Prefazione - CLEAN edizioni

Transcript

Prefazione - CLEAN edizioni
Copyright © 2011 CLEAN
via Diodato Lioy 19, 80134 Napoli
telefax 0815524419-5514309
www.cleanedizioni.it
[email protected]
Tutti i diritti riservati
È vietata ogni riproduzione
ISBN 978-88-8497-178-4
Editing
Anna Maria Cafiero Cosenza
Grafica
Costanzo Marciano
in copertina
Fotomontaggio da una foto di
Luigi Spina della Maman di Louise
Bourgeois, sullo sfondo del
Guggenheim Museum di Bilbao
di Frank O. Gehry.
in retrocopertina
Rielaborazione grafica della
Fire Station di Zaha Hadid
al Vitra Campus.
Referenze fotografiche
Gigliola Ausiello, pp. 25, 26, 32,
33a, 44, 49, 51s, 78, 79, 92, 96, 97
Luc Boegly, p. 38sb
Dante Caporali, pp. 136, 142d,
142s, 143s
“Casabella”, n. 654/1998, pp. 74-75
“Casabella”, n. 764/2008, pp. 122,
122
Benito de Sivo, p. 71
Ralph Erskine web site, p. 29
Barbara Jodice, p. 144
Maurizio Marcato, p. 124
Miralles Tagliabue, EMBT,
pp. 86-87
Giuseppe M. Montuono, pp. 148,
149b, 150a
Antonio Nicchia, pp. 60, 61
Shigeo Ogawa, pp 120, 121
Joost Overhoff, p. 84
Sandro Raffone, pp. 108, 109a
Philippe Ruault, p. 127
Stefano Russo, p. 151
Claudia Sicignano, p. 80
Enrico Sicignano, pp. 24, 27, 28, 30,
33d, 34, 35, 45s, 46, 47, 62, 98-99
SLED, p. 137
Sergio Stenti, p. 143d
Hisao Suzuki, p. 85
Sara Voltolina, p. 118
Wim Wenders, pp. 7, 10
Tutte le altre immagini sono state
fornite dall’Autore o dai progettisti.
Indice
7
Prefazione
Se dieci anni vi sembrano pochi
11
Lo scenario in evoluzione
Piano e progetto
Globale e locale
Espansione e densificazione
24
Quattro capitali esemplari
64
Le città-porto dal Baltico all’Atlantico
Londra, Parigi, Berlino, Madrid
Città Scandinave, Città Atlantiche del Nord,
Città Atlantiche del Sud
78
Le città-porto del Mediterraneo
92
Le città italiane
Valencia, Marsiglia, Atene, Barcellona
Roma, Torino, Venezia, Milano,
Napoli, Salerno
155
Altre icone
Grattacieli
Vitra Campus a Weil am Rhein
166
Bibliografia essenziale di riferimento
Prefazione
6
Se dieci anni vi sembrano pochi
Le città cambiano - più o meno rapidamente - nel corso del
tempo. Non sempre le trasformazioni producono un’evoluzione
positiva della struttura urbana, recando una crescita
economica, civile e culturale del contesto sociale, registrabile in
un miglioramento della qualità della vita quotidiana di coloro
che abitano o che lavorano in quel luogo. Talvolta i mutamenti
spingono al contrario verso un’involuzione, comprovabile non
solo e non tanto con tendenza al decremento demografico e
occupazionale, quand’anche e soprattutto con l’avanzare del
degrado ambientale e comportamentale. Per questo non è
inutile interrogarsi sul senso delle metamorfosi verificatesi nelle
città europee nel primo decennio del nuovo secolo.
È ben vero che dieci anni rappresentano un lasso di tempo
“breve”, in relazione alla storia plurisecolare delle città
d’Europa. Restano, tuttavia, innegabili la radicalità e la rapidità
delle innovazioni precipitate in tale fase, contrassegnata,
peraltro, da eventi che hanno sconvolto il mondo, dall’attentato
alle Twin Towers dell’11 settembre 2001 alla grande crisi
dell’economia globale manifestatasi nel 2008. Provare a valutare
la pluralità dei fattori che interagiscono sulla ribalta urbana nel
pieno vortice di una tempesta dei nuovi venti culturali, sociali
ed economici diversamente orientati è compito tanto arduo,
quanto essenziale. Il presente è il più inafferrabile dei tre tempi
in cui abbiamo diviso il tempo. Per quanto possa apparire
paradossale, è proprio la sovrabbondanza dei dati informativi
Wim Wenders*
nella pagina accanto
New York, November 8, 2001 III.
