De ossibus in anphitheatro Flavio effossis:110 anni dopo i

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De ossibus in anphitheatro Flavio effossis:110 anni dopo i
G. MALERBA, P. VISENTINI (a cura di)
Atti del 4° Convegno Nazionale di Archeozoologia (Pordenone, 13-15 novembre 2003)
Quaderni del Museo Archeologico del Friuli Occidentale, 6, pp. ...
De ossibus in anphitheatro Flavio effossis: 110 anni dopo
i rinvenimenti di Francesco Luzj
Jacopo DE GROSSI MAZZORIN*, Claudia MINNITI**, Rossella REA***
Riassunto - L’animale esotico nell’antichità è sinonimo di animale raro, che desta stupore e ammirazione per la forza, la ferocia e lo splendore dei colori. È per questo che tra gli animali scelti per il commercio con i paesi esotici troviamo non solo specie
assenti dalla fauna italiana, come i grandi felini o gli elefanti, ma anche bestie più familiari, come l’orso.
Il primo spettacolo di caccia (venatio) venne dato nel 169 a.C.; successivamente gli imperatori trasformarono le venationes in
un monopolio statale. La scomparsa dei giochi e degli spettacoli avvenne gradualmente e le venationes comunque resistettero
più a lungo fino al 523 sotto Teodorico.
I principali documenti che forniscono informazioni su questa attività sono le testimonianze letterarie e iconografiche, tuttavia
già dai primi interventi ottocenteschi nel Colosseo sono documentati resti ossei degli animali dei giochi. Scavi recenti condotti
nell’Anfiteatro Flavio e nelle aree adiacenti hanno portato alla luce nuovi resti ossei di animali di origine esotica che vengono
in questa sede presentati in dettaglio.
Summary - De ossibus in anphitheatro Flavio effossis: 110 after the discovery by Francesco Luzj.
Exotic animal means a rare animal that excites astonishment and admiration everywhere for its strength, fierceness and
brightness of colours. For this reason roman people, for their shows and pleasure, dealt not only with foreign animals, such as
lions and elephants, but also with well-known animals, such as bears.
The first hunting show (venatio) took place in Rome in 169 BC; later on the emperors organised all venationes to win the
favour of the people. The shows in the Coliseum disappeared slowly and the last venatio was played in 523 AD under
Theodoric.
Our knowledge of the shows in the Coliseum is mainly related to the literature and iconographic sources, but many archaeological evidences, particularly animal bones, came from the first nineteenth-century excavations in the Coliseum. Other bones
from exotic animals were found in recent archaeological researches in the Coliseum and its surroundings; these are presented
in detail in this paper.
Parole chiave - Colosseo, animali esotici, epoca romana
Key words - Coliseum, exotic animal, roman period
Scoperte di resti animali nel Colosseo
Il primo rinvenimento di resti animali nel Colosseo
risale al 1864-65, quando fu sfondata la volta del
collettore orientale in cui giacevano crani di specie
non meglio identificate1. Nel 1874-75 Pietro Rosa
rinvenne nel medesimo collettore un notevole
quantitativo di ossa animali2. Lo scopritore consegnò al prof. Ponzi, nel 1894 direttore del Museo di
Geologia dell’Università, “per istudio”, ossa
“ferine”, alcune pertinenti a iene. Molti reperti
furono conservati nel Colosseo fino al 18933, ma la
maggior parte fu seppellita presso le Terme di
Caracalla. Nel 1879 Rodolfo Lanciani completò lo
sterro del collettore occidentale, in parte esplorato
da Carlo Fea nel 1813: “ … abbiamo trovato nel
fango che riempiva lo speco quattro metri cubi incirca di ossami di vari animali, alcuni dei quali sicuramente adoprati nei giochi anfiteatrali …”4: in particolare sono indicati “ossami di orsi, cani, cavalli
etc…” (LANCIANI 1879, p. 37).
*
Dipartimento di Beni Culturali, Università degli Studi di Lecce
Collaboratrice della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Roma
*** Soprintendenza per i Beni Archeologici di Roma
1 ASR, Min.Commercio e LL.PP, sez. 5, tit. I, art. 5 (escavazioni), b. 406, fasc. 37.
2 ACS, MPI,D.G.AA.BB.AA., I v., b .115, fasc. 169, sottofasc. 13.
3 ACS, MPI,D.G.AA.BB.AA., II v., II s., b. 389, fasc. 4374.
4 ACS, MPI, D.G.AA.BB.AA., I v., b. 106, fasc. 141, sottofasc. 28.
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Jacopo De Grossi Mazzorin, Claudia Minniti, Rossella Rea
I resti furono analizzati dal Direttore del Museo
Zoologico, prof. Leone De Sanctis5: molte ossa
erano “o stritolate dal dente di altri animali o da
attriti diversi”. Tra i reperti, tutti pertinenti a mammiferi, si distinguevano quattro specie: cavallo, bue,
dromedario, orso. Dai documenti d’archivio si evince l’esistenza, presso il Museo Geologico, di due
crani d’orso “provenienti probabilmente dagli scavi
del Colosseo”, uno dei quali appartenente a un
individuo di notevoli dimensioni. Poiché un canino
superiore di orso appariva “segato dalla punta”, lo
studioso ricondusse all’intervento dei domatori l’azione di spezzare canini e incisivi delle belve
mediante bastoni di ferro. Le ossa furono conservate nel Museo Zoologico. Nel 1893 i reperti ossei
conservati nel Colosseo furono trasferiti al laboratorio d’Anatomia Comparata dell’Università,
accompagnati da un “Verbale constatante” in cui
sono elencate 150 “ossa varie”, 228 “ossa lunghe”,
10 “porzioni di teschi”, 4 “corna”6. Nel 1894
Francesco Luzj, incaricato dalla Regia Università,
studiati i reperti, pubblicò un articolo dal titolo “De
ossibus in amphitheatro Flavio effossis”7. Furono
individuati da F. Luzj struzzi, cavalli, asini, pochi
maiali, cervi, alcuni caprioli, arieti, rare capre, pochi
tori e cammelli, molti orsi e cani, pochi lupi, iene,
leoni, tigri. La metà delle ossa riconosciute apparteneva a cavalli; come per gli asini, la maggior parte
di esse mostrava profonde incisioni prodotte da
strumenti affilati; in alcune si notavano i segni dei
denti delle belve, caratteristiche rilevate anche da
L. De Sanctis su parte delle ossa scoperte da R.
Lanciani. Anche alcune ossa di cervo e di capriolo
mostravano chiare tracce di dentatura ferina. Gli
arieti, invece, recavano segni di strumenti affilati;
alcune ossa di orso presentavano incisioni poco
profonde. Le ossa di cani appartenevano a molossi
e a specie di minori dimensioni. Le ossa di leone
erano dodici, tre quelle di tigre. Secondo F. Luzj, le
profonde incisioni nelle ossa degli animali domestici quali cavalli, alcune delle quali erano state appositamente resecate, asini e ovini, si spiegavano con
l’uso della carne dell’animale, una volta morto,
come esca, o semplice pasto per i felini. In effetti
Svetonio, a proposito di Caligola (XXVII,1), racconta: “…poiché l’acquisto del bestiame da dare in
pasto alle fiere destinate agli spettacoli comportava
una spesa troppo forte, egli dispose che fossero sbranati i condannati…”.
