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Sul tradurre e sulle traduzioni
Considerazioni intermedie
Camilla Miglio
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Nel principio, la traduzione
Nel principio, la traduzione*
Camilla Miglio
La parola di fronte a Dio
Leggiamo l’incipit del prologo di Giovanni.
In greco, traslitterato:
Giov 1, 1. En arché en o logos, kai o logos en pros ton theòn, kai theòs en o logos
Interlineare: In principio era la Parola, e la Parola era verso Dio, e Dio era
la Parola
Vulgata: In Principio erat Verbum et Verbum erat apud Deum, et Deus
erat Verbum
Lutero: IM ANFANG WAR DAS WORT / VND DAS WORT WAR BEY
GOTT / VND GOTT WAR DAS WORT.
Concordata: In principio era la Parola e la Parola era presso Dio, anzi la
Parola era Dio
Società biblica di Ginevra: Nel principio era la Parola, la Parola era con
Dio, e la Parola era Dio
Giovanni nel prologo al vangelo riprende consapevolmente l’incipit
di Gen 1,1 – modificandone il senso. Non si tratta più di un inizio temporale, l’inizio dei tempi, della creazione come origine, bereshit. Giovanni usa la parola greca “archè”1 – principio, in senso spaziale e non temporale. Nel principio – ovvero dentro al principio – era la parola. L’accezione spaziale e non temporale fa dell’atto di creazione un evento assoluto2 . La parola era dentro al principio e di fronte a qualcosa di non altrimenti
dicibile, Dio. In posizione enfatica troviamo nel primo verso “en archè”,
* Questa lettura considera il prologo giovanneo da un punto di vista letterario, e non ha
alcuna pretesa di inserirsi nella millenaria battaglia teologica sull’interpretazione delle
Scritture. Rimando, a proposito della lunga discussione sul prologo, alla ricchissima monografia di M. Theobald, Die Fleischwerdung des logos. Studiem zum Verhältnis des
Johannesprologs zum Corpus des Evangeliums und zu I Joh, Münster 1988.
1
Già Anassagora proprio nella ricerca dell’arché fondava la propria domanda filosofica.
Egli era poi un materialista, ma l’organizzazione del mondo dimostrava secondo lui un’intrinseca intelligenza.
2
“Jean èvoque le commencement absolu, qui transcend le temps et se situe dans l’éternité”,
così I. De la Potterie, La notion de « commencement » dans les écrits johanniques,
in R.
Schnackenburg et al. (cur.), Die Kirche des Anfangs, Leipzig 1977, pp. 379-402, qui p. 385.
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e non “ò logos”. Dal punto di vista della linguistica testuale, “Thema”
del testo è proprio il sintagma “nel principio”, mentre “la parola”3 ne è
il “Rhema”4 .
Pros ton theon: pros + accusativo può significare presso, davanti, al cospetto di, conformemente a. “Indica moto a luogo, avvicinamento […] ma
anche stato in luogo che presuppone un moto a luogo precedente. Traslato [si trova nelle espressioni] “parlare a qualcuno, annunciare, rispondere, parlare con qualcuno. [Spesso viene usato] per esprimere relazioni, rapporti” – lo apprendiamo dal Dizionario Greco-Italiano5 .
La Vulgata Clementina traduce “apud”. Anche apud possiede una
gamma di significati che vanno ben oltre il “presso” della edizione corrente6 : “vicino a, dinanzi a, in presenza di”. E figurato “essere in se stessi”, oppure presenti “nel giudizio di [altri]”7 , ovvero nella rappresentazione di altri.
3
Cfr. M. Theobald, Im Anfang war das Wort. Textlinguistische Studien zum Johannesprolog,
Stuttgart 1983, p. 42.
4
Thema-Rhema è un criterio di ordine semantico e stabilisce che gli elementi noti (= il
Thema) al parlante o all’interlocutore siano disposti a sinistra, mentre le informazioni nuove (= il Rhema) tendono a destra. In questo caso dunque l’elemento nuovo sarebbe proprio
“la parola”, e il principio viene trattato come elemento concreto e noto.
