12_Teoria Sistemi Dinamici e Psicoterapia
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12_Teoria Sistemi Dinamici e Psicoterapia
Psicoterapia e teoria dei sistemi dinamici 1. Introduzione La psicoterapia intesa come pratica clinica ha primariamente e necessariamente a che fare con il cambiamento, che ne rappresenta infatti sia il mezzo che il fine. Questo cambiamento – al pari del cambiamento in molti altri ambiti della vita – è un fenomeno complesso e dinamico. Il cambiamento è un fenomeno complesso nella misura in cui esso può manifestarsi in diverse forme, implicare molteplici elementi in interazione reciproca, ed essere determinato da una serie altrettanto molteplice di fattori, anch’essi interagenti tra di loro. In altri termini, il cambiamento presenta una natura multi-dimensionale e multi-determinata, caratterizzata da rapporti causali di tipo circolare (Ceruti & Lo Verso, 1998a; Gelo, Gennaro, & Salvatore, 2007; Gennaro, Gonçalves, Mendes, Ribeiro, & Salvatore, 2011; Rice & Greenberg, 1984). Inoltre, il cambiamento è un fenomeno dinamico, nella misura in cui esso rappresenta un processo che si dispiega in funzione del tempo (Salvatore & Tschacher, 2012). Di conseguenza, il tempo non rappresenta solo una sorta di ipotetico “contenitore” all’interno del quale il cambiamento si articola, ma un elemento che lo condiziona e influenza al pari di altri. In questi termini, è possibile parlare del cambiamento come di un processo di tipo biografico e storico-evolutivo, dove ciò che accade in un determinato momento si realizza ed assume un senso in funzione di ciò che si è verificato precedentemente (Gelo, Gennaro, & Salvatore, 2007; Salvatore et al., 2010; Salvatore & Tschacher, 2012). Come conseguenza di questa/della sua natura complessa e dinamica, il cambiamento in psicoterapia ha raramente un andamento lineare, costante ed omogeneo; anche nei casi migliori, infatti, i pazienti non “cambiano” in modo progressivo e alla stessa velocità lungo il corso delle sedute e del trattamento, ma presentano momenti d’impasse e di stallo (resistenze) che si intrecciano continuamente con i progressi fatti. Inoltre, il cambiamento in psicoterapia ha spesso un carattere discontinuo, brusco e imprevedibile, come nel caso di inaspettati insight emotivi , di improvvise battute d’arresto, o inattesi peggioramenti della sintomatologia presentata. La natura complessa e dinamica del cambiamento in psicoterapia è un fenomeno noto ai clinici, che ne fanno continuamente esperienza nel corso della propria pratica clinica. Tuttavia, quando coinvolti in attività di ricerca, questi ultimi tendono ad utilizzare modelli teorici e metodologie d’indagine semplicistici e riduzionistici che non tengono adeguatamente conto di questa natura. Ad esempio, gran parte delle ricerche empiriche in psicoterapia assumono un rapporto lineare tra ciò che accade nel corso trattamento (processo terapeutico) ed i suoi effetti (esito terapeutico) – si veda, a tal proposito, la critica fatta da Stiles e colleghi (Stiles & Shapiro, 1994; Stiles, Shapiro, & Harper, 1994) a quella che loro definiscono la drug metaphor (Gelo et al., 2007). Inoltre, la maggioranza delle ricerche riflette un’adesione implicita a modelli causali di tipo unidirezionale, come esemplificato da tutti quei casi in cui si studia in che modo il comportamento del terapeuta influenzi le risposte del paziente ma non viceversa (Elliott & Anderson, 1994). Infine, gran parte degli studi che studiano il cambiamento al passare del tempo utilizzano statistiche (ad esempio, ANOVA per misure ripetute e t-test per campioni appaiati) che considerano il tempo esclusivamente come un parametro discreto di osservazione; di conseguenza, non permettono di studiare in che modo il cambiamento sia dipendente dal tempo stesso, riflettendo così l’adesione implicita ad una paradossale concezione statica del cambiamento (Francis, Fletcher, Stuebing, Davidson, & Thompson, 1991). Quelli descritti sopra sono solo alcuni degli esempi di quello che può essere considerato il paradigma tradizionale della ricerca in psicoterapia che – similmente a quanto avvenuto nell’ambito delle scienze sociali e comportamentali in generale – si è sviluppato in analogia con modelli di stampo (post)positivistico tipici delle scienze naturali ( per una discussione generale sui paradigmi scientifici e il loro rapporto con i metodi di ricerca si veda Gelo, 2012). L’inadeguatezza di tali modelli, sottolineata negli ultimi anni da un numero crescente di autori (Ceruti & Lo Verso, 1998b; Elliott & Anderson, 1994; Gelo et al., 2007; Salvatore et al., 2010; Salvatore, 2011), rappresenta un serio problema per la ricerca in psicoterapia nella misura in cui, limitando sia la validità di costrutto che la rilevanza clinica dei risultati, contribuisce ad alimentare il divario tra pratica clinica e ricerca clinica (Salvatore, 2011; Salvatore & Tschacher, 2012). Inoltre, sebbene diverse proposte siano state avanzate nel tentativo si superare il riduzionismo tipico degli approcci attuali (si veda Elliott, 2010 per una rassegna), nessuna di queste “si è mostrata in grado di consolidarsi come paradigma di riferimento in grado di definire un framework comune e adeguato per la comunità scientifica” (Gelo et al., 2007, p. 166), con la consequenza di lasciare, di fatto, la ricerca in psicoterapia in una fase pre-paradigmatica (Kuhn, 1996). Sulla base di queste considerazioni, negli ultimi anni diversi autori hanno suggerito che la teoria dei sistemi dinamici (Hollenstein, 2012; Thelen & Smith, 2006) possa legittimamente rappresentare un adeguato quadro di riferimento unitario e sovraordinato per lo sviluppo di un nuovo paradigma per la psicoterapia e il suo studio empirico (ad esempio, Casonato, 1995; Gelo, 2006; Gelo et al., 2007; Salvatore & Tschacher, 2012; Schiepek, Fricke, & Kaimer, 1992). Il presente capitolo intende rappresentare un contributo in questa direzione. Dopo aver introdotto il lettore ai concetti fondamentali della teoria dei sistemi dinamici, viene presentato un modello che permette di concettualizzare la psicoterapia secondo questa prospettiva; infine, viene proposta una strategia generale di ricerca coerente la teoria dei sistemi dinamici, assieme ad una descrizione dei principali risultati empirici emersi in letteratura. 2. La teoria dei sistemi dinamici La teoria dei sistemi dinamici1 (Hollenstein, 2012; Thelen & Smith, 2006) inizia a svilupparsi attorno alla metà del XX secolo, periodo in cui i canoni della scienza classica di stampo (post)positivista – tipicamente riduzionistica, deterministica e meccanicistica – iniziano a esseri messi in discussione in favore di una visione maggiormente orientata alla complessità e dunque caratterizzata, al contrario, da un approccio olistico, probabilistico e organicistico2. Nata dall’integrazione di diverse discipline tra cui cibernetica e teoria dell’informazione, filosofia della scienza, fisica, biologia, psicologia e sociologia, la teoria dei sistemi dinamici sostiene che: (a) il mondo, a ciascuno dei suoi livelli (subatomico, fisico-chimico, biologico, psicologico, sociale, culturale, ecc.) è organizzato in termini di sistema, cioè di un insieme di elementi in interazione reciproca secondo modalità non lineari e circolari; (b) esistono dei principi generali, riconducibili ai concetti chiave di autorganizzazione ed emergenza, in grado di spiegare il cambiamento di questi sistemi indipendentemente dalla loro natura (biologica, psicologica, sociale, ecc.). La teoria dei sistemi dinamici ha finora dimostrato di poter legittimamente essere considerata un quadro di riferimento unitario e coerente per lo studio del 1 É opportuno notare che, nella dicitura “teoria dei sistemi dinamici”, il termine “teoria” non fa riferimento a una teoria in senso stretto, bensì a una cornice di riferimento epistemologica e metodologica sovraordinata in grado di fornire una prospettiva generale attraverso cui determinati fenomeni possono essere inquadrati e studiati. 