
notato poche ore prima.
«Ce ne hai messo di tempo!» disse con una smorfia, poi chiuse
la porta alle sue spalle.
«Come sapevi che...?».
«Le persone sono terribilmente prevedibili».
Aprì la porta dell’ascensore e con un gesto le disse di entrare.
Lei lo guardò perplessa.
«Dove andiamo?».
L’uomo alzò le spalle come se quel che stava per dire fosse la
cosa più naturale del mondo.
«A comprare le sigarette».
Desdemona scosse la testa.
«Ma ti pare il momento?».
«Non credo che la tua capacità di comunicare venga meno
mentre cammini».
Lei sospirò.
«E va bene...» sbuffò entrando nell’ascensore.
Di nuovo quella sensazione. Stavolta però la voglia di
guardarlo fu più forte dell’imbarazzo, così sostenne il suo
sguardo. Fu strano ciò che provò in quegli istanti. Era come
se, semplicemente trovandosi davanti a lei, la stesse liberando
da una sete che la tormentava da tutta la vita. Eppure più
beveva, più voleva bere.
Le labbra di Rabies si incresparono in un sorriso che gli diede
un’aria più inquietante del solito, come se avesse potuto
facilmente leggere dentro di lei. L’ascensore si fermò, lui aprì
nuovamente la porta per poi lasciarla andare una volta che
anche la ragazza fu uscita.
«Come ti sei cacciato in questo guaio?» chiese Desdemona
mentre scendevano le scale.
«Mmmm... sai, un giorno non avevo niente da fare. Noia: fa
brutti scherzi!».
«Molto divertente» commentò la ragazza scuotendo
leggermente il capo.
«Senti, non mi va di parlarne!» rispose sbattendo il portone
mentre lo chiudeva.
«Va bene! Non c’è bisogno di prendersela in questo modo!».
«Hai intenzione di chiedermelo ancora fra trenta secondi?».
Desdemona rimase stupita dal nervosismo e dalla rabbia che la
sua domanda aveva suscitato nell’uomo. Qualche istante dopo,
abbassando lo sguardo, pensò di essere stata una stupida: non
si fa un patto col Diavolo in persona senza un motivo, dietro
doveva esserci qualcosa di molto doloroso, era stato sciocco
porgli in quel modo una domanda su un argomento così
delicato.
«Scusa... Non volevo, Rabies...».
Lui per un attimo smise di camminare: da molto tempo ormai
nessuno lo chiamava più per nome, ora quel semplicissimo
suono arrivava come un’inaspettata, dolcissima carezza.
La guardò negli occhi.
«Non fa niente» disse con voce calma, dispiaciuto per essersela
presa così tanto con la prima persona che, negli ultimi tempi,
non si fosse avvicinata solo per tentare di rubargli il
portafoglio.
Era così nervoso... Da qualche parte dentro di lui un sentore
di angoscia e panico cominciava a prendere piede e sapeva già
che a breve si sarebbe fatto più insistente: aveva bisogno di
una birra.
«Ti dispiace se dopo aver preso le sigarette ci fermiamo in un
bar?» chiese con finta allegria.
Lei alzò le spalle.
«Per me non c’è problema».
In realtà il problema c’era, ora si rendeva conto del fatto che
Rabies fosse molto più infelice e instabile di quanto non
sembrasse. Non era pazzo, tantomeno malvagio; era una
persona sensibile, pensò Desdemona, ed era proprio quella
sensibilità che, nella situazione in cui si trovava, lo stava
logorando senza pietà e che, continuando così, l’avrebbe
presto distrutto. L’aveva visto fumare e, dal modo in cui lo
faceva, non c’era voluto molto a capire che si trattava di
qualcosa a cui si era attaccato per andare avanti, ma era certa
che ci fosse dell’altro. Forse ciò che aveva saputo nelle ultime
ore l’aveva scossa talmente tanto che ora viaggiava troppo con
la fantasia, ma ne dubitava seriamente: da tempo era diventata
abile nel capire ciò che le persone avevano dentro
semplicemente guardandole, dai tratti del viso, dallo sguardo,
osservandone i piccoli gesti e i modi di fare. Più ci pensava più
cresceva in lei la voglia di aiutarlo, ma si poteva fare qualcosa
per chi aveva compromesso la propria esistenza alleandosi col
Male Supremo?
«Il distributore delle sigarette è molto lontano da qui?» chiese
la ragazza solo per chiacchierare, come se le parole avessero il
potere di seppellire il dispiacere e l’imbarazzo che aveva
provato poco prima.
«No, saremo lì in una decina di minuti...» rispose Rabies
evidentemente assente.
Il tentativo di Desdemona era fallito. Pensò che di sicuro con
quella domanda aveva riportato alla mente dell’uomo ciò che
l’aveva condotto al patto, qualunque cosa fosse, ed ora era
concentrato su questo. Si guardò intorno: la zona in cui viveva
Rabies era un tantino meglio di quanto non le fosse sembrato
prima che il sole sorgesse. Attraversarono la strada ed
entrarono nel Parco del Salice Piangente, una distesa di erba e
salici – tristezza e allo stesso tempo pace – in mezzo a un
quartiere squallido e ai suoi abitanti, troppo presi da una vita
frenetica e dai propri problemi per liberarsi dall’indifferenza.
Tutto sembrava in contrasto con quel parco, che sarebbe
parso a chiunque un cimitero se non fosse stato per l’assenza
di statue e lapidi, pensò Desdemona, tutto tranne Rabies, che
ora lo attraversava: uno splendido sacerdote della Solitudine
nel suo tempio.
«Perché mi fissi?» chiese voltandosi verso di lei con un sorriso
pieno di pungente ironia sulle labbra.
«No, niente... Scusa» disse abbassando lo sguardo, era
terribilmente imbarazzata.
Lui cambiò discorso.
«Il distributore è lì...» indicò una strada poco distante da loro.
«Il bar gli sta proprio di fianco».
Per alcuni minuti camminarono in silenzio finché non
arrivarono alla macchinetta. Rabies inserì qualche moneta,
premendo un tasto selezionò le sigarette che preferiva, poi si
chinò per prendere il pacchetto.
«Perché lo fai?» domandò la ragazza con voce seria.
«Faccio cosa, precisamente?».
«Perché allontani tutti? Perché fumi in continuazione? Perché
ti fai del male in questo modo?».
Lui non poté nascondere che la sua ingenuità lo divertiva.
«Cosa cambia per te?».
«Sono stata io la prima a fare una domanda» gli fece notare lei.
«Tengo lontana la gente perché non voglio guai. Fumo perché
non ho niente da perdere, tanto prima o poi moriremo tutti e...
non sono così presuntuoso da credere di poter rimandare quel
momento facendone a meno» disse fingendo indifferenza
mentre entrava nel bar. «Ora tocca a te rispondere». Si
sedettero a un tavolino. «Sto aspettando» il suo sorriso sinistro
fece capolino.
Desdemona abbassò lo sguardo solo per un attimo.
«Tu mi hai salvato la vita, mi sento in debito con te, è solo per
questo che mi interessa» sapeva di mentire.
«Certo» rispose lui con calma e sottile ironia mentre si
accendeva una sigaretta.
Una cameriera, una ragazza sui vent’anni con i capelli lisci
legati in una coda alta, si allontanò dal bancone arrivando al
loro tavolo.
«Buongiorno!» esordì con un sorriso. «Cosa vi porto?».
«Per me una cioccolata fondente con panna» disse
Desdemona.
«Per me una birra».
La ragazza rimase stupita.
«Bevi già a quest’ora?».
«Sì, nonna» rispose lui.
La cameriera rise divertita dal battibecco fra i due.
Guardandola Rabies non poté fare a meno di sorridere.
Appena si allontanò, Desdemona non perse l’occasione di
punzecchiare il suo salvatore.
«Carina la cameriera, vero?».
«Già, molto carina...» rispose lui mentre ancora la fissava,
pensando che in realtà fosse stupenda.
Dopo poco tornò con un vassoio portando ai due ciò che
avevano ordinato.
«Grazie mille» disse Desdemona con un sorriso.
«Grazie Valerie».
«Come fai a conoscere il mio nome?»
Impiegò qualche istante a cercare una scusa plausibile.
«Ieri ero qui e ho sentito qualcuno chiamarti per nome».
La ragazza ancora una volta mostrò il suo sorriso radioso per
poi tornare al bancone.
«Non sei bravo a mentire...».
«Beh sai, essendo un asociale generalmente non ho bisogno di
farlo».
«Mmmm... sì, il discorso non fa una piega».
«È lei» disse guardando Desdemona negli occhi.
«La donna della tua vita? Va bene il colpo di fulmine, ma...».
Rabies la interruppe.
«È lei la causa del mio patto».
«Non potevo saperlo, scusami...» si sentì mortificata. Nel giro
di qualche ora doveva essere la trentesima volta che gli
porgeva le sue scuse.
«Non fa niente».
«Cosa è successo precisamente?».
«Io e lei stavamo insieme qualche anno fa...» sorrise
amaramente. «Per quanto possa sembrare patetico lei era
diventata tutto per me; con Valerie ho passato l’unico periodo
realmente felice della mia vita, poi si è ammalata: cancro ai
polmoni».
«Lei...?».
«Fumava?».
Desdemona annuì.
«Mai fatto un tiro in vita sua» fece una pausa e bevette un
sorso di birra. «Avrei fatto qualunque cosa pur di non lasciarla
morire, davvero qualsiasi cosa... È stato allora che uno degli
Emissari è venuto da me e mi ha spiegato che il modo di farla
guarire esisteva, bastava fare un piccolo scambio. All’inizio ero
scettico, poi mi ha mostrato qualche giochetto a effetto, così
ho capito che era tutto vero».
«Ma tu hai mai visto...?».
«Lucifero? O Satana, come preferisci chiamarlo... No, non
ancora, ma non credo che tarderò molto» sorrise nuovamente.
«Ma se stavate insieme, come mai lei non si ricorda di te?».
«Ora arriva la parte migliore: il patto non includeva solo che io
cedessi la mia anima al Diavolo, ho dovuto anche rinunciare a
lei. Valerie non può più amarmi, non può più neppure
ricordarsi di me. Se dovessimo tornare qui domani forse ti
riconoscerebbe, ma per quanto mi riguarda sarebbe come se
mi vedesse per la prima volta. Il mio ricordo è stato cancellato
dalla sua memoria, come da quella di tutte le persone che mi
conoscevano prima del patto; le foto sono andate perse in
“misteriosi” incendi».
«Come...» balbettò. «Com’è possibile fare una cosa del
genere?».
«Oh, Lui può fare moltissime cose che ai comuni mortali
sembrano impossibili».
«Vieni qui spesso per vederla?».
«Abbastanza...» disse distogliendo lo sguardo.
«Hai mai provato a parlarle o a fare qualcosa perché si
ricordi?».
«No...» rispose tornando a guardarla negli occhi «Sarebbe
inutile e rischioso: per prima cosa se provassi a raccontarle
tutto mi prenderebbe per uno squilibrato, poi, anche se
dovessi convincerla, Lui non ci metterebbe niente a separarci
di nuovo e me la farebbe pagare... vendicandosi su di lei.
Questo non lo potrei sopportare».
La ragazza era felice e dispiaciuta al tempo stesso; poco prima
sembravano molto distanti, invece ora l’uomo si stava
confidando con lei. Eppure nonostante questo era del tutto
impotente, non poteva fare nulla per dargli una mano.
«Rabies... Ma forse si può fare qualcosa, forse c’è un modo per
sciogliere il patto, forse tu e Valerie potreste ancora essere
felici insieme...».
«Ti prego, non dire cose stupide» rispose con voce secca.
«Non è una cosa stupida! Forse...».
«Lei è sposata!» sbottò alzando la voce senza volere, bevve un
altro sorso di birra. «Ed è felice. Senza di me» si sforzò di
sorridere.
«Ma tu sei ancora vivo e potresti almeno riprenderti la tua
libertà».
«Per farmene cosa? E a quale prezzo? Perché si dovrebbe
sacrificare la vita di qualcuno che ha qualcosa per me che non
ho niente?».
«Perché ti arrendi in questo modo?».
«Perché non ho niente per cui lottare, perché ne ho viste
troppe... E perché sono stanco».
«Io devo sdebitarmi».
«Non puoi fare niente!».
Lo sguardo di Desdemona, pieno di dispiacere, fu come un
pugnale nel cuore per lui.
«Per favore, io ti voglio solo aiutare...».
L’ultima volta che aveva sentito qualcuno pronunciare quella
frase era finito fra le schiere del Male, ma non poté non
arrendersi di fronte a tanta sincera dolcezza, così si lasciò
sfuggire un sorriso altrettanto sincero.
«Il fatto che tu ti voglia sdebitare ti fa onore, dico sul serio, ma
stanne fuori il più possibile: la contesa in cui potresti essere
coinvolta ti farebbe perdere molto più di quanto non ci
guadagneresti nel migliore dei casi».
Lei scosse leggermente la testa, davanti a questo gesto di
rifiuto Rabies si sporse verso la ragazza afferrandole con forza
un polso e rincarò la dose:
«Guardami, dannazione! Non ho più una vita! Non ho più
niente! Vuoi finire come me?».
«No» rispose calma ma decisa, facendo fatica a sostenere il suo
sguardo «Voglio solo che tu stia meglio».
Ormai parole simili, pronunciate con sincerità, gli risultavano
quasi assurde; il fatto che qualcuno potesse ancora desiderare
che lui stesse bene riapriva senza pietà una vecchia ferita.
Abbassò lo sguardo e allentò la presa sul polso della ragazza
facendo scivolare la sua mano su quella di lei in una breve
carezza, poi la ritrasse tornando ad afferrare il suo bicchiere.
Dopo quattro o cinque sorsi tornò a guardarla negli occhi,
questa volta come per chiederle clemenza, per domandarle di
smetterla di fargli del male in quel modo che, se pur
dolcissimo, non era meno atroce della sua maledizione. Quella
ragazza aveva un’incredibile capacità di sbattergli in faccia tutta
la sua fragilità.
Tentando senza successo di nascondere come si sentiva alzò
leggermente la voce in modo che la cameriera potesse sentirlo:
«Signorina Valerie, mi porterebbe il conto per favore?».
«Certo» rispose lei con la sua solita gentilezza.
Quando portò il conto Desdemona fece per prendere il
portafoglio da una tasca, ma lui scosse leggermente il capo
facendole capire che doveva lasciar stare. Porse una banconota
alla cameriera senza rendersi conto dello sguardo incantato
con cui la stava osservando.
«Tieni pure il resto».
«Grazie, sei molto gentile... Ma... Ci siamo già visti noi?».
«Sì...» rispose lui alzandosi dalla sedia e sentendo che il suo
cuore stava per scoppiare dal dolore. «Te l’ho detto, ero qui
ieri».
Lei annuì, ma non sembrava davvero convinta.
«Beh, allora tornate a fare colazione qui quando vi va».
«Certo!» disse Desdemona con un sorriso. Vedendo che
Rabies rimaneva lì impalato lo prese delicatamente per un
braccio e riuscì a portarlo fuori dal bar. «Grazie per la
cioccolata».
«Cosa?» domandò lui come se si fosse appena svegliato.
«Nel bar mi hai offerto una cioccolata, ti stavo ringraziando».
«Di niente. Grazie a te per avermi portato via» rispose ridendo.
La ragazza si soffermò per un attimo a pensare al suo modo di
ridere e scherzare: mentre parlava accennava a un sorriso, che
gli dava un’aria da mascalzone, poi il sorriso si allargava e, non
appena finiva la frase, emetteva una piccola risata che
sembrava leggermente trattenuta.
Sorrise a quell’idea.
«Non ti preoccupare».
Intanto, senza accorgersene, continuava a tenerlo per il
braccio. Attraversarono nuovamente il Parco del Salice
Piangente.
«Dove andiamo?» chiese lei.
«Mmm... se vuoi possiamo fare un giro».
«Ok, per me va bene. Anche perché, strano a dirsi, ma non ero
mai stata in questa parte della città».
«Lo immaginavo».
«E da cosa l’hai capito?» domandò Desdemona incuriosita.
«Difficilmente le persone come te girano in questa zona».
Si finse vagamente offesa.
«Le persone come me? Cioè?».
«Non bevi, non ti droghi, i tuoi polsi sono intatti, dunque
presumo che tu non abbia neppure tendenze suicide. Non mi
sembri il tipo di ragazza che si prostituisce, dunque cosa
dovresti farci qui?» disse con noncuranza.
«E tu fra le altre cose cosa fai?» chiese lei con tono di colpo
tagliente. «Spacci?».
«Mi hai visto dare la roba a quel ragazzo stamattina, vero?»
senza fermarsi la guardò per un attimo, quasi con aria di
rimprovero.
«Precisamente» rispose la ragazza con voluta insolenza.
«Faccio quello di cui c’è bisogno».
«Per guadagnarti da vivere?» la sua voce era diventata più aspra
di quanto non avrebbe voluto.
«No» disse secco.
«E allora?» si accorse che la conversazione le stava
pericolosamente sfuggendo di mano.
«Il compito di noi Emissari non è solo quello di “riscuotere” le
anime dei debitori; a volte dobbiamo anche dare una spinta
alle persone disperate, in modo che arrivino poi alle condizioni
che le porteranno ad accettare il patto».
Aveva spiegato il tutto con una tale indifferenza che
Desdemona sentì il sangue gelare, forse era stata quella la sorte
toccata a Krystel.
«Lo so che è una cosa orribile» aggiunse Rabies gettando la
sigaretta ormai finita.
Lei non rispose, si limitò a fissare il marciapiede, come se
avesse appena subito una sconfitta. Ma perché stava reagendo
così?
Normalmente non avrebbe mai perdonato a nessuno una cosa
del genere, ma questa volta la situazione era molto diversa. In
questa storia le persone non rischiavano soldi, non rischiavano
neppure la dignità o la vita, qui c’era in gioco l’eternità e molto
di più.
«Te la senti ancora di fare un giro?» chiese l’uomo avendo
notato l’istantaneo cambiamento in lei.
La ragazza lo guardò negli occhi e si sforzò di sorridere.
«Sì. Dove mi porti?».
«L’unica cosa interessante in questa zona è una specie di
galleria con strani oggetti, statue o quadri riguardanti artisti che
sono passati da queste parti. È bizzarro come posto».
«Bene, andiamo a dare un’occhiata».
«È un po’ distante da qui» disse guardandosi intorno. «Ci
andiamo in autobus o a piedi?».
«Preferisco fare due passi».
«Come vuoi».
Ma proprio ora che la discussione era tornata ad essere
tranquilla, Desdemona non riuscì a trattenersi.
«Rabies... Posso chiederti una cosa?».
«Mi ascolteresti se ti dicessi di no?» chiese lui ironico.
«Come ci si sente a fare quello che fai senza avere altra
scelta?».
«Ci si abitua» rispose mentendo.
«Domanda stupida?».
«No». “Solo molto ingenua” pensò.
«Di che genere di artisti tratta la famigerata galleria?» domandò
Desdemona cambiando discorso.
«Un po’ di tutto: qualche pittore contemporaneo, qualche
rockstar, qualche regista di film horror...».
«Sembra interessante».
«Lo è. Infatti è un buon posto per riflettere, ci vado spesso».
«Qual è il tuo quadro preferito?».
«In generale o fra quelli della galleria?».
«In generale».
«Non saprei dirti se ho un quadro preferito, ma di certo ce n’è
uno in cui mi riconosco: l’Urlo di Munch. In un certo senso
mi sono sempre sentito come se dentro di me ci fosse il
bisogno di andare via».
«Io credo che in fondo ogni persona profonda sia un po’
l’Urlo».
«Perché?» chiese lui fra il divertito e l’interessato.
«Per la voglia di scappare da una società stupida e piena di
pregiudizi».
«È vero» Rabies rimase piacevolmente sorpreso da
quell’affermazione, ma pensò che da una ragazza che era lì
vicino a lui, nonostante potesse vederlo come una sorta di
demone, avrebbe dovuto aspettarsi riflessioni anche più
argute. Si guardò intorno trovando le cose di sempre: i soliti
vicoli stretti pieni di negozi che teoricamente vendevano
braccialetti e bigiotteria da quattro soldi, in cui in realtà andava
a fare rifornimento chi si faceva di droghe leggere; alcuni
negozi d’abbigliamento qua e là, da quattro soldi anche quelli
ovviamente, perché i negozi di ogni zona rispecchiavano chi ci
abitava. Se qualche commerciante ottimista tentava di rompere
quella specie di equilibrio, nel giro di un mese o due tutto
tornava alla normalità, visto che un inutile negozio di lusso
non aveva modo di resistere senza andare in fallimento o
senza essere dato alle fiamme.
«A cosa pensi?» chiese allegramente Desdemona.
«Niente, guardavo i negozi...».
«Sembra vendano cose carine».
Lui rise.
«Quando vorrai una collana ti consiglio di comprarla da
un’altra parte».
«Ci sono trappole sparse?».
«No, ci sono negozianti che giocano col kit del piccolo
spacciatore».
«Carino!» commentò lei con una risata.
In quel momento Rabies si accorse che la ragazza lo teneva
ancora per il braccio; sorrise.
Capitolo 4
Camminarono per circa mezz’ora, poi Rabies indicò un
edificio all’apparenza malandato.
«Quella è l’entrata della galleria».
Vicino alla porta un’insegna arrugginita oscillava cigolando.
«Wow... ottimo inizio direi» commentò Desdemona con una
smorfia sul volto.
«Lo so che non promette bene, ma vale la pena di dare
un’occhiata».
«Se lo dici tu...» concesse con poca convinzione.
Si avvicinarono all’entrata, la ragazza tentò di guardare
all’interno ma riuscì a distinguere solo qualcosa di confuso
nella penombra.
«Tranquilla, l’ultima volta che sono stato qui non c’era niente
che mordeva».
«Ne sei proprio sicuro?» chiese lei inarcando un sopracciglio.
«Muoviti!» ordinò scherzosamente.
Entrarono e qualche secondo dopo i loro occhi si abituarono
alla poca luce. A Desdemona quel posto piaceva sempre
meno, qualcosa le diceva di non proseguire, ma pensò che con
tutta probabilità fosse colpa dell’ambiente e degli eventi che si
erano succeduti quel giorno. Poi Rabies doveva essere esperto
in quel genere di cose, se lui diceva che era un posto sicuro si
doveva fidare.
Sentì una voce che proveniva dalla sua sinistra.
«Buongiorno!».
La ragazza ebbe un sussulto, poi finalmente si rese conto che a
parlare era stato un uomo sulla sessantina, con l’aria da
bonaccione.
«Buongiorno a lei» salutò Rabies.
«Salve» disse lei riprendendosi dallo spavento.
«Vedo che oggi sei in dolce compagnia. Complimenti, molto
carina la tua fidanzata!».
Desdemona e Rabies d’istinto guardarono la mano che lei
ancora teneva sul suo braccio, poi si scambiarono un’occhiata.
«No!» dissero contemporaneamente.
«Lei è...».
«Io sono una sua amica».
«Già» confermò lui.
L’uomo fece finta di non aver sentito.
«Guardate la mostra e divertitevi!».
Qualche minuto dopo i due erano immersi nella bizzarra
galleria. Desdemona la considerava molto suggestiva; ora si
trovavano nella “Sala delle Teste”, anch’essa in penombra. Le
uniche luci erano quelle puntate sulle finte teste di mostri nelle
vetrine che sembravano spuntar fuori dal nulla. Rabies
cominciò ad avvertire un dolore al braccio sinistro che
diventava sempre più forte. Eppure non era la ragazza a fargli
male, non stringeva affatto, si trattava di ben altro e lui lo
sapeva.
«Sembrano vere» commentò lei.
Rabies annuì cercando di ignorare il disagio. Improvvisamente
Desdemona sentì una folata di vento, qualcosa che proveniva
dall’alto si posò delicatamente sulla sua spalla come un fiocco
di neve. Lasciò il braccio dell’Emissario e l’afferrò; qualsiasi
cosa fosse era leggerissima e morbida. L’avvicinò al viso per
poterla vedere meglio, era una piuma bianca.
In quel momento Rabies venne scaraventato contro la vetrina
al centro della sala che si ruppe in mille pezzi. Ignorando la
paura suscitata dalla situazione e dal fragore, la ragazza lo
raggiunse di corsa per poi chinarsi su di lui.
«Che è successo? Sei tutto intero?» chiese con ansia.
«Spostati!» urlò l’uomo guardando qualcosa dall’altra parte
della stanza, ma era troppo tardi: un fascio di energia colpì alla
schiena Desdemona, che dopo un istante cadde a terra
gemendo per il dolore.
Rabies si rialzò guardando con ira l’angelo, che teneva ancora
disteso il braccio dal quale era partito il colpo.
I lunghi capelli lisci e neri incorniciavano il viso dai tratti sottili
e dalla pelle candida, per poi terminare sulla veste bianca,
stretta in vita da una corda dorata, che copriva il corpo esile
ma muscoloso fino a metà delle cosce. Gli occhi
completamente neri – sclere incluse – e le ali imponenti gli
davano un aspetto maestosamente spaventoso. Rabies guardò
per un attimo la ragazza che ancora non era riuscita a rialzarsi,
poi tornò a rivolgere lo sguardo all’angelo.
«Non dovevi...» sibilò con una smorfia di disprezzo sul volto.
Con un semplice movimento del braccio sinistro scaraventò la
creatura contro il muro alle sue spalle, si avvicinò senza fretta,
si chinò e l’afferrò per la veste, poi con ferocia le diede pugno
nello stomaco e due ginocchiate in faccia. L’angelo si rialzò è
tentò di spiccare il volo ma Rabies lo bloccò prendendolo per
una caviglia. La creatura riuscì a divincolarsi e diede all’uomo
un calcio al petto che per un attimo gli fece mancare il respiro.
Tentò di colpirlo con un fascio di energia ma lui riuscì a
schivarlo, restituendogli immediatamente la cortesia. Il colpo
di Rabies però andò a segno, l’angelo venne trapassato da
parte a parte, così con un tonfo piombò a terra, ormai privo di
vita.
Per accertarsi che il pericolo fosse scampato, l’uomo si
inginocchiò di fianco a lui e gli toccò la fronte. Non avvertì
alcuna aura, era morto. Si alzò e si avvicinò a Desdemona.
«Va tutto bene? Ce la fai ad alzarti?».
«Non lo so...» rispose lei con voce sofferente «è come se la
schiena mi andasse a fuoco!».
«Fammi vedere» disse lui passando dall’altro lato in modo da
poter vedere la schiena della ragazza.
Nella maglietta c’era un enorme buco, ai bordi del quale la
stoffa era bruciata. Rabies rimase sbalordito: sulla pelle di
Desdemona, come un marchio a fuoco, il colpo infertole
dall’angelo aveva lasciato una grande stella a sei punte,
contornata da lettere e con due simboli al centro.
«Che diavolo...?».
«Cosa c’è Rabies? Cos’ho alla schiena?» chiese gemendo.
Lui non rispose, non avrebbe saputo cosa dirle.
«Ce la fai ad alzarti?».
«Io... Non lo so...».
Le porse la mano destra; fu in quel momento che si accorse di
essersi tagliato poco prima con i vetri, ma fece come se nulla
fosse. Col suo aiuto la ragazza riuscì ad alzarsi, ma subito dopo
fu sul punto di cadere nuovamente, così Rabies le prese un
braccio e se lo fece passare dietro al collo, in modo da poterle
dare appoggio mentre camminava.
«Non mi hai ancora detto cos’ho!».
«Dannazione! È mai possibile che non riesca a stare zitta
nemmeno in queste condizioni?».
Lei emise un suono che era una via di mezzo fra dei colpi di
tosse e una risata.
«Sei un dannato bastardo!».
«Già... Entrambe le cose sono vere» rispose mentre si
avvicinavano all’uscita di sicurezza.
Tornarono a casa di Rabies in autobus. Perché la gente non
vedesse il marchio sulla schiena della ragazza, lui le aveva
prestato la sua giacca. Desdemona stava seduta su uno dei
seggiolini, mentre Rabies era in piedi di fianco a lei.
«Non avresti dovuto farlo» disse all’improvviso l’Emissario,
con aria assente.
«Non avrei dovuto fare cosa?».
«Correre subito da me senza sapere chi o cosa mi avesse
attaccato» rispose tornando in sé.
Nonostante la voce calma del suo interlocutore, lei non poté
fare a meno di usare il suo solito tono polemico.
«Perdonami se non sono un’egoista».
«Non parlo di egoismo, parlo di prudenza».
Lei scosse la testa poi distolse lo sguardo.
«Fai l’offesa?» chiese ironicamente Rabies alzando un
sopracciglio.
«E perché mai? Vado matta per gli ingrati!».
«Lo so, sono proprio un bastardo!» disse sorridendo.
«Non sei divertente» rispose lei seccata.
«Non ho mai detto di esserlo».
«Sei irritante».
«In vena di complimenti?» si stava divertendo un mondo e
non si preoccupava di nasconderlo.
«No, è solo che hai ragione: sei proprio un bastardo».
Rabies riuscì a nasconderlo ma la rabbia di Desdemona l’aveva
colpito, nonostante si fosse evidentemente andato a cercare
quella reazione. Entrambi continuarono il viaggio in silenzio.
La ragazza fissava uno dei finestrini ma pensava ad altro.
Forse aveva fatto male a tornare a casa di Rabies dopo essere
scappata, ma diversamente cos’avrebbe potuto fare? Magari in
realtà lui si stava comportando in quel modo per difendersi. In
fondo aveva passato gli ultimi anni ad allontanarsi da tutti,
imprigionandosi in un isolato mondo fatto d’insidie e anime
dannate. Cosa poteva pretendere?
Ripensò ai suoi occhi mentre guardava Valerie; sembrava una
ragazza molto dolce e solare, di certo con lei era stato felice.
Cercò di immaginare cosa avesse dovuto provare vedendosela
portare via in maniera così atroce e ingiusta. Una frenata
improvvisa la fece urtare contro lo schienale del seggiolino su
cui era seduta. Gemette per il dolore, imprecò. Rabies rise e lei
rispose con una smorfia. Poco dopo scendendo dall’autobus
riconobbe la zona che ormai cominciava a trovare familiare.
Una volta varcata la porta d’ingresso dell’appartamento
Desdemona restituì a Rabies la giacca.
«Devi riposarti» disse lui con aria indifferente.
«Sì? E dove?».
«Per quanto possa sembrarti strano sono ricco! Immagina: a
casa mia c’è persino un letto!».