5
Cfr. R. Romizi, Vocabolario Zanichelli greco antico – italiano, etimologico e ragionato, a cura di
M. Negri, Bologna 2001, p. 1038. Ma v. anche, per il greco antico Liddel-Scott-Jones, GreekEnglish Lexicon, Oxford 1996 (19259). Adrados, Lexico giego-éspanol, Madrid 1980- (in corso di completamento); per il greco neotestamentario: Kittel-G.Friederich, Theologisches
Wörtebuch zum Neuen Testament, 8 voll., Stuttgart 1932-1970; F. Blass-A. Debrunner, Grammatica del Greco del Nuovo Testamento, tr. it. Brescia 1964 (Göttingen 1976).
6
Pros = in relazione a. I complementi di moto a luogo (e in particolare pros+acc.) sono
particolarmente indicati per indicare una ‘relazione intenzionale, partecipata’. Dal concetto di ‘andare verso’ con l’intenzione di farlo, si passa al concetto di ‘essere in relazione’
a qualcuno, come un processo di costante avvicinamento a lui. Cf. J. Wackernagel,
Vorlesungen über Syntax, Basel 1926-1928. Che ci sia un problema con la traduzione “presso”, ma già “apud”, viene rilevato anche dal commento alla Bibbia Concordata (a cura
della Società Biblica di Ravenna, 3 voll., III edizione, Milano 2000, p. 234): “Sull’autorità di
Tolomeo si dovrebbe tradurre che la Parola era ‘uno con Dio’ poiché la semplice preposizione presso non rende il significato del termine greco (Ireneo, Contro le eresie, 1, 8, 5). Il
nostro problema qui, tuttavia, non è teologico, ma di analisi di un linguaggio considerato
innanzitutto da un punto di vista poetico. Tradurre “uno con dio” significa certamente
sottolineare il rapporto stretto tra logos e divinità, ma anche chiudere la polisemia, il paradosso identità-differenza che si innesca potente in questo primo verso e gli conferisce no
status estetico oltre che teologico. È sempre un problema di punto vista: se si vuole mettere il testo (sacro) al riparo dalle eresie sulla natura del divino, certamente si fa bene a
tradurre “uno con”.
7
Cfr. L. Castiglioni- S. Mariotti, Vocabolario della lingua latina, III edizione, Milano 1996, p.
91. Ma v. anche per il latino cfr. Thesaurus linguae latinae, Leipzig 1900-; The Oxford latin
dictionnary, Ed. By P.G.W. Glare, Oxford 1968-1982.
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Nel principio, la traduzione
Possiamo dunque immaginare una parola “a fronte di Dio”, che con
Dio intraprende una relazione, con Dio sta in tensione.
Il vangelo dice di una conformità, ma non di una identità. La parola
non può essere identica a Dio. Può stargli di fronte, esserne segno. Dio e
Parola: l’uno di fronte all’altro in uno spazio assoluto. Non per questo il
logos e è pensato come secondo dio accanto al primo8 . Del paradosso tra
identità e differenza vive la tensione non solo teologica, ma anche estetica
del primo versetto. Dal punto di vista strutturale, la prima pericope di
Giovanni è costruita in modo speculare o a chiasmo, a seconda delle versioni9 . In entrambi i casi la struttura segnala un rapporto di reciprocità:
Leggiamo, forzando la traduzione
E la PAROLA era di fronte a [verso, presso] DIO e DIO era la PAROLA
O altrimenti, nella struttura versificata
E la PAROLA era di fronte a [verso, presso] DIO
E DIO era la PAROLA
Anche traducendo il movimento intenzionale della parola “verso
Dio”, così come proposto dalla versione interlineare Greco-Latino-Italiano10 , ancora si può osservare una caratteristica del rapporto tra testo
tradotto e originale. Anche la traduzione vive nella sua “Intention auf
die Sprache”, la sua intenzionalità rispetto al testo tradotto11 . Nell’os8
In questo senso è da considerare la proposta di Klaus Wengst nel commento teologico al
nuovo testamento, che traduce “und Gott(gleich) war das Wort” [“e la parola era (simile
a) Dio”]. La parola sta alla divinità, nel commento di Wengst, in un rapporto analogico,
che tiene insieme identità e differenza. Cfr. K. Wengst, Das Johannesevangelium, Theologischer
Kommentar zum Neuen Testament, I Teilband, Stuttgart/ Berlin/ Köln 200, pp. 46-47.