2 Questa visione è nota anche come paradigma o scienza della complessità (Ceruti & Lo Verso, 1998a). cambiamento negli ambiti più disparati. È stata infatti applicata con successo a discipline quali la fisica, la biologia e la chimica (Haken, 2010), le scienze sociali (Guastello, 1995) ed economiche (Witt, 1997), e a diversi ambiti della psicologia quali le neuroscienze e la psicologia generale (Haken, 2004; Kelso, 1995), la psicologia sociale e della personalità (Vallacher, Read, & Nowak, 2002), e la psicologia evolutiva (Smith & Thelen, 2003). Lo stesso è stato fatto nell’ambito della psicologia clinica, con particolare riferimento alla psicoterapia (Ford & Urban, 1998; Hayes, Laurenceau, Feldman, Strauss, & Cardaciotto, 2007; Hayes & Strauss, 1998; Mahoney & Marquis, 2002; Pincus, 2009; Schiepek et al., 1992). Nel panorama italiano, appare utile segnalare i pionieristici lavori di Casonato (1995) e Guidano (1988, 1992), e i più recenti di Gelo, Salvatore e colleghi (Gelo, 2006; Gelo et al., 2007; Salvatore, Gelo, Gennaro, Manzo, & Al Radaideh, 2010; Salvatore & Tschacher, 2012). 2.1. Sistemi dinamici e autorganizzazione Un sistema dinamico può essere definito come un insieme di elementi in reciproca interazione che si modifica in funzione del tempo (Hollenstein, 2012; Thelen & Smith, 2006). La teoria dei sistemi dinamici si occupa di un tipo particolare di sistemi dinamici, chiamati sistemi complessi adattivi; esempio di questi sono alcuni tipi di artefatti complessi – quelli che i cibernetici chiamano “macchine non-banali” – e tutti i sistemi della biosfera. Questi sistemi sono termodinamicamente aperti, nella misura in cui scambiano energia/informazione con l’ambiente. Tuttavia, benché termodinamicamente aperti, questi sistemi sono organizzativamente chiusi: sono cioè in grado di produrre energia/informazione – cioè ordine – risultando così lontani dall’equilibrio termodinamico (Prigogine & Stengers, 1984). Ciò è possibile nella misura in cui essi sono in grado di utilizzare le informazioni che ricevono sia dall’interno che dall’esterno per produrre comportamenti nuovi ed emergenti lungo un gradiente di complessità crescente; ciò avviene facendo riferimento a parametri interni al sistema dipendenti dalla sua stessa organizzazione. Quest’abilità fondamentale dei sistemi dinamici è chiamata autorganizzazione (Ashby, 1962; Von Foerster, 1960), e può essere definita come un processo per cui l’interazione degli elementi del sistema a un livello sottordinato dà origine a una struttura di livello sovraordinato (un esempio sono le cellule di un organismo che, interagendo funzionalmente, generano un tessuto). Dunque, l’autorganizzazione è responsabile della struttura gerarchica di un sistema dinamico, dove i livelli sottordinati del sistema, strutturalmente e funzionalmente più semplici (ad esempio, le cellule), sono annidati (nested) all’interno di livelli sovraordinati, strutturalmente e funzionalmente più complessi (ad esempio, i tessuti). I sistemi dinamici sono in questo modo in grado di generare strutture e comportamenti emergenti, che rappresentano modalità di funzionamento qualitativamente nuove. L’emergenza di nuove strutture e nuovi comportamenti che si manifesta a livello sovraordinato è dovuta alla sincronizzazione dell’interazione delle componenti del sistema a livello sottordinato, che produce così nuove configurazioni (pattern) strutturali e di funzionamento (Haken, 2010); questa emergenza ha una natura non lineare e discontinua. Un esempio è rappresentato dal sistema di Bénard, costituito da un fluido contenuto in un recipiente che viene progressivamente scaldato dal basso. Fino a quando la differenza di temperatura tra la parte inferiore e superiore del contenitore rimane minima, le molecole del fluido tendono a interagire stocasticamente e disordinatamente. Tuttavia, non appena la differenza di temperatura raggiunge valori critici, è possibile osservare delle turbolenze che, nel caso il gradiente termico venga mantenuto, generano improvvisamente – a livello macroscopico – dei moti convettivi regolari caratterizzati – a livello microscopico – dall’interazione coordinata delle molecole del fluido; come conseguenza di ciò, è possibile osservare l’emergenza di un mosaico di celle esagonali (celle di Bénard) sulla superficie del fluido. Secondo la teoria dei sistemi dinamici, il comportamento emergente di un sistema può essere descritto attraverso un numero relativamente ridotto di “quantità” o variabili, chiamate parametri d’ordine (Haken, 2010), che permettono di descrivere il comportamento collettivo del sistema (nel caso dell’esempio appena fatto: specifici valori di densità e pressione del fluido che ne descrivono il comportamento dopo l’emergenza del mosaico di celle). In particolare, i parametri d’ordine descrivono in che modo il sistema si “assetti” attorno a un pattern di attività e funzionamento relativamente stabile e dominante, chiamato attrattore3 (nel caso del sistema di Bénard: i moti convettivi e il mosaico di celle ad essi associato). Il termine attrattore sta a indicare che il sistema, anche se perturbato, tende ripetutamente a tornare alla 3 Esistono tre tipi di attrattori: fissi, periodici e caotici. Il presente contributo fa riferimento esclusivamente agli attrattori fissi. Per una discussione approfondita, si veda Vallacher e Nowak (1997). configurazione di comportamento rappresentata da quell’attrattore (si veda la fig. 1b, 1c). Esistono tuttavia delle perturbazioni che sono in grado di spingere il sistema all’emergenza di forme qualitativamente diverse di funzionamento – come nel caso del “passaggio” da un attrattore a un altro o con l’emergenza di un nuovo attrattore (si veda la fig. 1d); queste vengono chiamate parametri di controllo (nel caso dell’esempio fatto sopra: il gradiente termico applicato al recipiente). Figura 1. Attrattori e repulsori. La stabilità di un attrattore è descritta nei termini di valli potenziali.. La sfera in cima alla “collina” (a) possiede molta energia potenziale, e anche una minima perturbazione tenderà a farla allontanare dalla sua posizione; essa rappresenta un repulsore. La sfera in fondo alla “valle” (b) richiede molta energia per essere spostata in cima alla collina. Se perturbata, tornerà rapidamente nella posizione originaria. Essa rappresenta un attrattore stabile. La sfera nella valle (c) richiede meno energia per essere spostata, e terminerà probabilmente in una valle maggiormente profonda. Rappresenta un attrattore instabile. Infine, un sistema puà presentare stati di multi-stabilità (Thelen & Smith, 2006, p. 273). 2.2. Dinamiche di autorganizzazione/cambiamento I sistemi che si autorganizzano si modificano continuamente all’interno di una dinamica oscillatoria tra tendenza alla stabilità e apertura alla variabilità. Nel primo caso abbiamo a che fare con la propensione del sistema a mantenere la propria coerenza interna, che ne garantisce l’integrità e l’identità spazio-temporale e funzionale indispensabile per la sua sopravvivenza; nel secondo caso abbiamo a che fare con la possibilità che il sistema si modifichi, che garantisce la flessibilità funzionale necessaria al sistema per adattarsi all’ambiente. A seconda che prevalga la tendenza alla stabilità o l’apertura alla variabilità, due tipi fondamentali di cambiamento possono essere descritti: il cambiamento di 1° ordine e il cambiamento di 2° ordine (Watzlawick, Weakland, & Fisch, 1974). 2.2.1. Cambiamento di 1° ordine Il cambiamento di 1° ordine è il cambiamento cui un sistema va incontro rimanendo organizzato attorno a una configurazione di funzionamento stabile e dominante, cioè un attrattore (ricordiamo che quest’ultimo può essere operazionalizzato attraverso un determinato parametro d’ordine). È dunque una sorta di cambiamento conservativo, caratterizzato da modificazioni lineari e incrementali di lieve entità: quando le perturbazioni risultanti dall’ambiente esterno e/o interno (definibili, come già detto, nei termini parametri di controllo) non superano una certa soglia, esse vengono semplicemente assorbite dal sistema, producendo così modificazioni minime attorno ai suoi pattern di funzionamento dominanti che non implicano alterazioni funzionali o strutturali. Di conseguenza, il sistema si trova – a livello macroscopico – in una condizione di stabilità dinamica che – a livello microscopico – è garantita dall’interazione sincronizzata delle proprie componenti; ciò si riflette in oscillazioni minime dei valori del parametro d’ordine selezionato al passare del tempo (si veda la fig. 2a). Il cambiamento di 1° ordine è concettualmente analogo al concetto di assimilazione di Piaget (1973). Considerate il vostro appartamento, in cui conducete un’esistenza soddisfacente: tutte le modificazioni più o meno quotidiane cui esso può andare incontro per adempiere alle sue varie funzioni (dalla diversa disposizione delle stoviglie nel tinello o delle sedie attorno al tavolo, alla diversa disposizione dei mobili nelle stanze) rappresentano una serie di cambiamenti “superficiali” che non hanno alcun impatto sulla sua struttura fondamentale. (2a) Stabilità dinamica1 Instabilità Stabilità dinamica1 (2b) Stabilità dinamica2 Figura 2. Modificazione al passare del tempo dei valori di un parametro di controllo di un sistema nel corso del cambiamento di 1° ordine (figura 2a) e 2° ordine (figura 2b). 