Panorama - Istituto Italiano di Cultura Tirana
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Panorama - Istituto Italiano di Cultura Tirana
Quotidiano PANORAMA 31 maggio 2012 ALMA MILE "Made in Albania", una miscela di problemi sociali dell’Albania postcomunista È stato presentato il documentario della regista Stefania Casini Stefania Casini viene spesso in Albania e sostiene di essere molto affezionata agli albanesi e a questo Paese che è in continua ebollizione, come fosse mercurio. Quindi, per la seconda volta, la regista ed ex attrice degli anni '70, Stefania Casini, realizza un film documentario sull’Albania. Lo intitola "Made in Albania" e racconta i fatti del paese “di fronte”, da un altro punto di vista, cioè da quello dei giovani, italiani ed albanesi. Il ventenne pugliese Vito, arriva in Albania per cercare la moto che gli è stata rubata e, durante questa avventura, incontra Rubi e Bora, che cercano in tutti i modi di aiutarlo anche se sembra una missione quasi impossibile. La moto rubata certo non la cercheranno nel Blok o nelle zone turistiche più belle dell'Albania. Inizialmente la regista ha usato il trucco della telecamera nascosta e i due giovani albanesi non sapevano si trattasse di un "gioco", poi tutto si chiarisce e loro diventano parte di un viaggio di ricerca dell’Albania sconosciuta agli italiani e spesso anche agli stessi albanesi. Anche se la regista afferma di voler raccontare un’Albania diversa da quella radicata nella mente degli italiani, non riesce però a sfuggire alla tendenza di evidenziarne i lati oscuri, una serie di problemi sociali che affliggono gli albanesi. Riprende le periferie squallide, da dove si vedono i palazzi colorati della capitale, il quartiere rom, le povere famiglie montanare, Kurbnesh, le spiagge inquinate, l’acquedotto di Fier … Riporta le storie delle vergini giurate, degli scafisti di Valona, delle persone in faida ... Sembra che, come sostiene la Casini nella sua intervista, le cose più positive degli albanesi siano l’ospitalità e il senso della famiglia. Mentre dice di voler cambiare, con questo documentario, l’opinione degli italiani, probabilmente rischia di spaventarli, anche se lei comunque non inganna. Nonostante tutto questo quadro caotico dell’Albania, per fortuna, la moto di Vito viene ritrovata a Venezia e non in Albania ... "Made in Albania", una coproduzione di " Bizef Produzione " e " Era Film " in collaborazione con Rai Cinema, è stato presentato ieri sera al cinema "Imperial". Stefania Casini, laureata in architettura, ha iniziato la sua carriera come attrice e ha lavorato con registi come Bernardo Bertolucci, Peter Greenaway e Dario Argento. Negli anni ‘80 si è dedicata alla regia realizzando documentari in collaborazione con la RAI. Come è nata l’idea di un film sull’Albania? Conosco l’Albania perché sono venuta qui 10 anni fa per realizzare il primo documentario. Era un documentario dedicato ai giovani, tutti 20-enni, provenienti da paesi che aspiravano a entrare in Europa. L'Albania non vi è ancora entrata, ma vi entrerà a breve. Quando sono venuta in Albania ero piena di stereotipi, avevo paura di venire, ho pensato che l'Albania fosse un paese pieno di ladri... Quando sono venuta per la prima volta ero da sola e ho incontrato tante brave persone che mi hanno aiutata molto. Piano piano ho conosciuto persone e molte cose che non sapevo e ho avuto il desiderio di parlare di questo paese in un altro modo. Da allora sono venuta ogni anno in Albania. Veniamo al "Made in Albania", una storia che al primo momento gli albanesi potrebbero trovare offensiva ... Volevo fare un documentario diverso, con un inizio da film, perché c’è anche un linguaggio cinematografico. Il film inizia proprio così: un ragazzo italiano, pieno di stereotipi, viene in Albania a cercare la moto che gli è stata rubata in Italia, poiché tutti dicevano che sicuramente il ladro era qualche albanese. Arriva qui e conosce due giovani albanesi, Bora Baboçi e Rubin Beqo, due giovani reali. Inizialmente ho fatto credere loro che la storia fosse vera, la storia di un ragazzo italiano che avevo incontrato sul traghetto. Così abbiamo iniziato a cercarla in luoghi diversi. Come si poteva trovare, dove ... E tutto è stato realizzato attraverso telecamere nascoste. Abbiamo cominciato così a mostrare l’Albania attraverso degli incontri. Le riprese dove sono state fatte? Bora è andata verso nord, alla ricerca delle sue radici che non conosceva, perché era nata a Tirana e aveva studiato all'estero. Così anche lei sentiva il bisogno di conoscere il proprio paese. Aveva sentito parlare di “vergini giurate” e di molte altre cose che non conosceva. L’abbiamo seguita fino a Kurbnesh e, attraverso i suoi incontri, forti ed emozionanti, ho raccontato molte cose autoctone. Rubin poi è partito verso sud. Con lui siamo andati a