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Il Demone Delia Tannino Questo romanzo è dedicato a mia madre Anna. Quando ho cominciato a scriverlo lei era ancora in vita, ora che è finito lo è ancora, nel mio cuore. Grazie per aver creduto in me, sempre e comunque. Capitolo 1 Un’altra goccia cadde nella piccola pozza deturpandone il riflesso che, dopo qualche istante, tornò a essere nitido. Sull’acqua si delineò nuovamente il volto di quell’uomo che doveva avere fra i venticinque e i trent’anni. I capelli lunghi poco meno che fin sopra le spalle, i tratti piuttosto femminei e gli occhi fra il verde chiaro e l’azzurro. Chiunque, osservandolo, avrebbe potuto notare che in lui c’era qualcosa di oscuro. Distolse lo sguardo dalla pozzanghera su cui era chino: si tirò su e proseguì per la sua strada, anche se ancora non sapeva dove o da chi l’avrebbe condotto. Non importava, presto avrebbe saputo, il suo “lavoro” era così. Erano all’incirca le cinque del mattino, per le strade c’erano ben poche persone e qualche auto passava di tanto in tanto, ma lui non era minimamente interessato a ciò che accadeva all’esterno; rapito com’era dai suoi pensieri, tutto ciò che lo circondava gli scivolava addosso, ignorava ogni cosa. Si stava dirigendo verso il ciglio del marciapiede quando qualcosa attirò la sua attenzione: poco più avanti una ragazza completamente vestita di nero stava per attraversare la strada. Lei non se n’era accorta, ma una macchina stava arrivando a tutta velocità. Desdemona per l’ennesima volta si rigirò nel suo letto; non aveva chiuso occhio per tutta la notte, ma nonostante l’enorme stanchezza non riusciva a prendere sonno. Voltò il capo verso la radiosveglia sul comodino di fianco al letto, erano le tre e mezzo di notte; o forse sarebbe stato meglio dire di mattina? Sospirò stropicciandosi gli occhi, si mise a sedere sul letto, cercò a tentoni il telecomando e dopo qualche istante accese la televisione. Una breve sigla annunciò un’edizione straordinaria del telegiornale, una donna bionda, dall’aspetto talmente ordinato da essere irritante, cominciò a parlare con aria agitata: «Edizione straordinaria! Il serial killer di Levran ha colpito nuovamente poche ore fa. Le vittime questa volta sono due: una donna e sua figlia, di appena cinque anni. Come nei precedenti casi, sembra che l’assassino abbia colpito usando scariche elettriche. La polizia e la scientifica non riescono però ancora a capire come abbia fatto, di che tipo di arma si sia servito...». La ragazza spense il televisore sbuffando, buttò nuovamente il telecomando sul letto, decise di uscire. Si alzò e si avvicinò all’enorme vetrata che si affacciava sulla città; al contatto con essa si sentì attraversata da un inspiegabile e profondo gelo. Quell’ambiente, quelle luci... le sembravano così distanti... La familiare insegna verde di un pub lampeggiava metri e metri sotto di lei: “Il Giardino Incantato”. Le strade erano costellate di cartelloni pubblicitari tramite i quali qualcuno cercava di rifilare alla gente l’ultima idiozia figlia del mercato; colorati o con foto in bianco e nero, artistiche o meno, di questa o di quell’altra modella. Il quartiere “alto” di Levran si assopiva, ma non dormiva mai, non si fermava mai; lei invece si sentiva pietrificata da tempo. Il viso un po’ tondeggiante, labbra carnose, lunghi capelli mossi castani, dello stesso colore dei suoi occhi. Di certo non era come quelle modelle, era troppo abbondante – seno compreso – per essere una di loro, ma non si riteneva brutta. Era da molto, tuttavia, che non pensava davvero al suo aspetto estetico; non le importava più di tanto, a dire il vero. Si voltò verso il suo appartamento in penombra. Non c’era di che lamentarsi, era piuttosto lussuoso, di certo bizzarro, ma lussuoso. Sembrava che in un unico grande salone fossero state mescolate tutte le stanze della casa, ma l’arredamento era stato talmente ben disposto che, più che un senso di confusione, la cosa dava una sensazione di completezza. Naturalmente faceva eccezione il bagno, verso cui si diresse. Quando vide il suo riflesso nello specchio a forma di conchiglia sopra al lavandino scosse leggermente il capo; sul viso aveva ancora i segni del cuscino. Quando ebbe finito di prepararsi uscì chiudendo la porta con tre mandate. Era vestita di nero, come sempre. Le unghie lunghe coperte da smalto dello stesso colore. Con aria svogliata entrò nell’ascensore, abitava al quindicesimo piano e non aveva nessuna intenzione di fare le scale a piedi. Arrivata al piano terra, con un gesto vago salutò il portinaio senza però degnarlo di uno sguardo; in effetti lo fece più per abitudine che non per educazione. Si fermò per la prima volta a pensare che la portineria veniva sorvegliata persino a quell’ora. Nel giro di poco si ritrovò a vagare per strade e vicoli senza badare a dove stesse andando; tutte le sue esperienze, i ricordi e le emozioni si accumulavano in un’unica grande matassa, resa ancor più intricata dal torpore dovuto alla mancanza di riposo. E poi i suoi genitori... Dove diavolo erano i suoi genitori quando aveva bisogno di loro? Troppo comodo mettere al mondo una figlia e poi parcheggiarla in un appartamento perché tanto “non le manca niente”. Dov’erano andati questa volta? Neppure se lo ricordava, era impossibile tenere il conto dei loro viaggi. Stava per attraversare la strada quando si spaventò a morte: sentì due braccia afferrarla per la vita e tirarla indietro, poi vide un’automobile sfrecciare pochi centimetri davanti a sé; realizzò in quel momento di aver rischiato di essere investita, e di essere stata salvata da qualcuno. Voltandosi si ritrovò di fronte un uomo piuttosto alto dai capelli lunghi; Desdemona non aveva mai visto occhi come i suoi, verde ghiaccio e poi... Quell’espressione... «G... grazie» balbettò, ancora visibilmente spaventata. L’uomo sembrava stupito di ciò che lui stesso aveva appena fatto. «Sta’ più attenta» disse con aria confusa mentre già andava via. La ragazza avrebbe voluto chiedergli di aspettare ma la voce si rifiutava di venir fuori dalla gola. Non era solo per ciò che le era appena accaduto; non sarebbe stata in grado di spiegare esattamente il suo stato d’animo, ma sapeva che era stato lui a causarlo. Lui... a proposito, qual era il suo nome? Non aveva neppure avuto il tempo di chiedergli questo. “Ma che diavolo mi è saltato in mente?” si chiedeva lui che si stava allontanando a passo svelto. “Che mi è preso?”. Non aveva niente contro la ragazza, ma quell’azione che gli era stata dettata dall’istinto in qualche modo lo turbava: dopo tanto tempo quel lato di lui si ostinava ancora a sopravvivere. Gli unici risultati erano il nervosismo e il tormento che si portava dentro. Prese da una tasca un accendino e un pacchetto di sigarette, poi ne accese una. Quando fumava il suo aspetto era ancora più inquietante. Tirava lunghe boccate, aveva uno sguardo tagliente, era come se nei suoi occhi fossero racchiusi contemporaneamente il gelo e le fiamme dell’Inferno. Arrivò davanti a un parco e capì che quella era la sua destinazione. Evidentemente anche nei quartieri alti le cose non andavano poi così bene. Chissà chi lo aspettava dietro quel cancello ornato da rampicanti di un verde lussureggiante. Prese il viale che conduceva all’interno, continuò a fumare camminando senza fretta, scrutando le persone intorno a lui. Ancora il sole non era sorto, ma quando arrivò nel piazzale al centro del parco non faticò a distinguere una figura: seduto su una panchina c’era un ragazzo di diciassette anni circa, per un buon osservatore sarebbe stato impossibile non notare quanto fosse depresso; con lo sguardo perso nel vuoto si torceva le mani. Ma lui non aveva bisogno di osservare, lui lo sapeva già. “Eccolo” pensò e per un attimo sul suo viso comparve un sorriso sinistro. Gettò a terra la sigaretta che stava fumando, ormai ridotta al solo filtro, la spense con un piede e ne accese immediatamente un’altra. Andò a sedersi di fianco al ragazzino. «Sembri triste» esordì con l’aria tranquilla di chi con un solo gesto può risolvere tutti i tuoi problemi. «Forse ho qualcosa che ti può aiutare...» da una tasca della giacca tirò fuori un piccolo sacchetto di plastica con dentro della polverina bianca e glielo porse. Il ragazzo non disse nulla, si limitò a osservarlo con aria leggermente spaventata. Davanti alla sua ingenuità l’uomo tornò a sorridere in maniera sinistra. Si alzò e lasciò cadere il sacchetto sulla panchina. Salutò imitando scherzosamente il saluto militare, poi andò via con la sigaretta fra le labbra, senza che la sua disinvoltura lo abbandonasse anche solo per un istante. Il ragazzo allungò la mano, esitò un attimo, poi afferrò ciò che lo sconosciuto gli aveva lasciato, pensando che potesse essere davvero una soluzione, o quantomeno una via di fuga. L’uomo continuava a camminare tranquillamente: era certo che il ragazzo non si sarebbe fatto scappare quella che ai suoi occhi era un’occasione di ricevere un po’ di sollievo, così come era certo che nessuno avesse notato la scena; ma se la prima delle sue due convinzioni corrispondeva alla realtà, la seconda era del tutto erronea. Qualcuno lo aveva seguito e aveva visto tutto. Nascosta dietro uno degli alberi del parco, Desdemona si mordeva il labbro inferiore. Le mani strette al tronco con tanta forza che le dita le dolevano, i muscoli tesi. Era disgustata, arrabbiata, nervosa e stupita. In quel momento si pentì amaramente di aver deciso di seguire chi poco prima l’aveva salvata. Una folata di vento fece ondeggiare le fronde sopra di lei con un fruscio. La ragazza rabbrividì, il cielo grigio a causa dei nuvoloni carichi di pioggia prometteva cattivo tempo. “Uno spacciatore! Devo la vita a un dannatissimo spacciatore”. Uno di quelli che odiava... dalla morte di Krystel. La sua mente tornò indietro fino a cinque anni prima. Era una calda nottata di mezza estate, allora Desdemona aveva undici anni, Krystel diciassette. Nonostante la differenza d’età erano amiche per la pelle, così quando la più grande fra le due era stata invitata a una festa, non aveva esitato a portare l’altra con sé. La ragazzina era molto eccitata, ma allo stesso tempo perfettamente a proprio agio, come se grazie alla sua amica avesse avuto la possibilità di stare un po’ in quello che era veramente il suo mondo. Le immagini erano ancora incredibilmente vivide nella sua memoria. Krystel indossava un lungo abito azzurro che la rendeva simile a una fata. Era assolutamente splendida. Desdemona sentì ancora una volta la sua voce riecheggiare fra le pieghe della mente. «Ma non ti sei accorta di niente?» le sussurrò a un certo punto con fare malizioso. «Di cosa mi sarei dovuta accorgere, scusa?» chiese lei perplessa. «Ma sei cieca?». Sgranò gli occhi. «Colin!» fece un cenno col capo, voleva indicare qualcuno alle sue spalle. «È da almeno un’ora che non fa altro che guardarti». «Ma smettila!» arrossì leggermente. «Giuro Desy!». «E non chiamarmi Desy!» si finse seccata. «Non fare la difficile! Lo so che gli sbavi dietro da un secolo». Desdemona le diede una gomitata. «Abbassa la voce! E soprattutto non dire stronzate!». «Oh...» rispose l’amica con un sorriso dispettoso. «Ma non è una stronzata, è la pura verità.» «È la pura verità che gli sbavo dietro da un secolo, ma non dire cavolate, non mi guarda affatto. È più grande di te!» strabuzzò gli occhi. «Sarebbe un peccato vederlo dietro le sbarre». «In effetti... Però ho un’idea». Una nota risoluta comparve nella sua voce, Desdemona la fissò attendendo che parlasse. «Puoi sempre molestarlo tu. La polizia non crederà mai che sia stata tu a violentarlo!». Entrambe scoppiarono a ridere. Le luci colorate rimbalzavano da una parte all’altra del giardino di casa Sedry, tutto sembrava perfetto. La musica veniva fuori a tutto volume dalle casse, che erano state disposte il più lontano possibile dalla piscina, onde evitare spiacevoli incidenti, ma le due ragazze avevano un ottimo udito, sentirono chiaramente qualcuno nominare “Colin Sedry”. Si voltarono e videro tre ragazze sghignazzare, ricordavano decisamente delle oche. Desdemona le fulminò con lo sguardo. «Non puoi uccidere chiunque lo trovi carino» le fece notare Krystel. «Già, però...». L’amica non poté fare altro che lanciarle uno sguardo preoccupato. Desdemona prese un bicchiere dal tavolino di fianco a loro, subito dopo finse d’inciampare rovesciando la birra su una delle tre, Morgana Freemel. La sventurata fece un balzo indietro ma era troppo tardi, il suo costoso abito da sera era macchiato. «Sta’ attenta!» esclamò con disgusto dandole uno spintone. Quello che fino a poco prima era parso un bel viso adesso era deformato da una smorfia di rabbia. «Non si dovrebbe permettere di partecipare alle feste a chi ancora non ha imparato a camminare!». «Non lo si dovrebbe permettere nemmeno a chi si pettina con i petardi» rispose Desdemona alludendo alla sua bizzarra acconciatura. Proprio quando la situazione stava per degenerare, si avvicinò Krystel, con un sorriso gioviale, fingendo disinvoltura e stringendo fra le dita i lembi del suo abito in modo che non si sporcassero di terra. «Bella festa, vero?» chiese allegra, ma non attese risposta. «Ah, vieni Desy, c’è una persona che ti voglio presentare!». La trascinò il più lontano possibile, poi la sua espressione cambiò di colpo. «Ma sei impazzita? Che ti eri messa in testa?». «La domanda è cosa si è messa in testa lei...» rispose la ragazzina con aria noncurante, alludendo nuovamente alla pettinatura. «In effetti...» commentò l’amica, che non riuscì a trattenere una risata. Da una delle tasche di Desdemona si udì un trillo soffocato, il cellulare di Krystel stava squillando. Lei glielo passò e la ragazza, continuando a ridere, rispose. «Pronto?» ascoltò il suo interlocutore per qualche secondo, sul suo volto comparve immediatamente un’espressione terrorizzata. «È uno scherzo vero?» chiese urlando con le lacrime agli occhi. Dopo pochi attimi scaraventò a terra il telefono scoppiando a piangere. Si coprì il viso con le mani. «Cosa è successo?» chiese Desdemona visibilmente preoccupata; le poggiò entrambe le mani sulle spalle, come per consolarla, anche se ancora non aveva la minima idea di cosa fosse accaduto. «I miei genitori...» rispose singhiozzando «...sono morti in un incidente...». In pochi avevano visto la scena, nessuno aveva osato avvicinarsi. La musica rimbombava con la sua stupida allegria, le luci in quel momento parvero uno spietato tentativo di soffocare i gemiti di dolore della ragazza. Nessuno pensò a cercare di capire, gli invitati, imbarazzati, si limitarono a distogliere lo sguardo. Vennero a sapere solo il giorno dopo della morte di Joseph ed Anne Knife. L’avvenimento sarebbe stato oggetto dei loro pettegolezzi per diversi mesi. Da quel momento cambiò ogni cosa; quel sorriso così fresco e solare non sarebbe mai più comparso sul viso di Krystel. Nel giro di poco tempo Desdemona si era ritrovata a guardare la sua migliore amica distruggersi senza poter fare nulla per aiutarla, e quante litigate... Lo shock nello scoprire che faceva uso di droga, la delusione nel vedere che per quella roba si stava allontanando da tutte le persone che amava, la rabbia e i sensi di colpa, prima quando Krystel si era ridotta ad essere una tossicodipendente, poi quando la droga se l’era portata via. Rammentò l’ultima volta che si erano rivolte la parola. La ragazza, un tempo splendida, ora non era altro che l’ombra di se stessa. Indossava pezzi di stoffa: stracci, più che vestiti… Già, perché era arrivata a vendere anche quelli. «Non hai mai capito niente Desdemona, mai!» sul viso innaturalmente scavato c’era un’espressione dura. «Io non ho capito niente? Capisco benissimo che ti sei ridotta così solo perché non hai mai voluto ascoltare nessuno!» era fuori di sé dalla rabbia, non avrebbe voluto urlare, ma non poteva farne a meno. Krystel rise amaramente. «Non hai mai capito niente né della mia situazione, né delle feste a cui andavamo...» la guardò con aria quasi divertita. «Nemmeno dei tuoi genitori, se è per questo...». «Chiudi quella fogna Krystel! Non ho intenzione di restare a guardare mentre tu ti ammazzi!». «È troppo comodo dirlo adesso, mia cara, ormai è già fatta». Rise sguaiatamente, ma la sua risata si spense di colpo quando Desdemona le diede uno schiaffo. «Se non vuoi il mio aiuto, non avrai più nemmeno la mia amicizia» si voltò e, semplicemente, se ne andò. Solo in quel momento lo sguardo della ragazza diede segni di rinsavimento, solo in quel momento si rese davvero conto della situazione: aveva perso l’ultima persona che le era rimasta accanto. Ma ormai era troppo tardi, la sua amica se n’era andata per sempre. Trattenne le lacrime e decise di continuare a seguire quell’uomo; non credeva che la cosa si sarebbe rivelata utile, ma non poteva fare diversamente, era più forte di lei. Fece un profondo respiro prima di riprendere a pedinarlo, celata dalla vegetazione del parco. “Ma per oggi non ho ancora finito” pensò l’uomo mentre tirava una lunga boccata di fumo. Si chiese quale sarebbe stata la sua prossima meta. Pochi istanti dopo capì e divenne palesemente nervoso. Si passò una mano fra i capelli scostandoli dal viso, per un attimo socchiuse gli occhi rammentando da dove tutto era cominciato, ma ora non c’era spazio per i ricordi. Doveva sbrigarsi. Ricominciò a camminare a passo svelto. Finalmente varcò il cancello del parco. Fuori lo attendeva la città che iniziava a risvegliarsi in un’atmosfera uggiosa. Le auto che passavano lasciavano nell’aria odori sgradevoli che si mischiavano a quello – già di per sé pesante – dei rifiuti che erano stati abbandonati accanto ai bidoni, ormai stracolmi, sui marciapiedi. Questo era ciò che accadeva nei quartieri alti, in quelli bassi nessuno avrebbe avuto la premura di lasciarli lì vicino, sarebbero stati sparpagliati per la strada. “Quando sei povero in canna lo spirito civico non è precisamente la tua prima preoccupazione”. Proseguì per circa un centinaio di metri prima di addentrarsi in un vicolo stretto e sporco, con cassonetti e sacchi d’immondizia. Di tanto in tanto qualche topo faceva capolino per poi tornare a cibarsi fra i rifiuti. Sembrava una piccola e squallida discarica. Proprio come quegli avanzi o quegli oggetti che ormai nessuno voleva più, gettato su una poltiglia lurida, c’era un uomo sulla quarantina con la barba incolta, i vestiti sporchi e logori. Con tutta probabilità era ubriaco. Aveva trovato ciò che cercava. Desdemona rimase perplessa nel vedere quell’improvviso cambiamento. Di colpo l’uomo che l’aveva salvata era diventato irrequieto e sembrava avere una gran fretta. Ma perché? Non aveva parlato con nessuno dopo quel ragazzo ed escludeva che avesse ricevuto un messaggio o una telefonata, se ne sarebbe accorta. Concluse che di certo doveva improvvisamente essersi ricordato di qualcosa. Anche se questa spiegazione non la convinceva fino in fondo, non ce n’erano altre plausibili. Dannazione! Se avesse continuato a camminare così velocemente nel giro di poco l’avrebbe perso di vista. Sempre tenendosi nascosta lo guardò uscire dal parco; questo complicava tutto: fuori sarebbe stato più difficile seguirlo senza che lui se ne accorgesse. Decise di affrettarsi. La paura di essere scoperta le faceva provare un malessere fisico, come una morsa allo stomaco, che diventava sempre più forte. Il cuore martellava nel petto senza pietà, ebbe quasi paura che lui potesse sentirlo. Forse era una persona davvero pericolosa, forse se si fosse accorto che lo stava seguendo non avrebbe esitato a farla fuori, in fondo era uno spacciatore, ma... Il ricordo del suo sguardo sconvolse completamente quei pensieri. Com’era possibile che una persona con quegli occhi – e che per giunta l’aveva salvata – fosse così? Scacciò dalla mente quelle idee che non facevano altro che confonderla, pedinarlo era già abbastanza complicato stando ben concentrata. Ora stavano camminando lungo un marciapiede, lei si teneva a debita distanza ma, nonostante questo, se per qualsiasi motivo si fosse voltato, l’avrebbe scoperta immediatamente. Questa consapevolezza le fece provare nuovamente la familiare stretta allo stomaco. Perché si stava cacciando in questo guaio più grande di lei? Perché non riusciva a farne a meno? Perché? Lui imboccò un vicolo, Desdemona si avvicinò ma non svoltò all’angolo, rimase al riparo di quella parete, l’unica cosa che al momento potesse proteggerla. Sentì il rumore dei passi dell’uomo che lentamente si stava muovendo nella direzione opposta, dunque si affacciò quel tanto che bastava per vedere cosa stesse accadendo. In mezzo a tutta quella sporcizia vide l’uomo guardarsi intorno per qualche istante, poi qualcosa attirò la sua attenzione, o meglio qualcuno: sdraiato sul marciapiede c’era un poveretto, chissà, forse qualcuno che come Krystel era stato travolto dagli eventi. Lui si avvicinò al barbone. «Steven Joe Pag» esordì sibilando. Il senzatetto si voltò a guardarlo con aria spaventata, ma non esitò a trafiggerlo col suo sguardo e continuò. «Ortatu Diaboli» disse distendendo il braccio sinistro con il palmo della mano rivolto verso l’alto «exe anima!» urlò chiudendo la mano in un pugno, serrandolo con la stessa forza con cui un marinaio tira una fune. Una sagoma viola, evanescente e luminosa, con forma molto simile a quella di una figura umana, si liberò dal corpo del barbone che in quell'esatto momento cessò di dare il benché minimo segno di vita. Desdemona rabbrividì, non poteva essere vero ciò che i suoi occhi vedevano. Le dita contratte sull’angolo del muro, le nocche diventate bianche mentre il suo respiro si faceva irregolare. Che diavolo stava succedendo? Aveva davvero capito bene? Quella sagoma altro non era che un’anima? Lo spirito faceva di tutto per divincolarsi dalla presa che l’uomo, pur senza toccarlo, esercitava su esso. L’uomo protese anche l’altro braccio. «Daemones, animam deprehendite et ipsam Inferos trahete!». Fu allora che dall’asfalto emersero altre figure, ma queste erano nere come la pece. L’aria si riempì di urla che facevano gelare il sangue e che avevano ben poco di umano. Afferrarono quella che fino a pochi secondi prima era stata la preda di quel personaggio misterioso e la trascinarono con loro nelle viscere della terra. L’anima si dibatteva inutilmente, venne portata via senza avere nessuna possibilità di scampo. Insieme a quelle entità svanirono anche le urla. Desdemona stavolta era veramente in preda al panico: cosa diavolo era successo? Cosa doveva fare? Di certo doveva scappare, se quel tipo l’avesse scoperta... non riusciva neppure a immaginare cosa sarebbe accaduto. Dannazione! Se solo fosse riuscita ad andarsene di lì... Ma le gambe non rispondevano, come se il terrore l’avesse incollata al marciapiede e a quel muro. Intanto sentiva il suono dei suoi passi avvicinarsi, fra pochi istanti l’avrebbe scoperta. Capitolo 2 Desdemona rimase lì, incapace di accettare ciò che aveva visto, incapace di reagire in qualunque maniera. I passi dell’uomo erano sempre più vicini e lei sentiva il cuore in gola. Appena uscì dal vicolo, i suoi occhi, che sembravano racchiudere un universo in tumulto, incontrarono quelli della ragazza, spaventata come forse non era mai stata in tutta la sua vita. Si sentì trafitta dal suo sguardo, ancora paralizzata dalla paura tentò di dire qualcosa, ma fu un tentativo del tutto inutile. «Che diavolo ci fai tu qui?» chiese lui nascondendo lo stupore con la rabbia. «Mi hai seguito!». «Io...» provò a cominciare lei, ma venne subito interrotta. «Cos’hai visto?». Tremava, ma si fece coraggio. «E tu cos’hai fatto? Cos’è successo là dietro?». L’uomo l’afferrò per un polso e la avvicinò a sé, parlandole all’orecchio sibilò: «Non hai idea del guaio in cui rischi di cacciarti...» socchiuse per un attimo gli occhi sentendo il profumo dei capelli di lei. «Se sei furba fingerai che non sia accaduto nulla». «Io voglio sapere» bisbigliò la ragazza, gli occhi ancora pieni di terrore. Lui rise. «Credimi, non lo vuoi». Desdemona sentiva che il polso cominciava a dolere. «Mi fai male» disse piano, quasi fosse stata una confidenza, così lui la lasciò. «Rimani fuori da questa storia, tu che puoi» si voltò per andarsene, ma non fece in tempo a fare un solo passo. «Almeno dimmi qual è il tuo nome!». Tornò a guardarla con un sorriso fra l’amareggiato e lo strafottente. «Ti conviene anche stare lontana da me». Lei lo fermò toccandogli un braccio; lui avrebbe benissimo potuto proseguire come se nulla fosse, la ragazza non stava esercitando la minima forza, eppure non riuscì a fare a meno di voltarsi. «Prima mi hai salvato la vita, ora credevo che mi avresti uccisa o peggio, invece a quanto pare ancora tenti di proteggermi, vorrei conoscere almeno il tuo nome, per favore...». L’uomo poggiò la sua mano su quella che Desdemona teneva ancora sul suo braccio; proprio in quell’istante sentì una goccia sulla pelle: stava ricominciando a piovere. «Lascia stare...» disse, scostando con delicatezza la mano di lei, la sua voce era molto calma. Strano a dirsi, ma sembrava quasi dispiaciuta. Lui fece per andare via, ma lei cominciò a camminare al suo fianco. «Ma cosa ci perdi?». «Non è questione di cosa ci perdo io, è questione di cosa ci perdi tu». «Ma ormai ho visto troppo per non voler sapere di più...». «Mmmm... Chissà...» disse lui con aria ironica mentre alzava gli occhi al cielo. «Magari lo shock di avere rischiato di morire ti ha causato un’allucinazione!». «Già, peccato che io sia assolutamente certa di ciò che ho visto!» rispose Desdemona quasi arrabbiata. Lui rise. «Lasciami indovinare... Non hai intenzione di lasciarmi in pace finché non saprai quello che vuoi, non è così?». «Precisamente!» sembrava soddisfatta del fatto che la sua tenacia, o testardaggine che dir si voglia, risultasse così evidente. Ora stava piovigginando. L’uomo non rispose, si limitò a dare un calcio a una lattina accartocciata che qualcuno aveva lasciato sul marciapiede. «Allora?» chiese lei impaziente. «Per quanto mi riguarda prenderò un taxi e tornerò a casa». La pioggia aveva ripreso a cadere e si faceva sempre più intensa. Era assurdo come la natura non trascurasse neppure Levran, una città che sembrava esserle nettamente ostile, con le sue mura che sapevano di giornate uggiose e il cemento che sembrava invadere ogni cosa. «Hai detto che è questione di ciò che io ho da perdere; bene, voglio rischiare, è un mio diritto. No?». «Beh... è un po’ strana come situazione: non posso dirti niente perché ti metterei in un brutto guaio, ma non puoi decidere cosa è meglio proprio perché non sai. Quello che in effetti mi è lecito dirti è che, se sceglierai di conoscere come davvero stanno i fatti e chi sono io, quasi di sicuro lo rimpiangerai. Ogni tua convinzione potrebbe essere distrutta, potresti anche essere costretta a rinunciare ai tuoi affetti e alla tua vecchia vita, se proprio le cose dovessero andare per il peggio» alzò un sopracciglio guardandola, come per chiederle quale fosse la sua decisione finale. Desdemona lo guardò a sua volta; era visibilmente stupita dall’incredibile naturalezza con cui aveva detto quelle cose: era infinitamente strano, sia che stesse scherzando, sia che fosse serio. Alzò le spalle. «Ma chi sei? 007?». Lui rise di gusto. «Sotto certi aspetti sono anche meglio!». Ormai erano entrambi zuppi; finalmente l’uomo scorse un taxi, fece cenno alla ragazza di seguirlo. «Per attraversare vuoi che ti dia la mano o ce la fai a non farti investire?» chiese non riuscendo ancora a smettere di ridere. Lei rispose con una smorfia e lo seguì. Non sarebbe stato semplice trovare un altro taxi sotto la pioggia e a quell’ora del mattino. Arrivati davanti all’auto lui aprì la portiera e la fece accomodare, fingendosi serio in un atto di “galanteria” che con quell’espressione sul volto, ma soprattutto sotto quello che ormai era un acquazzone, non poteva che essere comico. Chiuse la portiera ed entrò dall’altra parte. Il tassista li guardò malissimo: fradici com’erano, solo sedendosi stavano riducendo i sedili in uno stato penoso. «Dove vi porto?» chiese cercando di fare finta di niente. L’uomo rispose dando l’indirizzo del suo appartamento, poi rivolse lo sguardo a ciò che scorreva fuori dal finestrino. In mezzo al solito grigiore di tanto in tanto c’era qualche insegna colorata, qualche cartellone pubblicitario e ora che il sole – che si poteva appena indovinare dietro nuvoloni carichi d’acqua – stava sorgendo, erano un po’ più frequenti le figure umane. Ripensò a come aveva vissuto gli ultimi tre anni della sua vita; di certo non gli piaceva per niente, anzi, lo detestava, ma pensare a come non li aveva trascorsi e a ciò che aveva perso gli avrebbe fatto molto più male, dunque forse era meglio così. «Mi racconterai tutto?» chiese Desdemona con voce calma. «Ho altra scelta?» domandò lui, non riuscendo a nascondere un velo di tristezza per i pensieri di qualche istante prima. Lei si sentì quasi in colpa, così, senza dire nulla, abbassò lo sguardo. Per un attimo si fermò a riflettere sull’assurdità di quanto stava accadendo: era seduta di fianco a uno sconosciuto che forse era uno spacciatore, uno stregone o magari entrambe le cose. Come se non fosse bastato stava andando a casa sua ed era stata lei a seguirlo. Lo guardò; era nuovamente assorto nei suoi pensieri. Notò che fra loro c’era una certa somiglianza... Inoltre poco prima le aveva salvato la vita. Come poteva un uomo così essere malvagio? “Nel suo sguardo si leggono molte cose” pensò “ma la cattiveria non è di certo fra queste”. Aveva la sensazione che fossero incredibilmente simili, forse era anche per questo che si stava fidando di lui nonostante tutto. Una volta giunti a destinazione l’uomo tirò fuori il portafoglio dalla tasca destra della sua giacca nera e pagò il tassista. Uscirono dal taxi e Desdemona, socchiudendo le palpebre a causa della pioggia, lo guardò come per chiedergli in che direzione dovessero andare. Lui le fece un cenno, così lo seguì. A pochi metri di distanza da dove il taxi li aveva lasciati c’era il portone in cui doveva trovarsi il suo appartamento. A giudicare dallo stato delle facciate dei palazzi, quel quartiere non era propriamente una discarica, ma non ci mancava poi molto. Gli edifici erano resi ancora più grigi dalla pioggia battente che scrosciava sull’asfalto e sui giardinetti maltenuti all’interno dei condomini. Probabilmente avrebbero dovuto dare un tocco naturale al tutto, in realtà facevano l’esatto opposto; come se ce ne fosse stato bisogno, evidenziavano quanto tutto ciò che li circondava fosse artificiale. Mentre lui cercava le chiavi, la ragazza ebbe modo di dare un’occhiata veloce al citofono, ma stranamente erano riportati in tutto solo tre o quattro cognomi. Immaginò che quello della persona di fianco a lei non ci fosse. Finalmente trovò le chiavi e aprì il portone, aspettò Desdemona, poi lo richiuse. Ora il rumore della pioggia arrivava a loro con molta meno intensità. Salirono qualche gradino, facendo bene attenzione a non scivolare per via delle scarpe bagnate, fino ad arrivare all’ascensore. Una volta entrati l’uomo premette un pulsante scegliendo di andare all’ottavo piano. Nel piccolo ascensore la ragazza si sentiva quasi costretta a fissarlo e la cosa la metteva piuttosto a disagio, lui invece non sembrava minimamente imbarazzato, eppure il suo sguardo era rivolto verso di lei. Sentì una vampata di calore avvolgerle il viso, così portò la mano sinistra all’altezza della spalla e cominciò a fissare le proprie unghie, come sempre coperte da smalto nero. L’uomo sorrise. Strana quella ragazza... Ora era bastato così poco a metterla in imbarazzo, mentre fino a neanche venti minuti prima lo stava praticamente inseguendo. L’ascensore si fermò. Lui aprì la porta e la mantenne finché non uscì anche Desdemona. «Grazie» disse lei a bassa voce. «Di niente» rispose lasciando andare la porta con aria indifferente. La ragazza rabbrividì, un paio di ciocche di capelli bagnati le si erano appiccicate al viso. Attese per qualche istante, finché lui non ebbe aperto la porta d’ingresso. Dall’interno si voltò a guardarla, così lei avanzò. Entrando non poté fare a meno di guardarsi intorno. La curiosità era troppo forte, forse osservando bene il luogo in cui viveva sarebbe riuscita a capire qualcosa in più dell’uomo che l’aveva salvata. Di fianco alla porta, su un muro, c’era un attaccapanni su cui erano poggiate tre giacche: una di jeans, una di pelle rossa ed un'altra che pure sembrava essere fatta di jeans, ma era scura e lunga; sulla