2.2.2. Cambiamento di 2° ordine Il cambiamento di 2° ordine, al contrario, è un cambiamento che implica una ristrutturazione delle configurazioni di funzionamento dominanti del sistema; esso determina così la produzione di comportamenti qualitativamente nuovi, e si realizza attraverso la destabilizzazione degli usuali pattern di funzionamento (attrattori) e l’emergenza di nuovi4. È dunque un cambiamento trasformativo, caratterizzato da repentine e consistenti modificazioni di natura non lineare e discontinua: quando 4 Sulla base di ciò, questo tipo di cambiamento è considerato essere caratterizzato dall’emergenza di ordine attraverso fluttuazioni (Prigogine & Stengers, 1984). perturbazioni oltre soglia non possono più essere assimilate dalle configurazioni di funzionamento esistenti, il sistema entra in una fase d’instabilità critica caratterizzata, a livello macroscopico, da disordine, turbolenza e fluttuazioni e, a livello microscopico, dall’interazione desincronizzata delle sue componenti (Haken, 2010; Kelso, 1995); ciò si riflette in ampie, brusche e disordinate oscillazioni dei valori del parametro d’ordine di riferimento al passare del tempo (si veda la fig. 2b [da prima parte a ultima parte])5. Come conseguenza di ciò, le configurazioni dominanti di funzionamento (attrattori usuali) si allentano e diverse soluzioni (attrattori potenziali) vengono testate mentre i vecchi attrattori competono con quelli potenzialmente nuovi, in una sorta di “lotta per la sopravvivenza”. Questi momenti d’instabilità non possono però essere sostenuti a lungo dal sistema in quanto mettono a repentaglio la sua integrità funzionale; essi vengono chiamati repulsori per indicare che il sistema tende ad allontanarsi il prima possibile da essi (si veda la fig. 1a). In altri termini, esistono una serie di forze che spingono le componenti del sistema a re-sincronizzarsi, dando così origine nuovamente ad una configurazione stabile di funzionamento. A questo punto, per il sistema si prospettano due diversi possibili “scenari evolutivi” (si veda la fig. 3a e 3b): se, sulla base di una serie di fattori (strutturali, funzionali, e ambientali), il sistema è in grado di sostenere una riorganizzazione di tipo adattivo, si avrà l’emergenza di pattern di comportamento innovativi; al contrario, il sistema verrà spinto a “tornare” alle modalità di funzionamento che lo caratterizzavano prima della fase di instabilità e turbolenza. In entrambi i casi, sarà possibile osservare una considerevole riduzione nelle oscillazioni dei valori del parametro d’ordine prescelto, che si assesteranno attorno ad un valore stabile; tuttavia, nel primo caso, il parametro d’ordine si assesterà attorno ad un nuovo valore medio (fig. 3a); nel secondo caso, si osserverà il ritorno al range di valori che caratterizzava l’attività del sistema prima della destabilizzazione (fig. 3b). 5 Le fasi di instabilità di un sistema dinamico vengono anche chiamate transizioni di fase o punti di biforcazione (Kelso, 1995). (3a) Instabilità Stabilità dinamica1 Instabilità Stabilità dinamica1 (3b) Stabilità dinamica2 Stabilità dinamica1 Figura 3. Modificazione al passare del tempo dei valori di un parametro di controllo di un sistema nel caso in cui sia possibile osservare l’emergenza di una modalità di funzionamento del sistema qualitativamente nuova (figura 3a) o il ritorno ad una modalità di funzionamento precedente (figura 3b). In riferimento all’esempio precedente, immaginate di voler ristrutturare il vostro appartamento in modo da avere, ad esempio, meno stanze ma più ampie. Affinché ciò avvenga, saranno necessari una serie di interventi che, in un primo momento, determineranno una fase di instabilità critica: vi sarà confusione, muri rotti, polvere ovunque, al punto da riconoscere a fatica il vecchio appartamento. Ora, se tutto andrà per il meglio, sarà possibile osservare, alla fine dei lavori, un appartamento con una nuova struttura, qualitativamente diversa dalla prima. Tuttavia, una serie di circostanze – ad esempio, la nostra incapacità di tollerare la frustrazione derivante dalla stato di chaos in cui l’appartamento si trova e/o l’incapacità dei lavoratori dell’impresa di portare avanti il lavoro in maniera adeguata – potrebbero indurci a decidere di abbandonare l’idea della ristrutturazione e a tornare al nostro buon vecchio appartamento. Ovviamente, nessuno si augurerebbe qualcosa del genere; tuttavia, ciò può accadere più spesso di quanto non s’immagini. 3. Teoria dei sistemi dinamici e psicoterapia La teoria dei sistemi dinamici, occupandosi di come i sistemi complessi aperti si modifichino al passare del tempo, può rappresentare un approccio particolarmente adeguato alla psicoterapia. Quest’ultima ha, infatti, a che fare con quello che può essere legittimamente considerato il sistema complesso aperto per eccellenza, cioè l’essere-umano-in-relazione (Gelo et al., 2007; Schiepek et al., 1992). Inoltre, la psicoterapia ha imprescindibilmente a che fare con il cambiamento. Un approccio alla psicoterapia dalla prospettiva della teoria dei sistemi dinamici richiede la descrizione, da una parte, di cosa è soggetto a cambiamento e, dall’altra, di come questo cambiamento abbia luogo. In altri termini, è necessario descrivere (1) la psicoterapia come sistema complesso aperto e (2) le dinamiche di autorganizzazione che la caratterizzano. 3.1. La psicoterapia come sistema dinamico La pratica clinica della psicoterapia può essere adeguatamente descritta nei termini di quello che viene denominato processo terapeutico. Il processo terapeutico fa riferimento a tutti gli eventi (esperienze, percezioni, intenzioni, sentimenti, pensieri, fantasie, comportamenti, ecc.) che hanno luogo all’interno delle sedute e che sono ascrivibili al paziente, al terapeuta, e/o alla loro relazione (David E Orlinsky, Rønnestad, & Willutzki, 2004). Il processo terapeutico può essere considerato un sistema complesso aperto nella misura in cui esso sia caratterizzabile nei termini di (a) un insieme di elementi in interazione reciproca, (b) con una struttura gerarchica, (c) che scambia informazioni con l’ambiente. 3.1.1. Relazioni tra le componenti e struttura gerarchica Il Modello Generico di Psicoterapia (Orlinsky, 2009; Orlinsky & Howard, 1987; si veda anche Howard & Orlinsky, 1972) rappresenta uno degli esempi che più adeguatamente permette/permettono di considerare il processo terapeutico come sistema complesso aperto, nonostante questo modello non sia stato formulato dagli autori con esplicito riferimento alla teoria dei sistemi dinamici. Questo modello considera il processo psicoterapeutico composto da diverse componenti strutturalmente e funzionalmente interrelate. Queste sono: (1) il contratto terapeutico (cioè gli aspetti organizativi che definiscono la relazione tra paziente e terapeuta), (2) le operazioni terapeutiche (cioè i compiti procedurali e le attività i.e., procedural tasks and activities svolte da paziente e terapeuta), (3) il legame terapeutico (cioè la qualità del coinvolgimento tra paziente e terapeuta), (4) la self-relatedness6 (cioè gli aspetti autoriflessivi e gli stati psicologici interni di paziente e terapeuta), e (5) le realizzazioni terapeutiche (cioè le modificazioni clinicamente significative – microesiti – che è possibile osservare nel paziente e/o terapeuta). La tabella 1 mostra come le diverse componenti del processo terapeutico siano interrelate all’interno di una struttura gerarchica, dove i sottosistemi di un certo livello rappresentano le componenti del livello sovraordinato. All’interno di questo sistema gerarchico, i sistemi di un livello sovraordinato rappresentano le proprietà emergenti del sistema risultanti dall’interazione sincronizzata delle componenti del sistema ad un livello sottordinato (si veda più avanti per una descrizione di come le dinamiche di autorganizzazione del processo terapeutico possano dare origine a tali proprietà emergenti). Ad esempio, al livello di risoluzione più elevato, è possibile osservare come l’interazione (sincronizzata) delle risposte affettive e cognitive del paziente (sottosistema di 3° livello) possano dare origine al comportamento collettivo sovraordinato denominato “responsività del paziente” (sottosistema di 2° livello). Analogamente, a un livello di risoluzione minore, è possibile osservare come l’interazione della responsività e della presentazione del paziente, assieme alla comprensione del terapeuta e ai suoi interventi (sottosistema di 2° livello) possa dare origine al comportamento collettivo sovraordinato denominato “operazioni terapeutiche” (sottosistema di 1° livello). 