La comunicazione nei gruppi: le risorse del singolo per il

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La comunicazione nei gruppi: le risorse del singolo per il
ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 1999
La comunicazione nei gruppi: le
risorse del singolo per il potere del
gruppo
Valeria Fabris
Perché il gruppo?
Secondo Brown (1989; trad. it. p. 17) un gruppo esiste quando «due o più
individui definiscono se stessi come membri e quando la sua esistenza è
riconosciuta da almeno un'altra persona». Questa definizione pone subito in
rilievo alcuni aspetti cruciali delle dinamiche di gruppo: l'interazione tra
individui, l'aspetto sociale e la specifica identità del gruppo. Infatti, numerosi
autori, tra cui Mead (1934), Sherif (1936), Asch (1952) e Lewin (1952), hanno
posto in rilievo il carattere reale e distintivo dei gruppi sociali, caratterizzati
da proprietà uniche che emergono dalla rete di relazioni tra i singoli membri.
La natura del gruppo e le sue forze dipendono però principalmente dalle
azioni degli individui che a loro volta, come membri, presentano
cambiamenti psicologici connessi a questa appartenenza; ciò depone a favore
di una visione dei fenomeni di gruppo sia come prodotto sia come
condizione delle azioni dei singoli (Asch, cit).
La stessa nascita del gruppo si ricollega in primo luogo alla sua
composizione e quindi alle singole persone che, per determinate affinità e/o
motivazioni, si trovano in relazione. Secondo il modello di Heap (1985)
relativo ai "piccoli gruppi" in ambito sociale, l'interazione porta alla scoperta
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di un'affinità e quindi ad una identificazione reciproca che, favorendo il
legame di gruppo, facilita lo svilupparsi della capacità dei membri di
sostenersi l'un l'altro, di esercitare un reciproco controllo, di favorire il
riconoscimento delle forze nascoste, di alleviare il senso di isolamento con la
generalizzazione e la condivisione, e soprattutto di consentire una migliore
rappresentazione di sé attraverso il potere collettivo del gruppo.
Il gruppo possiede infatti molte risorse che possono essere estremamente
utili per aiutare il singolo a rappresentare meglio se stesso in un momento di
difficoltà e di disponibilità al cambiamento. Il sostegno è una delle più
importanti, in quanto tende a rafforzare le funzioni dell'Io migliorando la
percezione della realtà e la manifestazione adeguata dei sentimenti,
aumentando la consapevolezza e arricchendo l'identità dell'individuo. Ad
essa si affianca il controllo, che aumenta la socializzazione attraverso
l'identificazione e la condivisione, tenendo pure a bada gli impulsi e
fornendo così un approccio condiviso ai problemi e il riconoscimento dei
sentimenti nascosti o negati. La generalizzazione fornisce un altro
contributo importante per una migliore rappresentazione individuale, poiché
aiuta l'individuo ad uscire da una situazione di solitudine sociale attraverso
la condivisione con altri degli aspetti di sé più nascosti e sofferti, e favorisce
così soluzioni collettive più integrate e un maggior potere d'incidenza a
livello sia sociale che politico.
La dinamica di gruppo
Con questo termine ci si riferisce allo studio delle relazioni complesse e
interdipendenti che avvengono in un campo o ambiente comune tra
individui di piccoli gruppi impegnati nella interazione (Luft, 1968). La nostra
identità è infatti strettamente collegata sul piano sociale alla nostra
appartenenza ai vari gruppi e l'inserimento in essi richiede spesso una
ridefinizione personale che può non essere facile né indolore. Le relazioni
con gli altri hanno un grosso peso in questo processo, innestando appunto
complesse dinamiche come l'interdipendenza del destino e quella del
compito.