schiena si leggeva una scritta bianca: “Your pretty face is going to Hell”. All’altro lato dell’ingresso c’era uno specchio. La colpì il fatto che non ci fosse neppure un quadro o una foto, le pareti erano completamente spoglie. Regnava il disordine. Qua e là si potevano vedere panni sporchi e puliti mischiati, anche qualche libro aperto giaceva sul pavimento. Desdemona lo guardò con aria perplessa, così lui le risparmiò la fatica di porgli la domanda. «Quando sono a casa ho il vizio di star seduto a terra, quindi quando leggo tengo i libri sul pavimento...» fece una pausa guardandosi intorno con aria di superiorità, come se fosse stato assurdo aspettarsi che lui pensasse a simili sciocchezze. «E come puoi vedere spesso li lascio lì». L’uomo chiuse la porta, si pulì le scarpe sul tappeto, poi si tolse la giacca completamente bagnata lasciandola cadere a terra. Sbuffando si passò una mano fra i capelli scuri. «Non credo di avere qualcosa della tua taglia...» disse osservandola. «Cosa?» chiese lei senza capire. «Hai presente i vestiti?» chiese lui ironicamente alzando le sopracciglia. Vedendo l’espressione ancora perplessa della ragazza continuò: «Sei fradicia e non mi va di stare ad assistere una ragazza ammalata». Lei alzò le spalle. «Direi che abbiamo altro a cui pensare, non credi?». Finse per un attimo di pensarci. «Forse hai ragione» rispose con semplicità. La ragazza lo fissò in attesa che finalmente si decidesse a spiegarle tutto. Lo guardò abbassare leggermente la testa mentre si accendeva un’altra sigaretta, la camicia nera di raso, con un paio di bottoni slacciati, accarezzava la sua pelle. Con il capo ancora chino alzò lo sguardo, un ciuffo gli cadeva davanti agli occhi. «Voglio sapere» disse lei a bassa voce ma con fermezza. L’uomo lasciò che il fumo gli uscisse dalle labbra, un’espressione seria comparve sul suo volto. «Hai preso la tua decisione...». «Prima di tutto qual è il tuo nome?». Sorrise. «Nonostante quello che hai visto, la paura in te non è abbastanza forte da vincere la curiosità». Desdemona sorrise a sua volta. «Beh, visto che ci tieni così tanto... Rabies, mi chiamo Rabies». «Mmm... particolare come nome. Io sono Desdemona». «Anche il tuo non scherza» commentò lui quasi con impazienza. «Ora... io non so quali siano le tue convinzioni religiose, ammesso che ne abbia, ma quanto sto per dirti potrebbe sconvolgere il tuo modo di vedere le cose». «Questo me l’hai già detto...» in circostanze normali avrebbe riso in faccia a chi le stava davanti per una frase del genere, ma ora la situazione era tutto meno che normale. «Hai mai sentito parlare di persone che vendono l’anima al Diavolo?» chiese con un mezzo sorriso canzonatorio. «Sì ma...». La interruppe immediatamente. «Ecco, non è un modo di dire. Se hai una vita di merda il grande capo a volte ti manda uno dei suoi, che ti propone un affare. Lui per un po’ ti dà ciò che vuoi e tu, in cambio, gli dai l’unica cosa che un essere umano gli possa offrire, cioè...» fece una breve pausa e Desdemona sentì la tensione crescere «l’anima. A volte decide di trascinare le anime con sé all’Inferno, in altri casi le lascia sulla Terra a fare dei lavori per lui. Io sono una di queste ultime» terminò facendo un inchino. «Mi stai prendendo in giro» disse lei ridendo, non perché fosse divertita, ma a causa del nervosismo. «Tu dici?» chiese lui inarcando un sopracciglio. «Quello che stai dicendo è semplicemente impossibile!» rispose visibilmente alterata. Rabies la guardò con aria di sfida. «Mmm... e sentiamo un po’, hai un modo migliore di spiegare ciò che hai visto in quel vicolo? Scegli tu in cosa credere: io dico la verità, o forse sei pazza?». Capitolo 3 Desdemona aprì gli occhi. I raggi del sole, ormai alto nel cielo, filtravano dall’enorme vetrata della sua stanza illuminandola. Era sdraiata al centro del letto a due piazze. Che strano sogno aveva fatto, chissà se aveva un significato. “Rabies”, nome strano almeno quanto il sogno. Scendendo dal letto qualcosa la fece rabbrividire: aveva appoggiato un piede sui vestiti bagnati che aveva lasciato a terra. «Diavolo! Non è stato un sogno!». Chiuse gli occhi, si passò una mano fra i capelli e facendo un respiro profondo tentò di rammentare cosa fosse successo. Pian piano i ricordi riaffiorarono nella sua mente: dopo che l’uomo le aveva detto quelle cose, lei era scappata via e lui non aveva neppure tentato di fermarla; evidentemente si aspettava una reazione del genere, anche se la ragazza stessa non riusciva a comprendere il proprio comportamento: aveva visto Rabies strappare l’anima a un barbone, che altra spiegazione avrebbe potuto esserci? Forse era proprio questo il punto: non capire l’accaduto le faceva molto meno paura rispetto a ciò di cui era venuta a conoscenza. I suoi occhi. Quel pensiero attraversò la sua mente e le trafisse il cuore. Non era semplicemente per il loro colore, niente affatto. Era il modo che aveva di guardare, era ciò che in esso si leggeva... Riaprì gli occhi nello sciocco tentativo di cancellare tutto questo dalla propria memoria. E adesso? Cosa doveva fare? Cercare di continuare a vivere come se non avesse visto nulla, come se non fosse stata in debito con qualcuno, sarebbe stato stupido e inutile. Entrò in bagno e si mise sotto la doccia. Aprì l’acqua. Si chiese se fosse il caso di tornare da lui, in fondo le aveva salvato la vita. Forse la tristezza radicata nel profondo della sua anima era dovuta proprio al suo patto col Diavolo, forse lei poteva fare qualcosa per scioglierlo. Si stupì dell’idiozia di ciò che aveva appena pensato: lei, una ragazza di sedici anni, sciogliere il patto fra un uomo e il Diavolo? Non si stava un tantino sopravvalutando? Sorrise per un attimo: non risparmiava l’ironia neppure a se stessa. Starnutì; forse dormire mezza nuda non era stata un’ottima idea. Un’ora e mezza dopo era di nuovo in quell’ascensore che, nonostante le dimensioni ridotte, non sembrava più così piccolo. Quando si fermò Desdemona aprì la porta e uscì. L’appartamento del suo salvatore era lì, bastava solo avere il coraggio di bussare. Fece un respiro profondo, si avvicinò all’entrata. Prima che avesse il tempo di fare qualsiasi altra cosa, la porta si aprì e comparve Rabies, jeans neri a zampa d’elefante, maglietta dello stesso colore con sopra la lunga giacca scura che lei aveva notato poche ore prima. «Ce ne hai messo di tempo!» disse con una smorfia, poi chiuse la porta alle sue spalle. «Come sapevi che...?». «Le persone sono terribilmente prevedibili». Aprì la porta dell’ascensore e con un gesto le disse di entrare. Lei lo guardò perplessa. «Dove andiamo?». L’uomo alzò le spalle come se quel che stava per dire fosse la cosa più naturale del mondo. «A comprare le sigarette». Desdemona scosse la testa. «Ma ti pare il momento?». «Non credo che la tua capacità di comunicare venga meno mentre cammini». Lei sospirò. «E va bene...» sbuffò entrando nell’ascensore. Di nuovo quella sensazione. Stavolta però la voglia di guardarlo fu più forte dell’imbarazzo, così sostenne il suo sguardo. Fu strano ciò che provò in quegli istanti. Era come se, semplicemente trovandosi davanti a lei, la stesse liberando da una sete che la tormentava da tutta la vita. Eppure più beveva, più voleva bere. Le labbra di Rabies si incresparono in un sorriso che gli diede un’aria più inquietante del solito, come se avesse potuto facilmente leggere dentro di lei. L’ascensore si fermò, lui aprì nuovamente la porta per poi lasciarla andare una volta che anche la ragazza fu uscita. «Come ti sei cacciato in questo guaio?» chiese Desdemona mentre scendevano le scale. «Mmmm... sai, un giorno non avevo niente da fare. Noia: fa brutti scherzi!». «Molto divertente» commentò la ragazza scuotendo leggermente il capo. «Senti, non mi va di parlarne!» rispose sbattendo il portone mentre lo chiudeva. «Va bene! Non c’è bisogno di prendersela in questo modo!». «Hai intenzione di chiedermelo ancora fra trenta secondi?». Desdemona rimase stupita dal nervosismo e dalla rabbia che la sua domanda aveva suscitato nell’uomo. Qualche istante dopo, abbassando lo sguardo, pensò di essere stata una stupida: non si fa un patto col Diavolo in persona senza un motivo, dietro doveva esserci qualcosa di molto doloroso, era stato sciocco porgli in quel modo una domanda su un argomento così delicato. «Scusa... Non volevo, Rabies...». Lui per un attimo smise di camminare: da molto tempo ormai nessuno lo chiamava più per nome, ora quel semplicissimo suono arrivava come un’inaspettata, dolcissima carezza. La guardò negli occhi. «Non fa niente» disse con voce calma, dispiaciuto per essersela presa così tanto con la prima persona che, negli ultimi tempi, non si fosse avvicinata solo per tentare di rubargli il portafoglio. Era così nervoso... Da qualche parte dentro di lui un sentore di angoscia e panico cominciava a prendere piede e sapeva già che a breve si sarebbe fatto più insistente: aveva bisogno di una birra. «Ti dispiace se dopo aver preso le sigarette ci fermiamo in un bar?» chiese con finta allegria. Lei alzò le spalle. «Per me non c’è problema». In realtà il problema c’era, ora si rendeva conto del fatto che Rabies fosse molto più infelice e instabile di quanto non sembrasse. Non era pazzo, tantomeno malvagio; era una persona sensibile, pensò Desdemona, ed era proprio quella sensibilità che, nella situazione in cui si trovava, lo stava logorando senza pietà e che, continuando così, l’avrebbe presto distrutto. L’aveva visto fumare e, dal modo in cui lo faceva, non c’era voluto molto a capire che si trattava di qualcosa a cui si era attaccato per andare avanti, ma era certa che ci fosse dell’altro. Forse ciò che aveva saputo nelle ultime ore l’aveva scossa talmente tanto che ora viaggiava troppo con la fantasia, ma ne dubitava seriamente: da tempo era diventata abile nel capire ciò che le persone avevano dentro semplicemente guardandole, dai tratti del viso, dallo sguardo, osservandone i piccoli gesti e i modi di fare. Più ci pensava più cresceva in lei la voglia di aiutarlo, ma si poteva fare qualcosa per chi aveva compromesso la propria esistenza alleandosi col Male Supremo? «Il distributore delle sigarette è molto lontano da qui?» chiese la ragazza solo per chiacchierare, come se le parole avessero il potere di seppellire il dispiacere e l’imbarazzo che aveva provato poco prima. «No, saremo lì in una decina di minuti...» rispose Rabies evidentemente assente. Il tentativo di Desdemona era fallito. Pensò che di sicuro con quella domanda aveva riportato alla mente dell’uomo ciò che l’aveva condotto al patto, qualunque cosa fosse, ed ora era concentrato su questo. Si guardò intorno: la zona in cui viveva Rabies era un tantino meglio di quanto non le fosse sembrato prima che il sole sorgesse. Attraversarono la strada ed entrarono nel Parco del Salice Piangente, una distesa di erba e salici – tristezza e allo stesso tempo pace – in mezzo a un quartiere squallido e ai suoi abitanti, troppo presi da una vita frenetica e dai propri problemi per liberarsi dall’indifferenza. Tutto sembrava in contrasto con quel parco, che sarebbe parso a chiunque un cimitero se non fosse stato per l’assenza di statue e lapidi, pensò Desdemona, tutto tranne Rabies, che ora lo attraversava: uno splendido sacerdote della Solitudine nel suo tempio. «Perché mi fissi?» chiese voltandosi verso di lei con un sorriso pieno di pungente ironia sulle labbra. «No, niente... Scusa» disse abbassando lo sguardo, era terribilmente imbarazzata. Lui cambiò discorso. «Il distributore è lì...» indicò una strada poco distante da loro. «Il bar gli sta proprio di fianco». Per alcuni minuti camminarono in silenzio finché non arrivarono alla macchinetta. Rabies inserì qualche moneta, premendo un tasto selezionò le sigarette che preferiva, poi si chinò per prendere il pacchetto. «Perché lo fai?» domandò la ragazza con voce seria. «Faccio cosa, precisamente?». «Perché allontani tutti? Perché fumi in continuazione? Perché ti fai del male in questo modo?». Lui non poté nascondere che la sua ingenuità lo divertiva. «Cosa cambia per te?». «Sono stata io la prima a fare una domanda» gli fece notare lei. «Tengo lontana la gente perché non voglio guai. Fumo perché non ho niente da perdere, tanto prima o poi moriremo tutti e... non sono così presuntuoso da credere di poter rimandare quel momento facendone a meno» disse fingendo indifferenza mentre entrava nel bar. «Ora tocca a te rispondere». Si sedettero a un tavolino. «Sto aspettando» il suo sorriso sinistro fece capolino. Desdemona abbassò lo sguardo solo per un attimo. «Tu mi hai salvato la vita, mi sento in debito con te, è solo per questo che mi interessa» sapeva di mentire. «Certo» rispose lui con calma e sottile ironia mentre si accendeva una sigaretta. Una cameriera, una ragazza sui vent’anni con i capelli lisci legati in una coda alta, si allontanò dal bancone arrivando al loro tavolo. «Buongiorno!» esordì con un sorriso. «Cosa vi porto?». «Per me una cioccolata fondente con panna» disse Desdemona. «Per me una birra». La ragazza rimase stupita. «Bevi già a quest’ora?». «Sì, nonna» rispose lui. La cameriera rise divertita dal battibecco fra i due. Guardandola Rabies non poté fare a meno di sorridere. Appena si allontanò, Desdemona non perse l’occasione di punzecchiare il suo salvatore. «Carina la cameriera, vero?». «Già, molto carina...» rispose lui mentre ancora la fissava, pensando che in realtà fosse stupenda. Dopo poco tornò con un vassoio portando ai due ciò che avevano ordinato. «Grazie mille» disse Desdemona con un sorriso. «Grazie Valerie». «Come fai a conoscere il mio nome?» Impiegò qualche istante a cercare una scusa plausibile. «Ieri ero qui e ho sentito qualcuno chiamarti per nome». La ragazza ancora una volta mostrò il suo sorriso radioso per poi tornare al bancone. «Non sei bravo a mentire...». «Beh sai, essendo un asociale generalmente non ho bisogno di farlo». «Mmmm... sì, il discorso non fa una piega». «È lei» disse guardando Desdemona negli occhi. «La donna della tua vita? Va bene il colpo di fulmine, ma...». Rabies la interruppe. «È lei la causa del mio patto». «Non potevo saperlo, scusami...» si sentì mortificata. Nel giro di qualche ora doveva essere la trentesima volta che gli porgeva le sue scuse. «Non fa niente». «Cosa è successo precisamente?». «Io e lei stavamo insieme qualche anno fa...» sorrise amaramente. «Per quanto possa sembrare patetico lei era diventata tutto per me; con Valerie ho passato l’unico periodo realmente felice della mia vita, poi si è ammalata: cancro ai polmoni». «Lei...?». «Fumava?». Desdemona annuì. «Mai fatto un tiro in vita sua» fece una pausa e bevette un sorso di birra. «Avrei fatto qualunque cosa pur di non lasciarla morire, davvero qualsiasi cosa... È stato allora che uno degli Emissari è venuto da me e mi ha spiegato che il modo di farla guarire esisteva, bastava fare un piccolo scambio. All’inizio ero scettico, poi mi ha mostrato qualche giochetto a effetto, così ho capito che era tutto vero». «Ma tu hai mai visto...?». «Lucifero? O Satana, come preferisci chiamarlo... No, non ancora, ma non credo che tarderò molto» sorrise nuovamente. «Ma se stavate insieme, come mai lei non si ricorda di te?». «Ora arriva la parte migliore: il patto non includeva solo che io cedessi la mia anima al Diavolo, ho dovuto anche rinunciare a lei. Valerie non può più amarmi, non può più neppure ricordarsi di me. Se dovessimo tornare qui domani forse ti riconoscerebbe, ma per quanto mi riguarda sarebbe come se mi vedesse per la prima volta. Il mio ricordo è stato cancellato dalla sua memoria, come da quella di tutte le persone che mi conoscevano prima del patto; le foto sono andate perse in “misteriosi” incendi». «Come...» balbettò. «Com’è possibile fare una cosa del genere?». «Oh, Lui può fare moltissime cose che ai comuni mortali sembrano impossibili». «Vieni qui spesso per vederla?». «Abbastanza...» disse distogliendo lo sguardo. «Hai mai provato a parlarle o a fare qualcosa perché si ricordi?». «No...» rispose tornando a guardarla negli occhi «Sarebbe inutile e rischioso: per prima cosa se provassi a raccontarle tutto mi prenderebbe per uno squilibrato, poi, anche se dovessi convincerla, Lui non ci metterebbe niente a separarci di nuovo e me la farebbe pagare... vendicandosi su di lei. Questo non lo potrei sopportare». La ragazza era felice e dispiaciuta al tempo stesso; poco prima sembravano molto distanti, invece ora l’uomo si stava confidando con lei. Eppure nonostante questo era del tutto impotente, non poteva fare nulla per dargli una mano. «Rabies... Ma forse si può fare qualcosa, forse c’è un modo per sciogliere il patto, forse tu e Valerie potreste ancora essere felici insieme...». «Ti prego, non dire cose stupide» rispose con voce secca. «Non è una cosa stupida! Forse...». «Lei è sposata!» sbottò alzando la voce senza volere, bevve un altro sorso di birra. «Ed è felice. Senza di me» si sforzò di sorridere. «Ma tu sei ancora vivo e potresti almeno riprenderti la tua libertà». «Per farmene cosa? E a quale prezzo? Perché si dovrebbe sacrificare la vita di qualcuno che ha qualcosa per me che non ho niente?». «Perché ti arrendi in questo modo?». «Perché non ho niente per cui lottare, perché ne ho viste troppe... E perché sono stanco». «Io devo sdebitarmi». «Non puoi fare niente!». Lo sguardo di Desdemona, pieno di dispiacere, fu come un pugnale nel cuore per lui. «Per favore, io ti voglio solo aiutare...». L’ultima volta che aveva sentito qualcuno pronunciare quella frase era finito fra le schiere del Male, ma non poté non arrendersi di fronte a tanta sincera dolcezza, così si lasciò sfuggire un sorriso altrettanto sincero. «Il fatto che tu ti voglia sdebitare ti fa onore, dico sul serio, ma stanne fuori il più possibile: la contesa in cui potresti essere coinvolta ti farebbe perdere molto più di quanto non ci guadagneresti nel migliore dei casi». Lei scosse leggermente la testa, davanti a questo gesto di rifiuto Rabies si sporse verso la ragazza afferrandole con forza un polso e rincarò la dose: «Guardami, dannazione! Non ho più una vita! Non ho più niente! Vuoi finire come me?». «No» rispose calma ma decisa, facendo fatica a sostenere il suo sguardo «Voglio solo che tu stia meglio». Ormai parole simili, pronunciate con sincerità, gli risultavano quasi assurde; il fatto che qualcuno potesse ancora desiderare che lui stesse bene riapriva senza pietà una vecchia ferita. Abbassò lo sguardo e allentò la presa sul polso della ragazza facendo scivolare la sua mano su quella di lei in una breve carezza, poi la ritrasse tornando ad afferrare il suo bicchiere. Dopo quattro o cinque sorsi tornò a guardarla negli occhi, questa volta come per chiederle clemenza, per domandarle di smetterla di fargli del male in quel modo che, se pur dolcissimo, non era meno atroce della sua maledizione. Quella ragazza aveva un’incredibile capacità di sbattergli in faccia tutta la sua fragilità. Tentando senza successo di nascondere come si sentiva alzò leggermente la voce in modo che la cameriera potesse sentirlo: «Signorina Valerie, mi porterebbe il conto per favore?». «Certo» rispose lei con la sua solita gentilezza. Quando portò il conto Desdemona fece per prendere il portafoglio da una tasca, ma lui scosse leggermente il capo facendole capire che doveva lasciar stare. Porse una banconota alla cameriera senza rendersi conto dello sguardo incantato con cui la stava osservando. «Tieni pure il resto». «Grazie, sei molto gentile... Ma... Ci siamo già visti noi?». «Sì...» rispose lui alzandosi dalla sedia e sentendo che il suo cuore stava per scoppiare dal dolore. «Te l’ho detto, ero qui ieri». Lei annuì, ma non sembrava davvero convinta. «Beh, allora tornate a fare colazione qui quando vi va». «Certo!» disse Desdemona con un sorriso. Vedendo che Rabies rimaneva lì impalato lo prese delicatamente per un braccio e riuscì a portarlo fuori dal bar. «Grazie per la cioccolata». «Cosa?» domandò lui come se si fosse appena svegliato. «Nel bar mi hai offerto una cioccolata, ti stavo ringraziando». «Di niente. Grazie a te per avermi portato via» rispose ridendo. La ragazza si soffermò per un attimo a pensare al suo modo di ridere e scherzare: mentre parlava accennava a un sorriso, che gli dava un’aria da mascalzone, poi il sorriso si allargava e, non appena finiva la frase, emetteva una piccola risata che sembrava leggermente trattenuta. Sorrise a quell’idea. «Non ti preoccupare». Intanto, senza accorgersene, continuava a tenerlo per il braccio. Attraversarono nuovamente il Parco del Salice Piangente. «Dove andiamo?» chiese lei. «Mmm... se vuoi possiamo fare un giro». «Ok, per me va bene. Anche perché, strano a dirsi, ma non ero mai stata in questa parte della città». «Lo immaginavo». «E da cosa l’hai capito?» domandò Desdemona incuriosita. «Difficilmente le persone come te girano in questa zona». Si finse vagamente offesa. «Le persone come me? Cioè?». «Non bevi, non ti droghi, i tuoi polsi sono intatti, dunque presumo che tu non abbia neppure tendenze suicide. Non mi sembri il tipo di ragazza che si prostituisce, dunque cosa dovresti farci qui?» disse con noncuranza. «E tu fra le altre cose cosa fai?» chiese lei con tono di colpo tagliente. «Spacci?». «Mi hai visto dare la roba a quel ragazzo stamattina, vero?» senza fermarsi la guardò per un attimo, quasi con aria di rimprovero. «Precisamente» rispose la ragazza con voluta insolenza. «Faccio quello di cui c’è bisogno». «Per guadagnarti da vivere?» la sua voce era diventata più aspra di quanto non avrebbe voluto. «No» disse secco. «E allora?» si accorse che la conversazione le stava pericolosamente sfuggendo di mano. «Il compito di noi Emissari non è solo quello di “riscuotere” le anime dei debitori; a volte dobbiamo anche dare una spinta alle persone disperate, in modo che arrivino poi alle condizioni che le porteranno ad accettare il patto». Aveva spiegato il tutto con una tale indifferenza che Desdemona sentì il sangue gelare, forse era stata quella la sorte toccata a Krystel. «Lo so che è una cosa orribile» aggiunse Rabies gettando la sigaretta ormai finita. Lei non rispose, si limitò a fissare il marciapiede, come se avesse appena subito una sconfitta. Ma perché stava reagendo così? Normalmente non avrebbe mai perdonato a nessuno una cosa del genere, ma questa volta la situazione era molto diversa. In questa storia le persone non rischiavano soldi, non rischiavano neppure la dignità o la vita, qui c’era in gioco l’eternità e molto di più. «Te la senti ancora di fare un giro?» chiese l’uomo avendo notato l’istantaneo cambiamento in lei. La ragazza lo guardò negli occhi e si sforzò di sorridere. «Sì. Dove mi porti?». «L’unica cosa interessante in questa zona è una specie di galleria con strani oggetti, statue o quadri riguardanti artisti che sono passati da queste parti. È bizzarro come posto». «Bene, andiamo a dare un’occhiata». «È un po’ distante da qui» disse guardandosi intorno. «Ci andiamo in autobus o a piedi?». «Preferisco fare due passi». «Come vuoi». Ma proprio ora che la discussione era tornata ad essere tranquilla, Desdemona non riuscì a trattenersi. «Rabies... Posso chiederti una cosa?». «Mi ascolteresti se ti dicessi di no?» chiese lui ironico. «Come ci si sente a fare quello che fai senza avere altra scelta?». «Ci si abitua» rispose mentendo. «Domanda stupida?». «No». “Solo molto ingenua” pensò. «Di che genere di artisti tratta la famigerata galleria?» domandò Desdemona cambiando discorso. «Un po’ di tutto: qualche pittore contemporaneo, qualche rockstar, qualche regista di film horror...». «Sembra interessante». «Lo è. Infatti è un buon posto per riflettere, ci vado spesso». «Qual è il tuo quadro preferito?». «In generale o fra quelli della galleria?». «In generale». «Non saprei dirti se ho un quadro preferito, ma di certo ce n’è uno in cui mi riconosco: l’Urlo di Munch. In un certo senso mi sono sempre sentito come se dentro di me ci fosse il bisogno di andare via». «Io credo che in fondo ogni persona profonda sia un po’ l’Urlo». «Perché?» chiese lui fra il divertito e l’interessato. «Per la voglia di scappare da una società stupida e piena di pregiudizi». «È vero» Rabies rimase piacevolmente sorpreso da quell’affermazione, ma pensò che da una ragazza che era lì vicino a lui, nonostante potesse vederlo come una sorta di demone, avrebbe dovuto aspettarsi riflessioni anche più argute. Si guardò intorno trovando le cose di sempre: i soliti vicoli stretti pieni di negozi che teoricamente vendevano braccialetti e bigiotteria da quattro soldi, in cui in realtà andava a fare rifornimento chi si faceva di droghe leggere; alcuni negozi d’abbigliamento qua e là, da quattro soldi anche quelli ovviamente, perché i negozi di ogni zona rispecchiavano chi ci abitava. Se qualche commerciante ottimista tentava di rompere quella specie di equilibrio, nel giro di un mese o due tutto tornava alla normalità, visto che un inutile negozio di lusso non aveva modo di resistere senza andare in fallimento o senza essere dato alle fiamme. «A cosa pensi?» chiese allegramente Desdemona. «Niente, guardavo i negozi...». «Sembra vendano cose carine». Lui rise. «Quando vorrai una collana ti consiglio di comprarla da un’altra parte». «Ci sono trappole sparse?». «No, ci sono negozianti che giocano col kit del piccolo spacciatore». «Carino!» commentò lei con una risata. In quel momento Rabies si accorse che la ragazza lo teneva ancora per il braccio; sorrise. Capitolo 4 Camminarono per circa mezz’ora, poi Rabies indicò un edificio all’apparenza malandato. «Quella è l’entrata della galleria». Vicino alla porta un’insegna arrugginita oscillava cigolando. «Wow... ottimo inizio direi» commentò Desdemona con una smorfia sul volto. «Lo so che non promette bene, ma vale la pena di dare un’occhiata». «Se lo dici tu...» concesse con poca convinzione. Si avvicinarono all’entrata, la ragazza tentò di guardare all’interno ma riuscì a distinguere solo qualcosa di confuso nella penombra. «Tranquilla, l’ultima volta che sono stato qui non c’era niente che mordeva». «Ne sei proprio sicuro?» chiese lei inarcando un sopracciglio. «Muoviti!» ordinò scherzosamente. Entrarono e qualche secondo dopo i loro occhi si abituarono alla poca luce. A Desdemona quel posto piaceva sempre meno, qualcosa le diceva di non proseguire, ma pensò che con tutta probabilità fosse colpa dell’ambiente e degli eventi che si erano succeduti quel giorno. Poi Rabies doveva essere esperto in quel genere di cose, se lui diceva che era un posto sicuro si doveva fidare. Sentì una voce che proveniva dalla sua sinistra. «Buongiorno!». La ragazza ebbe un sussulto, poi finalmente si rese conto che a parlare era stato un uomo sulla sessantina, con l’aria da bonaccione. «Buongiorno a lei» salutò Rabies. «Salve» disse lei riprendendosi dallo spavento. «Vedo che oggi sei in dolce compagnia. Complimenti, molto carina la tua fidanzata!». Desdemona e Rabies d’istinto guardarono la mano che lei ancora teneva sul suo braccio, poi si scambiarono un’occhiata. «No!» dissero contemporaneamente. «Lei è...». «Io sono una sua amica». «Già» confermò lui. L’uomo fece finta di non aver sentito. «Guardate la mostra e divertitevi!». Qualche minuto dopo i due erano immersi nella bizzarra galleria. Desdemona la considerava molto suggestiva; ora si trovavano nella “Sala delle Teste”, anch’essa in penombra. Le uniche luci erano quelle puntate sulle finte teste di mostri nelle vetrine che sembravano spuntar fuori dal nulla. Rabies cominciò ad avvertire un dolore al braccio sinistro che diventava sempre più forte. Eppure non era la ragazza a fargli male, non stringeva affatto, si trattava di ben altro e lui lo sapeva. «Sembrano vere» commentò lei. Rabies annuì cercando di ignorare il disagio. Improvvisamente Desdemona sentì una folata di vento, qualcosa che proveniva dall’alto si posò delicatamente sulla sua spalla come un fiocco di neve. Lasciò il braccio dell’Emissario e l’afferrò; qualsiasi cosa fosse era leggerissima e morbida. L’avvicinò al viso per poterla vedere meglio, era una piuma bianca. In quel momento Rabies venne scaraventato contro la vetrina al centro della sala che si ruppe in mille pezzi. Ignorando la paura suscitata dalla situazione e dal fragore, la ragazza lo raggiunse di corsa per poi chinarsi su di lui. «Che è successo? Sei tutto intero?» chiese con ansia. «Spostati!» urlò l’uomo guardando qualcosa dall’altra parte della stanza, ma era troppo tardi: un fascio di energia colpì alla schiena Desdemona, che dopo un istante cadde a terra gemendo per il dolore. Rabies si rialzò guardando con ira l’angelo, che teneva ancora disteso il braccio dal quale era partito il colpo. I lunghi capelli lisci e neri incorniciavano il viso dai tratti sottili e dalla pelle candida, per poi terminare sulla veste bianca, stretta in vita da una corda dorata, che copriva il corpo esile ma muscoloso fino a metà delle cosce. Gli occhi completamente neri – sclere incluse – e le ali imponenti gli davano un aspetto maestosamente spaventoso. Rabies guardò per un attimo la ragazza che ancora non era riuscita a rialzarsi, poi tornò a rivolgere lo sguardo all’angelo. «Non dovevi...» sibilò con una smorfia di disprezzo sul volto. Con un semplice movimento del braccio sinistro scaraventò la creatura contro il muro alle sue spalle, si avvicinò senza fretta, si chinò e l’afferrò per la veste, poi con ferocia le diede pugno nello stomaco e due ginocchiate in faccia. L’angelo si rialzò è tentò di spiccare il volo ma Rabies lo bloccò prendendolo per una caviglia. La creatura riuscì a divincolarsi e diede all’uomo un calcio al petto che per un attimo gli fece mancare il respiro. Tentò di colpirlo con un fascio di energia ma lui riuscì a schivarlo, restituendogli immediatamente la cortesia. Il colpo di Rabies però andò a segno, l’angelo venne trapassato da parte a parte, così con un tonfo piombò a terra, ormai privo di vita. Per accertarsi che il pericolo fosse scampato, l’uomo si inginocchiò di fianco a lui e gli toccò la fronte. Non avvertì alcuna aura, era morto. Si alzò e si avvicinò a Desdemona. «Va tutto bene? Ce la fai ad alzarti?». «Non lo so...» rispose lei con voce sofferente «è come se la schiena mi andasse a fuoco!». «Fammi vedere» disse lui passando dall’altro lato in modo da poter vedere la schiena della ragazza. Nella maglietta c’era un enorme buco, ai bordi del quale la stoffa era bruciata. Rabies rimase sbalordito: sulla pelle di Desdemona, come un marchio a fuoco, il colpo infertole dall’angelo aveva lasciato una grande stella a sei punte, contornata da lettere e con due simboli al centro. «Che diavolo...?». «Cosa c’è Rabies? Cos’ho alla schiena?» chiese gemendo. Lui non rispose, non avrebbe saputo cosa dirle. «Ce la fai ad alzarti?». «Io... Non lo so...». Le porse la mano destra; fu in quel momento che si accorse di essersi tagliato poco prima con i vetri, ma fece come se nulla fosse. Col suo aiuto la ragazza riuscì ad alzarsi, ma subito dopo fu sul punto di cadere nuovamente, così Rabies le prese un braccio e se lo fece passare dietro al collo, in modo da poterle dare appoggio mentre camminava. «Non mi hai ancora detto cos’ho!». «Dannazione! È mai possibile che non riesca a stare zitta nemmeno in queste condizioni?». Lei emise un suono che era una via di mezzo fra dei colpi di tosse e una risata. «Sei un dannato bastardo!». «Già... Entrambe le cose sono vere» rispose mentre si avvicinavano all’uscita di sicurezza. Tornarono a casa di Rabies in autobus. Perché la gente non vedesse il marchio sulla schiena della ragazza, lui le aveva prestato la sua giacca. Desdemona stava seduta su uno dei seggiolini, mentre Rabies era in piedi di fianco a lei. «Non avresti dovuto farlo» disse all’improvviso l’Emissario, con aria assente. «Non avrei dovuto fare cosa?». «Correre subito da me senza sapere chi o cosa mi avesse attaccato» rispose tornando in sé. Nonostante la voce calma del suo interlocutore, lei non poté fare a meno di usare il suo solito tono polemico. «Perdonami se non sono un’egoista». «Non parlo di egoismo, parlo di prudenza». Lei scosse la testa poi distolse lo sguardo. «Fai l’offesa?» chiese ironicamente Rabies alzando un sopracciglio. «E perché mai? Vado matta per gli ingrati!». «Lo so, sono proprio un bastardo!» disse sorridendo. «Non sei divertente» rispose lei seccata. «Non ho mai detto di esserlo». «Sei irritante». «In vena di complimenti?» si stava divertendo un mondo e non si preoccupava di nasconderlo. «No, è solo che hai ragione: sei proprio un bastardo». Rabies riuscì a nasconderlo ma la