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Piattaforma nazionale “Pericoli naturali” PLANAT
La storia delle catastrofi naturali e dell’uomo: due storie
parallele?
Il passato costituisce uno spunto di riflessione per rendersi conto di come la
conoscenza delle reazioni dell’uomo alle catastrofi naturali del passato, delle
credenze della gente, del loro porsi di fronte al rischio e al pericolo e del loro
modo di interpretare l’evento, ha rappresentato la base su cui definire nel corso
degli ultimi decenni – perché si è trattato di un percorso piuttosto lungo – di un
nuovo concetto di sicurezza e di gestione del rischio, su cui fondare decisioni a
livello politico che consentano di evitare le tragedie di un tempo, di mantenere il
rischio sotto soglie accettabili – fino a dover convivere con lui - e, non da ultimo,
di assicurare la buona gestione del territorio: questo è il campo in cui si muove
oggi la Piattaforma nazionale “Pericoli naturali” PLANAT.
Per capire perché è nata PLANAT, la Piattaforma nazionale “Pericoli naturali”,
quali sono i suoi obiettivi e i suoi programmi per il futuro, è interessante gettare
un breve sguardo sul passato.
Una recente ricerca storica sulle catastrofi (Le Jour d’après, Christian PfisterÉditeur, 2002) offre lo spunto per alcune riflessioni: si occupa a livello
internazionale, del periodo che va dal 1500, per noi ticinesi il tempo della buzza
di Biascaalle catastrofi naturali dell’anno 2000, che hanno colpito il Vallese e la
Valle d’Aosta.
Nel 1489 Lodovico Sforza, detto il Moro, duca di Milano, sale coi suoi architetti,
ingegneri e condottieri a Bellinzona per visitare il cantiere del ponte in pietra che
collega le due rive del Ticino.
Quel magnifico ponte in pietra avrà vita breve. Il 30 settembre 1512 lo
scoscendimento del Monte Crenone, sopra Biasca, sbarra la Valle di Blenio con
una diga naturale di terra e massi. Dietro di essa si forma un lago che il 29 / 30
maggio 1515 spazza via la diga e una parte della murata di Bellinzona
Nei secoli passati e fino alla fine del 19° secolo raramente si usa definire eventi
simili come “catastrofi naturali”. Infatti di fronte ad avvenimenti, le cui cause la
gente non riesce a identificare in maniera chiara, il sentimento religioso, vivo
specialmente nelle campagne e nelle vallate, conduce ad attribuire le cause del
disastro a qualcosa di superiore, un po’ come nell’antichità classica l’uomo
attribuiva i colpi del destino a qualche dio arrabbiato con lui.
Nel 16° e 17° secolo si legge allora di “segni prodigiosi e terribili di Dio”, o di
“messaggio divino”. E si parla anche di “disgrazia”, di “calamità”, di “triste
evento” o di “avvenimento terribile”.
Persino la buzza di Biasca dà lo spunto ai cronisti del tempo per esprimere una
preghiera a Dio perché conceda la sua misericordia “affinché simili miracoli e
simili disastri ci inducano a fare penitenza, a riconoscere la nostra vita nel
peccato e ad allontanarci da essi.”
Prima che venissero create le assicurazioni, il giorno dopo la catastrofe, ci si
aiutava come si poteva. Non esistevano ancora norme vincolanti, basate sul
concetto di solidarietà, che prevedevano l’assistenza delle persone colpite dal
disastro.
I primi segni del nascere di una coscienza collettiva, come risultato di azioni
compiute dall’intera comunità, si hanno verso la fine del 17° secolo, quando lo
stesso evento si riproduce con una certa frequenza.
Per tornare alla Svizzera, fu nel 1868, anno segnato da violenti inondazioni che
devastano grandi parti del territorio alpino, che la catastrofe viene recepita dalla
popolazione come un evento straordinario, mai visto, che scuote la coscienza di
un’intera comunità. In assenza di strutture d’aiuto a livello nazionale si può però
contare solo sulla generosità dei singoli e sul forte spirito di solidarietà. Di fronte
a catastrofi che colpiscono un’intera nazione, prende forma un nuovo concetto
di solidarietà, intesa come difesa di valori e di interessi generali. Uno dei valori
determinanti nel 19° secolo e fino alla seconda metà del 20° è la nazione, cioè
la solidarietà come elemento coagulante dell’unità nazionale.
Per la prima volta il Consiglio federale istituisce un comitato centrale di
soccorso con il compito di centralizzare gli interventi e di procedere alla
ripartizione degli aiuti finanziari.
Per la prima volta le misure prese assumono una dimensione politica.
