Prefazione - CLEAN edizioni
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Copyright © 2011 CLEAN via Diodato Lioy 19, 80134 Napoli telefax 0815524419-5514309 www.cleanedizioni.it [email protected] Tutti i diritti riservati È vietata ogni riproduzione ISBN 978-88-8497-178-4 Editing Anna Maria Cafiero Cosenza Grafica Costanzo Marciano in copertina Fotomontaggio da una foto di Luigi Spina della Maman di Louise Bourgeois, sullo sfondo del Guggenheim Museum di Bilbao di Frank O. Gehry. in retrocopertina Rielaborazione grafica della Fire Station di Zaha Hadid al Vitra Campus. Referenze fotografiche Gigliola Ausiello, pp. 25, 26, 32, 33a, 44, 49, 51s, 78, 79, 92, 96, 97 Luc Boegly, p. 38sb Dante Caporali, pp. 136, 142d, 142s, 143s “Casabella”, n. 654/1998, pp. 74-75 “Casabella”, n. 764/2008, pp. 122, 122 Benito de Sivo, p. 71 Ralph Erskine web site, p. 29 Barbara Jodice, p. 144 Maurizio Marcato, p. 124 Miralles Tagliabue, EMBT, pp. 86-87 Giuseppe M. Montuono, pp. 148, 149b, 150a Antonio Nicchia, pp. 60, 61 Shigeo Ogawa, pp 120, 121 Joost Overhoff, p. 84 Sandro Raffone, pp. 108, 109a Philippe Ruault, p. 127 Stefano Russo, p. 151 Claudia Sicignano, p. 80 Enrico Sicignano, pp. 24, 27, 28, 30, 33d, 34, 35, 45s, 46, 47, 62, 98-99 SLED, p. 137 Sergio Stenti, p. 143d Hisao Suzuki, p. 85 Sara Voltolina, p. 118 Wim Wenders, pp. 7, 10 Tutte le altre immagini sono state fornite dall’Autore o dai progettisti. Indice 7 Prefazione Se dieci anni vi sembrano pochi 11 Lo scenario in evoluzione Piano e progetto Globale e locale Espansione e densificazione 24 Quattro capitali esemplari 64 Le città-porto dal Baltico all’Atlantico Londra, Parigi, Berlino, Madrid Città Scandinave, Città Atlantiche del Nord, Città Atlantiche del Sud 78 Le città-porto del Mediterraneo 92 Le città italiane Valencia, Marsiglia, Atene, Barcellona Roma, Torino, Venezia, Milano, Napoli, Salerno 155 Altre icone Grattacieli Vitra Campus a Weil am Rhein 166 Bibliografia essenziale di riferimento Prefazione 6 Se dieci anni vi sembrano pochi Le città cambiano - più o meno rapidamente - nel corso del tempo. Non sempre le trasformazioni producono un’evoluzione positiva della struttura urbana, recando una crescita economica, civile e culturale del contesto sociale, registrabile in un miglioramento della qualità della vita quotidiana di coloro che abitano o che lavorano in quel luogo. Talvolta i mutamenti spingono al contrario verso un’involuzione, comprovabile non solo e non tanto con tendenza al decremento demografico e occupazionale, quand’anche e soprattutto con l’avanzare del degrado ambientale e comportamentale. Per questo non è inutile interrogarsi sul senso delle metamorfosi verificatesi nelle città europee nel primo decennio del nuovo secolo. È ben vero che dieci anni rappresentano un lasso di tempo “breve”, in relazione alla storia plurisecolare delle città d’Europa. Restano, tuttavia, innegabili la radicalità e la rapidità delle innovazioni precipitate in tale fase, contrassegnata, peraltro, da eventi che hanno sconvolto il mondo, dall’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre 2001 alla grande crisi dell’economia globale manifestatasi nel 2008. Provare a valutare la pluralità dei fattori che interagiscono sulla ribalta urbana nel pieno vortice di una tempesta dei nuovi venti culturali, sociali ed economici diversamente orientati è compito tanto arduo, quanto essenziale. Il presente è il più inafferrabile dei tre tempi in cui abbiamo diviso il tempo. Per quanto possa apparire paradossale, è proprio la sovrabbondanza dei dati informativi Wim Wenders* nella pagina accanto New York, November 8, 2001 III. 7 8 trasmessi dagli attuali mezzi di comunicazione multimediale a rendere più difficile il giudizio critico d’insieme. Tant’è che su ognuna delle architetture e delle città analizzate è stata già prodotta una sconfinata messe di approfondimenti monografici, mentre sono rari gli scritti che hanno mirato a una valutazione comparativa dei fenomeni in corso nel caleidoscopico diorama internazionale. Per provare a “capire” è