6 Data la specificità del costrutto e la sua difficile traduzione in italiano, ho preferito lasciare l’originale inglese. Ognuno di questi comportamenti emergenti possono essere descritti quantitativamente facendo riferimento a uno specifico parametro d’ordine, per ottenere il quale si possono usare i moltissimi strumenti ormai a disposizione (questionari, rating-scales, ecc.; si veda CAP Su strum in libro DAZZI; Gelo, Braakmann, & Benetka, 2008). In altri termini, ogni qual volta decidiamo di osservare un comportamento specifico del processo terapeutico (responsività del paziente, interventi del terapeuta, alleanza terapeutica, ecc.), questo può essere concettualizzato come un comportamento collettivo (emergente) del sistema considerato; in quanto tale, esso rappresenta il parametro d’ordine del sistema, che può essere misurato quantitativamente utilizzando strumenti e/o strategie adeguate. 3.1.2. Apertura all’ambiente Il processo psicoterapeutico è un sistema dinamico che scambia informazioni con il suo ambiente. A tal proposito, è opportuno ricordare quanto segue: (a) sono necessari dei confini per distinguere tra un sistema e il suo ambiente; (b) questi confini sono di natura strutturale e/o funzionale; (c) quali questi confini siano dipende in ultima analisi da una scelta operata dall’osservatore/ricercatore e, dunque, dalla prospettiva osservativa e dal livello di osservazione selezionato in base alle proprie teorie, ai propri interessi, alle proprie domande di ricerca, ecc. Così, una volta che il sistema oggetto d’interesse sia stato selezionato, il suo ambiente si definisce “per sottrazione”, risultando così composto da tutte quelle fonti d’informazione che non appartengono al sistema. Ad esempio, immaginate di essere interessati al processo terapeutico nei termini delle operazioni terapeutiche, costituite dalla presentazione e responsività del paziente, e dalla comprensione del terapeuta e dai suoi interventi (si veda tabella 1); in questo caso, l’ambiente del sistema operazioni terapeutiche sarà rappresentato, almeno potenzialmente, da tutte le fonti di informazioni che si trovano al di fuori di questo sistema, e cioè ad esempio il contratto terapeutico, il legame terapeutico, e così via. Tuttavia, se ci spostiamo a un livello di risoluzione maggiore, e rivolgiamo la nostra attenzione a un tipo specifico di operazioni terapeutiche – ad esempio, gli interventi del terapeuta – alcuni degli elementi che nell’esempio precedente erano parte del sistema (comprensione del terapeuta, presentazione e responsività del paziente) diverranno ora parte del suo ambiente. Tabella 1. Organizzazine gerarchica del processo psicoterapeutico come sistema aperto con riferimento al Modello Generico di Psicoterapia (Orlinsky, 2009). Sottosistemi di 1° livello Contratto terapeutico Sottosistemi di 2° livello (componenti dei sottosistemi di 1° livello) Disposizioni del contratto Realizzazione del contratto Operazioni terapeutiche Presentazione del P Responsività del P Comprensione del T Interventi del T Legame terapeutico Contributo complessivo del P al legame terapeutico Contributo complessivo del T al legame terapeutico Self-‐relatedness del P Self-‐relatedness del T Realizzazioni terapeutiche del P Self-‐relatedness Realizzazioni terapeutiche Sottosistemi di 3° livello (componenti dei sottosistemi di 2° livello Contesto/setting Modalità terapeutica Costi Durate e frequenza delle sedute Durata della terapia Aderenza al trattamento del T Idoneità e credibilità del trattamento da parte del P Presentazione verbale del P Presentazione comportamentale del P Processi cognitive-‐affettivi del P Risposte cognitive del P Risposte affettive del P Focus del T sui processi affettivi del P Focus del T sui processi cognitivi del P Focus del T sui processi evolutivi del P Focus del T sui rapport interpersonali del P Focus del T sule risorse problematiche del P Domande Riflessione/Feedback Consigli e support Esplorazione evocative Confronto esperenziale Interpretation Self-‐disclosure Sintonia espressiva del P Atteggiamento affettivo del P Sintonia espressiva del T Atteggiamento affettivo del T Self-‐relatedness positiva del P Self-‐relatedness negativa del P Self-‐relatedness positiva del T Self-‐relatedness negativa del T Realizzazioni terapeutiche positive del P Realizzazioni terapeutiche negative del P Realizzazioni terapeutiche del Realizzazioni terapeutiche T positive del T Realizzazioni terapeutiche negative del T Note. P = paziente; T = terapeuta. Ogni perturbazione ambientale che può significativamente influenzare un pattern dominante di funzionamento del sistema terapeutico (cioè, un suo attrattore, espresso nei termini di un parametro d’ordine) può essere considerata un agente di cambiamento di quel pattern, e può essere misurata quantitativamente da un corrispondente parametro di controllo. Immaginate ad esempio di essere interessati a studiare i cambiamenti qualitativi del comportamento responsivo del paziente. In questo caso, l’agente di cambiamento potrebbe essere rappresentato dagli interventi del terapeuta, e una misura della quantità o intensità di questi – ottenuta attraverso una scala per valutare gli interventi terapeutici – ne rappresenterebbe il parametro di controllo. 3.1.3. Prospettiva intraindividuale e interindividuale Il sistema terapeutico può essere considerato da una prospettiva intraindividuale o interindividuale (si veda la tabella 1), la cui scelta dipenderà da nostri interessi e dal nostro assetto teorico (Gelo et al., 2007; Schiepek et al., 1992). Secondo una prospettiva intraindividuale, il processo terapeutico può essere rappresentato dal paziente o dal terapeuta. Ad esempio, io potrei essere interessato al sistema paziente, con particolare riferimento al suo comportamento responsivo, o al sistema terapeuta, con particolare riferimento al suo livello di comprensione del paziente. Al contrario, secondo una prospettiva interindividuale, il processo terapeutico è rappresentato dal paziente e dal terapeuta. Ad esempio, io potrei essere interessato alle operazioni terapeutiche di paziente e terapeuta, o al legame terapeutico esistente tra essi. 3.2. Dinamiche di autorganizzazione in psicoterapia Dalla prospettiva della teoria dei sistemi dinamici, il cambiamento in psicoterapia può essere descritto nei termini di autorganizzazione, e cioè di un processo in grado di condurre – a determinate condizioni – all’emergenza non lineare e discontinua di livelli crescenti di ordine e complessità al passare del tempo. Questa emergenza corrisponde, a livello macroscopico, a modalità di funzionamento qualitativamente nuove del sistema terapeutico ed è resa possibile, a livello microscopico, dalla riorganizzazione del modo in cui le sue componenti interagiscono reciprocamente (Gelo et al., 2007; Schiepek et al., 1992). Inoltre, affinché questa riorganizzazione abbia luogo, è necessario che il sistema terapeutico vada incontro a periodi di instabilità critica. A tal proposito, sempre maggiori evidenze empiriche indicano infatti che: (a) i cambiamenti significativi in psicoterapia sono caratterizzati da modificazioni non lineari e discontinue che riflettono periodi di instabilità, e che (b) questi periodi di instabilità sono una condizione necessaria – benché non sufficiente – alla ristrutturazione del sistema terapeutico (Gelo, Ramseyer, Mergenthaler, & Tschacher, 2008; Hayes & Strauss, 1998; Pascual-Leone, 2009; Schiepek, 2003; si veda a tal riguardo il paragrafo 4.1.). Il cambiamento in psicoterapia, lungi dall’essere un processo lineare e continuo, può essere così descritto come un processo caratterizzato dalla continua destabilizzazione di attrattori disfunzionali e dall’emergenza di nuovi attrattori, maggiormente funzionali e adattivi, che si evolvono attraversando