Tra il 1973 e il 1977, con l’esplorazione parziale dei
collettori ipogei nord e sud, posti alle estremità dell’asse minore, furono eseguiti nell‘Anfiteatro i
primi scavi archeologici8. I due strati da cui emersero circa 3000 reperti osteologici furono datati
rispettivamente tra la seconda metà del IV - inizi
del VI secolo e alla seconda metà del III - inizi del
IV, coprendo quindi un arco cronologico che va
almeno dall’età costantiniana all’epoca teodericiana (GHINI 1988). Le ossa erano pertinenti sia a specie domestiche, o semi-domestiche, in numero prevalente, che selvatiche. Tra queste si individuarono
leoni, pantere, orsi, cervi, rapaci e cigni. Le specie
domestiche furono distinte in resti di pasto degli
spettatori, polli, suini, oche, bovini, ovini; animali da
trasporto usati nei sotterranei, cavalli, asini; animali
da compagnia, cani e gatti. In realtà non è possibile
escludere la partecipazione alle venationes di bovini, ovini, cani, cavalli e asini.
Dati relativi alle epoche precedenti provengono
dallo scavo eseguito nel 1997 nel corridoio LXVIII
del I ordine. Sono state analizzate faune provenienti da strati inquadrabili tra l’età flavia e il XVIII
secolo. Gli strati che interessano l’uso originale dell’edificio sono cinque, di cui uno risalente a età flavia, i rimanenti al III d.C., formatisi all’interno di
condotti. Nello strato ascrivibile alla fine del I secolo sono emersi due soli frammenti ossei pertinenti a
un maiale, riconducibili a residui alimentari. Dai
depositi del III secolo, invece, sono emersi 743
reperti faunistici, 253 dei quali, corrispondenti al
34% ca. del campione esaminato, sono stati sicuramente riferiti a singole specie9. Queste sono rappresentate in percentuale minima da soggetti utilizzati nelle venationes: felino, probabilmente un
leone o un leopardo (un esemplare); volpe, (un es.);
cervo (un es.); cinghiale (un es.). Di dubbia pertinenza, alla sfera ludica o alimentare, sono i resti di
bue (due es.); pecora (un es.); pecora/capra (tre es.);
lepre (un es.). Non è, parimenti, possibile escludere
la partecipazione a venationes dei due esemplari di
cane individuati, mentre sicuramente riferibili alla
sfera alimentare sono i resti di pollami, pesci, volatili e, soprattutto, maiali, rappresentati da ben 24
individui.
Ossa di leopardo, insieme a un osso di struzzo e ad
alcuni resti di orso, furono rinvenuti negli anni ’80
del XX secolo all’interno di una fogna nella piazza
del Colosseo, e a questo collegata, durante gli scavi
condotti nell’area della Meta Sudans, in strati datati
al V-VI secolo (DE GROSSI MAZZORIN 1995).
5 ACS, MPI, DGAABBAA, I v., b.105.
6 ACS, MPI, DGAABBAA, II v., II s., b.389.
7 Vedi anche ACS, MPI, DGAABBAA, II v., II s., b.389.
8 Lo scavo fu promosso e diretto da C. Mocchegiani Carpano (REA 2000).
9 Lo studio dei reperti faunistici rinvenuti nel corridoio LXVIII dell’Anfiteatro Flavio è stato effettuato dalla dott.ssa C.
Minniti.
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De ossibus in anphitheatro Flavio effossis: 110 anni dopo i rinvenimenti di Francesco Luzj
Nel 1999 sono stati scoperti nei sotterranei, in strati
databili dall’età pre-flavia al VI secolo, 286 resti
faunistici, in maggioranza riconducibili a residui
alimentari, a eccezione di un cervo databile a età
flavia e di un frammento di orso, inquadrabile tra i
secoli V-VI.
Rispetto alle migliaia di felini e, in generale, animali selvatici, che le fonti letterarie documentano esibite nell’Anfiteatro, il quantitativo di ossa rinvenuto, a confronto di quelle pertinenti a specie non selvatiche, appare esiguo. A titolo esemplificativo, si
considerino solo gli 11.000 animali uccisi nel corso
delle venationes con cui Traiano celebrò uno dei
suoi trionfi nel 107, anche se parte degli spettacoli
si svolse al Circo Massimo. Non sempre è possibile
distinguere le specie e gli esemplari che parteciparono alle venationes da quelle destinate a esclusivo
scopo alimentare. È probabile che le due categorie
si fondano: non è da escludere, infatti, che i resti di
cavalli, asini, ovini, cinghiali, cervi, lepri, caprioli,
che avevano partecipato alle venationes, fossero
poi destinati a uso alimentare umano. Testimonianze in tal senso sono contenute nell’Historia
Augusta, a proposito delle distribuzioni al popolo,
disposte da Gordiano I e Probo, degli animali che
avevano partecipato alle venationes. Forse una
quota era distribuita anche tra i venatores superstiti, mentre il resto, comprese le carni feline, era
lasciato agli animali del vivarium. Sicuramente
recuperate erano alcune parti, come le zanne degli
elefanti e le pelli di tigri, leopardi, leoni, scimmie,
riconsegnati al proprietario delle bestie, cioè l’imperatore o il magistrato che aveva offerto lo spettacolo. Bisogna quindi immaginare, durante la venatio e al termine di questa, un grande lavoro di
macellazione e smistamento: gettate nelle fogne le
parti inservibili, si recuperava quanto ancora commestibile. Dall’Anfiteatro dovevano partire carri
colmi di carogne di animali da dare in pasto alle
belve custodite nei vivaria, mentre il resto, macellato sul posto, era avviato verso altre destinazioni.