necessario innanzitutto “selezionare”, nel frastuono delle innumerevoli notizie sulle novità attuate o in corso di realizzazione, gli eventi ritenuti più significativi alla luce di un giudizio critico. Il taglio analitico prescelto ha dunque consapevolmente comportato nette scelte valutative, più che omissioni. Peraltro, piuttosto che ricondurre a uno schema interpretativo unitario la varietà e la complessità delle modificazioni urbane in fieri, questo saggio propone un’agile sintesi critica a volo d’uccello, individuando - a partire dai problemi comuni - le specificità delle eterogenee soluzioni sperimentate nei diversi ambiti regionali. Nel riprendere e aggiornare il testo in parte già edito nel quarto volume dell’Enciclopedia Treccani dedicato a un primo bilancio del XXI Secolo, volume promosso e diretto da Tullio Gregory, ho scelto di preservare la chiarezza divulgativa di quell’esegesi destinata al vasto pubblico, deliberatamente fondata sulla selettività critica limitata ai casi esemplari, per distillarne l’essenza racchiusa alle radici delle cose, senza ambire a un’impossibile panoramica esaustiva. L’aggiunta più significativa nella nuova versione verte però su una disamina delle città italiane che era stata esclusa - per scelta redazionale da quel volume di autori vari dedicato a Gli spazi e le arti. Tale addizione, oltre a completare il quadro comparativo, ha implicato una critica più ravvicinata sulla dialettica ineludibile tra la proclamata volontà di pianificare le trasformazioni urbane e l’effettiva capacità politica di realizzare le opere pubbliche e di indirizzare gli investimenti privati coordinandoli ai fini di una crescita economica e sociale della collettività. Non deve sorprendere dunque di ritrovare talvolta citati tra le righe del discorso, accanto ai nomi degli architetti e degli urbanisti, anche quelli dei sindaci e degli opinionisti che hanno orientato le metamorfosi urbane. La città resta la cosa comune per eccellenza. Molto sottile appare in tal senso la linea di confine tra pianificazione e governo, non foss’altro perché polis e politica hanno un etimo comune. Così come tutt’altro che irrilevante nell’ottica interpretativa prescelta è la messa a fuoco sul ruolo giocato dalle infrastrutture dei trasporti e dalla costruzione delle architetture d’eccellenza nei programmi di riqualificazione urbana, opere che rappresentano - per così dire - paradigmi tangibili di finanza creativa. Infine, questo saggio si riallaccia per vari versi ai fili tematici interrotti del mio precedente studio su La Progettazione Urbana in Europa. 1750-1960 (dato alle stampe per i tipi della Laterza nel 1991) costituendone a suo modo un complementare nodo di sviluppo critico. 9 * Dedico questo saggio a Wim Wenders, al quale ho avuto l’onore di consegnare il “Premio Straordinario” degli “Annali dell’Architettura e delle Città”, il 26 settembre 2005 a Napoli. In seguito ho approfondito ulteriormente la diretta conoscenza del suo pensiero partecipando, su proposta di Carlo Truppi, al dibattito conseguente alla memorabile lectio magistralis tenuta dall’artista tedesco in occasione del conferimento della “Laurea honoris causa” in Architettura, il 9 ottobre del Post sciptum Il fotomontaggio di copertina - con in primo piano il grande ragno, denominato da Louise Bourgeois Maman, sullo sfondo del Guggenheim Museum ideato da Frank O. Gehry per la città basca di Bilbao - prova a declinare allusivamente il titolo del libro. Metamorfosi è un omaggio non solo al celebre poema di Ovidio, ma anche al sagace racconto di Kafka sulla stupefacente avventura di Gregor Samsa, che svegliandosi un mattino, dopo una notte di sogni, si ritrova trasformato in uno scarafaggio. Nella retrocopertina, la Fire Station di Zaha Hadid rinvia alla conclusione sull’emblematicità del Vitra Campus a Weil am Rhein all’alba del nuovo secolo. 