9
Anche se, come si presume, a un intervento gnostico successivo siano da ascrivere i versi
“e Dio era la Parola. Questa era nel principio di fronte a Dio”, il punto di vista non cambia,
dato che il chiasmo Principio-Dio-Parola è già presente nel testo più antico, solo si precisa
da un punto di vista formale. Cfr. C. Westermann, Das Johannesevangelium aus der Sicht des
Alten Testaments, Stuttgart 1984, p. 8. Ma v. anche F. Blass – A. Debrunner, Grammatik des
neutestamentlichen Griechisch [trad. italiana: Grammatica del greco del Nuovo Testamento, a
cura di U. Mattioli e G. Pisi, Brescia 1982].
10
Cfr. Nuovo Testamento. Greco-Latino-Italiano, testo greco di Nestle-Aland, trad. interlineare
di Alberto Bigarelli, testo latino della Vulgata Clementina, testo Italiano della Nuovissima
Versione della Bibbia, a cura di Piergiorgio Beretta, Milano 1998, p. 756.
11
Cfr. W. Benjamin, Die Aufgabe des Übersetzers (1923), ora in Id., Gesammelte Schriften, IV, I,
vol. 10. Frankfurt am Main 1972, pp. 11-21 trad. it., Il compito del traduttore, in Id., Angelus
Novus. Saggi e frammenti, Torino 1962.
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servazione dei loci paralleli giovannei appare chiara la differenza nell’uso del sintagma ò theòs, e theos senza articolo. O theòs è il dio che si
personifica nel padre al cospetto di cui ci si trova. Theòs da solo è la
sostanza divina. La parola, il logos, partecipa della sostanza divina, ma
non è ‘il dio’: kai theòs en ò lògos.
Osserviamo anche nella pericope successiva:
Giov 1, 2. Oùtos en en arché pros ton theòn
Interlineare: Quest[a] era in principio verso Dio
Vulgata: Hoc erat in principio apud Deum
Lutero: DAS SELBIGE WAR IM ANFANG BEY GOTT
Concordata: Essa in principio era presso Dio
Società biblica di Ginevra: Essa era nel principio con Dio
Giov, 1, 3. Panta di’autoù egéneto. Kai chàris autoù egeneto oudè eò o gègonen.
O gègonen
Interlineare: Tutte le cose per mezzo di lui furono fatte, e senza di lui non
ne fu fatta neppure una sola
Vulgata: Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil, quod
factum est
Lutero: Alle ding sind durch dasselbige gemacht / vnd on dasselbige ist
nichts gemacht / was gemacht ist.
Concordata: Per essa furono fatte tutte le cose e fatta separatamente da
essa nessuna esistette
Società biblica di Ginevra: Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta.
Dià autoù, di’autoù. Qui si affaccerebbe l’idea del verbo come “mezzo” (nella preposizione “dià = attraverso, per mezzo”). Ma aspettiamo la pericope successiva.
Giov, 1, 4 [o gegonen] En autò zoòn en, kài zoòn en tò phòs ton ànthropon
Interlineare: In l[e]i vita era, e la vita era la luce degli uomini
Vulgata: in ipso vita erat, et vita erat lux hominum
Lutero: Jn jm war das Leben / vnd das Leben war das Liecht der Menschen /
Concordata: In essa era la vita, e la vita era la luce degli uomini.
Società biblica di Ginevra: In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini.
Osserviamo l’approssimazione e il movimento. La parola non è mezzo, o meglio: non è solo mezzo. Essa porta dentro di sé (e di per sé) la vita.