Anche i resti della macellazione erano gettati nelle
fogne del Colosseo. Si sottolinea come non risultino notizie di rinvenimenti di ossa di elefante.
(RR)
Gli animali esibiti nel Colosseo secondo le fonti letterarie
Dall’inizio del II secolo a.C. si diffuse in Italia, per
influsso ellenico, il gusto per la caccia, venatio,
come attività ludica (REA 2001)10. Gli spettacoli
anfiteatrali costituirono la massima espressione
della passione venatoria che, durata circa settecento anni, raggiunse il culmine nei primi tre secoli
dell’impero. La sola città di Roma, massima consumatrice di animali da spettacolo, necessitava,
soprattutto durante l’età imperiale, di un rifornimento continuativo: bestie di ogni tipo dovevano
essere disponibili, e in grossi quantitativi, in ogni
momento. Considerando il numero annuale di giorni dedicati alle feriae nella capitale, che in età augustea ammonta a 77 giorni e nel IV secolo a ben 177,
di cui dieci fissi dedicati ai munera dei questori e 98
celebrazioni imperiali, spesso occasione per offrire
spettacoli supplementari, ben si comprende come
una così ingente richiesta potesse essere soddisfatta solo attraverso un’organizzazione massiccia,
capillare e puntuale (TANTILLO 2000).
L’idea delle venationes sembra derivata ai Romani
dalle battute di caccia alle belve cui avevano assistito in Africa al tempo della battaglia di Zama, nel
202. La prima venatio pubblica a Roma fu offerta
nel 186 a.C. da M. Fulvius Nobilior, per celebrare la
sua vittoria sull’Etolia, con un’esibizione di leoni e
pantherae11. Nel 169 gli edili curuli P. Cornelius
Scipio Nasica e P. Lentulus mostrarono 63 pantherae, 40 orsi e persino elefanti12. Gli spettacoli si
svolgevano nel Circo Massimo, nel Foro romano e,
fino alla costruzione del Colosseo, negli anfiteatri
lignei o in parte lapidei costruiti nel Campo marzio.
Il Colosseo, inaugurato da Tito nell’80 d.C., fu utilizzato come luogo di spettacolo fino al 523. Gli animali
erano variamente utilizzati non solo negli spettacoli
di caccia, con partecipazione, o meno, di cacciatori,
ma anche nelle esecuzioni di condanne a morte. Le
fognature del I ordine, ma anche i sotterranei del
monumento, restituiscono migliaia di ossa animali,
molte delle quali riconducibili a residui dei pasti consumati dal pubblico durante gli intrattenimenti.
Le fonti letterarie informano del numero e delle
specie di animali esibiti a Roma, non solo nel
Colosseo, ma anche nel Circo Massimo e nella
Naumachia di Trastevere (REA 2001). Dione Cassio
(LXVI, 25, 4), a proposito dei giochi inaugurali
dell’80 d.C., riferisce di due combattimenti, uno tra
gru, l’altro tra quattro elefanti, e dell’uccisione di
circa novecento erbivori. Molti animali erano
ammaestrati: a parte i cavalli e i tori esibiti, nella
stessa occasione, in uno spettacolo acquatico, anche
i felini erano protagonisti di giochi di destrezza. Il
poeta Marziale, testimone degli spettacoli inaugurali13, fu colpito dall’abilità con cui i leoni, afferrata
una lepre con le fauci, la liberavano senza arrecarle
10 Polibio, XXXI, 19, 22.
11 Livio, XXXIX, 22, 2.
12 Livio, XLIV, 18, 8.
13 Agli spettacoli inaugurali Marziale dedicò una serie di epigrammi, raccolti nel Liber de spectaculis.
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Jacopo De Grossi Mazzorin, Claudia Minniti, Rossella Rea
danno. Orsi e cinghiali erano spesso utilizzati per
comminare la pena capitale: il condannato, legato a
un palo o a una croce, veniva pubblicamente sbranato dall’orso. Le fonti riferiscono di orsi libici e
artici e di cinghiali arcadi. Fra gli scontri tra soli
animali Marziale ricorda due combattimenti: tra un
rinoceronte e un grosso toro, conclusosi con la vittoria del primo, e tra una tigre ircana addomesticata e un leone, che ebbe la peggio. I molossi erano
usati nelle venationes, ma anche, in gruppo, lanciati
all’inseguimento di un singolo cervo o di una coppia di gazzelle. Particolarmente sontuosi furono i giochi allestiti nel 107 da Traiano per festeggiare il trionfo sui Daci: furono uccisi undicimila animali, il quantitativo più ingente documentato dalle fonti14. Nel
148, durante l’impero di Antonino Pio, furono esibiti
elefanti, sciacalli, coccodrilli, rinoceronti, ippopotami,
tigri e leoni15. Al tempo di Commodo, alla fine del II
secolo, è documentata la presenza negli spettacoli a
Roma della giraffa e di serpenti16. Con Settimio
Severo fu mostrata per la prima volta la iena17 e,
durante il regno di Caracalla, apparve anche la
zebra18. Gordiano I, in qualità di edile, nell’arco di un
anno allestì uno spettacolo al mese: in un solo giorno
presentò al popolo cento lybicae ferae, un altro giorno mille orsi. Uno di questi grandiosi spettacoli fu
raffigurato in un dipinto della residenza di famiglia:
nel quadro si contavano duecento cervi con le corna
ramificate, in parte provenienti dalla Britannia, trenta cavalli selvaggi, cento pecore selvatiche, dieci alci,
cento tori di Cipro, trecento struzzi della Mauretania,
trenta onagri, duecento cinghiali e altrettanti stambecchi e daini19. Tra il 281 e il 282 Probo celebrò il
trionfo su Germani e Blemmi con grandiosi spettacoli: nel Colosseo esibì contemporaneamente cento
leoni, cento leopardi libici e altrettanti siriani, cento
leonesse e trecento orsi20.
A partire da Diocleziano, dalla fine del III secolo,
Roma cessò di essere regolare residenza degli
imperatori, che nel IV secolo visitarono solo occasionalmente la città. Spettò ai magistrati offrire
spettacoli al popolo. Tra la fine del IV e l’inizio del
V secolo Q. Aurelio Simmaco, per promuovere la
carriera politica del figlio, allestì a proprie spese
sontuosi spettacoli: alle venationes parteciparono
coccodrilli, antilopi, cani e, soprattutto, felini e orsi,
questi ultimi provenienti dall’Italia e dalla
Dalmazia21. Il generale Stilicone celebrò il suo consolato22 a Roma con venationes di cinghiali, orsi,
leoni ed elefanti, in Gallia furono stanati i grossi cinghiali del Reno; nella regione del Tago e nelle foreste
dei Pirenei furono snidati gli orsi. Cervi giunsero
dalla Corsica e dalla Sicilia, mentre l’Africa fu percorsa alla ricerca di leoni, leopardi ed elefanti.