rabbia di Desdemona l’aveva colpito, nonostante si fosse evidentemente andato a cercare quella reazione. Entrambi continuarono il viaggio in silenzio. La ragazza fissava uno dei finestrini ma pensava ad altro. Forse aveva fatto male a tornare a casa di Rabies dopo essere scappata, ma diversamente cos’avrebbe potuto fare? Magari in realtà lui si stava comportando in quel modo per difendersi. In fondo aveva passato gli ultimi anni ad allontanarsi da tutti, imprigionandosi in un isolato mondo fatto d’insidie e anime dannate. Cosa poteva pretendere? Ripensò ai suoi occhi mentre guardava Valerie; sembrava una ragazza molto dolce e solare, di certo con lei era stato felice. Cercò di immaginare cosa avesse dovuto provare vedendosela portare via in maniera così atroce e ingiusta. Una frenata improvvisa la fece urtare contro lo schienale del seggiolino su cui era seduta. Gemette per il dolore, imprecò. Rabies rise e lei rispose con una smorfia. Poco dopo scendendo dall’autobus riconobbe la zona che ormai cominciava a trovare familiare. Una volta varcata la porta d’ingresso dell’appartamento Desdemona restituì a Rabies la giacca. «Devi riposarti» disse lui con aria indifferente. «Sì? E dove?». «Per quanto possa sembrarti strano sono ricco! Immagina: a casa mia c’è persino un letto!». «Oh, ma davvero?». Annuì. «Sono un uomo dalle mille sorprese io». «Non mi hai ancora detto che diamine ho sulla schiena» domandò lei a tradimento. L’uomo, che non ne poteva più, decise di accontentarla. «Una stella a sei punte con strani simboli e lettere. Ora forse la situazione ti è più chiara?». «Direi di no» dovette ammettere Desdemona. «Ecco, appunto». «Ma cosa può voler dire? Hai mai visto quel simbolo prima?». «Sì, e se gentilmente vai a riposarti io esco, mi procuro qualcosa che forse potrebbe aiutarci a capire almeno un minimo, torno e sveliamo l’arcano». «Va bene» rispose lei che sembrava spiazzata. «Mi sorprendi». «Perché?». «Dopo tutto quello che ti è successo e che hai saputo oggi» spiegò con un mezzo sorriso «ancora riesci a stupirti di qualcosa». «Sono una ragazza dalle mille sorprese, io» rispose la ragazza restituendogli il sorriso dispettoso. «Questa frase mi ricorda qualcosa... Comunque la camera da letto è in fondo al corridoio a sinistra, ci vediamo dopo». «D’accordo» sospirò Desdemona. «A dopo». Rabies uscì di casa chiudendo la porta a chiave, la ragazza si sentì un po’ in soggezione per questo, ma pensò che di certo, se avesse saputo che la porta era aperta e che chiunque sarebbe potuto entrare in qualsiasi momento, non si sarebbe sentita meglio, così attraversò il corridoio ed entrò nella stanza da letto. Fu subito colpita dal particolare arredamento, molto elegante con tonalità fra il nero e il grigio chiaro. Scostò la zanzariera che cadendo dall’alto sfiorava i lati del letto e si sdraiò a pancia in giù, in modo da sentire meno dolore possibile alla schiena. Il suo sonno fu leggero ma gradevole, fece sogni confusi e vaghi; vide Krystel, degli angeli, Rabies e persino alcune delle teste della galleria. Fece la sua comparsa anche Valerie, che rideva e scherzava con un ragazzo della sua stessa età – probabilmente suo marito – e teneva in braccio uno splendido bimbo. Capitolo 5 Rabies camminava a passo svelto: non ricordava con certezza dove avesse visto quel simbolo, nonostante non ci fossero molti posti in cui potesse essere accaduto. Proprio per questo stava andando nell’unico negozio di magia esistente in quella zona di Levran. Il proprietario era un ciarlatano capace di vendere a qualcuno una bottiglia vuota spacciandola per un contenitore cosmico racchiudente incredibili e mastodontiche energie primordiali. A volte capitava che in negozio arrivassero oggetti realmente utili e dotati di poteri, tuttavia fortunatamente l’imbroglione non era minimamente in grado di distinguerli dagli altri. Rabies sbuffò: nel giro di poche ore era già la seconda volta che si ritrovava a girare per quei vicoli luridi. Finalmente arrivò a destinazione. Aprì la porta con aria svogliata ed entrò. Fu accolto dal suono di uno scacciaspiriti, appositamente piazzato davanti all’entrata per evitare che qualcuno entrasse senza che il proprietario se ne accorgesse. Strano come quel negozio sembrasse sempre identico ogni volta che vi metteva piede... Scaffali di legno impolverati, stracolmi di libri di ogni dimensione e tipo. Solo due cose li accomunavano: tutti trattavano di magia ed esoterismo, tutti inspiegabilmente davano l’impressione di essere molto vecchi, anche quando non erano logori. Una piccola parte era dedicata a statuette di maghi, fate, draghi e creature fantastiche, tutte ben tenute e rigorosamente chiuse a chiave nelle vetrine. Rabies fece qualche passo, arrivando alla zona riservata alle collane che il venditore aveva il coraggio di chiamare “amuleti”. Ne prese uno, lo avvicinò un poco al viso per poterlo osservare meglio, se lo rigirò fra le dita. Sembrava una specie di dente di squalo; sarebbe stato piuttosto impressionante se dietro non fosse stata fin troppo leggibile la scritta “Made in China”. Con una smorfia di sdegno l’Emissario lo rimise a posto. Rialzò lo sguardo sentendo un rumore di passi – per niente leggeri – che ormai considerava facilmente riconoscibile. Dopo pochi secondi il proprietario arrivò e salutò con un odiosissimo sorriso, tipico di chi è gentile solo per convenienza. «Mio caro amico!» esclamò andando incontro a Rabies. «Io non sono tuo amico, vecchia carogna» rispose lui con la massima tranquillità. «Ovviamente non sono qui per sentirti farneticare, ma perché ho bisogno di qualcosa». «Dimmi tutto» l’uomo cercò di nascondere quanto tanta schiettezza lo infastidisse. «Voglio vedere qualsiasi cosa fra queste cianfrusaglie che abbia sopra un simbolo: una stella a sei punte con delle lettere». Il negoziante per qualche secondo fece mente locale. «Se non erro tempo fa avevo qualcosa di simile, non so se c’è ancora però... Vado a vedere». Sparì per qualche minuto fra gli alti scaffali. Tornò con una scatola di legno, la poggiò sul bancone, la aprì e ne tirò fuori il contenuto. Fu allora che Rabies cominciò a capire. Desdemona venne risvegliata dal rumore della porta d’ingresso che si apriva, così si affrettò a raggiungerla. Comparve Rabies con una scatola di legno in mano. Sembrava piuttosto antica. «Forse ho trovato la risposta!» dichiarò Rabies con aria soddisfatta. «Comunque ciao eh!». «Oh... Ma perché vuoi sempre perdere tempo con stupidi convenevoli?» si lamentò lui. La ragazza tentò di replicare ma lui non la fece neppure iniziare. «Siediti a terra e non mi seccare». Lei non capiva, ma sapeva che chiedere spiegazioni sarebbe stato inutile, così fece come le era stato detto. Rabies lasciò la scatola sul pavimento, davanti a Desdemona «Non ti azzardare a toccarla finché non torno!». La ragazza sbuffò. «Va bene nonna! Ma dov’è che vai?». «Raccatto un paio di cose e sono di nuovo qui». «Già, dimenticavo: l’uomo dei misteri detesta rispondere, anche quando gli si pone una domanda chiara e semplice». Tutto ciò che ottenne fu un sorriso pieno d’ironia. Poco dopo Rabies tornò con un candelabro a sette braccia e un pentacolo fatto di rami e foglie intrecciate, che poggiò vicino alla scatola. Desdemona gli rivolse uno sguardo perplesso che lui però ignorò. Si sedette di fronte a lei, accese le candele con l’accendino e nel frattempo le scoccò un’occhiata di ammonizione. «Adesso non si scherza». Si rialzò un attimo per spegnere la luce. A quel punto a illuminare l’ingresso erano solamente le sette fiammelle danzanti che proiettavano ovunque le ombre dei due. Desdemona provò una spiacevole sensazione: dopo quello che aveva passato quel giorno aveva decisamente paura di ciò che sarebbe potuto accadere, l’idea di una seduta spiritica non le piaceva granché, eppure una parte di lei sentiva di non poter fare diversamente. Quella era la giusta via per capire, non avrebbe saputo spiegare il perché. Dalla scatola di legno l’Emissario tirò fuori una tavola ouija e un puntatore. La tavola era scura e su di essa, fra le altre cose, era rappresentato lo stesso simbolo che la ragazza aveva sulla schiena. Rabies appoggiò entrambi gli indici sul puntatore e chiuse gli occhi. Se in precedenza Desdemona l’aveva trovato inquietante, ora lo trovava terrificante, tanto da desiderare di sprofondare nel pavimento. «Ma cosa?». «Shhhh!». Dopo qualche minuto di silenzio le sue palpebre si schiusero, rivelando uno sguardo innaturalmente assente. La ragazza fu scossa da un brivido. Non ci fu bisogno di fare alcuna domanda, il puntatore cominciò a muoversi indicando alcune lettere che composero una frase: “La risposta è nel tempo”. Desdemona vide ogni cosa davanti a lei scomparire nel buio, persino le luci tremolanti delle candele si affievolirono fino a sparire, mentre il pavimento sotto di lei si trasformò in tenebre. Sentì il cuore cominciare a battere all’impazzata. «Che diavolo succede?» urlò in preda al panico. Udì le sue stesse parole riecheggiare nel vuoto, ma poi un’altra voce arrivò alle sue orecchie, dolce come una brezza primaverile: «Non preoccuparti Desy». Una sagoma cominciò a delinearsi poco lontano da lei. In un istante il suo corpo fu percorso da forti brividi e i suoi occhi divennero lucidi. Solo una persona la chiamava “Desy”, ma questo accadeva anni prima. Nell’ombra quei capelli lisci fra il biondo scuro e il castano chiaro presero lentamente forma, i tratti di quel volto dall’espressione solare si delinearono. La figura camminava verso di lei. «Krystel!» esclamò la ragazza scoppiando a piangere. Le corse in contro e stava per abbracciarla, ma un gesto dell’amica la fermò. «No, tesoro, no...». «Ma...» provò a protestare Desdemona, allo stesso tempo scossa, sorpresa e felice. «Non è permesso» la interruppe lei con voce calma e dolce. «Come... come è possibile tutto questo? Sono morta?» le domandò visibilmente confusa. «No...» rise divertita. «Non sei morta! Sta tranquilla. Come te la passi negli ultimi tempi?» chiese sorridendo con aria allegra, come se dall’ultima volta in cui si erano viste fossero passati un paio di giorni. Entrambe però sapevano che non era affatto così, non era solo una questione di tempo o di difficoltà che non erano riuscite a superare. Era la morte; l’unica cosa che realmente sapesse di infinito stava tra loro a separarle. «Io... sopravvivo» rispose la ragazza con un sorriso amareggiato, tentando di trattenere le lacrime «Mi manchi» abbassò lo sguardo. «È dura senza di te». «Ma ora non sei più sola. Ora c’è Rabies» la consolò alzando un sopracciglio con aria scherzosa. «Ma... l’ho conosciuto oggi! Cosa vuoi che ne sappia...». L’amica la interruppe nuovamente. «Non dire stronzate!». Desdemona ora rideva e piangeva allo stesso tempo. «Ma perché? È vero...». «Scoprirai, mia cara, che spesso le cose non sono come sembrano e che la vicinanza fra due persone non è dettata da fattori così banali» Lei si fece seria. «Ma tu ora dove sei? Si sta bene lì?». Krystel scosse leggermente il capo e i suoi grandi occhi blu non riuscirono a nascondere il dispiacere. «Non posso dirti niente al riguardo, posso solo dirti di non preoccuparti ora di questo; un giorno, fra molto tempo... ma non ora. Sono qui per farti sapere che sono stati degli spiriti a vostro favore a dare a Rabies il messaggio che troverai al tuo ritorno». La ragazza era sempre più perplessa. «Il mio ritorno dove?». La sua amica sorrise dolcemente. «Prendi la mia mano» disse protendendo il braccio sinistro verso di lei. Desdemona la fissò con sguardo incantato, fece un passo in avanti, esitò per un attimo, poi afferrò la sua mano. In quell’istante un immenso bagliore l’accecò, fu come se le tenebre venissero sventrate dalla luce. In un momento rivide tutti i suoi ricordi legati a Krystel, le ore passate a chiacchierare, i disegni fatti insieme, i pianti, le risate. Una lacrima scivolò lenta sulla sua guancia. Ancora: feste, videogiochi, storie, favole, idoli, amori impossibili e segreti condivisi. Le sembrò di risvegliarsi. Era seduta sul pavimento a casa di Rabies, lui la scuoteva leggermente tenendola per le spalle. La guardava negli occhi. «Desdemona? Che hai?». Lei sbatté le palpebre nel tentativo di riprendersi. «C’era... c’era...» vide la tavola ouija, ricordò cosa stava accadendo poco prima e cominciò a capire cos’era successo. «C’era Krystel». «Chi?» chiese lui senza capire. «Una mia amica. Lei è morta tre anni fa». «Scusa» rispose lui con voce calma. Le accarezzò una guancia asciugando la lacrima che le rigava il viso. «Ti ha detto qualcosa di importante?». «Sì, ha detto che sono stati degli spiriti a noi favorevoli a darti il messaggio, ma non so di che parlava...». «Non hai visto?». «Visto cosa?». «Senza che io abbia fatto domande gli spiriti si sono pronunciati. Hanno detto che la risposta è nel tempo». «Ma cosa vuol dire?» chiese lei strabuzzando gli occhi. «E io come faccio a saperlo?» rispose con una smorfia. «Ho evocato gli spiriti, non ho mica guardato nella sfera di cristallo! Ma guarda...» disse prendendola per le mani per aiutarla ad alzarsi. La condusse davanti allo specchio. Desdemona guardò il riflesso della sua schiena con la coda dell’occhio. «Ma come è possibile?» tirò su i capelli per vedere meglio. «È identico al simbolo sulla tavola!». «Esatto Sherlock Holmes! Come hai fatto?» la prese in giro l’Emissario. Lei per una volta ignorò la sua ironia. «Allora con tutta probabilità quello che ho visto era reale». «No» la corresse «non con tutta probabilità, sicuramente era reale». Fece una pausa. «Ti ha detto qualcos’altro di importante?». In realtà, per Desdemona, ciò che Krystel aveva detto riguardo al fatto che adesso non fosse più sola per via di Rabies era molto importante, ma non ebbe il coraggio di riferire anche questa parte. «No, nient’altro. Ho provato a chiederle dove si trova ora e se ci sta bene, ma mi ha detto che non è permesso parlarne». Lui annuì pensieroso con un cenno del capo. «Gli spiriti non rispondono mai a domande del genere, non gli è concesso». «Ma perché?». Sorrise di fronte a tanta ingenuità. «La battaglia è molto più complessa di quanto credi e ci sono un’infinità di questioni che non conosci. Per oggi direi che sono successe fin troppe cose, non voglio metterti ulteriormente sotto pressione». La ragazza lo guardò negli occhi tentando di immaginare quali e quanti altri assurdi segreti si nascondessero in quella storia. «D’accordo, va bene». Rabies era visibilmente stupito. «Non insisti? Non mi sommergi con un miliardo di domande?». «No... Se non ti dispiace torno a riposare» rispose prima di attraversare il corridoio per tornare nella camera da letto. Lui abbassò lo sguardo, si rese conto di essere stato insensibile: se lo spirito le aveva “fatto visita” evidentemente il legame fra loro doveva essere molto forte. «Desdemona!» la chiamò appena prima che entrasse nella stanza. Lei si voltò, lui si affrettò a raggiungerla, si chinò e, senza sapere bene perché, prese il suo viso fra le mani. «Scusa...» disse a bassa voce, con tono dispiaciuto. La strinse passandole le braccia intorno alle spalle, facendo bene attenzione a non farle male. «Non avrei dovuto trattarti così» mormorò. La ragazza lasciò che il proprio volto affondasse nella sua maglietta nera scoppiando a piangere. «Non è giusto Rabies... Aveva solo diciannove anni!» singhiozzò. Lui avrebbe voluto poterle dire qualcosa che la consolasse, che la facesse sentire un po’ meglio, o che almeno desse uno straccio di senso a quello che le era accaduto. Ma cosa avrebbe dovuto raccontarle? Che il dolore, la perdita di persone essenziali nella propria vita, tutte le cose orribili legate all’esistenza, altro non erano che elementi di una partita a scacchi che durava da millenni, in cui tutti gli esseri umani, gli angeli, i demoni e ogni essere vivente erano semplici pedine? Continuò a tenerla stretta a sé e lei non smise di piangere, disperata com’era. Le sue unghie si aggrappavano alla maglietta di Rabies, quasi come se lui fosse stata l’unica cosa a permetterle di non impazzire. Si sentiva come sull’orlo di un precipizio, ma sotto di lei, invece del vuoto, c’era la follia più totale. L’uomo sapeva che la sua ironia fuori luogo non era stata altro che la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, che dietro lo sfogo di Desdemona c’era molto di più, eppure in cuor suo si sentiva responsabile di tutta quella sofferenza. Sentì un nodo alla gola, respirare diventava difficile, e ogni respiro era più doloroso di quello precedente. Non poté fare a meno di accarezzarle i capelli e di stringerla ancora più forte; ormai ogni suo gesto era un disperato tentativo di lenire ciò che la ragazza sentiva. Cosa gli stava succedendo? Quel pianto gli faceva male. Prima che potesse rendersene conto i suoi occhi chiari, da tempo freddi come il ghiaccio, si erano fatti lucidi e le lacrime, prepotenti, pretendevano di essere finalmente liberate dalla loro prigione di cristallo. Per un istante Rabies, colto di sorpresa, s’irrigidì e trattenne il fiato. Un attimo dopo, pur se con dolcezza, si staccò da lei. La guardò negli occhi e le fece un’ultima carezza. «Ora vai...» le sussurrò, in modo che non potesse sentire la sua voce tremare. Non era affatto un ordine, bensì una via di mezzo fra un consiglio e una preghiera. Desdemona si sforzò di sorridere sfiorando la mano di lui ancora poggiata sul suo viso, poi entrò nella stanza da letto chiudendo la porta alle sue spalle. Rabies si appoggiò al muro, poi si lasciò scivolare fino a sedersi sul pavimento. Sospirò passandosi una mano fra i lunghi capelli mossi. Ma che diavolo aveva combinato? In preda al dispiacere e al nervosismo più totale si alzò per prendere una sigaretta, aveva lasciato il pacchetto in una tasca della giacca. Dopo averne accesa una tirò una lunga boccata di fumo, guardò il suo riflesso nello specchio. Sorrise amaramente. Col tempo aveva perso praticamente tutto, ma non l’orgoglio per il suo aspetto fisico; pur non essendo un maniaco dell’estetica, era sempre stato piuttosto vanitoso. Per un attimo gli tornò in mente il periodo in cui stava con Valerie. Allora era tutto diverso. Scacciò quel pensiero, decise di uscire. Prese la giacca, la indossò, si fermò ancora per qualche istante davanti allo specchio sistemandosi il colletto. Capitolo 6 Mezz’ora dopo era seduto su una panchina. Da quando era uscito aveva già fumato tre sigarette e ora ne stava accendendo un’altra. Si guardò intorno, era finito nella zona peggiore del quartiere; per un attimo fissò il marciapiede pieno di bottiglie di vetro rotte e di ogni sorta di spazzatura. Nei postiparcheggio non c’era neppure un’auto: nessuno era così stupido da lasciare lì la propria macchina, buttarla giù da un dirupo sarebbe stato più sicuro. Gruppi di ragazzini si scambiavano i loro “giocattoli” rubati chissà dove. Un rumore di passi proveniente da destra attirò la sua attenzione. Si voltò e vide quella che doveva essere una prostituta. Indossava scarpe rosse dai tacchi a spillo, una minigonna pressoché inesistente che mostrava più di quanto avrebbe dovuto ed un top – praticamente una fascia – che, più che a coprirla, sembrava servire solo a mettere in risalto i seni già abbondanti. Ogni cosa nel suo abbigliamento pareva prendere la sua sensualità e spingerla ben oltre il limite della volgarità, eppure... Rabies, eccitato, la squadrò da capo a piedi più volte e lei non mancò di ricambiare. Non si fermò. Vedendola scomparire girando l’angolo pensò che dovesse essere fuori dalla sua zona e dal suo orario di lavoro. L’episodio gli ricordò che in effetti era da un po’ di tempo che non si sfogava. Di certo non aveva mai avuto bisogno di pagare, né aveva intenzione di farlo. Il braccio sinistro, quello che teneva disteso lungo la spalliera della panchina, cominciò a fargli male. Più cercava di ignorare il dolore, più quello diventava forte. Sollevò leggermente la giacca e la camicia scoprendo il polso. Si poteva vedere parte del tatuaggio che arrivava fino alla spalla. Ecco la causa del male che sentiva. Non era un’infezione, l’aveva fatto anni prima: era il simbolo del patto e gli doleva ogni volta che le forze del Bene stavano per attaccarlo. Non si stavano dando un po’ troppo da fare? Voltandosi vide che accanto a lui era seduta una ragazza bionda. La veste bianca e gli occhi completamente neri non lasciavano dubbi sulla sua natura. Rabies accennò a un sorriso: se le persone comuni avessero saputo qual era realmente l’aspetto degli angeli li avrebbero considerati incredibilmente inquietanti. «Non sei stanco di essere solo?». «C’è bisogno che ti risponda?» disse l’Emissario con una smorfia fra l’infastidito e il disgustato. «E non hai paura ora che nella tua vita c’è ancora una persona che proteggi? Non sarebbe terribile se le accadesse qualcosa?» domandò sorridendo senza calore. Lui, afferrandola per la veste, l’avvicinò a sé bruscamente. Ora i loro visi erano solo a pochi centimetri di distanza. «Di’ ai tuoi amichetti» sibilò mentre sembrava volerla incenerire con lo sguardo «che fin ora mi sono limitato a far fuori gli idioti che mi attaccavano, ma se solo provate a farle qualcosa» aggiunse divampando di rabbia «io verrò a cercarvi uno per uno e vi sterminerò per il puro piacere di farlo». Sentì il sangue gelare di fronte allo sguardo terribilmente inespressivo dell’angelo. «Anche se nessuno di noi dovesse toccarla, tu la perderai comunque, proprio come hai perso Valerie e come perderai chiunque ti si avvicini. Sarai solo qualunque cosa tu faccia» disse fingendo dispiacere. Rabies poggiò una mano dietro al collo della creatura e lei cominciò a gemere. «Tu preoccupati solo che nessun buffone piumato o niente del genere si avvicini a Desdemona, il resto sono affari miei». «Ti preoccupi per dei buffoni piumati?» rispose con voce straziata dal dolore. «Lei non può difendersi!» esclamò mollando la presa. Sul collo dell’angelo aveva lasciato un’ustione. «Questo è un tuo problema... E poi sei proprio sicuro che non possa difendersi?» chiese alzando un sopracciglio. «Cosa vuoi dire?» fece in tempo a domandare Rabies prima di venire accecato da un immenso bagliore, mentre l’angelo scompariva. Si passò entrambe le mani sul viso tentando di riprendersi. «Dannati angeli! Devono sempre uscire di scena massacrandoti gli occhi!». La creatura si era limitata a una sorta di attacco psicologico, ma cosa intendeva? I buffoni piumati, come li chiamava lui, sapevano essere dei gran bastardi, ma non facevano mai allusioni senza motivo. Allora cosa voleva dire? Per ogni cosa c’era un principio e una fine, pensò Desdemona. Probabilmente la giornata che ormai stava giungendo al termine era stata la fine di un periodo e l’inizio di un altro. Cercò di immaginare quale sarebbe stata la sua reazione se qualcuno ventiquattro ore prima avesse provato a raccontarle ciò che sarebbe accaduto; nel migliore dei casi gli avrebbe dato del pazzo. Rabies. Come sarebbe stata la sua vita se non fosse stato costretto a fare quel patto? Le piangeva il cuore pensando a quanto avrebbe potuto essere felice con Valerie. Per un attimo sorrise non potendo fare a meno di pensare che se lei e Krystel avessero avuto modo di incontrarsi... Ma non sarebbe accaduto. Non in questa vita almeno. Sbuffò. Era stanca e la schiena le doleva ancora, tuttavia non riusciva a prendere sonno. Sapeva quanto pensare le facesse male, più che altro per le cose su cui puntualmente la sua mente andava a concentrarsi. Il rumore della porta della stanza che si apriva la fece trasalire. Era Rabies. Lei – lottando un po’ con la zanzariera – si mise a sedere sul letto. «Già di ritorno?» Lui ignorò la domanda. «C’è qualcosa che non mi hai detto». Desdemona lo fissò con aria perplessa. «Ti senti bene?» chiese riuscendo finalmente a scostare la zanzariera per poi alzarsi. «Hai in serbo qualche sorpresa...» sentenziò avvicinandosi di qualche passo. «Sorpresa così ben celata che neppure io la conosco!». «Possibile» rispose lui mentre continuava ad avvicinarsi con un’espressione volutamente sospettosa. «La vuoi smettere?» scosse il capo infastidita. Rabies ormai era proprio di fronte a lei e la sfidava con uno sguardo dispettoso e provocatorio. «Non ne sai niente eh?» domandò socchiudendo le palpebre. «Senti... Nel giro di poche ore ho conosciuto un uomo che ha fatto un patto col Diavolo, che spaccia droga, che strappa l’anima alla gente e che per giunta mi ha salvato la vita, mi sono ritrovata in mezzo a un combattimento fra lui e un angelo, ho la schiena ustionata con sopra una stella a sei punte e durante una seduta spiritica ho avuto un faccia a faccia con la mia migliore amica morta da anni, sono stanca, sconvolta, non ne posso più e sto parlando a vanvera. Vuoi dirmi che diavolo vuoi?» riprese fiato. Lui sgranò gli occhi. «Va bene... Non lo faccio più.» disse fingendosi innocente e spaventato. «Ho incontrato un altro simpatico angioletto che ha minacciato di farti del male e ha fatto un’allusione riguardo al fatto che tu non sia poi così indifesa...». Desdemona incrociò le braccia sul petto. «Io... Indifesa?». Rabies fece una smorfia facendo comparire una sfera infuocata sospesa sul palmo della sua mano. «Sai fare qualcosa del genere?». «Mmm... Direi di no». Lui con aria di superiorità distolse lo sguardo facendo scomparire il globo: «Scherzi a parte, sta’ attenta. Chi sa generalmente è più a rischio, ma se in più ha delle potenzialità è sicuro che entrambe le parti si contendano il malcapitato». La ragazza abbassò lo sguardo. L’uomo si fece serio. «Desdemona, sta’ attenta a non finire da nessuna delle due parti: non voglio che tu passi ciò che sto passando io. Se invece dovessi finire con quegli altri io potrei essere costretto a...» si interruppe. «Non vorresti essere costretto a uccidermi?». Rabies non rispose, ma la guardò negli occhi. «Te l’avevo detto di starmi lontana». «E ho fatto bene a non ascoltarti». «Non dirlo troppo forte, ci sei dentro da meno di un giorno, questa è una situazione che logora col tempo» rispose lui con un sorriso che nascondeva amarezza e malinconia. «Tu lo sai bene, vero?». «Già». «Qual è la cosa peggiore?» non fece in tempo a finire la domanda che già si pentiva di averla formulata. «C’è l’imbarazzo della scelta...» disse Rabies fingendo indifferenza. «Avere a che fare con persone disperate ed essere costretto a sfruttarle, il fatto che nessuno fra chi mi conosceva prima possa ricordarsi di me, non essere altro che un burattino nelle mani del Male, non avere nessuno che si avvicini a me senza un doppio fine... Scegli tu. Cosa credi che sia peggio?». Desdemona si morse il labbro inferiore: ancora una volta aveva esagerato. «Scusa, penso che debba essere tremendo...» abbassò leggermente il capo e alcune ciocche di capelli le coprirono il viso. Ma perché con lui doveva essere tutto così complicato? «Rabies, io non voglio ferirti, voglio solo capire». Lui annuì silenzioso con un cenno del capo, aveva assunto un’espressione pensierosa. «Dovrai imparare». «Imparare cosa?». «A usare la magia» di colpo alzò un sopracciglio e la serietà scomparve dal suo volto. «E a non tempestarmi di domande!» aggiunse con un sorriso demenziale. Per qualche istante lei lo fissò in silenzio, la sua espressione subì una sorta di evoluzione accelerata: dapprima pensosa divenne seria, poi perplessa, quindi quasi divertita. «Io... usare la magia?» chiese infine. Rabies rispose stringendosi nelle spalle. «Sei sicuro?». «Certo che no» rispose lui come se fosse stata la cosa più naturale di questa terra «ma qualcosa dobbiamo pur fare, non ho intenzione di starti appiccicato ventiquattro ore su ventiquattro per difenderti». Desdemona finse con una smorfia di inorridire al solo pensiero. «Forse hai ragione!». «Ma non t’illudere, ragazza, studiare l’uso della magia non vuol dire agitare una bacchetta ripetendo filastrocche». «Non ci speravo neanche» ammise lei sconsolata. «Per prima cosa andiamo a casa tua, prendiamo le cose che ti servono e le portiamo qui». «Ma io non ho oggetti magici in casa». «Infatti mi riferivo a vestiti e cose varie». «E cosa ci dovrei fare? Benedirli?» sbottò. Rabies socchiuse le palpebre lanciandole uno sguardo severo. «Per prima cosa devi imparare qualche incantesimo e non diventare un chierico, in secondo luogo non ho la minima intenzione di lasciarti i miei libri. Studierai qui». Desdemona rimase stupita dalla sensazione di euforia che quella sorta di sentenza aveva scatenato in lei, fece un respiro profondo tentando di nascondere come realmente si sentisse. «Che diavolo dici? Io non posso restare a casa tua!». «Beh, i miei libri resteranno qui, dunque scegli: resti qui, studi e salvi pelle e anima o te ne vai da sola allo sbaraglio?». Lei lo guardò sbuffando con finta rabbia. Un’ora dopo furono di ritorno con le valige. Desdemona gemette per la fatica mentre trascinava attraverso l’entrata un bagaglio più pesante di lei. «Dì un po’,» disse Rabies poggiando sul pavimento del corridoio uno zaino enorme «credi di dover restare qui vita natural durante?» con un gesto indicò ciò che avevano già portato dentro e quello che ancora giaceva davanti all’ascensore. Lei alzò le spalle. «Che vuoi farci? Quando mi sposto... mi porto dietro un po’ di cose». «Un po’» ripeté lui ironicamente. Quando ebbero finito di spostare tutto nella camera da letto, per la prima volta Desdemona entrò nel salotto. Prevalevano colori scuri ed era piuttosto spoglio: a parte il tavolo di legno, le sedie, qualche mobile e un televisore c’era ben poco; nonostante questo nell’ambiente regnava una certa eleganza, simile a quella della stanza da letto ma in netto contrasto col disordine del corridoio. Da un’arcata poteva intravedere la cucina, ma stanca com’era non le passò neppure per la testa di andare a dare un’occhiata. Proprio da quell’arcata venne fuori Rabies, che teneva in mano due lattine di birra ghiacciata. Aveva insistito per passare a comprarne un po’. La ragazza era seduta di fronte al tavolo, lui le appoggiò davanti una delle due birre, lei lo ringraziò con un cenno del capo. Lo guardò mentre si sedeva alla sua destra. La sua lattina era già aperta e cominciò a bere a grandi sorsate passandosi una mano fra i capelli. Vedendo che restava lì impalata non poté fare a meno di lanciarle una frecciata: «Comprendo che morire disidratata per te sarebbe un’esperienza interessante, ma purtroppo non ho voglia di assistere a un tale spettacolo, dunque ti dispiace aprire e bere?». Lei rise imbarazzata, poi seguì il suo consiglio. Prima che Desdemona fosse arrivata a metà, Rabies aveva già finito da un pezzo e, passando per il corridoio, si era cacciato da qualche parte. La ragazza pensò che andare a fare un po’ di spesa, seppur così tardi, fosse stata un’ottima idea: il suo salvatore non avrebbe potuto lamentarsi di essere uscito solo per lei, inoltre non sapeva quanto sarebbe stato in grado di reggere senza qualcosa di alcolico tra le mani. Anche se non credeva che fosse una dipendenza vera e propria, aveva notato che era qualcosa in più di una semplice e innocua abitudine. Fece appena in tempo a finire di formulare quel pensiero: lui era già di ritorno e a fatica portava con entrambe le mani una enorme pila di libri. Con un tonfo la lasciò sul tavolo davanti a lei. Le rivolse un sorriso pieno di pungente ironia. «Buon divertimento!». Desdemona gli lanciò uno sguardo allibito. «Secondo te io dovrei studiare tutta questa roba?» non sapeva se ridere o piangere. Con quel sorriso ancora stampato sulla faccia lui le rispose semplicemente: «Rassegnati». I giorni scorrevano, nonostante il tempo sembrasse aver perso ogni significato. La ragazza sentiva gli occhi sempre più stanchi. Nonostante gli argomenti le risultassero estremamente interessanti, lo studio incessante la stremava. «I vampiri sono creature assai bizzarre. A differenza di ciò che i luoghi comuni riportano, ne esistono tipi fra loro molto differenti. I Sanguinari, coloro che hanno l’estrema necessità di bere sangue per continuare a vivere, si dividono fra Notturni e Indifferenti, o ancora fra Necrofagi e Onnivori. Mentre i Notturni non tollerano la luce del sole (in alcuni casi può addirittura portarli alla morte), agli Indifferenti essa non crea alcun problema. Alcuni Necrofagi si cibano del sangue dei cadaveri da poco seppelliti, altri ne prosciugano ogni liquido o addirittura ne mangiano la carne. Sono per loro natura portati a profanare tombe. Gli Onnivori, nonostante possano scegliere, preferiscono generalmente cacciare le vittime piuttosto che ricorrere alle salme. Ciò si spiega con il fatto che, oltre