Secondo Lewin, infatti, un gruppo esiste quando gli individui che lo
compongono si rendono conto che il loro destino dipende da quello del
gruppo nell'insieme, ma ancora più determinante appare per lui
l'interdipendenza negli scopi, che fa sì che i risultati di ciascuno abbiano
delle implicazioni per quelli degli altri. In effetti, il fondamento principale di
molti gruppi consiste spesso in un obiettivo condiviso ed è in questa
direzione che si orientano gli sforzi comuni. L'analisi di Bales (1953) si
sofferma sul peso che tale aspetto ha sui processi di interazione nei
"piccoli gruppi" distinguendo prima di tutto due tipi di comportamento:
quello diretto al compito o strumentale e quello socio-emozionale o
espressivo. Essi possono coesistere all'interno dello stesso gruppo o
alternarsi in tempi diversi al variare dei bisogni e delle esigenze del
gruppo stesso, interagendo in maniera interdipendente e flessibile. A
questi comportamenti si ricollegano strettamente le norme del gruppo, che
servono proprio a definire quali sono le azioni accettabili in quel dato
momento e per quello specifico problema. La norma è infatti una scala di
valori che determina la gamma di atteggiamenti accettati e non dai
membri di un'unità sociale e, in quanto tale, aiuta a prevedere e
interpretare il mondo. Inoltre, contribuisce a regolare l'esistenza sociale e
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a coordinare le attività in modo che lo scopo del gruppo venga raggiunto
affrontando i problemi nel modo più completo possibile e contribuendo
anche a mantenere l'identità globale. Proprio perché sono legate
profondamente agli obiettivi condivisi le norme nei "piccoli gruppi" sono
tendenzialmente flessibili e seguono le dinamiche gruppali relazionandosi
pure in maniera diretta con le specifiche differenze individuali e i
conseguenti comportamenti del singolo membro.
Ruoli e leadership
Sia il comportamento espressivo che quello strumentale, così importanti
nella struttura del gruppo, sono spesso svolti da due diversi individui che
ricoprono così il ruolo dell'individuo più simpatico e di quello con più idee.
Questi sono ruoli chiave, ma comunque ciascun appartenente al gruppo ne
ricopre uno, che si ricollega a regolarità o aspettative particolari del suo
comportamento. I ruoli permettono un'importante divisione dei compiti
all'interno del gruppo e perciò ne favoriscono l'ordine e l'esistenza, ma il
peso maggiore lo hanno nel processo di definizione di sé che il soggetto
porta avanti nell'ambito gruppale, dando un contributo fondamentale alla
nostra identità. I ruoli psicologici sono per lo più inconsci e collegati a un
certo numero di atteggiamenti che formano un tutto coerente con un certo
orientamento generale, che determina quelli privilegiati e messi
sistematicamente in atto. Essi si ricollegano a bisogni e motivazioni profondi
e, se sistematizzati per agire sull'ambiente e manipolarlo, forniscono pure
una funzione di espressione e di difesa transpersonale (Mucchielli, 1983). A
questi si ricollegano le cosiddette attese di ruolo che sottendono un bisogno
di una particolare reazione del partner che favorisca specifici tipi di relazioni
atte a soddisfare la volontà di «essere secondo il proprio ruolo privilegiato».
Non tutti i ruoli hanno poi lo stesso valore; questo viene definito nel
confronto sociale e determina una gerarchia tra membri con status diverso.
Lo status è relativo alle aspettative sulla competenza del soggetto nei vari
settori, diversamente dal ruolo ricollegabile a quelle sul tipo di
comportamento adottato, ed è anch'esso un utile strumento di
autovalutazione per il singolo, favorendo il confronto con chi è più simile a
noi nella gerarchia delle competenze.
Chi occupa posizioni di status elevato è spesso identificato come leader,
ed è colui che possiede determinate capacità che possono aiutare il gruppo a
raggiungere un certo obiettivo in particolari circostanze o, più in generale,
chi influenza maggiormente gli altri più che esserne influenzato.
Secondo l'antropologo Jackson, ripreso da Luft (1969), esistono
nell'ambito delle varie culture cinque diverse modalità di leadership che
possono ritrovarsi in tutti gli ambiti sociali: lo Sciamano, il Mistico, il
Naturalista, il Sacerdote e il Mago.
Lo Sciamano si occupa degli altri e dei vari argomenti emergenti per
richiamare l'attenzione su se stesso ed emergere, usando il suo fascino per
influenzare gli altri ed impressionarli in modo da ottenere la loro fiducia.