Durante il regno di Teoderico, agli inizi del V secolo,
la venatio, persa qualunque caratteristica di spettacolarità, si configurava piuttosto come diretta antecedente dei moderni spettacoli da circo: l’aspetto acrobatico si accentuò, valendosi di animali ammaestrati,
soprattutto orsi e, occasionalmente, leoni23.
(RR)
L’utilizzazione degli animali nel circo in base alle
testimonianze archeologiche e le fonti letterarie e
iconografiche
In base alle testimonianze letterarie, iconografiche
e archeologiche sappiamo dell’uso nei giochi dell’arena di animali sia domestici, come cavalli, asini,
buoi, tori, arieti e capre, maiali e cani sui quali non
ci soffermeremo in questa sede, che selvatici, sia di
origine autoctona che esotica, che verranno esaminati in dettaglio. Il presente lavoro prende in considerazione oltre agli animali utilizzati nei giochi del
circo anche tutte quelle specie di origine esotica,
utilizzate probabilmente per altri scopi, di cui si ha
testimonianza nei vecchi scavi e nei campioni
archeozoologici rinvenuti più recentemente. Gran
parte di questo materiale proviene da diversi settori24 del Colosseo e dalle aree adiacenti (Tab. 1).
L’utilizzazione nelle venationes, visto il contesto di
provenienza, è maggiormente probabile per lupi ed
orsi che non rientravano abitualmente nell’alimentazione ma rimane avvolta nel dubbio per quanto
riguarda cervi, caprioli, cinghiali e lepri il cui consumo è ampiamente documentato a Roma in altri
contesti (DE GROSSI MAZZORIN 2001; DE GROSSI
14 Dione Cassio, LXVI, 25; LXVIII,15.
15 Scriptores Historiae Augustae,Antoninus Pius,10.
16 Dione Cassio, LXXII, 20, 3.
17 Dione Cassio, LVI, 1, 7.
18 Dione Cassio, LXXVII, 6, 2.
19 Scriptores Historiae Augustae, Gordiani tres, 3.
20 Scriptores Historiae Augustae, Probus, 19.
21 Simmaco, Epistulae.
22 Claudiano, De Con. Stilichonis, III,302.
23 Cassiodoro, Variae,5,42.
24
I resti faunistici provenienti dal collettore ovest del Colosseo furono precedentemente analizzati da M.R. Palombo e C.
Petronio di cui è disponibile una memoria scritta presso gli archivi della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Roma.
La foto del cranio dell’orso è pubblicata in GHINI (1988) p. 105, fig. 5.
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De ossibus in anphitheatro Flavio effossis: 110 anni dopo i rinvenimenti di Francesco Luzj
Cervo
Capriolo
Cinghiale
Lupo
Orso
Lepre
Collettore
Ovest
3
2
3
1
21
-
Collettore
Collettori
ind.
1
6
2
4
-
Est
1
5
3
3
2
Corridoi
ipogei
4
1
1
Cuneo
Meta Sudans
LXVIII
2
4
3
(US 3641)
9
2
3
16
2
Tab. 1 – Resti di animali selvatici non esotici rinvenuti nell’Anfiteatro Flavio e nelle aree adiacenti.
neurocranio
denti superiori
mandibola
denti inferiori
denti indeterminabili
atlante
scapola
omero
radio
metacarpali
tibia
fibula
metatarsali
ossa carpali/tarsali
prima falange
terza falange
Totale
Collettore
Ovest
1*
1
Collettore
Est
Collettori
Ind.
Corridoi
Ipogei
1
1
1
1
1
2
1
3
3
1
5
21
1
3
(US 3641)
2
1
2
2
1
1
1
1
Meta Sudans
2
1
2
2
4
1
3
1
16
Tab. 2 - Elenco dei resti di orso suddivisi per elemento anatomico (* dalla relazione di M.R. Palombo e C. Petronio).
MAZZORIN, MINNITI 2001). Tuttavia un metacarpo di
cervo ancora in connessione anatomica con le sue
falangi, ritrovato nei corridoi ipogei situati nel versante orientale dell’Anfiteatro Flavio, in uno strato
a matrice sabbiosa, posto immediatamente sopra la
massicciata pavimentale di età flavia, lascia in questo caso pochi dubbi sull’appartenenza ad un’animale oggetto di una venatio.
Sorprende la grande quantità di ossa di orso rinvenuta nei diversi contesti, recentemente indagati, sia
dell’Anfiteatro che dall’area della Meta Sudans
(Tab. 2, Fig. 1): dagli scavi dei collettori ovest ed est
(II-V sec. d.C.) provengono 27 resti di orso, appartenenti ad almeno tre individui, di cui due adulti e
un sub-adulto; un frammento della porzione distale
di un radio è stato recuperato negli ultimi anni nei
livelli di età tardoantica (V-VI sec. d.C.) dei corridoi ipogei (MINNITI cs); infine 16 resti ossei, appartenenti ad almeno 2 individui adulti, provengono
dai livelli di V-VI secolo d.C. dell’area Meta Sudans
Fig. 1 - Anfiteatro Flavio: ossa di orso.
(DE GROSSI MAZZORIN 1995). Testimonianza di
questo animale si ha anche tra i resti rinvenuti in
precedenza nel Colosseo ed identificati nel 1879 da
Leone De Sanctis25. Lo studioso infatti cita nella
25 ACS, MPI, Dir. Gen.AA.BB.AA., I vol., b. 105.
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Jacopo De Grossi Mazzorin, Claudia Minniti, Rossella Rea
“Nota sulle ossa trovate nella cloaca attigua al
Colosseo” alcune ossa di orso, fra cui un cranio di
esemplare giovane. Nello stesso manoscritto vengono elencati altri due crani di orso conservati
presso il Museo Geologico di Roma, anch’essi probabilmente provenienti dagli scavi del Colosseo
precedenti il 1879 (REA 2002, p. 240). Negli anni
successivi Francesco Luzj, nel primo resoconto
pubblicato sulle faune dell’Anfiteatro, fa menzione
di numerose ossa di orso (….ossa quamplurima
inveni…), fra cui in particolare un cranio di orso
giovane, già identificato come tale da George
Cuvier (LUZJ 1894, pp. 5-6).