7
8
trasmessi dagli attuali mezzi di comunicazione multimediale a
rendere più difficile il giudizio critico d’insieme. Tant’è che su
ognuna delle architetture e delle città analizzate è stata già
prodotta una sconfinata messe di approfondimenti monografici,
mentre sono rari gli scritti che hanno mirato a una valutazione
comparativa dei fenomeni in corso nel caleidoscopico diorama
internazionale.
Per provare a “capire” è necessario innanzitutto “selezionare”,
nel frastuono delle innumerevoli notizie sulle novità attuate o in
corso di realizzazione, gli eventi ritenuti più significativi alla
luce di un giudizio critico. Il taglio analitico prescelto ha
dunque consapevolmente comportato nette scelte valutative,
più che omissioni. Peraltro, piuttosto che ricondurre a uno
schema interpretativo unitario la varietà e la complessità delle
modificazioni urbane in fieri, questo saggio propone un’agile
sintesi critica a volo d’uccello, individuando - a partire dai
problemi comuni - le specificità delle eterogenee soluzioni
sperimentate nei diversi ambiti regionali.
Nel riprendere e aggiornare il testo in parte già edito nel quarto
volume dell’Enciclopedia Treccani dedicato a un primo bilancio
del XXI Secolo, volume promosso e diretto da Tullio Gregory, ho
scelto di preservare la chiarezza divulgativa di quell’esegesi
destinata al vasto pubblico, deliberatamente fondata sulla
selettività critica limitata ai casi esemplari, per distillarne
l’essenza racchiusa alle radici delle cose, senza ambire a
un’impossibile panoramica esaustiva. L’aggiunta più
significativa nella nuova versione verte però su una disamina
delle città italiane che era stata esclusa - per scelta redazionale da quel volume di autori vari dedicato a Gli spazi e le arti.
Tale addizione, oltre a completare il quadro comparativo, ha
implicato una critica più ravvicinata sulla dialettica ineludibile
tra la proclamata volontà di pianificare le trasformazioni urbane
e l’effettiva capacità politica di realizzare le opere pubbliche e
di indirizzare gli investimenti privati coordinandoli ai fini di una
crescita economica e sociale della collettività. Non deve
sorprendere dunque di ritrovare talvolta citati tra le righe del
discorso, accanto ai nomi degli architetti e degli urbanisti,
anche quelli dei sindaci e degli opinionisti che hanno orientato
le metamorfosi urbane. La città resta la cosa comune per
eccellenza. Molto sottile appare in tal senso la linea di confine
tra pianificazione e governo, non foss’altro perché polis e
politica hanno un etimo comune.
Così come tutt’altro che irrilevante nell’ottica interpretativa
prescelta è la messa a fuoco sul ruolo giocato dalle
infrastrutture dei trasporti e dalla costruzione delle architetture
d’eccellenza nei programmi di riqualificazione urbana, opere
che rappresentano - per così dire - paradigmi tangibili di
finanza creativa. Infine, questo saggio si riallaccia per vari versi
ai fili tematici interrotti del mio precedente studio su
La Progettazione Urbana in Europa. 1750-1960 (dato alle
stampe per i tipi della Laterza nel 1991) costituendone a suo
modo un complementare nodo di sviluppo critico.
9
* Dedico questo saggio a
Wim Wenders, al quale ho avuto
l’onore di consegnare il “Premio
Straordinario” degli “Annali
dell’Architettura e delle Città”,
il 26 settembre 2005 a Napoli.
In seguito ho approfondito
ulteriormente la diretta conoscenza
del suo pensiero partecipando, su
proposta di Carlo Truppi, al dibattito
conseguente alla memorabile lectio
magistralis tenuta dall’artista
tedesco in occasione del
conferimento della “Laurea honoris
causa” in Architettura, il 9 ottobre del
Post sciptum
Il fotomontaggio di copertina - con in primo piano il grande
ragno, denominato da Louise Bourgeois Maman, sullo sfondo
del Guggenheim Museum ideato da Frank O. Gehry per la città
basca di Bilbao - prova a declinare allusivamente il titolo del
libro. Metamorfosi è un omaggio non solo al celebre poema di
Ovidio, ma anche al sagace racconto di Kafka sulla
stupefacente avventura di Gregor Samsa, che svegliandosi un
mattino, dopo una notte di sogni, si ritrova trasformato in uno
scarafaggio. Nella retrocopertina, la Fire Station di Zaha Hadid
rinvia alla conclusione sull’emblematicità del Vitra Campus a
Weil am Rhein all’alba del nuovo secolo.