«Oh, ma davvero?».
Annuì.
«Sono un uomo dalle mille sorprese io».
«Non mi hai ancora detto che diamine ho sulla schiena»
domandò lei a tradimento.
L’uomo, che non ne poteva più, decise di accontentarla.
«Una stella a sei punte con strani simboli e lettere. Ora forse la
situazione ti è più chiara?».
«Direi di no» dovette ammettere Desdemona.
«Ecco, appunto».
«Ma cosa può voler dire? Hai mai visto quel simbolo prima?».
«Sì, e se gentilmente vai a riposarti io esco, mi procuro
qualcosa che forse potrebbe aiutarci a capire almeno un
minimo, torno e sveliamo l’arcano».
«Va bene» rispose lei che sembrava spiazzata.
«Mi sorprendi».
«Perché?».
«Dopo tutto quello che ti è successo e che hai saputo oggi»
spiegò con un mezzo sorriso «ancora riesci a stupirti di
qualcosa».
«Sono una ragazza dalle mille sorprese, io» rispose la ragazza
restituendogli il sorriso dispettoso.
«Questa frase mi ricorda qualcosa... Comunque la camera da
letto è in fondo al corridoio a sinistra, ci vediamo dopo».
«D’accordo» sospirò Desdemona. «A dopo».
Rabies uscì di casa chiudendo la porta a chiave, la ragazza si
sentì un po’ in soggezione per questo, ma pensò che di certo,
se avesse saputo che la porta era aperta e che chiunque
sarebbe potuto entrare in qualsiasi momento, non si sarebbe
sentita meglio, così attraversò il corridoio ed entrò nella stanza
da letto. Fu subito colpita dal particolare arredamento, molto
elegante con tonalità fra il nero e il grigio chiaro.
Scostò la zanzariera che cadendo dall’alto sfiorava i lati del
letto e si sdraiò a pancia in giù, in modo da sentire meno
dolore possibile alla schiena. Il suo sonno fu leggero ma
gradevole, fece sogni confusi e vaghi; vide Krystel, degli angeli,
Rabies e persino alcune delle teste della galleria. Fece la sua
comparsa anche Valerie, che rideva e scherzava con un
ragazzo della sua stessa età – probabilmente suo marito – e
teneva in braccio uno splendido bimbo.
Capitolo 5
Rabies camminava a passo svelto: non ricordava con certezza
dove avesse visto quel simbolo, nonostante non ci fossero
molti posti in cui potesse essere accaduto. Proprio per questo
stava andando nell’unico negozio di magia esistente in quella
zona di Levran. Il proprietario era un ciarlatano capace di
vendere a qualcuno una bottiglia vuota spacciandola per un
contenitore cosmico racchiudente incredibili e mastodontiche
energie primordiali. A volte capitava che in negozio arrivassero
oggetti realmente utili e dotati di poteri, tuttavia
fortunatamente l’imbroglione non era minimamente in grado
di distinguerli dagli altri. Rabies sbuffò: nel giro di poche ore
era già la seconda volta che si ritrovava a girare per quei vicoli
luridi.
Finalmente arrivò a destinazione. Aprì la porta con aria
svogliata ed entrò.
Fu accolto dal suono di uno scacciaspiriti, appositamente
piazzato davanti all’entrata per evitare che qualcuno entrasse
senza che il proprietario se ne accorgesse. Strano come quel
negozio sembrasse sempre identico ogni volta che vi metteva
piede... Scaffali di legno impolverati, stracolmi di libri di ogni
dimensione e tipo. Solo due cose li accomunavano: tutti
trattavano di magia ed esoterismo, tutti inspiegabilmente
davano l’impressione di essere molto vecchi, anche quando
non erano logori. Una piccola parte era dedicata a statuette di
maghi, fate, draghi e creature fantastiche, tutte ben tenute e
rigorosamente chiuse a chiave nelle vetrine. Rabies fece
qualche passo, arrivando alla zona riservata alle collane che il
venditore aveva il coraggio di chiamare “amuleti”. Ne prese
uno, lo avvicinò un poco al viso per poterlo osservare meglio,
se lo rigirò fra le dita. Sembrava una specie di dente di squalo;
sarebbe stato piuttosto impressionante se dietro non fosse
stata fin troppo leggibile la scritta “Made in China”. Con una
smorfia di sdegno l’Emissario lo rimise a posto. Rialzò lo
sguardo sentendo un rumore di passi – per niente leggeri – che
ormai considerava facilmente riconoscibile.
Dopo pochi secondi il proprietario arrivò e salutò con un
odiosissimo sorriso, tipico di chi è gentile solo per
convenienza.
«Mio caro amico!» esclamò andando incontro a Rabies.
«Io non sono tuo amico, vecchia carogna» rispose lui con la
massima tranquillità. «Ovviamente non sono qui per sentirti
farneticare, ma perché ho bisogno di qualcosa».
«Dimmi tutto» l’uomo cercò di nascondere quanto tanta
schiettezza lo infastidisse.
«Voglio vedere qualsiasi cosa fra queste cianfrusaglie che abbia
sopra un simbolo: una stella a sei punte con delle lettere».
Il negoziante per qualche secondo fece mente locale.
«Se non erro tempo fa avevo qualcosa di simile, non so se c’è
ancora però... Vado a vedere».
Sparì per qualche minuto fra gli alti scaffali. Tornò con una
scatola di legno, la poggiò sul bancone, la aprì e ne tirò fuori il
contenuto. Fu allora che Rabies cominciò a capire.
Desdemona venne risvegliata dal rumore della porta d’ingresso
che si apriva, così si affrettò a raggiungerla. Comparve Rabies
con una scatola di legno in mano. Sembrava piuttosto antica.
«Forse ho trovato la risposta!» dichiarò Rabies con aria
soddisfatta.
«Comunque ciao eh!».
«Oh... Ma perché vuoi sempre perdere tempo con stupidi
convenevoli?» si lamentò lui. La ragazza tentò di replicare ma
lui non la fece neppure iniziare. «Siediti a terra e non mi
seccare».
Lei non capiva, ma sapeva che chiedere spiegazioni sarebbe
stato inutile, così fece come le era stato detto.
Rabies lasciò la scatola sul pavimento, davanti a Desdemona
«Non ti azzardare a toccarla finché non torno!».
La ragazza sbuffò.
«Va bene nonna! Ma dov’è che vai?».
«Raccatto un paio di cose e sono di nuovo qui».
«Già, dimenticavo: l’uomo dei misteri detesta rispondere,
anche quando gli si pone una domanda chiara e semplice».
Tutto ciò che ottenne fu un sorriso pieno d’ironia. Poco dopo
Rabies tornò con un candelabro a sette braccia e un pentacolo
fatto di rami e foglie intrecciate, che poggiò vicino alla scatola.
Desdemona gli rivolse uno sguardo perplesso che lui però
ignorò.
Si sedette di fronte a lei, accese le candele con l’accendino e
nel frattempo le scoccò un’occhiata di ammonizione.
«Adesso non si scherza».
Si rialzò un attimo per spegnere la luce. A quel punto a
illuminare l’ingresso erano solamente le sette fiammelle
danzanti che proiettavano ovunque le ombre dei due.
Desdemona provò una spiacevole sensazione: dopo quello che
aveva passato quel giorno aveva decisamente paura di ciò che
sarebbe potuto accadere, l’idea di una seduta spiritica non le
piaceva granché, eppure una parte di lei sentiva di non poter
fare diversamente. Quella era la giusta via per capire, non
avrebbe saputo spiegare il perché. Dalla scatola di legno
l’Emissario tirò fuori una tavola ouija e un puntatore. La
tavola era scura e su di essa, fra le altre cose, era rappresentato
lo stesso simbolo che la ragazza aveva sulla schiena.
Rabies appoggiò entrambi gli indici sul puntatore e chiuse gli
occhi. Se in precedenza Desdemona l’aveva trovato
inquietante, ora lo trovava terrificante, tanto da desiderare di
sprofondare nel pavimento.
«Ma cosa?».
«Shhhh!».
Dopo qualche minuto di silenzio le sue palpebre si schiusero,
rivelando uno sguardo innaturalmente assente. La ragazza fu
scossa da un brivido. Non ci fu bisogno di fare alcuna
domanda, il puntatore cominciò a muoversi indicando alcune
lettere che composero una frase:
“La risposta è nel tempo”.
Desdemona vide ogni cosa davanti a lei scomparire nel buio,
persino le luci tremolanti delle candele si affievolirono fino a
sparire, mentre il pavimento sotto di lei si trasformò in
tenebre. Sentì il cuore cominciare a battere all’impazzata.
«Che diavolo succede?» urlò in preda al panico.
Udì le sue stesse parole riecheggiare nel vuoto, ma poi un’altra
voce arrivò alle sue orecchie, dolce come una brezza
primaverile:
«Non preoccuparti Desy».
Una sagoma cominciò a delinearsi poco lontano da lei. In un
istante il suo corpo fu percorso da forti brividi e i suoi occhi
divennero lucidi. Solo una persona la chiamava “Desy”, ma
questo accadeva anni prima. Nell’ombra quei capelli lisci fra il
biondo scuro e il castano chiaro presero lentamente forma, i
tratti di quel volto dall’espressione solare si delinearono. La
figura camminava verso di lei.
«Krystel!» esclamò la ragazza scoppiando a piangere.
Le corse in contro e stava per abbracciarla, ma un gesto
dell’amica la fermò.
«No, tesoro, no...».
«Ma...» provò a protestare Desdemona, allo stesso tempo
scossa, sorpresa e felice.
«Non è permesso» la interruppe lei con voce calma e dolce.
«Come... come è possibile tutto questo? Sono morta?» le
domandò visibilmente confusa.
«No...» rise divertita. «Non sei morta! Sta tranquilla. Come te la
passi negli ultimi tempi?» chiese sorridendo con aria allegra,
come se dall’ultima volta in cui si erano viste fossero passati
un paio di giorni.
Entrambe però sapevano che non era affatto così, non era
solo una questione di tempo o di difficoltà che non erano
riuscite a superare. Era la morte; l’unica cosa che realmente
sapesse di infinito stava tra loro a separarle.
«Io... sopravvivo» rispose la ragazza con un sorriso
amareggiato, tentando di trattenere le lacrime «Mi manchi»
abbassò lo sguardo. «È dura senza di te».
«Ma ora non sei più sola. Ora c’è Rabies» la consolò alzando
un sopracciglio con aria scherzosa.
«Ma... l’ho conosciuto oggi! Cosa vuoi che ne sappia...».
L’amica la interruppe nuovamente.
«Non dire stronzate!».
Desdemona ora rideva e piangeva allo stesso tempo.
«Ma perché? È vero...».
«Scoprirai, mia cara, che spesso le cose non sono come
sembrano e che la vicinanza fra due persone non è dettata da
fattori così banali»
Lei si fece seria.
«Ma tu ora dove sei? Si sta bene lì?».
Krystel scosse leggermente il capo e i suoi grandi occhi blu
non riuscirono a nascondere il dispiacere.
«Non posso dirti niente al riguardo, posso solo dirti di non
preoccuparti ora di questo; un giorno, fra molto tempo... ma
non ora. Sono qui per farti sapere che sono stati degli spiriti a
vostro favore a dare a Rabies il messaggio che troverai al tuo
ritorno».
La ragazza era sempre più perplessa.
«Il mio ritorno dove?».
La sua amica sorrise dolcemente.
«Prendi la mia mano» disse protendendo il braccio sinistro
verso di lei.
Desdemona la fissò con sguardo incantato, fece un passo in
avanti, esitò per un attimo, poi afferrò la sua mano. In
quell’istante un immenso bagliore l’accecò, fu come se le
tenebre venissero sventrate dalla luce. In un momento rivide
tutti i suoi ricordi legati a Krystel, le ore passate a
chiacchierare, i disegni fatti insieme, i pianti, le risate. Una
lacrima scivolò lenta sulla sua guancia. Ancora: feste,
videogiochi, storie, favole, idoli, amori impossibili e segreti
condivisi.
Le sembrò di risvegliarsi. Era seduta sul pavimento a casa di
Rabies, lui la scuoteva leggermente tenendola per le spalle.
La guardava negli occhi.
«Desdemona? Che hai?».
Lei sbatté le palpebre nel tentativo di riprendersi.
«C’era... c’era...» vide la tavola ouija, ricordò cosa stava
accadendo poco prima e cominciò a capire cos’era successo.
«C’era Krystel».
«Chi?» chiese lui senza capire.
«Una mia amica. Lei è morta tre anni fa».
«Scusa» rispose lui con voce calma.
Le accarezzò una guancia asciugando la lacrima che le rigava il
viso.
«Ti ha detto qualcosa di importante?».
«Sì, ha detto che sono stati degli spiriti a noi favorevoli a darti
il messaggio, ma non so di che parlava...».
«Non hai visto?».
«Visto cosa?».
«Senza che io abbia fatto domande gli spiriti si sono
pronunciati. Hanno detto che la risposta è nel tempo».
«Ma cosa vuol dire?» chiese lei strabuzzando gli occhi.
«E io come faccio a saperlo?» rispose con una smorfia. «Ho
evocato gli spiriti, non ho mica guardato nella sfera di cristallo!
Ma guarda...» disse prendendola per le mani per aiutarla ad
alzarsi. La condusse davanti allo specchio.
Desdemona guardò il riflesso della sua schiena con la coda
dell’occhio.
«Ma come è possibile?» tirò su i capelli per vedere meglio. «È
identico al simbolo sulla tavola!».
«Esatto Sherlock Holmes! Come hai fatto?» la prese in giro
l’Emissario.
Lei per una volta ignorò la sua ironia.
«Allora con tutta probabilità quello che ho visto era reale».
«No» la corresse «non con tutta probabilità, sicuramente era
reale». Fece una pausa. «Ti ha detto qualcos’altro di
importante?».
In realtà, per Desdemona, ciò che Krystel aveva detto riguardo
al fatto che adesso non fosse più sola per via di Rabies era
molto importante, ma non ebbe il coraggio di riferire anche
questa parte.
«No, nient’altro. Ho provato a chiederle dove si trova ora e se
ci sta bene, ma mi ha detto che non è permesso parlarne».
Lui annuì pensieroso con un cenno del capo.
«Gli spiriti non rispondono mai a domande del genere, non gli
è concesso».
«Ma perché?».
Sorrise di fronte a tanta ingenuità.
«La battaglia è molto più complessa di quanto credi e ci sono
un’infinità di questioni che non conosci. Per oggi direi che
sono successe fin troppe cose, non voglio metterti
ulteriormente sotto pressione».
La ragazza lo guardò negli occhi tentando di immaginare quali
e quanti altri assurdi segreti si nascondessero in quella storia.
«D’accordo, va bene».
Rabies era visibilmente stupito.
«Non insisti? Non mi sommergi con un miliardo di
domande?».
«No... Se non ti dispiace torno a riposare» rispose prima di
attraversare il corridoio per tornare nella camera da letto.
Lui abbassò lo sguardo, si rese conto di essere stato
insensibile: se lo spirito le aveva “fatto visita” evidentemente il
legame fra loro doveva essere molto forte.
«Desdemona!» la chiamò appena prima che entrasse nella
stanza.
Lei si voltò, lui si affrettò a raggiungerla, si chinò e, senza
sapere bene perché, prese il suo viso fra le mani.
«Scusa...» disse a bassa voce, con tono dispiaciuto. La strinse
passandole le braccia intorno alle spalle, facendo bene
attenzione a non farle male. «Non avrei dovuto trattarti così»
mormorò.
La ragazza lasciò che il proprio volto affondasse nella sua
maglietta nera scoppiando a piangere.
«Non è giusto Rabies... Aveva solo diciannove anni!»
singhiozzò.
Lui avrebbe voluto poterle dire qualcosa che la consolasse, che
la facesse sentire un po’ meglio, o che almeno desse uno
straccio di senso a quello che le era accaduto. Ma cosa avrebbe
dovuto raccontarle? Che il dolore, la perdita di persone
essenziali nella propria vita, tutte le cose orribili legate
all’esistenza, altro non erano che elementi di una partita a
scacchi che durava da millenni, in cui tutti gli esseri umani, gli
angeli, i demoni e ogni essere vivente erano semplici pedine?
Continuò a tenerla stretta a sé e lei non smise di piangere,
disperata com’era. Le sue unghie si aggrappavano alla
maglietta di Rabies, quasi come se lui fosse stata l’unica cosa a
permetterle di non impazzire. Si sentiva come sull’orlo di un
precipizio, ma sotto di lei, invece del vuoto, c’era la follia più
totale. L’uomo sapeva che la sua ironia fuori luogo non era
stata altro che la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, che
dietro lo sfogo di Desdemona c’era molto di più, eppure in
cuor suo si sentiva responsabile di tutta quella sofferenza.
Sentì un nodo alla gola, respirare diventava difficile, e ogni
respiro era più doloroso di quello precedente. Non poté fare a
meno di accarezzarle i capelli e di stringerla ancora più forte;
ormai ogni suo gesto era un disperato tentativo di lenire ciò
che la ragazza sentiva. Cosa gli stava succedendo? Quel pianto
gli faceva male.
Prima che potesse rendersene conto i suoi occhi chiari, da
tempo freddi come il ghiaccio, si erano fatti lucidi e le lacrime,
prepotenti, pretendevano di essere finalmente liberate dalla
loro prigione di cristallo. Per un istante Rabies, colto di
sorpresa, s’irrigidì e trattenne il fiato. Un attimo dopo, pur se
con dolcezza, si staccò da lei.
La guardò negli occhi e le fece un’ultima carezza.
«Ora vai...» le sussurrò, in modo che non potesse sentire la sua
voce tremare.
Non era affatto un ordine, bensì una via di mezzo fra un
consiglio e una preghiera. Desdemona si sforzò di sorridere
sfiorando la mano di lui ancora poggiata sul suo viso, poi
entrò nella stanza da letto chiudendo la porta alle sue spalle.
Rabies si appoggiò al muro, poi si lasciò scivolare fino a
sedersi sul pavimento. Sospirò passandosi una mano fra i
lunghi capelli mossi. Ma che diavolo aveva combinato? In
preda al dispiacere e al nervosismo più totale si alzò per
prendere una sigaretta, aveva lasciato il pacchetto in una tasca
della giacca. Dopo averne accesa una tirò una lunga boccata di
fumo, guardò il suo riflesso nello specchio. Sorrise
amaramente. Col tempo aveva perso praticamente tutto, ma
non l’orgoglio per il suo aspetto fisico; pur non essendo un
maniaco dell’estetica, era sempre stato piuttosto vanitoso. Per
un attimo gli tornò in mente il periodo in cui stava con
Valerie. Allora era tutto diverso. Scacciò quel pensiero, decise
di uscire. Prese la giacca, la indossò, si fermò ancora per
qualche istante davanti allo specchio sistemandosi il colletto.
Capitolo 6
Mezz’ora dopo era seduto su una panchina. Da quando era
uscito aveva già fumato tre sigarette e ora ne stava accendendo
un’altra. Si guardò intorno, era finito nella zona peggiore del
quartiere; per un attimo fissò il marciapiede pieno di bottiglie
di vetro rotte e di ogni sorta di spazzatura. Nei postiparcheggio non c’era neppure un’auto: nessuno era così
stupido da lasciare lì la propria macchina, buttarla giù da un
dirupo sarebbe stato più sicuro. Gruppi di ragazzini si
scambiavano i loro “giocattoli” rubati chissà dove.
Un rumore di passi proveniente da destra attirò la sua
attenzione. Si voltò e vide quella che doveva essere una
prostituta. Indossava scarpe rosse dai tacchi a spillo, una
minigonna pressoché inesistente che mostrava più di quanto
avrebbe dovuto ed un top – praticamente una fascia – che, più
che a coprirla, sembrava servire solo a mettere in risalto i seni
già abbondanti. Ogni cosa nel suo abbigliamento pareva
prendere la sua sensualità e spingerla ben oltre il limite della
volgarità, eppure...
Rabies, eccitato, la squadrò da capo a piedi più volte e lei non
mancò di ricambiare. Non si fermò. Vedendola scomparire
girando l’angolo pensò che dovesse essere fuori dalla sua zona
e dal suo orario di lavoro.
L’episodio gli ricordò che in effetti era da un po’ di tempo che
non si sfogava. Di certo non aveva mai avuto bisogno di
pagare, né aveva intenzione di farlo.
Il braccio sinistro, quello che teneva disteso lungo la spalliera
della panchina, cominciò a fargli male. Più cercava di ignorare
il dolore, più quello diventava forte. Sollevò leggermente la
giacca e la camicia scoprendo il polso. Si poteva vedere parte
del tatuaggio che arrivava fino alla spalla. Ecco la causa del
male che sentiva. Non era un’infezione, l’aveva fatto anni
prima: era il simbolo del patto e gli doleva ogni volta che le
forze del Bene stavano per attaccarlo. Non si stavano dando
un po’ troppo da fare?
Voltandosi vide che accanto a lui era seduta una ragazza
bionda. La veste bianca e gli occhi completamente neri non
lasciavano dubbi sulla sua natura. Rabies accennò a un sorriso:
se le persone comuni avessero saputo qual era realmente
l’aspetto degli angeli li avrebbero considerati incredibilmente
inquietanti.
«Non sei stanco di essere solo?».
«C’è bisogno che ti risponda?» disse l’Emissario con una
smorfia fra l’infastidito e il disgustato.
«E non hai paura ora che nella tua vita c’è ancora una persona
che proteggi? Non sarebbe terribile se le accadesse qualcosa?»
domandò sorridendo senza calore.
Lui, afferrandola per la veste, l’avvicinò a sé bruscamente.
Ora i loro visi erano solo a pochi centimetri di distanza.
«Di’ ai tuoi amichetti» sibilò mentre sembrava volerla
incenerire con lo sguardo «che fin ora mi sono limitato a far
fuori gli idioti che mi attaccavano, ma se solo provate a farle
qualcosa» aggiunse divampando di rabbia «io verrò a cercarvi
uno per uno e vi sterminerò per il puro piacere di farlo».
Sentì il sangue gelare di fronte allo sguardo terribilmente
inespressivo dell’angelo.
«Anche se nessuno di noi dovesse toccarla, tu la perderai
comunque, proprio come hai perso Valerie e come perderai
chiunque ti si avvicini. Sarai solo qualunque cosa tu faccia»
disse fingendo dispiacere.
Rabies poggiò una mano dietro al collo della creatura e lei
cominciò a gemere.
«Tu preoccupati solo che nessun buffone piumato o niente del
genere si avvicini a Desdemona, il resto sono affari miei».
«Ti preoccupi per dei buffoni piumati?» rispose con voce
straziata dal dolore.
«Lei non può difendersi!» esclamò mollando la presa. Sul collo
dell’angelo aveva lasciato un’ustione.
«Questo è un tuo problema... E poi sei proprio sicuro che non
possa difendersi?» chiese alzando un sopracciglio.
«Cosa vuoi dire?» fece in tempo a domandare Rabies prima di
venire accecato da un immenso bagliore, mentre l’angelo
scompariva. Si passò entrambe le mani sul viso tentando di
riprendersi. «Dannati angeli! Devono sempre uscire di scena
massacrandoti gli occhi!».
La creatura si era limitata a una sorta di attacco psicologico,
ma cosa intendeva? I buffoni piumati, come li chiamava lui,
sapevano essere dei gran bastardi, ma non facevano mai
allusioni senza motivo. Allora cosa voleva dire?
Per ogni cosa c’era un principio e una fine, pensò Desdemona.
Probabilmente la giornata che ormai stava giungendo al
termine era stata la fine di un periodo e l’inizio di un altro.
Cercò di immaginare quale sarebbe stata la sua reazione se
qualcuno ventiquattro ore prima avesse provato a raccontarle
ciò che sarebbe accaduto; nel migliore dei casi gli avrebbe dato
del pazzo.
Rabies. Come sarebbe stata la sua vita se non fosse stato
costretto a fare quel patto? Le piangeva il cuore pensando a
quanto avrebbe potuto essere felice con Valerie. Per un attimo
sorrise non potendo fare a meno di pensare che se lei e Krystel
avessero avuto modo di incontrarsi... Ma non sarebbe
accaduto. Non in questa vita almeno.
Sbuffò. Era stanca e la schiena le doleva ancora, tuttavia non
riusciva a prendere sonno. Sapeva quanto pensare le facesse
male, più che altro per le cose su cui puntualmente la sua
mente andava a concentrarsi.
Il rumore della porta della stanza che si apriva la fece trasalire.
Era Rabies.
Lei – lottando un po’ con la zanzariera – si mise a sedere sul
letto.
«Già di ritorno?»
Lui ignorò la domanda.
«C’è qualcosa che non mi hai detto».
Desdemona lo fissò con aria perplessa.
«Ti senti bene?» chiese riuscendo finalmente a scostare la
zanzariera per poi alzarsi.
«Hai in serbo qualche sorpresa...» sentenziò avvicinandosi di
qualche passo.
«Sorpresa così ben celata che neppure io la conosco!».
«Possibile» rispose lui mentre continuava ad avvicinarsi con
un’espressione volutamente sospettosa.
«La vuoi smettere?» scosse il capo infastidita.
Rabies ormai era proprio di fronte a lei e la sfidava con uno
sguardo dispettoso e provocatorio.
«Non ne sai niente eh?» domandò socchiudendo le palpebre.
«Senti... Nel giro di poche ore ho conosciuto un uomo che ha
fatto un patto col Diavolo, che spaccia droga, che strappa
l’anima alla gente e che per giunta mi ha salvato la vita, mi
sono ritrovata in mezzo a un combattimento fra lui e un
angelo, ho la schiena ustionata con sopra una stella a sei punte
e durante una seduta spiritica ho avuto un faccia a faccia con la
mia migliore amica morta da anni, sono stanca, sconvolta, non
ne posso più e sto parlando a vanvera. Vuoi dirmi che diavolo
vuoi?» riprese fiato.
Lui sgranò gli occhi.
«Va bene... Non lo faccio più.» disse fingendosi innocente e
spaventato. «Ho incontrato un altro simpatico angioletto che
ha minacciato di farti del male e ha fatto un’allusione riguardo
al fatto che tu non sia poi così indifesa...».
Desdemona incrociò le braccia sul petto.
«Io... Indifesa?».
Rabies fece una smorfia facendo comparire una sfera infuocata
sospesa sul palmo della sua mano.
«Sai fare qualcosa del genere?».
«Mmm... Direi di no».
Lui con aria di superiorità distolse lo sguardo facendo
scomparire il globo:
«Scherzi a parte, sta’ attenta. Chi sa generalmente è più a
rischio, ma se in più ha delle potenzialità è sicuro che
entrambe le parti si contendano il malcapitato».
La ragazza abbassò lo sguardo.
L’uomo si fece serio.
«Desdemona, sta’ attenta a non finire da nessuna delle due
parti: non voglio che tu passi ciò che sto passando io. Se
invece dovessi finire con quegli altri io potrei essere costretto
a...» si interruppe.
«Non vorresti essere costretto a uccidermi?».
Rabies non rispose, ma la guardò negli occhi.
«Te l’avevo detto di starmi lontana».
«E ho fatto bene a non ascoltarti».
«Non dirlo troppo forte, ci sei dentro da meno di un giorno,
questa è una situazione che logora col tempo» rispose lui con
un sorriso che nascondeva amarezza e malinconia.
«Tu lo sai bene, vero?».
«Già».
«Qual è la cosa peggiore?» non fece in tempo a finire la
domanda che già si pentiva di averla formulata.
«C’è l’imbarazzo della scelta...» disse Rabies fingendo
indifferenza. «Avere a che fare con persone disperate ed essere
costretto a sfruttarle, il fatto che nessuno fra chi mi conosceva
prima possa ricordarsi di me, non essere altro che un burattino
nelle mani del Male, non avere nessuno che si avvicini a me
senza un doppio fine... Scegli tu. Cosa credi che sia peggio?».
Desdemona si morse il labbro inferiore: ancora una volta
aveva esagerato.
«Scusa, penso che debba essere tremendo...» abbassò
leggermente il capo e alcune ciocche di capelli le coprirono il
viso. Ma perché con lui doveva essere tutto così complicato?
«Rabies, io non voglio ferirti, voglio solo capire».
Lui annuì silenzioso con un cenno del capo, aveva assunto
un’espressione pensierosa.
«Dovrai imparare».
«Imparare cosa?».
«A usare la magia» di colpo alzò un sopracciglio e la serietà
scomparve dal suo volto. «E a non tempestarmi di domande!»
aggiunse con un sorriso demenziale.
Per qualche istante lei lo fissò in silenzio, la sua espressione
subì una sorta di evoluzione accelerata: dapprima pensosa
divenne seria, poi perplessa, quindi quasi divertita.
«Io... usare la magia?» chiese infine.
Rabies rispose stringendosi nelle spalle.
«Sei sicuro?».
«Certo che no» rispose lui come se fosse stata la cosa più
naturale di questa terra «ma qualcosa dobbiamo pur fare, non
ho intenzione di starti appiccicato ventiquattro ore su
ventiquattro per difenderti».
Desdemona finse con una smorfia di inorridire al solo
pensiero.
«Forse hai ragione!».
«Ma non t’illudere, ragazza, studiare l’uso della magia non vuol
dire agitare una bacchetta ripetendo filastrocche».
«Non ci speravo neanche» ammise lei sconsolata.
«Per prima cosa andiamo a casa tua, prendiamo le cose che ti
servono e le portiamo qui».
«Ma io non ho oggetti magici in casa».
«Infatti mi riferivo a vestiti e cose varie».
«E cosa ci dovrei fare? Benedirli?» sbottò.
Rabies socchiuse le palpebre lanciandole uno sguardo severo.
«Per prima cosa devi imparare qualche incantesimo e non
diventare un chierico, in secondo luogo non ho la minima
intenzione di lasciarti i miei libri. Studierai qui».
Desdemona rimase stupita dalla sensazione di euforia che
quella sorta di sentenza aveva scatenato in lei, fece un respiro
profondo tentando di nascondere come realmente si sentisse.
«Che diavolo dici? Io non posso restare a casa tua!».
«Beh, i miei libri resteranno qui, dunque scegli: resti qui, studi
e salvi pelle e anima o te ne vai da sola allo sbaraglio?».
Lei lo guardò sbuffando con finta rabbia.
Un’ora dopo furono di ritorno con le valige.
Desdemona gemette per la fatica mentre trascinava attraverso
l’entrata un bagaglio più pesante di lei.
