05 gabriele frascaroli

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05 gabriele frascaroli
Nonna Lina di Caltanissetta, classe 1932.
di Gabriele Frascaroli
“Eh ma ai miei tempi non era mica tutto così semplice, sai? Per guadagnarsi da vivere bisognava
lavorare, e anche tanto” . Nonna Lina non ebbe sicuramente un’infanzia facile, era un’infanzia
vissuta in tempo di guerra.
Era la prima di quattro figli e perciò sua madre la caricò di molte responsabilità sin da bambina,
dall’età di cinque anni, infatti dovette badare a suo fratello di appena sei mesi e a sua nonna
paralitica. Lei diceva sempre “ho passato la vita a fare la badante” anche perché ha dovuto da
adulta accudire prima sua madre e poi nonno Tano durante il loro lento declino senile.
Viveva a Caltanissetta, in una piccola casa malconcia e decadente, una tipica colata di cemento anni
trenta del periodo fascista, di quelle che in quell’epoca spuntavano come funghi ovunque in tutto il
territorio italiano.
Vi erano solo due letti, uno per i genitori e l’altro per i quattro fratelli, ma tanto di tempo per
dormire ve n’era poco, sveglia alle cinque “come ‘e gaddine”, e giù dal letto a preparare la
colazione per tutta la famiglia. La colazione consisteva in un tocchetto di pane, di solito raffermo,
bagnato e ammorbidito con un po’ d’acqua, ogni tanto ci si poteva permettere anche del latte per
accompagnare giù il boccone. Dopo aver vestito i tre fratelli, nonna si trasformava in Cenerentola e
si occupava delle faccende di casa.
Il pomeriggio poi usciva, con il suo mazzo di chiavi chiudeva la porta di casa, onde evitare la fuga
di uno dei fratellini, e andava a fare le compere per tutta la famiglia. È sempre stata, sin dalla tenera
età, come una mamma premurosa e accorta per tutti quelli che la conoscevano e godevano delle sue
cure e attenzioni. Forse ciò è dato dal fatto che sua madre, nonostante amasse i propri figli più della
propria esistenza, è stata un po’ assente nella loro vita, costretta a lavorare giorno e notte nella
sartoria per racimolare quel misero gruzzolo che permetteva la sopravvivenza della famiglia.
La sera poi si occupava di apparecchiare, sparecchiare, cucinare e far addormentare i tre fratelli.
All’epoca di mia nonna non c’era tempo per giocare, e già da bambini si imparava ad essere
“spirti”, svegli, accorti e scaltri. Il fatto della fiducia e dei mille doveri con cui le madri caricavano
i figli di responsabilità è un chiaro segno di come questi crescessero immediatamente con zelo e
diligenza e di come fossero in grado di occuparsi di diverse faccende.
All’età di sei anni nonna ha incominciato ad andare alla scuola elementare, ma solo per tre anni, poi
è iniziata la guerra, e non c’era più tempo per l’educazione, ognuno doveva pensare a sé e al bene
della propria famiglia. Mi ricordo ancora che mi raccontava di quando suonava la “sirena nera”,
quella che annunciava l’arrivo dei caccia bombardieri nemici, e la sua famiglia e i Giardina, i vicini
di casa, andavano a rifugiarsi all’interno di un enorme tronco cavo di un secolare salice che era stato
colpito e scavato all’interno da un fulmine.
Mi raccontava che durante il periodo fascista entrò a far parte dell'Opera Nazionale Balilla (ONB).
L'ONB era un progetto complementare all’istruzione scolastica che mirava non solo all'educazione
spirituale, culturale e religiosa, ma anche all'istruzione premilitare, ginnico-sportiva, professionale e
tecnica. Scopo dell'ONB era infondere nei giovani il sentimento della disciplina e dell'educazione
militare, renderli consapevoli della loro italianità e del loro ruolo di "fascisti del domani".
Nonna Lina, ovviamente, non era a conoscenza di tutte queste cose, era solamente contenta di far
parte delle “piccole italiane” perché era vestita di tutto punto con la camicetta in piquet bianco, con
la gonna nera, e con il berretto e le scarpette sempre nere.
In quel periodo a Caltanissetta non c’erano le tubature per l’acqua corrente così mia nonna, con
l’aiuto di suo padre, ogni tre giorni doveva andare al mattino presto con delle taniche da dieci litri al
pozzo, che distava circa un chilometro da casa sua, e caricare quanta più acqua poteva.
L’infanzia di mia nonna non consisteva solo in fatica e duro lavoro; ricorda con gran diletto le
“dieci lire della domenica”, tanto costava, infatti, un biglietto per il cinema. Andare al cinema la
domenica, all’epoca era diventata un’abitudine, quasi un obbligo imprescindibile. Era uno dei pochi
momenti di ritrovo con le persone della stessa famiglia e con estranei.
Mi racconta anche delle vacanze che trascorreva a Licata, che dista una sessantina di chilometri da
Caltanissetta. Per arrivarci, bisognava prendere il treno, anche perché la Balilla Berlina (l’auto più
economica dell’epoca che costava “solo” diecimila lire) era inaccessibile per le tasche del mio
bisnonno, che di professione faceva il minatore. Mi diceva che quei treni sembravano carichi di
bestiame tanta era la puzza che si sprigionava al loro interno. Ciò era dovuto al fatto che ogni
passeggero si portava da casa il pranzo (la caponata, le uova sode, le acciughe, le alici, le olive, le
panelle e le patate “frigghiute”) e se lo gustava lì, durante il tragitto. Ovviamente il mix d’odori che
si spandeva era veramente intenso, e scommetto che avrebbe messo KO addirittura un Pugile come
Primo Carnera, il mito italiano dell’epoca.
Le vacanze consistevano in puro riposo sotto l’ombrellone, erano quei canonici sette giorni dedicati
al “non pensare”, non pensare al lavoro, alle faccende di casa, alle bollette, e a tante altre
preoccupazioni. Ci si riposava così tanto che non c’era il tempo per farsi neanche un bagno, infatti,
nessuno sapeva nuotare, ogni tanto ci si bagnava, ma giusto per rinfrescarsi.
Mi ricordo di quanto nonna amasse ballare. Un giorno mi raccontò che quando era piccolina il suo
sogno nel cassetto era diventare una ballerina, “una di quelle famose che vanno in America a
Hollywood”, diceva. Andava ogni sabato sera con le sue amiche in un bar di quelli stile Happy days
e ballava per tutta la sera rhythm n’blues, boogie woogie, rockabilly, rock n’roll.
A diciott’anni, quando ormai la guerra era finita già da cinque anni, lei si trasferì a Milano e da lì
incominciò la sua vita da donna, che la portò ad accumulare nel tempo tante fortune.