Valona e oltre. Là abbiamo avuto altri incontri. Le persone, che entrano in contatto con i tre protagonisti, raccontano, ognuno, parti dell’Albania, del passato e del presente. Il più speciale? Abbiamo incontrato un vecchio scafista di Valona, che ci ha raccontato molte storie dai tempi dei gommoni. Ma abbiamo incontrato anche un ragazzo in faida, che raccontava il suo dolore e la sua vita. Come è stata la collaborazione con queste persone, perché in un certo modo Lei li ha "spiati" con le telecamere nascoste ...? A volte le telecamere erano nascoste, altre volte no. Ma loro si sono sentiti bene perché altrimenti non sarebbero venuti in giro con un cameraman. Inoltre, anche loro hanno imparato molte cose. Il cameraman e il tecnico del suono erano albanesi ed anche giovani, quindi si trattava di una minitroupe albanese, la più anziana ero io. A chi si rivolge con questo film? Prima di tutto agli italiani. Io racconto l’Albania del bene e del male, i fatti positivi, le sue difficoltà, l’Albania piena di contrasti. E’ un paese pieno di contrasti. Il paese di fronte, ma che noi italiani non conosciamo per niente. Che è cambiato molto, che è cresciuto. Ogni anno che vengo, vedo cose nuove. E’ un paese in movimento, che io amo molto, perché mi piacciono molto i suoi abitanti. Anche nella povertà, che io mostro o denuncio, c’è molta dignità. Un dono presente in tutti i popoli del Mediterraneo, tra cui anche l’Albania, è l'ospitalità straordinaria, l'apertura verso gli stranieri. In tutti i luoghi dove sono andata, anche a Kurbnesh, dove non trovi un posto per dormire, ci hanno accolto nelle loro case. Questo voglio raccontare agli italiani. Ovviamente non posso rivelare tutta l'Albania, perché è molto complessa, ma ho dato dei pezzi per completare il mosaico. Confesso che quello che pensano gli italiani degli albanesi è sbagliato. Ora si può dire che Lei conosce bene l’Albania, cosa La impressiona di più di questo paese? Venendo ogni anno in Albania, sapevo dove andare e dove portare i giovani, ma ciò che mi colpisce di più in questo paese è questa ebollizione costante, come fosse mercurio. E proprio perché è un paese tra il passato e il futuro, che non ha trovato ancora la sua dimensione, che la sta cercando e che ha tanta dignità. Mi colpisce il senso della famiglia, che noi abbiamo perso. Mi sembra come l'Italia di una volta, non perché siano indietro, ma perché ci sono dei valori che noi, sotto l'influenza occidentale, abbiamo in qualche modo perso. Il senso della famiglia è molto forte. Ecco, prendiamo come esempio Rubin, un ragazzo dinamico, che organizza eventi artistici, concerti rock, ma che preferisce presentarci la sua famiglia. L'amore che ha per i genitori, la famiglia, il rispetto ... Loro andavano alle tombe dei loro parenti, le curavano, le pulivano. È una specie di desiderio quello di rimanere legati alla propria famiglia e alle proprie radici ... Un sentimento che noi italiani stiamo perdendo è l'ospitalità. Le grandi città, come Roma, Milano hanno perso questo sentimento ed è un grande peccato. Però si trova ancora nel sud Italia. Tutti i paesi che sono vicini al mare, infatti, sono più ospitali, più aperti agli stranieri. Durante questi 20 anni di apertura dell’Albania, il rapporto tra italiani e albanesi è cambiato oppure noi continuiamo ad essere i clandestini del paese di fronte? Assolutamente sì. Due sono le cose che hanno fatto la differenza. La prima quando tra i due paesi è stato firmato l’accordo bilaterale e frenato il traffico umano e gli scafisti non trasportavano più esseri umani. Questo fatto ha cambiato i rapporti, perché i media hanno smesso di raccontare degli albanesi che arrivavano in barca, quindi gli italiani non hanno avuto più paura dell’"invasione". La seconda è l'abolizione dei visti per poter viaggiare in Europa. Ciò ha permesso a molti giovani, studenti, turisti di viaggiare e gli italiani hanno avuto la possibilità di conoscere gli albanesi non come gente disperata che viene a lavorare, ma semplicemente come turisti. Io conosco molti giovani albanesi che sono venuti in Italia, hanno studiato e sono ritornati in Albania. Quindi, anche questa immagine è cambiata. I due albanesi che ho scelto per il mio film sono completamente diversi dagli stereotipi che gli italiani hanno, ovvero quello di due giovani in cerca di lavoro. Questo perché esiste un'altra realtà. Ci sono giovani che vanno all'estero, che sono educati, intelligenti, che parlano diverse lingue. Questa è l'immagine che voglio dare: non sono tutti muratori i giovani che vogliono venire in Italia, ma esiste un paese che ha la sua potenzialità intellettuale, che ha dei giovani capaci di dire quando le cose vanno male, che sono critici verso il loro paese. Quindi, in questo senso, tutti sono cresciuti in modo democratico. E tutto questo lo racconto nel film.