ad arrecar loro maggiore piacere, questa pratica da meno nell’occhio: risulta infatti solitamente più facile nascondere o rendere irriconoscibile un corpo, piuttosto che tenere segreta la violazione di una tomba». Le si incrociavano gli occhi, alzò lo sguardo scoprendo che Rabies la fissava con aria compiaciuta. «Noto che ti interessano i vampiri» commentò. «Questi argomenti mi interessano più o meno tutti... Il vero problema è che sto impazzendo. Sono giorni che non faccio altro che leggere» gli fece notare. «Vedrai che fra un po’ arriva la parte divertente». «Ma dai?» si finse sorpresa. «Più divertente di vampiri che violano tombe e oltre a succhiare il sangue si spolpano i morti?». «Vedrai, vedrai...» rispose con un sorrisetto. Desdemona, esasperata, riprese a leggere. «Esiste poi un altro tipo di vampiri, da secoli però non si hanno notizie dell’esistenza di un solo esemplare di questa specie: i Dannati. Questi ultimi prendono forma attraverso un rito che solo i Necrofagi possono compiere. Una tomba viene profanata e il morto in essa contenuto viene fatto risorgere a un carissimo prezzo: chi porta avanti il rito deve rinunciare alla sua stessa esistenza in qualunque forma. Commettere un qualsivoglia errore porterebbe a pagare questo prezzo nonostante l’esito negativo. Il Dannato non è esente dal pagare pegno: avrà infatti ogni ricordo della sua precedente vita, ma sarà un essere completamente diverso, per natura e per carattere. Conoscerà ciò che c’è dopo la morte, ma non potrà parlarne in maniera specifica con nessuno. Il suo corpo subirà, da un punto di vista estetico, minimi cambiamenti, che però aumenteranno nell’individuo la sensazione di non appartenenza nei confronti della propria memoria. Uccidere un Dannato è estremamente difficile, soprattutto perché tendenzialmente ogni Dannato ha sue particolari peculiarità, ma una volta assassinato, egli cessa di esistere in ogni forma, per sempre. La sua anima, o ciò che ne rimane, svanisce insieme al corpo. Si pensa che quest’ultimo tipo di vampiro si sia “estinto” per diversi motivi: in primo luogo le conoscenze riguardanti le modalità del rito sono probabilmente andate perdute; vi è poi da considerare il fatto che non sono molti i motivi per cui una creatura possa accettare la propria totale non-esistenza; inoltre un Dannato può rivelarsi estremamente pericoloso, proprio per le sue grandi potenzialità. I Mutaforma...». «Basta! Per oggi non voglio più sapere niente di questi...» stava per usare la parola “vampiri” ma la sola idea la nauseò «cosi!». Rabies rise di gusto. «È divertente vederti disperare sui libri!». Desdemona fece una smorfia. Il giorno dopo la ragazza capì cosa intendesse il suo salvatore quando le aveva detto che la parte più interessante sarebbe arrivata in seguito. Sfogliò rapidamente il libro che l’Emissario le aveva appena dato, si soffermò a leggere solamente qualche titolo. «Incantesimi, finalmente!». «Già» annuì lui senza mostrare particolare entusiasmo. «E vedi di non distruggermi la casa, per favore». «Farò del mio meglio» rispose lei con finta innocenza. Nella settimana che seguì Desdemona alternò la teoria alla pratica, non provocò particolari danni a parte una mattina, quando rovesciò un’intera libreria e fece levitare una sedia spaccando una finestra in cucina. Trovava estremamente difficile però sopportare il fatto di dover rimanere chiusa in casa mentre erano chiari i segni dell’imminente autunno. Il cielo nuvoloso e l’aria che spesso sapeva di pioggia le risultavano molto più invitanti di una giornata di sole. «Esistono molti incantesimi di diversi tipi. Quella che li studia è una scienza che per sua natura non può avere regole fisse. Nonostante tutti vengano svolti grazie all’energia di chi li usa, alcuni fra i più potenti fanno appello alle anime di grandi stregoni del passato. Certe magie hanno bisogno di formule, altre sono di tipo non verbale, altre ancora possiedono formule bizzarre, a volte apparentemente prive di significato o grammaticalmente scorrette. Non è possibile spiegare tali...». Rabies sbuffò vedendo che si distraeva per l’ennesima volta. «Non ti stai applicando!» la apostrofò in maniera volutamente pomposa. Un’altra settimana volò fra continue e incessanti letture, scherzi e prese in giro. Intanto la tensione continuava a crescere in entrambi nonostante il loro silenzio al riguardo. L’inquietudine che li scuoteva nel profondo voleva avvertirli dell’imminenza del pericolo, forse il nemico era alle porte, eppure nessuno ne parlava, come se, non dicendolo ad alta voce, ciò che li attendeva potesse essere allontanato. Nonostante tutto quella sensazione di disagio era insistente, li perseguitava e li avvolgeva come una spessa coltre di nebbia. Di tanto in tanto la ragazza si domandava cosa volesse dire ciò che gli spiriti avevano riferito. “La risposta è nel tempo”. Forse, visto che gran parte dei libri da cui stava studiando si basavano su testi antichi, intendevano farla avvicinare alla magia. In qualunque caso, anche se così non fosse stato, quello era il miglior tipo di difesa in cui potesse sperare, di conseguenza stava certamente facendo la cosa giusta. Erano passate due settimane dall’incontro fra Rabies e Desdemona, quando qualcosa cambiò: l’Emissario era strano, più del solito. Era perennemente distratto, sembrava che la sua mente fosse rivolta altrove, a qualcosa di più importante. Ignorava in continuazione le domande di lei; dapprima la ragazza aveva preso in considerazione la possibilità che lo stesse facendo di proposito, ma ben presto si rese conto di essersi sbagliata. Lui non sentiva affatto quello che gli diceva, preso com’era da chissà quali pensieri; le sue parole non gli scivolavano addosso, semplicemente non lo sfioravano neppure. Arrivò addirittura a pensare che la causa potesse essere il cattivo riposo: da quando era ospite a casa sua le aveva ceduto il letto, lui dormiva su una coperta imbottita stesa sul pavimento del salotto; tuttavia si accorse subito di aver pensato un’idiozia. Di certo era abituato a cose peggiori. «Dovrai esercitarti un po’» disse una mattina Rabies rompendo lo strano silenzio che si era creato. «Mandandoti a fuoco la casa?» chiese lei più acida di quanto avrebbe voluto. «Possibilmente lo eviterei» rispose tranquillamente; ormai ci aveva fatto il callo. «Il problema è che leggere e studiare dai libri non può bastare a prepararti. Trovarsi sul campo di battaglia è completamente differente». «Mi sono già esercitata» gli fece notare. «Sì, ma ti sei esercitata da sola e quando combatterai, beh... Dubito che sarà con te stessa» spiegò lui. «Dunque?». «Dunque alzati». La sua calma la stava irritando. «Sicuro di quello che fai?». L’Emissario sbuffò passandosi una mano fra i capelli, stringeva una sigaretta fra l’indice e il medio della mano sinistra. «La vuoi finire?». Lei alzò gli occhi al cielo. «Nervosetta oggi, eh?» commentò, tagliente come sempre. La ragazza alzò le sopracciglia. «Elementare, Watson». Nel giro di poche ore Desdemona rischiò per ben due volte di dare fuoco alle tende, rovesciò il tavolo su cui erano poggiati i libri, scaraventò in cucina la sedia su cui prima era seduta. Rabies le insegnò diverse cose che non aveva letto da nessuna parte. Rimase piuttosto stupito dalle capacità della ragazza, non aveva mai visto qualcuno imparare così in fretta. Sembrava particolarmente portata per gli incantesimi che implicavano la creazione o l’uso di scariche elettriche. Quando arrivò sera era sfinita, ma molto più tranquilla. Non aveva idea di cosa la aspettasse, ma di sicuro ora non era più indifesa. Dopo quel breve intervallo, l’Emissario tornò a essere taciturno e assente. Desdemona passò altri tre giorni a farsi domande e a cercare di immaginare le possibili motivazioni delle sue stranezze. Sentì che la capacità di usare il cervello stava per abbandonarla, così finalmente decise di chiedere spiegazioni al diretto interessato. La risposta la infastidì al punto che pensò di aver commesso un errore. Sentendosi chiedere cosa gli stesse succedendo, Rabies aveva risposto con aria stanca: «Devo andare». «Andare dove precisamente?» aveva domandato lei accigliata. «Non lo so, so solo che c’è bisogno di me. Devo andare, se non voglio guai». «Devi svolgere una delle tue “missioni”?» dentro stava morendo dalla rabbia, ma era riuscita a nasconderlo alla perfezione. Lui aveva annuito con un cenno del capo e se n’era andato senza aggiungere altro. Ancora una volta Desdemona si sentiva irrimediabilmente sconfitta, ma doveva farci l’abitudine: quella era la sua vita e al momento lui era costretto a eseguire ciò che gli veniva ordinato. Il pensiero di tentare di liberarlo non l’aveva mai abbandonata da quando era venuta a conoscenza della sua storia. Un uomo disposto a vendere l’anima, a rinunciare per sempre alla felicità e alla libertà per amore, non poteva rimanere tutta la vita una sorta di schiavo... Oppure sì? In fondo una ragazza come Krystel era morta di overdose, c’era allora qualche ingiustizia che non fosse possibile nella sua vita? Scacciando quel pensiero si era rimessa a studiare e, senza che se ne fosse accorta, erano passate due ore. Adesso ripensava a quanto era successo. Fissava l’orologio che Rabies aveva messo per lei sul tavolo del salotto, in modo che non dovesse alzarsi per controllare l’orario. Dove diavolo era finito? Capitolo 7 Rabies cominciava a non poterne più: era stanco di camminare, faceva freddo, le strade iniziavano a farsi buie e qualche tuono di tanto in tanto prometteva un’imminente pioggia. Era ormai quasi giunto ai confini della città; la zona non era certo uno splendore, ma di sicuro veniva tenuta meglio di quella in cui viveva lui. Guardandosi intorno vide alcune palazzine di sei o sette piani, a giudicare dall’aspetto non erano state costruite da più di una decina d’anni. In particolare lo colpì quello che vide attraverso un enorme cancello attorniato da siepi: il giardino di una villa su tre piani, pieno di piante e fiori ben curati; al centro si ergeva una fontana con la statua di un angelo con due paia d’ali. Dalla posa sembrava essere stato crocifisso, l’acqua sgorgava fuori dalle sue “stigmate”. L’istinto gli fece comprendere che era lì che doveva entrare. In quel momento gli venne rivelata la natura della sua missione: Lilian Cumb, cinque anni prima, aveva stipulato il patto per ottenere un’assurda quantità di denaro. Rabies pensò che dovesse essere una povera stupida: in nessun caso i soldi avrebbero potuto ripagare le sofferenze provocate da un simile accordo. “Certo... c’è anche qualche piccolo vantaggio” disse a se stesso mentre il cancello si apriva al suo solo tocco. Attraversò il giardino passando di fianco alla fontana. Si diresse davanti al portone d’ingresso della villa, fatto di legno chiaro e lucido, su cui di tanto in tanto si riflettevano i lampi. Bussò con forza, da dentro si sentì un leggero bisbigliare ma nessuno andò ad aprire. Appoggiò una mano sulla serratura facendone scaturire fuoco. Diede un calcio al portone che si spalancò. Una donna vestita da cameriera arrivò correndo. «Vattene o chiamo la polizia!». Lui sorrise senza calore e, senza bisogno di sfiorarla, con un gesto la scaraventò contro la scalinata in fondo al salone; sbatté la testa su un gradino e perse i sensi. Rabies si guardò intorno alla ricerca della sua vittima. Doveva scegliere quale dei due corridoi di quel piano percorrere; sentendo qualcuno che singhiozzava si voltò di scatto verso destra e procedette in quella direzione. Il parquet scricchiolava sotto i suoi lenti passi. Gocce di pioggia cominciarono a picchiettare sulle vetrate sempre più insistentemente. Sul suo volto era ancora dipinto quel sorriso perfido. Odiava ciò che era costretto a essere, eppure in quei momenti provava un perverso piacere. Quando tutto finiva questo lo faceva sentire ancora più frustrato: il suo lato da Emissario stava inesorabilmente prendendo il sopravvento. Attraversò il corridoio come una belva assetata di sangue, ma lui di quella donna voleva l’anima. Sentire il terrore della sua preda, nascosta in qualche angolo della casa, non faceva altro che aumentare la sua eccitazione. Passò davanti a diverse porte chiuse ma, lo sapeva, nessuna di esse era quella giusta; la meta però si avvicinava sempre più. Finalmente arrivò di fronte a una porta già spalancata; la luce di un lampo filtrò attraverso le tende rivelando che quello era il bagno. Ancora una volta sentì i singhiozzi della donna che stava piangendo, provenivano da dietro la vasca. Lentamente la raggiunse; nella penombra poté vederla mentre si copriva il viso con disperazione, come se il non vedere avesse potuto proteggerla. Aveva ben capito cosa stesse per accaderle. Rabies si chinò su di lei, con finto dispiacere inclinò leggermente il capo e cominciò ad accarezzarle i capelli, fingendo ironicamente di volerla consolare. «Non devi avere paura... Questo è solo l’inizio». La ragazza allontanò leggermente le mani dal viso. «Ti aspettano atroci sofferenze, per tutta l’eternità» assaggiò avidamente le lacrime che le rigavano la guancia. Di colpo le sue carezze si trasformarono in violenti strattoni e trascinandola per i capelli la obbligò ad alzarsi e a seguirlo. Erano quasi arrivati alla fine del corridoio quando Lilian cominciò a strillare chiedendo aiuto. Immediatamente Rabies le tappò la bocca con la mano libera. «Sta’ zitta» sibilò avvicinando le labbra al suo orecchio «oppure prima di farti quello che devo mi divertirò a spezzarti le dita una ad una, tanto per cominciare». I suoi occhi incontrarono quelli della donna, che doveva avere due o tre anni in meno di lui. Lo sguardo terrorizzato che vide fece aumentare la sua voglia di mettere in pratica ciò di cui l’aveva minacciata. Riprese a trascinarla per i capelli, la costrinse ad arrivare fino al salone, dove il portone era ancora aperto e la pioggia bagnava il parquet davanti all’ingresso. La gettò a terra, poi cominciò. «Lilian Cumb, ortatu Diaboli» protese il braccio sinistro verso di lei, con il palmo della mano rivolto verso l’alto «exe anima!» urlò chiudendo la mano in un pugno per poi portarlo verso il petto con un gesto pieno di forza. In quel preciso istante la donna smise di respirare, l’anima uscì dal suo corpo ma era prigioniera di Rabies, che riusciva ad attanagliarla senza bisogno del benché minimo contatto. Sollevò anche l’altro braccio. «Daemones, animam deprehendite et ipsam Inferos trahete!». I demoni, ombre dalle forme umanoidi eppure mostruose, emersero dal pavimento inondando la casa con le loro tremende urla. L’Emissario si godé la scena, come inebriato da tutto il dolore e la disperazione che riusciva ad avvertire nell’aria. Con piacere guardò l’anima tentare inutilmente di resistere mentre i demoni la afferravano, per poi tornare da dov’erano venuti, portandola via con loro. L’attimo seguente Rabies tornò in sé, vedendo a terra il corpo di Lilian provò una sorta di repulsione per se stesso. Guardò la cameriera che ancora giaceva sulle scale priva di sensi; al suo risveglio non si sarebbe ricordata di lui. Decise di andarsene prima che arrivasse qualcun altro. Stringendosi nella lunga giacca nera che indossava uscì fuori dal portone nonostante la pioggia. Si ritrovò per le stesse strade che lo avevano condotto dalla sua vittima, stavolta però era bagnato fradicio ed era ancor più infreddolito. Cominciò a tremare. Camminò per circa un quarto d’ora, poi davanti alla porta di un locale vide un uomo sulla cinquantina a cui mancava qualche dente, senza un minimo di grazia portava abiti che addosso a chiunque altro sarebbero stati eleganti. Nonostante l’aria rozza, gentilmente prese Rabies per un braccio. «Prego ragazzo, entra!». Senza dire niente lo seguì. Venne condotto all’interno, ma subito si accorse di non essere stato così fortunato: il posto era abbastanza pulito ma pieno di vecchi e ubriaconi, seduti al bancone o a dei tavolini che stavano sotto un piccolo palco con al centro un palo. Una spogliarellista stava cominciando la sua esibizione. Indossava un vestito fra il rosso scuro e il marrone, aveva un fisico perfetto, da ventenne, ma dal viso, piuttosto brutto e privo di una qualsivoglia armonia, dimostrava almeno trent’anni in più. In un angolo, un gruppo i cui membri indossavano delle ridicole giacchette dorate, suonava una vecchia canzone in versione rock, sulle note della quale lei aveva appena iniziato a ballare. Vedendo tutto questo Rabies si voltò per uscire, ma l’uomo non lo lasciò passare; gli porse una mano per fargli capire che doveva pagare l’ingresso. Lui lo guardò con aria stanca, in un’altra occasione l’avrebbe pestato a sangue, ma decise di lasciar perdere. Prese alcune monete da una tasca e gliele diede. A quel punto il suo “amico” lo accompagnò al bancone e gli indicò la lista delle bevande disponibili che era stata attaccata a una mensola. La vecchia barista dai capelli grigi lo accolse con un sorriso. «Cosa ti porto?». Lui avrebbe voluto una birra, ma decise di optare per qualcosa di caldo. «Un caffè, grazie». La donna si voltò verso la macchinetta per preparargli ciò che aveva chiesto. Nel frattempo lo sguardo di Rabies cadde su un tipo losco seduto di fianco a lui, stava sfilando il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans di un ignaro malcapitato. Decise di far finta di nulla. La barista gli portò il caffè. «Ecco a te!». Lui ringraziò, prese la tazzina e andò a sedersi a uno dei tavolini sotto il palco, l’unico rimasto libero. La spogliarellista lo aveva notato già dal suo ingresso e continuava a fissarlo. Rabies la guardava con un’aria fra lo spaventato e l’inorridito. Alla fine dell’esibizione la donna si tolse gli slip e li lanciò, centrando in pieno il suo caffè e facendo schizzare ciò che ancora non aveva bevuto. Lui guardò con occhi increduli la tazzina, indietreggiò alzandosi. Un vecchio di fianco a lui si fiondò a recuperare il “regalo” arrivato dal palco. Rabies arrivò davanti a quella che doveva essere la porta del bagno. La aprì e si ritrovò davanti una breve scalinata. Dopo l’ultimo gradino poggiò un piede sul pavimento e sentì un rumore che non gli piacque. Abbassando lo sguardo si rese conto che il bagno era allagato da acqua putrida e ci volle poco per notare che quell’acqua stava fuoriuscendo da un water intasato. Sentendo lo stomaco che si rivoltava tornò a guardare la sua scarpa ormai lurida. «Dannazione!». Tornò su per andare a pagare. Voleva andarsene il prima possibile. Nel frattempo la spogliarellista aveva raccolto le mance che il pubblico le aveva lanciato. Rabies, arrivato davanti al bancone, vide che la barista era momentaneamente impegnata a servire un altro cliente, dunque si voltò dandole le spalle e appoggiando entrambi i gomiti al ripiano. La spogliarellista, che ormai stava per andarsene, si avvicinò; stava per dargli un bacio sulle labbra ma riuscì solo a dargliene uno sulla guancia, dato che lui fece in tempo a voltare il capo. Questa distrazione tuttavia gli costò cara: senza che lui se ne accorgesse la donna gli sfilò il portafoglio da una tasca della giacca, poi se ne andò. In quel momento Rabies sentì la voce della barista. «Ragazzo» lo chiamò rivolgendogli un sorriso. Lui si girò verso di lei cercando invano a tastoni il suo portafoglio. Guardò l’uomo che aveva di fianco: era il ladro di prima. Immediatamente lo afferrò per il colletto della camicia. «Ridammi il mio portafoglio!» gli urlò in faccia. La barista, vedendo la scena, fece un cenno all’uomo che poco prima aveva condotto lì Rabies. Lui mise una mano sulla spalla dell’Emissario che, nonostante la capacità di usare la magia, venne colto di sprovvista quando, girandosi, fu colpito da un pugno in piena faccia. Cadde a terra privo di sensi e l’uomo lo trascinò fuori dal locale, buttandolo nuovamente sotto la pioggia. Rabies riprese coscienza qualche ora dopo, non pioveva più ma i suoi vestiti erano ancora completamente bagnati. Stizzito ripensò a quanto gli era accaduto nel locale, ma questo era niente in confronto a ciò che gli tornò in mente subito dopo: il piacere che aveva provato nel fare del male a quella ragazza, nel strapparle l’anima, era terribile... Se fosse andata avanti così sarebbe presto diventato come Daniel. Un’idea balenò nella sua testa: Daniel! Perché non ci aveva pensato prima? Capitolo 8 Desdemona si svegliò nel letto di Rabies. Ormai si era abituata a dormire lì. La notte prima lo aveva aspettato fino a tardi, poi però, vedendo che non arrivava, aveva dovuto cedere sotto il peso del sonno. Era rientrato? O forse era ancora in giro? O magari... gli era successo qualcosa. Scese rapidamente dal letto, aprì la porta e corse attraverso il corridoio. Controllò prima nel salotto, poi nella cucina, ma senza alcun risultato. Decise allora di fare colazione. Aveva appena aperto il frigorifero quando sentì il rumore della chiave che veniva infilata nella toppa. Prima che la porta si aprisse lei era già lì davanti; quando si ricordò di essere ancora in pigiama era troppo tardi: Rabies era già entrato, aveva il fiatone. «Vestiti e...» esordì ansimando, ma poi vedendola alzò un sopracciglio. «Nuovo look?» non aspettò la risposta. «Comunque, date le circostanze, soprattutto vestiti, poi andiamo». «Ciao!» esclamò lei volendolo rimproverare per non avere neppure salutato. «Muoviti!» rispose visibilmente innervosito. «Ma...» guardò la parte di pavimento che entrando aveva sporcato di fango. «Sei lurido!». «E tu sei in pigiama; credo che nessuno di noi due abbia intenzione di uscire così...» sgranò gli occhi. «O almeno spero. Dunque, visto che devo cambiarmi anch’io, ti spiace sbrigarti?». «Si può sapere che è successo?». «Oh mio Dio...» disse lui alzando per un attimo gli occhi al cielo. «No! Non fare domande! Ti spiego tutto in viaggio». «Viaggio?». «Sì, portati l’essenziale per un paio di giorni». Lei avrebbe voluto fare altre domande, ma sapeva perfettamente che non sarebbe servito a nulla, se non a farlo ulteriormente arrabbiare. Senza aggiungere altro si voltò e si diresse verso la fine del corridoio, dove c’era il bagno. Lui andò in cucina e da un cassetto tirò fuori una discreta quantità di denaro: per fortuna aveva le sue riserve. Quando Desdemona ricomparve aveva un aspetto decisamente più accettabile, eppure sembrava molto più imbarazzata, qualcosa non andava. «Che c’è? Perché stai lì impalata?». La ragazza finalmente si fece coraggio, respirò profondamente, poi parlò. «Prima di andare, c’è una cosa che devo fare». Rabies sbuffò passandosi una mano fra i capelli. «Cosa?». «Non fare quella faccia» lo rimproverò svogliatamente «Devo passare da Krystel». La mente dell’Emissario venne sfiorata dall’idea di fare qualche battutaccia, ma riuscì a trattenersi. «Va bene. Ti accompagno». «No, preferisco andarci da sola». «Sai che è pericoloso» mormorò. «Certo che lo so, ma non può essere diversamente» nonostante il tono calmo incrociò le braccia sul petto, quasi a voler sottolineare la sua decisione. Rabies era certo che tentare di convincerla a cambiare idea sarebbe stato del tutto inutile. «Fai come ti pare» concluse alzando gli occhi al cielo. «Grazie!» la ragazza sorrise con aria dispettosa e al contempo soddisfatta. «Stai attenta però». «Va bene nonno!». «Chiamami di nuovo “nonno” e giuro che ti trasformo in un rospo!». Un’ora dopo Desdemona era ferma davanti all’entrata del cimitero di Levran. Il cancello di metallo scuro era lavorato finemente, le rose che si intrecciavano erano state rappresentate con incredibile realismo. Il cielo grigio per le nubi, cariche di pioggia, sembrava fare da cornice. Una targa, probabilmente da decenni e decenni, era stata inchiodata alla colonna alla sua destra, fatta dello stesso metallo del cancello. Questa soglia divide due mondi la pietà li congiunge «Pietà:» pensò «forse avrei dovuto averne di più quando Krystel era ancora qui». Poggiò la mano sulla maniglia che sembrava di argento invecchiato. Il cancello si aprì con un cigolio simile a un lamento. Lo richiuse alle sue spalle, ora sentiva di non poter più scappare. Ricordava perfettamente dov’era la tomba, anche se mancava da lì da più di un anno. Fra croci di pietra e lastre di marmo, di tanto in tanto, spuntavano i colori accesi dei fiori. Lentamente cominciò a camminare fra angeli e santi. I lumi emanavano un intenso odore di cera che si mescolava a quello dei sempreverdi. Le fotografie sembravano osservarla da dietro i vetri, qualcuna seria, qualcuna sorridente. Sentì un nodo salirle in gola man mano che si avvicinava. Erano passati tre anni, eppure non si era mai abituata all’idea. Alcune volte le capitava ancora di vedere da lontano per strada qualche ragazza, pensando per un attimo “Chissà se è lei?”. Altre era tentata per un istante di telefonarle, perché dopo tutto quel tempo ancora non aveva voluto cancellare il suo numero dalla rubrica del cellulare. La sua mente si rifiutava di accettare la realtà, forse perché troppo assurda, forse perché troppo ingiusta. Eppure ogni volta che tornava in quel cimitero aveva la conferma della tragica verità. Anche per questo aveva smesso di tornare a visitare la tomba dell’amica: ogni volta sentiva di lasciare, insieme a un fiore, un po’ della sua speranza. In tempi in cui di per sé scarseggiava, sentiva di non poterselo più permettere. Alla fine la lapide comparve. Krystel Knife 1985-2004 Gli angeli danzarono portandoti via con loro Desdemona si chinò poggiando la rosa bianca che teneva in mano sul terreno umido. «Mi manchi tanto tesoro...» mormorò, quasi come se, più che a lei, lo stesse dicendo a se stessa. «Anche se non ne ho il diritto» continuò con voce tremante «ti prego di aiutarmi... Aiutami ad aiutarlo» sospirò. Aveva senso quella preghiera? Rabies chiuse a chiave la porta del suo appartamento. Indossava una giacca nera così lunga da sembrare quasi un cappotto, sul capo una cuffietta nera da cui sporgevano le punte dei capelli. Desdemona aveva uno zaino sulle spalle, come sempre era completamente vestita di nero e alle dita portava molti strani anelli. Dopo aver messo le chiavi in tasca Rabies la squadrò da capo a piedi. «Tu non sei la classica ragazzina che muore dietro alle boy band, vero?». Lei rispose con una smorfia. Entrarono nell’ascensore. «Allora? Mi spieghi cosa succede?». «Ti porto da Daniel». «Sì, questo si era capito» rispose spazientita. «Chi è? Perché mi porti da lui?». «Anche lui è un Emissario, può aiutarci a capire qualcosa in più su tutta questa storia». «È un tuo amico?». Dovette riflettere per qualche secondo. «Diciamo che lo conosco da un po’... Sta molto attenta a lui». «Perché?» domandò lei non riuscendo a capire cosa intendesse precisamente. «Sta attenta e basta» disse bruscamente. «Almeno mi dici dove andiamo?». «A Natas, è parecchio distante da qui; per arrivarci ci vorrà tutto il giorno, dovremo prendere un paio di treni». E fu così: partirono di mattina ma, quando dal treno scesero alla stazione di Natas, il buio era già calato. Nonostante l’ora ovunque c’erano persone che trascinavano i loro bagagli, in ogni angolo mendicanti e accattoni. Rabies, più che capire dove andare, sembrava doverlo semplicemente ricordare, sapeva come muoversi. «Manca ancora molto?» chiese Desdemona visibilmente stanca. «No, qua vicino c’è un albergo che è un tutt’uno con un locale; in genere Daniel canta lì». «Un Emissario cantante?». Lui alzò un sopracciglio. «Di che ti stupisci?». «Beh, è strano immaginare un cantante che nel tempo libero va in giro a strappare l’anima alla gente». Rabies fece una breve risata. «Se avessi visto lui non ti sembrerebbe affatto strano, credimi». Appena usciti dalla stazione Desdemona si sentì travolta dall’atmosfera di Natas: grattacieli e luci ovunque, giardini ben curati ma pieni di spazzatura che, come tutti i giorni, sarebbe stata rimossa l’indomani mattina. L’unica città a cui avrebbe potuto paragonarla era New York. Nel giro di qualche minuto finalmente giunsero a destinazione. Da fuori l’edificio sembrava sporco e malandato. Su un’insegna rossa che si illuminava ad intermittenza perché rotta, si poteva leggere “Benvenuti al Motel Natas”. Desdemona lanciò un’occhiataccia a Rabies. «Albergo, eh?». Lui si strinse nelle spalle. «È la stessa cosa» farfugliò. Entrando la ragazza poté notare che l’impressione data dall’esterno dell’edificio non era affatto sbagliata. Un vecchio da dietro il banco della hall li accolse con un grugnito, indicò il listino dei prezzi alle sue spalle. «Volete una stanza o dovete scendere al piano di sotto?». «Entrambe le cose» rispose Rabies prendendo il portafoglio. Tirò fuori alcune banconote e le poggiò sul banco. L’uomo controllò in controluce che fossero autentiche, poi prese la chiave di una stanza e gliela porse. «Buona permanenza» disse con un tono che, anche se sgarbato, rappresentava probabilmente il massimo della cortesia da lui raggiungibile. Rabies afferrò la chiave e voltandosi fece cenno a Desdemona di seguirlo e salire al piano superiore. Percorsero la breve scalinata, poi si trovarono davanti a un corridoio lungo e stretto, il cui pavimento era ricoperto da un’orribile moquette. Arrivati davanti alla camera lui si fermò di colpo. «È questa». Desdemona lo guardò stupita. «Come fai a sapere che è proprio questa?». «Puro intuito» rispose ironicamente lui indicando il numero tredici ben leggibile sulla chiave. Una volta entrati poterono constatare che anche la loro stanza era in perfetta armonia col resto della struttura: la ragazza non aveva mai visto una camera più brutta e squallida di quella. Tutto ciò che conteneva erano due brandine malandate e due comodini, ognuno con una piccola lampada poggiata sopra; non osarono entrare nel bagno. Poggiò il suo zaino su uno dei letti, uscirono chiudendo a chiave la stanza e si diressero al piano inferiore. Stavolta sarebbero entrati nel famigerato locale. Scesa l’ultima rampa di scale aprirono la porta d’ingresso e furono investiti dalle note di un gruppo black metal. Un centinaio di persone erano riversate in un locale che in realtà, molto probabilmente, era progettato per ospitarne poco più della metà. Tutti, senza eccezione, erano rapiti dalla musica. Spingendosi e strattonandosi si muovevano a ritmo, simili a una marea. «Questo gruppo è in gamba! Chi sono?» domandò Desdemona. «I Children of Fear». «Ma dov’è Daniel?» doveva urlare a squarciagola per farsi sentire. «Come facciamo a trovarlo?». Rabies indicò un punto dall’altra parte della sala. La ragazza guardò in quella direzione ma, non riuscendo a capire a chi si riferisse, gli lanciò uno sguardo perplesso. «Guarda sul palco: è il cantante». Alzò lo sguardo e finalmente lo vide. Un uomo che doveva avere qualche anno in più di Rabies cantava con quanta grinta aveva in corpo. Arrivava a prendere note talmente alte da essere quasi assurde, eppure era in grado di “growllare” in maniera fenomenale. Non sembrava essere molto alto; aveva i capelli neri e lisci, lunghi quasi fino al fondoschiena. Era vestito di nero e portava degli anelli molto simili a quelli di Desdemona. Aveva un piercing al labbro e uno al naso. Il suo viso era completamente truccato di bianco eccezion fatta per la matita nera sotto e sopra agli occhi, ma anche agli angoli delle labbra, da cui partivano due linee verticali che andavano verso il basso. Il rossetto nero metteva in risalto la dentatura ogni volta che apriva bocca. Le sue iridi, di un azzurro talmente chiaro da sembrare quasi bianco, splendevano alla luce dei riflettori. La ragazza tornò a guardare Rabies. «Quello sarebbe Daniel?». «Sì, ma perché ci hai messo tanto a capirlo? Ti avevo già detto che canta». «Cosa?» chiese Desdemona non avendo capito a causa della musica altissima. «Ti avevo già detto che canta!» ripeté lui cercando di alzare ulteriormente la voce. «Non ci avevo pensato» strillò. «Ma come facciamo a parlarci?». «È già tardi, fra poco il concerto dovrebbe finire, quindi goditi le poche canzoni che restano, dopo potremo avvicinarlo senza problemi... Spero» mormorò l’ultima parola fra sé e sé. Prese da una tasca un pacchetto di sigarette e ne accese una. Ci volle solo un quarto d’ora prima che i Children of Fear terminassero la loro esibizione fra urla e applausi. Istantaneamente Rabies prese la ragazza per un braccio «Forza, muoviamoci prima che se ne vada». Facendo attenzione a non staccarsi l’uno dall’altra per non perdersi, si fecero strada fra gomitate e spintoni. Finalmente arrivarono al piccolo corridoio che costituiva il backstage. Daniel stava parlando con il bassista, ma subito si voltò a guardare Rabies con una strana espressione, fra