2010 a Siracusa. Pochi registi, al pari
di Wim Wenders, hanno saputo
interpretare l’anima dei luoghi e delle
città con analoga sensibilità poetica
e raffinatezza esegetica. Le immagini
di New York e di Berlino - prescelte
come preludio iconico alle
Metamorfosi - sono tratte dalla
splendida raccolta di fotografie dello
stesso Wim Wenders che reca il titolo
Pictures from the surface of the
Earth (London, 2006).
Lo scenario in evoluzione
All’alba del nuovo secolo le grandi città d’Europa hanno attuato
sistematici programmi di modificazione delle strutture urbane per
rispondere alle attese della contemporaneità. Aldilà delle diverse
soluzioni adottate, resta in comune un interrogativo teorico di
fondo, che verte non sul “se”, bensì sul “come” realizzare il
processo di modernizzazione senza deformare l’identità culturale
ereditata dalla storia.
Va preso atto che nell’attuale era della globalizzazione la crescita
urbana rappresenti un inarrestabile fenomeno a scala planetaria,
che ha raggiunto livelli esponenziali nelle megalopoli asiatiche e
americane negli anni a cavallo tra XX e XXI secolo (Burdett,
2006). Lo comprova peraltro il trend statistico già evidenziato da
Crispin Tickell nella prefazione al saggio di Richard Rogers, Cities
for a small planet (London 1988; Roma 2000). Nel 1950 solo il 29%
della popolazione mondiale risiedeva nelle grandi città; ma nel
2005 tale aliquota è salita al 50%; e nel giro dei prossimi vent’anni
potrebbe superare la soglia del 75 %. Di fronte a tale
fenomenologia, non resta che prepararsi a garantire il “diritto alla
città” con una pianificazione lungimirante, vale a dire a
rispondere con adeguate tecniche alla crescente domanda di
coloro che aspirano a vivere nelle aree urbanizzate.
Se ciò è vero, resta altresì innegabile che le città europee hanno
radici storiche profonde al punto tale da non poter consentire che
siano recise da una modernizzazione incontrollata, affidata alla
mera dinamica finanziaria del ciclo edilizio. Civitas e civilitas
nella pagina accanto
On Alexanderplatz, Berlin, 1992.
11
Quattro capitali esemplari
Londra
Quando il gong della Clook Tower ha segnato il trapasso al
ventunesimo secolo, Londra era pronta a inaugurare una
concatenata serie di nuove architetture allegoricamente dedicate
all’alba del terzo millennio. Ancor più che in altre città europee
l’innovazione della scena urbana è stata programmata con
deliberato anticipo, senza disdegnare la seduzione rivolta al
turismo di massa, anche con trovate di gusto discutibile come il
London Eye (un’iperrealistica ruota di bicicletta, ideata dai
giovani architetti David Marks e Julia Barfield per far ammirare il
panorama urbano dall’alto di 132 metri, a pochi passi dal
Westminster Bridge) e la ricostruzione del Shakespeare’s Globe
Theatre (inaugurato nel 1997 su disegno di Theo Crosby,
riproducendo la forma circolare dell’originario teatro elisabettiano,
a 200 metri dal sito dove sorse nel 1599). Nel fervore delle
iniziative non sono però mancati alcuni disguidi. Valga ad
esempio l’imprevista labilità del Millennium Bridge, suggestivo
ponte pedonale ideato da Norman Foster, che - per l’eccessiva
essenzialità minimalista - ha dato luogo a oscillazioni così
rischiose da richiedere drastiche opere di consolidamento statico
(durate circa due anni). Senza contare il sostanziale insuccesso
gestionale del Millennium Dome, la colossale tensostruttura,
simile alla tenda di un circo equestre, concepita da Richard
Rogers come simbolica “cupola” della rigenerazione di
Greenwich.
David Marks e Julia Barfield,
London Eye.
Theo Crosby,
Shakespeare’s Globe Theatre.