«Dì un po’,» disse Rabies poggiando sul pavimento del
corridoio uno zaino enorme «credi di dover restare qui vita
natural durante?» con un gesto indicò ciò che avevano già
portato dentro e quello che ancora giaceva davanti
all’ascensore.
Lei alzò le spalle.
«Che vuoi farci? Quando mi sposto... mi porto dietro un po’ di
cose».
«Un po’» ripeté lui ironicamente.
Quando ebbero finito di spostare tutto nella camera da letto,
per la prima volta Desdemona entrò nel salotto. Prevalevano
colori scuri ed era piuttosto spoglio: a parte il tavolo di legno,
le sedie, qualche mobile e un televisore c’era ben poco;
nonostante questo nell’ambiente regnava una certa eleganza,
simile a quella della stanza da letto ma in netto contrasto col
disordine del corridoio. Da un’arcata poteva intravedere la
cucina, ma stanca com’era non le passò neppure per la testa di
andare a dare un’occhiata. Proprio da quell’arcata venne fuori
Rabies, che teneva in mano due lattine di birra ghiacciata.
Aveva insistito per passare a comprarne un po’. La ragazza era
seduta di fronte al tavolo, lui le appoggiò davanti una delle due
birre, lei lo ringraziò con un cenno del capo. Lo guardò
mentre si sedeva alla sua destra. La sua lattina era già aperta e
cominciò a bere a grandi sorsate passandosi una mano fra i
capelli.
Vedendo che restava lì impalata non poté fare a meno di
lanciarle una frecciata:
«Comprendo che morire disidratata per te sarebbe
un’esperienza interessante, ma purtroppo non ho voglia di
assistere a un tale spettacolo, dunque ti dispiace aprire e
bere?».
Lei rise imbarazzata, poi seguì il suo consiglio. Prima che
Desdemona fosse arrivata a metà, Rabies aveva già finito da
un pezzo e, passando per il corridoio, si era cacciato da
qualche parte. La ragazza pensò che andare a fare un po’ di
spesa, seppur così tardi, fosse stata un’ottima idea: il suo
salvatore non avrebbe potuto lamentarsi di essere uscito solo
per lei, inoltre non sapeva quanto sarebbe stato in grado di
reggere senza qualcosa di alcolico tra le mani. Anche se non
credeva che fosse una dipendenza vera e propria, aveva notato
che era qualcosa in più di una semplice e innocua abitudine.
Fece appena in tempo a finire di formulare quel pensiero: lui
era già di ritorno e a fatica portava con entrambe le mani una
enorme pila di libri. Con un tonfo la lasciò sul tavolo davanti a
lei.
Le rivolse un sorriso pieno di pungente ironia.
«Buon divertimento!».
Desdemona gli lanciò uno sguardo allibito.
«Secondo te io dovrei studiare tutta questa roba?» non sapeva
se ridere o piangere.
Con quel sorriso ancora stampato sulla faccia lui le rispose
semplicemente:
«Rassegnati».
I giorni scorrevano, nonostante il tempo sembrasse aver perso
ogni significato. La ragazza sentiva gli occhi sempre più
stanchi. Nonostante gli argomenti le risultassero estremamente
interessanti, lo studio incessante la stremava.
«I vampiri sono creature assai bizzarre. A differenza di ciò che
i luoghi comuni riportano, ne esistono tipi fra loro molto
differenti.
I Sanguinari, coloro che hanno l’estrema necessità di bere
sangue per continuare a vivere, si dividono fra Notturni e
Indifferenti, o ancora fra Necrofagi e Onnivori. Mentre i
Notturni non tollerano la luce del sole (in alcuni casi può
addirittura portarli alla morte), agli Indifferenti essa non crea
alcun problema. Alcuni Necrofagi si cibano del sangue dei
cadaveri da poco seppelliti, altri ne prosciugano ogni liquido o
addirittura ne mangiano la carne. Sono per loro natura portati
a profanare tombe. Gli Onnivori, nonostante possano
scegliere, preferiscono generalmente cacciare le vittime
piuttosto che ricorrere alle salme. Ciò si spiega con il fatto che,
oltre ad arrecar loro maggiore piacere, questa pratica da meno
nell’occhio: risulta infatti solitamente più facile nascondere o
rendere irriconoscibile un corpo, piuttosto che tenere segreta
la violazione di una tomba».
Le si incrociavano gli occhi, alzò lo sguardo scoprendo che
Rabies la fissava con aria compiaciuta.
«Noto che ti interessano i vampiri» commentò.
«Questi argomenti mi interessano più o meno tutti... Il vero
problema è che sto impazzendo. Sono giorni che non faccio
altro che leggere» gli fece notare.
«Vedrai che fra un po’ arriva la parte divertente».
«Ma dai?» si finse sorpresa. «Più divertente di vampiri che
violano tombe e oltre a succhiare il sangue si spolpano i
morti?».
«Vedrai, vedrai...» rispose con un sorrisetto.
Desdemona, esasperata, riprese a leggere.
«Esiste poi un altro tipo di vampiri, da secoli però non si
hanno notizie dell’esistenza di un solo esemplare di questa
specie: i Dannati. Questi ultimi prendono forma attraverso un
rito che solo i Necrofagi possono compiere. Una tomba viene
profanata e il morto in essa contenuto viene fatto risorgere a
un carissimo prezzo: chi porta avanti il rito deve rinunciare alla
sua stessa esistenza in qualunque forma. Commettere un
qualsivoglia errore porterebbe a pagare questo prezzo
nonostante l’esito negativo. Il Dannato non è esente dal
pagare pegno: avrà infatti ogni ricordo della sua precedente
vita, ma sarà un essere completamente diverso, per natura e
per carattere. Conoscerà ciò che c’è dopo la morte, ma non
potrà parlarne in maniera specifica con nessuno. Il suo corpo
subirà, da un punto di vista estetico, minimi cambiamenti, che
però aumenteranno nell’individuo la sensazione di non
appartenenza nei confronti della propria memoria. Uccidere
un Dannato è estremamente difficile, soprattutto perché
tendenzialmente ogni Dannato ha sue particolari peculiarità,
ma una volta assassinato, egli cessa di esistere in ogni forma,
per sempre. La sua anima, o ciò che ne rimane, svanisce
insieme al corpo.
Si pensa che quest’ultimo tipo di vampiro si sia “estinto” per
diversi motivi: in primo luogo le conoscenze riguardanti le
modalità del rito sono probabilmente andate perdute; vi è poi
da considerare il fatto che non sono molti i motivi per cui una
creatura possa accettare la propria totale non-esistenza; inoltre
un Dannato può rivelarsi estremamente pericoloso, proprio
per le sue grandi potenzialità.
I Mutaforma...».
«Basta! Per oggi non voglio più sapere niente di questi...» stava
per usare la parola “vampiri” ma la sola idea la nauseò «cosi!».
Rabies rise di gusto.
«È divertente vederti disperare sui libri!».
Desdemona fece una smorfia.
Il giorno dopo la ragazza capì cosa intendesse il suo salvatore
quando le aveva detto che la parte più interessante sarebbe
arrivata in seguito. Sfogliò rapidamente il libro che l’Emissario
le aveva appena dato, si soffermò a leggere solamente qualche
titolo.
«Incantesimi, finalmente!».
«Già» annuì lui senza mostrare particolare entusiasmo. «E vedi
di non distruggermi la casa, per favore».
«Farò del mio meglio» rispose lei con finta innocenza.
Nella settimana che seguì Desdemona alternò la teoria alla
pratica, non provocò particolari danni a parte una mattina,
quando rovesciò un’intera libreria e fece levitare una sedia
spaccando una finestra in cucina. Trovava estremamente
difficile però sopportare il fatto di dover rimanere chiusa in
casa mentre erano chiari i segni dell’imminente autunno. Il
cielo nuvoloso e l’aria che spesso sapeva di pioggia le
risultavano molto più invitanti di una giornata di sole.
«Esistono molti incantesimi di diversi tipi. Quella che li studia
è una scienza che per sua natura non può avere regole fisse.
Nonostante tutti vengano svolti grazie all’energia di chi li usa,
alcuni fra i più potenti fanno appello alle anime di grandi
stregoni del passato. Certe magie hanno bisogno di formule,
altre sono di tipo non verbale, altre ancora possiedono
formule bizzarre, a volte apparentemente prive di significato o
grammaticalmente scorrette. Non è possibile spiegare tali...».
Rabies sbuffò vedendo che si distraeva per l’ennesima volta.
«Non ti stai applicando!» la apostrofò in maniera volutamente
pomposa.
Un’altra settimana volò fra continue e incessanti letture,
scherzi e prese in giro. Intanto la tensione continuava a
crescere in entrambi nonostante il loro silenzio al riguardo.
L’inquietudine che li scuoteva nel profondo voleva avvertirli
dell’imminenza del pericolo, forse il nemico era alle porte,
eppure nessuno ne parlava, come se, non dicendolo ad alta
voce, ciò che li attendeva potesse essere allontanato.
Nonostante tutto quella sensazione di disagio era insistente, li
perseguitava e li avvolgeva come una spessa coltre di nebbia.
Di tanto in tanto la ragazza si domandava cosa volesse dire ciò
che gli spiriti avevano riferito.
“La risposta è nel tempo”.
Forse, visto che gran parte dei libri da cui stava studiando si
basavano su testi antichi, intendevano farla avvicinare alla
magia. In qualunque caso, anche se così non fosse stato, quello
era il miglior tipo di difesa in cui potesse sperare, di
conseguenza stava certamente facendo la cosa giusta.
Erano passate due settimane dall’incontro fra Rabies e
Desdemona, quando qualcosa cambiò: l’Emissario era strano,
più del solito. Era perennemente distratto, sembrava che la sua
mente fosse rivolta altrove, a qualcosa di più importante.
Ignorava in continuazione le domande di lei; dapprima la
ragazza aveva preso in considerazione la possibilità che lo
stesse facendo di proposito, ma ben presto si rese conto di
essersi sbagliata. Lui non sentiva affatto quello che gli diceva,
preso com’era da chissà quali pensieri; le sue parole non gli
scivolavano addosso, semplicemente non lo sfioravano
neppure. Arrivò addirittura a pensare che la causa potesse
essere il cattivo riposo: da quando era ospite a casa sua le
aveva ceduto il letto, lui dormiva su una coperta imbottita
stesa sul pavimento del salotto; tuttavia si accorse subito di
aver pensato un’idiozia. Di certo era abituato a cose peggiori.
«Dovrai esercitarti un po’» disse una mattina Rabies rompendo
lo strano silenzio che si era creato.
«Mandandoti a fuoco la casa?» chiese lei più acida di quanto
avrebbe voluto.
«Possibilmente lo eviterei» rispose tranquillamente; ormai ci
aveva fatto il callo. «Il problema è che leggere e studiare dai
libri non può bastare a prepararti. Trovarsi sul campo di
battaglia è completamente differente».
«Mi sono già esercitata» gli fece notare.
«Sì, ma ti sei esercitata da sola e quando combatterai, beh...
Dubito che sarà con te stessa» spiegò lui.
«Dunque?».
«Dunque alzati».
La sua calma la stava irritando.
«Sicuro di quello che fai?».
L’Emissario sbuffò passandosi una mano fra i capelli,
stringeva una sigaretta fra l’indice e il medio della mano
sinistra.
«La vuoi finire?».
Lei alzò gli occhi al cielo.
«Nervosetta oggi, eh?» commentò, tagliente come sempre.
La ragazza alzò le sopracciglia.
«Elementare, Watson».
Nel giro di poche ore Desdemona rischiò per ben due volte di
dare fuoco alle tende, rovesciò il tavolo su cui erano poggiati i
libri, scaraventò in cucina la sedia su cui prima era seduta.
Rabies le insegnò diverse cose che non aveva letto da nessuna
parte. Rimase piuttosto stupito dalle capacità della ragazza,
non aveva mai visto qualcuno imparare così in fretta.
Sembrava particolarmente portata per gli incantesimi che
implicavano la creazione o l’uso di scariche elettriche.
Quando arrivò sera era sfinita, ma molto più tranquilla. Non
aveva idea di cosa la aspettasse, ma di sicuro ora non era più
indifesa.
Dopo quel breve intervallo, l’Emissario tornò a essere
taciturno e assente. Desdemona passò altri tre giorni a farsi
domande e a cercare di immaginare le possibili motivazioni
delle sue stranezze. Sentì che la capacità di usare il cervello
stava per abbandonarla, così finalmente decise di chiedere
spiegazioni al diretto interessato. La risposta la infastidì al
punto che pensò di aver commesso un errore.
Sentendosi chiedere cosa gli stesse succedendo, Rabies aveva
risposto con aria stanca:
«Devo andare».
«Andare dove precisamente?» aveva domandato lei accigliata.
«Non lo so, so solo che c’è bisogno di me. Devo andare, se
non voglio guai».
«Devi svolgere una delle tue “missioni”?» dentro stava
morendo dalla rabbia, ma era riuscita a nasconderlo alla
perfezione.
Lui aveva annuito con un cenno del capo e se n’era andato
senza aggiungere altro.
Ancora una volta Desdemona si sentiva irrimediabilmente
sconfitta, ma doveva farci l’abitudine: quella era la sua vita e al
momento lui era costretto a eseguire ciò che gli veniva
ordinato. Il pensiero di tentare di liberarlo non l’aveva mai
abbandonata da quando era venuta a conoscenza della sua
storia. Un uomo disposto a vendere l’anima, a rinunciare per
sempre alla felicità e alla libertà per amore, non poteva
rimanere tutta la vita una sorta di schiavo... Oppure sì? In
fondo una ragazza come Krystel era morta di overdose, c’era
allora qualche ingiustizia che non fosse possibile nella sua vita?
Scacciando quel pensiero si era rimessa a studiare e, senza che
se ne fosse accorta, erano passate due ore. Adesso ripensava a
quanto era successo. Fissava l’orologio che Rabies aveva
messo per lei sul tavolo del salotto, in modo che non dovesse
alzarsi per controllare l’orario. Dove diavolo era finito?
Capitolo 7
Rabies cominciava a non poterne più: era stanco di
camminare, faceva freddo, le strade iniziavano a farsi buie e
qualche tuono di tanto in tanto prometteva un’imminente
pioggia. Era ormai quasi giunto ai confini della città; la zona
non era certo uno splendore, ma di sicuro veniva tenuta
meglio di quella in cui viveva lui. Guardandosi intorno vide
alcune palazzine di sei o sette piani, a giudicare dall’aspetto
non erano state costruite da più di una decina d’anni. In
particolare lo colpì quello che vide attraverso un enorme
cancello attorniato da siepi: il giardino di una villa su tre piani,
pieno di piante e fiori ben curati; al centro si ergeva una
fontana con la statua di un angelo con due paia d’ali. Dalla
posa sembrava essere stato crocifisso, l’acqua sgorgava fuori
dalle sue “stigmate”. L’istinto gli fece comprendere che era lì
che doveva entrare. In quel momento gli venne rivelata la
natura della sua missione: Lilian Cumb, cinque anni prima,
aveva stipulato il patto per ottenere un’assurda quantità di
denaro. Rabies pensò che dovesse essere una povera stupida:
in nessun caso i soldi avrebbero potuto ripagare le sofferenze
provocate da un simile accordo.
“Certo... c’è anche qualche piccolo vantaggio” disse a se stesso
mentre il cancello si apriva al suo solo tocco. Attraversò il
giardino passando di fianco alla fontana. Si diresse davanti al
portone d’ingresso della villa, fatto di legno chiaro e lucido, su
cui di tanto in tanto si riflettevano i lampi. Bussò con forza, da
dentro si sentì un leggero bisbigliare ma nessuno andò ad
aprire. Appoggiò una mano sulla serratura facendone scaturire
fuoco. Diede un calcio al portone che si spalancò.
Una donna vestita da cameriera arrivò correndo.
«Vattene o chiamo la polizia!».
Lui sorrise senza calore e, senza bisogno di sfiorarla, con un
gesto la scaraventò contro la scalinata in fondo al salone;
sbatté la testa su un gradino e perse i sensi. Rabies si guardò
intorno alla ricerca della sua vittima. Doveva scegliere quale
dei due corridoi di quel piano percorrere; sentendo qualcuno
che singhiozzava si voltò di scatto verso destra e procedette in
quella direzione. Il parquet scricchiolava sotto i suoi lenti passi.
Gocce di pioggia cominciarono a picchiettare sulle vetrate
sempre più insistentemente. Sul suo volto era ancora dipinto
quel sorriso perfido. Odiava ciò che era costretto a essere,
eppure in quei momenti provava un perverso piacere. Quando
tutto finiva questo lo faceva sentire ancora più frustrato: il suo
lato da Emissario stava inesorabilmente prendendo il
sopravvento. Attraversò il corridoio come una belva assetata
di sangue, ma lui di quella donna voleva l’anima.
Sentire il terrore della sua preda, nascosta in qualche angolo
della casa, non faceva altro che aumentare la sua eccitazione.
Passò davanti a diverse porte chiuse ma, lo sapeva, nessuna di
esse era quella giusta; la meta però si avvicinava sempre più.
Finalmente arrivò di fronte a una porta già spalancata; la luce
di un lampo filtrò attraverso le tende rivelando che quello era
il bagno. Ancora una volta sentì i singhiozzi della donna che
stava piangendo, provenivano da dietro la vasca. Lentamente
la raggiunse; nella penombra poté vederla mentre si copriva il
viso con disperazione, come se il non vedere avesse potuto
proteggerla. Aveva ben capito cosa stesse per accaderle. Rabies
si chinò su di lei, con finto dispiacere inclinò leggermente il
capo e cominciò ad accarezzarle i capelli, fingendo
ironicamente di volerla consolare.
«Non devi avere paura... Questo è solo l’inizio». La ragazza
allontanò leggermente le mani dal viso. «Ti aspettano atroci
sofferenze, per tutta l’eternità» assaggiò avidamente le lacrime
che le rigavano la guancia.
Di colpo le sue carezze si trasformarono in violenti strattoni e
trascinandola per i capelli la obbligò ad alzarsi e a seguirlo.
Erano quasi arrivati alla fine del corridoio quando Lilian
cominciò a strillare chiedendo aiuto. Immediatamente Rabies
le tappò la bocca con la mano libera.
«Sta’ zitta» sibilò avvicinando le labbra al suo orecchio «oppure
prima di farti quello che devo mi divertirò a spezzarti le dita
una ad una, tanto per cominciare».
I suoi occhi incontrarono quelli della donna, che doveva avere
due o tre anni in meno di lui. Lo sguardo terrorizzato che vide
fece aumentare la sua voglia di mettere in pratica ciò di cui
l’aveva minacciata. Riprese a trascinarla per i capelli, la
costrinse ad arrivare fino al salone, dove il portone era ancora
aperto e la pioggia bagnava il parquet davanti all’ingresso.
La gettò a terra, poi cominciò.
«Lilian Cumb, ortatu Diaboli» protese il braccio sinistro verso
di lei, con il palmo della mano rivolto verso l’alto «exe anima!»
urlò chiudendo la mano in un pugno per poi portarlo verso il
petto con un gesto pieno di forza.
In quel preciso istante la donna smise di respirare, l’anima uscì
dal suo corpo ma era prigioniera di Rabies, che riusciva ad
attanagliarla senza bisogno del benché minimo contatto.
Sollevò anche l’altro braccio.
«Daemones, animam deprehendite et ipsam Inferos trahete!».
I demoni, ombre dalle forme umanoidi eppure mostruose,
emersero dal pavimento inondando la casa con le loro
tremende urla. L’Emissario si godé la scena, come inebriato da
tutto il dolore e la disperazione che riusciva ad avvertire
nell’aria. Con piacere guardò l’anima tentare inutilmente di
resistere mentre i demoni la afferravano, per poi tornare da
dov’erano venuti, portandola via con loro.
L’attimo seguente Rabies tornò in sé, vedendo a terra il corpo
di Lilian provò una sorta di repulsione per se stesso. Guardò la
cameriera che ancora giaceva sulle scale priva di sensi; al suo
risveglio non si sarebbe ricordata di lui. Decise di andarsene
prima che arrivasse qualcun altro.
Stringendosi nella lunga giacca nera che indossava uscì fuori
dal portone nonostante la pioggia. Si ritrovò per le stesse
strade che lo avevano condotto dalla sua vittima, stavolta però
era bagnato fradicio ed era ancor più infreddolito. Cominciò a
tremare. Camminò per circa un quarto d’ora, poi davanti alla
porta di un locale vide un uomo sulla cinquantina a cui
mancava qualche dente, senza un minimo di grazia portava
abiti che addosso a chiunque altro sarebbero stati eleganti.
Nonostante l’aria rozza, gentilmente prese Rabies per un
braccio.
«Prego ragazzo, entra!».
Senza dire niente lo seguì. Venne condotto all’interno, ma
subito si accorse di non essere stato così fortunato: il posto era
abbastanza pulito ma pieno di vecchi e ubriaconi, seduti al
bancone o a dei tavolini che stavano sotto un piccolo palco
con al centro un palo. Una spogliarellista stava cominciando la
sua esibizione. Indossava un vestito fra il rosso scuro e il
marrone, aveva un fisico perfetto, da ventenne, ma dal viso,
piuttosto brutto e privo di una qualsivoglia armonia,
dimostrava almeno trent’anni in più. In un angolo, un gruppo i
cui membri indossavano delle ridicole giacchette dorate,
suonava una vecchia canzone in versione rock, sulle note della
quale lei aveva appena iniziato a ballare. Vedendo tutto questo
Rabies si voltò per uscire, ma l’uomo non lo lasciò passare; gli
porse una mano per fargli capire che doveva pagare l’ingresso.
Lui lo guardò con aria stanca, in un’altra occasione l’avrebbe
pestato a sangue, ma decise di lasciar perdere. Prese alcune
monete da una tasca e gliele diede. A quel punto il suo
“amico” lo accompagnò al bancone e gli indicò la lista delle
bevande disponibili che era stata attaccata a una mensola.
La vecchia barista dai capelli grigi lo accolse con un sorriso.
«Cosa ti porto?».
Lui avrebbe voluto una birra, ma decise di optare per qualcosa
di caldo.
«Un caffè, grazie».
La donna si voltò verso la macchinetta per preparargli ciò che
aveva chiesto. Nel frattempo lo sguardo di Rabies cadde su un
tipo losco seduto di fianco a lui, stava sfilando il portafoglio
dalla tasca posteriore dei jeans di un ignaro malcapitato.
Decise di far finta di nulla.
La barista gli portò il caffè.
«Ecco a te!».
Lui ringraziò, prese la tazzina e andò a sedersi a uno dei
tavolini sotto il palco, l’unico rimasto libero. La spogliarellista
lo aveva notato già dal suo ingresso e continuava a fissarlo.
Rabies la guardava con un’aria fra lo spaventato e l’inorridito.
Alla fine dell’esibizione la donna si tolse gli slip e li lanciò,
centrando in pieno il suo caffè e facendo schizzare ciò che
ancora non aveva bevuto. Lui guardò con occhi increduli la
tazzina, indietreggiò alzandosi. Un vecchio di fianco a lui si
fiondò a recuperare il “regalo” arrivato dal palco. Rabies arrivò
davanti a quella che doveva essere la porta del bagno. La aprì e
si ritrovò davanti una breve scalinata. Dopo l’ultimo gradino
poggiò un piede sul pavimento e sentì un rumore che non gli
piacque. Abbassando lo sguardo si rese conto che il bagno era
allagato da acqua putrida e ci volle poco per notare che
quell’acqua stava fuoriuscendo da un water intasato.
Sentendo lo stomaco che si rivoltava tornò a guardare la sua
scarpa ormai lurida.
«Dannazione!».
Tornò su per andare a pagare. Voleva andarsene il prima
possibile. Nel frattempo la spogliarellista aveva raccolto le
mance che il pubblico le aveva lanciato. Rabies, arrivato
davanti al bancone, vide che la barista era momentaneamente
impegnata a servire un altro cliente, dunque si voltò dandole le
spalle e appoggiando entrambi i gomiti al ripiano. La
spogliarellista, che ormai stava per andarsene, si avvicinò; stava
per dargli un bacio sulle labbra ma riuscì solo a dargliene uno
sulla guancia, dato che lui fece in tempo a voltare il capo.
Questa distrazione tuttavia gli costò cara: senza che lui se ne
accorgesse la donna gli sfilò il portafoglio da una tasca della
giacca, poi se ne andò. In quel momento Rabies sentì la voce
della barista.
«Ragazzo» lo chiamò rivolgendogli un sorriso.
Lui si girò verso di lei cercando invano a tastoni il suo
portafoglio. Guardò l’uomo che aveva di fianco: era il ladro di
prima. Immediatamente lo afferrò per il colletto della camicia.
«Ridammi il mio portafoglio!» gli urlò in faccia.
La barista, vedendo la scena, fece un cenno all’uomo che poco
prima aveva condotto lì Rabies. Lui mise una mano sulla spalla
dell’Emissario che, nonostante la capacità di usare la magia,
venne colto di sprovvista quando, girandosi, fu colpito da un
pugno in piena faccia. Cadde a terra privo di sensi e l’uomo lo
trascinò fuori dal locale, buttandolo nuovamente sotto la
pioggia.
Rabies riprese coscienza qualche ora dopo, non pioveva più
ma i suoi vestiti erano ancora completamente bagnati. Stizzito
ripensò a quanto gli era accaduto nel locale, ma questo era
niente in confronto a ciò che gli tornò in mente subito dopo: il
piacere che aveva provato nel fare del male a quella ragazza,
nel strapparle l’anima, era terribile... Se fosse andata avanti così
sarebbe presto diventato come Daniel.
Un’idea balenò nella sua testa: Daniel! Perché non ci aveva
pensato prima?
Capitolo 8
Desdemona si svegliò nel letto di Rabies. Ormai si era abituata
a dormire lì. La notte prima lo aveva aspettato fino a tardi, poi
però, vedendo che non arrivava, aveva dovuto cedere sotto il
peso del sonno. Era rientrato? O forse era ancora in giro? O
magari... gli era successo qualcosa. Scese rapidamente dal letto,
aprì la porta e corse attraverso il corridoio. Controllò prima
nel salotto, poi nella cucina, ma senza alcun risultato. Decise
allora di fare colazione. Aveva appena aperto il frigorifero
quando sentì il rumore della chiave che veniva infilata nella
toppa. Prima che la porta si aprisse lei era già lì davanti;
quando si ricordò di essere ancora in pigiama era troppo tardi:
Rabies era già entrato, aveva il fiatone.
«Vestiti e...» esordì ansimando, ma poi vedendola alzò un
sopracciglio. «Nuovo look?» non aspettò la risposta.
«Comunque, date le circostanze, soprattutto vestiti, poi
andiamo».
«Ciao!» esclamò lei volendolo rimproverare per non avere
neppure salutato.
«Muoviti!» rispose visibilmente innervosito.
«Ma...» guardò la parte di pavimento che entrando aveva
sporcato di fango. «Sei lurido!».
«E tu sei in pigiama; credo che nessuno di noi due abbia
intenzione di uscire così...» sgranò gli occhi. «O almeno spero.
Dunque, visto che devo cambiarmi anch’io, ti spiace
sbrigarti?».
«Si può sapere che è successo?».
«Oh mio Dio...» disse lui alzando per un attimo gli occhi al
cielo. «No! Non fare domande! Ti spiego tutto in viaggio».
«Viaggio?».
«Sì, portati l’essenziale per un paio di giorni».
Lei avrebbe voluto fare altre domande, ma sapeva
perfettamente che non sarebbe servito a nulla, se non a farlo
ulteriormente arrabbiare. Senza aggiungere altro si voltò e si
diresse verso la fine del corridoio, dove c’era il bagno. Lui
andò in cucina e da un cassetto tirò fuori una discreta quantità
di denaro: per fortuna aveva le sue riserve.
Quando Desdemona ricomparve aveva un aspetto
decisamente più accettabile, eppure sembrava molto più
imbarazzata, qualcosa non andava.
«Che c’è? Perché stai lì impalata?».
La ragazza finalmente si fece coraggio, respirò profondamente,
poi parlò.
«Prima di andare, c’è una cosa che devo fare».
Rabies sbuffò passandosi una mano fra i capelli.
«Cosa?».
«Non fare quella faccia» lo rimproverò svogliatamente «Devo
passare da Krystel».
La mente dell’Emissario venne sfiorata dall’idea di fare
qualche battutaccia, ma riuscì a trattenersi.
«Va bene. Ti accompagno».
«No, preferisco andarci da sola».
«Sai che è pericoloso» mormorò.
«Certo che lo so, ma non può essere diversamente» nonostante
il tono calmo incrociò le braccia sul petto, quasi a voler
sottolineare la sua decisione.
Rabies era certo che tentare di convincerla a cambiare idea
sarebbe stato del tutto inutile.
«Fai come ti pare» concluse alzando gli occhi al cielo.
«Grazie!» la ragazza sorrise con aria dispettosa e al contempo
soddisfatta.
«Stai attenta però».
«Va bene nonno!».
«Chiamami di nuovo “nonno” e giuro che ti trasformo in un
rospo!».
Un’ora dopo Desdemona era ferma davanti all’entrata del
cimitero di Levran. Il cancello di metallo scuro era lavorato
finemente, le rose che si intrecciavano erano state
rappresentate con incredibile realismo. Il cielo grigio per le
nubi, cariche di pioggia, sembrava fare da cornice. Una targa,
probabilmente da decenni e decenni, era stata inchiodata alla
colonna alla sua destra, fatta dello stesso metallo del cancello.
Questa soglia divide due mondi
la pietà li congiunge
«Pietà:» pensò «forse avrei dovuto averne di più quando
Krystel era ancora qui».
Poggiò la mano sulla maniglia che sembrava di argento
invecchiato. Il cancello si aprì con un cigolio simile a un
lamento. Lo richiuse alle sue spalle, ora sentiva di non poter
più scappare. Ricordava perfettamente dov’era la tomba, anche
se mancava da lì da più di un anno.
Fra croci di pietra e lastre di marmo, di tanto in tanto,
spuntavano i colori accesi dei fiori. Lentamente cominciò a
camminare fra angeli e santi. I lumi emanavano un intenso
odore di cera che si mescolava a quello dei sempreverdi.
Le fotografie sembravano osservarla da dietro i vetri, qualcuna
seria, qualcuna sorridente. Sentì un nodo salirle in gola man
mano che si avvicinava. Erano passati tre anni, eppure non si
era mai abituata all’idea. Alcune volte le capitava ancora di
vedere da lontano per strada qualche ragazza, pensando per un
attimo “Chissà se è lei?”. Altre era tentata per un istante di
telefonarle, perché dopo tutto quel tempo ancora non aveva
voluto cancellare il suo numero dalla rubrica del cellulare. La
sua mente si rifiutava di accettare la realtà, forse perché troppo
assurda, forse perché troppo ingiusta. Eppure ogni volta che
tornava in quel cimitero aveva la conferma della tragica verità.