momenti di criticità funzionale. In questi termini, la psicoterapia può essere considerata come intesa a facilitare transizioni di fase non lineari e discontinue tra configurazioni di funzionamento meno adattive e altre maggiormente adattive (Fraser & Solovey, 2007; Gelo, 2006; Gelo et al., 2007; Schiepek et al., 1992). Analogamente a quanto accade ai sistemi complessi in generale, anche il sistema terapeutico si modifica continuamente all’interno di una dinamica oscillatoria tra tendenza alla stabilità e apertura alla variabilità (Gelo, 2006; Gelo et al., 2007; Salvatore et al., 2010; Schiepek et al., 1992). Nel caso prevalga la prima, sarà possibile osservare una serie di cambiamenti conservativi attorno a pattern di funzionamento esistenti (cambiamento di 1° ordine: stabilità dinamica); nel caso prevalga la seconda, i pattern usuali di funzionamento del sistema terapeutico andranno invece incontro a dei cambiamenti trasformativi (cambiamento di 2° ordine: trasformazione dinamica). Nelle pagine seguenti descrivo le caratteristiche principali del cambiamento di 1° e di 2° ordine cui un sistema terapeutico può andare incontro, facendo riferimento al paziente, al terapeuta (prospettiva intraindividuale) e alla coppia terapeutica (prospettiva interindividuale). 3.2.1. Cambiamento di 1° ordine Nel contesto del processo terapeutico, il cambiamento di 1° ordine rappresenta tutte le modificazioni cui il sistema terapeutico (paziente, terapeuta o diade) va incontro mentre rimane organizzato attorno ad una configurazione di funzionamento stabile e dominante (Ford & Urban, 1998; Fraser & Solovey, 2007; Gelo, 2006; Salvatore et al., 2010; Schiepek et al., 1992). In altri termini, il cambiamento di 1° ordine è il cambiamento che permette al sistema terapeutico di rimanere lo stesso al passare del tempo. Esso ha luogo quando il sistema va incontro a perturbazioni (parametri di controllo) che, non superando determinate soglie critiche, possono essere assimilate dai pattern di funzionamento esistenti del sistema, che esibirà così modificazioni minime, graduali e continue. Il sistema terapeutico si trova in uno stato di stabilità dinamica. A causa di questo tipo di cambiamento, il sistema terapeutico può trovarsi – in diversi momenti del trattamento – in stati relativamente stabili (attrattori), verso cui tende a tornare dopo essere stato perturbato. Questi possono essere descritti quantitativamente da corrispondenti parametri d’ordine che oscillano attorno ad un valore preferenziale al passare del tempo (si veda la fig. 2a). È opportuno notare che questi stati dinamicamente stabili possono essere osservati a diverse scale temporali che vanno da un livello micro (secondi, minuti, ecc. all’interno delle sedute) ad un livello macro (ore, settimane, mesi, ecc. lungo il corso di un’intera terapia). Esempi di stati dinamicamente stabili esibiti dal sistema terapeutico sono le oscillazioni, attorno a determinati valori, della responsività del paziente, della comprensione del terapeuta, o dell’alleanza terapeutica nel corso delle sedute e/o al passare delle settimane. Gli stati dinamicamente stabili esibiti dal sistema terapeutico nel corso dei cambiamenti di 1° ordine rappresentano una sorta di baseline indicante modalità di funzionamento usuali e familiari in specifici momenti del trattamento. Dunque, essi possono essere considerati rappresentare la base sicura (Bowlby, xxx) di un sistema terapeutico, da cui esso parte e cui esso ritorna nel corso dei processi esplorativi che caratterizzano ogni psicoterapia. Attrattori funzionali e disfunzionali. Gli stati attrattori attorno ai quali i pattern di funzionamento usuali e familiari di un sistema terapeutico si organizzano possono essere considerati funzionali o disfunzionali – ciò, ovviamente, in base all’approccio terapeutico adottato, alle caratteristiche del sistema considerato, e agli obiettivi del trattamento (Ford & Urban, 1998). Nel primo caso, abbiamo a che fare con attrattori desiderabili del sistema paziente, del sistema terapeuta, e/o del sistema diade – ad esempio, adeguati livelli rispettivamente di responsività del paziente, comprensione del terapeuta, e/o alleanza terapeutica. Questi attrattori possono caratterizzare il sistema terapeutico già dall’inizio del trattamento, oppure essersi sviluppati come risultato di quanto accaduto nel corso di precedenti sedute. In ogni caso, questi attrattori desiderabili devono essere rinforzati e stabilizzati il più possibile, e rappresentano il terreno su cui fondare il lavoro clinico successivo. Al contrario, gli attrattori disfunzionali costituiscono modalità di funzionamento del sistema terapeutico che, benché stabili e familiari, rappresentano un ostacolo al raggiungimento degli scopi terapeutici del trattamento a breve, medio e/o lungo termine. Questi sono dunque attrattori che devono essere superati affinché possano avere luogo dei progressi clinici, e rappresentano così gli obiettivi principali del lavoro clinico. Esempio di questi sono livelli relativamente bassi di responsività del paziente, comprensione del terapeuta, e/o alleanza terapeutica. Da una prospettiva del genere, uno degli aspetti fondamentali della psicoterapia riguarda l’identificazione di quali attrattori debbano essere manutenuti e stabilizzati, quali superati, e quali raggiunti. Sincronia e meccanismi autoprotettivi. Gli stati attrattori di un sistema terapeutico sono sostenuti, a livello microscopico, dall’interazione sincrona delle sue componenti (Gelo et al., 2007; Haken, 2010; Schiepek et al., 1992). Esempio di queste componenti sono le risposte cognitive e affettive del paziente (nel caso della sua responsività), il focus del terapeuta sui processi affettivi, cognitivi ed evolutivi del paziente (nel caso della comprensione del terapeuta), e la sintonia affettivointerpersonale di paziente e terapeuta (nel caso del legame terapeutico) (si veda la tabella 1). L’interazione sincrona delle componenti di un sistema terapeutico attorno a un pattern di funzionamento preferenziale è garantita da forze stabilizzanti, che Mahoney e Marquis (2002) chiamano meccanismi autoprotettivi. Queste forze sono prodotte da cicli/loop compensativi di feedback e feedforward tra le componenti del sistema, e sono responsabili per il mantenimento del suo status quo – cioè, la sua identità strutturale e funzionale. I meccanismi autoprotettivi non rappresentano un problema clinico se contribuiscono al mantenimento di un attrattore funzionale, come ad esempio adeguati livelli di responsività del paziente, comprensione del terapeuta, o alleanza terapeutica. Al contrario, questi meccanismi rappresentano un serio ostacolo al raggiungimento degli obiettivi terapeutici (a breve, medio e lungo termine) se sono responsabili del mantenimento di attrattori disfunzionali. Un tipico esempio è rappresentato dalle resistenze e dalle difese del paziente, che Mahoney e Marquis (2002) hanno descritto essere una tipica espressione dei suoi meccanismi autoprotettivi. In questi termini, la resistenza al cambiamento può essere spiegata facendo riferimento alla necessità da parte del sistema paziente di rimanere organizzato attorno a pattern preferenziali di funzionamento a lui noti e familiari. Tuttavia, i maccanismi autoprotettivi possono essere considerati alla base delle resistenze al cambiamento esibite anche dal sistema terapeuta e/o dal sistema diade. Infatti, non è solo il paziente a cambiare nel corso del trattamento, ma anche il terapeuta così come la relazione tra quest’ultimo e paziente. I meccanismi autoprotettivi sono dunque, da una parte, ciò che permette ai pattern di funzionamento adattivi del sistema terapeutico di “conservarsi” rimanendo stabili; dall’altra, tuttavia, quando ad essere mantenuti sono pattern di attività non funzionali al progresso terapeutico, questi rappresentano un serio ostacolo al progresso terapeutico, e devono essere così superati. Alla luce di ciò, una delle domande fondamentali per la (ricerca in) psicoterapia riguarda il modo in cui è possibile per il sistema terapeutico superare i meccanismi stabilizzanti responsabili del mantenimento degli attrattori disfunzionali, in modo da poter andare incontro a riorganizzazioni adattive nel proprio modo di funzionare. Per rispondere a tale domanda, è opportuno prendere in considerazione il cambiamento di 2° ordine. 