25
Nonostante quest’avvio traballante, sarebbe un errore
sottovalutare la reale portata innovativa della profonda
trasformazione urbana attuata a Londra nei primi anni del nuovo
secolo. Così come sarebbe ingenuo lasciarsi abbagliare dallo
spettacolare luccichio metallico delle costruzioni high-tech senza
interrogarsi sul disegno strategico lucidamente perseguito dal
nuovo corso dell’urbanistica londinese. L’obiettivo verso cui mira
il London Plan - approvato nel 2004 sotto l’egida del sindaco Ken
Livingstone, con la consulenza di Richard Rogers - è con tutta
evidenza il ritorno alla pianificazione territoriale della Grande
Londra. Lo scioglimento nel 1985 del mitico ufficio di piano del
Greater London Council - a seguito della precedente e discussa
dissoluzione dell’unitarietà amministrativa della metropoli per dar
vita a 33 distinte municipalità (differenziando la city dai 32
boroughs) - aveva lasciato un evidente vuoto gestionale.
Per colmare tale lacuna è stato indetto un referendum nel 1998,
che ha indicato la scelta di ricomporre l’unità amministrativa
dell’intera area metropolitana. La volontà popolare è stata
ulteriormente rafforzata dalle elezioni, svoltesi nel maggio 2000,
che hanno di nuovo designato il Mayor della Grande Londra. Nei
poteri del sindaco è rientrato soprattutto il controllo della
pianificazione territoriale nel suo insieme, esercitato anche
attraverso nuovi organismi tra i quali il TfL (Dipartimento dei
Trasporti) e Lda (Agenzia per lo sviluppo economico).
L’ideogramma della città futura, elaborato sull’onda del rinnovato
impegno strategico a grande scala, è illustrato con esemplare
nitore nello spazio attrezzato dell’NLA (New London
Architecture). In questo centro di informazione multimediale
(rivolto ai cittadini, prima ancora che ai turisti), intorno a un
grande plastico della città, sono esposti progetti in corso d’opera
per lasciar valutare anche le conformazioni architettoniche del
programma di trasformazione. Quel che più conta è tuttavia la
prefigurazione della metamorfosi a macroscala, articolata su due
in queste pagine
Norman Foster,
Millennium Bridge.
principali assi di sviluppo - in direzione nord ed est - imperniati
nella zona-cerniera di Greenwich.
Verso nord, tra la Lower Valley e Stratford, è prevista la
realizzazione del Villaggio Olimpico che ospiterà i Giochi del
2012. Sarà il più imponente centro sportivo finora attuato nella
storia delle Olimpiadi, nel cui masterplan è incluso anche il
fantascientifico Acquatic Centre, assegnato per concorso a Zaha
Hadid. Non è irrilevante notare che questa ambiziosa espansione
a settentrione mira a recuperare aree industriali dismesse e verrà
collegata al centro da due nuove linee ferroviarie (Dlr), nonché da
arterie viarie confluenti nel grande raccordo anulare che delinea
nei fatti il perimetro della metropoli londinese.
Verso est è stata programmata la fondazione di una nuova area
urbana, ad alta densità, denominata Porta del Tamigi. A simbolo
di tale sobborgo higt-tech verrà eretto un nuovo prodigio dell’alta
ingegneria, vale a dire il Thames Gateway Bridge. Non sono
però mancate polemiche da parte degli ambientalisti
sull’inopportunità di tale decisione, stigmatizzata come
gigantesca operazione immobiliare e sarcasticamente definita
“London-hai” (ovvero la Shanghai londinese, dove i grattacieli
spunteranno come funghi). Il rammarico deriva dalla mancata
ricezione della proposta (ritenuta troppo bucolica) di Terry Farrel
di destinare l’area a parco nazionale al fine di preservare la
biodiversità della flora e della fauna di quel peculiare paesaggio
fluviale. Nel disegno d’insieme, il Piano ha tuttavia dedicato
notevole attenzione al tema del verde, a partire proprio dalla
Green Grid che attraversa la stessa Thames Gateway fino alla
creazione di tre nuovi grandi parchi (mediamente di circa 20
ettari): il Central, il Southern e il Greenwich. È stata così
proiettata nel futuro la memoria degli ampi polmoni di verde che
ha contraddistinto il passato londinese. Basti pensare ai tre
celebri parchi storici di Hyde, Regent e Holland.
Immerso nel verde del Greenwich Park sorgerà il Millennium
29
Richard Rogers
nella pagina accanto
Richard Rogers,
Millennium Dome.
Ralph Erskine,
Millennium Village.