il perfido e l’idiota. «Sapevo che eri qui» sorrise in maniera altrettanto strana. «Non essere troppo felice» rispose lui con aria già seccata. «E lei chi è?» chiese rivolgendosi a Desdemona. «Una persona che sa». Alzò un sopracciglio. «Interessante...». «Durante un combattimento fra me e un angelo è stata colpita alla schiena. È comparso un simbolo, una stella a sei punte. Ne ho trovata una identica su una tavola ouija; appena ho evocato gli spiriti, senza fare alcuna domanda, hanno detto che la risposta è nel tempo. Intanto lei, che era lì davanti, ha avuto una sorta di visione in cui ha visto una sua amica morta da anni; diceva che il messaggio proviene da spiriti a noi favorevoli» disse come se stesse facendo il riassunto di un film piuttosto noioso. «Come si chiama?» pur ascoltando Rabies, continuava a guardare la ragazza con eccessivo interesse. «Desdemona, ma mi vuoi ascoltare?» lo rimproverò lui. «Dimmi Desdemona» cominciò avvicinandosi pian piano «quella ti sembrava davvero la tua amica?». Era strano: nonostante, ora che non era più sul palco, desse l’impressione di essere una persona dall’umorismo demenziale, nei suoi occhi c’era qualcosa di ipnotico. La ragazza lo fissava, era allo stesso tempo terrorizzata e affascinata. Per lei era sempre stato piuttosto semplice capire le persone solo con uno sguardo, ma lui era diverso, qualcosa le sfuggiva. «Era lei, non c’è ombra di dubbio». «Sei certa di quello che dici?». Lei annuì «Assolutamente». «Mmm... Bene» si grattò una spalla. «Credo di potervi aiutare». «Bene» commentò Rabies. «Non essere troppo felice» stavolta fu Daniel ad ammonirlo. «In cambio, ovviamente, voglio qualcosa». Lui gli lanciò un’occhiataccia. «Che vuoi?». Con l’indice fasciato da uno dei suoi anelli accarezzò una guancia di Desdemona. «La tua amica è carina...». Rabies lo allontanò dandogli uno spintone. «Ma non lo vedi che è una ragazzina?! Lasciala stare!». «Mah... a me sembra già abbastanza grande». «Nessuna ragazza è mai pronta per uno come te». «Dai... Non sono poi così cattivo» sorrise perfidamente. La ragazza era tremendamente imbarazzata, non sapeva dove nascondere la faccia. «Senti» Rabies ormai ne aveva abbastanza e si tratteneva a fatica «se vuoi che la tua ricompensa sia qualcosa di diverso da un pugno in faccia, ti conviene trovare qualcos’altro e alla svelta!». «Oh, lei piace a te, potevi anche dirlo» rispose con fare malizioso. Lui avrebbe voluto incenerirlo con lo sguardo. «Imbecille!» sibilò. «Sei disposto a fare qualche lavoretto per me?». «Dipende». «Diciamo che dovresti ripulire una casa». «Voi che vada a rubare per te?». «No, che diventi Cenerentola! Ti sembro la fata buona?». «Cosa vuoi che prenda?» chiese ignorando la sua ironia. «Un libro di magia». «Perché non te lo prendi da solo?». «I proprietari della casa sono anche i proprietari di questo posto, se mi vedono mentre sono all’opera devo ucciderli, se li uccido rischio di restare senza lavoro». Fece una smorfia. «Secondo me c’è la fregatura... Comunque accetto. E mi aspetto che poi tu stia ai patti». «Non sono così stupido da volerti avere contro, poi aiutarti non mi costa assolutamente niente. Sta attento a lei però: la stai mettendo in un guaio che neppure immagina» tornò a sfoggiare quel suo strano sorriso. «A me basta che non ti avvicini tu, a tutto il resto c’è rimedio». La guardò per un attimo. «Poi fidati, in questo guaio ci si è messa con le sue stesse mani». «Ma si può sapere perché ce l’hai con me?» chiese con finta innocenza. «A cosa devo tanta ostilità?». «Sarà per il fatto che sei peggio di una bestia». «Sei convinto di essere migliore di me? Un Emissario è un Emissario!». «Io faccio quello che sono costretto a fare, tu...» fece una pausa, sul volto aveva un’espressione disgustata. «Ti diverti a umiliare le tue vittime, fai loro qualsiasi cosa sadica ti passi per la mente! Ci provi gusto». Desdemona rimase in silenzio ma rabbrividì. Daniel sorrise ancora una volta. «Non è sempre stato così» rispose con calma inquietante. «Ma non devi preoccuparti, il piacere arriva col tempo». Rabies inorridì. «Tu sei un maledettissimo pazzo maniaco!» gli urlò in faccia. «Non diventerò mai come te! Mai!» si domandò se stesse gridando per la rabbia o per la paura di poter divenire simile a lui. Come risposta ottenne solo un’espressione beffarda. «E togliti quel sorriso dalla faccia!». Desdemona si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla. «Rabies...» disse con voce calma. «Non ascoltarlo» poggiando l’altra mano sul suo viso lo invitò a guardarla negli occhi. «Facciamo quello che ci ha chiesto, otteniamo il suo aiuto e tentiamo di risolvere la questione. Ma sai meglio di me che non devi starlo a sentire, ha torto». Lui annuì. La ragazza poteva leggere nel suo sguardo quanto fosse spaventato. «Ma che carini...» commentò ironicamente Daniel. «Credo che potrei anche commuovermi». «Pensa meno a fare lo spiritoso e dammi quel dannato indirizzo». L’uomo prese carta e penna da un tavolino lì vicino e scrisse qualcosa su un foglietto. Lo piegò poi lo diede a Rabies che senza controllare se lo mise in tasca. «Prima o poi brucerai all’Inferno». «Potresti anche arrivarci prima di me però» rispose Daniel guardando la sigaretta che il suo “collega” stringeva fra le dita. «Può darsi, ma potrebbe anche non andare così» espirò in modo che tutto il fumo gli andasse in faccia, ma la cosa non sembrò infastidirlo. «Lo vedremo». A questo punto Rabies non replicò, si limitò a voltarsi e ad andarsene. Desdemona lo seguì. Daniel rimase lì impalato per qualche secondo; a momenti pensava che quell’uomo fosse piuttosto ingenuo, troppo per essere ciò che era, in altri provava per lui un’ammirazione che quasi sfociava nell’invidia: nonostante fosse già da qualche anno un Emissario, era come se, almeno in parte, riuscisse ancora a rimanere fedele ai suoi principi. In un certo senso era un ribelle. Entrambi erano piuttosto conosciuti nel loro ambiente: Rabies era infallibile e insolitamente indipendente, per quanto possibile ancorato a quelli che erano stati i suoi ideali, Daniel era l’esatto opposto, eccezion fatta per l’efficienza e l’infallibilità. Era di certo uno degli Emissari più crudeli e spietati che ci fossero, come se col tempo il suo cuore fosse marcito. Mese dopo mese, le sue azioni e i suoi modi di svolgere ciò che gli veniva ordinato si erano fatti sempre più sadici e cruenti. Ormai era risaputo che fare del male fisicamente e psicologicamente alle sue vittime lo appagava in maniera inimmaginabile. Lui ovviamente andava più che orgoglioso della sua reputazione. Ma come sarebbe stata la sua vita se non avesse ceduto? Si rispose che invece di divertirsi avrebbe passato il resto dell’esistenza fra rimpianti e rimorsi, e l’idea non lo attirava per niente. La corruzione era ben accetta, purché portasse con sé il piacere. Una voce femminile alle sue spalle interruppe quei pensieri, doveva essere una delle sue ammiratrici. Nonostante non si potesse dire che i Children of Fear fossero famosi, c’erano già gruppi di persone che andavano più o meno a ogni loro concerto. «Daniel!». «Sì?» si voltò trovandosi davanti una ragazza che, a giudicare dall’abbigliamento, doveva essere una blackster. «Complimenti, siete stati davvero fantastici!». Capitolo 9 «Non se ne parla neanche!» Rabies ancora una volta alzava la voce, ma stavolta ce l’aveva con Desdemona. «Ma perché?». «Due parole: è pericoloso». Camminavano per le strade di Natas alla ricerca dell’abitazione che avrebbero poi dovuto derubare. «Non ti lascerò fare tutto da solo». «Questo non è detto». «Ho detto di no! Per quale motivo mi hai tenuta per quasi tre settimane sui libri? Per lasciarmi da parte quand’è il momento di agire?». «No: per poterti difendere in caso di estremo bisogno». «E come farò senza aver mai praticato nella vita reale? Potrei anche non riuscirci». Lui scoppiò a ridere, non sapeva se essere più irritato o divertito. «Sei incredibile... Ne sai una in più del Diavolo!». La ragazza sorrise. «Se lo dici tu, che sai di cosa parli, allora non posso fare altro che crederci». «Ascolta, la magia non è un gioco, usala solo quando è necessario. Più la usi, più corri il rischio di essere scoperta». «Da chi? Dai demoni? Dagli Emissari?». «Ma no...» scosse la testa. «Loro possono avvertire chiaramente ciò che c’è in te, il problema sono tutti gli altri». «Gli altri?». «Le persone che non sanno» spiegò lui. «Se solo ti vedessero potresti rovinargli la vita, o peggio, loro potrebbero rovinare la tua. In genere chi assiste a questo tipo di cose si convince di essere pazzo, di soffrire di allucinazioni oppure, come succedeva soprattutto in passato, diffonde la notizia e, dopo aver messo su un gruppo di fanatici, ti perseguita. Ricorda: la caccia alle streghe in realtà non è mai finita». Lei scosse leggermente il capo. «La gente non capirà mai...». «No Desdemona, mai». «Aspetta un secondo!» di colpo sul suo volto comparve un’espressione felice. «Tutto questo discorso vuol dire che mi porterai con te?». «Non ho mai detto questo». «Ma è così? Lascerai che venga?». Rabies sbuffò. «Ho altra scelta?». La ragazza si finse pensierosa. «Beh, in effetti puoi scegliere fra due alternative: portarmi con te, senza riportare danni, o portarmi con te avendo le orecchie martoriate dalle mie insistenti richieste». «Opterei per la prima» disse lui senza scomporsi minimamente. «Ti ringrazio, in questa maniera mi risparmi tanta inutile fatica». «Scherzi a parte, sta’ attenta quando saremo lì: non possiamo sapere se Daniel non vuole andarci di persona per i motivi che ci ha spiegato o perché è troppo rischioso». Solo a sentirlo nominare le parve di rivedere quel suo sguardo ipnotico. «Perché? Cosa potrebbe esserci?». «Di tutto». «Rassicurante». «È la verità». «È proprio questo il punto! A proposito di Daniel, è strano. C’è qualcosa che mi sfugge in lui». «Sta’ attenta, non sei la prima ad esserne attratta... e le persone a cui piace non fanno mai una bella fine». «Non sono attratta da lui!» ribatté quasi offesa. «Non ancora, ma ti incuriosisce e, nel suo caso, fra una cosa e l’altra, il passo è assai breve». «Dopo quello che so su di lui?». «Soprattutto dopo quello che sai su di lui». Desdemona era talmente imbarazzata e arrabbiata da non riuscire a rispondere. Lei con una cotta per un essere simile? Ma per chi l’aveva presa? «Lo so che quello che ti sto dicendo può sembrare orribile e assurdo, ma prova a pensarci un attimo: se un mese fa ti avessero spiegato cos’è un Emissario, se ti avessero detto che avresti addirittura insistito per andare a derubare una casa con una persona così, ci avresti creduto?». La ragazza non riusciva a dormire: continuava a pensare alle parole di Rabies. Daniel era davvero così pericoloso? Era realmente così semplice cadere nella sua trappola? La stanza era illuminata solo dalla fioca luce della lampada poggiata sul comodino di Desdemona. Distesa sul letto, si voltò a guardare quello che ormai era il suo compagno di viaggio. Era così bello mentre dormiva... Dato che avevano sempre dormito separatamente non aveva mai avuto occasione di osservarlo in quei momenti. Vide il suo viso come mai prima di allora: completamente sereno. L’inferno ghiacciato dei suoi occhi poteva finalmente riposare, protetto dal manto di ombre con cui il sonno l’aveva ricoperto. I suoi capelli scuri accarezzavano la federa a ogni leggero movimento del capo. Lei si mise a sedere sul letto. Scese e si avvicinò lentamente a Rabies, facendo attenzione a non fare rumore. Si inginocchiò sul pavimento. Ora poteva sentire il suo respiro sulla pelle, fu come se il tempo si fosse fermato, sentì i battiti del cuore accelerare leggermente. Con una mano gli sfiorò i capelli, poi lasciò che le dita scivolassero sulla tempia, sulla guancia e, alla fine, sulle sue labbra. La pelle di Rabies era calda e vellutata, il tocco di Desdemona pieno di tenerezza. Nei suoi occhi, ormai lucidi, era comparsa un’espressione sognante. Era diventato importante per lei, forse troppo. Come al solito aveva ragione lui: cose che fino a poco prima sarebbero sembrate impossibili potevano tranquillamente accadere. Qui però, purtroppo e per fortuna, non si parlava di Daniel. Se avesse potuto avrebbe estirpato dal suo cuore l’affetto che aveva cominciato a provare, l’avrebbe bruciato; o forse no. Era sempre stata una maestra nel farsi del male, ma desiderare il bene di un dannato era un vero colpo di genio. Eppure, anche se nascosta dietro i veli del Male, poteva vedere un’oscura dolcezza in lui. Esitando ritirò la mano. Si mise nuovamente a letto e spense la lampada. Prima di addormentarsi ci fu un pensiero ad accompagnarla e a cullarla: quello dell’uomo che era lì di fianco a lei, un dolcissimo veleno. Fu la voce di Rabies a svegliarla. «Desdemona!». Lei rispose borbottando qualcosa di incomprensibile. «È ora di svegliarti, vedi di muoverti!». Si alzò di scatto. «Come sarebbe? Non dovevamo andarci di notte?». «È già notte» rispose guardandola male. Prima di andare a dormire, i due avevano fatto un giro a Natas per trovare l’abitazione che avrebbero poi dovuto derubare. In seguito avevano deciso che la loro missione si sarebbe svolta la notte successiva, dunque Rabies le stava praticamente dicendo che aveva dormito per quasi ventiquattro ore. «Ho dormito un giorno intero?». «Sì, pigrona!». «Che ore sono?». «Le due, sbrigati». Senza aggiungere altro la ragazza prese lo zaino con dentro i suoi vestiti e quelli di Rabies e si precipitò in bagno. Un’ora dopo erano nuovamente davanti all’edificio di cui, la notte precedente, avevano scoperto l’ubicazione. La vista della villa riportò alla mente dell’uomo Lilian Cumb. L’enorme cortile era praticamente una scacchiera, formata da grosse mattonelle quadrate, bianche e nere, con tanto di statue di marmo degli stessi colori, alte all’incirca un paio di metri, raffiguranti tutti i pezzi degli scacchi; mancava solo la regina nera. Alle spalle del cortile si ergeva la villa in stile gotico. Le enormi vetrate erano coperte da disegni che rappresentavano Cristo crocifisso. Ovunque dalle facciate sporgevano statue di gargoyle. Per un attimo Rabies, sentendosi debole, si aggrappò al cancello: gli sembrava che le sue gambe stessero per cedere. Un’orrenda sensazione lo pervase da capo a piedi. «Che hai?» la ragazza lo sorresse. «Pessimo presentimento!» si lamentò lui. «Non mi sbagliavo, c’è il tranello. Là dentro c’è qualcosa...». «Ce la fai?». Annuì rimettendosi in piedi. «Sta’ molto attenta però». Nel giro di poco scavalcarono il cancello; ora anche Desdemona poteva sentire ciò di cui parlava Rabies. In preda al terrore lo prese per un braccio. Lui la guardò. «Lo senti anche tu, vero?». «Sì... È tremendo» rispose impaurita. «È un’ottima cosa: stai sviluppando il tuo sesto senso. Ora però non devi lasciarti dominare, le sensazioni che provi devono servirti a stare in guardia contro eventuali pericoli, non a deconcentrarti». La ragazza poteva quasi sentire delle urla nella sua mente. Terrore e angoscia si mescolavano dentro la sua testa, tuttavia si fece coraggio e proseguì. Attraversarono il cortile guardandosi intorno, sembrava che quelle statue dovessero prendere vita da un momento all’altro. Erano impressionanti, perfette in ogni dettaglio. Arrivati davanti al gigantesco portone, a Rabies bastò un tocco perché la serratura scattasse. Con una mano lo accompagnò lentamente e con un cigolio si aprì. Guardò negli occhi Desdemona come per raccomandarle prudenza. La giacca di pelle rossa che indossava rifletteva in piccola parte la luce proveniente dall’interno. Varcarono la soglia e si trovarono davanti una sala illuminata solo da candele, con al centro una piscina. I candelabri erano fatti di un metallo scuro e opaco, sbucavano dai muri simili a serpenti; spesso rappresentavano dragoni o figure demoniache. «Le candele accese... Sapevano del nostro arrivo». Le luci che si riflettevano sulle piastrelle nere rendevano l’atmosfera ancora più inquietante. Dal corridoio in fondo a sinistra proveniva un rumore di tacchi; finalmente giunse la padrona di casa. Sul pallido viso dai tratti nordici risaltavano le labbra, tinte di un rosso acceso, e gli impenetrabili occhi neri. Aveva i capelli scuri, lisci e lunghi, la fronte veniva coperta da una frangetta. Indossava una lunga veste nera con orli e ricami dorati. Uno spacco si apriva sul lato destro per arrivare sino alla coscia. «Benvenuti». «Chi sei?» chiese Desdemona. Sorrise senza calore. «Dovrei essere io a chiederlo». A Rabies erano bastati pochi secondi per capire con chi, o forse sarebbe stato il caso di dire “con cosa”, avessero a che fare. Da una tasca tirò fuori un accendino e un pacchetto di sigarette, ne prese una. Per un attimo guardò la donna. «Non ti dispiace, vero?» senza attendere la risposta si mise la sigaretta fra le labbra e la accese. Tirò una lunga boccata di fumo mentre si voltava verso Desdemona. «È un vampiro mutaforma». La ragazza strabuzzò gli occhi. «E, di grazia, che diavolo è un vampiro mutaforma?». Rabies fece un vago gesto indicando la donna. «Lei». Desdemona gli lanciò un’occhiataccia. «Grazie per la delucidazione» rispose ironicamente. «Non è educato che litighiate qui, nella mia dimora, senza neppure esservi presentati. Ma non importa, ho avvertito la vostra presenza ieri notte e ho immaginato che sareste tornati» fece una pausa guardando i due come un lupo affamato guarda la sua preda prima di dilaniarla. «Grosso errore...». «Sta’ attenta: si nutre della forza vitale di altri esseri e può assumere un’infinità di forme». La ragazza lo guardò completamente sbalordita: come diavolo faceva a starsene lì tranquillo a fumare avendo davanti una cosa del genere? «E... Cosa facciamo?!». «Per ora niente» rispose con tutta la calma del mondo. «Rassicurante». «È una creatura del Male, non posso attaccarla se non è lei a farlo per prima». Il vampiro incrociò le braccia sul petto. «Cosa volete? Non sono un essere molto paziente». Lo sguardo di Rabies si fece duro e deciso. «Il libro, vogliamo il libro». La creatura rise di gusto. «Non ve lo darò mai, l’ho scritto io personalmente ed è mio». «Comprendo che tu possa non essere d’accordo, ma lo voglio e lo avrò». Sorrise. «Vedremo... Ma dimmi, hai notato la mia graziosa scacchiera fuori?». Lui non rispose. «Ogni pezzo, ogni singolo pezzo, un tempo era un essere umano. Ho preso la loro forza vitale ma ho lasciato loro la coscienza, li ho intrappolati in quelle statue per l’eternità. Sentono ogni cosa ma non possono reagire in alcun modo; li ho lasciati in preda alla follia e alla disperazione». Desdemona inorridì; ora comprendeva perché si fosse sentita in quel modo appena scavalcato il cancello. «È un peccato che tu e Daniel non vi conosciate» disse Rabies con una smorfia. «Certo che conosco Daniel, siamo ottimi amici, eccezion fatta per un piccolo punto su cui siamo in disaccordo: anche lui vuole il mio libro. L’ultima volta che è passato da queste parti ha rischiato di diventare uno dei miei giocattoli». L’Emissario alzò un sopracciglio: non si era sbagliato, la fregatura c’era ed era anche grossa. «Hai intenzione di tenermi qui per sempre a chiacchierare o farai qualcosa?». «Qualcuno che voglio tenere qui per sempre c’è, ma non sei tu» rivolse lo sguardo a Desdemona. «Nella mia scacchiera manca la regina nera». La ragazza aveva lo sguardo terrorizzato, indietreggiò di qualche passo. Rabies si mise fra loro due in segno di difesa. «Scordatelo». «Tnias comanda ai ghiacci di piegarsi al suo volere» sibilò. Fra le sue mani si formò una sfera luminosa da cui cominciarono a saettare spuntoni di ghiaccio. Istantaneamente Rabies lasciò cadere la sigaretta e creò uno scudo infuocato che rese vano l’attacco della sua avversaria. Cominciò ad avanzare verso di lei. Le fiamme si riflettevano sulla sua veste lucida. Tnias approfittò del fatto che lo scudo impedisse una visione nitida di ciò che c’era dall’altra parte. Con un balzo cambiò angolazione, da quel lato Rabies era scoperto. Lanciò un’altra raffica di spuntoni. Lui tentò di schivarli ma non fu abbastanza veloce, venne colpito al braccio e alla gamba destra; era ferito. Non lasciandosi sfuggire l’occasione, il vampiro mutaforma lanciò un fascio di energia contro Desdemona. Era diverso da quelli che la ragazza aveva visto fino a quel momento, invece di illuminare l’ambiente circostante sembrò quasi assorbire gran parte della luce, con tutta probabilità doveva servire a prenderle la forza vitale e a tramutarla in una statua. Rabies, che era caduto a terra, si sporse in avanti; non sarebbe mai riuscito ad arrivare in tempo. Fu allora che Desdemona sollevò il braccio sinistro, bloccò il colpo di Tnias e glielo ritorse contro. Prima che potesse rendersene conto la creatura venne colpita dalla sua stessa magia. L’Emissario rimase stupito dall’abilità e dalla prontezza di riflessi che la ragazza aveva sviluppato. Desdemona lo guardò sorridendo. «Te l’avevo detto, ho fatto bene a venire». Tnias ansimava, sembrava una cagna con la rabbia. Le dita della mano destra cominciarono a pietrificarsi. «Maledetta! Ma non credere di esserti salvata, ti porterò con me!». Nel giro di pochi istanti si mise a gattoni, la veste e i capelli neri si trasformarono in pelo, gli occhi divennero quelli di un felino, le unghie artigli. Era diventata una pantera. Saltò, aprì la bocca e i suoi canini divennero acuminati. «Non farti mordere Desdemona! Non farti mordere!» urlò Rabies. La ragazza cominciò a correre verso il corridoio, ma Tnias si avventò su di lei ed entrambe caddero nella piscina. Il vampiro abbandonò la sua forma animale. Desdemona sott’acqua diede un pugno nello stomaco alla sua avversaria che si piegò per il dolore. L’acqua fredda le pungeva la pelle. Tentò di nuotare verso l’alto, ma la creatura la afferrò per una caviglia trascinandola. La strinse violentemente per i fianchi e avvicinò la bocca al suo collo. La ragazza si dimenava disperatamente, non riusciva più a trattenere il fiato, sentiva il cuore battere all’impazzata ed era come se i suoi polmoni stessero per scoppiare. Che diamine sarebbe successo se quella cosa fosse riuscita a morderla? Continuò a dibattersi, ma senza successo. Per quanto si impegnasse non era capace di liberarsi da quella fatale morsa. Pochi secondi dopo sentì i canini di Tnias affondare nella sua pelle. E ora cosa l’attendeva? «Forse è la fine...» pensò avendo la sensazione che l’abbraccio finale di quelle acque fosse vicino. «O forse è solo l’inizio». Capitolo 10 Desdemona sentì un tonfo e guardò verso l’alto. Tutto ciò che riuscì a vedere prima di perdere i sensi fu qualcosa di rosso: Rabies si era gettato in acqua. Tnias la lasciò andare per dedicarsi a lui. Il corpo della ragazza, ormai priva di coscienza, fluttuava in quelle acque che entro poco l’avrebbero uccisa. Il vampiro attaccò Rabies usando nuovamente il ghiaccio. “Dannazione! Non posso usare il fuoco sott’acqua!” alzò il braccio sinistro e fece in modo che gli spuntoni deviassero. Poteva usare delle scariche elettriche, lui sarebbe stato protetto, ma Desdemona? Doveva trovare un modo di tirarla fuori da lì. “È rischioso” pensò “ma devo tentare”. Chiuse gli occhi, fece appello a tutta la concentrazione di cui era capace. Dal suo corpo fuoriuscirono due immagini di lui stesso; aveva creato delle illusioni perfette. Le tre figure cominciarono a nuotare intorno a Tnias, evidentemente disorientata. Dopo pochissimo Rabies nuotò rapidamente verso Desdemona, la afferrò e – con enorme fatica ed enorme dolore causato dalle ferite – la portò con sé in superficie. Appena emerse cominciò a respirare affannosamente con qualche gemito di tanto in tanto; stava sforzando troppo il braccio e la gamba a cui era stato colpito. Riuscì ad arrivare al bordo della piscina e a tirare fuori la ragazza. Inginocchiato di fianco a lei, le scostò i capelli bagnati dal viso; vide quei segni sul collo: era stata morsa. Sgranò gli occhi. Com’era possibile? Ma ora non c’era tempo. Con due dita le tappò il naso, con l’altra mano tirò leggermente il mento verso il basso in modo da farle aprire la bocca. Avvicinò le labbra alle sue e cominciò a respirare per lei. Spostò le mani sul suo addome e spinse per quattro volte. Si spaventò vedendo che non c’era nessuna reazione. «Ti prego Desdemona, riprenditi, riprenditi!» mormorò. Ripeté l’operazione una seconda volta, ancora niente. Ricominciò da capo mentre sentiva i battiti del proprio cuore accelerare, aveva paura. Dopo la terza volta Desdemona cominciò a tossire sputando acqua. Rabies l’aiutò a mettersi a sedere. «Come ti senti?». Prese fiato. «Confusa. Cosa...?» non riuscì a finire di formulare la domanda: il vampiro riemerse dalla piscina. I suoi occhi erano completamente bianchi. «Ora arriva il difficile: sa di essere vicina alla fine. Sa di non avere più niente da perdere». Ormai tutta la parte destra del busto e metà del viso di Tnias erano divenuti pietra. La ragazza tossì, si alzò in piedi. Le gocce che colavano dai suoi vestiti e dai suoi capelli producevano una sorta di ticchettio sul pavimento. «Complimenti per il nuovo vestito. Molto carino, ma non mi pare altrettanto comodo» la schernì con un sorriso soddisfatto. Rabies la guardò preoccupato: entro quanto il morso avrebbe cominciato a fare effetto? Sperava non accadesse troppo presto: ormai era stanco e malridotto, in quelle condizioni non sarebbe riuscito a sostenere una situazione simile. Ma, a parte questo, come avrebbe potuto fare del male a Desdemona? Tnias cominciò a correre verso la ragazza, lei protese il braccio sinistro facendola cadere a terra. Il vampiro gemette rabbiosamente. Non poteva rialzarsi: anche i piedi e parte dei polpacci erano pietrificati. La ragazza la guardò con occhi pieni di risentimento. «A quanto pare, farai la stessa fine che hai fatto fare a quegli esseri umani che tanto disprezzi». La creatura poté rispondere solo con uno sguardo terrorizzato, poi divenne una statua. Desdemona la fissò per un attimo, poi guardò allegramente Rabies. «Ti devo la vita... due volte!». Lui sorrise, poi tossì. «Aiutami ad alzarmi, dama senza macchia e senza paura». Si avvicinò e lo aiutò a tirarsi su, poi prese un suo braccio e se lo fece passare dietro il collo. «Appoggiati a me» bisbigliò con voce gentile. Rabies non capiva. Come mai il morso ancora non faceva effetto? Non era affatto ansioso, ma ogni secondo che passava, il pensiero di ciò che sarebbe potuto accadere gli faceva sempre più male. «Dobbiamo cercare il libro adesso». Desdemona annuì, ma in quella strenua lotta aveva quasi scordato il motivo per cui erano lì. Avendo le scarpe bagnate fu sul punto di scivolare portandosi dietro anche Rabies, ma fortunatamente riuscì a restare in piedi. Entrambi si trattennero per un paio di secondi, poi scoppiarono a ridere. «Sarai il bastone della mia vecchiaia, cara» disse lui, ma poi d’un tratto la sua risata si estinse, si fece serio. «Ora che hai rischiato molto più della vita... ora che hai davvero rischiato l’eternità, se tornassi indietro» fece una pausa e le rivolse uno sguardo talmente dolce, malinconico e sincero che avrebbe potuto scioglierle il cuore, la luce delle candele danzava nei suoi occhi «mi seguiresti ancora?». La ragazza lo guardò a sua volta. «Assolutamente sì» rispose con un sorriso. Rabies si schiarì la voce, come per scacciare l’imbarazzo. «Dobbiamo prendere il libro...» disse a voce bassa. «Già, il libro». Arrivarono davanti al corridoio, illuminato anch’esso solo da candele. «Ma perché in questa casa deve essere tutto tetro?» commentò Desdemona osservando la strana moquette che ricopriva il pavimento. I quadri appesi alle pareti ritraevano disegni molto particolari: vampiri che si mordevano a vicenda, croci al contrario, licantropi, streghe e addirittura scene di sacrifici umani. «Eppure non capisco» continuò la ragazza. «Streghe, croci al rovescio... Qualunque persona abbia un minimo di dimestichezza con queste cose sa che non sono veri simboli del male». «Certamente, ma per certi esseri non sono importanti i veri significati delle cose, è importante solo terrorizzare». Lei scosse il capo, forse non sarebbe mai arrivata a comprendere pienamente la natura di certe creature. Passarono davanti ad alcune stanze, ma entrambi sentivano perfettamente che ciò che cercavano non era lì. Desdemona aveva sempre avuto uno spiccato sesto senso, ma era evidente che con lo studio della magia si stesse sviluppando sempre più. Certo che chiunque avrebbe avvertito la negatività presente in quella villa. Ripensò ai quadri che aveva appena visto: vampiri. Di colpo si ricordò di quello che era accaduto in acqua, le parve di sentire nuovamente i canini di Tnias affondare nel suo collo. Rabbrividì. Cosa le sarebbe accaduto adesso? I suoi pensieri vennero interrotti dalla voce di Rabies. «Eccolo». Nella sala davanti a loro, su un leggio fatto d’ottone, c’era un libro piuttosto grande che aveva l’aria di essere molto antico. Si avvicinarono, Desdemona esitò per un attimo, poi lo prese fra le mani. Era impregnato di magia oscura, poteva sentire il sangue ribollire nelle vene. «Sei sicuro che questa sia la cosa giusta?». «Dare il libro a Daniel intendi?». La ragazza annuì. «Piuttosto sono sicuro che non sia così, ma ho perso da tempo la presunzione di credere di poter agire sempre per il meglio». Lei rimase in silenzio, non era quello che avrebbe voluto sentirsi dire, eppure doveva ammettere che, semplicemente, l’Emissario aveva ragione. Rabies e Desdemona erano nella loro stanza al Motel Natas, entrambi sfiniti. Lui cercava di nasconderla, ma la sua sofferenza per le ferite era evidente. «Appena sarà possibile tenterò di curarti». Aveva un’aria tremendamente stanca ma sorrise. «Buonanotte». «Buonanotte anche a te». Ognuno si sdraiò sul proprio letto; i loro vestiti erano ancora umidi e si appiccicavano alla pelle, ma avevano talmente tanto sonno che nessuno dei due aveva neppure pensato di cambiarsi. Nel sogno Desdemona arrivò in quell’ambientazione surreale venendo fuori da una fitta nebbia. Stavolta qualcosa era diverso: non era un sogno qualsiasi, non era un suo sogno. Rimase di stucco quando comprese di trovarsi nella mente di Daniel. Poche ore dopo fu la ragazza a svegliare Rabies. Entrambi erano pieni di dolori: il prezzo da pagare per aver dormito con i vestiti bagnati in autunno. «Non credi che dovremmo dare un’occhiata al libro prima di darlo a Daniel?» chiese Desdemona. «Ci ho provato, ma è scritto in latino dalla prima pagina all’ultima». «Ma... Io ti ho sentito recitare un incantesimo in latino una volta». Lui rise. «Sì, e quello è tutto ciò che so. Non sono neppure sicuro che grammaticalmente sia corretto». «Andiamo bene». «Non devi preoccuparti di questo». «E di cosa dovrei preoccuparmi?» domandò portandosi le mani ai fianchi. «Di cos’hai sognato stanotte, per esempio» la guardò intensamente. «Oh certo, di cos’ho sognato stanotte!» fece un ampio gesto con la mano, come a voler sottolineare l’assurdità della cosa, ma un attimo dopo si bloccò improvvisamente: lui stava parlando seriamente. «Perché?». «Mormoravi, ti agitavi». «E quindi?» alzò le spalle. «Sono cose che capitano». «Devi prestare attenzione ai sogni che fai, cercare di ricordarli; possono rivelarti cose importanti sulla realtà». «Non ricordo...» rispose lei sforzandosi di tornare indietro con la mente. «Ho sognato qualcosa, ma non ricordo cosa». «Cominciamo bene». «Ci penserò... Comunque andiamo da Daniel, voglio capire cosa sta succedendo». «Anch’io» disse lui pensando al morso del vampiro che ancora non aveva avuto effetto sulla giovane donna. Rabies cercò il suo pacchetto di sigarette, ma trovandolo completamente bagnato pensò che fosse il caso di comprarne un altro. «Niente sigarette e una giacca di pelle rovinata! Dannazione!» si lamentò. «Piuttosto che pensare alla giacca perché non pensi a te? Come va con le ferite?». Cominciò a slacciarsi la camicia. «Che fai?» chiese lei sorpresa e imbarazzata. «Ti seduco» rispose con finta serietà. Si sfilò la camicia, poi le mostrò il braccio dove la notte prima era stato ferito; ora non c’era alcun segno. L’attenzione della ragazza fu catturata dai vari tatuaggi che gli coprivano il corpo, uno di questi prendeva tutto il braccio sinistro. «Com’è possibile?». «Sedurti? Beh, sono un bel ragazzo, anche piuttosto interessante, non credo che sarà così difficile». «E smettila!». «Non sono un essere umano qualsiasi, la mia capacità di rigenerazione è molto più elevata. Poi, è difficile che una creatura del Male riesca a infliggere danni molto gravi a un Emissario. E comunque, sei