2010 a Siracusa. Pochi registi, al pari di Wim Wenders, hanno saputo interpretare l’anima dei luoghi e delle città con analoga sensibilità poetica e raffinatezza esegetica. Le immagini di New York e di Berlino - prescelte come preludio iconico alle Metamorfosi - sono tratte dalla splendida raccolta di fotografie dello stesso Wim Wenders che reca il titolo Pictures from the surface of the Earth (London, 2006). Lo scenario in evoluzione All’alba del nuovo secolo le grandi città d’Europa hanno attuato sistematici programmi di modificazione delle strutture urbane per rispondere alle attese della contemporaneità. Aldilà delle diverse soluzioni adottate, resta in comune un interrogativo teorico di fondo, che verte non sul “se”, bensì sul “come” realizzare il processo di modernizzazione senza deformare l’identità culturale ereditata dalla storia. Va preso atto che nell’attuale era della globalizzazione la crescita urbana rappresenti un inarrestabile fenomeno a scala planetaria, che ha raggiunto livelli esponenziali nelle megalopoli asiatiche e americane negli anni a cavallo tra XX e XXI secolo (Burdett, 2006). Lo comprova peraltro il trend statistico già evidenziato da Crispin Tickell nella prefazione al saggio di Richard Rogers, Cities for a small planet (London 1988; Roma 2000). Nel 1950 solo il 29% della popolazione mondiale risiedeva nelle grandi città; ma nel 2005 tale aliquota è salita al 50%; e nel giro dei prossimi vent’anni potrebbe superare la soglia del 75 %. Di fronte a tale fenomenologia, non resta che prepararsi a garantire il “diritto alla città” con una pianificazione lungimirante, vale a dire a rispondere con adeguate tecniche alla crescente domanda di coloro che aspirano a vivere nelle aree urbanizzate. Se ciò è vero, resta altresì innegabile che le città europee hanno radici storiche profonde al punto tale da non poter consentire che siano recise da una modernizzazione incontrollata, affidata alla mera dinamica finanziaria del ciclo edilizio. Civitas e civilitas nella pagina accanto On Alexanderplatz, Berlin, 1992. 11 Quattro capitali esemplari Londra Quando il gong della Clook Tower ha segnato il trapasso al ventunesimo secolo, Londra era pronta a inaugurare una concatenata serie di nuove architetture allegoricamente dedicate all’alba del terzo millennio. Ancor più che in altre città europee l’innovazione della scena urbana è stata programmata con deliberato anticipo, senza disdegnare la seduzione rivolta al turismo di massa, anche con trovate di gusto discutibile come il London Eye (un’iperrealistica ruota di bicicletta, ideata dai giovani architetti David Marks e Julia Barfield per far ammirare il panorama urbano dall’alto di 132 metri, a pochi passi dal Westminster Bridge) e la ricostruzione del Shakespeare’s Globe Theatre (inaugurato nel 1997 su disegno di Theo Crosby, riproducendo la forma circolare dell’originario teatro elisabettiano, a 200 metri dal sito dove sorse nel 1599). Nel fervore delle iniziative non sono però mancati alcuni disguidi. Valga ad esempio l’imprevista labilità del Millennium Bridge, suggestivo ponte pedonale ideato da Norman Foster, che - per l’eccessiva essenzialità minimalista - ha dato luogo a oscillazioni così rischiose da richiedere drastiche opere di consolidamento statico (durate circa due anni). Senza contare il sostanziale insuccesso gestionale del Millennium Dome, la colossale tensostruttura, simile alla tenda di un circo equestre, concepita da Richard Rogers come simbolica “cupola” della rigenerazione di Greenwich. David Marks e Julia Barfield, London Eye. Theo Crosby, Shakespeare’s Globe Theatre. 25 Nonostante quest’avvio traballante, sarebbe un errore sottovalutare la reale portata innovativa della profonda trasformazione urbana attuata a Londra nei primi anni del nuovo secolo. Così come sarebbe ingenuo lasciarsi abbagliare dallo spettacolare luccichio metallico delle costruzioni high-tech senza interrogarsi sul disegno strategico lucidamente perseguito dal nuovo corso dell’urbanistica londinese. L’obiettivo verso cui mira il London Plan - approvato nel 2004 sotto l’egida del sindaco Ken Livingstone, con la consulenza di Richard Rogers - è con tutta evidenza il ritorno alla pianificazione territoriale della Grande Londra. Lo