Mostrando la sua abilità, fa sentire anche gli altri migliori ma, così facendo,
crea legami di dipendenza ed un effetto carismatico che però svanisce in sua
assenza, lasciando i suoi seguaci con scarsi risultati dovuti ad un limitato
apprendimento autonomo.
Il Mistico sembra caratterizzato da migliori capacità di osservazione ed
analisi rispetto al gruppo; ciò favorisce il suo relazionarsi ad ognuno in
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modo unico e specifico, spinto da un genuino altruismo. I suoi seguaci sono
arricchiti dal rapporto con lui anche se appare un modello difficile da
imitare, poiché in grado di accantonare i suoi bisogni per occuparsi degli
altri e non in cerca di un potere personale che renda chi lo segue dipendente.
Il Naturalista è fondamentalmente realista, orientato a definire il problema
e a risolverlo con la ragione e con l'analisi; è rispettato per i suoi risultati ma
nell'ambito del gruppo non appare interessato ai sentimenti propri ed altrui,
mentre fuori da esso appare normalmente emotivo e rilassato.
Il Sacerdote non rivendica un potere personale ma rappresenta un'autorità
che vuole salvaguardare e in nome della quale istituisce una rigorosa
gerarchia basata sull'adempimento degli obiettivi rigidamente definiti e
preordinati, che non permettono discussioni e divergenze.
Il Mago lavora a modo suo in perfetta concentrazione e precisione, con
strategie che solo lui conosce e può gestire; ciò lo rende un leader solitario,
rispettato con devozione e timore dai suoi seguaci che lo lasciano solo ma
cercano comunque di mantenere buoni rapporti in previsione di qualche suo
intervento d'emergenza.
Questi modelli di leadership oltrepassano certamente i confini culturali e
sociali, e vogliono rappresentare modi diversi con cui le persone possono
influenzarsi in un'ottica di potere e gestione del gruppo. Caratteristica
comune di tutti i leader è comunque all'inizio la necessità di costruirsi una
base di credibilità e di legittimità condivisa che li autorizzi ad indirizzare
successivamente un'azione di modifica sulle norme vigenti, e questa può
basarsi sulla condivisione degli ideali comuni e sulla capacità di raggiungere
gli obiettivi richiesti dal gruppo.
Gli individui "devianti"
Non solo i leader possono introdurre cambiamenti nelle regole gruppali;
anche la minoranza può avere il suo peso, in quanto nessun gruppo è
perfettamente omogeneo e contiene sempre delle divisioni latenti. Secondo
Moscovici (1976), i comportamenti più originali, maggiormente rivelatori
delle caratteristiche personali sottostanti, sono definiti "devianti", in quanto
si contrappongono a quella che viene percepita nel gruppo come la normalità
sociale e le aspettative di azioni desiderabili.
I cosiddetti individui "devianti" possono essere visti anche come possibili
catalizzatori del cambiamento, provocando conflitti nelle cognizioni e nelle
percezioni della maggioranza. Loro caratteristica fondamentale per poter
influenzare gli altri deve essere la coerenza di intenti, che suggerisce una
profonda convinzione in ciò che si dice e si fa, accanto ad autonomia di
pensiero e grande coinvolgimento di sentimenti ed energie. Il loro stile di
trattativa, pur se costante, deve però conservarsi sufficientemente flessibile
per permettere alla maggioranza un'elaborazione e una modificazione dei
costrutti che sia graduale e non eccessiva. Appare perciò evidente che
l'identificazione di alcune persone come "devianti" da parte del gruppo di
appartenenza nasce prima di tutto da un'esigenza di "rappresentazione
sociale" che possa permettere la ricostruzione della realtà relazionale alla
luce dei cambiamenti emersi in essa (Moscovici, 1979). La presenza e il
riconoscimento di questi individui da parte del gruppo favoriscono, infatti,
una riorganizzazione del suo mondo sociale e la nascita di nuove modalità
cognitive di risposta che sono appunto stimolate dai cambiamenti introdotti
dalle persone cosiddette "devianti". Esse risultano perciò in grado di
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influenzare notevolmente la realtà del gruppo pure partendo da una
posizione più defilata e potenzialmente svantaggiata.