Anche per questo aveva smesso di tornare a visitare la tomba
dell’amica: ogni volta sentiva di lasciare, insieme a un fiore, un
po’ della sua speranza. In tempi in cui di per sé scarseggiava,
sentiva di non poterselo più permettere. Alla fine la lapide
comparve.
Krystel Knife
1985-2004
Gli angeli danzarono portandoti via con loro
Desdemona si chinò poggiando la rosa bianca che teneva in
mano sul terreno umido.
«Mi manchi tanto tesoro...» mormorò, quasi come se, più che a
lei, lo stesse dicendo a se stessa. «Anche se non ne ho il
diritto» continuò con voce tremante «ti prego di aiutarmi...
Aiutami ad aiutarlo» sospirò.
Aveva senso quella preghiera?
Rabies chiuse a chiave la porta del suo appartamento.
Indossava una giacca nera così lunga da sembrare quasi un
cappotto, sul capo una cuffietta nera da cui sporgevano le
punte dei capelli. Desdemona aveva uno zaino sulle spalle,
come sempre era completamente vestita di nero e alle dita
portava molti strani anelli. Dopo aver messo le chiavi in tasca
Rabies la squadrò da capo a piedi.
«Tu non sei la classica ragazzina che muore dietro alle boy
band, vero?».
Lei rispose con una smorfia. Entrarono nell’ascensore.
«Allora? Mi spieghi cosa succede?».
«Ti porto da Daniel».
«Sì, questo si era capito» rispose spazientita. «Chi è? Perché mi
porti da lui?».
«Anche lui è un Emissario, può aiutarci a capire qualcosa in
più su tutta questa storia».
«È un tuo amico?».
Dovette riflettere per qualche secondo.
«Diciamo che lo conosco da un po’... Sta molto attenta a lui».
«Perché?» domandò lei non riuscendo a capire cosa intendesse
precisamente.
«Sta attenta e basta» disse bruscamente.
«Almeno mi dici dove andiamo?».
«A Natas, è parecchio distante da qui; per arrivarci ci vorrà
tutto il giorno, dovremo prendere un paio di treni».
E fu così: partirono di mattina ma, quando dal treno scesero
alla stazione di Natas, il buio era già calato. Nonostante l’ora
ovunque c’erano persone che trascinavano i loro bagagli, in
ogni angolo mendicanti e accattoni. Rabies, più che capire
dove andare, sembrava doverlo semplicemente ricordare,
sapeva come muoversi.
«Manca ancora molto?» chiese Desdemona visibilmente
stanca.
«No, qua vicino c’è un albergo che è un tutt’uno con un locale;
in genere Daniel canta lì».
«Un Emissario cantante?».
Lui alzò un sopracciglio.
«Di che ti stupisci?».
«Beh, è strano immaginare un cantante che nel tempo libero
va in giro a strappare l’anima alla gente».
Rabies fece una breve risata.
«Se avessi visto lui non ti sembrerebbe affatto strano, credimi».
Appena usciti dalla stazione Desdemona si sentì travolta
dall’atmosfera di Natas: grattacieli e luci ovunque, giardini ben
curati ma pieni di spazzatura che, come tutti i giorni, sarebbe
stata rimossa l’indomani mattina. L’unica città a cui avrebbe
potuto paragonarla era New York. Nel giro di qualche minuto
finalmente giunsero a destinazione. Da fuori l’edificio
sembrava sporco e malandato. Su un’insegna rossa che si
illuminava ad intermittenza perché rotta, si poteva leggere
“Benvenuti al Motel Natas”.
Desdemona lanciò un’occhiataccia a Rabies.
«Albergo, eh?».
Lui si strinse nelle spalle.
«È la stessa cosa» farfugliò.
Entrando la ragazza poté notare che l’impressione data
dall’esterno dell’edificio non era affatto sbagliata.
Un vecchio da dietro il banco della hall li accolse con un
grugnito, indicò il listino dei prezzi alle sue spalle.
«Volete una stanza o dovete scendere al piano di sotto?».
«Entrambe le cose» rispose Rabies prendendo il portafoglio.
Tirò fuori alcune banconote e le poggiò sul banco.
L’uomo controllò in controluce che fossero autentiche, poi
prese la chiave di una stanza e gliela porse.
«Buona permanenza» disse con un tono che, anche se
sgarbato, rappresentava probabilmente il massimo della
cortesia da lui raggiungibile.
Rabies afferrò la chiave e voltandosi fece cenno a Desdemona
di seguirlo e salire al piano superiore. Percorsero la breve
scalinata, poi si trovarono davanti a un corridoio lungo e
stretto, il cui pavimento era ricoperto da un’orribile moquette.
Arrivati davanti alla camera lui si fermò di colpo.
«È questa».
Desdemona lo guardò stupita.
«Come fai a sapere che è proprio questa?».
«Puro intuito» rispose ironicamente lui indicando il numero
tredici ben leggibile sulla chiave.
Una volta entrati poterono constatare che anche la loro stanza
era in perfetta armonia col resto della struttura: la ragazza non
aveva mai visto una camera più brutta e squallida di quella.
Tutto ciò che conteneva erano due brandine malandate e due
comodini, ognuno con una piccola lampada poggiata sopra;
non osarono entrare nel bagno. Poggiò il suo zaino su uno dei
letti, uscirono chiudendo a chiave la stanza e si diressero al
piano inferiore. Stavolta sarebbero entrati nel famigerato
locale. Scesa l’ultima rampa di scale aprirono la porta
d’ingresso e furono investiti dalle note di un gruppo black
metal. Un centinaio di persone erano riversate in un locale che
in realtà, molto probabilmente, era progettato per ospitarne
poco più della metà.
Tutti, senza eccezione, erano rapiti dalla musica. Spingendosi e
strattonandosi si muovevano a ritmo, simili a una marea.
«Questo gruppo è in gamba! Chi sono?» domandò
Desdemona.
«I Children of Fear».
«Ma dov’è Daniel?» doveva urlare a squarciagola per farsi
sentire. «Come facciamo a trovarlo?».
Rabies indicò un punto dall’altra parte della sala. La ragazza
guardò in quella direzione ma, non riuscendo a capire a chi si
riferisse, gli lanciò uno sguardo perplesso.
«Guarda sul palco: è il cantante».
Alzò lo sguardo e finalmente lo vide. Un uomo che doveva
avere qualche anno in più di Rabies cantava con quanta grinta
aveva in corpo. Arrivava a prendere note talmente alte da
essere quasi assurde, eppure era in grado di “growllare” in
maniera fenomenale. Non sembrava essere molto alto; aveva i
capelli neri e lisci, lunghi quasi fino al fondoschiena. Era
vestito di nero e portava degli anelli molto simili a quelli di
Desdemona. Aveva un piercing al labbro e uno al naso. Il suo
viso era completamente truccato di bianco eccezion fatta per
la matita nera sotto e sopra agli occhi, ma anche agli angoli
delle labbra, da cui partivano due linee verticali che andavano
verso il basso. Il rossetto nero metteva in risalto la dentatura
ogni volta che apriva bocca. Le sue iridi, di un azzurro
talmente chiaro da sembrare quasi bianco, splendevano alla
luce dei riflettori.
La ragazza tornò a guardare Rabies.
«Quello sarebbe Daniel?».
«Sì, ma perché ci hai messo tanto a capirlo? Ti avevo già detto
che canta».
«Cosa?» chiese Desdemona non avendo capito a causa della
musica altissima.
«Ti avevo già detto che canta!» ripeté lui cercando di alzare
ulteriormente la voce.
«Non ci avevo pensato» strillò. «Ma come facciamo a
parlarci?».
«È già tardi, fra poco il concerto dovrebbe finire, quindi goditi
le poche canzoni che restano, dopo potremo avvicinarlo senza
problemi... Spero» mormorò l’ultima parola fra sé e sé.
Prese da una tasca un pacchetto di sigarette e ne accese una.
Ci volle solo un quarto d’ora prima che i Children of Fear
terminassero la loro esibizione fra urla e applausi.
Istantaneamente Rabies prese la ragazza per un braccio
«Forza, muoviamoci prima che se ne vada».
Facendo attenzione a non staccarsi l’uno dall’altra per non
perdersi, si fecero strada fra gomitate e spintoni. Finalmente
arrivarono al piccolo corridoio che costituiva il backstage.
Daniel stava parlando con il bassista, ma subito si voltò a
guardare Rabies con una strana espressione, fra il perfido e
l’idiota.
«Sapevo che eri qui» sorrise in maniera altrettanto strana.
«Non essere troppo felice» rispose lui con aria già seccata.
«E lei chi è?» chiese rivolgendosi a Desdemona.
«Una persona che sa».
Alzò un sopracciglio.
«Interessante...».
«Durante un combattimento fra me e un angelo è stata colpita
alla schiena. È comparso un simbolo, una stella a sei punte. Ne
ho trovata una identica su una tavola ouija; appena ho evocato
gli spiriti, senza fare alcuna domanda, hanno detto che la
risposta è nel tempo. Intanto lei, che era lì davanti, ha avuto
una sorta di visione in cui ha visto una sua amica morta da
anni; diceva che il messaggio proviene da spiriti a noi
favorevoli» disse come se stesse facendo il riassunto di un film
piuttosto noioso.
«Come si chiama?» pur ascoltando Rabies, continuava a
guardare la ragazza con eccessivo interesse.
«Desdemona, ma mi vuoi ascoltare?» lo rimproverò lui.
«Dimmi Desdemona» cominciò avvicinandosi pian piano
«quella ti sembrava davvero la tua amica?».
Era strano: nonostante, ora che non era più sul palco, desse
l’impressione di essere una persona dall’umorismo demenziale,
nei suoi occhi c’era qualcosa di ipnotico. La ragazza lo fissava,
era allo stesso tempo terrorizzata e affascinata. Per lei era
sempre stato piuttosto semplice capire le persone solo con
uno sguardo, ma lui era diverso, qualcosa le sfuggiva.
«Era lei, non c’è ombra di dubbio».
«Sei certa di quello che dici?».
Lei annuì «Assolutamente».
«Mmm... Bene» si grattò una spalla. «Credo di potervi aiutare».
«Bene» commentò Rabies.
«Non essere troppo felice» stavolta fu Daniel ad ammonirlo.
«In cambio, ovviamente, voglio qualcosa».
Lui gli lanciò un’occhiataccia.
«Che vuoi?».
Con l’indice fasciato da uno dei suoi anelli accarezzò una
guancia di Desdemona.
«La tua amica è carina...».
Rabies lo allontanò dandogli uno spintone.
«Ma non lo vedi che è una ragazzina?! Lasciala stare!».
«Mah... a me sembra già abbastanza grande».
«Nessuna ragazza è mai pronta per uno come te».
«Dai... Non sono poi così cattivo» sorrise perfidamente.
La ragazza era tremendamente imbarazzata, non sapeva dove
nascondere la faccia.
«Senti» Rabies ormai ne aveva abbastanza e si tratteneva a
fatica «se vuoi che la tua ricompensa sia qualcosa di diverso da
un pugno in faccia, ti conviene trovare qualcos’altro e alla
svelta!».
«Oh, lei piace a te, potevi anche dirlo» rispose con fare
malizioso.
Lui avrebbe voluto incenerirlo con lo sguardo.
«Imbecille!» sibilò.
«Sei disposto a fare qualche lavoretto per me?».
«Dipende».
«Diciamo che dovresti ripulire una casa».
«Voi che vada a rubare per te?».
«No, che diventi Cenerentola! Ti sembro la fata buona?».
«Cosa vuoi che prenda?» chiese ignorando la sua ironia.
«Un libro di magia».
«Perché non te lo prendi da solo?».
«I proprietari della casa sono anche i proprietari di questo
posto, se mi vedono mentre sono all’opera devo ucciderli, se li
uccido rischio di restare senza lavoro».
Fece una smorfia.
«Secondo me c’è la fregatura... Comunque accetto. E mi
aspetto che poi tu stia ai patti».
«Non sono così stupido da volerti avere contro, poi aiutarti
non mi costa assolutamente niente. Sta attento a lei però: la
stai mettendo in un guaio che neppure immagina» tornò a
sfoggiare quel suo strano sorriso.
«A me basta che non ti avvicini tu, a tutto il resto c’è rimedio».
La guardò per un attimo. «Poi fidati, in questo guaio ci si è
messa con le sue stesse mani».
«Ma si può sapere perché ce l’hai con me?» chiese con finta
innocenza. «A cosa devo tanta ostilità?».
«Sarà per il fatto che sei peggio di una bestia».
«Sei convinto di essere migliore di me? Un Emissario è un
Emissario!».
«Io faccio quello che sono costretto a fare, tu...» fece una
pausa, sul volto aveva un’espressione disgustata. «Ti diverti a
umiliare le tue vittime, fai loro qualsiasi cosa sadica ti passi per
la mente! Ci provi gusto».
Desdemona rimase in silenzio ma rabbrividì.
Daniel sorrise ancora una volta.
«Non è sempre stato così» rispose con calma inquietante. «Ma
non devi preoccuparti, il piacere arriva col tempo».
Rabies inorridì.
«Tu sei un maledettissimo pazzo maniaco!» gli urlò in faccia.
«Non diventerò mai come te! Mai!» si domandò se stesse
gridando per la rabbia o per la paura di poter divenire simile a
lui.
Come risposta ottenne solo un’espressione beffarda.
«E togliti quel sorriso dalla faccia!».
Desdemona si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla.
«Rabies...» disse con voce calma. «Non ascoltarlo» poggiando
l’altra mano sul suo viso lo invitò a guardarla negli occhi.
«Facciamo quello che ci ha chiesto, otteniamo il suo aiuto e
tentiamo di risolvere la questione. Ma sai meglio di me che
non devi starlo a sentire, ha torto».
Lui annuì. La ragazza poteva leggere nel suo sguardo quanto
fosse spaventato.
«Ma che carini...» commentò ironicamente Daniel. «Credo che
potrei anche commuovermi».
«Pensa meno a fare lo spiritoso e dammi quel dannato
indirizzo».
L’uomo prese carta e penna da un tavolino lì vicino e scrisse
qualcosa su un foglietto. Lo piegò poi lo diede a Rabies che
senza controllare se lo mise in tasca.
«Prima o poi brucerai all’Inferno».
«Potresti anche arrivarci prima di me però» rispose Daniel
guardando la sigaretta che il suo “collega” stringeva fra le dita.
«Può darsi, ma potrebbe anche non andare così» espirò in
modo che tutto il fumo gli andasse in faccia, ma la cosa non
sembrò infastidirlo.
«Lo vedremo».
A questo punto Rabies non replicò, si limitò a voltarsi e ad
andarsene. Desdemona lo seguì. Daniel rimase lì impalato per
qualche secondo; a momenti pensava che quell’uomo fosse
piuttosto ingenuo, troppo per essere ciò che era, in altri
provava per lui un’ammirazione che quasi sfociava nell’invidia:
nonostante fosse già da qualche anno un Emissario, era come
se, almeno in parte, riuscisse ancora a rimanere fedele ai suoi
principi. In un certo senso era un ribelle. Entrambi erano
piuttosto conosciuti nel loro ambiente: Rabies era infallibile e
insolitamente indipendente, per quanto possibile ancorato a
quelli che erano stati i suoi ideali, Daniel era l’esatto opposto,
eccezion fatta per l’efficienza e l’infallibilità. Era di certo uno
degli Emissari più crudeli e spietati che ci fossero, come se col
tempo il suo cuore fosse marcito. Mese dopo mese, le sue
azioni e i suoi modi di svolgere ciò che gli veniva ordinato si
erano fatti sempre più sadici e cruenti. Ormai era risaputo che
fare del male fisicamente e psicologicamente alle sue vittime lo
appagava in maniera inimmaginabile. Lui ovviamente andava
più che orgoglioso della sua reputazione. Ma come sarebbe
stata la sua vita se non avesse ceduto? Si rispose che invece di
divertirsi avrebbe passato il resto dell’esistenza fra rimpianti e
rimorsi, e l’idea non lo attirava per niente. La corruzione era
ben accetta, purché portasse con sé il piacere.
Una voce femminile alle sue spalle interruppe quei pensieri,
doveva essere una delle sue ammiratrici. Nonostante non si
potesse dire che i Children of Fear fossero famosi, c’erano già
gruppi di persone che andavano più o meno a ogni loro
concerto.
«Daniel!».
«Sì?» si voltò trovandosi davanti una ragazza che, a giudicare
dall’abbigliamento, doveva essere una blackster.
«Complimenti, siete stati davvero fantastici!».
Capitolo 9
«Non se ne parla neanche!» Rabies ancora una volta alzava la
voce, ma stavolta ce l’aveva con Desdemona.
«Ma perché?».
«Due parole: è pericoloso».
Camminavano per le strade di Natas alla ricerca dell’abitazione
che avrebbero poi dovuto derubare.
«Non ti lascerò fare tutto da solo».
«Questo non è detto».
«Ho detto di no! Per quale motivo mi hai tenuta per quasi tre
settimane sui libri? Per lasciarmi da parte quand’è il momento
di agire?».
«No: per poterti difendere in caso di estremo bisogno».
«E come farò senza aver mai praticato nella vita reale? Potrei
anche non riuscirci».
Lui scoppiò a ridere, non sapeva se essere più irritato o
divertito.
«Sei incredibile... Ne sai una in più del Diavolo!».
La ragazza sorrise.
«Se lo dici tu, che sai di cosa parli, allora non posso fare altro
che crederci».
«Ascolta, la magia non è un gioco, usala solo quando è
necessario. Più la usi, più corri il rischio di essere scoperta».
«Da chi? Dai demoni? Dagli Emissari?».
«Ma no...» scosse la testa. «Loro possono avvertire
chiaramente ciò che c’è in te, il problema sono tutti gli altri».
«Gli altri?».
«Le persone che non sanno» spiegò lui. «Se solo ti vedessero
potresti rovinargli la vita, o peggio, loro potrebbero rovinare la
tua. In genere chi assiste a questo tipo di cose si convince di
essere pazzo, di soffrire di allucinazioni oppure, come
succedeva soprattutto in passato, diffonde la notizia e, dopo
aver messo su un gruppo di fanatici, ti perseguita. Ricorda: la
caccia alle streghe in realtà non è mai finita».
Lei scosse leggermente il capo.
«La gente non capirà mai...».
«No Desdemona, mai».
«Aspetta un secondo!» di colpo sul suo volto comparve
un’espressione felice. «Tutto questo discorso vuol dire che mi
porterai con te?».
«Non ho mai detto questo».
«Ma è così? Lascerai che venga?».
Rabies sbuffò.
«Ho altra scelta?».
La ragazza si finse pensierosa.
«Beh, in effetti puoi scegliere fra due alternative: portarmi con
te, senza riportare danni, o portarmi con te avendo le orecchie
martoriate dalle mie insistenti richieste».
«Opterei per la prima» disse lui senza scomporsi
minimamente.
«Ti ringrazio, in questa maniera mi risparmi tanta inutile
fatica».
«Scherzi a parte, sta’ attenta quando saremo lì: non possiamo
sapere se Daniel non vuole andarci di persona per i motivi che
ci ha spiegato o perché è troppo rischioso».
Solo a sentirlo nominare le parve di rivedere quel suo sguardo
ipnotico.
«Perché? Cosa potrebbe esserci?».
«Di tutto».
«Rassicurante».
«È la verità».
«È proprio questo il punto! A proposito di Daniel, è strano.
C’è qualcosa che mi sfugge in lui».
«Sta’ attenta, non sei la prima ad esserne attratta... e le persone
a cui piace non fanno mai una bella fine».
«Non sono attratta da lui!» ribatté quasi offesa.
«Non ancora, ma ti incuriosisce e, nel suo caso, fra una cosa e
l’altra, il passo è assai breve».
«Dopo quello che so su di lui?».
«Soprattutto dopo quello che sai su di lui».
Desdemona era talmente imbarazzata e arrabbiata da non
riuscire a rispondere. Lei con una cotta per un essere simile?
Ma per chi l’aveva presa?
«Lo so che quello che ti sto dicendo può sembrare orribile e
assurdo, ma prova a pensarci un attimo: se un mese fa ti
avessero spiegato cos’è un Emissario, se ti avessero detto che
avresti addirittura insistito per andare a derubare una casa con
una persona così, ci avresti creduto?».
La ragazza non riusciva a dormire: continuava a pensare alle
parole di Rabies. Daniel era davvero così pericoloso? Era
realmente così semplice cadere nella sua trappola?
La stanza era illuminata solo dalla fioca luce della lampada
poggiata sul comodino di Desdemona. Distesa sul letto, si
voltò a guardare quello che ormai era il suo compagno di
viaggio. Era così bello mentre dormiva... Dato che avevano
sempre dormito separatamente non aveva mai avuto occasione
di osservarlo in quei momenti. Vide il suo viso come mai
prima di allora: completamente sereno. L’inferno ghiacciato
dei suoi occhi poteva finalmente riposare, protetto dal manto
di ombre con cui il sonno l’aveva ricoperto. I suoi capelli scuri
accarezzavano la federa a ogni leggero movimento del capo.
Lei si mise a sedere sul letto. Scese e si avvicinò lentamente a
Rabies, facendo attenzione a non fare rumore. Si inginocchiò
sul pavimento. Ora poteva sentire il suo respiro sulla pelle, fu
come se il tempo si fosse fermato, sentì i battiti del cuore
accelerare leggermente. Con una mano gli sfiorò i capelli, poi
lasciò che le dita scivolassero sulla tempia, sulla guancia e, alla
fine, sulle sue labbra. La pelle di Rabies era calda e vellutata, il
tocco di Desdemona pieno di tenerezza. Nei suoi occhi, ormai
lucidi, era comparsa un’espressione sognante. Era diventato
importante per lei, forse troppo. Come al solito aveva ragione
lui: cose che fino a poco prima sarebbero sembrate impossibili
potevano tranquillamente accadere. Qui però, purtroppo e per
fortuna, non si parlava di Daniel. Se avesse potuto avrebbe
estirpato dal suo cuore l’affetto che aveva cominciato a
provare, l’avrebbe bruciato; o forse no. Era sempre stata una
maestra nel farsi del male, ma desiderare il bene di un dannato
era un vero colpo di genio. Eppure, anche se nascosta dietro i
veli del Male, poteva vedere un’oscura dolcezza in lui.
Esitando ritirò la mano. Si mise nuovamente a letto e spense la
lampada. Prima di addormentarsi ci fu un pensiero ad
accompagnarla e a cullarla: quello dell’uomo che era lì di
fianco a lei, un dolcissimo veleno.
Fu la voce di Rabies a svegliarla.
«Desdemona!».
Lei rispose borbottando qualcosa di incomprensibile.
«È ora di svegliarti, vedi di muoverti!».
Si alzò di scatto.
«Come sarebbe? Non dovevamo andarci di notte?».
«È già notte» rispose guardandola male.
Prima di andare a dormire, i due avevano fatto un giro a Natas
per trovare l’abitazione che avrebbero poi dovuto derubare. In
seguito avevano deciso che la loro missione si sarebbe svolta la
notte successiva, dunque Rabies le stava praticamente dicendo
che aveva dormito per quasi ventiquattro ore.
«Ho dormito un giorno intero?».
«Sì, pigrona!».
«Che ore sono?».
«Le due, sbrigati».
Senza aggiungere altro la ragazza prese lo zaino con dentro i
suoi vestiti e quelli di Rabies e si precipitò in bagno.
Un’ora dopo erano nuovamente davanti all’edificio di cui, la
notte precedente, avevano scoperto l’ubicazione. La vista della
villa riportò alla mente dell’uomo Lilian Cumb. L’enorme
cortile era praticamente una scacchiera, formata da grosse
mattonelle quadrate, bianche e nere, con tanto di statue di
marmo degli stessi colori, alte all’incirca un paio di metri,
raffiguranti tutti i pezzi degli scacchi; mancava solo la regina
nera. Alle spalle del cortile si ergeva la villa in stile gotico. Le
enormi vetrate erano coperte da disegni che rappresentavano
Cristo crocifisso. Ovunque dalle facciate sporgevano statue di
gargoyle. Per un attimo Rabies, sentendosi debole, si aggrappò
al cancello: gli sembrava che le sue gambe stessero per cedere.
Un’orrenda sensazione lo pervase da capo a piedi.
«Che hai?» la ragazza lo sorresse.
«Pessimo presentimento!» si lamentò lui. «Non mi sbagliavo,
c’è il tranello. Là dentro c’è qualcosa...».
«Ce la fai?».
Annuì rimettendosi in piedi.
«Sta’ molto attenta però».
Nel giro di poco scavalcarono il cancello; ora anche
Desdemona poteva sentire ciò di cui parlava Rabies. In preda
al terrore lo prese per un braccio.
Lui la guardò.
«Lo senti anche tu, vero?».
«Sì... È tremendo» rispose impaurita.
«È un’ottima cosa: stai sviluppando il tuo sesto senso. Ora
però non devi lasciarti dominare, le sensazioni che provi
devono servirti a stare in guardia contro eventuali pericoli, non
a deconcentrarti».
La ragazza poteva quasi sentire delle urla nella sua mente.
Terrore e angoscia si mescolavano dentro la sua testa, tuttavia
si fece coraggio e proseguì. Attraversarono il cortile
guardandosi intorno, sembrava che quelle statue dovessero
prendere vita da un momento all’altro. Erano impressionanti,
perfette in ogni dettaglio. Arrivati davanti al gigantesco
portone, a Rabies bastò un tocco perché la serratura scattasse.
Con una mano lo accompagnò lentamente e con un cigolio si
aprì. Guardò negli occhi Desdemona come per raccomandarle
prudenza. La giacca di pelle rossa che indossava rifletteva in
piccola parte la luce proveniente dall’interno. Varcarono la
soglia e si trovarono davanti una sala illuminata solo da
candele, con al centro una piscina. I candelabri erano fatti di
un metallo scuro e opaco, sbucavano dai muri simili a serpenti;
spesso rappresentavano dragoni o figure demoniache.
«Le candele accese... Sapevano del nostro arrivo».
Le luci che si riflettevano sulle piastrelle nere rendevano
l’atmosfera ancora più inquietante. Dal corridoio in fondo a
sinistra proveniva un rumore di tacchi; finalmente giunse la
padrona di casa. Sul pallido viso dai tratti nordici risaltavano le
labbra, tinte di un rosso acceso, e gli impenetrabili occhi neri.
Aveva i capelli scuri, lisci e lunghi, la fronte veniva coperta da
una frangetta. Indossava una lunga veste nera con orli e ricami
dorati. Uno spacco si apriva sul lato destro per arrivare sino
alla coscia.
«Benvenuti».
«Chi sei?» chiese Desdemona.
Sorrise senza calore.
«Dovrei essere io a chiederlo».
A Rabies erano bastati pochi secondi per capire con chi, o
forse sarebbe stato il caso di dire “con cosa”, avessero a che
fare. Da una tasca tirò fuori un accendino e un pacchetto di
sigarette, ne prese una.
Per un attimo guardò la donna.
«Non ti dispiace, vero?» senza attendere la risposta si mise la
sigaretta fra le labbra e la accese. Tirò una lunga boccata di
fumo mentre si voltava verso Desdemona. «È un vampiro
mutaforma».
La ragazza strabuzzò gli occhi.
«E, di grazia, che diavolo è un vampiro mutaforma?».
Rabies fece un vago gesto indicando la donna.
«Lei».
Desdemona gli lanciò un’occhiataccia.
«Grazie per la delucidazione» rispose ironicamente.
«Non è educato che litighiate qui, nella mia dimora, senza
neppure esservi presentati. Ma non importa, ho avvertito la
vostra presenza ieri notte e ho immaginato che sareste tornati»
fece una pausa guardando i due come un lupo affamato guarda
la sua preda prima di dilaniarla. «Grosso errore...».
«Sta’ attenta: si nutre della forza vitale di altri esseri e può
assumere un’infinità di forme».
La ragazza lo guardò completamente sbalordita: come diavolo
faceva a starsene lì tranquillo a fumare avendo davanti una
cosa del genere?
«E... Cosa facciamo?!».
«Per ora niente» rispose con tutta la calma del mondo.
«Rassicurante».
«È una creatura del Male, non posso attaccarla se non è lei a
farlo per prima».
Il vampiro incrociò le braccia sul petto.
«Cosa volete? Non sono un essere molto paziente».
Lo sguardo di Rabies si fece duro e deciso.
«Il libro, vogliamo il libro».
La creatura rise di gusto.
«Non ve lo darò mai, l’ho scritto io personalmente ed è mio».
«Comprendo che tu possa non essere d’accordo, ma lo voglio
e lo avrò».
Sorrise.
«Vedremo... Ma dimmi, hai notato la mia graziosa scacchiera
fuori?».
Lui non rispose.
«Ogni pezzo, ogni singolo pezzo, un tempo era un essere
umano. Ho preso la loro forza vitale ma ho lasciato loro la
coscienza, li ho intrappolati in quelle statue per l’eternità.
Sentono ogni cosa ma non possono reagire in alcun modo; li
ho lasciati in preda alla follia e alla disperazione».
Desdemona inorridì; ora comprendeva perché si fosse sentita
in quel modo appena scavalcato il cancello.
«È un peccato che tu e Daniel non vi conosciate» disse Rabies
con una smorfia.
«Certo che conosco Daniel, siamo ottimi amici, eccezion fatta
per un piccolo punto su cui siamo in disaccordo: anche lui
vuole il mio libro. L’ultima volta che è passato da queste parti
ha rischiato di diventare uno dei miei giocattoli».
L’Emissario alzò un sopracciglio: non si era sbagliato, la
fregatura c’era ed era anche grossa.
«Hai intenzione di tenermi qui per sempre a chiacchierare o
farai qualcosa?».
«Qualcuno che voglio tenere qui per sempre c’è, ma non sei
tu» rivolse lo sguardo a Desdemona. «Nella mia scacchiera
manca la regina nera».
La ragazza aveva lo sguardo terrorizzato, indietreggiò di
qualche passo.
Rabies si mise fra loro due in segno di difesa.
«Scordatelo».
«Tnias comanda ai ghiacci di piegarsi al suo volere» sibilò.