La frequente utilizzazione di questo animale negli
spettacoli circensi è ben documentata sia dalle fonti
scritte che iconografiche. L’orso infatti venne
impiegato nei giochi dell’Anfiteatro dalle prime
rappresentazioni in età tardo-repubblicana26 fino
agli ultimi giochi del 523 d.C., quando le venationes
si erano trasformate in spettacoli acrobatici con
l’uso di animali ammaestrati. Per quanto riguarda
le regioni di approvvigionamento di questo animale, diversi scrittori menzionano l’orso tra gli animali
selvatici delle regioni occidentali dell’Africa.
Erodoto (IV, 191; II, 67) sostiene che l’orso è presente, anche se raro, in Egitto; Strabone (XVII, 3,7)
scrive che i nativi della Mauretania vestivano pelli
di orsi (oltre che di leoni e leopardi); Virgilio (Aen.
V, 37), Giovenale (IV, 99) e Marziale
(Epigrammaton Liber I, 104, 5) citano orsi libici o
numidici.Anche Dione Cassio (LIII, 27,6; LIX, 7, 3)
utilizza l’espressione “orsi africani” e Oppiano
(Cynegetica II, 460-6) menziona gli orsi tra gli animali che l’orice, specie africana, è incline a fronteggiare. Plinio al contrario si meraviglia di questo e
ricorda come sia noto da tempo che gli orsi non fossero presenti tra la fauna nordafricana27 (Hist. Nat.
VIII 36, 131), come i cinghiali, i cervi e i caprioli
(Hist. Nat.VIII 58, 228). Marziale (Liber de Spect. 7,
8) indica anche la Caledonia, regione probabilmente corrispondente alla Scozia attuale, come provincia di rifornimento degli orsi. Certamente venivano
impiegati anche orsi di provenienza italica, tra questi si deve ricordare il “lucano urso”, anch’esso citato da Marziale (Liber de Spect. 8). Per avere notizie
sulle regioni di provenienza degli orsi per gli spettacoli di età tardoantica si devono consultare
soprattutto le Epistole di Quinto Aurelio Simmaco
che illustrano i preparativi per i giochi celebrati in
onore del figlio Memmio, la prima volta nel 393, la
seconda nel 401 d.C. Per entrambi gli spettacoli
Simmaco volle rifornirsi di numerosi orsi e in particolare per il secondo ottenne alcuni orsi dall’Italia
e dalla Dalmazia e forse da altre regioni ad est e a
nord dell’Italia (Simmaco, Epistulae, VII, 121; IX,
132, 142). Anche il poeta Claudiano riporta preziose notizie descrivendo le regioni di approvvigionamento degli animali da spettacolo per i giochi
offerti da Onorio e per gli orsi cita il Monte Tago e i
Pirenei in Spagna (De Con. Stilichonis III, 302 ss.).
Numerose sono anche le rappresentazioni di quest’animale in scene di giochi circensi e in particolare una delle due raffigurazioni28 di spettacoli tenuti
certamente nel Colosseo - il rilievo Torlonia mostra alcuni gladiatori che combattono contro un
orso e un leone.
Appartengono probabilmente a quest’ultimo animale alcune ossa rinvenute negli scavi recenti sia
dal cuneo LXVIII (REA 2002, p. 241) che dai collettori ovest ed est dell’Anfiteatro Flavio (Fig. 2). Nel
primo caso si tratta di una prima falange di un
leone o leopardo29 proveniente dal livello di III
secolo d.C., nel secondo di una prima falange dallo
strato IIB del collettore est (II-III sec. d.C.) e di un
terzo metacarpale ed una prima falange dal collettore ovest (IV-V sec. d.C.). Tutti i resti ossei si riferiscono ad animali di età adulta. Invece una fibula
ed una prima falange di leopardo adulto (Panthera
pardus L.) sono stati recuperati nei livelli tardoantichi della Meta Sudans (DE GROSSI MAZZORIN
1995, fig. 6).
Per quanto riguarda i vecchi ritrovamenti da Luzj
sono elencati 12 resti di leone e 3 di tigre (LUZJ
1894, pp. 6-7).
26 Livio (XLIV, 18, 8) narra che nel 169 a.C. gli edili curuli P. Cornelius Scipio Nasica e P. Lentulus mostrarono 40 orsi; invece
secondo Plinio (Hist. Nat., VIII, 54, 83) l’orso comparve per la prima volta in una venatio offerta da L. Domizio Enobarbo
nel 61 a.C., in occasione del suo incarico come edile curule, in cui furono impiegati 100 orsi numidi e altrettanti cacciatori
etiopi.
27 All’inesistente orso nordafricano fu addirittura attribuito il rango della sottospecie Ursus arctos crowtheri, basandosi su
materiali di provenienza incerta (KOWALSKI, RZEBIK-KOWALSKA 1991). Non si può escludere che gli “orsi libici” di Marziale fossero in realtà animali originari dal Vicino Oriente, dove la specie forse sopravvive ancora con ridottissime popolazioni nella
Turchia sud-orientale, ma che in età storica, anche recente, estendeva la propria distribuzione alle montagne del Libano e
dell’Antilibano (MASSETI com. pers.). Si tratta di Ursus arctos syriacus (HARRISON, BATES 1991). Del resto tracce della presenza
dell’orso nel Levante le troviamo anche nell’Antico Testamento (Re, 2) nell’episodio che riguarda il profeta Eliseo.
28 L’altra rappresentazione di spettacolo in corso al Colosseo si trova su una moneta di Gordiano III e databile al 238 d.C.,
sulla quale è visibile un combattimento tra un elefante e grosso toro (REA 2002, p. 229, fig.6).
29 Le ossa in questione, appartenenti a grossi felini (Panthera sp.), non sono state ancora attribuite con certezza a livello specifico.
342
De ossibus in anphitheatro Flavio effossis: 110 anni dopo i rinvenimenti di Francesco Luzj
Fig. 2 - Anfiteatro Flavio: ossa di felini.
Anche i grossi felini furono grandi protagonisti
degli spettacoli: il primo combattimento tra felini si
ebbe durante i giochi celebrati dall’edile Quinto
Mucio Scevola nel 101 a.C. e secondo Plinio (Hist.