3.2.2. Cambiamento di 2° ordine All’interno del processo terapeutico, il cambiamento di 2° ordine consiste nelle modificazioni cui un sistema terapeutico va incontro quando passa da una modalità di funzionamento esistente a una qualitativamente nuova ed emergente (Ford & Urban, 1998; Fraser & Solovey, 2007; Gelo, 2006; Salvatore et al., 2010; Schiepek et al., 1992). In altri termini, esso rappresenta un cambiamento nel modo in cui il sistema terapeutico si modifica al passare del tempo. Questo tipo di cambiamento è provocato da perturbazioni (parametri di controllo) oltre soglia; infatti, tra tutte le informazioni che il sistema terapeutico riceve nel corso delle sedute, alcune non possono essere assimilate dai pattern di funzionamento a sua disposizione; come conseguenza di ciò, è necessario che il sistema si ristrutturi per poter elaborare tali informazioni. Quando questo avviene, il comportamento del sistema terapeutico esibisce delle brusche modificazioni di natura non lineare e discontinua. In altri termini, il cambiamento di 2° ordine rappresenta una dipartita improvvisa dalle configurazioni di funzionamento usuali del sistema terapeutico che può condurre all’emergenza di comportamenti qualitativamente nuovi da parte del sistema stesso. Con riferimento alla teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1989), questo tipo di cambiamento corrisponde alle trasformazioni evolutive cui gli esseri umani vanno incontro come conseguenza dell’esplorazione dell’ambiente a partire dalla propria base sicura. Al pari del cambiamento di 1° ordine, anche il cambiamento di 2° ordine può essere osservato a diverse scale temporali che vanno da un livello micro (nel corso delle sedute) a un livello macro (tra le sedute e/o fasi del trattamento). L’insight emotivo è un tipico esempio di cambiamento di 2° ordine per il sistema paziente, che riflette un’improvvisa riorganizzazione della sua consapevolezza emotiva. Altri esempi sono rappresentati da ampie e brusche modificazioni del livello di comprensione del terapeuta, che riflettono una riorganizzazione dei processi ad essa sottostanti (si veda tab. 1), o dell’alleanza terapeutica, che riflettono una riorganizzazione di come ad esempio paziente e terapeuta cooperano in vista di un obiettivo comune. Questi esempi rappresentano dei cambiamenti qualitativi nel modo di funzionare del sistema terapeutico, e possono essere descritti quantitativamente da improvvise e significative variazioni nei parametri d’ordine corrispondenti (si veda la fig. 2b [da prima parte a ultima parte]). Destabilizzazione: Parametri di controllo e desincronizzazione. Il cambiamento di 2° ordine richiede che le configurazioni di funzionamento esistenti di un sistema terapeutico si destabilizzino affinché sia possibile l’emergenza di nuovi pattern, all’interno di un processo caratterizzabile nei termini di “ordine attraverso fluttuazioni” (Prigogine & Stengers, 1984; Schiepek, 2003). La destabilizzazione caratterizza le cosiddette transizioni di fase o punti di biforcazione di un sistema terapeutico, e rappresenta un momento di elevata turbolenza, instabilità e disordine all’interno di esso. Da una prospettiva clinica, una situazione del genere viene solitamente considerata essere intrinsecamente problematica, nella misura in cui viene associata a fenomeni di difficoltà o stallo terapeutico. Tuttavia, dalla prospettiva dei sistemi dinamici, la destabilizzazione è considerata una condizione necessaria – benché non sufficiente – al cambiamento (profondo) in psicoterapia (Gelo, 2006; Gelo et al., 2007; Hager, 1992; Hayes et al., 2007; Hayes & Strauss, 1998; PascualLeone, 2009; Schiepek et al., 1992). Infatti, il sistema terapeutico deve essere “energizzato” affinché i pattern esistenti si allentino e nuove configurazioni possano emergere. L’energizzazione si realizza tramite specifici parametri di controllo che, quando superano determinati valori soglia, sono in grado di “spingere” il sistema terapeutico verso fasi d’instabilità critica. Questi parametri di controllo rappresentano gli agenti di cambiamento di uno o più comportamenti esibiti dal sistema terapeutico, che possono così essere misurati quantitativamente. In linea di massima, qualunque costrutto ascrivibile al processo terapeutico che possa legittimamente essere considerato determinare un cambiamento significativo in un qualche comportamento del sistema terapeutico ne rappresenta un agente di cambiamento; una volta misurato, questo agente di cambiamento costituisce il parametro di controllo del sistema considerato. Con riferimento al sistema paziente, un esempio sono dagli interventi terapeutici. Questi ultimi – che possono ormai oggi essere misurati attraverso una vasta gamma di strumenti (capitolo dazzi su strumenti) – sono infatti utilizzati intenzionalmente dal terapeuta per esporre il paziente a nuove informazioni che mettano in discussione i pattern di funzionamento disfunzionali del paziente, facilitando così la destabilizzazione del sistema (Ford & Urban, 1998; Gelo, 2006; Gelo et al., 2007; Hayes & Strauss, 1998; Schiepek, 2003). In base a questa prospettiva, il terapeuta può essere considerato come un “perturbatore strategicamente orientato” (Guidano, 1988, 1992). Ad ogni modo, altri agenti di cambiamento (parametri di controllo) del sistema paziente possono essere identificati (e misurati) oltre agli interventi del terapeuta; ad esempio, la self-relatedness del paziente stesso (misurabile ad esempio con la Experiencing Scale; Klein, Mathieu-Coughlan, & Kiesler, 1986) può essere considerata un agente di cambiamento della responsività del paziente. Inoltre, dato che – come già detto – non è solo il paziente a modificarsi nel corso di un trattamento, ma anche il terapeuta e/o la diade terapeutica, è possibile identificare (e misurare) anche agenti di cambiamento di questi sistemi. Ad esempio, la responsività del paziente (misurabile ad esempio attraverso la Scala per la Valutazione della Metacognizione; xxx, xxx) può essere considerata un agente di cambiamento sia della comprensione del terapeuta sia dell’alleanza terapeutica della diade paziente-terapeuta (si veda la tabella 1 per altri possibili agenti di cambiamento identificabili con riferimento al Modello Generico di Psicoterapia; Orlinsky, 2009; Orlinsky & Howard, 1987). Da quanto detto si evince che gli agenti di cambiamento non corrispondono necessariamente a comportamenti che paziente e/o terapeuta mettono in atto intenzionalmente, come ad esempio nel caso di un aumentato livello di comprensione del terapeuta. Di conseguenza, il sistema terapeutico può entrare anche spontaneamente in una fase d’instabilità. Una volta che la destabilizzazione ha avuto luogo, il sistema terapeutico si trova in una fase di turbolenza caratterizzata, a livello microscopico, dall’interazione desincronizzata delle sue componenti – ad esempio, le risposte cognitive e affettive del paziente nel caso della responsività del paziente; il focus del terapeuta sui processi affettivi, cognitivi ed evolutivi del paziente nel caso della comprensione del terapeuta, e la sintonia affettivo-interpersonale di paziente e terapeuta nel caso del legame terapeutico. Come conseguenza di ciò, sarà possibile osservare un’estrema variabilità nei comportamenti selezionati del sistema, che si rifletterà in ampie e disorganizzate fluttuazioni dei parametri d’ordine corrispondenti (si veda la fig. 2b_PARTE CENTRALE). Secondo alcuni studi, i picchi depressivi o ansiosi osservabili tra le sedute (Hayes, Feldman, et al., 2007) o le regressioni nell’elaborazione emotiva all’interno delle sedute (Pascual-Leone, 2009) rappresentano esempi d’instabilità critica nel sistema paziente. Ad ogni modo, analogamente a quanto osservato per i meccanismi autoprotettivi, la letteratura sembra aver trascurato lo studio delle instabilità critiche all’interno del sistema diade e, ancor più, nel sistema terapeuta. Questo è un fatto di cui la ricerca dovrà tener conto in futuro. Transizioni di fase: Impasse terapeutico o possibilità di cambiamento? Le transizioni di fase caratterizzate da instabilità e turbolenza rappresentano dei momenti assolutamente critici per il successivo sviluppo del sistema terapeutico (Caspar, 1992; Gelo et al., 2007; Schiepek, 2003). Da una parte, infatti, essi rappresentano uno degli aspetti più problematici del percorso terapeutico. Nella misura in cui la struttura di funzionamento che dava stabilità al sistema terapeutico è stata scossa, il paziente può ora avvertire un profondo senso di