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La votazione del Parlamento Europeo relativa
alla ricerca sugli embrioni umani*
Il fatto nuovo è ormai noto e ne hanno dato notizia con rilievo
tutti i giornali e i notiziari della Radio e della Televisione: il 15 giugno il Parlamento Europeo ha votato sul Programma Strutturale sulla ricerca ed ha chiesto il finanziamento della Unione Europea sugli
embrioni umani e anche sulle cellule staminali provenienti dagli embrioni. La votazione ha ottenuto la maggioranza dei voti (284 voti a
favore 249 contrari e 32 astensioni).
Salvo migliori approfondimenti e tenendo conto delle precedenti
votazioni dello stesso Parlamento nella medesima seduta, rimarrebbe il divieto della sperimentazione finalizzata alla clonazione (riproduttiva), delle sperimentazioni su cellule della linea germinale con il
rischio di modificare il patrimonio delle generazioni future e quelle
dirette allo stoccaggio per l’approvvigionamento di cellule staminali. L’art. 18 della Convenzione di Oviedo pone infatti il divieto alla
creazione di embrioni al solo scopo di ricerca.
Pertanto, se abbiamo bene interpretato la documentazione accessibile, sarebbero utilizzabili soltanto le cellule degli embrioni soprannumerari destinati alla distruzione (non si capisce bene se utilizzabili prima e dopo il congelamento).
Pur con queste limitazioni la decisione rimane grave dal punto di
vista etico, anche in relazione all’etica razionale.
La Commissione Europea dei Vescovi Cattolici a nome di tutti i
Vescovi dei Paesi dell’Unione hanno immediatamente denunciato il
fatto rilevando che: “molte persone sono preoccupate per la strumentalizzazione della vita umana da parte della ricerca e per il suo
utilizzo come pura materia” e aggiungono opportunamente che:
“scientificamente non c’è motivo per fare una distinzione morale tra
un embrione all’inizio della sua vita e dopo l’impianto in utero o dopo 14 giorni. La vita umana non dipende e non deve essere resa dipendente dalle decisioni di altri esseri umani”.
In realtà sono stati oltrepassati dei principi cardine che hanno fin
qui regolato la ricerca: a. il principio che fa divieto di far prevalere
*
L’articolo è stato pubblicato su “L’Osservatore Romano” del 18.6.2006.
Medicina e Morale 2006/4: 665-667
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EDITORIALE
gli interessi della ricerca sul rispetto della vita umana e b. l’altro
principio che fa divieto di sperimentare su esseri umani che non
possono dare il consenso, per i quali è giustificata soltanto la ricerca sperimentale che arrecherà prevedibile beneficio per il soggetto
stesso sottoposto alla ricerca.
Questi due principi sono presenti in documenti specifici di carattere internazionale quali il Codice di Norimberga, il Codice di
Helsinki in tutte le sue versioni, i codici deontologici medici fino
alla ultima Dichiarazione dell’U NESCO del 2005 che nell’art. 6
prescrive: “La ricerca scientifica deve essere praticata soltanto
con il previo, libero, esplicito consenso informato della persona
sottoposta” (art. 6, b) e a proposito delle persone che non possono
acconsentire si dice (Art. 7, b): “la ricerca deve essere praticata
soltanto per il beneficio di colui/colei che è sottoposto alla sperimentazione”.
È ovvio che chi intende giustificare la prevaricazione su questi
principi razionalmente fondati e sanciti fa richiamo al presupposto
della non riconosciuta identità umana, pienamente umana, dell’embrione creato con i gameti umani.
Questa teoria non è accompagnata da convincenti ragioni, anche
quando è sostenuta da ricercatori per altri fatti rispettabili; si sa bene che fu proposta fin dall’inizio (Relazione del Comitato Warnock
del 1984) come una “decisione” presa per comporre “pubbliche ansietà”, dopo l’ammissione che desidero riportare a buona memoria:
“una volta che il processo di sviluppo (dell’embrione) è iniziato non
c’è stadio particolare dello stesso che sia più importante di un altro:
tutti sono parte di un processo continuo…. Perciò da un punto di vista biologico, non si può identificare un singolo stadio di sviluppo
dell’embrione al di là del quale l’embrione in vitro non dovrebbe essere mantenuto in vita”.1
Le ragioni della validità delle distinzioni nominali quali “proembrione”, “preembrione” o anche “ootide”, “prezigote” etc., non
sono state mai date in modo tale da essere confortate da ragioni valide sul piano biologico e ancor meno sul piano antropologico e soprattutto etico.
1
Report of the Committee of Human Fertilization and Embriology, cap. 17: 2.
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EDITORIALE
Non è soltanto la Chiesa Cattolica che rimane inascoltata su
questo punto: è la ragione umana che viene mortificata.
Lo stesso interesse della ricerca scientifica pare obliterato dal
momento che la ricerca sulle cellule staminali ha dato segnali di
successo nell’ambito delle cellule staminali somatiche, come ormai
è noto e comprovato, laddove non c’è alcun danno per il soggetto da
cui si prelevano.
Allora tristemente sembra che la spinta prevaricante venga da
una volontà guidata da ideologie e da interessi economici.
C’è da augurarsi che questa irruzione della “bad science” sia
riformabile in altre istanze e sedi decisionali data anche la lieve
maggioranza su cui è stata presa la decisione.
Per la coscienza cattolica esiste l’appello del Santo Padre che a
chiusura dell’ultima Assemblea della Pontificia Accademia per la
Vita ha detto: “All’uomo, infatti, è donata una altissima dignità, che
ha le sue radici nell’intimo legame che lo unisce al suo Creatore:
nell’uomo, in ogni uomo, in qualunque stadio o condizione della salute, risplende un riflesso della stessa realtà di Dio. Per questo il
Magistero della Chiesa ha costantemente proclamato il carattere sacro e inviolabile di ogni vita umana, dal suo concepimento sino alla
sua fine naturale” (cfr. Evangelium Vitae, n. 57).
Ci rimane ancora un’incertezza su quale possa essere stata la
posizione italiana in seno all’Assemblea dato l’esito del Referendum
sulla legge 40 che fa divieto dell’uso/abuso dell’embrione umano e
quale possa essere tale atteggiamento quando il deliberato del Parlamento dovrà passare al Consiglio, ove l’Italia ha ritrattato tale divieto sancito dal Referendum.
Elio Sgreccia
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