Nat. VIII, 16, 53) questo fu il primo spettacolo celebrato a Roma che coinvolse un numero cospicuo di
leoni (….leonum simul plurium…). Per Seneca (De
Brev. Vitae, 13,5) la prima occasione in cui furono
mostrati alcuni leoni lasciati liberi nell’arena si
ebbe durante gli spettacoli celebrati da Silla nel 93
a.C.. Le fiere gli furono procurate dal re della
Mauretania Bocco I. Leoni, leopardi e altri grossi
felini vengono spesso indicati nelle fonti letterarie
come pantherae30, o anche africanae bestiae31,
oppure libycae ferae32. È probabile che questi termini non indicassero necessariamente il luogo di
provenienza ma fossero utilizzati più genericamente, dal momento che questi animali non venivano
importati solo dal Nord Africa ma anche dalle province asiatiche. Negli spettacoli celebrati da Probo
nel 281 d.C. (Hist. Aug., Probus, 19) furono impiegati 100 leopardi provenienti dall’Africa e 100 dalla
Siria. L’importazione dei felini da entrambe le parti
dell’Impero romano (Africa ed Asia) è documentata dall’età tardo-repubblicana: nei giochi celebrati
dall’edile M. Scauro furono utilizzati sia animali
provenienti dall’Egitto, come ippopotami e coccodrilli, che altri (…variae…) probabilmente giunti
dalla Siria, dove Scauro soggiornò dapprima come
luogotenente di Pompeo e in seguito come governatore della provincia romana dal 65 al 59 a.C.
(Plinio, Hist. Nat. VIII, 17, 64; VIII, 26 , 96). Nella
prima età imperiale anche le province orientali
continuarono a rifornire di animali i giochi circensi,
come si legge in una iscrizione in riferimento ad
una venatio svoltasi a Palermo in Sicilia (…orientales bestias…) (Dessau, Inscr. Lat. Sel., 5055).Al contrario in età tardoantica le regioni del Nord Africa
furono le principali province fornitrici di animali esotici, come attesta Claudiano (De Cons. Stilichonis, III,
302 e ss.) che menziona l’Africa come provincia di
rifornimento per i grossi felini (JENNISON 1937, p. 62).
Come per l’orso, anche dei grossi felini si hanno moltissime rappresentazioni iconografiche che li raffigurano sia in scene di venationes, che di damnationes ad
bestiam e in episodi di caccia da collegare direttamente alla cattura e trasporto di questi animali per
gli spettacoli, come nel caso del mosaico della
Grande Caccia di Piazza Armerina, solo per citare
uno tra gli esempi più famosi33. A proposito del trasporto di fiere con imbarcazioni verso i porti italici si
deve ricordare il recente rinvenimento di un mascellare di leone in una delle imbarcazioni scavate a Pisa
(SORRENTINO 2000).
Le tigri erano importate dalle regioni dell’Asia
occidentale, fra cui l’India, la Persia settentrionale
e probabilmente la regione del Caucaso. Dione
Cassio (LIV, 9, 8) racconta di ambasciatori
dall’India che incontrarono Augusto a Samo nel
20/19 a.C. e che portavano in dono alcune tigri34.
Marziale (Liber de Spect. XVIII) menziona una
tigre proveniente dalla Persia (…tigris, ab Hyrcano
gloria rara iugo…)35.
Nei campioni faunistici rinvenuti recentemente
negli scavi dell’Anfiteatro Flavio non risultano
resti di iena, tuttavia LUZJ (1894, p. 6) menziona un
frammento di mandibola sinistra di questo animale,
conservato allora presso il Museo Geologico, che
ritiene fosse quello già identificato in precedenza
da Ponzi. Diodoro ( III, 35, 10) e Plinio (Nat. Hist.
VIII, 74; 107) la descrivono come “animale etiopi-
30 Livio, XXXIX, 22, 2; XLIV, 18,8.
31 Varrone, Re Rustica III, 13; Simmaco, Epistule II, 46, 76;VII, 122.
32 Ovidio, Fasti V, 371.
33
Recentemente le raffigurazioni degli animali sui mosaici rinvenuti nella villa di Piazza Armerina sono state accuratamente analizzate da M. SARÀ (1995) al fine di identificarne la specie di appartenenza e di verificarne la distribuzione storico-geografica.
34 Questi esemplari non raggiunsero Roma se è valida la notizia riportata da Plinio (Hist. Nat., VIII, 17, 65) che soltanto nel
11 a.C. a Roma venne esibita la prima tigre.
35 Durante il regno di Domiziano furono esibite a Roma numerose tigri negli spettacoli celebrati per festeggiare la guerra
contro i Sarmati sul Danubio (Marziale Liber II, 7,8).
343
Jacopo De Grossi Mazzorin, Claudia Minniti, Rossella Rea
co”, mentre Dione Cassio (LXXVI, 1, 4) sostiene
che la iena venne mostrata per la prima volta a
Roma nel 202 d.C. in occasione delle manifestazioni tenute per il matrimonio di Caracalla con
Plautilla e la definisce “animale indiano”. Gli storici riportano inoltre che vi fossero dieci iene nella
collezione di Gordiano III che furono poi esibite
nel 248 da Filippo l’Arabo nel circo in occasione
del millenario della nascita di Roma (Scriptores
Historiae Augustae, Gordiani tres, 33, 1, 2).
Sia De Sanctis36 nel 1879 che Luzj negli anni successivi (1894, p. 5) citano la presenza di camelidi tra
le ossa dell’anfiteatro, tuttavia le indagini più
recenti non hanno restituito ossa appartenenti a
questi animali. Sporadiche sono le segnalazioni dell’uso di questi animali nei giochi; Claudio combattè
nel Circo su di un cammello anche se non è chiaro
in che tipo di combattimento (Dione Cassio, LX,
7), Nerone mise in gara tra loro quadrighe di cammelli (Svetonio, Nerone, 11) e similmente
Eliogabalo esibì nel suo circo privato cammelli bardati, quattro per ogni carro (Scriptores Historiae
Augustae, Elagabalus, 23, 1).
Infine tra i reperti studiati da Luzj figurano uno
sterno, una tibia e un frammento di femore di struzzo (LUZJ 1894, p. 4) mentre un frammento di tarsometatarso proviene dall’area della Meta Sudans
(DE GROSSI MAZZORIN 1995). La prima testimonianza scritta della esibizione di uno struzzo a
Roma nel circo l’abbiamo da Plauto (Persa, 198,
199) che lo chiama passer marinus. Lo struzzo
ricompare tra gli animali uccisi con estrema crudeltà da Commodo (Scriptores Historiae Augustae,
Commodus, 8, 5; Dione Cassio, LXXII, 10, 18, 19).