Village disegnato da Ralph Erskine, un quartiere residenziale di
1.300 alloggi, la cui edificazione è stata avviata nella metà degli
anni Ottanta. La politica dell’housing rappresenta a sua volta un
tema cardine del London Plan. Per rispondere all’ingente
domanda di alloggi a prezzi controllati sono stati varati
programmi di recupero dei tessuti degradati del centro urbano, e
in particolar modo nell’area orientale della città tradizionalmente
destinata a sobborgo operaio, non limitandosi all’edificazione di
case low-cost, ma sperimentando anche costruzioni low-tech per
i servizi sociali. Emblematica in tal senso è la Mossbourne
Community Academy (2004), una scuola pubblica finalizzata
all’istruzione gratuita progettata da Richard Rogers utilizzando
con raffinata sagacia materiali poveri come il legno, che conforma
l’intera struttura, e lo zinco, che riveste le coperture.
All’estremo opposto si colloca il Laban Dance Centre (2002) di
Herzog&de Meuron che riscatta il degrado dell’ex-area
industriale di Deptford Creek con l’avanzatissima ricerca su
materiali sofisticati, quali i pannelli di vetro temperato, policromi e
traslucidi, che lasciano intravedere i coreografici movimenti dei
corpi mentre danzano all’interno, proiettandone nel contempo le
ombre all’esterno, riflesse sulle avvolgenti pareti ondulate.
Alla pianificazione dello sviluppo e del recupero delle periferie fa
da contrappeso la spettacolare valorizzazione della riva
meridionale del Tamigi che rappresenta, a ben vedere, l’autentica
novità di portata storica di quest’inizio secolo. Se è vero infatti
che il carattere distintivo (e per molti versi singolare) di Londra
sia stato (a partire dal medioevo) il “policentrismo”, che l’ha
contraddistinta dalle altre città europee (come ha notato Steen
Eiler Rasmussen nel suo celebre saggio: London. The Unique
City), resta altresì innegabile che fino alla seconda metà del
Novecento lo sviluppo urbano più rappresentativo e prestigioso
sia stato incentrato esclusivamente lungo la riva settentrionale
del Tamigi, dalla City a Westminster. I primi segnali di verso
31
Norman Foster
nella pagina accanto
Norman Foster,
Great Court del British Museum.
Herzog&de Meuron,
Laban Dance Centre.
opposto risalgono agli anni Cinquanta del secolo scorso, con la
concentrazione nel Southbak Centre della Royal Festival Hall,
del National Theatre, dell’Hayward Gallery e del National Film
Theatre. Ma solo con l’avvento del XXI secolo è stato
definitivamente portato a termine il riscatto qualitativo del
Millennium Mile, vale a dire di quell’arco della riva-sud che va
dal London Eye alla City Hall, passando per la Tate Modern.
Il fine ultimo del Piano è dunque ben sintetizzato dallo slogan
More London, non a caso prescelto dalla società di Development
che gestisce il programma di riqualificazione dell’area centrale
che ruota intorno alla City Hall. Più Londra significa più città, più
infrastutture, più cultura, più architettura, più parchi, più bellezza,
più vita sociale. Come si è accennato, il presupposto logico per
ritornare ad attrarre nella city ingenti flussi di popolazione sta nel
rafforzamento dell’ossatura portante dei trasporti su ferro
nell’intera area metropolitana.
Tant’è che Londra - che è stata la prima città al mondo a dotarsi
di una metropolitana (l’Underground del 1863, popolarmente nota
come Tube) e che può vantare il network di ben 13 reti - ha
esaltato con motivata enfasi l’inaugurazione all’alba del secolo del
prolungamento della Jubilee Line (con 6 nuove stazioni, in
aggiunta alle preesistenti 5 ristrutturate). Il nuovo tratto di linea
ferrata ha valorizzato non solo il centro direzionale dei Docklands,
ma anche i quartieri orientali, e si collegherà al Parco Olimpico
tramite l’aggancio con la Crossrail, ferrovia sotterranea di
notevole rilevanza.
Molta cura è stata inoltre riservata al fascino delle nuove stazioni,
affidando di volta in volta i progetti ad architetti diversi, per
creare - sotto l’abile regia di Roland Paoletti - una calibrata
varietà di soluzioni estetiche in relazione al mutare dei contesti
urbani nelle uscite fuori terra. Ma c’è dell’altro. Il pianificato
potenziamento del sistema dei trasporti verte non solo sul ferro,
ma anche sulla gomma (con nuovi tunnel di attraversamento
Herzog&de Meuron,
Tate Modern Museum.
nella pagina accanto
Norman Foster,
Swiss Re.