scioglimento nel 1985 del mitico ufficio di piano del Greater London Council - a seguito della precedente e discussa dissoluzione dell’unitarietà amministrativa della metropoli per dar vita a 33 distinte municipalità (differenziando la city dai 32 boroughs) - aveva lasciato un evidente vuoto gestionale. Per colmare tale lacuna è stato indetto un referendum nel 1998, che ha indicato la scelta di ricomporre l’unità amministrativa dell’intera area metropolitana. La volontà popolare è stata ulteriormente rafforzata dalle elezioni, svoltesi nel maggio 2000, che hanno di nuovo designato il Mayor della Grande Londra. Nei poteri del sindaco è rientrato soprattutto il controllo della pianificazione territoriale nel suo insieme, esercitato anche attraverso nuovi organismi tra i quali il TfL (Dipartimento dei Trasporti) e Lda (Agenzia per lo sviluppo economico). L’ideogramma della città futura, elaborato sull’onda del rinnovato impegno strategico a grande scala, è illustrato con esemplare nitore nello spazio attrezzato dell’NLA (New London Architecture). In questo centro di informazione multimediale (rivolto ai cittadini, prima ancora che ai turisti), intorno a un grande plastico della città, sono esposti progetti in corso d’opera per lasciar valutare anche le conformazioni architettoniche del programma di trasformazione. Quel che più conta è tuttavia la prefigurazione della metamorfosi a macroscala, articolata su due in queste pagine Norman Foster, Millennium Bridge. principali assi di sviluppo - in direzione nord ed est - imperniati nella zona-cerniera di Greenwich. Verso nord, tra la Lower Valley e Stratford, è prevista la realizzazione del Villaggio Olimpico che ospiterà i Giochi del 2012. Sarà il più imponente centro sportivo finora attuato nella storia delle Olimpiadi, nel cui masterplan è incluso anche il fantascientifico Acquatic Centre, assegnato per concorso a Zaha Hadid. Non è irrilevante notare che questa ambiziosa espansione a settentrione mira a recuperare aree industriali dismesse e verrà collegata al centro da due nuove linee ferroviarie (Dlr), nonché da arterie viarie confluenti nel grande raccordo anulare che delinea nei fatti il perimetro della metropoli londinese. Verso est è stata programmata la fondazione di una nuova area urbana, ad alta densità, denominata Porta del Tamigi. A simbolo di tale sobborgo higt-tech verrà eretto un nuovo prodigio dell’alta ingegneria, vale a dire il Thames Gateway Bridge. Non sono però mancate polemiche da parte degli ambientalisti sull’inopportunità di tale decisione, stigmatizzata come gigantesca operazione immobiliare e sarcasticamente definita “London-hai” (ovvero la Shanghai londinese, dove i grattacieli spunteranno come funghi). Il rammarico deriva dalla mancata ricezione della proposta (ritenuta troppo bucolica) di Terry Farrel di destinare l’area a parco nazionale al fine di preservare la biodiversità della flora e della fauna di quel peculiare paesaggio fluviale. Nel disegno d’insieme, il Piano ha tuttavia dedicato notevole attenzione al tema del verde, a partire proprio dalla Green Grid che attraversa la stessa Thames Gateway fino alla creazione di tre nuovi grandi parchi (mediamente di circa 20 ettari): il Central, il Southern e il Greenwich. È stata così proiettata nel futuro la memoria degli ampi polmoni di verde che ha contraddistinto il passato londinese. Basti pensare ai tre celebri parchi storici di Hyde, Regent e Holland. Immerso nel verde del Greenwich Park sorgerà il Millennium 29 Richard Rogers nella pagina accanto Richard Rogers, Millennium Dome. Ralph Erskine, Millennium Village. Village disegnato da Ralph Erskine, un quartiere residenziale di 1.300 alloggi, la cui edificazione è stata avviata nella metà degli anni Ottanta. La politica dell’housing rappresenta a sua volta un tema cardine del London Plan. Per rispondere all’ingente domanda di alloggi a prezzi controllati sono stati varati programmi di recupero dei tessuti degradati del centro urbano, e in particolar modo nell’area orientale della città tradizionalmente destinata