disorganizzazione e confusione, paura e vulnerabilità, il terapeuta provare un senso di disagio (come, per esempio, nel corso di un transfert negativo; Hager, 1992), e la qualità della relazione terapeutica può risultare compromessa, come nel caso di frequenti rotture dell’alleanza da parte del paziente e fallimenti di riparazione da parte del terapeuta (Stern et al., 1998). D’altra parte, tuttavia, momenti d’instabilità critica durante un trattamento rappresentano un’opportunità unica per il sistema terapeutico di esplorare e testare nuove e alternative – eventualmente più funzionali – modalità di funzionamento, mentre le vecchie competono con le nuove. Il potenziale terapeutico della destabilizzazione del paziente è stato sottolineato da Hager (1992), secondi cui i pazienti si trovano spesso in quelli che lui definisce stati di gestazione, cioè stati caotici durante i quali il paziente sperimenta disagio e difficoltà ma, al tempo stesso, tenta a livello preconscio di organizzare nuove modalità adattive di funzionamento. Un processo analogo può essere immaginato anche per il terapeuta e per la diade. Con riferimento alla teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1989), le transizioni di fase che hanno luogo nel corso della psicoterapia possono essere viste come la conseguenza della naturale tendenza del paziente e/o del terapeuta di esplorare nuovi e alternativi modi di essere-con-l’altro dopo essersi allontanato dalla propria base sicura. L’esito evolutivo di questa esplorazione dipenderà dall’abilità del sistema di di trasformare le perturbazioni affrontate durante queste fasi d’instabilità in informazioni utili alla riorganizzazione adattiva delle proprie modalità di funzionamento. Riorganizzazione: Sincronizzazione adattiva o disadattiva. Dopo un periodo di destabilizzazione, il sistema psicoterapeutico è spinto a riorganizzarsi, dato che/nella misura in cui una prolungata fase di instabilità mette a repentaglio la sua integrità e identità strutturale e funzionale. Questa riorganizzazione è caratterizzata da una resincronizzazione delle componenti del sistema. Come conseguenza di ciò, il sistema potrà nuovamente organizzarsi attorno a modalità stabili di funzionamento. La riorganizzazione cui il sistema terapeutico va necessariamente incontro dopo una fase di destabilizzazione può essere adattiva o disadattiva, nella misura in cui essa permette o meno al sistema di raggiungere livelli più elevati di flessibilità e adattività necessari al progresso terapeutico. Due fattori sembrano essere fondamentali per permettere al sistema di andare incontro a una riorganizzazione funzionale. Primo, è necessario fornire al sistema un ambiente sicuro e protetto per consentirgli di tollerare l’instabilità che lo caratterizza durante le transizioni di fase. Con riferimento al paziente e alla sua relazione con il terapeuta, particolarmente rilevanti possono risultare ad esempio gli sforzi del clinico di riparare le rotture o i tentativi di rottura dell’alleanza terapeutica da parte del paziente, particolarmente frequenti durante le transizioni di fase. Inoltre, strategie terapeutiche supportive (Gaston & Ring, 1992) possono essere utilizzata per fornire al sistema supporto empatico e struttura. In merito al sistema terapeuta, riflessioni future dovranno cercare di identificare, ad esempio, quale comportamento del cliente può permettere al terapeuta di tollerare momenti d’intensa instabilità nel corso del trattamento. Un secondo requisito alla riorganizzazione funzionale del sistema terapeutico consiste nell’attivazione delle risorse che gli permettano, da una parte, di tollerare l’instabilità abbastanza a lungo da poter esplorare modalità di funzionamento alternative e, dall’altra, di confrontarsi con delle alternative che siano adattive. Il ruolo dell’attivazione delle risorse per il successo terapeutico è stato descritto in letteratura con riferimento al paziente e alla relazione paziente-terapeuta (ad esempio, Grawe, 1997). Lo stesso non può dirsi, tuttavia, in relazione al sistema terapeuta. Una delle sfide future della ricerca consisterà nell’identificare quei fattori in grado di attivare le risorse attraverso cui il terapeuta (e non solo il paziente o la relazione terapeutica) può far fronte a momenti di instabilità critica nel corso del trattamento. Ora, se i requisiti descritti sopra sono soddisfatti, il sistema terapeutico sarà in grado di sfruttare il potenziale evolutivo offerto dalle fasi d’instabilità critica, e le cosiddette transizioni terapeutiche potranno avere luogo (ad esempio, Gelo et al., 2008; Hayes, Laurenceau, et al., 2007; Pascual-Leone, 2009; Schiepek, 2003). In altri termini, il sistema sarà in grado di riorganizzare il proprio comportamento attorno ad attrattori qualitativamente nuovi, caratterizzati da modalità di funzionamento maggiormente adattive rispetto a quelle che lo caratterizzavano prima della destabilizzazione. Ciò si rifletterà in un “salto” dei valori dei parametri d’ordine utilizzati per descrivere il comportamento collettivo del sistema (si veda la fig. 3a). I cosiddetti “miglioramenti improvvisi” (sudden gains; Tang, DeRubeis, Beberman, & Pham, 2005), che consistono in ampie, improvvise e discontinue riduzioni della sintomatologia depressiva tra le sedute, sono un esempio di come i parametri d’ordine di un sistema possano modificarsi in seguito ad un cambiamento di 2° ordine. Al contrario, se durante una fase d’instabilità critica non è possibile fornire o mantenere un contesto interpersonale adeguato per il sistema terapeutico, e se le sue risorse non possono essere attivate adeguatamente, esso si riorganizzerà con molta probabilità attorno a “vecchi” attrattori, tornando così a modalità di funzionamento che caratterizzavano il comportamento del sistema prima della sua destabilizzazione. Ciò si rifletterà in una sorta di “ritorno alla baseline” da parte dei valori del parametro d’ordine selezionato (si veda la fig. 3a). Il sistema terapeutico si troverà in una fase di stallo o impasse terapeutico. Non sembrano al momento esservi studi che si sono occupati di studiare in che modo un sistema terapeutico si riorganizza in maniera disfunzionale. Progresso terapeutico. Sulla base di quanto detto finora, si evince che il progresso terapeutico non consiste in un avanzamento costante, lineare e progressivo verso livelli di funzionamento maggiormente adattivi; al contrario, esso rappresenta piuttosto un processo non lineare e discontinuo caratterizzato da una traiettoria irregolare, a zig-zag, che Pascual-Leone (2009) ha convincentemente descritto nei termini di “due passi avanti, uno indietro” (p. 114) (si veda la fig. XXX). Con riferimento alla teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1989), questa traiettoria ricorda il percorso evolutivo di un essere umano che, oscillando tra l’esplorazione e il ritorno alla propria base sicura, risulta sempre più in grado di esplorare l’ambiente. Questa visione del progresso terapeutico è coerente con l’idea che il cambiamento in psicoterapia possa comportare “stare peggio prima di stare meglio” (Mahoney, 1991). 4. Ricerca in psicoterapia e teoria dei sistemi dinamici Negli ultimi anni, un numero crescente di ricerche empiriche si è occupato di studiare la psicoterapia dalla prospettiva della teoria dei sistemi dinamici. In questo paragrafo finale, descriverò sinteticamente i risultati più significativi ottenuti, e presenterò una strategia generale di ricerca che possa guidare un approccio allo studio empirico della psicoterapia dalla prospettiva della teoria dei sistemi dinamici. 4.1. Risultati empirici Gli studi finora condotti hanno adottato una prospettiva sia intraindividuale che interindividuale; in altri termini, si sono concentrati sia su aspetti del processo terapeutico ascrivibili esclusivamente a uno dei partecipanti (sistema paziente o sistema terapeuta) o alla loro relazione (sistema diade). Gli aspetti del processo psicoterapeutico di cui questi studi si sono maggiormente occupati sono le valutazioni espresse da paziente e/o terapeuta su ciò che accade nel corso delle sedute (Dohrenbusch & Scholz, 2004; Tschacher, Baur, & Grawe, 2000; Tschacher, Scheier, & Grawe, 1998; Tschacher & Grawe, 1996; Tschacher & Ramseyer, 2009), lo scambio verbale e il dialogo terapeutico (Gelo et al., 2008; Salvatore et al., 2010), il comportamento non verbale e paraverbale di paziente e/o terapeuta (Ramseyer & Tschacher, 2011; Tomicic, 2011), l’alleanza terapeutica (Gumz et al., 2010; Stiles et al., 2004), le narrative del paziente (Ribeiro et al., 2011), la sua elaborazione emotiva (Pascual-Leone, 2009), e diversi aspetti della sintomatologia che esso presenta nel corso del trattamento (Fisher, Newman, & Molenaar, 2011; Hayes, Feldman, et al., 2007; Hufford, Witkiewitz, Shields, Kodya, & Caruso, 2003; Tang et al., 2005). Di seguito, riporto sinteticamente i risultati maggiormente significativi. 