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Nel principio, la traduzione
È “segno vivente”. La vita è a sua volta “luce agli uomini”. È vita come
forma, potremmo assumere un senso intenzionale, non benjaminiano qui,
ma scolastico. Intenzionale, in quanto pertinente all’immagine che dell’oggetto conosciuto si forma nel soggetto conoscente. Ascoltiamo Dante:
“Queste cose visibili […] vengono dentro all’occhio – non dico le cose ma
le forme loro – per lo mezzo diafano, non realmente ma intenzionalmente, sì quasi come in vetro trasparente”12 . Ecco la luce:
Giov, 1, 5: Kai tò phòs en te skotia phàinei, kai e skòtia autò ou katèlaben
Interlineare: e la luce in la tenebra splende, e la tenebra lei non ha accolto
Vulgata: et lux in tenebris lucet, et tenebrae eam non comprendeherunt
Lutero: vnd das Liecht scheinet in der Finsternis / vnd die Finsternis habens
nicht begriffen./
Concordata: E la luce risplende nella tenebra e la tenebra non l’ha compresa.
Società biblica di Ginevra: La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non
l’hanno sopraffatta.
La luce porta l’intenzione, la forma di dio, come il logos. Si tratta di
percepirla e comprenderla come forma. katèlaben, da katalambàno: letteralmente, così recita anche l’interlineare, “accogliere”, ma in questo caso
si potrebbe ipotizzare: “comprendere, afferrare, impadronirsi di, ma
anche capire”. Si fa sempre più evidente il problema della comprensione. Così la vulgata (“comprehenderunt”). Anche Lutero usa il verbo
“begreifen”: capire, carpire, comprendere. La Nuovissima Versione traduce “compresero”13 . La società di Ginevra fornisce una traduzione che
risente di una interpretazione teologica e cosmogonica: si tratta di una
lotta primordiale tra luce e tenebra. Katalambàno è un verbo insieme astratto e concreto. Ha un significato ‘figurato’ ma conserva una sua fisicità.
La fisicità che emerge nel testo di Giovanni nel farsi carne della parola
nelle sequenze successive (Giov 1, 6-18).
Dante Alighieri, Convivio, III – IX -7.
Devo a Riccardo Palmisciano (che ringrazio non solo per questa occasione di riflessione) una interpretazione diversa, di cui è importante dare conto. Poco dopo (1, 10) Giovanni usa il verbo egno in un contesto molto simile, e quindi con intenzione di distinguere. Il
passo reciterebbe dunque: Il mondo non (ri)conobbe la luce (ma poteva farlo), mentre la tenebra
non poteva accoglierla fisicamente (dato che la luce avrebbe dissolto le tenebre), e quindi katélabe
andrebbe più nel senso di ‘(la tenebra) restò separata, distinta’. Ma anche nel ‘restare separate’,
distinte di due entità si può leggere la mancanza di comunicazione, il rifiuto di comprendere (nella doppia accezione di prendere dentro di sé e capire).
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Il Messia infatti si approssima in una serie di passaggi progressivi e
costruzioni a chiasmo in cui il discorso procede, ma rimanda anche all’origine, a quell’arché in cui il logos abita.
I passaggi successivi attraversano la figura umana del Battista. Egli viene per testimoniare. È segno, sta per la luce. L’umanità crede “per mezzo di lui”. Giovanni Battista si inserisce nella serie dei segni “presso”,
“di fronte”, “a fronte”, che “stanno per” Dio. Egli è però anche a sua
volta interprete “angelo” (ànghelos), messaggero e testimone. Egli non è
il Messia, ma viene per testimoniare. L’evangelista ripete il concetto due
volte. Perché? Proprio per farci capire che lui non è, ma sta per la luce.
Immaginiamo la luce come traduzione della vita. La vita “sta”, abita,
dimora nel Logos, nella Parola. Il logos sta, dimora nel Principio, oltre
che stare di fronte a Dio. E alla fine del prologo, appunto in Giov, 1, 18,
siamo tornati al punto di partenza.
La traduzione della luce
Giovanni testimonia per la luce e per quella che potremmo chiamare
una nuova traduzione della luce. Sarà una luce vera, e illuminerà ogni
uomo. Non si tratta di una luce generica , universale luce donata agli
uomini come nel Genesi (fiat lux). Cristo si presenta in questo prologo
come segno non interpretato, non compreso, non riconosciuto, esposto
al pericolo di chi chiama, e cerca risposte, interpretazioni individuali. In
Giov 1, 10-11 si ripete la situazione iniziale (di Giov, 1,5): le tenebre che
non riconoscono la luce (non l’accolgono, non la recepiscono): . Ora saranno gli uomini a non riconoscere Cristo, il logos fatto carne.