a sobborgo operaio, non limitandosi all’edificazione di case low-cost, ma sperimentando anche costruzioni low-tech per i servizi sociali. Emblematica in tal senso è la Mossbourne Community Academy (2004), una scuola pubblica finalizzata all’istruzione gratuita progettata da Richard Rogers utilizzando con raffinata sagacia materiali poveri come il legno, che conforma l’intera struttura, e lo zinco, che riveste le coperture. All’estremo opposto si colloca il Laban Dance Centre (2002) di Herzog&de Meuron che riscatta il degrado dell’ex-area industriale di Deptford Creek con l’avanzatissima ricerca su materiali sofisticati, quali i pannelli di vetro temperato, policromi e traslucidi, che lasciano intravedere i coreografici movimenti dei corpi mentre danzano all’interno, proiettandone nel contempo le ombre all’esterno, riflesse sulle avvolgenti pareti ondulate. Alla pianificazione dello sviluppo e del recupero delle periferie fa da contrappeso la spettacolare valorizzazione della riva meridionale del Tamigi che rappresenta, a ben vedere, l’autentica novità di portata storica di quest’inizio secolo. Se è vero infatti che il carattere distintivo (e per molti versi singolare) di Londra sia stato (a partire dal medioevo) il “policentrismo”, che l’ha contraddistinta dalle altre città europee (come ha notato Steen Eiler Rasmussen nel suo celebre saggio: London. The Unique City), resta altresì innegabile che fino alla seconda metà del Novecento lo sviluppo urbano più rappresentativo e prestigioso sia stato incentrato esclusivamente lungo la riva settentrionale del Tamigi, dalla City a Westminster. I primi segnali di verso 31 Norman Foster nella pagina accanto Norman Foster, Great Court del British Museum. Herzog&de Meuron, Laban Dance Centre. opposto risalgono agli anni Cinquanta del secolo scorso, con la concentrazione nel Southbak Centre della Royal Festival Hall, del National Theatre, dell’Hayward Gallery e del National Film Theatre. Ma solo con l’avvento del XXI secolo è stato definitivamente portato a termine il riscatto qualitativo del Millennium Mile, vale a dire di quell’arco della riva-sud che va dal London Eye alla City Hall, passando per la Tate Modern. Il fine ultimo del Piano è dunque ben sintetizzato dallo slogan More London, non a caso prescelto dalla società di Development che gestisce il programma di riqualificazione dell’area centrale che ruota intorno alla City Hall. Più Londra significa più città, più infrastutture, più cultura, più architettura, più parchi, più bellezza, più vita sociale. Come si è accennato, il presupposto logico per ritornare ad attrarre nella city ingenti flussi di popolazione sta nel rafforzamento dell’ossatura portante dei trasporti su ferro nell’intera area metropolitana. Tant’è che Londra - che è stata la prima città al mondo a dotarsi di una metropolitana (l’Underground del 1863, popolarmente nota come Tube) e che può vantare il network di ben 13 reti - ha esaltato con motivata enfasi l’inaugurazione all’alba del secolo del prolungamento della Jubilee Line (con 6 nuove stazioni, in aggiunta alle preesistenti 5 ristrutturate). Il nuovo tratto di linea ferrata ha valorizzato non solo il centro direzionale dei Docklands, ma anche i quartieri orientali, e si collegherà al Parco Olimpico tramite l’aggancio con la Crossrail, ferrovia sotterranea di notevole rilevanza. Molta cura è stata inoltre riservata al fascino delle nuove stazioni, affidando di volta in volta i progetti ad architetti diversi, per creare - sotto l’abile regia di Roland Paoletti - una calibrata varietà di soluzioni estetiche in relazione al mutare dei contesti urbani nelle uscite fuori terra. Ma c’è dell’altro. Il pianificato potenziamento del sistema dei trasporti verte non solo sul ferro, ma anche sulla gomma (con nuovi tunnel di attraversamento Herzog&de Meuron, Tate Modern Museum. nella pagina accanto Norman Foster, Swiss Re. 34 Stazioni della Jubilee Line. sotterraneo dell’alveo del Tamigi), e sull’acqua (mettendo in rete i canali navigabili); senza contare le piste ciclabili e i percorsi