Fra le sue mani si formò una sfera luminosa da cui
cominciarono a saettare spuntoni di ghiaccio. Istantaneamente
Rabies lasciò cadere la sigaretta e creò uno scudo infuocato
che rese vano l’attacco della sua avversaria. Cominciò ad
avanzare verso di lei. Le fiamme si riflettevano sulla sua veste
lucida. Tnias approfittò del fatto che lo scudo impedisse una
visione nitida di ciò che c’era dall’altra parte. Con un balzo
cambiò angolazione, da quel lato Rabies era scoperto. Lanciò
un’altra raffica di spuntoni. Lui tentò di schivarli ma non fu
abbastanza veloce, venne colpito al braccio e alla gamba
destra; era ferito. Non lasciandosi sfuggire l’occasione, il
vampiro mutaforma lanciò un fascio di energia contro
Desdemona. Era diverso da quelli che la ragazza aveva visto
fino a quel momento, invece di illuminare l’ambiente
circostante sembrò quasi assorbire gran parte della luce, con
tutta probabilità doveva servire a prenderle la forza vitale e a
tramutarla in una statua. Rabies, che era caduto a terra, si
sporse in avanti; non sarebbe mai riuscito ad arrivare in tempo.
Fu allora che Desdemona sollevò il braccio sinistro, bloccò il
colpo di Tnias e glielo ritorse contro. Prima che potesse
rendersene conto la creatura venne colpita dalla sua stessa
magia. L’Emissario rimase stupito dall’abilità e dalla prontezza
di riflessi che la ragazza aveva sviluppato.
Desdemona lo guardò sorridendo.
«Te l’avevo detto, ho fatto bene a venire».
Tnias ansimava, sembrava una cagna con la rabbia. Le dita
della mano destra cominciarono a pietrificarsi.
«Maledetta! Ma non credere di esserti salvata, ti porterò con
me!».
Nel giro di pochi istanti si mise a gattoni, la veste e i capelli
neri si trasformarono in pelo, gli occhi divennero quelli di un
felino, le unghie artigli. Era diventata una pantera. Saltò, aprì la
bocca e i suoi canini divennero acuminati.
«Non farti mordere Desdemona! Non farti mordere!» urlò
Rabies.
La ragazza cominciò a correre verso il corridoio, ma Tnias si
avventò su di lei ed entrambe caddero nella piscina. Il vampiro
abbandonò la sua forma animale. Desdemona sott’acqua diede
un pugno nello stomaco alla sua avversaria che si piegò per il
dolore. L’acqua fredda le pungeva la pelle. Tentò di nuotare
verso l’alto, ma la creatura la afferrò per una caviglia
trascinandola. La strinse violentemente per i fianchi e avvicinò
la bocca al suo collo. La ragazza si dimenava disperatamente,
non riusciva più a trattenere il fiato, sentiva il cuore battere
all’impazzata ed era come se i suoi polmoni stessero per
scoppiare. Che diamine sarebbe successo se quella cosa fosse
riuscita a morderla? Continuò a dibattersi, ma senza successo.
Per quanto si impegnasse non era capace di liberarsi da quella
fatale morsa. Pochi secondi dopo sentì i canini di Tnias
affondare nella sua pelle. E ora cosa l’attendeva?
«Forse è la fine...» pensò avendo la sensazione che l’abbraccio
finale di quelle acque fosse vicino. «O forse è solo l’inizio».
Capitolo 10
Desdemona sentì un tonfo e guardò verso l’alto. Tutto ciò che
riuscì a vedere prima di perdere i sensi fu qualcosa di rosso:
Rabies si era gettato in acqua. Tnias la lasciò andare per
dedicarsi a lui. Il corpo della ragazza, ormai priva di coscienza,
fluttuava in quelle acque che entro poco l’avrebbero uccisa. Il
vampiro attaccò Rabies usando nuovamente il ghiaccio.
“Dannazione! Non posso usare il fuoco sott’acqua!” alzò il
braccio sinistro e fece in modo che gli spuntoni deviassero.
Poteva usare delle scariche elettriche, lui sarebbe stato
protetto, ma Desdemona? Doveva trovare un modo di tirarla
fuori da lì. “È rischioso” pensò “ma devo tentare”.
Chiuse gli occhi, fece appello a tutta la concentrazione di cui
era capace. Dal suo corpo fuoriuscirono due immagini di lui
stesso; aveva creato delle illusioni perfette. Le tre figure
cominciarono a nuotare intorno a Tnias, evidentemente
disorientata. Dopo pochissimo Rabies nuotò rapidamente
verso Desdemona, la afferrò e – con enorme fatica ed enorme
dolore causato dalle ferite – la portò con sé in superficie.
Appena emerse cominciò a respirare affannosamente con
qualche gemito di tanto in tanto; stava sforzando troppo il
braccio e la gamba a cui era stato colpito. Riuscì ad arrivare al
bordo della piscina e a tirare fuori la ragazza. Inginocchiato di
fianco a lei, le scostò i capelli bagnati dal viso; vide quei segni
sul collo: era stata morsa. Sgranò gli occhi. Com’era possibile?
Ma ora non c’era tempo. Con due dita le tappò il naso, con
l’altra mano tirò leggermente il mento verso il basso in modo
da farle aprire la bocca. Avvicinò le labbra alle sue e cominciò
a respirare per lei. Spostò le mani sul suo addome e spinse per
quattro volte. Si spaventò vedendo che non c’era nessuna
reazione.
«Ti prego Desdemona, riprenditi, riprenditi!» mormorò.
Ripeté l’operazione una seconda volta, ancora niente.
Ricominciò da capo mentre sentiva i battiti del proprio cuore
accelerare, aveva paura. Dopo la terza volta Desdemona
cominciò a tossire sputando acqua. Rabies l’aiutò a mettersi a
sedere.
«Come ti senti?».
Prese fiato.
«Confusa. Cosa...?» non riuscì a finire di formulare la
domanda: il vampiro riemerse dalla piscina.
I suoi occhi erano completamente bianchi.
«Ora arriva il difficile: sa di essere vicina alla fine. Sa di non
avere più niente da perdere».
Ormai tutta la parte destra del busto e metà del viso di Tnias
erano divenuti pietra. La ragazza tossì, si alzò in piedi. Le
gocce che colavano dai suoi vestiti e dai suoi capelli
producevano una sorta di ticchettio sul pavimento.
«Complimenti per il nuovo vestito. Molto carino, ma non mi
pare altrettanto comodo» la schernì con un sorriso soddisfatto.
Rabies la guardò preoccupato: entro quanto il morso avrebbe
cominciato a fare effetto? Sperava non accadesse troppo
presto: ormai era stanco e malridotto, in quelle condizioni non
sarebbe riuscito a sostenere una situazione simile. Ma, a parte
questo, come avrebbe potuto fare del male a Desdemona?
Tnias cominciò a correre verso la ragazza, lei protese il braccio
sinistro facendola cadere a terra. Il vampiro gemette
rabbiosamente. Non poteva rialzarsi: anche i piedi e parte dei
polpacci erano pietrificati.
La ragazza la guardò con occhi pieni di risentimento.
«A quanto pare, farai la stessa fine che hai fatto fare a quegli
esseri umani che tanto disprezzi».
La creatura poté rispondere solo con uno sguardo terrorizzato,
poi divenne una statua. Desdemona la fissò per un attimo, poi
guardò allegramente Rabies.
«Ti devo la vita... due volte!».
Lui sorrise, poi tossì.
«Aiutami ad alzarmi, dama senza macchia e senza paura».
Si avvicinò e lo aiutò a tirarsi su, poi prese un suo braccio e se
lo fece passare dietro il collo.
«Appoggiati a me» bisbigliò con voce gentile.
Rabies non capiva. Come mai il morso ancora non faceva
effetto? Non era affatto ansioso, ma ogni secondo che
passava, il pensiero di ciò che sarebbe potuto accadere gli
faceva sempre più male.
«Dobbiamo cercare il libro adesso».
Desdemona annuì, ma in quella strenua lotta aveva quasi
scordato il motivo per cui erano lì. Avendo le scarpe bagnate
fu sul punto di scivolare portandosi dietro anche Rabies, ma
fortunatamente riuscì a restare in piedi. Entrambi si
trattennero per un paio di secondi, poi scoppiarono a ridere.
«Sarai il bastone della mia vecchiaia, cara» disse lui, ma poi
d’un tratto la sua risata si estinse, si fece serio. «Ora che hai
rischiato molto più della vita... ora che hai davvero rischiato
l’eternità, se tornassi indietro» fece una pausa e le rivolse uno
sguardo talmente dolce, malinconico e sincero che avrebbe
potuto scioglierle il cuore, la luce delle candele danzava nei
suoi occhi «mi seguiresti ancora?».
La ragazza lo guardò a sua volta.
«Assolutamente sì» rispose con un sorriso.
Rabies si schiarì la voce, come per scacciare l’imbarazzo.
«Dobbiamo prendere il libro...» disse a voce bassa.
«Già, il libro».
Arrivarono davanti al corridoio, illuminato anch’esso solo da
candele.
«Ma perché in questa casa deve essere tutto tetro?» commentò
Desdemona osservando la strana moquette che ricopriva il
pavimento.
I quadri appesi alle pareti ritraevano disegni molto particolari:
vampiri che si mordevano a vicenda, croci al contrario,
licantropi, streghe e addirittura scene di sacrifici umani.
«Eppure non capisco» continuò la ragazza. «Streghe, croci al
rovescio... Qualunque persona abbia un minimo di
dimestichezza con queste cose sa che non sono veri simboli
del male».
«Certamente, ma per certi esseri non sono importanti i veri
significati delle cose, è importante solo terrorizzare».
Lei scosse il capo, forse non sarebbe mai arrivata a
comprendere pienamente la natura di certe creature.
Passarono davanti ad alcune stanze, ma entrambi sentivano
perfettamente che ciò che cercavano non era lì. Desdemona
aveva sempre avuto uno spiccato sesto senso, ma era evidente
che con lo studio della magia si stesse sviluppando sempre più.
Certo che chiunque avrebbe avvertito la negatività presente in
quella villa. Ripensò ai quadri che aveva appena visto: vampiri.
Di colpo si ricordò di quello che era accaduto in acqua, le
parve di sentire nuovamente i canini di Tnias affondare nel
suo collo. Rabbrividì. Cosa le sarebbe accaduto adesso? I suoi
pensieri vennero interrotti dalla voce di Rabies.
«Eccolo».
Nella sala davanti a loro, su un leggio fatto d’ottone, c’era un
libro piuttosto grande che aveva l’aria di essere molto antico.
Si avvicinarono, Desdemona esitò per un attimo, poi lo prese
fra le mani. Era impregnato di magia oscura, poteva sentire il
sangue ribollire nelle vene.
«Sei sicuro che questa sia la cosa giusta?».
«Dare il libro a Daniel intendi?».
La ragazza annuì.
«Piuttosto sono sicuro che non sia così, ma ho perso da tempo
la presunzione di credere di poter agire sempre per il meglio».
Lei rimase in silenzio, non era quello che avrebbe voluto
sentirsi dire, eppure doveva ammettere che, semplicemente,
l’Emissario aveva ragione.
Rabies e Desdemona erano nella loro stanza al Motel Natas,
entrambi sfiniti. Lui cercava di nasconderla, ma la sua
sofferenza per le ferite era evidente.
«Appena sarà possibile tenterò di curarti».
Aveva un’aria tremendamente stanca ma sorrise.
«Buonanotte».
«Buonanotte anche a te».
Ognuno si sdraiò sul proprio letto; i loro vestiti erano ancora
umidi e si appiccicavano alla pelle, ma avevano talmente tanto
sonno che nessuno dei due aveva neppure pensato di
cambiarsi.
Nel sogno Desdemona arrivò in quell’ambientazione surreale
venendo fuori da una fitta nebbia. Stavolta qualcosa era
diverso: non era un sogno qualsiasi, non era un suo sogno.
Rimase di stucco quando comprese di trovarsi nella mente di
Daniel.
Poche ore dopo fu la ragazza a svegliare Rabies. Entrambi
erano pieni di dolori: il prezzo da pagare per aver dormito con
i vestiti bagnati in autunno.
«Non credi che dovremmo dare un’occhiata al libro prima di
darlo a Daniel?» chiese Desdemona.
«Ci ho provato, ma è scritto in latino dalla prima pagina
all’ultima».
«Ma... Io ti ho sentito recitare un incantesimo in latino una
volta».
Lui rise.
«Sì, e quello è tutto ciò che so. Non sono neppure sicuro che
grammaticalmente sia corretto».
«Andiamo bene».
«Non devi preoccuparti di questo».
«E di cosa dovrei preoccuparmi?» domandò portandosi le
mani ai fianchi.
«Di cos’hai sognato stanotte, per esempio» la guardò
intensamente.
«Oh certo, di cos’ho sognato stanotte!» fece un ampio gesto
con la mano, come a voler sottolineare l’assurdità della cosa,
ma un attimo dopo si bloccò improvvisamente: lui stava
parlando seriamente. «Perché?».
«Mormoravi, ti agitavi».
«E quindi?» alzò le spalle. «Sono cose che capitano».
«Devi prestare attenzione ai sogni che fai, cercare di ricordarli;
possono rivelarti cose importanti sulla realtà».
«Non ricordo...» rispose lei sforzandosi di tornare indietro con
la mente. «Ho sognato qualcosa, ma non ricordo cosa».
«Cominciamo bene».
«Ci penserò... Comunque andiamo da Daniel, voglio capire
cosa sta succedendo».
«Anch’io» disse lui pensando al morso del vampiro che ancora
non aveva avuto effetto sulla giovane donna.
Rabies cercò il suo pacchetto di sigarette, ma trovandolo
completamente bagnato pensò che fosse il caso di comprarne
un altro.
«Niente sigarette e una giacca di pelle rovinata! Dannazione!»
si lamentò.
«Piuttosto che pensare alla giacca perché non pensi a te? Come
va con le ferite?».
Cominciò a slacciarsi la camicia.
«Che fai?» chiese lei sorpresa e imbarazzata.
«Ti seduco» rispose con finta serietà.
Si sfilò la camicia, poi le mostrò il braccio dove la notte prima
era stato ferito; ora non c’era alcun segno.
L’attenzione della ragazza fu catturata dai vari tatuaggi che gli
coprivano il corpo, uno di questi prendeva tutto il braccio
sinistro.
«Com’è possibile?».
«Sedurti? Beh, sono un bel ragazzo, anche piuttosto
interessante, non credo che sarà così difficile».
«E smettila!».
«Non sono un essere umano qualsiasi, la mia capacità di
rigenerazione è molto più elevata. Poi, è difficile che una
creatura del Male riesca a infliggere danni molto gravi a un
Emissario. E comunque, sei un’insensibile...» disse fingendo di
mettersi a piangere. «Credevo che avresti rispettato i miei
sentimenti!».
Lei scosse la testa.
«Rivestiti e andiamo».
«Ah, quindi per te sono stato questo: uno da una notte e via!».
«Ma piantala!» ridendo gli diede uno spintone, ma al contatto
fra le sue mani e il suo petto si rese conto di stare arrossendo.
«Ahia!» si lamentò Rabies massaggiandosi. «Mi hai fatto male
con le unghie!».
«Così impari!».
Mezz’ora dopo scesero alla reception con l’intenzione di
chiedere dove alloggiasse Daniel, ma lui era già lì, gomiti
appoggiati al bancone, ad aspettarli. Rabies indossava dei bluejeans e un maglioncino nero molto leggero. La matita nera
metteva in risalto gli occhi verde ghiaccio e, nonostante i
capelli lunghi, erano ben visibili gli orecchini ad anello che
portava. Desdemona aveva ancora l’aria un po’ assonnata;
indossava la maglietta di un gruppo metal con sotto una
maglia a maniche lunghe, tutto rigorosamente nero. Ai
passanti dei jeans scuri era attaccata una catena. Fece fatica a
riconoscere Daniel senza trucco, eccezion fatta per quel suo
sguardo ipnotico che tanto l’aveva colpita.
«Amici miei, andiamo di sotto» esordì senza neppure salutare.
Loro, che da lui non si aspettavano particolare amicizia o
educazione, lo seguirono senza commentare. A portare il
pesante libro era Rabies.
«Sapevi con certezza che l’avremmo fatto ieri notte?» chiese
Desdemona mentre scendevano le scale.
«So molte cose» rispose con aria indifferente. Spalancò la porta
d’ingresso. «Finalmente un posto dove si può parlare. Vedo
che hai qui con te il libro, la missione quindi è andata a buon
fine. Difficile?».
«Più che altro avresti potuto anche avvisarmi che la padrona di
casa era un vampiro mutaforma! Brutto nano che non sei
altro...» poteva permettersi di prenderlo in giro, essendo alto
almeno venticinque centimetri in più di lui.
«Cos’è, per caso ti ha morso e invece dell’anima ti ha succhiato
il cervello?».
«Ignorante, non succhiano l’anima, ma la forza vitale. Non ha
morso me ma ha morso lei» disse in fretta, poi alzò un
sopracciglio. «Quando eri piccolo tuo padre ti prendeva a
pugni in testa?».
«È stata morsa ma non ha avuto reazioni?».
«Esattamente».
Daniel assunse un’espressione compiaciuta.
«Sai cosa vuol dire questo?».
«Che siamo molto fortunati?».
Si avvicinò, gli mise una mano dietro il collo e tirò con forza,
obbligandolo ad abbassarsi, poi gli disse qualcosa all’orecchio.
Rabies si tirò indietro di scatto.
«Di’ un po’, i pugni in testa, oltre che sull’altezza, hanno
influito anche sul funzionamento del cervello?».
«Hai altre spiegazioni?».
«No, ma non può essere così!».
«Perché? Perché non ti sta bene?» qualunque idea avesse
comunicato a Rabies, di sicuro lo esaltava non poco.
«Non è questo il punto! L’hai vista? È impossibile».
«Credi pure in quello che vuoi, ma dovresti dirglielo».
«Non le dirò niente di simile».
La ragazza, confusa, scosse il capo.
«Ma di che parlate? Cosa c’è?».
«Niente Desdemona, non dargli retta. Ti avevo detto che era
pericoloso trattare con lui» rispose stizzito Rabies.
«Ma è anche proficuo. Infatti se mi consegni il libro ti darò
una mano a dissipare i tuoi dubbi» inclinò leggermente il capo
verso sinistra, in quello che probabilmente, secondo lui,
avrebbe dovuto essere un atteggiamento quasi rassicurante.
Rabies gli porse ciò che avevano recuperato la notte
precedente.
«Mi basta non essere più costretto a vedere la tua faccia».
Nonostante il suo commento, la ragazza pensò che senza
trucco il viso di Daniel facesse uno strano effetto: era
comunque inquietante, ma vi trovava una sorta di eleganza,
non avrebbe saputo spiegare il perché.
«La Cattedrale delle Ere è stata sconsacrata e abbandonata da
molto. Le leggende dicono che lì sia nascosto il Libro del
Tempo; si racconta che sulla copertina ci sia una stella a sei
punte».
«Cosa ci aspetta là dentro?».
Sorrise.
«Non lo so».
«Simpatico» commentò con una smorfia Rabies. «Vieni
Desdemona, andiamo a prendere la nostra roba, poi andiamo
a cercare questo libro». Si rivolse a Daniel: «La Cattedrale delle
Ere è qui a Natas?».
«No, ma dista solo pochi chilometri, non sarà un problema
arrivarci».
«Arrivarci no, è del resto che mi preoccupo». Sulle sue labbra
comparve un sorriso aspro «Spero di non rivederti mai più»
disse facendo cenno alla ragazza di uscire. Si voltò per
andarsene. «Ah, un consiglio: piantala di andare in giro in
ginocchio».
«Tanto prima o poi morirai» rispose con voce calma Daniel.
Rabies lo ignorò, imitò ironicamente il saluto militare e se ne
andò insieme a Desdemona.
Fu piuttosto complicato trovare la Cattedrale delle Ere: era
situata in una zona di campagna vicino a Natas, ma nessuno
sembrava sapere esattamente dove fosse. Non era segnata
neppure sulle cartine. Fu così che furono costretti a farsi
portare da un taxi fin dove la strada era asfaltata, poi
procedettero a piedi in mezzo ai boschi. Naturalmente, prima
di lasciare la città, Rabies aveva fatto rifornimento di sigarette;
ora era lui a portare lo zaino, dunque dopo aver tirato fuori un
pacchetto e l’accendino, se ne accese una e ne mise alcune in
tasca. Rimise a posto il pacchetto, poi riprese lo zaino sulle
spalle.
«Comincio a sospettare che Daniel si sia inventato tutto per il
puro gusto di mandarci in giro a vanvera» tirò una lunga
boccata di fumo.
«Non credo, nonostante tutto penso che provi per te una sorta
di timore».
«È proprio per questo che non mi affronta ma cerca in tutti i
modi di farmi ammazzare. Un esempio è stato quello della villa
del vampiro mutaforma» le sue stesse parole gli riportarono
alla mente il morso sul collo di Desdemona e quello che
Daniel gli aveva sussurrato ad un orecchio. Rabbrividì.
La ragazza annuì con aria pensierosa.
«Beh, ma... non ti so spiegare, semplicemente ho la sensazione
che sia vero».
«Spero che tu abbia ragione, diversamente un nano di nostra
conoscenza si è messo in un guaio più grande di lui».
«È già in un guaio più grande lui; è un Emissario, no?».
Lui sorrise abbassando leggermente il capo.
«Già».
«E ora come lo troviamo quel posto?».
«Lo troviamo, non ti preoccupare».
Teneva la sigaretta fra l’indice e il medio. La luce che filtrava
attraverso le fronde, come se quella voce calda e profonda non
bastasse a lasciarla senza parole, faceva brillare i suoi occhi
chiari di una luce indescrivibile.
Desdemona lo fissò per qualche istante, talmente rapita da
essere incapace persino di cedere all’imbarazzo.
«Come fai a esserne certo?».
«Semplicemente lo so».
La ragazza alzò lo sguardo, attraverso i rami che si
intrecciavano sopra le loro teste notò che il cielo era limpido.
Il fatto che stessero camminando a passo svelto creava un
effetto che quasi le faceva girare la testa. Prima di avere il
tempo di rendersene conto, si ritrovò distesa sull’erba con
gomiti e ginocchia doloranti. Rabies si voltò a guardarla; la sua
espressione variò dal perplesso al divertito, poi scoppiò a
ridere. Desdemona avrebbe voluto alzarsi ma in un primo
momento, ridendo anche lei a crepapelle, non ci riuscì. Lui le
porse una mano per aiutarla a tirarsi su, lei l’afferrò.
«Che splendida figura!» commentò cercando di ripulirsi dal
terreno che le si era attaccato ai vestiti.
«C’è di peggio, non preoccuparti».
«Ah sì? Per esempio?».
Il suo solito sorriso pungente fece capolino.
«Per esempio quella che hai fatto quando ti ho scoperta a
seguirmi».
«Rassicurante».
Ripresero a camminare. La ragazza non vi prestò attenzione,
ma la vegetazione intorno a loro stava cambiando: diventava
sempre più fitta, rendendo più difficoltosa la loro traversata e
lasciando sempre meno che la luce solare penetrasse attraverso
le fronde.
All’improvviso Rabies avvicinò il suo viso a quello di lei
soffiandole in faccia il fumo in un gesto dispettoso.
«Proprio non ti sei accorta di niente, eh?».
«Accorta di cosa?».
«Guarda» disse tenendo la sigaretta fra le labbra.
Desdemona alzò lo sguardo e finalmente la vide: in mezzo a
quello sprazzo di natura selvaggia, si ergeva la Cattedrale delle
Ere, grottescamente splendida, nel suo grigiore in rovina,
eppure piena di un orgoglio in vita da secoli.
«Ma come hai fatto?» chiese lei sbalordita.
«La domanda è come hai fatto tu» fece una pausa scrutandola
attentamente. «Senza rendertene conto sei stata tu ad arrivare
sin qui, io ti ho solo seguita».
La ragazza aveva un’aria perplessa.
«La stella a sei punte» spiegò lui. «Essendo presente sia sulla
tua schiena che sulla copertina del libro, ero sicuro che mi
avresti portato qui».
Lei annuì anche se ancora faticava a credere alle sue parole.
«Questa storia... mi sta trasformando in un oggetto» per poco
non lasciò che l’isteria prendesse il sopravvento. «Non sono
altro che un mezzo, vero?».
«Desdemona, niente è ciò che sembra».
«E questa che razza di risposta sarebbe?» si stava infuriando,
smise di camminare aspettando la replica di Rabies.
Lui si fermò a sua volta fissandola dritto negli occhi.
«L’unica che io possa darti».
Rimase lì impalata non sapendo cosa fare, lui procedette senza
curarsene. Dopo poco la ragazza lo rincorse finché lo
raggiunse, poi riprese il suo normale passo.
«Non puoi trattarmi così!».
«Ma così come? Dannazione! Ti avevo detto di stare lontana
da me!».
«Il fatto che tu me l’abbia detto non ti autorizza a
considerarmi come un rifiuto» disse lei piena di rabbia e
amarezza.
«Io non ti vedo come un rifiuto!» urlò Rabies.
«E come mi vedi?» domandò acida. «Sentiamo, perché sono
davvero curiosa».
Lui la guardò come se l’avesse appena pugnalato al cuore.
«Come l’unica persona a cui abbia permesso di avvicinarsi a
me negli ultimi anni. E a quanto pare ho sbagliato».
Per Desdemona fu come veleno. Si sentì mortificata come mai
prima d’allora.
Vedendo il suo sguardo Rabies la fermò prima ancora che
avesse il tempo di aprir bocca.
«Niente scuse per favore! Sono stanco. Non ho più voglia di
doverti subire. Non sei l’unica ad avere problemi e non sono
stato io a chiederti di cacciarti in questo guaio. Smettila di fare
la vittima. In questa storia tutti lo sono, chi più, chi meno. Tu
non sei un’eccezione, tranne forse per il modo in cui ci sei
entrata e per il modo in cui ci sei dentro. Dopo che avremo
trovato quel maledettissimo libro ti riporterò a casa tua, se sei
furba ci resterai e fingerai che non sia mai successo niente. Se
proprio hai voglia di fare la testarda come sempre e di andare
avanti, allora lo farai da sola» riprese fiato.
Che diavolo aveva combinato? Ora se ne sarebbe andata sul
serio!
Lei si sforzò di respirare lentamente.
«Va bene Rabies, se è così che la pensi toglierò il disturbo».
Si sentì intollerabilmente vuoto; perché le aveva parlato in
quella maniera? Si disse che era stato uno stupido. La sola idea
di dover pagare il prezzo della sua sfuriata di lì a breve, lo
faceva stare male. Ancora una volta si ritrovò a dover
riconoscere l’incredibile capacità di quella ragazza di tirar fuori
tutta la sua fragilità, anche se lei, ovviamente, non se ne
accorgeva. Proseguirono in silenzio; nessuno dei due aveva il
coraggio di mostrare come si sentisse veramente.
Capitolo 11
Rabies e Desdemona erano davanti all’ingresso della
Cattedrale delle Ere. La ragazza deglutì, pensò che dietro
quell’arcata di pietra avrebbe vissuto la sua ultima avventura
con lui. Dopo sarebbe stato come se non si fossero mai
incontrati, i loro sguardi non si sarebbero più incrociati e di
quelle tre settimane sarebbe rimasto solo un malinconico
ricordo, simile a un sogno.
«Entriamo o restiamo qua a discutere di architettura?» chiese
lui, particolarmente scontroso.
Lei non rispose, con la rabbia ben visibile sul volto diede un
calcio al portone fatto di un pesante legno ornato da rilievi, di
cui ormai si poteva comprendere ben poco. L’ingresso si aprì
rivelando un enorme salone in cui riuscivano a penetrare solo
pochi fasci di luce, provenienti da alcuni punti in cui pezzi di
muro erano crollati. Le ragnatele avvolgevano i candelabri,
ormai in disuso da molto tempo.
«Chi è là?».
Desdemona sussultò: chi diavolo aveva urlato dal fondo della
sala? Cercò di fare in modo che i suoi occhi si abituassero alla
penombra, tuttavia il suo sguardo non riusciva ad andare oltre
a delle specie di panche in legno a qualche metro da lei. Ciò
che veniva dopo era avvolto nell’ombra.
Rabies, con espressione corrucciata, si sforzava di capire chi
avesse parlato.
«Io lo conosco...» bisbigliò ancora pensieroso.
«Chi è là?» chiese nuovamente la voce.
Entrambi erano stati presi alla sprovvista, così nessuno dei due
rispose. Un forte rumore di passi precedette la comparsa di un
uomo alto, dai lunghi capelli a tratti castano chiaro, a tratti
biondo scuro. Le sopracciglia, chiarissime, descrivevano due
archi sopra i suoi occhi glaciali. Doveva avere all’incirca
trentacinque anni, ma aveva il viso particolarmente segnato. Le
labbra, in quel momento serrate, erano carnose. La camicia
che indossava, dopo ampie pieghe, andava ad infilarsi sotto i
jeans a vita alta che lasciavano indovinare un fisico statuario,
asciutto e muscoloso. La sua andatura ricordava quella di un
militare e la sua bellezza era quasi deturpata dalla troppa
serietà, così intensa da essere vicina a sfociare nell’ira.
«Rabies, ora non ho tempo per te. Vattene!» intimò l’uomo.
La ragazza rimase sorpresa, le sembrava quasi impossibile che
due persone tanto diverse si conoscessero. Non avrebbe
saputo spiegare perché, ma poteva chiaramente avvertire che,
in qualche maniera, egli era l’esatto opposto di Rabies.
«John! da quanto tempo!» esclamò con finta allegria, ma subito
dopo lasciò che tutto il suo astio trasparisse dal tono della
voce. «Non sono qui per giocare. Non mi infastidire».
«Sono venuto a disinfestare questo posto da demoni e creature
simili, di un Emissario non so che farmene. Non costringermi
a farti fuori».
Aveva un’aria talmente severa da mettere Desdemona in
soggezione. Sembrava portasse sulle spalle il peso del mondo.
Era strano: le persone che aveva incontrato dopo aver
conosciuto Rabies le erano sembrate più o meno corrotte, lui
invece, sembrava il ritratto dell’integrità. Com’era possibile? La
colse di sorpresa rivolgendole improvvisamente uno sguardo
intenso, avrebbe giurato che volesse incenerirla.
«E tu chi sei? Quello che avverto non corrisponde a quello che
vedo».
«Che vuoi dire?» domandò lei senza capire.
«Vedo una ragazza ingenua e pura ma...».