un’insensibile...» disse fingendo di mettersi a piangere. «Credevo che avresti rispettato i miei sentimenti!». Lei scosse la testa. «Rivestiti e andiamo». «Ah, quindi per te sono stato questo: uno da una notte e via!». «Ma piantala!» ridendo gli diede uno spintone, ma al contatto fra le sue mani e il suo petto si rese conto di stare arrossendo. «Ahia!» si lamentò Rabies massaggiandosi. «Mi hai fatto male con le unghie!». «Così impari!». Mezz’ora dopo scesero alla reception con l’intenzione di chiedere dove alloggiasse Daniel, ma lui era già lì, gomiti appoggiati al bancone, ad aspettarli. Rabies indossava dei bluejeans e un maglioncino nero molto leggero. La matita nera metteva in risalto gli occhi verde ghiaccio e, nonostante i capelli lunghi, erano ben visibili gli orecchini ad anello che portava. Desdemona aveva ancora l’aria un po’ assonnata; indossava la maglietta di un gruppo metal con sotto una maglia a maniche lunghe, tutto rigorosamente nero. Ai passanti dei jeans scuri era attaccata una catena. Fece fatica a riconoscere Daniel senza trucco, eccezion fatta per quel suo sguardo ipnotico che tanto l’aveva colpita. «Amici miei, andiamo di sotto» esordì senza neppure salutare. Loro, che da lui non si aspettavano particolare amicizia o educazione, lo seguirono senza commentare. A portare il pesante libro era Rabies. «Sapevi con certezza che l’avremmo fatto ieri notte?» chiese Desdemona mentre scendevano le scale. «So molte cose» rispose con aria indifferente. Spalancò la porta d’ingresso. «Finalmente un posto dove si può parlare. Vedo che hai qui con te il libro, la missione quindi è andata a buon fine. Difficile?». «Più che altro avresti potuto anche avvisarmi che la padrona di casa era un vampiro mutaforma! Brutto nano che non sei altro...» poteva permettersi di prenderlo in giro, essendo alto almeno venticinque centimetri in più di lui. «Cos’è, per caso ti ha morso e invece dell’anima ti ha succhiato il cervello?». «Ignorante, non succhiano l’anima, ma la forza vitale. Non ha morso me ma ha morso lei» disse in fretta, poi alzò un sopracciglio. «Quando eri piccolo tuo padre ti prendeva a pugni in testa?». «È stata morsa ma non ha avuto reazioni?». «Esattamente». Daniel assunse un’espressione compiaciuta. «Sai cosa vuol dire questo?». «Che siamo molto fortunati?». Si avvicinò, gli mise una mano dietro il collo e tirò con forza, obbligandolo ad abbassarsi, poi gli disse qualcosa all’orecchio. Rabies si tirò indietro di scatto. «Di’ un po’, i pugni in testa, oltre che sull’altezza, hanno influito anche sul funzionamento del cervello?». «Hai altre spiegazioni?». «No, ma non può essere così!». «Perché? Perché non ti sta bene?» qualunque idea avesse comunicato a Rabies, di sicuro lo esaltava non poco. «Non è questo il punto! L’hai vista? È impossibile». «Credi pure in quello che vuoi, ma dovresti dirglielo». «Non le dirò niente di simile». La ragazza, confusa, scosse il capo. «Ma di che parlate? Cosa c’è?». «Niente Desdemona, non dargli retta. Ti avevo detto che era pericoloso trattare con lui» rispose stizzito Rabies. «Ma è anche proficuo. Infatti se mi consegni il libro ti darò una mano a dissipare i tuoi dubbi» inclinò leggermente il capo verso sinistra, in quello che probabilmente, secondo lui, avrebbe dovuto essere un atteggiamento quasi rassicurante. Rabies gli porse ciò che avevano recuperato la notte precedente. «Mi basta non essere più costretto a vedere la tua faccia». Nonostante il suo commento, la ragazza pensò che senza trucco il viso di Daniel facesse uno strano effetto: era comunque inquietante, ma vi trovava una sorta di eleganza, non avrebbe saputo spiegare il perché. «La Cattedrale delle Ere è stata sconsacrata e abbandonata da molto. Le leggende dicono che lì sia nascosto il Libro del Tempo; si racconta che sulla copertina ci sia una stella a sei punte». «Cosa ci aspetta là dentro?». Sorrise. «Non lo so». «Simpatico» commentò con una smorfia Rabies. «Vieni Desdemona, andiamo a prendere la nostra roba, poi andiamo a cercare questo libro». Si rivolse a Daniel: «La Cattedrale delle Ere è qui a Natas?». «No, ma dista solo pochi chilometri, non sarà un problema arrivarci». «Arrivarci no, è del resto che mi preoccupo». Sulle sue labbra comparve un sorriso aspro «Spero di non rivederti mai più» disse facendo cenno alla ragazza di uscire. Si voltò per andarsene. «Ah, un consiglio: piantala di andare in giro in ginocchio». «Tanto prima o poi morirai» rispose con voce calma Daniel. Rabies lo ignorò, imitò ironicamente il saluto militare e se ne andò insieme a Desdemona. Fu piuttosto complicato trovare la Cattedrale delle Ere: era situata in una zona di campagna vicino a Natas, ma nessuno sembrava sapere esattamente dove fosse. Non era segnata neppure sulle cartine. Fu così che furono costretti a farsi portare da un taxi fin dove la strada era asfaltata, poi procedettero a piedi in mezzo ai boschi. Naturalmente, prima di lasciare la città, Rabies aveva fatto rifornimento di sigarette; ora era lui a portare lo zaino, dunque dopo aver tirato fuori un pacchetto e l’accendino, se ne accese una e ne mise alcune in tasca. Rimise a posto il pacchetto, poi riprese lo zaino sulle spalle. «Comincio a sospettare che Daniel si sia inventato tutto per il puro gusto di mandarci in giro a vanvera» tirò una lunga boccata di fumo. «Non credo, nonostante tutto penso che provi per te una sorta di timore». «È proprio per questo che non mi affronta ma cerca in tutti i modi di farmi ammazzare. Un esempio è stato quello della villa del vampiro mutaforma» le sue stesse parole gli riportarono alla mente il morso sul collo di Desdemona e quello che Daniel gli aveva sussurrato ad un orecchio. Rabbrividì. La ragazza annuì con aria pensierosa. «Beh, ma... non ti so spiegare, semplicemente ho la sensazione che sia vero». «Spero che tu abbia ragione, diversamente un nano di nostra conoscenza si è messo in un guaio più grande di lui». «È già in un guaio più grande lui; è un Emissario, no?». Lui sorrise abbassando leggermente il capo. «Già». «E ora come lo troviamo quel posto?». «Lo troviamo, non ti preoccupare». Teneva la sigaretta fra l’indice e il medio. La luce che filtrava attraverso le fronde, come se quella voce calda e profonda non bastasse a lasciarla senza parole, faceva brillare i suoi occhi chiari di una luce indescrivibile. Desdemona lo fissò per qualche istante, talmente rapita da essere incapace persino di cedere all’imbarazzo. «Come fai a esserne certo?». «Semplicemente lo so». La ragazza alzò lo sguardo, attraverso i rami che si intrecciavano sopra le loro teste notò che il cielo era limpido. Il fatto che stessero camminando a passo svelto creava un effetto che quasi le faceva girare la testa. Prima di avere il tempo di rendersene conto, si ritrovò distesa sull’erba con gomiti e ginocchia doloranti. Rabies si voltò a guardarla; la sua espressione variò dal perplesso al divertito, poi scoppiò a ridere. Desdemona avrebbe voluto alzarsi ma in un primo momento, ridendo anche lei a crepapelle, non ci riuscì. Lui le porse una mano per aiutarla a tirarsi su, lei l’afferrò. «Che splendida figura!» commentò cercando di ripulirsi dal terreno che le si era attaccato ai vestiti. «C’è di peggio, non preoccuparti». «Ah sì? Per esempio?». Il suo solito sorriso pungente fece capolino. «Per esempio quella che hai fatto quando ti ho scoperta a seguirmi». «Rassicurante». Ripresero a camminare. La ragazza non vi prestò attenzione, ma la vegetazione intorno a loro stava cambiando: diventava sempre più fitta, rendendo più difficoltosa la loro traversata e lasciando sempre meno che la luce solare penetrasse attraverso le fronde. All’improvviso Rabies avvicinò il suo viso a quello di lei soffiandole in faccia il fumo in un gesto dispettoso. «Proprio non ti sei accorta di niente, eh?». «Accorta di cosa?». «Guarda» disse tenendo la sigaretta fra le labbra. Desdemona alzò lo sguardo e finalmente la vide: in mezzo a quello sprazzo di natura selvaggia, si ergeva la Cattedrale delle Ere, grottescamente splendida, nel suo grigiore in rovina, eppure piena di un orgoglio in vita da secoli. «Ma come hai fatto?» chiese lei sbalordita. «La domanda è come hai fatto tu» fece una pausa scrutandola attentamente. «Senza rendertene conto sei stata tu ad arrivare sin qui, io ti ho solo seguita». La ragazza aveva un’aria perplessa. «La stella a sei punte» spiegò lui. «Essendo presente sia sulla tua schiena che sulla copertina del libro, ero sicuro che mi avresti portato qui». Lei annuì anche se ancora faticava a credere alle sue parole. «Questa storia... mi sta trasformando in un oggetto» per poco non lasciò che l’isteria prendesse il sopravvento. «Non sono altro che un mezzo, vero?». «Desdemona, niente è ciò che sembra». «E questa che razza di risposta sarebbe?» si stava infuriando, smise di camminare aspettando la replica di Rabies. Lui si fermò a sua volta fissandola dritto negli occhi. «L’unica che io possa darti». Rimase lì impalata non sapendo cosa fare, lui procedette senza curarsene. Dopo poco la ragazza lo rincorse finché lo raggiunse, poi riprese il suo normale passo. «Non puoi trattarmi così!». «Ma così come? Dannazione! Ti avevo detto di stare lontana da me!». «Il fatto che tu me l’abbia detto non ti autorizza a considerarmi come un rifiuto» disse lei piena di rabbia e amarezza. «Io non ti vedo come un rifiuto!» urlò Rabies. «E come mi vedi?» domandò acida. «Sentiamo, perché sono davvero curiosa». Lui la guardò come se l’avesse appena pugnalato al cuore. «Come l’unica persona a cui abbia permesso di avvicinarsi a me negli ultimi anni. E a quanto pare ho sbagliato». Per Desdemona fu come veleno. Si sentì mortificata come mai prima d’allora. Vedendo il suo sguardo Rabies la fermò prima ancora che avesse il tempo di aprir bocca. «Niente scuse per favore! Sono stanco. Non ho più voglia di doverti subire. Non sei l’unica ad avere problemi e non sono stato io a chiederti di cacciarti in questo guaio. Smettila di fare la vittima. In questa storia tutti lo sono, chi più, chi meno. Tu non sei un’eccezione, tranne forse per il modo in cui ci sei entrata e per il modo in cui ci sei dentro. Dopo che avremo trovato quel maledettissimo libro ti riporterò a casa tua, se sei furba ci resterai e fingerai che non sia mai successo niente. Se proprio hai voglia di fare la testarda come sempre e di andare avanti, allora lo farai da sola» riprese fiato. Che diavolo aveva combinato? Ora se ne sarebbe andata sul serio! Lei si sforzò di respirare lentamente. «Va bene Rabies, se è così che la pensi toglierò il disturbo». Si sentì intollerabilmente vuoto; perché le aveva parlato in quella maniera? Si disse che era stato uno stupido. La sola idea di dover pagare il prezzo della sua sfuriata di lì a breve, lo faceva stare male. Ancora una volta si ritrovò a dover riconoscere l’incredibile capacità di quella ragazza di tirar fuori tutta la sua fragilità, anche se lei, ovviamente, non se ne accorgeva. Proseguirono in silenzio; nessuno dei due aveva il coraggio di mostrare come si sentisse veramente. Capitolo 11 Rabies e Desdemona erano davanti all’ingresso della Cattedrale delle Ere. La ragazza deglutì, pensò che dietro quell’arcata di pietra avrebbe vissuto la sua ultima avventura con lui. Dopo sarebbe stato come se non si fossero mai incontrati, i loro sguardi non si sarebbero più incrociati e di quelle tre settimane sarebbe rimasto solo un malinconico ricordo, simile a un sogno. «Entriamo o restiamo qua a discutere di architettura?» chiese lui, particolarmente scontroso. Lei non rispose, con la rabbia ben visibile sul volto diede un calcio al portone fatto di un pesante legno ornato da rilievi, di cui ormai si poteva comprendere ben poco. L’ingresso si aprì rivelando un enorme salone in cui riuscivano a penetrare solo pochi fasci di luce, provenienti da alcuni punti in cui pezzi di muro erano crollati. Le ragnatele avvolgevano i candelabri, ormai in disuso da molto tempo. «Chi è là?». Desdemona sussultò: chi diavolo aveva urlato dal fondo della sala? Cercò di fare in modo che i suoi occhi si abituassero alla penombra, tuttavia il suo sguardo non riusciva ad andare oltre a delle specie di panche in legno a qualche metro da lei. Ciò che veniva dopo era avvolto nell’ombra. Rabies, con espressione corrucciata, si sforzava di capire chi avesse parlato. «Io lo conosco...» bisbigliò ancora pensieroso. «Chi è là?» chiese nuovamente la voce. Entrambi erano stati presi alla sprovvista, così nessuno dei due rispose. Un forte rumore di passi precedette la comparsa di un uomo alto, dai lunghi capelli a tratti castano chiaro, a tratti biondo scuro. Le sopracciglia, chiarissime, descrivevano due archi sopra i suoi occhi glaciali. Doveva avere all’incirca trentacinque anni, ma aveva il viso particolarmente segnato. Le labbra, in quel momento serrate, erano carnose. La camicia che indossava, dopo ampie pieghe, andava ad infilarsi sotto i jeans a vita alta che lasciavano indovinare un fisico statuario, asciutto e muscoloso. La sua andatura ricordava quella di un militare e la sua bellezza era quasi deturpata dalla troppa serietà, così intensa da essere vicina a sfociare nell’ira. «Rabies, ora non ho tempo per te. Vattene!» intimò l’uomo. La ragazza rimase sorpresa, le sembrava quasi impossibile che due persone tanto diverse si conoscessero. Non avrebbe saputo spiegare perché, ma poteva chiaramente avvertire che, in qualche maniera, egli era l’esatto opposto di Rabies. «John! da quanto tempo!» esclamò con finta allegria, ma subito dopo lasciò che tutto il suo astio trasparisse dal tono della voce. «Non sono qui per giocare. Non mi infastidire». «Sono venuto a disinfestare questo posto da demoni e creature simili, di un Emissario non so che farmene. Non costringermi a farti fuori». Aveva un’aria talmente severa da mettere Desdemona in soggezione. Sembrava portasse sulle spalle il peso del mondo. Era strano: le persone che aveva incontrato dopo aver conosciuto Rabies le erano sembrate più o meno corrotte, lui invece, sembrava il ritratto dell’integrità. Com’era possibile? La colse di sorpresa rivolgendole improvvisamente uno sguardo intenso, avrebbe giurato che volesse incenerirla. «E tu chi sei? Quello che avverto non corrisponde a quello che vedo». «Che vuoi dire?» domandò lei senza capire. «Vedo una ragazza ingenua e pura ma...». Rabies lo interruppe urlando, la cosa parve molto strana a Desdemona. «Smettila! Non abbiamo tempo per chiacchierare. In genere sei un tipo taciturno, perché devi cambiare proprio adesso?». «È solo che la tua amica mi ha incuriosito, ad ogni modo, andatevene prima che...». Non riuscì a finire la frase: una creatura alata dall’aspetto feroce scese in picchiata dal soffitto. Era evidente che mirasse a John, ma lui si spostò rapidamente per poi far scaturire dalle sue mani un fascio di luce blu che andò a disintegrare il malcapitato demone. La ragazza rimase ancora una volta allibita: anche lui padroneggiava la magia! «Perché mi guardi in quel modo? Tu non lo sai fare?». «Io...» rispose timidamente. «Sì. Ma credo di non riuscire ad arrivare nemmeno alla metà della potenza con cui hai colpito tu». John non poté fare a meno di rivolgerle un sorriso. «Pratichi da poco?» si rese conto di aver cambiato espressione e si ricompose immediatamente. «Già». «Beh, allora fidati: è un risultato che ha dell’incredibile». Rabies lo guardò stranito: John non era mai così cordiale. «Di’ un po’: le tue ire sono un’esclusiva delle creature del male, oppure le dedichi a tutti ma per lei fai un’eccezione?». Lui rispose semplicemente guardandolo in cagnesco, poi tornò a rivolgere le sue attenzioni alla ragazza «Perché siete qui?». Lei non sapeva se dirgli la verità o meno, con lo sguardo domandò a Rabies cosa fare, così fu lui a rispondere al suo posto. «Siamo qui per cercare il Libro del Tempo. Mi serve per aiutare lei». «E...» John alzò un sopracciglio, sempre rivolto alla ragazza. «Hai anche un nome?». «Desdemona» la voce uscì dalle sue labbra più debole di quel che avrebbe voluto. Che accidenti le prendeva? «Mmm... interessante». «Finito con le moine?» Rabies era visibilmente infastidito. «E tu qui che ci fai?». «Te l’ho già detto» prese un elastico da una tasca e si legò i capelli. Ancora una volta la ragazza notò l’aspetto gelido di John, ma lo trovò estremamente sensuale. Arrossì di colpo e abbassò lo sguardo. «Bene, tu non infastidirci e noi non infastidiremo te». Per tutta risposta l’uomo rise di gusto. «Credi davvero che i demoni vi lasceranno tranquilli? Potrebbero attaccare Desdemona senza sfiorare te, sapendo che in questa maniera non potresti intervenire». John aveva ragione e questo infastidiva ulteriormente Rabies. «E cosa mi consigli?». «Cerchiamo insieme il vostro libro e in cambio aiutatemi a far fuori un po’ di queste belve. Vedendo con te un Messaggero andranno in panico, tenteranno di colpirti e così sarai libero di fargli ciò che ti pare». «Mi sembra una buona proposta». Il solo pensiero di collaborare con un Messaggero gli faceva accapponare la pelle, ma cos’altro avrebbe potuto fare? La ragazza era perplessa. «Messaggero?». Rabies si voltò verso di lei per spiegarle. «I Messaggeri sono figure più o meno equivalenti a quelle degli Emissari, semplicemente stanno dall’altra parte» assunse un’espressione disgustata. «Loro servono il Bene Supremo». Desdemona pensò di non essersi sbagliata. Le sue intuizioni su John, evidentemente, erano più che corrette. «Forse tu mi puoi aiutare allora». «In cosa?» chiese lui con diffidenza. «La scorsa notte ho fatto un sogno, credo sia importante, ma per quanto mi sforzi non riesco a ricordarlo». John sembrava indeciso, ma poi per qualche motivo appoggiò entrambe le mani sulla testa della ragazza. Immediatamente il mondo onirico prese forma. Venne catapultata nel sogno, ma presto capì che non era suo, apparteneva a Daniel. Non c’era stato alcun errore nell’incantesimo che l’aveva riportata indietro: la notte precedente aveva assistito alle stesse scene. In mezzo ad un’ambientazione vaga e indefinita, fra la fitta nebbia, comparve Daniel, vestito di nero, con un lungo giaccone di pelle. Sembrava un animale feroce in cerca di qualcuno da sbranare. Nella direzione opposta comparve un’altra sua immagine, ma era completamente diversa da quella della persona che lei conosceva: teneva per mano una bambina che doveva avere sei o sette anni. Era sorridente, sul suo volto non c’era la benché minima traccia del male che, in seguito, l’avrebbe corrotto sino al midollo. La bambina, dal poco che riuscì a comprendere fra le voci confuse, si chiamava Luna. Gli somigliava, era sua figlia. Giocavano in un parco, guardavano la televisione stando abbracciati sul divano, poi, una volta addormentata, portava la bambina in braccio nella sua stanza, la adagiava sul letto e le rimboccava le coperte prima di darle un bacio sulla guancia. «Buonanotte tesoro». Daniel le stava accanto mentre spegneva con un soffio le candeline di una delle sue prime torte di compleanno. Era incredibile la tenerezza che avvertiva fra di loro. Desdemona arrivò a chiedersi se davvero quella che aveva conosciuto lei e quella che osservava ora potessero essere la stessa persona. Qualcosa arrivò a sconvolgere tutto: un’automobile guidata da un ubriaco investì la piccola. Daniel assistette alla scena senza poter fare nulla e, prima di riuscire a rendersi conto di cosa effettivamente fosse accaduto, si ritrovò fra le braccia il corpo di sua figlia, ormai privo di vita. Da quel momento la rabbia e la disperazione si erano impossessate di lui. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di riavere indietro Luna e farla pagare a quel maledetto. Non importava quanto gli sarebbe costato, ormai la sua vita non aveva più senso. Strinse a sé il cadavere della bambina e Desdemona, come se fosse stata al suo posto, poté quasi sentire le lacrime del padre scivolare sul proprio collo. Non ci volle molto perché qualcuno si accorgesse del suo potenziale distruttivo. In cambio della sua anima, dei suoi servigi e della rinuncia alla piccola, lei sarebbe tornata in vita, lui avrebbe ottenuto dei poteri e, se mai avesse scovato quell’ubriacone, avrebbe potuto fargli di tutto. Non vi fu il minimo bisogno di insistere perché accettasse, era tutto ciò che voleva. Certo, rinunciare a sua figlia gli costava moltissimo, ma almeno lei avrebbe potuto crescere e farsi una vita, anche senza di lui. Daniel e la madre della bambina si erano lasciati appena dopo la sua nascita. Lei non l’avrebbe mai voluta, non avrebbe neppure portato a termine la gravidanza se non fosse stato per lui. Dopo il parto la situazione era diventata insostenibile; alla fine la loro relazione si ridusse in cenere, lei se ne andò e fu Daniel, lui e lui solo, a prendersi cura di Luna. Sua figlia era l’unica cosa che contasse e, vedendosela portare via in maniera così ingiusta, qualcosa era cambiato per sempre dentro di lui. Emerse il suo lato terrificante, quello che prima di allora l’uomo non aveva mai neppure osato immaginare. La crudeltà, un’incredibile voglia di fare del male in ogni modo possibile, la sete di sangue, cruente fantasie da trasformare in realtà non appena l’occasione si fosse presentata, ora era questo a riempire la sua vita. In breve tempo, da promettente nuovo Emissario, era divenuto una sorta di macabra leggenda. Nessuno dei suoi “colleghi” sapeva in realtà chi fosse o da dove venisse; cominciò a spargersi la voce che fosse un demone nato nel corpo di un essere umano per sbaglio. Non c’era altro Emissario che riuscisse a raggiungere i livelli delle sue “imprese”. Gli altri strappavano l’anima, maltrattavano, uccidevano. Lui massacrava, torturava senza pietà provando gusto in ciò che faceva. Una parte del suo cuore si ostinava a piangere ogni volta che si ritrovava davanti a ciò in cui si stava trasformando. Per tutta risposta Daniel si gettava nuovamente a capofitto nelle sue malefatte. Col tempo quel pianto era divenuto sempre più lontano e confuso, fino a ridursi a un annebbiato ricordo. Sarebbe mai riuscito a tornare indietro? Ma soprattutto, sarebbe mai riuscito a credere che ne valesse la pena? Desdemona tornò di colpo alla realtà, cadde in ginocchio coprendosi il viso con le mani. Rabies tentò di tirarla su, ma lei non voleva saperne. «Cos’hai visto?». Lentamente la ragazza riuscì ad alzare lo sguardo. «Lui non era così...». «Di chi parli?» domandò John. «Daniel, si prendeva cura di sua figlia» la ragazza era sconvolta, non aveva modo di nasconderlo. «Parli di Daniel l’Emissario?» chiese incredulo. «Maledizione, lasciala parlare!» lo zittì Rabies. «Erano felici, era un ottimo padre. Quella bambina era tutto per lui. Poi è stata investita e lui si è ridotto così per riportarla indietro». «Pensavo avessi sognato qualcosa di utile» il tono di Rabies era aspro. «Questi non sono affari che mi riguardano. Di certo il fatto che dietro il suo comportamento ci sia qualcosa non fa soffrire meno le sue vittime, tantomeno fa sì che non muoiano» si accese un’altra sigaretta. «E se proprio vuoi saperlo, in fin dei conti, forse non mi importa neppure di loro». Desdemona lo guardò con aria di rimprovero. «Che cosa c’è?» la schernì lui. «Ti aspettavi di avere a che fare con la fata buona?». Lei si alzò in piedi senza smettere di guardarlo negli occhi. «Credevo di avere a che fare con una persona, Rabies, ma a quanto pare mi sbagliavo. Se non ti comporti come Daniel è solo perché non ti va di sporcarti i vestiti di sangue, ma più passa il tempo, più voi due siete simili». Fece una pausa. «Ma ne sono accorta persino io che ti conosco da poco, non è rimasto niente di te! Ormai sei solo un lurido Emissario!» non fece in tempo a finire di parlare che già si era pentita di aver detto quelle cose. Rabies mantenne un atteggiamento indifferente, ma leggere in fondo ai suoi occhi il dolore che gli aveva causato la ferì a morte. «Smettetela!» li rimproverò John. «Mi pare evidente che ognuno di noi vuole qualcosa, qualcosa che sarebbe quasi impossibile avere senza che gli altri due collaborino. Ci conviene andare d’accordo finché saremo qui dentro». Rabies e Desdemona si guardarono per un attimo prima di annuire con un cenno del capo. «E adesso andiamo avanti» proseguì lui «sterminiamo le bestiacce che si nascondono qui, prendiamo quello stupido libro e cerchiamo di andarcene salvando la pelle». Nessuno commentò; si avvicinarono alla zona in cui doveva esserci l’altare, al momento però sarebbe stato impossibile dirlo con certezza a causa del buio. «Tenetevi pronti» bisbigliò John. Sollevò la mano destra e decine di candele poste lungo l’immenso altare si accesero. In pochi secondi le creature demoniache che, come pipistrelli, dormivano a testa in giù, aggrappate al soffitto, si svegliarono. Avvertendo la presenza del Messaggero cominciarono a scendere in picchiata contro i tre. Istintivamente Rabies e Desdemona si appoggiarono schiena contro schiena e cominciarono a fare strage. Dalle mani della ragazza saettavano cose molto simili a dardi infuocati; Rabies riusciva addirittura a provocare piccole esplosioni che facevano saltare per aria i suoi nemici. «Adoro il fuoco!» disse con un sorriso spavaldo. Quegli esseri, viscidi e contorti ammassi di muscoli dotati di artigli, sembravano non finire mai. John fece uno strano gesto: sembrò che stesse sguainando una spada che portava legata dietro la schiena. Fino a un attimo prima non c’era la minima traccia dell’oggetto, eppure comparve istantaneamente fra le sue mani. Era uno spadone enorme, la lama non era eccessivamente larga ma era molto lunga. Scintillava alla luce delle candele con uno strano riflesso, nel giro di qualche istante cominciò a bruciare. Al suo movimento ritmico corrispondevano i versi dei demoni che venivano abbattuti. Entro pochi minuti il pavimento fu ricoperto di immondi cadaveri. «Non ce la faccio più...» disse Desdemona con voce affannata. «È normale, non sei...» Rabies si dovette interrompere. Guardò alla sua sinistra e vide un demone che, con un’orribile smorfia che doveva essere un sorriso, metteva in mostra i suoi denti putrescenti, lunghi e affilati. Con due dita teneva uno dei suoi orecchini ad anello, come per minacciarlo di strappargli il lobo; i demoni andavano pazzi per quel genere di giochetti. Con uno scatto felino, Rabies gli afferrò il polso facendolo esplodere. La creatura gemette per il dolore, lui si ritrovò con la sua mano in mano, per un attimo la guardò incuriosito e un po’ disgustato, poi la gettò via. A quel punto impiegò pochi secondi a sbarazzarsi dell’essere. «Ci sei?» domandò la ragazza. «Sì scusa, ho avuto un piccolo contrattempo. Dicevo che è normale che tu sia stanca». «Rabies, io...» Sentì che alle sue spalle Desdemona stava scivolando giù. Si voltò e la vide sdraiata a terra. «Maledizione, è svenuta!». Si acquattò di fianco a lei, stringendola col braccio destro ma continuando a tenere quello sinistro sollevato per colpire i nemici. Vedendo la situazione John fu subito dietro di lui a coprirgli le spalle. Fra un fendente e l’altro trovò il tempo di prendere in giro Rabies. «Beh, che fai? Approfitti del fatto che sia svenuta per tenerla fra le tue braccia?». «Fottiti» rispose seccato. «Piuttosto che pensare a queste idiozie, pensa alle belve, cominciano ad annoiarmi». John fece ruotare la spada tagliando la testa a un’altra di quelle creature. «Effettivamente hai ragione» si guardò intorno. «Ormai non ne sono rimasti molti, dovrei farcela» chiuse gli occhi, si concentrò, mormorò qualcosa di incomprensibile, poi alzò al cielo la spada. Ogni cosa venne travolta dall’immenso bagliore che sprigionò. Rabies fu costretto a chiudere gli occhi, quando li riaprì degli ultimi demoni era rimasta solo cenere. Rabies guardò John con gli occhi sgranati. «Perché diavolo non l’hai fatto prima?». «Per dare fondo alle mie energie e finire come la tua amica? Erano un’infinità». Scosse lentamente il capo. «Sei un incapace». Poggiò un dito sulla fronte di Desdemona, per un istante si intravide una sorta di alone rosso luminoso, poi la ragazza aprì gli occhi. «Cosa... Cos’è successo?» domandò con aria confusa. «Stavi lanciando incantesimi come una forsennata, sei arrivata allo stremo delle forze e sei svenuta. Ti ho dato un po’ delle mie energie per farti rinvenire». Entrambi erano ancora seduti sul pavimento, per qualche istante si guardarono negli occhi. Desdemona sentiva il cuore esplodere dalla gioia. La sua mente venne invasa da mille pensieri: l’aveva protetta e l’aveva rianimata... Allora gli importava di lei! E i litigi di poco prima? Forse non importavano veramente. Forse nessuno dei due pensava quelle cose. Gli si gettò al collo e lo strinse forte a sé. «Grazie». Lui, che non si aspettava affatto una reazione del genere, per un istante rimase impietrito, poi sorrise. «Non c’è di che». «Devo aspettare ancora per molto?» chiese John innervosito. Desdemona ebbe un sussulto e si voltò di scatto nella sua direzione. Vedendo che era lui tirò un sospirò di sollievo. «Capisco che stringendo il tuo bello per te non esista nient’altro, ma non ti pare un po’ sconveniente dimenticarti di chi hai intorno?». Con sua grande sorpresa la ragazza gli lanciò un’occhiataccia. «Va’ al diavolo!». «Voi due passate troppo tempo insieme. Cominciate a somigliarvi...» li scrutò attentamente «anche fisicamente!». Desdemona si ricordò in quel momento di aver avuto anche lei quell’impressione poco dopo aver incontrato Rabies. Pensò che non fosse stata una semplice sensazione. L’Emissario rispose con uno dei suoi sorrisi demenziali. «Restano ancora molti mostriciattoli da fare fuori?». «Non saprei, ma è possibile: questo posto è immenso». «Rabies, rivedrò mai più Daniel?» chiese a sorpresa la ragazza, con totale innocenza. «Questo non lo so» stavolta nella sua voce non c’era disprezzo, anzi, sembrava quasi dispiaciuto. Dopo aver rivissuto il sogno, Desdemona non riusciva più a vedere in Daniel il mostro senza cuore che vedeva prima. Non poteva togliersi dalla mente quelle immagini di lui che sorrideva in maniera così tenera a sua figlia... A conti fatti, in realtà, chi era la vittima? Chi il carnefice? Capitolo 12 Con un gesto John sembrò rinfoderare la sua spada, che però scomparve. Desdemona era visibilmente incuriosita. «Carino come giochetto... ma non è faticoso creare e distruggere una spada ogni volta?». Lui rise senza perdere la propria compostezza. «È una magia d’invisibilità». La ragazza non riuscì a nascondere l’imbarazzo. «Beh, ho avuto poco tempo per studiare» mormorò fra sé e sé. Rabies si alzò poi le porse una mano. «Andiamo» disse accennando a un sorriso. «Credo di sapere dove siano gli altri demoni e il vostro libro, ma ci dovrebbe essere anche qualcos’altro». «C’è sempre la fregatura» l’Emissario sbuffò. «Di che si tratta?». «Ancora non lo so, ma qui è accaduto qualcosa di strano. La cattedrale è stata sconsacrata proprio a causa delle presenze demoniache, capisci?» fece una breve pausa. «I demoni sono riusciti ad appropriarsi di un luogo sacro; qualcosa deve averglielo permesso». Desdemona lo guardò come se fosse stato un marziano. «Vuoi dire che la Chiesa rappresenta il Bene Supremo?». «Ma no!» rispose lui facendo un gesto vago. «Un altro luogo di culto consacrato sarebbe stato uguale. È comunque un posto in cui gli esseri umani tentano di avvicinarsi al bene». «Hai già qualche sospetto?» domandò Rabies. Scosse la testa. «No, purtroppo no, brancolo nel buio. Non mi butto mai alla cieca nelle missioni, ma questa volta non ho potuto fare altro». «E così, per ottenere ciò che vuoi, con tuo grande dispiacere sei stato obbligato a trascinarci in un guaio che neppure tu conosci bene. Stammi a sentire: posso aiutarti a fare fuori un po’ di bestiole, ma non chiedermi di più, anche perché neppure tu in fondo offri molto». «Certo, cos’altro potevo aspettarmi da un Emissario?» commentò con freddezza John. «Quello che puoi aspettarti da un Messaggero: che non vada contro chi lo comanda» rispose con semplicità Rabies. Scese un pesante silenzio che però venne interrotto da Desdemona. «Muoviamoci, non mi va di mettere radici qui». «Avviciniamoci all’altare» disse John. «Cos’è? Devi chiedere perdono perché ti stai facendo aiutare da un servo del male?» lo schernì Rabies. «Andiamo e vedrai». La ragazza fu l’unica a preoccuparsi di non calpestare i cadaveri sul pavimento. Questo le causò una profonda inquietudine: a che genere di orrori erano abituati Rabies e John? Arrivati lì davanti, il Messaggero saltò sull’altare; la luce delle candele, dal basso, gli illuminava il volto. «Stai per raccontarci una storia