Nella pratica ciò segna l’avvio della messa in cantiere di una serie di opere di
premunizione contro i pericoli: per esempio l’incanalamento dei fiumi – per
rimanere nel nostro cantone, si pensi alla bonifica del piano di Magadino e alla
costruzione degli argini del fiume Ticino –, oppure le piantagioni di protezione
sui fianchi delle montagne con lo scopo di proteggere le sottostanti zone
abitate.
Si costruirà molto nei successivi decenti, convinti che è possibile, con i
progressi della tecnologia e sulla base di progetti sempre piú raffinati, riuscire a
proteggere in maniera definitiva gli insediamenti dell’uomo.
Questa convinzione, un secolo dopo, si rivelerà essere solo un’illusione. Le
catastrofi che colpiscono il canton Uri nel 1987 affondano l’illusione della
sicurezza assoluta.
Fino a non tanti decenni fa, le catastrofi naturali erano fenomeni che
interessavano prevalentemente le scienze naturali e quelle dell’ingegneria. E’
solo negli ultimi anni che la ricerca storica sugli aspetti dei pericoli naturali
coinvolge anche le scienze sociali e la gestione del rischio, cioè prende in
considerazione la società.
In altre parole: partendo dal concetto che la sicurezza assoluta non esiste, è
importante che la popolazione impari a convivere con il rischio e a premunirsi
contro di esso.
Si assiste dunque in questi anni a una svolta nella trattazione delle tematiche
sulle catastrofi: abbandonato il concetto secondo cui esiste la sicurezza
assoluta e nella consapevolezza che questa non può realizzarsi nemmeno con
le piú moderne e sofisticate opere di premunizione, diventa essenziale la
collaborazione tra le scienze della natura e le scienze sociali, da una parte la
tecnica – le opere di premunizione -, dall’altra l’uomo - le conseguenze della
catastrofe sulla sua vita, il suo porsi di fronte al rischio.
In quest’ottica nasce la piattaforma nazionale “Pericoli naturali” PLANAT istituita
dal Consiglio federale nel 1997, incaricata d’evidenziare le lacune esistenti nella
prevenzione dei pericoli naturali e di elaborare, in veste di organo di
coordinamento, piani strategici coordinati a livello nazionale per una migliore
protezione dei pericoli naturali della nostra società. PLANAT si compone di 20
membri, vi fanno parte rappresentanti della Confederazione e dei cantoni,
esponenti del mondo della ricerca e delle associazioni professionali e
rappresentanti dei settori dell’economia e delle assicurazioni.
Il passaggio paradigmatico dalla tradizionale difesa dai pericoli a una cultura
delle prevenzione dei rischi è solo settorialmente già molto avanzato.
Ad esempio la nuova legislazione federale sulle foreste e sulla sistemazione dei
corsi d’acqua richiede oggi la preparazione di carte dei pericoli e la corretta
considerazione dei rischi naturali esistenti nell’ambito d’attività con ripercussioni
sul territorio.
In altri settori, invece, il nostro paese continua ad essere impreparato, ad
esempio di fronte all’eventualità certamente rara, ma di conseguenze devastanti
di grandi catastrofi come il terremoto.
Sussiste inoltre l’esigenza di cooperare nell’opera di divulgazione e di
radicamento del progetto svizzero per una gestione sistematica dei rischi legati
ai pericoli naturali sia a livello nazionale sia fuori dai nostri confini mettendo a
disposizione degli altri paesi il proprio know-how, esperienze già fatte .
Le catastrofi naturali – le frane, gli scoscendimenti, le inondazioni, i terremoti, le
valanghe ecc. - non vengono piú considerate eventi straordinari. Si tratta di
processi che obbediscono alle leggi della fisica e che possono ripetersi.
Scriveva Max Frisch: “Solo l’uomo conosce la catastrofe, ammesso che
sopravviva. La natura non conosce catastrofi.”
Il concetto secondo il quale le catastrofi naturali non fanno parte della ricerca
storica viene sempre più abbandonato: la storia dell’uomo non corre parallela
alla storia delle catastrofi, ma questa è parte integrante di quella. La
consapevolezza dell’interazione fra natura, società e tecnica diventa sempre
maggiore. Il coinvolgimento dell’uomo, che influisce con le sue azioni sulle
catastrofi naturali e soprattutto sulle rispettive conseguenze, contribuisce alla
necessità di definire standard di sicurezza unitari da raggiungere, che
consentano uno sviluppo sostenibile e armonioso della società e del territorio.
Giovanna Colombo
Ing. civile ETHZ
Membro della commissione
Extra-parlamentare PLANAT
Bosco Luganese, 13 febbraio 2003