Rabies lo interruppe urlando, la cosa parve molto strana a
Desdemona.
«Smettila! Non abbiamo tempo per chiacchierare. In genere sei
un tipo taciturno, perché devi cambiare proprio adesso?».
«È solo che la tua amica mi ha incuriosito, ad ogni modo,
andatevene prima che...».
Non riuscì a finire la frase: una creatura alata dall’aspetto
feroce scese in picchiata dal soffitto. Era evidente che mirasse
a John, ma lui si spostò rapidamente per poi far scaturire dalle
sue mani un fascio di luce blu che andò a disintegrare il
malcapitato demone. La ragazza rimase ancora una volta
allibita: anche lui padroneggiava la magia!
«Perché mi guardi in quel modo? Tu non lo sai fare?».
«Io...» rispose timidamente. «Sì. Ma credo di non riuscire ad
arrivare nemmeno alla metà della potenza con cui hai colpito
tu».
John non poté fare a meno di rivolgerle un sorriso.
«Pratichi da poco?» si rese conto di aver cambiato espressione
e si ricompose immediatamente.
«Già».
«Beh, allora fidati: è un risultato che ha dell’incredibile».
Rabies lo guardò stranito: John non era mai così cordiale.
«Di’ un po’: le tue ire sono un’esclusiva delle creature del male,
oppure le dedichi a tutti ma per lei fai un’eccezione?».
Lui rispose semplicemente guardandolo in cagnesco, poi tornò
a rivolgere le sue attenzioni alla ragazza «Perché siete qui?».
Lei non sapeva se dirgli la verità o meno, con lo sguardo
domandò a Rabies cosa fare, così fu lui a rispondere al suo
posto.
«Siamo qui per cercare il Libro del Tempo. Mi serve per
aiutare lei».
«E...» John alzò un sopracciglio, sempre rivolto alla ragazza.
«Hai anche un nome?».
«Desdemona» la voce uscì dalle sue labbra più debole di quel
che avrebbe voluto. Che accidenti le prendeva?
«Mmm... interessante».
«Finito con le moine?» Rabies era visibilmente infastidito. «E
tu qui che ci fai?».
«Te l’ho già detto» prese un elastico da una tasca e si legò i
capelli.
Ancora una volta la ragazza notò l’aspetto gelido di John, ma
lo trovò estremamente sensuale. Arrossì di colpo e abbassò lo
sguardo.
«Bene, tu non infastidirci e noi non infastidiremo te».
Per tutta risposta l’uomo rise di gusto.
«Credi davvero che i demoni vi lasceranno tranquilli?
Potrebbero attaccare Desdemona senza sfiorare te, sapendo
che in questa maniera non potresti intervenire».
John aveva ragione e questo infastidiva ulteriormente Rabies.
«E cosa mi consigli?».
«Cerchiamo insieme il vostro libro e in cambio aiutatemi a far
fuori un po’ di queste belve. Vedendo con te un Messaggero
andranno in panico, tenteranno di colpirti e così sarai libero di
fargli ciò che ti pare».
«Mi sembra una buona proposta».
Il solo pensiero di collaborare con un Messaggero gli faceva
accapponare la pelle, ma cos’altro avrebbe potuto fare?
La ragazza era perplessa.
«Messaggero?».
Rabies si voltò verso di lei per spiegarle.
«I Messaggeri sono figure più o meno equivalenti a quelle degli
Emissari, semplicemente stanno dall’altra parte» assunse
un’espressione disgustata. «Loro servono il Bene Supremo».
Desdemona pensò di non essersi sbagliata. Le sue intuizioni su
John, evidentemente, erano più che corrette.
«Forse tu mi puoi aiutare allora».
«In cosa?» chiese lui con diffidenza.
«La scorsa notte ho fatto un sogno, credo sia importante, ma
per quanto mi sforzi non riesco a ricordarlo».
John sembrava indeciso, ma poi per qualche motivo appoggiò
entrambe le mani sulla testa della ragazza. Immediatamente il
mondo onirico prese forma. Venne catapultata nel sogno, ma
presto capì che non era suo, apparteneva a Daniel. Non c’era
stato alcun errore nell’incantesimo che l’aveva riportata
indietro: la notte precedente aveva assistito alle stesse scene.
In mezzo ad un’ambientazione vaga e indefinita, fra la fitta
nebbia, comparve Daniel, vestito di nero, con un lungo
giaccone di pelle. Sembrava un animale feroce in cerca di
qualcuno da sbranare.
Nella direzione opposta comparve un’altra sua immagine, ma
era completamente diversa da quella della persona che lei
conosceva: teneva per mano una bambina che doveva avere
sei o sette anni. Era sorridente, sul suo volto non c’era la
benché minima traccia del male che, in seguito, l’avrebbe
corrotto sino al midollo.
La bambina, dal poco che riuscì a comprendere fra le voci
confuse, si chiamava Luna. Gli somigliava, era sua figlia.
Giocavano in un parco, guardavano la televisione stando
abbracciati sul divano, poi, una volta addormentata, portava la
bambina in braccio nella sua stanza, la adagiava sul letto e le
rimboccava le coperte prima di darle un bacio sulla guancia.
«Buonanotte tesoro».
Daniel le stava accanto mentre spegneva con un soffio le
candeline di una delle sue prime torte di compleanno.
Era incredibile la tenerezza che avvertiva fra di loro.
Desdemona arrivò a chiedersi se davvero quella che aveva
conosciuto lei e quella che osservava ora potessero essere la
stessa persona.
Qualcosa arrivò a sconvolgere tutto: un’automobile guidata da
un ubriaco investì la piccola. Daniel assistette alla scena senza
poter fare nulla e, prima di riuscire a rendersi conto di cosa
effettivamente fosse accaduto, si ritrovò fra le braccia il corpo
di sua figlia, ormai privo di vita. Da quel momento la rabbia e
la disperazione si erano impossessate di lui. Avrebbe fatto
qualunque cosa pur di riavere indietro Luna e farla pagare a
quel maledetto. Non importava quanto gli sarebbe costato,
ormai la sua vita non aveva più senso. Strinse a sé il cadavere
della bambina e Desdemona, come se fosse stata al suo posto,
poté quasi sentire le lacrime del padre scivolare sul proprio
collo.
Non ci volle molto perché qualcuno si accorgesse del suo
potenziale distruttivo. In cambio della sua anima, dei suoi
servigi e della rinuncia alla piccola, lei sarebbe tornata in vita,
lui avrebbe ottenuto dei poteri e, se mai avesse scovato
quell’ubriacone, avrebbe potuto fargli di tutto. Non vi fu il
minimo bisogno di insistere perché accettasse, era tutto ciò
che voleva. Certo, rinunciare a sua figlia gli costava
moltissimo, ma almeno lei avrebbe potuto crescere e farsi una
vita, anche senza di lui. Daniel e la madre della bambina si
erano lasciati appena dopo la sua nascita. Lei non l’avrebbe
mai voluta, non avrebbe neppure portato a termine la
gravidanza se non fosse stato per lui. Dopo il parto la
situazione era diventata insostenibile; alla fine la loro relazione
si ridusse in cenere, lei se ne andò e fu Daniel, lui e lui solo, a
prendersi cura di Luna. Sua figlia era l’unica cosa che contasse
e, vedendosela portare via in maniera così ingiusta, qualcosa
era cambiato per sempre dentro di lui. Emerse il suo lato
terrificante, quello che prima di allora l’uomo non aveva mai
neppure osato immaginare. La crudeltà, un’incredibile voglia di
fare del male in ogni modo possibile, la sete di sangue, cruente
fantasie da trasformare in realtà non appena l’occasione si
fosse presentata, ora era questo a riempire la sua vita.
In breve tempo, da promettente nuovo Emissario, era
divenuto una sorta di macabra leggenda. Nessuno dei suoi
“colleghi” sapeva in realtà chi fosse o da dove venisse;
cominciò a spargersi la voce che fosse un demone nato nel
corpo di un essere umano per sbaglio. Non c’era altro
Emissario che riuscisse a raggiungere i livelli delle sue
“imprese”. Gli altri strappavano l’anima, maltrattavano,
uccidevano. Lui massacrava, torturava senza pietà provando
gusto in ciò che faceva.
Una parte del suo cuore si ostinava a piangere ogni volta che si
ritrovava davanti a ciò in cui si stava trasformando. Per tutta
risposta Daniel si gettava nuovamente a capofitto nelle sue
malefatte. Col tempo quel pianto era divenuto sempre più
lontano e confuso, fino a ridursi a un annebbiato ricordo.
Sarebbe mai riuscito a tornare indietro? Ma soprattutto,
sarebbe mai riuscito a credere che ne valesse la pena?
Desdemona tornò di colpo alla realtà, cadde in ginocchio
coprendosi il viso con le mani. Rabies tentò di tirarla su, ma lei
non voleva saperne.
«Cos’hai visto?».
Lentamente la ragazza riuscì ad alzare lo sguardo.
«Lui non era così...».
«Di chi parli?» domandò John.
«Daniel, si prendeva cura di sua figlia» la ragazza era sconvolta,
non aveva modo di nasconderlo.
«Parli di Daniel l’Emissario?» chiese incredulo.
«Maledizione, lasciala parlare!» lo zittì Rabies.
«Erano felici, era un ottimo padre. Quella bambina era tutto
per lui. Poi è stata investita e lui si è ridotto così per riportarla
indietro».
«Pensavo avessi sognato qualcosa di utile» il tono di Rabies era
aspro. «Questi non sono affari che mi riguardano. Di certo il
fatto che dietro il suo comportamento ci sia qualcosa non fa
soffrire meno le sue vittime, tantomeno fa sì che non
muoiano» si accese un’altra sigaretta. «E se proprio vuoi
saperlo, in fin dei conti, forse non mi importa neppure di
loro».
Desdemona lo guardò con aria di rimprovero.
«Che cosa c’è?» la schernì lui. «Ti aspettavi di avere a che fare
con la fata buona?».
Lei si alzò in piedi senza smettere di guardarlo negli occhi.
«Credevo di avere a che fare con una persona, Rabies, ma a
quanto pare mi sbagliavo. Se non ti comporti come Daniel è
solo perché non ti va di sporcarti i vestiti di sangue, ma più
passa il tempo, più voi due siete simili». Fece una pausa. «Ma
ne sono accorta persino io che ti conosco da poco, non è
rimasto niente di te! Ormai sei solo un lurido Emissario!» non
fece in tempo a finire di parlare che già si era pentita di aver
detto quelle cose.
Rabies mantenne un atteggiamento indifferente, ma leggere in
fondo ai suoi occhi il dolore che gli aveva causato la ferì a
morte.
«Smettetela!» li rimproverò John. «Mi pare evidente che
ognuno di noi vuole qualcosa, qualcosa che sarebbe quasi
impossibile avere senza che gli altri due collaborino. Ci
conviene andare d’accordo finché saremo qui dentro».
Rabies e Desdemona si guardarono per un attimo prima di
annuire con un cenno del capo.
«E adesso andiamo avanti» proseguì lui «sterminiamo le
bestiacce che si nascondono qui, prendiamo quello stupido
libro e cerchiamo di andarcene salvando la pelle».
Nessuno commentò; si avvicinarono alla zona in cui doveva
esserci l’altare, al momento però sarebbe stato impossibile
dirlo con certezza a causa del buio.
«Tenetevi pronti» bisbigliò John.
Sollevò la mano destra e decine di candele poste lungo
l’immenso altare si accesero. In pochi secondi le creature
demoniache che, come pipistrelli, dormivano a testa in giù,
aggrappate al soffitto, si svegliarono. Avvertendo la presenza
del Messaggero cominciarono a scendere in picchiata contro i
tre. Istintivamente Rabies e Desdemona si appoggiarono
schiena contro schiena e cominciarono a fare strage. Dalle
mani della ragazza saettavano cose molto simili a dardi
infuocati; Rabies riusciva addirittura a provocare piccole
esplosioni che facevano saltare per aria i suoi nemici.
«Adoro il fuoco!» disse con un sorriso spavaldo.
Quegli esseri, viscidi e contorti ammassi di muscoli dotati di
artigli, sembravano non finire mai.
John fece uno strano gesto: sembrò che stesse sguainando una
spada che portava legata dietro la schiena. Fino a un attimo
prima non c’era la minima traccia dell’oggetto, eppure
comparve istantaneamente fra le sue mani. Era uno spadone
enorme, la lama non era eccessivamente larga ma era molto
lunga. Scintillava alla luce delle candele con uno strano riflesso,
nel giro di qualche istante cominciò a bruciare. Al suo
movimento ritmico corrispondevano i versi dei demoni che
venivano abbattuti. Entro pochi minuti il pavimento fu
ricoperto di immondi cadaveri.
«Non ce la faccio più...» disse Desdemona con voce affannata.
«È normale, non sei...» Rabies si dovette interrompere.
Guardò alla sua sinistra e vide un demone che, con un’orribile
smorfia che doveva essere un sorriso, metteva in mostra i suoi
denti putrescenti, lunghi e affilati. Con due dita teneva uno dei
suoi orecchini ad anello, come per minacciarlo di strappargli il
lobo; i demoni andavano pazzi per quel genere di giochetti.
Con uno scatto felino, Rabies gli afferrò il polso facendolo
esplodere. La creatura gemette per il dolore, lui si ritrovò con
la sua mano in mano, per un attimo la guardò incuriosito e un
po’ disgustato, poi la gettò via. A quel punto impiegò pochi
secondi a sbarazzarsi dell’essere.
«Ci sei?» domandò la ragazza.
«Sì scusa, ho avuto un piccolo contrattempo. Dicevo che è
normale che tu sia stanca».
«Rabies, io...»
Sentì che alle sue spalle Desdemona stava scivolando giù. Si
voltò e la vide sdraiata a terra.
«Maledizione, è svenuta!».
Si acquattò di fianco a lei, stringendola col braccio destro ma
continuando a tenere quello sinistro sollevato per colpire i
nemici. Vedendo la situazione John fu subito dietro di lui a
coprirgli le spalle. Fra un fendente e l’altro trovò il tempo di
prendere in giro Rabies.
«Beh, che fai? Approfitti del fatto che sia svenuta per tenerla
fra le tue braccia?».
«Fottiti» rispose seccato. «Piuttosto che pensare a queste
idiozie, pensa alle belve, cominciano ad annoiarmi».
John fece ruotare la spada tagliando la testa a un’altra di quelle
creature.
«Effettivamente hai ragione» si guardò intorno. «Ormai non ne
sono rimasti molti, dovrei farcela» chiuse gli occhi, si
concentrò, mormorò qualcosa di incomprensibile, poi alzò al
cielo la spada.
Ogni cosa venne travolta dall’immenso bagliore che sprigionò.
Rabies fu costretto a chiudere gli occhi, quando li riaprì degli
ultimi demoni era rimasta solo cenere.
Rabies guardò John con gli occhi sgranati.
«Perché diavolo non l’hai fatto prima?».
«Per dare fondo alle mie energie e finire come la tua amica?
Erano un’infinità».
Scosse lentamente il capo.
«Sei un incapace».
Poggiò un dito sulla fronte di Desdemona, per un istante si
intravide una sorta di alone rosso luminoso, poi la ragazza aprì
gli occhi.
«Cosa... Cos’è successo?» domandò con aria confusa.
«Stavi lanciando incantesimi come una forsennata, sei arrivata
allo stremo delle forze e sei svenuta. Ti ho dato un po’ delle
mie energie per farti rinvenire».
Entrambi erano ancora seduti sul pavimento, per qualche
istante si guardarono negli occhi. Desdemona sentiva il cuore
esplodere dalla gioia. La sua mente venne invasa da mille
pensieri: l’aveva protetta e l’aveva rianimata... Allora gli
importava di lei! E i litigi di poco prima? Forse non
importavano veramente. Forse nessuno dei due pensava quelle
cose.
Gli si gettò al collo e lo strinse forte a sé.
«Grazie».
Lui, che non si aspettava affatto una reazione del genere, per
un istante rimase impietrito, poi sorrise.
«Non c’è di che».
«Devo aspettare ancora per molto?» chiese John innervosito.
Desdemona ebbe un sussulto e si voltò di scatto nella sua
direzione. Vedendo che era lui tirò un sospirò di sollievo.
«Capisco che stringendo il tuo bello per te non esista
nient’altro, ma non ti pare un po’ sconveniente dimenticarti di
chi hai intorno?».
Con sua grande sorpresa la ragazza gli lanciò un’occhiataccia.
«Va’ al diavolo!».
«Voi due passate troppo tempo insieme. Cominciate a
somigliarvi...» li scrutò attentamente «anche fisicamente!».
Desdemona si ricordò in quel momento di aver avuto anche
lei quell’impressione poco dopo aver incontrato Rabies. Pensò
che non fosse stata una semplice sensazione.
L’Emissario rispose con uno dei suoi sorrisi demenziali.
«Restano ancora molti mostriciattoli da fare fuori?».
«Non saprei, ma è possibile: questo posto è immenso».
«Rabies, rivedrò mai più Daniel?» chiese a sorpresa la ragazza,
con totale innocenza.
«Questo non lo so» stavolta nella sua voce non c’era disprezzo,
anzi, sembrava quasi dispiaciuto.
Dopo aver rivissuto il sogno, Desdemona non riusciva più a
vedere in Daniel il mostro senza cuore che vedeva prima. Non
poteva togliersi dalla mente quelle immagini di lui che
sorrideva in maniera così tenera a sua figlia... A conti fatti, in
realtà, chi era la vittima? Chi il carnefice?
Capitolo 12
Con un gesto John sembrò rinfoderare la sua spada, che però
scomparve.
Desdemona era visibilmente incuriosita.
«Carino come giochetto... ma non è faticoso creare e
distruggere una spada ogni volta?».
Lui rise senza perdere la propria compostezza.
«È una magia d’invisibilità».
La ragazza non riuscì a nascondere l’imbarazzo.
«Beh, ho avuto poco tempo per studiare» mormorò fra sé e sé.
Rabies si alzò poi le porse una mano.
«Andiamo» disse accennando a un sorriso.
«Credo di sapere dove siano gli altri demoni e il vostro libro,
ma ci dovrebbe essere anche qualcos’altro».
«C’è sempre la fregatura» l’Emissario sbuffò. «Di che si
tratta?».
«Ancora non lo so, ma qui è accaduto qualcosa di strano. La
cattedrale è stata sconsacrata proprio a causa delle presenze
demoniache, capisci?» fece una breve pausa. «I demoni sono
riusciti ad appropriarsi di un luogo sacro; qualcosa deve
averglielo permesso».
Desdemona lo guardò come se fosse stato un marziano.
«Vuoi dire che la Chiesa rappresenta il Bene Supremo?».
«Ma no!» rispose lui facendo un gesto vago. «Un altro luogo di
culto consacrato sarebbe stato uguale. È comunque un posto
in cui gli esseri umani tentano di avvicinarsi al bene».
«Hai già qualche sospetto?» domandò Rabies.
Scosse la testa.
«No, purtroppo no, brancolo nel buio. Non mi butto mai alla
cieca nelle missioni, ma questa volta non ho potuto fare altro».
«E così, per ottenere ciò che vuoi, con tuo grande dispiacere
sei stato obbligato a trascinarci in un guaio che neppure tu
conosci bene. Stammi a sentire: posso aiutarti a fare fuori un
po’ di bestiole, ma non chiedermi di più, anche perché
neppure tu in fondo offri molto».
«Certo, cos’altro potevo aspettarmi da un Emissario?»
commentò con freddezza John.
«Quello che puoi aspettarti da un Messaggero: che non vada
contro chi lo comanda» rispose con semplicità Rabies.
Scese un pesante silenzio che però venne interrotto da
Desdemona.
«Muoviamoci, non mi va di mettere radici qui».
«Avviciniamoci all’altare» disse John.
«Cos’è? Devi chiedere perdono perché ti stai facendo aiutare
da un servo del male?» lo schernì Rabies.
«Andiamo e vedrai».
La ragazza fu l’unica a preoccuparsi di non calpestare i
cadaveri sul pavimento. Questo le causò una profonda
inquietudine: a che genere di orrori erano abituati Rabies e
John?
Arrivati lì davanti, il Messaggero saltò sull’altare; la luce delle
candele, dal basso, gli illuminava il volto.
«Stai per raccontarci una storia di paura?».
Ignorò l’ironia di Rabies, con entrambe le mani strinse
l’enorme croce d’oro, poi la tirò in avanti come se fosse stata
una leva. Di fianco a Rabies e a Desdemona si aprì una sorta
di passaggio nel pavimento.
«Mi sembra di essere in un videogioco» commentò lei alzando
un sopracciglio.
Una scalinata irregolare scendeva verso il basso fino a
scomparire nel buio. I gradini di pietra erano certamente
antichi.
«Ma perché i posti in cui andiamo insieme devono sempre
essere lugubri?».
Rabies rise di gusto.
Nel preciso istante in cui poggiò il piede su uno degli scalini, la
ragazza fu scossa da un brivido. Sentì una morsa attanagliarle
lo stomaco, una sensazione di panico e angoscia si impadronì
di lei.
«Che c’è?» domandò lui avendo notato il cambiamento nella
sua espressione.
«Niente» mentì.
Con il cuore in gola si impose di continuare la discesa,
nonostante ogni molecola del suo corpo si ribellasse. John, che
procedeva davanti agli altri, aprì una mano facendo comparire
un piccolo globo luminoso che rischiarò l’ambiente. Si
ritrovarono davanti a uno spettacolo raccapricciante. Le pareti,
che sembravano essere state scavate nella pietra, erano
ricoperte quasi interamente da scheletri sorretti da catene
arrugginite. A Desdemona parve che le orbite vuote dei teschi
fossero tutte puntate contro di lei. Era come se la stessero
guardando. Non si controllava più, tutto il terrore e il dolore
che quelle persone avevano provato prima e dopo aver subito
quell’orrenda morte, si impossessarono di lei. Il tormento non
era mai cessato, udiva gli spiriti bisbigliare cose che
fortunatamente non riusciva a comprendere del tutto, poteva
quasi sentirli strisciare e contorcersi intorno a lei.
«Chi ha fatto questo?» mormorò.
«I demoni sono creature terribili. Dovresti saperlo bene».
«John! Sta’ zitto!» intervenne Rabies.
«È meglio che conosca la verità».
«Certo, ma non la tua» la sua rabbia era evidente.
«Non potrai proteggerla in eterno» il suo sguardo era glaciale
come sempre, eppure aveva in sé qualcosa di trionfante.
«Ma per adesso sì».
«Sono stati i demoni a fare questo?» chiese la ragazza con gli
occhi pieni di lacrime.
«Desdemona, non tutte le creature al servizio del Male
Supremo sono uguali...» tentò di spiegare lui, ma venne subito
interrotto.
«Rispondimi! Sono stati loro?».
Abbassò lo sguardo.
«Sì».
«Perché?».
«Lo so che può sembrare assurdo, ma esattamente come tu
puoi provare piacere nel fare del bene a qualcuno, loro
possono provarne facendo del male. Non tutti ovviamente.
Devi credermi».
Lei scosse il capo amareggiata.
«Finirà prima o poi?».
«Non lo so» rispose a bassa voce.
Continuarono a scendere per molto tempo, l’Emissario non
avrebbe saputo dire se per un’ora, un giorno o un anno. Si
sentiva come un condannato a morte che si dirige verso la
forca. Avvertiva il forte disagio provato dalla ragazza e non
poteva smettere di pensare al suo sguardo. Sarebbe finita
prima o poi? Bella domanda. Ognuno degli scheletri che
pendevano da quei muri sembrava chiederglielo un’altra volta.
A un tratto Desdemona si fermò di colpo.
«Che c’è?».
Anche John si voltò a guardare la scena. La ragazza si avvicinò
a quello che un tempo era stato il corpo di una donna. Prese
fra le mani il pendente che ancora portava al collo. Era di
forma circolare, fatto di un metallo che una volta
probabilmente era stato dorato, ma che adesso era di un grigio
opaco. Su di esso, in rilievo, era raffigurata una stella a sei
punte con delle lettere intorno e alcuni simboli al centro. Per
un attimo sentì la schiena bruciare.
Rabies rimase impietrito. Desdemona sfilò la collana allo
scheletro e la indossò senza dire una parola. Venne trascinata
indietro di due o tre secoli, c’erano una ragazza dai lunghi
capelli castani e il suo futuro sposo. Non riusciva a vedere
chiaramente i loro volti, ma le loro voci le risultavano familiari.
Poteva sentire dentro di lei il loro amore, sulla pelle i loro baci,
nella mente i loro progetti. Dopo una lunga attesa era
finalmente giunto quello che avrebbe dovuto essere il giorno
del loro matrimonio. Prima di essere completamente travolti
dai preparativi, avevano deciso di incontrarsi nella cattedrale
durante le ore subito precedenti al crepuscolo. Fu allora che i
demoni piombarono su di loro e li trascinarono giù per quello
stesso passaggio dove ora si trovava lei.
Tornò alla realtà.
«Ra... Rabies» balbettò «c’è qualcosa di strano».
«Lo credo bene!».
«No, non capisci» cercò di spiegare, ma era piuttosto
complicato. «Ho visto lei e quello che sarebbe dovuto
diventare il suo sposo... Ho visto».
Le mise una mano sulla spalla, aveva un’espressione
pensierosa.
«Vedrai che capiremo perché ti accadono queste cose; quando
saremo arrivati in fondo a tutto questo troveremo il senso».
In realtà non era affatto sicuro di ciò che stava dicendo, ma
forse era un modo per rassicurare anche se stesso. Sperava di
tutto cuore che Desdemona non stesse soffrendo invano.
Finalmente la scalinata terminò, lasciò il posto a un corridoio
lastricato di pietre squadrate dal colore melmoso. La ragazza
pregò che con i gradini fossero finiti anche i resti dei corpi. Là
dentro si sentiva soffocare, l’odore di morte che pervadeva
l’ambiente cominciava ad andare ben oltre il sopportabile.
Cercò di fare finta di nulla: aveva già dimostrato di essere
l’anello debole della catena e non voleva darne conferma. Non
sapeva però che anche Rabies stava cominciando a sentirsi
veramente male. Certe cose erano troppo anche per lui; ma
non erano i resti umani di per sé a farlo sentire così, era la
consapevolezza di cosa significassero tutte quelle cose per
Desdemona. Si disse che era tutta colpa sua, che quel giorno
non avrebbe mai dovuto permetterle di seguirlo. Se avesse
agito così, certo, lei avrebbe vissuto nel dubbio, ma sarebbe
stata salva. L’aveva trascinata in una situazione senza via
d’uscita e, per quanto lei – essendo ignara – gliel’avesse
chiesto, lui era stato disposto a cedere perché da troppo tempo
nessuno lo capiva. Era un maledettissimo egoista e un suo
errore sarebbe costato la felicità di un’altra persona. Un’altra
vittima sulla sua scia.
Anche il corridoio terminò. Davanti a loro adesso c’erano tre
portoni di legno marcio con dei simboli incisi; per Desdemona
erano incomprensibili. Sul pavimento giaceva una lastra su cui
era inciso lo stesso messaggio in tre linguaggi differenti: la
Lingua degli Angeli, il Demoniaco e il Linguaggio Umano:
l’ultima parte era però illeggibile.
«Giungeranno vivi sin qui solo il Messaggero, l’Emissario e...»
la ragazza rivolse uno sguardo interrogativo ai suoi due
compagni «che altro c’è scritto?».
John stava per intervenire, ma Rabies lo zittì con un gesto.
«Giungeranno vivi sin qui solo il Messaggero, l’Emissario e
una ragazza. Ognuno di loro dovrà intraprendere il suo
cammino, oppure nessuno riuscirà a tornare indietro».
«Quindi ognuno di noi deve prendere un cunicolo differente?».
«Sì» rispose lui scostandosi una ciocca di capelli dal viso «ma
ora come ora sarebbe un suicidio: sei già svenuta per lo sforzo
eccessivo» distolse per un attimo lo sguardo «e non sappiamo
cosa ci possa essere dietro quelle porte».
«Non devi preoccuparti, ora sto bene» cercò di rassicurarlo.
«È comunque un’imprudenza!».
Desdemona lo guardò sinceramente divertita.
«E da quando in qua saresti prudente?».
Le lanciò un’occhiata severa.
«Ho detto che per adesso non se ne fa niente e non voglio...»
si interruppe, la stanza cominciò a tremare, blocchi di pietra si
staccavano dal soffitto precipitando sul pavimento con grande
fragore.
«Maledizione! Desdemona, va’ di là!» urlò Rabies indicandole
la porta alla loro destra.
Lei era terrorizzata, per un attimo rimase immobile a fissarlo.
«Vai!».
John scappò nel cunicolo a sinistra, Rabies in quello centrale;
tutti e tre chiusero la pesante porta di legno alle loro spalle,
come se questo potesse servire a metterli al sicuro, ma era solo
l’inizio e lo sapevano bene.
Capitolo 13
Desdemona, appoggiata a un muro, ansimava nel buio di quel
luogo sconosciuto. Cos’avrebbe fatto adesso? E Rabies? Cosa
ne sarebbe stato di lui? Si impose di rimanere calma, pian
piano il suo respiro tornò ad essere regolare.
«Ragiona, ragiona dannazione!».
Tentò di far comparire un globo luminoso, ma fallì
miseramente. Si concentrò, tentò nuovamente, stavolta ci
riuscì. Si ritrovò davanti un corridoio pressoché identico a
quello in cui lei, Rabies e John erano passati prima di arrivare
di fronte alle tre porte; stavolta però avrebbe dovuto cavarsela
da sola. Sentì una morsa attanagliarle lo stomaco, nel giro di
qualche ora era già la seconda volta che provava quella
sensazione: fino a pochi secondi prima poteva contare su
Rabies, ma ora lui non c’era. Avrebbe dato qualunque cosa
perché fosse lì. Si sentiva sola e smarrita, si chiese se avrebbe
mai più rivisto quel volto. Si costrinse a essere fiduciosa, tutto
sarebbe andato per il meglio, si sarebbero riuniti entro poco,
era solo questione di riuscire a tener duro per un po’.