La comunicazione nei gruppi
Anche l'analisi della comunicazione nei gruppi svolta da Bavelas (1969)
parte dai singoli membri visti in relazione in termini di "legami" topologici e
si sofferma sulla "distanza" tra loro intesa non in senso fisico ma come il
numero minimo di legami che un individuo deve attraversare per
comunicare con un altro. In questo sistema risulta importante l'"indice di
centralità" che indica se il flusso di informazioni è centralizzato in una
persona o disperso in modo più uniforme. Da ciò derivano alcune reti
semplici come la ruota, in cui solo il membro centrale può comunicare con
tutti mentre gli altri devono passare attraverso di lui, il cerchio, la catena, la
Y; si osserva come per i problemi semplici le reti molto centralizzate
risultino efficaci, mentre per quelli complessi i sistemi decentralizzati siano
nettamente superiori.
All'interno delle diverse reti di comunicazione, una funzione
fondamentale è rivestita dal feedback, inteso come una risposta al
comportamento che abbiamo generato. Secondo Luft (1969), ne esistono di
cinque tipi:
1) Informazione: la persona che da il feedback ripete a quella che lo riceve
ciò che questa ha detto, permettendole di modificare o confermare il suo
messaggio.
2) Reazione personale: la persona che da il feedback informa chi ha parlato
dell'effetto che ha su di lui.
3)
Reazione giudicante: la persona che da il feedback valuta l'altro
esprimendo sue opinioni; questo tipo è uno dei meno efficaci per favorire
la consapevolezza e il cambiamento.
4) Feedback forzato: chi lo da richiama l'attenzione sulle aree cieche del
comportamento dell'altro.
5) Interpretazione: chi parla da una spiegazione del comportamento altrui
collegandolo a qualche causa.
Tutti questi tipi di ritorno del comunicato possono ritrovarsi all'interno
della comunicazione nei gruppi ed avere valenze e potenzialità diverse a
seconda del momento personale e del cammino di gruppo, delle parole usate
e dell'atmosfera generale. Principalmente però i diversi feedback sono
originati dalle modalità comunicative messe in atto in quel determinato
contesto. La mancanza di informazioni necessarie o comunque di chiarezza
e il conseguente timore possono indurre una comunicazione incompleta che
a sua volta causerà una discussione inconcludente, ripetitiva e frustrante,
mentre in una situazione caratterizzata da conflitti e sensi di colpa o
inferiorità lo scambio risulterà necessariamente ambiguo ed oscuro, con
molte comunicazioni indirette e forti tensioni latenti. Anche la mancanza di
chiarezza nel linguaggio - o più in generale un divario semantico tra i
membri - può creare ostacoli, così come la parallazione, intesa nel senso di
essere in contatto ma agire in modo indipendente, senza coinvolgimento, se
non intesa implicitamente, causa divari interpretativi e fraintendimenti.
Anche il silenzio - visto nei diversi momenti come di transizione, di reazione
a novità, di passività o al contrario di reazione alla scarsa interazione in una
modalità di aggressività passiva - ha un grosso peso nell'ambito della
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comunicazione nei gruppi, ed è anch'esso uno strumento di dichiarazione e
di potere alla portata di tutti i singoli membri del gruppo, che possono pure
in questo modo esercitare la loro influenza sugli altri.
Un altro aspetto determinante negli scambi comunicativi appare la
possibilità di interazione tra il livello del contenuto e quello della relazione,
cioè la capacità di comunicare su informazioni implicite relative sia al modo
di interpretare ciò che viene detto sia al tipo di rapporto tra chi comunica.