Struzzi erano inoltre presenti nella nave fatta erigere nell’arena da Settimio Severo (Dione Cassio,
LXXVI, 1) e Giulio Capitolino racconta che
Gordiano fece erigere nel circo una fitta selva in
cui fece liberare molti animali selvatici tra cui 300
struzzi, (Scriptores Historiae Augustae, Gordiani
tres, 3,6,7). Probo in occasione del suo trionfo nel
281 celebrò una venatio nel Circo Massimo in cui
piantò numerosi alberi per imitare una foresta e vi
fece liberare molti animali selvatici, tra cui 1000
struzzi, che, ad un suo segnale, furono abbandonati
all’iniziativa degli spettatori, lasciati liberi di uccidere e di catturare quelli che volessero (Scriptores
Historiae Augustae, Probus, 19).
(JDGM, CM)
Testimonianze archeologiche di altri animali di origine esotica rinvenuti a Roma
Alcuni ritrovamenti di resti di animali di origine
esotica nell’area urbana non sembrano essere stret36 ACS, MPI, Dir. Gen.AA.BB.AA., I vol., b. 105.
344
Fig. 3 - Foro della Pace: frammento di metapodio distale di
camelide.
tamente correlati ai giochi dell’Anfiteatro. Infatti
ossa di camelidi sono state rinvenute recentemente
nel Foro della Pace e nella tomba dei Valerii sulla
via Latina. Dal Foro della Pace proviene un metapodio (Fig. 3) rinvenuto in livelli rimaneggiati che
sottoposto a datazione con il metodo del radiocarbonio, mediante la tecnica della spettrometria di
massa ad alta risoluzione (AMS), presso il Centro
di Datazione e Diagnostica Nucleare (CEDAD)
dell’Università di Lecce (campione LTL315A) ha
dato la seguente datazione calibrata: 420-600 cal
AD al 95,4% e 430-540 cal AD al 68,2%. Del metapodio è presente l’estremità distale che è stata
segata forse per l’utilizzazione della diafisi come
materiale osseo da lavorare. Anche la prima falange proveniente da strati rimaneggiati della Tomba
dei Valerii sulla via Latina (Fig. 4) è stata datata
nello stesso Centro di datazione (campione
LTL316A) e ha dato la seguente datazione calibrata: 80-260 cal AD al 91,6% e 130-240 cal AD al
68,2%. Altre segnalazioni di cammelli in Italia si
hanno sempre a Roma alla Crypta Balbi, dove è
stata rinvenuta una I falange in livelli del VII secolo (DE GROSSI MAZZORIN, MINNITI 2001), a S.
Giacomo degli Schiavoni, in Molise, dove il riempimento di una cisterna databile alla metà del V secolo d.C. ha restituito un frammento di scapola di
probabile dromedario (ALBARELLA et alii 1993) e a
Verona nei livelli dell’area del “Tribunale”, databili
al VI-VII sec. d.C., da cui proviene una terminazione distale di radio di cammello (RIEDEL 1994a).
Questo reperto, confrontato da Riedel con alcuni
radii di cammello battriano e di dromedario conservati al Museo di Storia Naturale di Vienna, è
De ossibus in anphitheatro Flavio effossis: 110 anni dopo i rinvenimenti di Francesco Luzj
Fig. 4 - Tomba dei Valerii sulla via Latina: prima falange di
camelide.
Fig. 5 - Anfiteatro Flavio “Passaggio di Commodo”: spine
pettorali di Clariidae.
stato attribuito al dromedario. Una prima falange
di camelide proviene inoltre dai livelli augustei di
Calvatone in Lombardia (WILKENS 1990; 1997) e
un’altra, sempre del periodo romano imperiale, da
Aquileia (RIEDEL 1994b).
Una questione aperta rimane il motivo per cui questi cammelli possano essere stati importati. I cammelli furono in passato sfruttati per molteplici
motivi; in epoca romana il loro latte veniva bevuto
(Plinio, Nat. Hist., XI, 237; XXVIII, 123) e la loro
carne consumata, ma furono sfruttati ovunque e
soprattutto come bestie da soma e addirittura nella
Tripolitania romana per arare i terreni (TOYNBEE
1973, pp. 137-140). Sicuramente negli eserciti37 rivestiva un ruolo di grande importanza come animale
da trasporto se tra gli Anecdota (XXX, 15-16)
Procopio cita la follia di Giustiniano per averne
abolito l’uso militare.
Vogliamo infine segnalare il recente rinvenimento di
tre spine pettorali (Fig. 5) e di una prima vertebra
cervicale di Clariidae nei livelli di III secolo d.C. del
passaggio di Commodo, ovvero un criptoportico utilizzato dall’imperatore per accedere all’Anfiteatro.
I pesci del genere Clariidae sono presenti attualmente in tutta l’Africa ma la distribuzione di uno di
questi, il Clarias gariepinus continua nel Levante,
fino alla Siria settentrionale e le zone adiacenti
della Turchia (SKELTON, TEUGELS 1992). È molto
comune in Israele in tutti i corsi d’acqua, incluso il
Giordano e i piccoli fiumi costieri. Il Clarias è un
grosso pesce riconoscibile dal suo corpo allungato e
senza scaglie, dalla bocca larga e da quattro paia di
barbigli. Uno dei nomi più comuni per questo
pesce è “pesce gatto che cammina” perché, come
suggerisce il nome, questo pesce è capace di spostarsi sulla terra da una pozza d’acqua ad un’altra
quando quella in cui si trova non è più sufficiente
alla sua sopravvivenza. Il Clarias appartiene alla
famiglia dei siluroidei38, rappresentati nel Nilo da
diversi generi (Arius, Bagrus, Auchenoglanis,
Chrysichthys, Clarotes, Clarias, Heterobranchus e
Synodontis), ma presenti anche in Europa con il
genere Silurus (il pesce siluro del Danubio e di altri
fiumi dell’Europa centro-orientale) non autoctono
dell’Italia. Tutti questi generi, meglio conosciuti
sotto il nome di pesci gatto, sono quelli che Plinio
nella sua Naturalis Historia chiama genericamente
col nome di “silurus”, comprendendo sia quelli del
Nilo che quelli europei, e che descrive come pesci
di particolari dimensioni39. Nel Nilo sono partico-
37 Ad esempio nel II sec. nella Cohors I Augusta Praetoria Lusitanorum in Egitto erano arruolati 10 cammellieri e nel III sec.
nella Cohors XX Palmyrenorum ben 34 (TOYNBEE 1973, p. 139) .