Sentendo ancora gli schianti che provenivano da dietro la
porta, decise di avanzare. Poco dopo sulla parete alla sua
destra vide un’iscrizione con alcuni affreschi. L’incisione era in
Demoniaco, non riuscì a decifrarla e la cosa la allarmò: forse
quelle informazioni avrebbero potuto essere essenziali per
uscire da lì. Avvicinò il globo al muro per poter osservare
meglio le immagini. Nella prima un demone spiava una donna
vestita di bianco, aveva un’aria incredibilmente pura e
celestiale. La seconda era ambientata in una foresta, il demone
la tentava offrendole ciò che generalmente i mortali bramano
di più: ricchezza, potere, bellezza ed eterna giovinezza. Lei
rifiutava indignata. Nel terzo affresco la creatura rapiva un
fanciullo, probabilmente il figlio della donna, che a quel punto
era costretta a cedere. Nella quarta immagine il demone le
mordeva il collo facendola diventare della sua stessa specie.
Nel quinto affresco la possedeva, in quello successivo l’ex
donna, ora creatura demoniaca, era incinta. Desdemona
rabbrividì: odiava quegli esseri; fino a dove sarebbero potuti
arrivare pur di portare corruzione ovunque? Se non fosse stato
per loro Rabies sarebbe stato libero e lei non si sarebbe
ritrovata in quella sorta di immensa tomba. Si ripromise che
sarebbe riuscita a uscirne e che avrebbe trovato un modo di
sciogliere il patto, non importava quanto le sarebbe costato.
Forse John aveva fatto una scelta più che giusta dedicando la
sua vita alla lotta contro il Male Supremo.
John sbuffò, si stava decisamente annoiando, ma... alzò un
sopracciglio, forse quella volta sarebbe riuscito a sbarazzarsi
definitivamente di Rabies. Gli aveva sempre dato fin troppo
filo da torcere, ma probabilmente sarebbero stati i suoi
“compagni” a farlo fuori lì sotto. Sorrise gelidamente, cosa
avrebbe potuto esserci di meglio che vederlo in fin di vita e
potergli dare il colpo di grazia? Teneva in mano la sua spada,
con cui illuminava la zona circostante. Sia le pareti che il
pavimento erano lastricati da pietre triangolari, azzurre e
lucide. Dal buio emerse una figura: era lo stesso angelo che
alcuni giorni prima aveva fatto visita a Rabies. I suoi occhi
terribilmente inespressivi incontrarono quelli spietatamente
freddi di John. Fu lui a prendere la parola.
«Lieto di rivederti, cosa ti porta fin qui?».
«Lo sai benissimo Messaggero, qui abbiamo finalmente
l’occasione di distruggere quell’Emissario. Sai bene quante
anime abbia riscosso, sai bene quanti di noi, a causa sua, pur di
non essere distrutti abbiano preferito entrare a far parte delle
orde demoniache».
«Non c’è bisogno che mi ricordi tutto questo, piuttosto ho
bisogno che tu mi dia qualche dritta su come avere la meglio
su di lui» rispose con tono stranamente interessato.
«Proprio non ci arrivi? Possibile che non te ne sia accorto?».
«No, non ho notato nulla. Qual è il suo punto debole? La
forza? La resistenza? O forse ci sono alcuni incantesimi ai
quali è più vulnerabile?» domandò con crescente eccitazione.
«Sei fuori strada John».
«Smettila di giocare con me» sibilò.
«Sta’ calmo, ricorda la gerarchia» gli afferrò il viso spingendo le
unghie nella sua carne.
Lui gemette e a stento trattenne un’imprecazione.
«Impara questa lezione che amorevolmente ti viene insegnata»
disse l’angelo col suo solito tono piatto, tuttavia John non
faticò ad avvertire il piacere che provava imponendosi.
Si massaggiò con forza le guance.
«Mi dirai come sconfiggerlo?» chiese con finta calma.
«Ma certo, dovresti rammentare che questa non è solo la tua
battaglia, ma quella di tutti noi. Il Padre dell’Universo fa
affidamento sulla nostra fede, sulle nostre qualità e sui nostri
servigi. Non possiamo fare altro che cercare di non deluderlo...
e di distruggere i suoi nemici affinché finalmente la vittoria sia
sua».
«Certo, Rabies rappresenta un grosso ostacolo ai suoi
propositi. Come possiamo caritatevolmente eliminarlo?».
«Appena ne avrai l’occasione dovrai uccidere Desdemona».
«E secondo te questo dovrebbe mettermi nelle condizioni di
uccidere lui?».
«Lascia che ti spieghi, uomo di poca fede» fece una pausa.
«Quando sarete fuori di qui, ammesso che riusciate a uscirne,
lui sarà esausto. Facendo come ti ho detto, la stanchezza, la
rabbia e la disperazione prenderanno il sopravvento.
L’Emissario non avrà più né la forza né la lucidità che servono
per lottare. A quel punto per te dovrebbe essere facile mettere
fine alla sua vita votata al Male Supremo».
John ci pensò per un attimo, rivide nella mente le attenzioni
che Rabies dedicava a Desdemona, come l’aveva protetta e in
seguito rianimata quando era svenuta, il modo in cui lei l’aveva
abbracciato e gli sguardi che si scambiavano.
Sorrise.
«Sarà fatto, appena troverò la ragazza la ucciderò».
Rabies creò un globo luminoso rivelando le piastrelle nere che
ricoprivano sia il pavimento, che le pareti e il soffitto. Con la
mano libera prese una sigaretta e se la mise fra le labbra, poi
l’accese. Volle sperare che Desdemona, dall’altra parte, se la
stesse cavando bene e che non si fosse lasciata prendere dal
panico. Quella ragazza era fragile ma forte, ce l’avrebbe fatta.
Avanzò ma si fermò dopo poco: gli era parso di sentire un
rumore. Tese l’orecchio e per un istante trattenne il respiro, lo
sentì ancora, sembrava una sorta di squittio. Poi... un battito
d’ali.
«Dannazione!».
Lanciò in aria il globo che prese a fluttuare. Protese la mano in
avanti, si preparò. Nel giro di pochi secondi cominciarono ad
arrivare decine di pipistrelli. Iniziò a lanciargli contro dardi
infuocati, non mancava mai il bersaglio.
Accennò a un sorriso.
«I film di Clint Eastwood sono serviti a qualcosa» commentò
fra sé e sé.
Voltò il palmo della mano verso l’alto e il globo, lentamente,
scese fino ad appoggiarvisi. Riprese a camminare. Dopo circa
un’ora vide una scalinata, gli venne quasi da vomitare al
ricordo dell’ultima che gli era toccato percorrere. Fece finta di
nulla e salì, un gradino dopo l’altro. Quando fu arrivato in
cima rimase sorpreso da ciò che vide: un salone pieno zeppo
di tesori di ogni sorta. Statue d’oro massiccio alte più di due
metri, monete di ogni tipo, pietre preziose e gioielli.
«Puzza di trappola da far schifo...» fece qualche passo
guardando bene dove metteva i piedi, osservava attentamente
ciò che lo circondava. Qualcosa in un forziere attirò la sua
attenzione. Si chinò.
«Vediamo quanto ci vuole perché qualcosa di tremendo mi
piova addosso».
Con un rapido gesto prese un paio d’orecchini, ognuno dei
quali rappresentava, con un disegno semplice ma molto
grazioso, un dragone. Gli occhi erano costituiti da due piccoli
brillanti. Tese l’orecchio... Silenzio. Rimase immobile per
alcuni secondi, ma ancora niente. Sbuffò, si tirò su e fu in quel
momento che una sgradevole sensazione si impadronì di lui: si
sentiva osservato. Non era solo, ma non riusciva a individuare
l’altro presente.
«Dimmi che non è quello che penso...» con una smorfia alzò lo
sguardo verso l’alto. «E invece sì, è proprio quello che penso».
Da una delle cavità del soffitto era venuto fuori un grosso
serpente, lungo almeno un metro e mezzo, e lui ci si ritrovò
faccia a faccia. La lingua biforcuta dell’animale saettò con un
sibilo a pochi centimetri dal volto di Rabies, si sfidarono con
lo sguardo, entrambi impietriti. Trascorsero pochi secondi che
parvero un’eternità, poi l’uomo balzò di lato con uno scatto.
Immediatamente colpì la bestia con un dardo infuocato. Il
serpente cadde sul pavimento con un tonfo. Rabies sospirò
sentendosi sollevato, ma la sua gioia durò assai poco:
incredulo, vide le squame dell’animale contorcersi e cambiare
forma. Qualche istante dopo aveva davanti a sé una sorta di
dinosauro in miniatura, un varano. Strabuzzò gli occhi, quel
coso avrebbe potuto strappargli un braccio senza troppi
problemi. Stava per colpirlo ma si bloccò. Pensò che con tutta
probabilità quella belva avrebbe potuto trasformarsi in
qualcosa di ancora più grosso. Non era il caso di continuare
con quel circolo vizioso. Gli rimaneva un’unica soluzione:
tentare di intrappolarlo in qualche maniera... ma come?
Il varano tentò di addentarlo, ma lui schivò prontamente, così
in bocca gli rimase solo un pezzo di stoffa del suo maglioncino
nero.
«Stupide creature! Quando la finirete di rovinare il mio
guardaroba?».
Con grande rapidità poggiò i pollici sui suoi occhi; grazie al
fuoco riuscì ad accecarlo. La belva era impazzita dal dolore,
menava colpi ovunque senza ormai poter più vedere il suo
bersaglio. In pochi attimi Rabies fu alle sue spalle, le diede un
calcio con tutta la forza che aveva in corpo. Il varano cadde
disteso a terra, non riusciva a rialzarsi, era completamente
tramortito. L’uomo si accarezzò il braccio sinistro, doveva
usare i poteri che il male gli aveva concesso se voleva liberarsi
di quella bestiaccia. Sapeva già che un incantesimo del genere
lo avrebbe lasciato senza energie, lui era fatto per il fuoco e
non per quel genere di cose, ma non aveva scelta. Cominciò a
sussurrare un’incomprensibile litania. Due delle enormi statue
della stanza iniziarono a spostarsi. Si fermarono in prossimità
della bestia per poi coricarsi su di essa, senza ucciderla, ma
semplicemente bloccandola. Rabies cercò di proseguire, ma
fece pochi metri barcollando, poi crollò. Sdraiato sul
pavimento strinse i denti per la rabbia: dopo tutto quel tempo
usare una magia a cui non era abituato gli faceva ancora un
simile effetto. Un conto era spingere via le persone, dare un
semplice grande impulso, un altro era far levitare oggetti e
lavorare di precisione. Ripensò a quando, poco prima di
separarsi, era successo anche a Desdemona. Lì però nessuno
lo avrebbe aiutato come lui aveva fatto con lei; sarebbe stato
costretto a recuperare le forze col riposo. Una situazione del
genere sarebbe risultata detestabile in qualunque caso, ma in
quel momento era addirittura insostenibile. Da qualche parte,
oltre quelle pareti, la ragazza rischiava la vita per una questione
in cui lui l’aveva trascinata... e non poteva fare assolutamente
niente. Trovò la forza di accendersi una sigaretta, desiderava
terribilmente anche una birra, ma quella non aveva modo di
procurarsela. Tentò di rialzarsi, ma le sue gambe non ne
volevano sapere di reggerlo. Quanto avrebbe dovuto
aspettare? Avrebbe fatto meglio a dormire, ma poi avrebbe
perso la cognizione del tempo. Tirando una boccata di fumo
chiuse gli occhi.
“Valerie... dove sei?” non poté fare a meno di lasciare che
questa domanda riecheggiasse nella sua mente. “Sono
terribilmente stanco di essere solo”.
In fondo era per questo che aveva lasciato che Desdemona si
cacciasse in quell’inferno con lui. Pensò di non essere mai
stato solo in fin dei conti: da dopo il patto, l’ombra della morte
l’aveva sempre seguito ovunque, annientando ogni speranza,
facendo cadere il suo animo nelle tenebre più profonde. E
adesso Desdemona era convinta di poter trovare un modo per
porre fine a tutto questo, che ingenua... Però era piena di forza
e di tenacia. Era anche una grandissima testarda. Non riuscì a
trattenere uno stanco sorriso ripensando ai loro mille
battibecchi. Chissà se ce ne sarebbero stati altri. Lo sperava
con tutto il cuore, quel cuore che era stato martoriato in tutti i
modi, quel cuore che lui stesso aveva maltrattato, quel cuore
che la solitudine assassina aveva trasformato in una tomba.
Alla fine dovette cedere alla stanchezza, la sua mente era
sempre più annebbiata. Nel dormiveglia gli parve di vedere
un’immagine sfocata di Desdemona, poi il sonno ebbe la
meglio.
John sorrise, l’angelo aveva aperto un varco magico che gli
avrebbe consentito di raggiungere il percorso di Desdemona.
Non stava più nella pelle. Con la spada sguainata stava davanti
a quello squarcio luminoso, lo attendeva una bella rivincita su
Rabies. Certo non l’avrebbe uccisa subito: adesso voleva
semplicemente spaventarla e indebolirla.
Desdemona vide una figura emergere da una parete, era già
pronta a lanciarle contro un incantesimo ma si bloccò di
colpo: era John. Rimase piacevolmente sorpresa nel
ritrovarselo davanti, eppure nel suo profondo qualcosa si
agitava.
«John! Come...?».
«Non sono certo diventato un Messaggero per caso, so come
cavarmela».
«Ma è pericoloso che tu rimanga qui, ognuno qua dentro deve
seguire il cammino che è stato prestabilito» rispose lei stupita
per ciò che stava accadendo.
«E ho tutta l’intenzione di farlo. Sono solo venuto a farti una
breve visita» sorrise gelidamente avvicinandosi alla ragazza.
D’istinto lei fece qualche passo indietro.
«Cosa vuoi?».
Qualcosa non andava, ma non riusciva a comprendere
precisamente cosa stesse succedendo.
«Ti sei messa dalla parte sbagliata signorina...».
«Di cosa parli? Io non sto proprio dalla parte di nessuno!».
«Questo è quello che ti ostini a credere. La realtà non è affatto
questa. Prova a chiedere al tuo caro Rabies...».
Desdemona lo interruppe strillando.
«Smettila! Se sei venuto per aiutarmi a uscire da qui, allora
fallo!».
«Non ho mai detto di essere qui per questo» confonderla lo
divertiva, la sua espressione compiaciuta lo rendeva evidente.
Le si avvicinò ulteriormente. Desdemona avrebbe voluto
spostarsi, ma non poteva. Era come se, in qualche modo, John
l’avesse inchiodata al suolo.
L’uomo arrivò davanti a lei, le sfiorò il viso con la lama lucente
della sua spada.
«I pericoli maggiori si celano sempre dove mai crederesti di
trovarli» la fece scivolare verso il collo. «Non avresti dovuto
mettere il naso in questa faccenda». La ragazza si sentì
profondamente scossa dalla freddezza della sua voce. «Non
avresti neppure dovuto fidarti di me».
Premette con crudeltà la lama sulla sua pelle, facendole
sanguinare la spalla sinistra. Desdemona gemette. Tutto si
sarebbe aspettata, meno che un servitore del Bene Supremo la
attaccasse senza motivo.
John sorrise di fronte al suo dolore.
«Questo è solo l’inizio, completerò l’opera quando saremo
fuori da qui. La tua avventura non durerà ancora per molto».
La ragazza improvvisamente lo guardò con aria fiera.
«Poche chiacchiere, schiavo che non sei altro. Per ora non
puoi uccidermi perché, se non dovessi portare a termine il mio
percorso, neppure tu usciresti vivo da qui. Rimandiamo tutto
questo a più tardi. Credo proprio che davanti a Rabies e con
me libera di muovermi, non sarai altrettanto sicuro».
Il Messaggero trovò interessante quella reazione che non
aveva previsto.
«Lo vedremo».
Così come era arrivato, se ne andò. Finalmente Desdemona
riuscì di nuovo a muoversi. Si portò immediatamente una
mano alla ferita. La vista le si annebbiò. Quel maledetto
l’avrebbe pagata cara. Prima di riuscire a formulare qualunque
altro pensiero, svenne. Non fu il buio ad accoglierla: appena
ebbe chiuso gli occhi vide una figura delinearsi. Capelli lunghi
e ondulati, tratti delicati, occhi verde ghiaccio.
«Rabies!».
Gli si gettò al collo e lui, sorridente, ricambiò l’abbraccio.
Doveva essere un sogno, perché a momenti le immagini si
facevano sfocate, eppure le emozioni e le sensazioni che
provava erano incredibilmente reali. Poteva sentire il suo
calore, la dolce stretta delle sue braccia, i suoi capelli sotto le
mani. Tenendolo per le spalle si allontanò di poco da lui per
poterlo guardare in viso.
«Stai bene» era una semplice constatazione, non una domanda.
«Certo che sto bene, per chi mi hai preso?» si lasciò sfuggire
una breve risata. «Tu piuttosto, come te la stai cavando?».
«Io... bene. Ma John mi ha ferita» si guardò la spalla, ma del
taglio non c’era traccia. Era decisamente un sogno.
«John? Come ha fatto a raggiungerti?».
«Non lo so» scosse la testa «Sembra che sia passato attraverso
la parete».
«Un incantesimo. Ma perché l’ha fatto?».
«Perché sto dalla tua parte» fece una pausa. «Credo. Ma il suo
comportamento mi è parso strano: mi aveva bloccata e
avrebbe potuto uccidermi, se solo avesse voluto. Anche se, a
dire il vero, non mi aspettavo neppure che un servo del Bene
Supremo potesse essere spietato».
Lui sorrise ironico.
«Ti aspettavi un cavaliere senza macchia e senza paura, eh?».
Desdemona, leggermente imbarazzata, abbassò per un attimo
lo sguardo.
«Beh, sì».
«Desdemona, anche se sai molto più di quanto non sappiano
le persone comuni, ci sono aspetti che devi ancora vedere e
capire. Ma temo proprio che prima o poi saprai tutto» aveva
assunto un’aria preoccupata e leggermente malinconica.
«Che cosa vuoi dire?».
«Ancora non è il momento».
«Dannazione! Devi essere così enigmatico anche nei sogni?».
Sorrise accarezzandole la guancia con un dito.
«Ovviamente sì. Ma perché discutere? Ci rimane poco tempo:
non si può sognare per sempre».
Lei lo strinse ancora una volta.
«Non voglio tornare lì» bisbigliò.
«Ma devi. Prima torni, prima ne uscirai».
«Ma non voglio...» il nodo che aveva in gola quasi le impediva
di parlare.
«Su, cerca di stare tranquilla» esitò per un attimo prima di
concludere la frase «io non posso vederti così».
La ragazza sentì una stretta al cuore, poi ebbe una strana
sensazione: come se un vortice la stesse risucchiando. Si sentì
trascinare via da Rabies. Lui le afferrò le mani nel tentativo di
trattenerla.
«Puoi farcela. Appena avremo superato questi dannati cunicoli
ci rivedremo».
I due non riuscirono più a resistere e quella forza che voleva
riportare Desdemona alla realtà ebbe la meglio. Anche in
sogno erano stati divisi. Nel cuore della ragazza rimase
un’emozione dolce e amara. Trovò se stessa patetica: era
coinvolta nella battaglia fra bene e male ed era svenuta per una
banale ferita a una spalla. Continuando di questo passo non
sarebbe sopravvissuta allo scontro con John, anzi, non ci
sarebbe neppure arrivata. Non senza sforzo riuscì ad alzarsi.
Per la prima volta tentò un incantesimo di guarigione. Il
risultato non fu quello sperato: il taglio non guarì del tutto, ma
almeno adesso era quasi rimarginato. Le faceva molto meno
male di prima. Poteva ritenersi sufficientemente soddisfatta.
Doveva riuscire a migliorare molto in poco tempo, era la sua
unica possibilità.
Capitolo 14
Rabies finalmente si risvegliò. Per quanto tempo aveva
dormito?
“Spero non per molto” si augurò; se John e Desdemona
avessero terminato i loro percorsi prima di lui sarebbero
rimasti insieme... da soli, e lui sapeva bene di cosa il
Messaggero fosse capace. Si mise a sedere, poi si stropicciò il
viso con entrambe le mani, emise una sorta di grugnito: la sola
idea lo mandava in bestia.
“Se la sfiora lo scuoio vivo” promise a se stesso, ma neppure
quell’idea lo consolò, in effetti. In preda al nervosismo accese
una sigaretta. Già dalla prima boccata si sentì meglio, i suoi
nervi si distesero. Doveva cercare di mantenere la calma, era
l’unica cosa da fare. Si alzò e si accinse a proseguire; John non
doveva torcere un capello a Desdemona e lei doveva uscire da
lì sana e salva. Lo giurò a se stesso, l’avrebbe protetta, sapeva
già che se avesse fallito il senso di colpa e il dolore l’avrebbero
schiacciato. La ragazza e il ricordo di Valerie erano gli ultimi
barlumi di speranza nell’anima di quello che era forse il più
famoso fra gli Emissari.
Desdemona si passò una mano sulla ferita in gran parte ormai
cicatrizzata. Si chiese se quanto aveva vissuto qualche ora
prima nel sogno fosse stato reale. Scosse la testa, non era il
momento di pensarci. Eventualmente avrebbe chiesto
spiegazioni a Rabies in seguito. Sì, perché si sarebbero rivisti,
doveva essere così.
Il globo luminoso che stava sospeso qualche centimetro sopra
il palmo della sua mano illuminava debolmente la via da
seguire. Andò avanti senza esitazioni, fin quando non vide
qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere. Il pendente con
la stella a sei punte e la sua schiena cominciarono a bruciare,
lei si lasciò sfuggire un gemito per il dolore e per l’orrore. Gli
occhi si chiusero contrò la sua volontà, non potevano
sopportare una simile scena: uno scheletro crocifisso. Forse
ben poca cosa rispetto a ciò che aveva trovato in quel luogo
fino ad allora, ma qualcosa dentro di lei le disse che si trattava
del giovane della visione che aveva avuto indossando la
collana. Sentì le lacrime scivolare sulle sue guance.
«Rabies...» mormorò.
Sapeva bene quanto chiamarlo fosse inutile. Lui non poteva
sentirla e non poteva raggiungerla, ma usò quel nome quasi
come si usa un amuleto. Stargli lontano era una vera e propria
tortura. Raccogliendo tutte le energie che possedeva, ancora
una volta si costrinse a proseguire, anche davanti alla crudeltà
e alla morte. Con sua grande sorpresa finì in un enorme salone
circolare con al centro una bara che sembrava fatta
d’ossidiana. Intorno a essa numerose candele accese
formavano un cerchio perfetto. Ma la sua attenzione venne di
colpo attratta dalla figura che stava dall’altra parte della sala:
non riusciva a crederci! Dimenticando tutto il resto corse da
Rabies, anche lui appena arrivato. La accolse fra le sue braccia,
la strinse forte come forse non aveva mai fatto con nessuno in
vita sua. La ragazza affondò il viso nel suo maglioncino, lui le
accarezzò il capo con dolcezza, aveva l’aria di chi consola una
bambina a cui è appena accaduto qualcosa di terribile.
«Perché non vi mettete insieme voi due?».
La domanda dal tono prettamente provocatorio sembrava
essere stata pronunciata da John; entrambi si voltarono a
guardare il nuovo arrivato e ne ebbero la conferma.
Quell’uomo aveva un’incredibile capacità di infastidire.
«John...» ringhiò Desdemona.
«Mi sono perso qualcosa?» domandò Rabies.
«Le ho fatto una visita di cortesia» ancora una volta quello
sguardo gelido tornò a troneggiare sul suo viso.
«Mi ha ferita a tradimento, il bastardo!».
Gli occhi dell’Emissario divamparono per la rabbia.
«Cos’ha fatto l’amico dei buffoni piumati?».
«È riuscito ad arrivare fino al mio percorso, mi ha bloccata,
ferita e minacciata, ma ora lo strozzo con le mie mani.
Credevo che avrei avuto molto più tempo a disposizione per
prepararmi, ma non importa» fece qualche passo verso il
Messaggero, ma Rabies la bloccò posandole una mano sulla
spalla.
«È più complicato di quanto pensi. Questo stronzo, oltre ad
essere insopportabile, è anche piuttosto potente».
«E tu cosa vorresti fare? Credi di esserti davvero rimesso in
sesto con una dormita?».
«Come...?».
«Come lo so? Pensavi di poter fare un incantesimo di quel
genere senza che io me ne accorgessi?».
L’Emissario riuscì a nasconderlo alla perfezione, ma dentro di
sé si diede dello stupido per non aver preso neppure in
considerazione la possibilità che succedesse qualcosa di simile.
Di certo ora stava molto meglio rispetto a quando era crollato
a terra, ma non era affatto certo che ciò fosse sufficiente a
permettergli di sostenere uno scontro con John. Quest’ultimo
lo fissò con aria imperturbabile, come sempre. Al suo sorriso
gelido Rabies rispose con uno sguardo infuocato. Intanto la
luce danzante delle candele proiettava le loro ombre sui muri.
Desdemona sentì il proprio cuore accelerare, non voleva che il
Messaggero avesse la meglio. La sola idea che potesse fare del
male a Rabies la gettava nel panico. Sapeva di potersi fidare di
lui. Si conoscevano da poco tempo in effetti, ma insieme ne
avevano passate di tutti i colori e se l’erano sempre cavata. La
sua vita era cambiata radicalmente e adesso non riusciva
neppure a immaginare le giornate senza i continui battibecchi
fra loro, senza quella costante ricerca della verità. Il rumore dei
passi dell’Emissario la fece tornare alla realtà. Lo vide passarle
a fianco superandola. La tensione nell’aria si faceva sempre più
palpabile.
Rabies si voltò per un attimo verso di lei.
«Sta’ indietro» le disse con uno sguardo pieno di apprensione
che non ammetteva repliche.
La ragazza annuì facendosi da parte, si sentiva tremendamente
impotente. Chiuse gli occhi appoggiandosi alla parete poco
distante dai due e sospirò. Si chiese se fosse possibile pregare
Dio perché proteggesse un servitore del male.
John si concesse un mezzo sorriso pensando che finalmente
stesse per avere la sua rivincita su quell’essere che per tanto
tempo l’aveva infastidito. Si sforzò di non degnare
Desdemona di uno sguardo: a Rabies stava a cuore la sua
incolumità, ma di certo non sospettava del suo progetto di
eliminarla semplicemente per renderlo vulnerabile.
«La pace sia con voi».
La voce di una quarta persona, proveniente dal centro della
sala, li fece voltare tutti verso la bara di ossidiana. L’essere che
fino a qualche istante prima era sdraiato al suo interno, ora vi
stava seduto. Fissava con occhi attenti e inquietanti i presenti.
Indossava un abito papale con tanto di copricapo e sontuose
rifiniture. Nonostante la voce giovanile, il suo volto era
orribilmente segnato dal tempo. Pur essendo lì a parlare con
loro, dal pallore sembrava decisamente morto. Anche le
unghie delle sue mani, deformate dalla vecchiaia, lasciavano a
intendere che fosse deceduto: avevano il tipico colore violastro
che tendono a prendere quelle di chi da alcune ore ha smesso
di vivere.
Desdemona si portò istintivamente una mano al collo,
pensando di trovarsi nuovamente di fronte a un vampiro.
«Cosa vi conduce in questo luogo, miei cari?» chiese con falsa
benevolenza prima di mostrare un osceno sorriso, fatto di
denti marci e acuminati.
John parve estasiato da quella visione, si gettò in ginocchio
davanti alle candele, non osando oltrepassare il limite che esse
designavano.
«Dunque è vero ciò che dicevano, Eminenza. Voi vivete
ancora». Persino una simile frase, pronunciata da lui, riusciva a
risultare fredda e distaccata.
«Gesù disse: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi esercita fede
in me, benché muoia, tornerà in vita; e chiunque vive ed
esercita fede in me non morirà mai”». Si avvicinò a lui
porgendogli la mano ornata da un grosso anello «Credi tu
questo?».
«Sì, Eminenza» rispose lui sforzandosi di mostrare devozione e
baciandolo.
Rabies fece una smorfia. Era in momenti come quello che si
sentiva quasi felice della sua condizione. Pensò che stare
“dall’altra parte” sarebbe stato molto peggio.
«Qual è il vostro compito qui, Eminenza?».
«Basta!» sbottò l’Emissario. «Siete peggio dei fidanzatini che si
chiamano con ogni genere di orrido vezzeggiativo!».
«Taci, servo del male!» lo apostrofò l’uomo con l’aria di un
profeta visionario. «Sono stato posto qui a guardia di un sacro
testo, che purtroppo però mi è stato sottratto».
«Oltre che simpatico, utile devo dire...» commentò
Desdemona che non provava per lui più apprezzamento di
quanto ne provasse Rabies.
«Sciocchi peccatori! Ringraziate il cielo, sono costretto a dirvi
la verità perché a essa è legata la mia vita! Il Signore mi
benedisse consentendomi di rimanere qui, in attesa del giorno
del giudizio. Mi ha dato l’occasione di redimermi, purché io
non menta mai».
Bastava guardarlo per rendersi conto di quanto quel tentativo
di purificazione fosse diventato vano, tramutandosi in una
smodata avidità di vita e in terrore della morte.
«Dunque, tu sei stato realmente papa».
«Uno di quelli a cui il Signore ha concesso più gloria» rispose
con un ghigno, infrangendo per l’ennesima volta i suoi voti
senza neppure rendersene conto. Fece un inchino che, invece
di un atto di rispetto nei confronti degli altri, sembrava essere
un atto di riverenza verso se stesso.
«Chi ha preso il libro?» tagliò corto l’Emissario.
«Dovresti ben saperlo, un’indegna creatura delle vostre
schiere. Immondo essere, il cui nome credo sia Tnias».
Rabies e Desdemona rimasero sbalorditi. Credevano di aver
segnato la fine del vampiro mutaforma nella sua stessa dimora,
invece quell’essere era tornato dalle viscere dell’Inferno,
portandosi via la loro unica speranza di risolvere il mistero
riguardante la ragazza e quel simbolo ricorrente. John decise di
approfittare della costrizione che legava l’ex papa.
«Vostra Eminenza, pensate che io possa eliminare questi
peccatori, in modo che non abbiano più modo di affliggere il
vostro santissimo animo?».
«No, ma chiedi pure… Non ti preoccupare, tanto noi non
sentiamo» intervenne Rabies.
Venne ignorato.
«Non illuderti di poter fare ciò di cui non hai le capacità, mio
amatissimo servo».
La ragazza rimase stupita da come, nonostante le parole
impiegate, le loro frasi riuscissero a suonare totalmente prive
di affetto.
«Ora vai, torna da chi ti ha mandato, raccomandandogli di
smettere di assegnare missioni che in realtà non sono più che
suicidi. Le schiere del Signore vanno indebolendosi, non
possiamo permetterci di questi errori».