pedonali lungo le rive e nei parchi. Alla luce di questa nuova “visione” del futuro si può meglio comprendere il ruolo giocato dalle architetture d’eccellenza come fari di irradiazione della qualità nella rigenerazione di più ampie aree urbane. Si disvela in tale ottica quale l’esito di un’inequivocabile strategia l’aver voluto concentrare lungo la riva sud del Tamigi - non a caso collegata all’altra metà della storia con ponti pedonali e passeggiate paesaggistiche - una mirabile collana di perle d’autore: dalla City Hall ideata da Norman Foster come metaforico palazzo “trasparente” della democrazia (dalla singolare sagoma a uovo sbilenco, che racchiude all’interno una rampa che si inerpica a spirale verso il cielo, fino a raggiungere nel culmine la sala civica) fino al celebre Tate Modern Museum, progettato da Herzog&de Meuron ripristinando l’austero opificio in mattoni della preesistente centrale elettrica del Bankside di Giles Gilbert Scott. Allo stesso Norman Foster si deve peraltro l’elegante innesto della suggestiva piazza coperta dal reticolato triangolare di vetro nella Great Court del British Museum (2003) e dell’ecologico grattacielo della Swiss Re, che sovrasta per la dirompente carica espressiva, prima ancora che per l’altezza, l’esibizione tecnologica ormai datata dello skyscraper dei Lloyd’s, incastonato nel cuore della City da Richard Rogers tra il 1978 e il 1986. Nello scenario di questa “multi-città”, che ogni anno cambia pelle, il grattacielo ha perso l’originario carattere americano di oggetto seriale, tipologicamente reiterato sulla fitta scacchiera metropolitana, per elevarsi al ruolo di isolata torre babelica, dall’eloquente pregnanza simbolica. L’imminente costruzione della London Bridge Tower (The Shard), progettata da Renzo Piano, lascia presagire che questo tagliente obelisco di cristallo sia destinato a subentrare quale nuova icona dell’inarrestabile metamorfosi di una metropoli in costante crescita economica e culturale. Parigi Direttamente collegata a Londra dal Tunnel sottomarino della Manica, Parigi è a sua volta una metropoli emblematica delle modificazioni attualmente in corso di sperimentazione. Questa grande città rappresenta peraltro un nodo cruciale di interconnessione tra i grandi assi del trasporto nella fascia settentrionale d’Europa. Basti pensare che nella capitale della Francia convergono, provenienti dalle più disparate regioni, i TGV (Trains à Grande Vitesse) che si intrecciano al network locale dei trasporti su ferro (dalla RER alle 13 linee del Metro); il trasporto fluviale, che vi giunge dall’oceano Atlantico muovendo dalla cittàporto di Le Havre alla foce della Senna; il traffico aereo, che fa scalo nei due aeroporti internazionali di Roissy e Charles de Gaulle; nonché le grandi arterie autostradali. Va da sé, pertanto, che mutamenti urbanistici collaudati in questa capitale si riverberino con riflessi emulativi in altre città. Certo, Parigi è stata al centro dei riflettori internazionali soprattutto negli anni dei grands travaux effettuati dal presidente-faraone François Mitterrand per celebrare il bicentenario della rivoluzione nel 1989. La Pyramide incastonata da Ieoh Ming Pei nella corte del Louvre, la Bibliothèque Nationale de France di Dominique Perrault nel Tolbiac, la Grande Arche di Johan Otto von Spreckelsen nella Défense, l’Institut du Monde Arabe di Jean Nouvel a Jussieu, la Cité de la Musique di Christian de Portzamparc ne La Villette e l’Opéra de la Bastille di Carol Ott restano i simboli di un rinnovamento sotteso dalla malcelata sindrome della grandeur. Ai nuovi monumenti (in stile high-tech) si è affiancata tuttavia (già a partire da quella fase) una non sottovalutabile attenzione verso la riqualificazione della banlieu. Parigi è una “città-regione” per antonomasia, con un centro storico di notevole fascino che funge da magnete gravitazionale non solo degli ingenti flussi del turismo internazionale (circa 20 37 Jean Nouvel nella pagina accanto Jean Nouvel, Musée du Quai Branly. Mario Botta, Cathédrale de la Résurrection.