38 Si conoscono attualmente nel mondo circa 30 famiglie di pesci gatto con oltre 2000 specie. I siluriformi presentano una
morfologia assai variabile e sono distribuiti in tutti i continenti compreso l’Antartide, dove nell’isola di Seymour sono stati
rinvenuti fossili dell’Eocene (GRANDE, EASTMAN 1986).
39 Plinio, Nat. Hist., IX, 44-45: “... di particolare grandezza sono i tonni. Abbiamo trovato che un esemplare pesava 15 talenti,
e la sua coda era lunga due cubiti e un palmo. Anche in certi fiumi. Vi sono dei pesci che non si sviluppano meno, il siluro nel
Nilo, l’isox nel Reno, l’attilo nel Po: quest’ultimo, per l’inerzia, ingrassa fino a raggiungere talvolta mille libbre; viene catturato con un amo fissato a una catena e non può essere tratto fuori dall’acqua se non da coppie di buoi. E lo uccide un pesce
piccolissimo, chiamato cheppia, attaccando e mordendo con straordinaria avidità una certa vena che si trova nelle sue fauci.
Il siluro infierisce e attacca, dovunque si trovi, ogni animale, spesso affondando i cavalli che nuotano in superficie.
Soprattutto nel Meno, fiume della Germania, viene tratto fuori dall’acqua mediante file di buoi, e nel Danubio con dei ramponi: è molto simile al porco di mare”.
345
Jacopo De Grossi Mazzorin, Claudia Minniti, Rossella Rea
Fig. 6 – Saqqara. Tomba della V dinastia di Ti, dettaglio. Filettatura del pesce.
larmente diffusi il Clarias anguillaris e il Clarias
gariepinus. Loro raffigurazioni sono presenti in
numerose pitture dell’antico Egitto, tra le più
famose quelle presenti nella tomba della V dinastia
di Ti a Saqqara mentre i resti ossei sono stati rinvenuti in numerosi contesti tra cui la necropoli e il
tempio di Satet a Elefantina o, in particolar modo,
nel tempio di Karnak (VON DEN DRIESCH 1983).
Pesci del genere Clarias sono stati trovati in numerosi siti al di fuori della loro distribuzione naturale;
per esempio erano presenti tra i resti faunistici rinvenuti a Sagalassos nei livelli riferibili all’occupazione Romano-Bizantina (VAN NEER et alii 1997), a
Salamina di Cipro nel VII a.C. (GREENWOOD,
HOWES 1973) e a Kommos (Creta meridionale) nel
Tempio C in livelli databili tra il 375 a.C. e il 200 d.
C. (ROSE 1994).
Un’altra spina dello stesso pesce è stata rinvenuta
alcuni anni fa all’interno di un pozzo della tenuta di
Vallerano nel suburbio di Roma (DE GROSSI
MAZZORIN 2000). Questo genere di rinvenimenti
pone dunque il problema su quale fosse il motivo
dell’importazione di questo pesce nell’antica
Roma. Il suo uso alimentare sembra poco probabile perché non si vede l’interesse per un pesce d’acqua dolce, dalle carni non particolarmente gradevoli, in un paese come l’Italia dove non mancavano
certo pesci sia di mare che dulciacquicoli di gusto
migliore.
La vicinanza della tenuta agricola di Vallerano con
una necropoli, sviluppatasi principalmente in età
40 Tombe 27, 32, 33, 43 bis e 45 (BEDINI 1995).
346
antonina ma che sembra continuare a esistere nel
III secolo, che ha restituito numerose anfore di produzione africana (BEDINI, TESTA 1995) e in cui è
stata individuata la tomba di una giovane donna
caratterizzata dalla presenza di un ricco corredo di
gioielli di fattura orientale, probabilmente siriaca40,
ha lasciato anche ipotizzare che in quella zona
fosse presente una comunità orientale e che la
spina potesse essere legata a un qualche tipo di
rituale magico-religioso (DE GROSSI MAZZORIN
2000).
Non si poteva infatti escludere che l’osso, per la sua
particolare forma, potesse esser stato una sorta di
amuleto od oggetto ornamentale. Tuttavia nel
Passaggio di Commodo è stata identificata anche
una vertebra che lascerebbe quindi cadere questa
ipotesi. Molto più attendibile è quindi l’arrivo di un
pesce sottoposto a un qualche procedimento di
conservazione come la salatura. Del resto la preparazione (filettatura e salatura) di questi pesci è
documentata anche nelle raffigurazioni egizie, come
ad esempio nella tomba di Ti a Saqqara (Fig. 6).
Numerose sono inoltre le menzioni da parte di Plinio
della salatura dei siluri nell’antichità anche se il loro
uso non era solo quello alimentare ma venivano utilizzati nella farmacopea dell’epoca per guarire o alleviare particolari malattie dell’apparato laringeo,
digerente, circolatorio e del sistema nervoso periferico (Plinio, Nat. Hist., XXXII, 90; 93; 94; 104; 111; 119).
Inoltre, soprattutto quelli africani erano usati per il
parto (Plinio, Nat. Hist., XXXII, 131) o per far uscire
De ossibus in anphitheatro Flavio effossis: 110 anni dopo i rinvenimenti di Francesco Luzj
le punte conficcate nel corpo41. Quest’ultima proprietà del siluro è riportata anche da Dioscoride (II,
27) il quale scrive che “la carne del siluro salato, in
applicazione, tira fuori le spine”. A questo scopo non
veniva utilizzata soltanto la carne del siluro ma, come
riporta Plinio, anche la cenere della sua spina.
Quest’ultima notizia potrebbe quindi giustificare la
presenza di questi particolari elementi scheletrici a
Roma. Non va inoltre dimenticato che annesso
all’Anfiteatro Flavio vi era una sorta di “ambulatorio” per i gladiatori che venivano feriti durante i gio-
chi; la presenza delle spine di Clarias del Passaggio di
Commodo potrebbe quindi trovare un senso nelle
pratiche farmaceutiche che vi si svolgevano.
(JDGM, CM)
Ringraziamenti
Cogliamo l’occasione per ringraziare il Prof. L.
Calcagnile, Direttore del Centro di Datazione e
Diagnostica dell’Università di Lecce, per le datazioni sulle ossa di camelidi.
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del guscio dei molluschi della porpora, in acqua, la carne di pesci sotto sale, i granchi di fiume tritati, la carne del siluro di
fiume (che vive nel Nilo e anche altrove), applicata fresca o salata. La cenere dello stesso pesce serve per estrazioni; il grasso
o la cenere della spina sostituisce lo spodium.”.
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