Il Messaggero provò a protestare, ma l’ex papa lo fulminò con
un’occhiata che non ammetteva repliche. A quel punto non gli
rimase che abbassare la testa e andarsene con la coda fra le
gambe. Desdemona si lasciò sfuggire un sorriso: John fuori dai
piedi e Rabies sano e salvo, non avrebbe potuto chiedere di
meglio. Si voltò verso il suo compagno e il sorriso le morì sulle
labbra vedendo quanto sembrasse contrariato. Fissava il servo
del Bene Supremo che si avvicinava a quella che doveva essere
l’uscita. Evidentemente l’avrebbe volentieri ucciso. Lo sguardo
dell’Emissario si posò poi sulla ragazza. Si sforzò invano di
assumere un’espressione meno grave ma gli fu impossibile,
anche perché si rese conto di averla delusa in qualche modo.
Quel momento venne interrotto dalla sgradevole voce dell’ex
papa.
«Su di voi venga il male! Che il potere che usate vi si ritorca
contro!» urlò aspramente.
«Ma la vostra Bibbia» domandò Rabies con tono di sfida «non
dice di amare anche i nemici?».
«Sciagurato!» sentenziò provocando ilarità nei suoi
interlocutori. «Dice di amare i nemici nostri, non quelli del
Signore!».
«Assai comodo adorare il vostro Dio» commentò
ironicamente l’uomo.
«Scherniscimi pure, lurido rigurgito del Diavolo! Ma non puoi
negare la benedizione che il Signore mi ha concesso» allargò le
braccia alludendo al fatto di essere stato mantenuto in vita.
Rabies prese a camminare lentamente in circolo, seguendo la
linea formata dalle candele. Sul suo volto era comparsa
un’espressione perfidamente compiaciuta che spaventò e
affascinò Desdemona.
«E questa la chiami benedizione?» fece una pausa durante la
quale, con aria divertita, godé pienamente della paura di quella
creatura vecchia di secoli. «Il tuo Signore» riprese sibilando a
denti stretti «ti permette di vivere solo a condizione che tu non
oltrepassi questo confine» indicò le candele. «Sbaglio?».
Il gelido silenzio dell’ex papa bastò a dargli la conferma che
voleva.
Sorrise.
«Non ti ha benedetto. Ti ha condannato».
Finalmente Rabies e Desdemona riemersero dalla Cattedrale
delle Ere. Entrambi furono più che felici di poter respirare a
pieni polmoni l’aria pura del bosco. Stavano in piedi davanti
all’ingresso a godersi la vista. Ebbero quasi l’impressione di
essere risorti. L’Emissario a un tratto si voltò con aria
pensierosa verso la ragazza che lo teneva delicatamente per un
braccio, così come aveva fatto per tutto il tragitto che li aveva
riportati alla superficie.
«Hai idea di quanto tempo abbiamo passato qua dentro?».
Lei, senza rendersene conto, assunse la sua stessa espressione.
«No, ma in effetti...» guardò per un attimo verso l’alto, il sole
riusciva a far capolino fra le fronde in ben pochi punti, ma la
scarsa luce che si poteva ammirare le rivelò che con tutta
probabilità dovesse essere mattina. La leggera umidità che
permeava l’ambiente sembrava darle ragione. «Come minimo
siamo arrivati ieri» sospirò. «Come minimo...» ripeté.
«Tanto tempo speso per niente» disse Rabies cercando qualche
altra sigaretta nelle tasche, ma evidentemente le aveva finite.
Gli sarebbe toccato andarle a cercare nello zaino «Quella serpe
di Tnias è passata prima di noi».
Per togliersi lo zaino dalle spalle avrebbe dovuto chiedere a
Desdemona di lasciarlo, ma non ne aveva minimamente
voglia.
«Sono molto stanca» disse lei chiudendo gli occhi e
appoggiando la testa alla spalla dell’Emissario. Gli parve
evidente che non fosse esausta solo fisicamente, era stata
messa a dura prova sotto molti aspetti, ma fortunatamente se
l’era cavata bene.
«Vieni» la invitò con voce calma.
La accompagnò vicino al tronco di una quercia che doveva
avere qualche secolo. La fece sedere in modo che potesse
poggiarvi la schiena, poi si sedette a sua volta, di fianco a lei. A
questo punto poté finalmente godersi la tanto sospirata
sigaretta. Gli tornò alla mente la lite che c’era stata fra loro
prima di entrare nella cattedrale.
«E come mi vedi? Sentiamo, perché sono davvero curiosa».
«Come l’unica persona a cui ho permesso di avvicinarsi a me negli ultimi
anni. E a quanto pare ho sbagliato».
Quelle parole risuonavano nella sua mente. Non aveva
sbagliato, almeno non egoisticamente parlando. Si voltò verso
Desdemona e le sorrise. Lei ricambiò. Rabies le sfiorò una
guancia con le dita, poi avvicinò le labbra alla sua fronte e la
baciò. La ragazza si sentì avvolta da un turbinio di sensazioni:
l’aria pungente del mattino, i suoni del bosco, euforia, il cuore
che le martellava il petto, le labbra di Rabies, il profumo della
sua pelle.
Non poté resistere, lo abbracciò.
«Scusami...» cominciò.
Ma lei lo interruppe.
«È stata una mia scelta. E poi, penso dovesse andare così, non
è stata colpa tua» lo fissò fingendosi severa. «Va bene?».
Lui annuì anche se in realtà non era affatto convinto. Non
voleva far gravare su di lei anche il peso del suo senso di colpa,
poi... Per la prima volta ammise di fronte a se stesso che
Desdemona era paradossalmente fra le cose più belle mai
capitategli in vita sua, proprio ora che credeva che ogni cosa
fosse perduta. Si accorse di aver lasciato che il suo volto
tradisse quest’ultimo pensiero, perché vide un’ombra di
preoccupazione su quello di lei.
«Non mi credi» mormorò tristemente.
L’Emissario la strinse più forte.
«Ho...» esitò, quelle parole gli costavano molto. «Ho solo
paura per te.»
La ragazza si divincolò dolcemente dall’abbraccio per prendere
il suo viso fra le mani. In alcuni istanti l’aveva sentito
incredibilmente distante, ora invece era vicino a lei, più di
quanto avesse mai immaginato fosse possibile, ma di certo
non più di quanto avesse sperato.
«Ricordi quando mi hai chiesto se tornando indietro ti avrei
comunque seguito?».
Rabies annuì silenziosamente.
«La risposta non è cambiata Rabies. Mai. Neppure per un
secondo».
Lui sorrise, un sorriso amaro stavolta.
Desdemona sentì le mani scivolare via dal suo volto mentre
l’uomo, lentamente, si allontanava. In quell’istante si accorse
che il muro che li separava era ricomparso, ma forse non era
invalicabile.
L’Emissario si diede dello sciocco per essersi lasciato andare in
quella maniera, per aver mostrato tutta la sua debolezza. Per
un attimo si era scordato ogni cosa, ma non Valerie. Non
avrebbe potuto dimenticarla neppure volendo. Per la prima
volta desiderò che accadesse. Non voleva più sopportare
quella tortura. Non voleva più avere mente e cuore invasi da
lei, che non era più sua e mai più lo sarebbe stata. Si disse che
l’amore non era possesso, ma di certo in parte implicava anche
il desiderio di stare accanto alla persona amata. Quel desiderio
lo aveva quasi distrutto, e ora andava pian piano sfumando in
un sogno appartenente al passato. Si rese conto di come
l’assurdo proposito di Desdemona di “salvarlo” stesse
diventando concreto. Certo, non come sperava lei, ma di fatto
sembrava proprio che la ragazza fosse riuscita a fermare, o
comunque a rallentare drasticamente, il processo di corruzione
a cui i suoi obblighi lo sottoponevano.
Ma era davvero un bene salvare l’anima sapendo che
rimanendo essa pura, anche solo in parte, le sue sofferenze
sarebbero state amplificate?
Non seppe darsi una risposta, ma quella ragazza stava
diventando fin troppo importante per lui, lo sapeva. Forse
però la cosa peggiore era che lui stesse diventando troppo
importante per lei. Anzi, era già successo e Rabies avrebbe
dovuto rendersene conto prima, ma era stato troppo
impegnato a farsi problemi e a essere diffidente. “Essere
diffidente”. Quell’espressione gli fece istantaneamente capire
ogni cosa, si voltò verso Desdemona.
«E adesso che hai?» domandò lei con malagrazia.
«Quanto sono stato stupido!» esclamò alzandosi in tutta fretta
e rimettendosi lo zaino sulle spalle. «Daniel non si è limitato a
sperare che Tnias ci facesse fuori, era d’accordo con lei!».
Capitolo 15
Rabies correva e Desdemona lo seguiva cercando di stargli
dietro.
«Ma come...?» la ragazza aveva il fiatone.
Lui si voltò un attimo senza però fermarsi. I suoi capelli
ondeggiavano colpendogli il viso.
«Non hai ancora capito?» tornò a guardare davanti a sé.
«Daniel sa di non poter riuscire a batterci, ci manda da Tnias,
la avvisa prima del nostro arrivo. Dopo che tu la pietrifichi lui
la libera, in cambio la manda nella Cattedrale delle Ere a
prendere il libro».
«E perché l’avrebbe fatto?».
«Se ci fossimo incontrati avrebbe preso due piccioni con una
fava: avrebbe avuto il libro e probabilmente noi fuori gioco
per sempre!».
Il cuore di Desdemona accelerò, non solo per il ritmo
frenetico della corsa: da quando era venuta a conoscenza della
storia di Daniel non riusciva più a dargli interamente la colpa
di ciò che faceva. Si disse che probabilmente, nelle stesse
circostanze, non si sarebbe comportata meglio di lui. Le parve
di rivedere Luna, quella splendida bambina che con tanta
crudeltà gli era stata sottratta. Sentì lo stomaco rivoltarsi.
Possibile che la vita reale fosse così lontana dalla giustizia?
Neppure l’aria fresca del mattino che le sfiorava la pelle
riusciva a darle conforto.
Stavolta conoscevano la strada. Impiegarono circa un’ora per
tornare a Natas. Solo ora che per diverso tempo era stata in
mezzo al bosco, la ragazza si rese conto di quanto l’aria fosse
irrespirabile.
«È orribile» commentò con una smorfia mentre chiudeva la
portiera del taxi.
«Non abbiamo tempo» fu la risposta secca di Rabies.
Non aveva aperto bocca per tutto il viaggio. Di tanto in tanto,
però, mentre era completamente smarrito nei suoi pensieri,
Desdemona aveva scrutato attentamente il suo viso,
trovandovi solamente un’ira smisurata. Dubitava seriamente
che si trattasse esclusivamente di Daniel e del libro.
Sicuramente si era pentito di essersi avvicinato così tanto a lei,
poco prima. Scacciò quell’idea. Le faceva troppo male e non
era il momento.
Il Motel Natas si stagliava contro un cielo limpido, in netto
contrasto con esso. Non era mai parso così minaccioso.
Qualcosa si mosse dentro di lei. Una strana sensazione:
pericolo.
Ascoltò la sua voce quasi come se non le appartenesse.
«Ci stanno aspettando».
Rabies le lanciò uno sguardo penetrante.
«Daniel e Tnias. Sanno che stiamo arrivando».
«Lo so».
La ragazza rimase perplessa.
«Ma come faremo a vedercela con entrambi? Siamo
devastati!».
Tutti e due in effetti erano pallidi, avevano mangiato quel
poco che avevano portato con loro in taxi, ma da almeno due
giorni non consumavano un vero pasto e non dormivano in
un letto. Rabies sembrava esausto, poteva cercare di
nasconderlo coi gesti, ma non poteva nascondere le occhiaie.
«Se non ci sbrighiamo uno dei due se ne andrà col libro e tu
non scoprirai mai cosa significa quel simbolo! È per questo
che hai passato le pene dell’inferno!» ora dava sfogo a tutto il
suo nervosismo. «Non possiamo mandare tutto a puttane solo
perché siamo stanchi!».
Per un attimo Desdemona non seppe che dire. Era arrivata fin
lì per sapere, era la verità; ma non era tutta la verità. Voleva
stare accanto a lui, voleva aiutarlo, tuttavia quello pareva il
momento meno adatto per dirglielo.
«Hai ragione» mormorò abbassando lo sguardo, tentando di
smorzare la sua rabbia.
Lui sembrò rimanere impassibile, semplicemente le diede le
spalle e si avviò verso il Motel.
«Aspetta!» urlò lei afferrandolo per lo zaino.
Rabies si voltò di scatto.
«Quale parte del discorso non hai capito?» sibilò.
«Almeno dimmi cosa hai intenzione di fare».
«Entrare là dentro e prendere quel libro. Non c’è niente di
tanto complicato» mentì.
«Ti prego, fa’ attenzione».
«Chi ha bisogno di fare attenzione sei tu. Per me è tutto
regolare, ma soprattutto, io non ho niente da perdere».
Riprese a camminare a passo svelto verso l’ingresso. La
ragazza sospirò. Temeva per lui, ma anche per Daniel. Non
voleva che uno di loro due fosse vittima della situazione. Non
poté fare a meno di fare un paragone fra John e Daniel nella
sua mente. In un primo momento era rimasta affascinata da
entrambi, in uno aveva visto il bene, nell’altro il male. Poi in
entrambi i casi le cose si erano capovolte. Neppure ora vedeva
giustizia nelle attività dell’Emissario, ma di sicuro lo
comprendeva molto meglio.
Ripensò a Krystel, alla rabbia che aveva provato quando se
n’era andata. Quando ancora era in vita aveva sempre creduto
che non sarebbe sopravvissuta senza di lei. Si sbagliava. Negli
ultimi tre anni aveva subito un’atroce agonia, ma era ancora
viva. Spesso chi veniva a sapere della morte della sua amica la
definiva “forte” o “coraggiosa”, ma in realtà lei pensava che
trovandosi davanti a certe situazioni non ci fosse alternativa.
Fu costretta a interrompere il filo dei suoi pensieri, ormai
erano davanti al bancone della hall. Il solito vecchio li
guardava con aria sospettosa.
«Che volete?» domandò in maniera brusca.
«Dov’è Daniel?» Rabies non fu da meno.
«Che volete da lui?».
Quella domanda fu di troppo.
Con un rapido gesto l’Emissario afferrò l’uomo per la gola. Lo
tirò verso di sé.
«Non ti ho chiesto di fare conversazione» disse con un sorriso
isterico. «Ti ho chiesto dov’è Daniel, e ti conviene dirmelo se
ci tieni alla pelle».
Sapeva decisamente come spaventare qualcuno.
«Di sopra!» il vecchio era in preda al terrore. «Vi sta
aspettando nella stanza in cui avete dormito l’altra notte. C’è
una donna con lui. Hanno detto che non vedono l’ora di
rivedervi. Non so altro! Lo giuro!».
Il sorriso di Rabies si allargò mentre lo lasciava andare.
«Con le buone maniere si ottiene ogni cosa».
Salirono le scale in silenzio. Lui in testa, come sempre.
Desdemona manteneva i suoi passi volutamente leggeri.
Sentiva che, almeno una parte di lei, non si sarebbe mai
abituata al lato maligno dell’Emissario. I vestiti di entrambi
erano ormai sporchi e logori, sembravano venire da un campo
di battaglia e, in un certo senso, era davvero così. Da un
campo di battaglia a un altro, senza tregua.
Dopo aver percorso il corridoio si ritrovarono nuovamente
davanti alla stanza numero tredici. Rabies aprì la porta con un
calcio.
Seduti ciascuno su una branda, Daniel e Tnias li accolsero con
sorrisi privi di calore.
«Benarrivati, amici miei» li salutò ironicamente il vampiro
mutaforma con un cenno del capo. «Avevo giusto bisogno di
un po’ di nutrimento».
Indossava la stessa veste che portava il giorno in cui credevano
di averla uccisa.
Desdemona si portò una mano al collo, nel punto in cui era
stata morsa. In quel momento Tnias si voltò verso di lei. La
ragazza trovò insopportabile avere quegli occhi neri puntati
addosso.
«Il mio morso non ha ancora avuto effetto. Questo vuol
dire...».
«Sta’ zitta!» Rabies la interruppe bruscamente. «Voglio quel
libro e lo voglio ora».
Per la prima volta Daniel prese la parola.
«Ti serve. Vederti soffrire è un motivo sufficiente per non
dartelo» gracchiò sfoggiando uno dei suoi soliti strani sorrisi.
Rabies puntò un dito contro il materasso, che prese fuoco
sotto di lui. Daniel però fece in tempo ad alzarsi, con un gesto
lanciò un incantesimo che sigillò la porta della stanza.
Desdemona capì allora con una stretta al cuore che solo uno
di loro due sarebbe sopravvissuto quella volta. Daniel da solo
sarebbe stato un problema possibile da affrontare, ma Tnias...
«Che c’è ragazzina?» sembrò che il vampiro le avesse letto nel
pensiero. «Temi per il tuo bello?».
La ragazza non rispose, ma il suo sguardo si riempì d’ira.
«E se lo pietrificassi come tu hai fatto con me?» disse
sollevando una mano verso di lui.
Fu allora che accadde. Tnias smise di sorridere vedendo che gli
occhi di Desdemona si erano rovesciati all’indietro.
Evidentemente non era più in sé, persa in una sorta di trance.
«Rabies...» sibilò.
Lui si voltò a guardarla, quando si rese conto di cosa stesse
accadendo strabuzzò gli occhi. Era come pensava. Aveva
sperato con tutto se stesso di essersi sbagliato, invece...
Il corpo della ragazza era percorso da scariche elettriche. Le
bastò un gesto perché Rabies venisse avvolto da un campo
magnetico, una barriera protettiva. Un fragore paragonabile
solo a quello di un temporale investì la stanza.
Tnias era pervasa da incredulità e terrore.
«Puoi uccidermi ma non puoi fermare quello che è già
cominciato!» urlò pur sapendo che quella che sarebbe
diventata la sua carnefice non poteva sentirla.
Rabies assistette alla scena del tutto incapace di agire. La sua
vita era stata piena di orrori, dentro e fuori di lui, ma non
aveva mai visto nulla di simile. Quelle immagini non avrebbero
mai più abbandonato la sua mente. La guardò sollevarsi da
terra di una ventina di centimetri, il corpo circondato da
scariche elettriche che a momenti diffondevano una luce
bluastra per tutta la stanza. Persino Tnias sembrava
terrorizzata.
«Lo sapevo» disse Daniel mentre un sorriso sinistro gli si
allargava sul volto.
«Seibar lliu revenni hcout!» la voce uscì profonda e assordante
dalla bocca di Desdemona, ma non era affatto la sua,
sembrava piuttosto quella gutturale di un mostro.
Sollevando un braccio urlò sguaiatamente, facendo gelare il
sangue di tutti i presenti. Un turbine avvolse Daniel e Tnias,
che dovettero reggersi ai letti per non essere trascinati via. Le
loro ombre comparivano e scomparivano ritmicamente,
proiettate sui muri dalle scariche elettriche.
«Kloot! Koob’s erehu!» urlò Desdemona infuriata mentre i
suoi occhi, ancora rovesciati, sembravano assumere
un’espressione se possibile più inquietante.
Daniel la guardò con odio.
«Era ouy tahw rof flesouy delever ouy».
Rabies era senza parole, conosceva quella lingua, ma il fatto
che anche Desdemona la sapesse parlare poteva voler dire solo
una cosa: quello che alcuni giorni prima Daniel gli aveva
sussurrato a un orecchio, dopo aver saputo che lei era stata
morsa da Tnias, era vero.
L’angoscia lo assalì. Com’era possibile?
Provò a chiamare la ragazza, ma non riuscì a emettere alcun
suono. Le parole che aveva pronunciato fino a quel momento
gli parvero taglienti come lame.
«Non toccherai Rabies!» aveva urlato prima di scatenare il
vortice. Poi aveva ordinato a Daniel di parlare, di dirle dove si
trovasse il libro. Per tutta risposta lui l’aveva guardata in
cagnesco. «Finalmente ti sei rivelata per quello che sei».
Guardò con orrore Desdemona puntare un dito contro
l’Emissario, provocando una scarica elettrica che lo fece
contorcere violentemente gemendo per il dolore.
Continuò a parlare in quella lingua antica, con voce che ormai
non aveva più nulla di umano.
«Ti ho detto di parlare!».
Davanti a lei ormai Daniel sembrava poco più che un insetto.
«Cosa credi?» urlò con la voce piena di astio «Non troverai una
risposta che possa davvero soddisfarti».
«La domanda non era questa» rispose lei lanciandogli contro
un’altra scarica. Ancora una volta Daniel si contorse, lo fece
con più violenza, lasciandosi sfuggire un’imprecazione.
«Nella mia stanza!» confessò alla fine, a denti stretti, tanto che
solo la ragazza capì cos’avesse detto.
Desdemona fece un sorriso, pieno di perfidia al punto che la
rese irriconoscibile.
Rabies capì immediatamente cosa avesse intenzione di fare.
Corse da lei, le afferrò un braccio e la strattonò con forza. In
condizioni normali sarebbe bastato a farla cadere, ma si mosse
appena.
Si voltò verso di lui come se l’avesse notato solo in quel
momento.
«Te ne pentirai» mormorò l’uomo con gli occhi pieni di
apprensione. «Non farlo».
«Non puoi salvarmi Rabies, non puoi neppure questa volta».
Daniel in preda al dolore aveva perso i sensi. Tnias aveva
cambiato forma. Le sue unghie si erano allungate a dismisura e
i canini erano diventati quelli acuminati di un vampiro. Si
avventò contro Desdemona, che la respinse con un gesto di
inaspettata ferocia, le prese la testa fra le mani facendo sì che
venisse percorsa da scariche elettriche. Il corpo del vampiro si
muoveva a scossoni.
«Chi è, allora, che verrà ucciso?».
Tnias riuscì a staccarsi, guardò la ragazza con odio mentre
ancora ansimava per il dolore. Desdemona sorrise gelidamente
prima di protendere un braccio. Il vampiro mutaforma venne
scagliato contro una parete e perse i sensi.
Rabies finalmente si riscosse.
«Il fuoco Desdemona! Il fuoco!».
La ragazza, o la creatura che era diventata, si voltò per un
attimo a guardarlo, annuì, poi la fiammata partì dal palmo della
sua mano e il corpo di Tnias scomparve, mentre un incendio
iniziò a consumare i pochi elementi dell’arredamento della
stanza.
Fu come se qualcuno avesse spento un interruttore,
Desdemona tornò in sé, i suoi occhi ridivennero quelli di
sempre. Per un attimo parve immensamente stanca prima di
accasciarsi, cadendo dalla posizione leggermente sopraelevata
in cui si trovava.
Rabies la prese al volo mentre il fumo inondava la stanza.
Tossì, gli mancava l’aria. Lanciò un rapido sguardo a Daniel,
probabilmente sarebbe morto. Qualcosa dentro di lui esultò,
una perversa gioia seguita a ruota da disgusto per se stesso.
Sarebbe diventato come lui, era solo questione di tempo.
Faticò ad aprire la porta, ma ci riuscì. Evidentemente
l’incantesimo che la sigillava era spezzato.
Rabies prese a correre per le scale, le braccia di Desdemona
ciondolavano, prive di vita. A metà della seconda rampa
l’uomo sentì di essere sul punto di svenire e per poco non
cadde. Gli girava la testa, era sfinito, gli toccava correre
trasportando un corpo a peso morto. In più a breve avrebbe
dovuto fare i conti con la proprietaria di quel corpo. Avrebbe
dovuto dirle perché il morso di Tnias non avesse avuto effetto
su di lei. Poi cosa sarebbe successo? Continuò a correre,
oltrepassò il bancone mentre il proprietario del Motel Natas gli
urlava dietro qualcosa. Con la coda dell’occhio gli parve per un
attimo di vedere qualcuno, avrebbe giurato che fosse il
vampiro, ma si disse che non era possibile, doveva essere uno
scherzo della sua mente stanca. Non restava che trascinarsi
fino alla stazione e tornare a Levran. Era stato tutto inutile.
Inutile il tentativo di nascondere la verità a Desdemona, inutile
il viaggio fin lì, il massacro nella Cattedrale delle Ere. Se ne
tornavano a casa con la coda fra le gambe, con qualcosa di
scomodo in più con cui fare i conti e, soprattutto, senza libro.
Passando davanti a un negozio guardò il loro riflesso sulla
vetrina, quello che vide furono due dannati. Probabilmente la
sua colpa nell’aver cacciato la ragazza in un guaio enorme era
pressoché inesistente, aveva peccato di presunzione credendo
che le sue scelte fossero state fatali. Tutto inutile.
Durante l’intero viaggio Desdemona rimase priva di sensi.
«Mia sorella soffre di continui svenimenti, si riprenderà fra
qualche minuto».
Così aveva risposto Rabies ai curiosi. Molti non sembravano
affatto convinti, ma riuscì comunque a cavarsela.
Epilogo
Erano passati due giorni da quando Desdemona, dopo aver
saputo la verità, era scappata, proprio come il giorno in cui si
erano conosciuti. Alla fine Rabies era stato costretto a
confessare ciò che già da tempo aveva compreso, pur non
essendo stato in grado di accettarlo. Desdemona era un
demone, per questo motivo il morso di Tnias non aveva avuto
alcun effetto su di lei, per questo motivo si era trasformata in
quel modo durante la battaglia contro Daniel e il vampiro.
Non sapeva ancora come spiegare il fatto che lei non ne fosse
a conoscenza, eppure di certo era così.
Rabies si schiarì la voce, era davanti alla porta d’ingresso
dell’appartamento della ragazza. A differenza di circa un mese
prima non aveva la minima idea di cosa dirle, sapeva solo di
dover cercare di fare qualcosa per lei. Si fece coraggio, bussò
ma non vi fu nessuna risposta.
«Desdemona?» provò a chiamare.
Niente.
Sentì una morsa allo stomaco.
«Desdemona!» senza volere aveva cominciato a urlare.
«Desdemona apri!» disse battendo più volte il pugno contro la
porta. «Desdemona, ti prego!» faticava a respirare, forse perché
in cuor suo aveva già capito.
Avvicinò la mano sinistra alla serratura, tremava come una
foglia. Con il solito metodo la fece saltare.
Si precipitò dentro.
«Desdemona!» urlò più forte.
Alla fine ebbe la conferma che i suoi timori erano fondati. Una
poltrona bianca era girata verso l’enorme vetrata che si
affacciava su Levran. Della ragazza, da quell’angolazione, era
visibile solo il braccio che pendeva di lato. Il polso era reciso.
Un’altra goccia cadde nella piccola pozza di sangue
deturpandone il riflesso che, dopo qualche istante, tornò a
essere nitido.
Ringraziamenti
Ringrazio:
prima di chiunque altro mio padre, Nicola Tannino. Se non
avesse fatto tutti i sacrifici che ha fatto
non sarei la stessa persona, non avrei potuto lanciarmi in
questa avventura, o quantomeno tutto
sarebbe stato infinitamente più difficile;
Francesco e Roberto Tannino, i miei fratelli, per tutto il loro
supporto, sia morale che pratico;
Noemi Micheli, mia cognata, che con la sua mazza ferrata mi
aiuterà diplomaticamente a piazzare
copie del mio libro a destra e a manca (...e ciò che manca a
manca... non manca a destra!);
gli HIM, senza la cui canzone Killing Loneliness nessuna
goccia sarebbe mai caduta in quella pozzanghera;
Patrizia Burdi. Ci siamo conosciute per caso una sera, alla Casa
del Popolo di Bosa; essendo rimasta incuriosita da me come
persona, ha avuto voglia di leggere il mio romanzo. Mi ha
aiutata nell’editing suggerendomi tante piccole modifiche che,
insieme, credo abbiano reso il mio lavoro decisamente
migliore. Tutto questo solo per simpatia nei miei confronti e
per amore verso la letteratura. Tanto di cappello;
Laura Cerretti, editor che mi è stata affiancata dalla casa
editrice e con cui mi sono trovata molto bene. Oltre che per il
suo lavoro, devo ringraziarla per i preziosi consigli;
Valentina Sanna, mia carissima amica, vicina di casa,
compagna di classe per cinque anni e compagna di banco per
quattro anni e mezzo. Quando, nel 2006, le ho fatto leggere la
prima pagina de Il Demone, scritta sul mio diario scolastico, è
stata lei a dirmi “Perché non continui scrivendo la
storia su un quaderno?”. A lunga andare “il quaderno” si è
trasformato ne “i quaderni” e... beh, eccomi qua;
Ileana e Maria Carroni, le primissime ad aver letto per intero il
mio romanzo. Due martiri in realtà, perché l’hanno letto
mentre lo stavo scrivendo, aspettando con ansia che andassi
avanti. Hanno creduto in me sin dal primo secondo, nella mia
storia sin dalla prima riga;
buona parte dei miei insegnanti del Liceo, per non essersi
accorti del fatto che quando spiegavano ed io scrivevo
furiosamente, nonostante di tanto in tanto li guardassi
annuendo, non stavo affatto prendendo appunti. Per la
cronaca, “buona parte” non perché qualcuno se ne sia accorto,
ma perché in effetti qualche spiegazione mi interessava;
in ordine assolutamente casuale: Federica Biolcati, Veronica
Ocello, Giulia Elisa Martinozzi, Hermes Valentino Servoli,
Valerio Vacca, Glauco Ruzzetti, Michele Spanò, Nadia Valente
e Tasnim Abu Shwaima.
Nessuno di loro ha contribuito alla realizzazione del sito o del
romanzo ma, paradossalmente, a volte attraverso il delirio si
può aiutare qualcuno a non impazzire, o quantomeno a stare
sereno nella sua follia;
D.S.S. che, a dispetto della distanza, riesce costantemente ad
essere fra i miei pensieri felici. Una delle pochissime persone
nella mia vita a non avermi mai fatta sentire sbagliata. Non
credo che si renda davvero conto di quanta serenità mi regala;
tutti i siti affiliati e, sia ben chiaro, io non mi affilio con cani e
porci: in queste cose bado alla qualità e non alla quantità;
dulcis in fundo, i miei lettori. A prescindere dal fatto che
amiate o meno quel che scrivo, a prescindere dal fatto che alla
fine del mio primo romanzo abbiate deciso di continuare a
seguirmi o meno, vi ringrazio per l’attenzione che avete scelto
di dedicarmi. In un’epoca come la nostra, dare una possibilità
ad un’esordiente, senza mostri dell’industria alle spalle che la
pubblicizzino, non è davvero poco. Nel caso in cui non
abbiate gradito il mio lavoro, mi spiace; nel caso in cui il mio
racconto sia entrato nei vostri cuori, si è realizzato un sogno.