Secondo Watzlawick et al. (1967), un adeguato livello di metacomunicazione
è fondamentale per una comunicazione efficace tra persone diverse, ma esso
appare strettamente legato alla consapevolezza di sé da parte del singolo, e
quindi alle sue capacità di individuare obiettivi ed emozioni da confrontare e
condividere successivamente con quelli degli altri. La chiarezza d'intenti
dell'individuo permette infatti una gestione funzionale anche dello scambio
comunicativo e fornisce un ulteriore strumento per superare le impasse nei
gruppi proprio attraverso la volontà e la capacità di comunicare sulla
relazione che partono dal singolo membro sotto forma di messaggi e
conferme di ritorno.
La struttura psicologica latente
All'interno dei gruppi il fenomeno fondamentale della comunicazione
tende di solito a strutturarsi in alcune forme stabili e ripetitive, che
definiscono il gioco delle interazioni. Questa strutturazione ha la funzione di
garantire stabilità e coerenza al gruppo ma, se esasperata, provoca in realtà il
blocco delle comunicazioni e della stessa attività del gruppo,
imprigionandolo in giochi senza fine legati a schemi monotoni e sempre
uguali. Per uscire dall'/mpasse sarebbe forse necessaria una riflessione
comune sulle proprie modalità di funzionamento; invece, spesso il gruppo
utilizza una sorta di proiezione collettiva scegliendo un membro, il "capro
espiatorio", su cui scaricare la tensione creata dai conflitti e con cui punire in
realtà l'incapacità comune di affrontare i sentimenti inespressi e le difficoltà.
Anche la tendenza frequente alla formazione dei sottogruppi per
particolari legami di affinità e attrazione - di per sé portatrice di varietà ed
arricchimento per tutto il gruppo - può diventare un problema quando
l'identificazione dei membri con questa struttura informale impedisce loro
di impegnarsi nel lavoro globale o determina un tale coinvolgimento da
causare una sempre maggiore inflessibilità e resistenza ai cambiamenti in
nome di una progressiva adesione cieca alle posizioni del proprio
sottogruppo. Questa tendenza alla chiusura nei confronti di chi non ha la
medesima appartenenza favorisce pure la lotta sleale verso quest'ultimo,
con il deliberato fraintendimento di ciò che pensa; pure in questo caso,
tuttavia, una simile esperienza tendenzialmente distruttiva può essere
attenuata se viene espressa all'individuo attaccato la reale comprensione di
anche un solo altro membro del gruppo, cosa che gli fa riacquistare una
forza enorme (Asch, 1956).
L'individuo e il gruppo
II gruppo risulta un elemento fondante della nostra società e, in sua
assenza, molti importanti bisogni anche individuali rimarrebbero
insoddisfatti; ma il suo stesso destino è strettamente legato all'individuo e
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alla sua attiva partecipazione. Nell'ambito sociale questo aspetto viene
confermato dal movimento di pensiero conosciuto come post-modernismo e
in particolare dalla prospettiva costruzionista emersa nell'area sistemica (Me
Namee, Gergen, 1992).
I teorici della costruzione sociale sottolineano infatti come le idee, i
significati e lo stesso agire dell'individuo nascano nella realtà sociale
attraverso lo scambio tra persone mediato dal linguaggio. Il singolo si
definisce attraverso la creazione e la sperimentazione condivisa con gli altri
dei diversi significati, e anche i suoi comportamenti si svolgono in una realtà
di comprensione creata attraverso questa costruzione sociale in contìnua
evoluzione. Così, ciò che possiamo dire sul mondo, inclusi noi stessi e gli
altri, risulta il prodotto di convenzioni verbali condivise che costituiscono
poi la "narrativa" che definisce chi siamo e la nostra immagine sociale.
Risulta perciò evidente come, secondo questa prospettiva, individuo e
gruppo non costituiscano più due poli indipendenti, ma siano invece
strettamente legati e in relazione sia nell'interscambio sociale che nella
definizione del nostro stesso sé. In questo modo la nostra unicità si realizza
proprio nella condivisione con gli altri, che diventa così il principale
strumento di individuazione e relazione con il mondo. Attraverso la
costruzione intersoggettiva dei significati e delle idee si realizza infatti pure
la nostra storia, con il suo personale e unico intreccio tra processi simbolici,
interazione sociale, cognizione e comunicazione.
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