Da Giov, 1, 10: kai ò kòsmos auton ouk egno
Interlineare: e il mondo lui non conobbe
Vulgata: Et sui eum non receperunt
Lutero: / vnd die Welt kandte es nicht.
Concordata: ma il mondo non la conobbe.
Società biblica di Ginevra: ma il mondo non l’ha conosciuto
Da Giov, 1, 11: kai oi idioi auton ou parelabon
Interlineare: e i suoi lui non accolsero
Vulgata: et mundus eum non cognovit
Lutero: Vnd die seinen namen jn nicht auff.
Concordata: e i suoi non l’accolsero
Società biblica di Ginevra: e i suoi non l’hanno ricevuto
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Nel principio, la traduzione
Nel prologo giovanneo il divino viene dunque posto come qualcosa
di totalmente altro. I segni verbali, il logos, e i segni viventi: i profeti o
Cristo stesso, possiamo interpretarli come traduzioni dell’originale, che
è impronunciabile direttamente. Il rapporto tra logos, segni, profeti, Cristo e il Divino è di traduzione progressiva. I segni, persino la luce nella
sua evidenza, sono sempre esposti a pericolo dell’incomprensione. Ma
l’incomprensione è consustanziale a ogni processo di traduzione che
riconosca che una traduzione completa, che segua il principio di identità e non contraddizione, non è possibile. Questo è il rischio, ma anche la
forza di ogni movimento del linguaggio, qui raffigurato in modo
archetipico nella “traduzione” del divino in parola, e della trasposizione
in un testo greco di parole umane pronunciate in aramaico.
Giovanni traduttore
Giovanni è consapevole del passaggio ulteriore della testimonianza,
del logos, dall’aramaico al greco. Egli testimonia, vestendo esplicitamente
i panni del traduttore, di questo passaggio culturale ed epocale – dal
mondo ebraico al mondo greco-latino-mediterraneo.
Occorrono, nello spazio di pochi versetti, ben tre frasi il cui centro è
proprio la traduzione, ovvero l’interpretazione interlinguistica. Il passaggio viene mostrato, sottolineato come attività sacra in sé. Il Vangelo,
l’annuncio, la buona novella pronunciata e scritta in greco sta “di fronte”, a fronte dei fatti agiti e detti in aramaico.
Giov 1, 38
Rabbì, (o lèghethai ermeneuòmenon, didàskale)
Interlineare: Rabbì, che si dice tradotto maestro
Vulgata: Rabbi (quod dicitur interpretàtum)
Lutero: Rabbi (das ist verdolmetscht, Meister)
Concordata: “Rabbi”, che tradotto significa Maestro
Società biblica di Ginevra: Rabbì (che, tradotto, vuol dire Maestro)
Giov, 1, 41: Messìas, o estì metermeneuòmenon o Christòs
Interlineare: Messia, che è tradotto Cristo
Vulgata: Messiam (quod est interpretatum Christus)
Lutero: Wir haben den Messias funden (welches ist verdolmetscht: der
Gesalbte).
Concordata: Messia che tradotto significa il Cristo
Società biblica di Ginevra: Messia” (che, tradotto, vuol dire Cristo)
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Giov, 1, 42
Kùphas, o ermenèuethai Pètros
Cefa, che si traduce Pietro.
Interlineare: Cefa, che si traduce Pietro.
Vulgata: Cephas (quod interpretatur Petrus).
Lutero: Kephas heißen (das wird verdolmetscht: ein Fels).
Concordata: Cefa, che vuol dire pietra
Società biblica di Ginevra: Cefa (che si traduce “Pietro”).
Ricorre tre volte il verbo ermeneuein, tradurre. Giovanni continuamente ricorda la sua missione, il suo compito di traduttore. Rende trasparente il suo vangelo, dona a parole fondanti come Maestro, Messia,
Pietro, una plasticità linguistica. Didaskalos, Cristos, Petros sono corpi che
gettano sulla pagina la loro ombra antica, la loro voce aramaica: Rabbì,
Messias, Cuphas.