di paura?». Ignorò l’ironia di Rabies, con entrambe le mani strinse l’enorme croce d’oro, poi la tirò in avanti come se fosse stata una leva. Di fianco a Rabies e a Desdemona si aprì una sorta di passaggio nel pavimento. «Mi sembra di essere in un videogioco» commentò lei alzando un sopracciglio. Una scalinata irregolare scendeva verso il basso fino a scomparire nel buio. I gradini di pietra erano certamente antichi. «Ma perché i posti in cui andiamo insieme devono sempre essere lugubri?». Rabies rise di gusto. Nel preciso istante in cui poggiò il piede su uno degli scalini, la ragazza fu scossa da un brivido. Sentì una morsa attanagliarle lo stomaco, una sensazione di panico e angoscia si impadronì di lei. «Che c’è?» domandò lui avendo notato il cambiamento nella sua espressione. «Niente» mentì. Con il cuore in gola si impose di continuare la discesa, nonostante ogni molecola del suo corpo si ribellasse. John, che procedeva davanti agli altri, aprì una mano facendo comparire un piccolo globo luminoso che rischiarò l’ambiente. Si ritrovarono davanti a uno spettacolo raccapricciante. Le pareti, che sembravano essere state scavate nella pietra, erano ricoperte quasi interamente da scheletri sorretti da catene arrugginite. A Desdemona parve che le orbite vuote dei teschi fossero tutte puntate contro di lei. Era come se la stessero guardando. Non si controllava più, tutto il terrore e il dolore che quelle persone avevano provato prima e dopo aver subito quell’orrenda morte, si impossessarono di lei. Il tormento non era mai cessato, udiva gli spiriti bisbigliare cose che fortunatamente non riusciva a comprendere del tutto, poteva quasi sentirli strisciare e contorcersi intorno a lei. «Chi ha fatto questo?» mormorò. «I demoni sono creature terribili. Dovresti saperlo bene». «John! Sta’ zitto!» intervenne Rabies. «È meglio che conosca la verità». «Certo, ma non la tua» la sua rabbia era evidente. «Non potrai proteggerla in eterno» il suo sguardo era glaciale come sempre, eppure aveva in sé qualcosa di trionfante. «Ma per adesso sì». «Sono stati i demoni a fare questo?» chiese la ragazza con gli occhi pieni di lacrime. «Desdemona, non tutte le creature al servizio del Male Supremo sono uguali...» tentò di spiegare lui, ma venne subito interrotto. «Rispondimi! Sono stati loro?». Abbassò lo sguardo. «Sì». «Perché?». «Lo so che può sembrare assurdo, ma esattamente come tu puoi provare piacere nel fare del bene a qualcuno, loro possono provarne facendo del male. Non tutti ovviamente. Devi credermi». Lei scosse il capo amareggiata. «Finirà prima o poi?». «Non lo so» rispose a bassa voce. Continuarono a scendere per molto tempo, l’Emissario non avrebbe saputo dire se per un’ora, un giorno o un anno. Si sentiva come un condannato a morte che si dirige verso la forca. Avvertiva il forte disagio provato dalla ragazza e non poteva smettere di pensare al suo sguardo. Sarebbe finita prima o poi? Bella domanda. Ognuno degli scheletri che pendevano da quei muri sembrava chiederglielo un’altra volta. A un tratto Desdemona si fermò di colpo. «Che c’è?». Anche John si voltò a guardare la scena. La ragazza si avvicinò a quello che un tempo era stato il corpo di una donna. Prese fra le mani il pendente che ancora portava al collo. Era di forma circolare, fatto di un metallo che una volta probabilmente era stato dorato, ma che adesso era di un grigio opaco. Su di esso, in rilievo, era raffigurata una stella a sei punte con delle lettere intorno e alcuni simboli al centro. Per un attimo sentì la schiena bruciare. Rabies rimase impietrito. Desdemona sfilò la collana allo scheletro e la indossò senza dire una parola. Venne trascinata indietro di due o tre secoli, c’erano una ragazza dai lunghi capelli castani e il suo futuro sposo. Non riusciva a vedere chiaramente i loro volti, ma le loro voci le risultavano familiari. Poteva sentire dentro di lei il loro amore, sulla pelle i loro baci, nella mente i loro progetti. Dopo una lunga attesa era finalmente giunto quello che avrebbe dovuto essere il giorno del loro matrimonio. Prima di essere completamente travolti dai preparativi, avevano deciso di incontrarsi nella cattedrale durante le ore subito precedenti al crepuscolo. Fu allora che i demoni piombarono su di loro e li trascinarono giù per quello stesso passaggio dove ora si trovava lei. Tornò alla realtà. «Ra... Rabies» balbettò «c’è qualcosa di strano». «Lo credo bene!». «No, non capisci» cercò di spiegare, ma era piuttosto complicato. «Ho visto lei e quello che sarebbe dovuto diventare il suo sposo... Ho visto». Le mise una mano sulla spalla, aveva un’espressione pensierosa. «Vedrai che capiremo perché ti accadono queste cose; quando saremo arrivati in fondo a tutto questo troveremo il senso». In realtà non era affatto sicuro di ciò che stava dicendo, ma forse era un modo per rassicurare anche se stesso. Sperava di tutto cuore che Desdemona non stesse soffrendo invano. Finalmente la scalinata terminò, lasciò il posto a un corridoio lastricato di pietre squadrate dal colore melmoso. La ragazza pregò che con i gradini fossero finiti anche i resti dei corpi. Là dentro si sentiva soffocare, l’odore di morte che pervadeva l’ambiente cominciava ad andare ben oltre il sopportabile. Cercò di fare finta di nulla: aveva già dimostrato di essere l’anello debole della catena e non voleva darne conferma. Non sapeva però che anche Rabies stava cominciando a sentirsi veramente male. Certe cose erano troppo anche per lui; ma non erano i resti umani di per sé a farlo sentire così, era la consapevolezza di cosa significassero tutte quelle cose per Desdemona. Si disse che era tutta colpa sua, che quel giorno non avrebbe mai dovuto permetterle di seguirlo. Se avesse agito così, certo, lei avrebbe vissuto nel dubbio, ma sarebbe stata salva. L’aveva trascinata in una situazione senza via d’uscita e, per quanto lei – essendo ignara – gliel’avesse chiesto, lui era stato disposto a cedere perché da troppo tempo nessuno lo capiva. Era un maledettissimo egoista e un suo errore sarebbe costato la felicità di un’altra persona. Un’altra vittima sulla sua scia. Anche il corridoio terminò. Davanti a loro adesso c’erano tre portoni di legno marcio con dei simboli incisi; per Desdemona erano incomprensibili. Sul pavimento giaceva una lastra su cui era inciso lo stesso messaggio in tre linguaggi differenti: la Lingua degli Angeli, il Demoniaco e il Linguaggio Umano: l’ultima parte era però illeggibile. «Giungeranno vivi sin qui solo il Messaggero, l’Emissario e...» la ragazza rivolse uno sguardo interrogativo ai suoi due compagni «che altro c’è scritto?». John stava per intervenire, ma Rabies lo zittì con un gesto. «Giungeranno vivi sin qui solo il Messaggero, l’Emissario e una ragazza. Ognuno di loro dovrà intraprendere il suo cammino, oppure nessuno riuscirà a tornare indietro». «Quindi ognuno di noi deve prendere un cunicolo differente?». «Sì» rispose lui scostandosi una ciocca di capelli dal viso «ma ora come ora sarebbe un suicidio: sei già svenuta per lo sforzo eccessivo» distolse per un attimo lo sguardo «e non sappiamo cosa ci possa essere dietro quelle porte». «Non devi preoccuparti, ora sto bene» cercò di rassicurarlo. «È comunque un’imprudenza!». Desdemona lo guardò sinceramente divertita. «E da quando in qua saresti prudente?». Le lanciò un’occhiata severa. «Ho detto che per adesso non se ne fa niente e non voglio...» si interruppe, la stanza cominciò a tremare, blocchi di pietra si staccavano dal soffitto precipitando sul pavimento con grande fragore. «Maledizione! Desdemona, va’ di là!» urlò Rabies indicandole la porta alla loro destra. Lei era terrorizzata, per un attimo rimase immobile a fissarlo. «Vai!». John scappò nel cunicolo a sinistra, Rabies in quello centrale; tutti e tre chiusero la pesante porta di legno alle loro spalle, come se questo potesse servire a metterli al sicuro, ma era solo l’inizio e lo sapevano bene. Capitolo 13 Desdemona, appoggiata a un muro, ansimava nel buio di quel luogo sconosciuto. Cos’avrebbe fatto adesso? E Rabies? Cosa ne sarebbe stato di lui? Si impose di rimanere calma, pian piano il suo respiro tornò ad essere regolare. «Ragiona, ragiona dannazione!». Tentò di far comparire un globo luminoso, ma fallì miseramente. Si concentrò, tentò nuovamente, stavolta ci riuscì. Si ritrovò davanti un corridoio pressoché identico a quello in cui lei, Rabies e John erano passati prima di arrivare di fronte alle tre porte; stavolta però avrebbe dovuto cavarsela da sola. Sentì una morsa attanagliarle lo stomaco, nel giro di qualche ora era già la seconda volta che provava quella sensazione: fino a pochi secondi prima poteva contare su Rabies, ma ora lui non c’era. Avrebbe dato qualunque cosa perché fosse lì. Si sentiva sola e smarrita, si chiese se avrebbe mai più rivisto quel volto. Si costrinse a essere fiduciosa, tutto sarebbe andato per il meglio, si sarebbero riuniti entro poco, era solo questione di riuscire a tener duro per un po’. Sentendo ancora gli schianti che provenivano da dietro la porta, decise di avanzare. Poco dopo sulla parete alla sua destra vide un’iscrizione con alcuni affreschi. L’incisione era in Demoniaco, non riuscì a decifrarla e la cosa la allarmò: forse quelle informazioni avrebbero potuto essere essenziali per uscire da lì. Avvicinò il globo al muro per poter osservare meglio le immagini. Nella prima un demone spiava una donna vestita di bianco, aveva un’aria incredibilmente pura e celestiale. La seconda era ambientata in una foresta, il demone la tentava offrendole ciò che generalmente i mortali bramano di più: ricchezza, potere, bellezza ed eterna giovinezza. Lei rifiutava indignata. Nel terzo affresco la creatura rapiva un fanciullo, probabilmente il figlio della donna, che a quel punto era costretta a cedere. Nella quarta immagine il demone le mordeva il collo facendola diventare della sua stessa specie. Nel quinto affresco la possedeva, in quello successivo l’ex donna, ora creatura demoniaca, era incinta. Desdemona rabbrividì: odiava quegli esseri; fino a dove sarebbero potuti arrivare pur di portare corruzione ovunque? Se non fosse stato per loro Rabies sarebbe stato libero e lei non si sarebbe ritrovata in quella sorta di immensa tomba. Si ripromise che sarebbe riuscita a uscirne e che avrebbe trovato un modo di sciogliere il patto, non importava quanto le sarebbe costato. Forse John aveva fatto una scelta più che giusta dedicando la sua vita alla lotta contro il Male Supremo. John sbuffò, si stava decisamente annoiando, ma... alzò un sopracciglio, forse quella volta sarebbe riuscito a sbarazzarsi definitivamente di Rabies. Gli aveva sempre dato fin troppo filo da torcere, ma probabilmente sarebbero stati i suoi “compagni” a farlo fuori lì sotto. Sorrise gelidamente, cosa avrebbe potuto esserci di meglio che vederlo in fin di vita e potergli dare il colpo di grazia? Teneva in mano la sua spada, con cui illuminava la zona circostante. Sia le pareti che il pavimento erano lastricati da pietre triangolari, azzurre e lucide. Dal buio emerse una figura: era lo stesso angelo che alcuni giorni prima aveva fatto visita a Rabies. I suoi occhi terribilmente inespressivi incontrarono quelli spietatamente freddi di John. Fu lui a prendere la parola. «Lieto di rivederti, cosa ti porta fin qui?». «Lo sai benissimo Messaggero, qui abbiamo finalmente l’occasione di distruggere quell’Emissario. Sai bene quante anime abbia riscosso, sai bene quanti di noi, a causa sua, pur di non essere distrutti abbiano preferito entrare a far parte delle orde demoniache». «Non c’è bisogno che mi ricordi tutto questo, piuttosto ho bisogno che tu mi dia qualche dritta su come avere la meglio su di lui» rispose con tono stranamente interessato. «Proprio non ci arrivi? Possibile che non te ne sia accorto?». «No, non ho notato nulla. Qual è il suo punto debole? La forza? La resistenza? O forse ci sono alcuni incantesimi ai quali è più vulnerabile?» domandò con crescente eccitazione. «Sei fuori strada John». «Smettila di giocare con me» sibilò. «Sta’ calmo, ricorda la gerarchia» gli afferrò il viso spingendo le unghie nella sua carne. Lui gemette e a stento trattenne un’imprecazione. «Impara questa lezione che amorevolmente ti viene insegnata» disse l’angelo col suo solito tono piatto, tuttavia John non faticò ad avvertire il piacere che provava imponendosi. Si massaggiò con forza le guance. «Mi dirai come sconfiggerlo?» chiese con finta calma. «Ma certo, dovresti rammentare che questa non è solo la tua battaglia, ma quella di tutti noi. Il Padre dell’Universo fa affidamento sulla nostra fede, sulle nostre qualità e sui nostri servigi. Non possiamo fare altro che cercare di non deluderlo... e di distruggere i suoi nemici affinché finalmente la vittoria sia sua». «Certo, Rabies rappresenta un grosso ostacolo ai suoi propositi. Come possiamo caritatevolmente eliminarlo?». «Appena ne avrai l’occasione dovrai uccidere Desdemona». «E secondo te questo dovrebbe mettermi nelle condizioni di uccidere lui?». «Lascia che ti spieghi, uomo di poca fede» fece una pausa. «Quando sarete fuori di qui, ammesso che riusciate a uscirne, lui sarà esausto. Facendo come ti ho detto, la stanchezza, la rabbia e la disperazione prenderanno il sopravvento. L’Emissario non avrà più né la forza né la lucidità che servono per lottare. A quel punto per te dovrebbe essere facile mettere fine alla sua vita votata al Male Supremo». John ci pensò per un attimo, rivide nella mente le attenzioni che Rabies dedicava a Desdemona, come l’aveva protetta e in seguito rianimata quando era svenuta, il modo in cui lei l’aveva abbracciato e gli sguardi che si scambiavano. Sorrise. «Sarà fatto, appena troverò la ragazza la ucciderò». Rabies creò un globo luminoso rivelando le piastrelle nere che ricoprivano sia il pavimento, che le pareti e il soffitto. Con la mano libera prese una sigaretta e se la mise fra le labbra, poi l’accese. Volle sperare che Desdemona, dall’altra parte, se la stesse cavando bene e che non si fosse lasciata prendere dal panico. Quella ragazza era fragile ma forte, ce l’avrebbe fatta. Avanzò ma si fermò dopo poco: gli era parso di sentire un rumore. Tese l’orecchio e per un istante trattenne il respiro, lo sentì ancora, sembrava una sorta di squittio. Poi... un battito d’ali. «Dannazione!». Lanciò in aria il globo che prese a fluttuare. Protese la mano in avanti, si preparò. Nel giro di pochi secondi cominciarono ad arrivare decine di pipistrelli. Iniziò a lanciargli contro dardi infuocati, non mancava mai il bersaglio. Accennò a un sorriso. «I film di Clint Eastwood sono serviti a qualcosa» commentò fra sé e sé. Voltò il palmo della mano verso l’alto e il globo, lentamente, scese fino ad appoggiarvisi. Riprese a camminare. Dopo circa un’ora vide una scalinata, gli venne quasi da vomitare al ricordo dell’ultima che gli era toccato percorrere. Fece finta di nulla e salì, un gradino dopo l’altro. Quando fu arrivato in cima rimase sorpreso da ciò che vide: un salone pieno zeppo di tesori di ogni sorta. Statue d’oro massiccio alte più di due metri, monete di ogni tipo, pietre preziose e gioielli. «Puzza di trappola da far schifo...» fece qualche passo guardando bene dove metteva i piedi, osservava attentamente ciò che lo circondava. Qualcosa in un forziere attirò la sua attenzione. Si chinò. «Vediamo quanto ci vuole perché qualcosa di tremendo mi piova addosso». Con un rapido gesto prese un paio d’orecchini, ognuno dei quali rappresentava, con un disegno semplice ma molto grazioso, un dragone. Gli occhi erano costituiti da due piccoli brillanti. Tese l’orecchio... Silenzio. Rimase immobile per alcuni secondi, ma ancora niente. Sbuffò, si tirò su e fu in quel momento che una sgradevole sensazione si impadronì di lui: si sentiva osservato. Non era solo, ma non riusciva a individuare l’altro presente. «Dimmi che non è quello che penso...» con una smorfia alzò lo sguardo verso l’alto. «E invece sì, è proprio quello che penso». Da una delle cavità del soffitto era venuto fuori un grosso serpente, lungo almeno un metro e mezzo, e lui ci si ritrovò faccia a faccia. La lingua biforcuta dell’animale saettò con un sibilo a pochi centimetri dal volto di Rabies, si sfidarono con lo sguardo, entrambi impietriti. Trascorsero pochi secondi che parvero un’eternità, poi l’uomo balzò di lato con uno scatto. Immediatamente colpì la bestia con un dardo infuocato. Il serpente cadde sul pavimento con un tonfo. Rabies sospirò sentendosi sollevato, ma la sua gioia durò assai poco: incredulo, vide le squame dell’animale contorcersi e cambiare forma. Qualche istante dopo aveva davanti a sé una sorta di dinosauro in miniatura, un varano. Strabuzzò gli occhi, quel coso avrebbe potuto strappargli un braccio senza troppi problemi. Stava per colpirlo ma si bloccò. Pensò che con tutta probabilità quella belva avrebbe potuto trasformarsi in qualcosa di ancora più grosso. Non era il caso di continuare con quel circolo vizioso. Gli rimaneva un’unica soluzione: tentare di intrappolarlo in qualche maniera... ma come? Il varano tentò di addentarlo, ma lui schivò prontamente, così in bocca gli rimase solo un pezzo di stoffa del suo maglioncino nero. «Stupide creature! Quando la finirete di rovinare il mio guardaroba?». Con grande rapidità poggiò i pollici sui suoi occhi; grazie al fuoco riuscì ad accecarlo. La belva era impazzita dal dolore, menava colpi ovunque senza ormai poter più vedere il suo bersaglio. In pochi attimi Rabies fu alle sue spalle, le diede un calcio con tutta la forza che aveva in corpo. Il varano cadde disteso a terra, non riusciva a rialzarsi, era completamente tramortito. L’uomo si accarezzò il braccio sinistro, doveva usare i poteri che il male gli aveva concesso se voleva liberarsi di quella bestiaccia. Sapeva già che un incantesimo del genere lo avrebbe lasciato senza energie, lui era fatto per il fuoco e non per quel genere di cose, ma non aveva scelta. Cominciò a sussurrare un’incomprensibile litania. Due delle enormi statue della stanza iniziarono a spostarsi. Si fermarono in prossimità della bestia per poi coricarsi su di essa, senza ucciderla, ma semplicemente bloccandola. Rabies cercò di proseguire, ma fece pochi metri barcollando, poi crollò. Sdraiato sul pavimento strinse i denti per la rabbia: dopo tutto quel tempo usare una magia a cui non era abituato gli faceva ancora un simile effetto. Un conto era spingere via le persone, dare un semplice grande impulso, un altro era far levitare oggetti e lavorare di precisione. Ripensò a quando, poco prima di separarsi, era successo anche a Desdemona. Lì però nessuno lo avrebbe aiutato come lui aveva fatto con lei; sarebbe stato costretto a recuperare le forze col riposo. Una situazione del genere sarebbe risultata detestabile in qualunque caso, ma in quel momento era addirittura insostenibile. Da qualche parte, oltre quelle pareti, la ragazza rischiava la vita per una questione in cui lui l’aveva trascinata... e non poteva fare assolutamente niente. Trovò la forza di accendersi una sigaretta, desiderava terribilmente anche una birra, ma quella non aveva modo di procurarsela. Tentò di rialzarsi, ma le sue gambe non ne volevano sapere di reggerlo. Quanto avrebbe dovuto aspettare? Avrebbe fatto meglio a dormire, ma poi avrebbe perso la cognizione del tempo. Tirando una boccata di fumo chiuse gli occhi. “Valerie... dove sei?” non poté fare a meno di lasciare che questa domanda riecheggiasse nella sua mente. “Sono terribilmente stanco di essere solo”. In fondo era per questo che aveva lasciato che Desdemona si cacciasse in quell’inferno con lui. Pensò di non essere mai stato solo in fin dei conti: da dopo il patto, l’ombra della morte l’aveva sempre seguito ovunque, annientando ogni speranza, facendo cadere il suo animo nelle tenebre più profonde. E adesso Desdemona era convinta di poter trovare un modo per porre fine a tutto questo, che ingenua... Però era piena di forza e di tenacia. Era anche una grandissima testarda. Non riuscì a trattenere uno stanco sorriso ripensando ai loro mille battibecchi. Chissà se ce ne sarebbero stati altri. Lo sperava con tutto il cuore, quel cuore che era stato martoriato in tutti i modi, quel cuore che lui stesso aveva maltrattato, quel cuore che la solitudine assassina aveva trasformato in una tomba. Alla fine dovette cedere alla stanchezza, la sua mente era sempre più annebbiata. Nel dormiveglia gli parve di vedere un’immagine sfocata di Desdemona, poi il sonno ebbe la meglio. John sorrise, l’angelo aveva aperto un varco magico che gli avrebbe consentito di raggiungere il percorso di Desdemona. Non stava più nella pelle. Con la spada sguainata stava davanti a quello squarcio luminoso, lo attendeva una bella rivincita su Rabies. Certo non l’avrebbe uccisa subito: adesso voleva semplicemente spaventarla e indebolirla. Desdemona vide una figura emergere da una parete, era già pronta a lanciarle contro un incantesimo ma si bloccò di colpo: era John. Rimase piacevolmente sorpresa nel ritrovarselo davanti, eppure nel suo profondo qualcosa si agitava. «John! Come...?». «Non sono certo diventato un Messaggero per caso, so come cavarmela». «Ma è pericoloso che tu rimanga qui, ognuno qua dentro deve seguire il cammino che è stato prestabilito» rispose lei stupita per ciò che stava accadendo. «E ho tutta l’intenzione di farlo. Sono solo venuto a farti una breve visita» sorrise gelidamente avvicinandosi alla ragazza. D’istinto lei fece qualche passo indietro. «Cosa vuoi?». Qualcosa non andava, ma non riusciva a comprendere precisamente cosa stesse succedendo. «Ti sei messa dalla parte sbagliata signorina...». «Di cosa parli? Io non sto proprio dalla parte di nessuno!». «Questo è quello che ti ostini a credere. La realtà non è affatto questa. Prova a chiedere al tuo caro Rabies...». Desdemona lo interruppe strillando. «Smettila! Se sei venuto per aiutarmi a uscire da qui, allora fallo!». «Non ho mai detto di essere qui per questo» confonderla lo divertiva, la sua espressione compiaciuta lo rendeva evidente. Le si avvicinò ulteriormente. Desdemona avrebbe voluto spostarsi, ma non poteva. Era come se, in qualche modo, John l’avesse inchiodata al suolo. L’uomo arrivò davanti a lei, le sfiorò il viso con la lama lucente della sua spada. «I pericoli maggiori si celano sempre dove mai crederesti di trovarli» la fece scivolare verso il collo. «Non avresti dovuto mettere il naso in questa faccenda». La ragazza si sentì profondamente scossa dalla freddezza della sua voce. «Non avresti neppure dovuto fidarti di me». Premette con crudeltà la lama sulla sua pelle, facendole sanguinare la spalla sinistra. Desdemona gemette. Tutto si sarebbe aspettata, meno che un servitore del Bene Supremo la attaccasse senza motivo. John sorrise di fronte al suo dolore. «Questo è solo l’inizio, completerò l’opera quando saremo fuori da qui. La tua avventura non durerà ancora per molto». La ragazza improvvisamente lo guardò con aria fiera. «Poche chiacchiere, schiavo che non sei altro. Per ora non puoi uccidermi perché, se non dovessi portare a termine il mio percorso, neppure tu usciresti vivo da qui. Rimandiamo tutto questo a più tardi. Credo proprio che davanti a Rabies e con me libera di muovermi, non sarai altrettanto sicuro». Il Messaggero trovò interessante quella reazione che non aveva previsto. «Lo vedremo». Così come era arrivato, se ne andò. Finalmente Desdemona riuscì di nuovo a muoversi. Si portò immediatamente una mano alla ferita. La vista le si annebbiò. Quel maledetto l’avrebbe pagata cara. Prima di riuscire a formulare qualunque altro pensiero, svenne. Non fu il buio ad accoglierla: appena ebbe chiuso gli occhi vide una figura delinearsi. Capelli lunghi e ondulati, tratti delicati, occhi verde ghiaccio. «Rabies!». Gli si gettò al collo e lui, sorridente, ricambiò l’abbraccio. Doveva essere un sogno, perché a momenti le immagini si facevano sfocate, eppure le emozioni e le sensazioni che provava erano incredibilmente reali. Poteva sentire il suo calore, la dolce stretta delle sue braccia, i suoi capelli sotto le mani. Tenendolo per le spalle si allontanò di poco da lui per poterlo guardare in viso. «Stai bene» era una semplice constatazione, non una domanda. «Certo che sto bene, per chi mi hai preso?» si lasciò sfuggire una breve risata. «Tu piuttosto, come te la stai cavando?». «Io... bene. Ma John mi ha ferita» si guardò la spalla, ma del taglio non c’era traccia. Era decisamente un sogno. «John? Come ha fatto a raggiungerti?». «Non lo so» scosse la testa «Sembra che sia passato attraverso la parete». «Un incantesimo. Ma perché l’ha fatto?». «Perché sto dalla tua parte» fece una pausa. «Credo. Ma il suo comportamento mi è parso strano: mi aveva bloccata e avrebbe potuto uccidermi, se solo avesse voluto. Anche se, a dire il vero, non mi aspettavo neppure che un servo del Bene Supremo potesse essere spietato». Lui sorrise ironico. «Ti aspettavi un cavaliere senza macchia e senza paura, eh?». Desdemona, leggermente imbarazzata, abbassò per un attimo lo sguardo. «Beh, sì». «Desdemona, anche se sai molto più di quanto non sappiano le persone comuni, ci sono aspetti che devi ancora vedere e capire. Ma temo proprio che prima o poi saprai tutto» aveva assunto un’aria preoccupata e leggermente malinconica. «Che cosa vuoi dire?». «Ancora non è il momento». «Dannazione! Devi essere così enigmatico anche nei sogni?». Sorrise accarezzandole la guancia con un dito. «Ovviamente sì. Ma perché discutere? Ci rimane poco tempo: non si può sognare per sempre». Lei lo strinse ancora una volta. «Non voglio tornare lì» bisbigliò. «Ma devi. Prima torni, prima ne uscirai». «Ma non voglio...» il nodo che aveva in gola quasi le impediva di parlare. «Su, cerca di stare tranquilla» esitò per un attimo prima di concludere la frase «io non posso vederti così». La ragazza sentì una stretta al cuore, poi ebbe una strana sensazione: come se un vortice la stesse risucchiando. Si sentì trascinare via da Rabies. Lui le afferrò le mani nel tentativo di trattenerla. «Puoi farcela. Appena avremo superato questi dannati cunicoli ci rivedremo». I due non riuscirono più a resistere e quella forza che voleva riportare Desdemona alla realtà ebbe la meglio. Anche in sogno erano stati divisi. Nel cuore della ragazza rimase un’emozione dolce e amara. Trovò se stessa patetica: era coinvolta nella battaglia fra bene e male ed era svenuta per una banale ferita a una spalla. Continuando di questo passo non sarebbe sopravvissuta allo scontro con John, anzi, non ci sarebbe neppure arrivata. Non senza sforzo riuscì ad alzarsi. Per la prima volta tentò un incantesimo di guarigione. Il risultato non fu quello sperato: il taglio non guarì del tutto, ma almeno adesso era quasi rimarginato. Le faceva molto meno male di prima. Poteva ritenersi sufficientemente soddisfatta. Doveva riuscire a migliorare molto in poco tempo, era la sua unica possibilità. Capitolo 14 Rabies finalmente si risvegliò. Per quanto tempo aveva dormito? “Spero non per molto” si augurò; se John e Desdemona avessero terminato i loro percorsi prima di lui sarebbero rimasti insieme... da soli, e lui sapeva bene di cosa il Messaggero fosse capace. Si mise a sedere, poi si stropicciò il viso con entrambe le mani, emise una sorta di grugnito: la sola idea lo mandava in bestia. “Se la sfiora lo scuoio vivo” promise a se stesso, ma neppure quell’idea lo consolò, in effetti. In preda al nervosismo accese una sigaretta. Già dalla prima boccata si sentì meglio, i suoi nervi si distesero. Doveva cercare di mantenere la calma, era l’unica cosa da fare. Si alzò e si accinse a proseguire; John non doveva torcere un capello a Desdemona e lei doveva uscire da lì sana e salva. Lo giurò a se stesso, l’avrebbe protetta, sapeva già che se avesse fallito il senso di colpa e il dolore l’avrebbero schiacciato. La ragazza e il ricordo di Valerie erano gli ultimi barlumi di speranza nell’anima di quello che era forse il più famoso fra gli Emissari. Desdemona si passò una mano sulla ferita in gran parte ormai cicatrizzata. Si chiese se quanto aveva vissuto qualche ora prima nel sogno fosse stato reale. Scosse la testa, non era il momento di pensarci. Eventualmente avrebbe chiesto spiegazioni a Rabies in seguito. Sì, perché si sarebbero rivisti, doveva essere così. Il globo luminoso che stava sospeso qualche centimetro sopra il palmo della sua mano illuminava debolmente la via da seguire. Andò avanti senza esitazioni, fin quando non vide qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere. Il pendente con la stella a sei punte e la sua schiena cominciarono a bruciare, lei si lasciò sfuggire un gemito per il dolore e per l’orrore. Gli occhi si chiusero contrò la sua volontà, non potevano sopportare una simile scena: uno scheletro crocifisso. Forse ben poca cosa rispetto a ciò che aveva trovato in quel luogo fino ad allora, ma qualcosa dentro di lei le disse che si trattava del giovane della visione che aveva avuto indossando la collana. Sentì le lacrime scivolare sulle sue guance. «Rabies...» mormorò. Sapeva bene quanto chiamarlo fosse inutile. Lui non poteva sentirla e non poteva raggiungerla, ma usò quel nome quasi come si usa un amuleto. Stargli lontano era una vera e propria tortura. Raccogliendo tutte le energie che possedeva, ancora una volta si costrinse a proseguire, anche davanti alla crudeltà e alla morte. Con sua grande sorpresa finì in un enorme salone circolare con al centro una bara che sembrava fatta d’ossidiana. Intorno a essa numerose candele accese formavano un cerchio perfetto. Ma la sua attenzione venne di colpo attratta dalla figura che stava dall’altra parte della sala: non riusciva a crederci! Dimenticando tutto il resto corse da Rabies, anche lui appena arrivato. La accolse fra le sue braccia, la strinse forte come forse non aveva mai fatto con nessuno in vita sua. La ragazza affondò il viso nel suo maglioncino, lui le accarezzò il capo con dolcezza, aveva l’aria di chi consola una bambina a cui è appena accaduto qualcosa di terribile. «Perché non vi mettete insieme voi due?». La domanda dal tono prettamente provocatorio sembrava essere stata pronunciata da John; entrambi si voltarono a guardare il nuovo arrivato e ne ebbero la conferma. Quell’uomo aveva un’incredibile capacità di infastidire. «John...» ringhiò Desdemona. «Mi sono perso qualcosa?» domandò Rabies. «Le ho fatto una visita di cortesia» ancora una volta quello sguardo gelido tornò a troneggiare sul suo viso. «Mi ha ferita a tradimento, il bastardo!». Gli occhi dell’Emissario divamparono per la rabbia. «Cos’ha fatto l’amico dei buffoni piumati?». «È riuscito ad arrivare fino al mio percorso, mi ha bloccata, ferita e minacciata, ma ora lo strozzo con le mie mani. Credevo che avrei avuto molto più tempo a disposizione per prepararmi, ma non importa» fece qualche passo verso il Messaggero, ma Rabies la bloccò posandole una mano sulla spalla. «È più complicato di quanto pensi. Questo stronzo, oltre ad essere insopportabile, è anche piuttosto potente». «E tu cosa vorresti fare? Credi di esserti davvero rimesso in sesto con una dormita?». «Come...?». «Come lo so? Pensavi di poter fare un incantesimo di quel genere senza che io me ne accorgessi?». L’Emissario riuscì a nasconderlo alla perfezione, ma dentro di sé si diede dello stupido per non aver preso neppure in considerazione la possibilità che succedesse qualcosa di simile. Di certo ora stava molto meglio rispetto a quando era crollato a terra, ma non era affatto certo che ciò fosse sufficiente a permettergli di sostenere uno scontro con John. Quest’ultimo lo fissò con aria imperturbabile, come sempre. Al suo sorriso gelido Rabies rispose con uno sguardo infuocato. Intanto la luce danzante delle candele proiettava le loro ombre sui muri. Desdemona sentì il proprio cuore accelerare, non voleva che il Messaggero avesse la meglio. La sola idea che potesse fare del male a Rabies la gettava nel panico. Sapeva di potersi fidare di lui. Si conoscevano da poco tempo in effetti, ma insieme ne avevano passate di tutti i colori e se l’erano sempre cavata. La sua vita era cambiata radicalmente e adesso non riusciva neppure a immaginare le giornate senza i continui battibecchi fra loro, senza quella costante ricerca della verità. Il rumore dei passi dell’Emissario la fece tornare alla realtà. Lo vide passarle a fianco superandola. La tensione nell’aria si faceva sempre più palpabile. Rabies si voltò per un attimo verso di lei. «Sta’ indietro» le disse con uno sguardo pieno di apprensione che non ammetteva repliche. La ragazza annuì