34
Stazioni della Jubilee Line.
sotterraneo dell’alveo del Tamigi), e sull’acqua (mettendo in rete i
canali navigabili); senza contare le piste ciclabili e i percorsi
pedonali lungo le rive e nei parchi. Alla luce di questa nuova
“visione” del futuro si può meglio comprendere il ruolo giocato
dalle architetture d’eccellenza come fari di irradiazione della
qualità nella rigenerazione di più ampie aree urbane. Si disvela in
tale ottica quale l’esito di un’inequivocabile strategia l’aver voluto
concentrare lungo la riva sud del Tamigi - non a caso collegata
all’altra metà della storia con ponti pedonali e passeggiate
paesaggistiche - una mirabile collana di perle d’autore: dalla City
Hall ideata da Norman Foster come metaforico palazzo
“trasparente” della democrazia (dalla singolare sagoma a uovo
sbilenco, che racchiude all’interno una rampa che si inerpica a
spirale verso il cielo, fino a raggiungere nel culmine la sala civica)
fino al celebre Tate Modern Museum, progettato da Herzog&de
Meuron ripristinando l’austero opificio in mattoni della preesistente
centrale elettrica del Bankside di Giles Gilbert Scott.
Allo stesso Norman Foster si deve peraltro l’elegante innesto della
suggestiva piazza coperta dal reticolato triangolare di vetro nella
Great Court del British Museum (2003) e dell’ecologico
grattacielo della Swiss Re, che sovrasta per la dirompente carica
espressiva, prima ancora che per l’altezza, l’esibizione tecnologica
ormai datata dello skyscraper dei Lloyd’s, incastonato nel cuore
della City da Richard Rogers tra il 1978 e il 1986.
Nello scenario di questa “multi-città”, che ogni anno cambia pelle,
il grattacielo ha perso l’originario carattere americano di oggetto
seriale, tipologicamente reiterato sulla fitta scacchiera
metropolitana, per elevarsi al ruolo di isolata torre babelica,
dall’eloquente pregnanza simbolica. L’imminente costruzione
della London Bridge Tower (The Shard), progettata da Renzo
Piano, lascia presagire che questo tagliente obelisco di cristallo
sia destinato a subentrare quale nuova icona dell’inarrestabile
metamorfosi di una metropoli in costante crescita economica e
culturale.
Parigi
Direttamente collegata a Londra dal Tunnel sottomarino della
Manica, Parigi è a sua volta una metropoli emblematica delle
modificazioni attualmente in corso di sperimentazione. Questa
grande città rappresenta peraltro un nodo cruciale di
interconnessione tra i grandi assi del trasporto nella fascia
settentrionale d’Europa. Basti pensare che nella capitale della
Francia convergono, provenienti dalle più disparate regioni, i TGV
(Trains à Grande Vitesse) che si intrecciano al network locale dei
trasporti su ferro (dalla RER alle 13 linee del Metro); il trasporto
fluviale, che vi giunge dall’oceano Atlantico muovendo dalla cittàporto di Le Havre alla foce della Senna; il traffico aereo, che fa
scalo nei due aeroporti internazionali di Roissy e Charles de
Gaulle; nonché le grandi arterie autostradali. Va da sé, pertanto,
che mutamenti urbanistici collaudati in questa capitale si
riverberino con riflessi emulativi in altre città.
Certo, Parigi è stata al centro dei riflettori internazionali
soprattutto negli anni dei grands travaux effettuati dal
presidente-faraone François Mitterrand per celebrare il
bicentenario della rivoluzione nel 1989. La Pyramide incastonata
da Ieoh Ming Pei nella corte del Louvre, la Bibliothèque
Nationale de France di Dominique Perrault nel Tolbiac, la
Grande Arche di Johan Otto von Spreckelsen nella Défense,
l’Institut du Monde Arabe di Jean Nouvel a Jussieu, la Cité de
la Musique di Christian de Portzamparc ne La Villette e l’Opéra
de la Bastille di Carol Ott restano i simboli di un rinnovamento
sotteso dalla malcelata sindrome della grandeur. Ai nuovi
monumenti (in stile high-tech) si è affiancata tuttavia (già a
partire da quella fase) una non sottovalutabile attenzione verso la
riqualificazione della banlieu.
Parigi è una “città-regione” per antonomasia, con un centro
storico di notevole fascino che funge da magnete gravitazionale
non solo degli ingenti flussi del turismo internazionale (circa 20
37
Jean Nouvel
nella pagina accanto
Jean Nouvel,
Musée du Quai Branly.
Mario Botta,
Cathédrale de la Résurrection.