La traduzione come provocazione ermeneutica
La traduzione è dunque una attività da esegeti. Nella stessa parola
greca ermeneuo c’è il significato di tradurre e di interpretare. La traduzione non è mai neutra, presuppone un punto di vista.
Nella teoria e storia della traduzione è costante l’intreccio tra traduzione e problemi dell’identità linguistica, religiosa, culturale di un gruppo
se non di una intera civiltà. Da Giovanni discende il “tarlo” della Parola,
del logos divino. Come tradurlo (il divino)? Come interpretarlo (il logos)?
È questo anche il problema di Martin Lutero, che riteneva il Vangelo
di Giovanni il più nobile e alto dei Vangeli14 . Pensiamo a anche a quanto
feconde siano state le riflessioni sulla traduzione tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento15 .
Pensiamo a Johann Wolfgang Goethe, che fa tradurre al suo Faust
proprio l’incipit del Prologo al Vangelo di Giovanni, attraverso una pro-
14
Cfr, M. Lutero, Quali sono i libri giusti e più nobili del Nuovo Testamento? (1522), in Id.,
Prefazioni alla Bibbia, a cura di M. Vannini, Genova 1987, p. 143. Lutero apprezza Giovanni
tra i testi più nobili, e tra i Vangeli il più nobile, perché è quello che dà più spazio alla
predicazione, alla parola di Gesù, e meno alle opere.
15
Per una riflessione ampia e argomentata su questo tema, cfr. A. Berman, La prova dell’estraneo. Cultura e traduzione nella Germania romantica, a cura di G. Giometti, Macerata
1996; F. Apel, Il Movimento del linguaggio, Milano 1998.
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Nel principio, la traduzione
gressione di possibili significati della parola logos che passa per Wort
[parola], Sinn [senso], Kraft [energia, forza], Tat [azione]16 .
Intendere la traduzione come progressione interpretativa significa
porre la differenza, la inesauribilità dell’originale come valore. Significa
mettere in questione il principio di identità e non contraddizione, il principio di fedeltà incondizionata della traduzione rispetto all’originale.
Le vie della fedeltà si dicono in molti modi.
Leggiamo il prologo come testo poetico, guardiamo la parola come
testo a fronte di un originale inconoscibile fino in fondo. Accettiamo,
del prologo di Giovanni, un fondamento teologico che noi possiamo
accogliere nella sua evidenza estetica: una relazione interpretativa mai
statica, ma viva perché in movimento, all’infinito.
Edizioni delle Scritture citate:
• Nuovo Testamento. Greco-Latino-Italiano, testo greco di Nestle-Aland (Novum
testamentum graece), vers. Interlineare a cura di Roberto Bigarelli, testo latino
della Vulgata Clementina, testo Italiano della Nuovissima Versione della Bibbia, a cura di Piergiorgio Beretta, Milano 1998
• D. Martin Luther, Die gantze Heilige Schrift Deudsch, Wittenberg 1545. Letzte
zu Luthers Lebzeiten erschienene Ausgabe, a cura di H.Volz et al., 2 voll,
Darmstadt 1972
• La Bibbia concordata, tradotta dai testi originali con introduzioni e note a cura
della Società Biblica di Ravenna, III edizione, Milano 2000
• Nuova Riveduta. Il Nuovo Testamento e i Salmi, rev. 1994, Società Biblica di
Ginevra, Ginevra 2000
16
Cfr. J. W. Goethe, Faust. Der Tragödie erster Teil, Jubiläumsausgabe, a cura di A. Schöne e
W. Wiethölter, vol III, Frankfurt am Main/Leipzig 1998, p. 48. Per una lettura di questa
scena cfr. L. Crescenzi, Ermeneutica morfologica. La traduzione del Vangelo di Giovanni nel
Faust I (vv. 1224-1237), in G. Cermelli (a cura di), Contraddizioni del Moderno nella letteratura tedesca da Goethe al Novecento. Per Ida Cappelli Porena, Pisa 2001, pp. 31-42.
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