facendosi da parte, si sentiva tremendamente impotente. Chiuse gli occhi appoggiandosi alla parete poco distante dai due e sospirò. Si chiese se fosse possibile pregare Dio perché proteggesse un servitore del male. John si concesse un mezzo sorriso pensando che finalmente stesse per avere la sua rivincita su quell’essere che per tanto tempo l’aveva infastidito. Si sforzò di non degnare Desdemona di uno sguardo: a Rabies stava a cuore la sua incolumità, ma di certo non sospettava del suo progetto di eliminarla semplicemente per renderlo vulnerabile. «La pace sia con voi». La voce di una quarta persona, proveniente dal centro della sala, li fece voltare tutti verso la bara di ossidiana. L’essere che fino a qualche istante prima era sdraiato al suo interno, ora vi stava seduto. Fissava con occhi attenti e inquietanti i presenti. Indossava un abito papale con tanto di copricapo e sontuose rifiniture. Nonostante la voce giovanile, il suo volto era orribilmente segnato dal tempo. Pur essendo lì a parlare con loro, dal pallore sembrava decisamente morto. Anche le unghie delle sue mani, deformate dalla vecchiaia, lasciavano a intendere che fosse deceduto: avevano il tipico colore violastro che tendono a prendere quelle di chi da alcune ore ha smesso di vivere. Desdemona si portò istintivamente una mano al collo, pensando di trovarsi nuovamente di fronte a un vampiro. «Cosa vi conduce in questo luogo, miei cari?» chiese con falsa benevolenza prima di mostrare un osceno sorriso, fatto di denti marci e acuminati. John parve estasiato da quella visione, si gettò in ginocchio davanti alle candele, non osando oltrepassare il limite che esse designavano. «Dunque è vero ciò che dicevano, Eminenza. Voi vivete ancora». Persino una simile frase, pronunciata da lui, riusciva a risultare fredda e distaccata. «Gesù disse: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi esercita fede in me, benché muoia, tornerà in vita; e chiunque vive ed esercita fede in me non morirà mai”». Si avvicinò a lui porgendogli la mano ornata da un grosso anello «Credi tu questo?». «Sì, Eminenza» rispose lui sforzandosi di mostrare devozione e baciandolo. Rabies fece una smorfia. Era in momenti come quello che si sentiva quasi felice della sua condizione. Pensò che stare “dall’altra parte” sarebbe stato molto peggio. «Qual è il vostro compito qui, Eminenza?». «Basta!» sbottò l’Emissario. «Siete peggio dei fidanzatini che si chiamano con ogni genere di orrido vezzeggiativo!». «Taci, servo del male!» lo apostrofò l’uomo con l’aria di un profeta visionario. «Sono stato posto qui a guardia di un sacro testo, che purtroppo però mi è stato sottratto». «Oltre che simpatico, utile devo dire...» commentò Desdemona che non provava per lui più apprezzamento di quanto ne provasse Rabies. «Sciocchi peccatori! Ringraziate il cielo, sono costretto a dirvi la verità perché a essa è legata la mia vita! Il Signore mi benedisse consentendomi di rimanere qui, in attesa del giorno del giudizio. Mi ha dato l’occasione di redimermi, purché io non menta mai». Bastava guardarlo per rendersi conto di quanto quel tentativo di purificazione fosse diventato vano, tramutandosi in una smodata avidità di vita e in terrore della morte. «Dunque, tu sei stato realmente papa». «Uno di quelli a cui il Signore ha concesso più gloria» rispose con un ghigno, infrangendo per l’ennesima volta i suoi voti senza neppure rendersene conto. Fece un inchino che, invece di un atto di rispetto nei confronti degli altri, sembrava essere un atto di riverenza verso se stesso. «Chi ha preso il libro?» tagliò corto l’Emissario. «Dovresti ben saperlo, un’indegna creatura delle vostre schiere. Immondo essere, il cui nome credo sia Tnias». Rabies e Desdemona rimasero sbalorditi. Credevano di aver segnato la fine del vampiro mutaforma nella sua stessa dimora, invece quell’essere era tornato dalle viscere dell’Inferno, portandosi via la loro unica speranza di risolvere il mistero riguardante la ragazza e quel simbolo ricorrente. John decise di approfittare della costrizione che legava l’ex papa. «Vostra Eminenza, pensate che io possa eliminare questi peccatori, in modo che non abbiano più modo di affliggere il vostro santissimo animo?». «No, ma chiedi pure… Non ti preoccupare, tanto noi non sentiamo» intervenne Rabies. Venne ignorato. «Non illuderti di poter fare ciò di cui non hai le capacità, mio amatissimo servo». La ragazza rimase stupita da come, nonostante le parole impiegate, le loro frasi riuscissero a suonare totalmente prive di affetto. «Ora vai, torna da chi ti ha mandato, raccomandandogli di smettere di assegnare missioni che in realtà non sono più che suicidi. Le schiere del Signore vanno indebolendosi, non possiamo permetterci di questi errori». Il Messaggero provò a protestare, ma l’ex papa lo fulminò con un’occhiata che non ammetteva repliche. A quel punto non gli rimase che abbassare la testa e andarsene con la coda fra le gambe. Desdemona si lasciò sfuggire un sorriso: John fuori dai piedi e Rabies sano e salvo, non avrebbe potuto chiedere di meglio. Si voltò verso il suo compagno e il sorriso le morì sulle labbra vedendo quanto sembrasse contrariato. Fissava il servo del Bene Supremo che si avvicinava a quella che doveva essere l’uscita. Evidentemente l’avrebbe volentieri ucciso. Lo sguardo dell’Emissario si posò poi sulla ragazza. Si sforzò invano di assumere un’espressione meno grave ma gli fu impossibile, anche perché si rese conto di averla delusa in qualche modo. Quel momento venne interrotto dalla sgradevole voce dell’ex papa. «Su di voi venga il male! Che il potere che usate vi si ritorca contro!» urlò aspramente. «Ma la vostra Bibbia» domandò Rabies con tono di sfida «non dice di amare anche i nemici?». «Sciagurato!» sentenziò provocando ilarità nei suoi interlocutori. «Dice di amare i nemici nostri, non quelli del Signore!». «Assai comodo adorare il vostro Dio» commentò ironicamente l’uomo. «Scherniscimi pure, lurido rigurgito del Diavolo! Ma non puoi negare la benedizione che il Signore mi ha concesso» allargò le braccia alludendo al fatto di essere stato mantenuto in vita. Rabies prese a camminare lentamente in circolo, seguendo la linea formata dalle candele. Sul suo volto era comparsa un’espressione perfidamente compiaciuta che spaventò e affascinò Desdemona. «E questa la chiami benedizione?» fece una pausa durante la quale, con aria divertita, godé pienamente della paura di quella creatura vecchia di secoli. «Il tuo Signore» riprese sibilando a denti stretti «ti permette di vivere solo a condizione che tu non oltrepassi questo confine» indicò le candele. «Sbaglio?». Il gelido silenzio dell’ex papa bastò a dargli la conferma che voleva. Sorrise. «Non ti ha benedetto. Ti ha condannato». Finalmente Rabies e Desdemona riemersero dalla Cattedrale delle Ere. Entrambi furono più che felici di poter respirare a pieni polmoni l’aria pura del bosco. Stavano in piedi davanti all’ingresso a godersi la vista. Ebbero quasi l’impressione di essere risorti. L’Emissario a un tratto si voltò con aria pensierosa verso la ragazza che lo teneva delicatamente per un braccio, così come aveva fatto per tutto il tragitto che li aveva riportati alla superficie. «Hai idea di quanto tempo abbiamo passato qua dentro?». Lei, senza rendersene conto, assunse la sua stessa espressione. «No, ma in effetti...» guardò per un attimo verso l’alto, il sole riusciva a far capolino fra le fronde in ben pochi punti, ma la scarsa luce che si poteva ammirare le rivelò che con tutta probabilità dovesse essere mattina. La leggera umidità che permeava l’ambiente sembrava darle ragione. «Come minimo siamo arrivati ieri» sospirò. «Come minimo...» ripeté. «Tanto tempo speso per niente» disse Rabies cercando qualche altra sigaretta nelle tasche, ma evidentemente le aveva finite. Gli sarebbe toccato andarle a cercare nello zaino «Quella serpe di Tnias è passata prima di noi». Per togliersi lo zaino dalle spalle avrebbe dovuto chiedere a Desdemona di lasciarlo, ma non ne aveva minimamente voglia. «Sono molto stanca» disse lei chiudendo gli occhi e appoggiando la testa alla spalla dell’Emissario. Gli parve evidente che non fosse esausta solo fisicamente, era stata messa a dura prova sotto molti aspetti, ma fortunatamente se l’era cavata bene. «Vieni» la invitò con voce calma. La accompagnò vicino al tronco di una quercia che doveva avere qualche secolo. La fece sedere in modo che potesse poggiarvi la schiena, poi si sedette a sua volta, di fianco a lei. A questo punto poté finalmente godersi la tanto sospirata sigaretta. Gli tornò alla mente la lite che c’era stata fra loro prima di entrare nella cattedrale. «E come mi vedi? Sentiamo, perché sono davvero curiosa». «Come l’unica persona a cui ho permesso di avvicinarsi a me negli ultimi anni. E a quanto pare ho sbagliato». Quelle parole risuonavano nella sua mente. Non aveva sbagliato, almeno non egoisticamente parlando. Si voltò verso Desdemona e le sorrise. Lei ricambiò. Rabies le sfiorò una guancia con le dita, poi avvicinò le labbra alla sua fronte e la baciò. La ragazza si sentì avvolta da un turbinio di sensazioni: l’aria pungente del mattino, i suoni del bosco, euforia, il cuore che le martellava il petto, le labbra di Rabies, il profumo della sua pelle. Non poté resistere, lo abbracciò. «Scusami...» cominciò. Ma lei lo interruppe. «È stata una mia scelta. E poi, penso dovesse andare così, non è stata colpa tua» lo fissò fingendosi severa. «Va bene?». Lui annuì anche se in realtà non era affatto convinto. Non voleva far gravare su di lei anche il peso del suo senso di colpa, poi... Per la prima volta ammise di fronte a se stesso che Desdemona era paradossalmente fra le cose più belle mai capitategli in vita sua, proprio ora che credeva che ogni cosa fosse perduta. Si accorse di aver lasciato che il suo volto tradisse quest’ultimo pensiero, perché vide un’ombra di preoccupazione su quello di lei. «Non mi credi» mormorò tristemente. L’Emissario la strinse più forte. «Ho...» esitò, quelle parole gli costavano molto. «Ho solo paura per te.» La ragazza si divincolò dolcemente dall’abbraccio per prendere il suo viso fra le mani. In alcuni istanti l’aveva sentito incredibilmente distante, ora invece era vicino a lei, più di quanto avesse mai immaginato fosse possibile, ma di certo non più di quanto avesse sperato. «Ricordi quando mi hai chiesto se tornando indietro ti avrei comunque seguito?». Rabies annuì silenziosamente. «La risposta non è cambiata Rabies. Mai. Neppure per un secondo». Lui sorrise, un sorriso amaro stavolta. Desdemona sentì le mani scivolare via dal suo volto mentre l’uomo, lentamente, si allontanava. In quell’istante si accorse che il muro che li separava era ricomparso, ma forse non era invalicabile. L’Emissario si diede dello sciocco per essersi lasciato andare in quella maniera, per aver mostrato tutta la sua debolezza. Per un attimo si era scordato ogni cosa, ma non Valerie. Non avrebbe potuto dimenticarla neppure volendo. Per la prima volta desiderò che accadesse. Non voleva più sopportare quella tortura. Non voleva più avere mente e cuore invasi da lei, che non era più sua e mai più lo sarebbe stata. Si disse che l’amore non era possesso, ma di certo in parte implicava anche il desiderio di stare accanto alla persona amata. Quel desiderio lo aveva quasi distrutto, e ora andava pian piano sfumando in un sogno appartenente al passato. Si rese conto di come l’assurdo proposito di Desdemona di “salvarlo” stesse diventando concreto. Certo, non come sperava lei, ma di fatto sembrava proprio che la ragazza fosse riuscita a fermare, o comunque a rallentare drasticamente, il processo di corruzione a cui i suoi obblighi lo sottoponevano. Ma era davvero un bene salvare l’anima sapendo che rimanendo essa pura, anche solo in parte, le sue sofferenze sarebbero state amplificate? Non seppe darsi una risposta, ma quella ragazza stava diventando fin troppo importante per lui, lo sapeva. Forse però la cosa peggiore era che lui stesse diventando troppo importante per lei. Anzi, era già successo e Rabies avrebbe dovuto rendersene conto prima, ma era stato troppo impegnato a farsi problemi e a essere diffidente. “Essere diffidente”. Quell’espressione gli fece istantaneamente capire ogni cosa, si voltò verso Desdemona. «E adesso che hai?» domandò lei con malagrazia. «Quanto sono stato stupido!» esclamò alzandosi in tutta fretta e rimettendosi lo zaino sulle spalle. «Daniel non si è limitato a sperare che Tnias ci facesse fuori, era d’accordo con lei!». Capitolo 15 Rabies correva e Desdemona lo seguiva cercando di stargli dietro. «Ma come...?» la ragazza aveva il fiatone. Lui si voltò un attimo senza però fermarsi. I suoi capelli ondeggiavano colpendogli il viso. «Non hai ancora capito?» tornò a guardare davanti a sé. «Daniel sa di non poter riuscire a batterci, ci manda da Tnias, la avvisa prima del nostro arrivo. Dopo che tu la pietrifichi lui la libera, in cambio la manda nella Cattedrale delle Ere a prendere il libro». «E perché l’avrebbe fatto?». «Se ci fossimo incontrati avrebbe preso due piccioni con una fava: avrebbe avuto il libro e probabilmente noi fuori gioco per sempre!». Il cuore di Desdemona accelerò, non solo per il ritmo frenetico della corsa: da quando era venuta a conoscenza della storia di Daniel non riusciva più a dargli interamente la colpa di ciò che faceva. Si disse che probabilmente, nelle stesse circostanze, non si sarebbe comportata meglio di lui. Le parve di rivedere Luna, quella splendida bambina che con tanta crudeltà gli era stata sottratta. Sentì lo stomaco rivoltarsi. Possibile che la vita reale fosse così lontana dalla giustizia? Neppure l’aria fresca del mattino che le sfiorava la pelle riusciva a darle conforto. Stavolta conoscevano la strada. Impiegarono circa un’ora per tornare a Natas. Solo ora che per diverso tempo era stata in mezzo al bosco, la ragazza si rese conto di quanto l’aria fosse irrespirabile. «È orribile» commentò con una smorfia mentre chiudeva la portiera del taxi. «Non abbiamo tempo» fu la risposta secca di Rabies. Non aveva aperto bocca per tutto il viaggio. Di tanto in tanto, però, mentre era completamente smarrito nei suoi pensieri, Desdemona aveva scrutato attentamente il suo viso, trovandovi solamente un’ira smisurata. Dubitava seriamente che si trattasse esclusivamente di Daniel e del libro. Sicuramente si era pentito di essersi avvicinato così tanto a lei, poco prima. Scacciò quell’idea. Le faceva troppo male e non era il momento. Il Motel Natas si stagliava contro un cielo limpido, in netto contrasto con esso. Non era mai parso così minaccioso. Qualcosa si mosse dentro di lei. Una strana sensazione: pericolo. Ascoltò la sua voce quasi come se non le appartenesse. «Ci stanno aspettando». Rabies le lanciò uno sguardo penetrante. «Daniel e Tnias. Sanno che stiamo arrivando». «Lo so». La ragazza rimase perplessa. «Ma come faremo a vedercela con entrambi? Siamo devastati!». Tutti e due in effetti erano pallidi, avevano mangiato quel poco che avevano portato con loro in taxi, ma da almeno due giorni non consumavano un vero pasto e non dormivano in un letto. Rabies sembrava esausto, poteva cercare di nasconderlo coi gesti, ma non poteva nascondere le occhiaie. «Se non ci sbrighiamo uno dei due se ne andrà col libro e tu non scoprirai mai cosa significa quel simbolo! È per questo che hai passato le pene dell’inferno!» ora dava sfogo a tutto il suo nervosismo. «Non possiamo mandare tutto a puttane solo perché siamo stanchi!». Per un attimo Desdemona non seppe che dire. Era arrivata fin lì per sapere, era la verità; ma non era tutta la verità. Voleva stare accanto a lui, voleva aiutarlo, tuttavia quello pareva il momento meno adatto per dirglielo. «Hai ragione» mormorò abbassando lo sguardo, tentando di smorzare la sua rabbia. Lui sembrò rimanere impassibile, semplicemente le diede le spalle e si avviò verso il Motel. «Aspetta!» urlò lei afferrandolo per lo zaino. Rabies si voltò di scatto. «Quale parte del discorso non hai capito?» sibilò. «Almeno dimmi cosa hai intenzione di fare». «Entrare là dentro e prendere quel libro. Non c’è niente di tanto complicato» mentì. «Ti prego, fa’ attenzione». «Chi ha bisogno di fare attenzione sei tu. Per me è tutto regolare, ma soprattutto, io non ho niente da perdere». Riprese a camminare a passo svelto verso l’ingresso. La ragazza sospirò. Temeva per lui, ma anche per Daniel. Non voleva che uno di loro due fosse vittima della situazione. Non poté fare a meno di fare un paragone fra John e Daniel nella sua mente. In un primo momento era rimasta affascinata da entrambi, in uno aveva visto il bene, nell’altro il male. Poi in entrambi i casi le cose si erano capovolte. Neppure ora vedeva giustizia nelle attività dell’Emissario, ma di sicuro lo comprendeva molto meglio. Ripensò a Krystel, alla rabbia che aveva provato quando se n’era andata. Quando ancora era in vita aveva sempre creduto che non sarebbe sopravvissuta senza di lei. Si sbagliava. Negli ultimi tre anni aveva subito un’atroce agonia, ma era ancora viva. Spesso chi veniva a sapere della morte della sua amica la definiva “forte” o “coraggiosa”, ma in realtà lei pensava che trovandosi davanti a certe situazioni non ci fosse alternativa. Fu costretta a interrompere il filo dei suoi pensieri, ormai erano davanti al bancone della hall. Il solito vecchio li guardava con aria sospettosa. «Che volete?» domandò in maniera brusca. «Dov’è Daniel?» Rabies non fu da meno. «Che volete da lui?». Quella domanda fu di troppo. Con un rapido gesto l’Emissario afferrò l’uomo per la gola. Lo tirò verso di sé. «Non ti ho chiesto di fare conversazione» disse con un sorriso isterico. «Ti ho chiesto dov’è Daniel, e ti conviene dirmelo se ci tieni alla pelle». Sapeva decisamente come spaventare qualcuno. «Di sopra!» il vecchio era in preda al terrore. «Vi sta aspettando nella stanza in cui avete dormito l’altra notte. C’è una donna con lui. Hanno detto che non vedono l’ora di rivedervi. Non so altro! Lo giuro!». Il sorriso di Rabies si allargò mentre lo lasciava andare. «Con le buone maniere si ottiene ogni cosa». Salirono le scale in silenzio. Lui in testa, come sempre. Desdemona manteneva i suoi passi volutamente leggeri. Sentiva che, almeno una parte di lei, non si sarebbe mai abituata al lato maligno dell’Emissario. I vestiti di entrambi erano ormai sporchi e logori, sembravano venire da un campo di battaglia e, in un certo senso, era davvero così. Da un campo di battaglia a un altro, senza tregua. Dopo aver percorso il corridoio si ritrovarono nuovamente davanti alla stanza numero tredici. Rabies aprì la porta con un calcio. Seduti ciascuno su una branda, Daniel e Tnias li accolsero con sorrisi privi di calore. «Benarrivati, amici miei» li salutò ironicamente il vampiro mutaforma con un cenno del capo. «Avevo giusto bisogno di un po’ di nutrimento». Indossava la stessa veste che portava il giorno in cui credevano di averla uccisa. Desdemona si portò una mano al collo, nel punto in cui era stata morsa. In quel momento Tnias si voltò verso di lei. La ragazza trovò insopportabile avere quegli occhi neri puntati addosso. «Il mio morso non ha ancora avuto effetto. Questo vuol dire...». «Sta’ zitta!» Rabies la interruppe bruscamente. «Voglio quel libro e lo voglio ora». Per la prima volta Daniel prese la parola. «Ti serve. Vederti soffrire è un motivo sufficiente per non dartelo» gracchiò sfoggiando uno dei suoi soliti strani sorrisi. Rabies puntò un dito contro il materasso, che prese fuoco sotto di lui. Daniel però fece in tempo ad alzarsi, con un gesto lanciò un incantesimo che sigillò la porta della stanza. Desdemona capì allora con una stretta al cuore che solo uno di loro due sarebbe sopravvissuto quella volta. Daniel da solo sarebbe stato un problema possibile da affrontare, ma Tnias... «Che c’è ragazzina?» sembrò che il vampiro le avesse letto nel pensiero. «Temi per il tuo bello?». La ragazza non rispose, ma il suo sguardo si riempì d’ira. «E se lo pietrificassi come tu hai fatto con me?» disse sollevando una mano verso di lui. Fu allora che accadde. Tnias smise di sorridere vedendo che gli occhi di Desdemona si erano rovesciati all’indietro. Evidentemente non era più in sé, persa in una sorta di trance. «Rabies...» sibilò. Lui si voltò a guardarla, quando si rese conto di cosa stesse accadendo strabuzzò gli occhi. Era come pensava. Aveva sperato con tutto se stesso di essersi sbagliato, invece... Il corpo della ragazza era percorso da scariche elettriche. Le bastò un gesto perché Rabies venisse avvolto da un campo magnetico, una barriera protettiva. Un fragore paragonabile solo a quello di un temporale investì la stanza. Tnias era pervasa da incredulità e terrore. «Puoi uccidermi ma non puoi fermare quello che è già cominciato!» urlò pur sapendo che quella che sarebbe diventata la sua carnefice non poteva sentirla. Rabies assistette alla scena del tutto incapace di agire. La sua vita era stata piena di orrori, dentro e fuori di lui, ma non aveva mai visto nulla di simile. Quelle immagini non avrebbero mai più abbandonato la sua mente. La guardò sollevarsi da terra di una ventina di centimetri, il corpo circondato da scariche elettriche che a momenti diffondevano una luce bluastra per tutta la stanza. Persino Tnias sembrava terrorizzata. «Lo sapevo» disse Daniel mentre un sorriso sinistro gli si allargava sul volto. «Seibar lliu revenni hcout!» la voce uscì profonda e assordante dalla bocca di Desdemona, ma non era affatto la sua, sembrava piuttosto quella gutturale di un mostro. Sollevando un braccio urlò sguaiatamente, facendo gelare il sangue di tutti i presenti. Un turbine avvolse Daniel e Tnias, che dovettero reggersi ai letti per non essere trascinati via. Le loro ombre comparivano e scomparivano ritmicamente, proiettate sui muri dalle scariche elettriche. «Kloot! Koob’s erehu!» urlò Desdemona infuriata mentre i suoi occhi, ancora rovesciati, sembravano assumere un’espressione se possibile più inquietante. Daniel la guardò con odio. «Era ouy tahw rof flesouy delever ouy». Rabies era senza parole, conosceva quella lingua, ma il fatto che anche Desdemona la sapesse parlare poteva voler dire solo una cosa: quello che alcuni giorni prima Daniel gli aveva sussurrato a un orecchio, dopo aver saputo che lei era stata morsa da Tnias, era vero. L’angoscia lo assalì. Com’era possibile? Provò a chiamare la ragazza, ma non riuscì a emettere alcun suono. Le parole che aveva pronunciato fino a quel momento gli parvero taglienti come lame. «Non toccherai Rabies!» aveva urlato prima di scatenare il vortice. Poi aveva ordinato a Daniel di parlare, di dirle dove si trovasse il libro. Per tutta risposta lui l’aveva guardata in cagnesco. «Finalmente ti sei rivelata per quello che sei». Guardò con orrore Desdemona puntare un dito contro l’Emissario, provocando una scarica elettrica che lo fece contorcere violentemente gemendo per il dolore. Continuò a parlare in quella lingua antica, con voce che ormai non aveva più nulla di umano. «Ti ho detto di parlare!». Davanti a lei ormai Daniel sembrava poco più che un insetto. «Cosa credi?» urlò con la voce piena di astio «Non troverai una risposta che possa davvero soddisfarti». «La domanda non era questa» rispose lei lanciandogli contro un’altra scarica. Ancora una volta Daniel si contorse, lo fece con più violenza, lasciandosi sfuggire un’imprecazione. «Nella mia stanza!» confessò alla fine, a denti stretti, tanto che solo la ragazza capì cos’avesse detto. Desdemona fece un sorriso, pieno di perfidia al punto che la rese irriconoscibile. Rabies capì immediatamente cosa avesse intenzione di fare. Corse da lei, le afferrò un braccio e la strattonò con forza. In condizioni normali sarebbe bastato a farla cadere, ma si mosse appena. Si voltò verso di lui come se l’avesse notato solo in quel momento. «Te ne pentirai» mormorò l’uomo con gli occhi pieni di apprensione. «Non farlo». «Non puoi salvarmi Rabies, non puoi neppure questa volta». Daniel in preda al dolore aveva perso i sensi. Tnias aveva cambiato forma. Le sue unghie si erano allungate a dismisura e i canini erano diventati quelli acuminati di un vampiro. Si avventò contro Desdemona, che la respinse con un gesto di inaspettata ferocia, le prese la testa fra le mani facendo sì che venisse percorsa da scariche elettriche. Il corpo del vampiro si muoveva a scossoni. «Chi è, allora, che verrà ucciso?». Tnias riuscì a staccarsi, guardò la ragazza con odio mentre ancora ansimava per il dolore. Desdemona sorrise gelidamente prima di protendere un braccio. Il vampiro mutaforma venne scagliato contro una parete e perse i sensi. Rabies finalmente si riscosse. «Il fuoco Desdemona! Il fuoco!». La ragazza, o la creatura che era diventata, si voltò per un attimo a guardarlo, annuì, poi la fiammata partì dal palmo della sua mano e il corpo di Tnias scomparve, mentre un incendio iniziò a consumare i pochi elementi dell’arredamento della stanza. Fu come se qualcuno avesse spento un interruttore, Desdemona tornò in sé, i suoi occhi ridivennero quelli di sempre. Per un attimo parve immensamente stanca prima di accasciarsi, cadendo dalla posizione leggermente sopraelevata in cui si trovava. Rabies la prese al volo mentre il fumo inondava la stanza. Tossì, gli mancava l’aria. Lanciò un rapido sguardo a Daniel, probabilmente sarebbe morto. Qualcosa dentro di lui esultò, una perversa gioia seguita a ruota da disgusto per se stesso. Sarebbe diventato come lui, era solo questione di tempo. Faticò ad aprire la porta, ma ci riuscì. Evidentemente l’incantesimo che la sigillava era spezzato. Rabies prese a correre per le scale, le braccia di Desdemona ciondolavano, prive di vita. A metà della seconda rampa l’uomo sentì di essere sul punto di svenire e per poco non cadde. Gli girava la testa, era sfinito, gli toccava correre trasportando un corpo a peso morto. In più a breve avrebbe dovuto fare i conti con la proprietaria di quel corpo. Avrebbe dovuto dirle perché il morso di Tnias non avesse avuto effetto su di lei. Poi cosa sarebbe successo? Continuò a correre, oltrepassò il bancone mentre il proprietario del Motel Natas gli urlava dietro qualcosa. Con la coda dell’occhio gli parve per un attimo di vedere qualcuno, avrebbe giurato che fosse il vampiro, ma si disse che non era possibile, doveva essere uno scherzo della sua mente stanca. Non restava che trascinarsi fino alla stazione e tornare a Levran. Era stato tutto inutile. Inutile il tentativo di nascondere la verità a Desdemona, inutile il viaggio fin lì, il massacro nella Cattedrale delle Ere. Se ne tornavano a casa con la coda fra le gambe, con qualcosa di scomodo in più con cui fare i conti e, soprattutto, senza libro. Passando davanti a un negozio guardò il loro riflesso sulla vetrina, quello che vide furono due dannati. Probabilmente la sua colpa nell’aver cacciato la ragazza in un guaio enorme era pressoché inesistente, aveva peccato di presunzione credendo che le sue scelte fossero state fatali. Tutto inutile. Durante l’intero viaggio Desdemona rimase priva di sensi. «Mia sorella soffre di continui svenimenti, si riprenderà fra qualche minuto». Così aveva risposto Rabies ai curiosi. Molti non sembravano affatto convinti, ma riuscì comunque a cavarsela. Epilogo Erano passati due giorni da quando Desdemona, dopo aver saputo la verità, era scappata, proprio come il giorno in cui si erano conosciuti. Alla fine Rabies era stato costretto a confessare ciò che già da tempo aveva compreso, pur non essendo stato in grado di accettarlo. Desdemona era un demone, per questo motivo il morso di Tnias non aveva avuto alcun effetto su di lei, per questo motivo si era trasformata in quel modo durante la battaglia contro Daniel e il vampiro. Non sapeva ancora come spiegare il fatto che lei non ne fosse a conoscenza, eppure di certo era così. Rabies si schiarì la voce, era davanti alla porta d’ingresso dell’appartamento della ragazza. A differenza di circa un mese prima non aveva la minima idea di cosa dirle, sapeva solo di dover cercare di fare qualcosa per lei. Si fece coraggio, bussò ma non vi fu nessuna risposta. «Desdemona?» provò a chiamare. Niente. Sentì una morsa allo stomaco. «Desdemona!» senza volere aveva cominciato a urlare. «Desdemona apri!» disse battendo più volte il pugno contro la porta. «Desdemona, ti prego!» faticava a respirare, forse perché in cuor suo aveva già capito. Avvicinò la mano sinistra alla serratura, tremava come una foglia. Con il solito metodo la fece saltare. Si precipitò dentro. «Desdemona!» urlò più forte. Alla fine ebbe la conferma che i suoi timori erano fondati. Una poltrona bianca era girata verso l’enorme vetrata che si affacciava su Levran. Della ragazza, da quell’angolazione, era visibile solo il braccio che pendeva di lato. Il polso era reciso. Un’altra goccia cadde nella piccola pozza di sangue deturpandone il riflesso che, dopo qualche istante, tornò a essere nitido. Ringraziamenti Ringrazio: prima di chiunque altro mio padre, Nicola Tannino. Se non avesse fatto tutti i sacrifici che ha fatto non sarei la stessa persona, non avrei potuto lanciarmi in questa avventura, o quantomeno tutto sarebbe stato infinitamente più difficile; Francesco e Roberto Tannino, i miei fratelli, per tutto il loro supporto, sia morale che pratico; Noemi Micheli, mia cognata, che con la sua mazza ferrata mi aiuterà diplomaticamente a piazzare copie del mio libro a destra e a manca (...e ciò che manca a manca... non manca a destra!); gli HIM, senza la cui canzone Killing Loneliness nessuna goccia sarebbe mai caduta in quella pozzanghera; Patrizia Burdi. Ci siamo conosciute per caso una sera, alla Casa del Popolo di Bosa; essendo rimasta incuriosita da me come persona, ha avuto voglia di leggere il mio romanzo. Mi ha aiutata nell’editing suggerendomi tante piccole modifiche che, insieme, credo abbiano reso il mio lavoro decisamente migliore. Tutto questo solo per simpatia nei miei confronti e per amore verso la letteratura. Tanto di cappello; Laura Cerretti, editor che mi è stata affiancata dalla casa editrice e con cui mi sono trovata molto bene. Oltre che per il suo lavoro, devo ringraziarla per i preziosi consigli; Valentina Sanna, mia carissima amica, vicina di casa, compagna di classe per cinque anni e compagna di banco per quattro anni e mezzo. Quando, nel 2006, le ho fatto leggere la prima pagina de Il Demone, scritta sul mio diario scolastico, è stata lei a dirmi “Perché non continui scrivendo la storia su un quaderno?”. A lunga andare “il quaderno” si è trasformato ne “i quaderni” e... beh, eccomi qua; Ileana e Maria Carroni, le primissime ad aver letto per intero il mio romanzo. Due martiri in realtà, perché l’hanno letto mentre lo stavo scrivendo, aspettando con ansia che andassi avanti. Hanno creduto in me sin dal primo secondo, nella mia storia sin dalla prima riga; buona parte dei miei insegnanti del Liceo, per non essersi accorti del fatto che quando spiegavano ed io scrivevo furiosamente, nonostante di tanto in tanto li guardassi annuendo, non stavo affatto prendendo appunti. Per la cronaca, “buona parte” non perché qualcuno se ne sia accorto, ma perché in effetti qualche spiegazione mi interessava; in ordine assolutamente casuale: Federica Biolcati, Veronica Ocello, Giulia Elisa Martinozzi, Hermes Valentino Servoli, Valerio Vacca, Glauco Ruzzetti, Michele Spanò, Nadia Valente e Tasnim Abu Shwaima. Nessuno di loro ha contribuito alla realizzazione del sito o del romanzo ma, paradossalmente, a volte attraverso il delirio si può aiutare qualcuno a non impazzire, o quantomeno a stare sereno nella sua follia; D.S.S. che, a dispetto della distanza, riesce costantemente ad essere fra i miei pensieri felici. Una delle pochissime persone nella mia vita a non avermi mai fatta sentire sbagliata. Non credo che si renda davvero conto di quanta serenità mi regala; tutti i siti affiliati e, sia ben chiaro, io non mi affilio con cani e porci: in queste cose bado alla qualità e non alla quantità; dulcis in fundo, i miei lettori. A prescindere dal fatto che amiate o meno quel che scrivo, a prescindere dal fatto che alla fine del mio primo romanzo abbiate deciso di continuare a seguirmi o meno, vi ringrazio per l’attenzione che avete scelto di dedicarmi. In un’epoca come la nostra, dare una possibilità ad un’esordiente, senza mostri dell’industria alle spalle che la pubblicizzino, non è davvero poco. Nel caso in cui non abbiate gradito il mio lavoro, mi spiace; nel caso in cui il mio racconto sia entrato nei vostri cuori, si è realizzato un sogno.