4.1.1. Attrattori come pattern dinamicamente stabili È possibile individuare delle relazioni dinamicamente stabili tra diversi aspetti del processo psicoterapeutico, che ne rappresentano dunque gli attrattori. Ciò è stato osservato a livello delle valutazioni che paziente e terapeuta relativamente in merito alle sedute (Tschacher et al., 2000) e a livello della sintomatologia del paziente (Fisher et al., 2011). In quest’ultimo caso, questi attrattori favoriscono il mantenimento degli esiti terapeutici al follow-up. 4.1.2. Formazione di pattern e sincronizzazione Le componenti del processo terapeutico tendono, a diversi livelli, a sincronizzarsi nel corso del trattamento, conducendo alla formazione di configurazioni ordinate; inoltre, il livello di sincronizzazione delle componenti considerate è predittivo dell’esito terapeutico, indipendentemente dall’orientamento psicoterapeutico considerato. Ciò è stato osservato a livello delle valutazioni che paziente e terapeuta esprimono in merito alle sedute (Dohrenbusch & Scholz, 2004; Tschacher & Grawe, 1996; Tschacher et al., 1998), ma anche a livello livello dello scambio verbale (Gelo et al., 2008), non verbale (Ramseyer & Tschacher, 2011) e paraverbale (Tomicic, 2011)(Tomicic, xxx) tra paziente e terapeuta. Nel caso dello studio della sincronizzazione verbale di Gelo e colleghi (2008) è interessante notare che, in momenti della terapia clinicamente significativi, il livello di sincronia tra il linguaggio del paziente e quello del terapeuta diminuisce, a sostegno così dell’ipotesi secondo cui fasi di instabilità critica del sistema terapeutico sono necessarie al progresso clinico (si veda sotto). Un risultato analogo è stato osservato da Salvatore et al. (2010); questi autori, studiando lo scambio verbale tra paziente e terapeuta nei termini di una rete discorsiva che si autorganizza, hanno dimostrato che il lavoro terapeutico nel corso del trattamento è associato a una decostruzione prima e una ricostruzione poi dei significati fondamentali che organizzano tale rete. 4.1.3. Instabilità critiche e fluttuazioni Il processo terapeutico si trova, lungo il corso del trattamento, in fasi d’instabilità critica e fluttuazioni. Ciò può riguardare l’esperienza che i pazienti fanno delle sedute (Schiepek, 2003), le loro produzioni narrative (Ribeiro et al., 2011), l’alleanza terapeutica (Gumz et al., 2010; Stiles et al., 2004), la sintomatologia del paziente (Hayes, Feldman, et al., 2007; Hufford et al., 2003), o la sua elaborazione affettiva (Pascual-Leone, 2009). Queste fasi d’instabilità tendono a essere associate a un miglioramento clinico osservabile sia nel corso delle sedute che alla fine del trattamento. In generale, questi studi dimostrano come le instabilità critiche che caratterizzano i processi di autorganizzazione di un sistema terapeutico rappresentino, a certe condizioni, un prerequisito essenziale affinché il il processo terapeutico si riorganizzi lungo un gradiente crescente di funzionalità e adattività, essenziale per il buon esito del trattamento. 4.2. Una strategia generale di ricerca È possibile formulare una strategia generale di ricerca coerente con la teoria dei sistemi dinamici. Questa strategia, sviluppata coerentemente con il lavoro svolto da Thelen e Smith (2006) nell’ambito della psicologia evolutiva, consiste di sei step. 4.2.1. 1° step: Identificare e misurare una variabile collettiva Innanzitutto, è necessario individuare e misurare una variabile collettiva (parametro d’ordine) di uno specifico sistema terapeutico. Come già ripetutamente visto nelle pagine precedenti, esempi di queste variabili collettive sono la responsività del paziente (risultante dall’interazione dei processi cognitivi ed emotivi del paziente), la comprensione del terapeuta (risultante dall’interazione del focus del terapeuta sui processi affettivi, cognitivi ed evolutivi del paziente), e il legame terapeutico (risultante dall’interazione della sintonia affettivo-interpersonale di paziente e terapeuta) – ulteriori esempi di variabili collettive del sistema terapeutico e delle sottostanti componenti sono riportati in tabella 1). Ragionamento clinico e ricerca empirica possono essere utilizzati per identificare candidati di variabili collettive. In particolare, il calcolo di indici quantitativi quali misure di ordine e/o di entropia (si veda ad esempio Gelo et al., 2008; Tschacher & Grawe, 1996; Tschacher et al., 1998) possono rivelarsi particolarmente utili per derivare un parametro d’ordine di un sistema terapeutico. 4.2.2. 2° step: Tracciare le traiettorie individuali della variabile collettiva Successivamente, è necessario tracciare le traiettorie individuali della variabile collettiva precedentemente identificata e misurata. A tal fine, è opportuno utilizzare disegni di ricerca longitudinali che prevedano il maggior numero possibile di momenti di rilevazione (time-points). I dati così raccolti vanno poi rappresentati graficamente utilizzando modalità tradizionali (grafici a linee) o più complesse (ad esempio, i cosiddetti ritratti dello spazio delle fasi; si veda Ribeiro et al., 2011; Tomicic, 2011)7. A questo proposito, è opportuno sottolineare che tale rappresentazione grafica dovrebbe avvenire utilizzando un approccio “caso per caso” (case by case); in altri termini, è opportuno creare dei profili individuali anziché aggregati, che porterebbero altrimenti ad oscurare la variabilità inerente allo sviluppo della variabile collettiva considerata. Questo approccio è coerente con l’idea che lo studio dei sistemi dinamici non possa prescindere da un approccio idiografico (Molenaar & Campbell, 2009; Molenaar, 2004; Salvatore & Valsiner, 2010). 4.2.3. 3° step: Identificare gli stati di transizione A questo punto, è necessario identificare gli stati di transizione per il sistema studiato con riferimento alla variabile collettiva selezionata. A tal proposito, dopo una sempre raccomandabile ispezione visiva dei dati, è possibile applicare le seguenti strategie di analisi dei dati: (a) calcolo di statistiche descrittive indicatrici della variabilità del sistema osservato come ad esempio la deviazione standard, i cui picchi possono rivelare fasi di transizione della variabile collettiva considerata (ad esempio, Hayes, Feldman, et al., 2007; Salvatore et al., 2010; Tang et al., 2005); (b) calcolo di specifici indici che descrivono la dimensionalità e/o il livello di complessità o entropia del set di dati da cui la variabile collettiva è stata ottenuta (ad esempio, Dohrenbusch & Scholz, 2004; O Gelo et al., 2008; Tschacher & Grawe, 1996; Tschacher, Ramseyer, & Grawe, 2007; Tschacher et al., 1998); (c) strategie di modellizzazione longitudinale quali ad esempio le analisi lineari e non lineari delle serie temporali (ad esempio, Fisher et al., 2011; Pascual-Leone, 2009; Tschacher et al., 2000; Tschacher & Ramseyer, 2009) e l’analisi delle curve di crescita (ad esempio, Stiles et al., 2004; Tschacher & Ramseyer, 2009); (e) analisi basate sui ritratti delle fasi dello spazio quali ad esempio i diagrammi di dispersione (Tomicic, 2011) e le state space grids (Ribeiro et al., 2011). 4.2.4. 4° step: Descrivi il comportamento del sistema prima e dopo gli stati di transizione Il quarto step prevede la descrizione del comportamento del sistema terapeutico studiato prima e dopo i diversi stati di transizione identificati ed, eventualmente, tra 7 Lo spazio delle fasi di un sistema consiste nello spazio astratto in cui è possibile descrivere matematicamente tutti gli stati del sistema considerato. Il ritratto dello spazio delle fasi consiste nella rappresentazione grafica di tale spazio (Haken, 2010). diversi gruppi (ad esempio, in terapie a buon e cattivo esito). A tal fine, è possibile fare riferimento alle diverse variabili dalla cui interazione risulta la variabile collettiva precedentemente selezionata, oppure al comportamento della stessa variabile collettiva. Nel primo caso è possibile utilizzare: (a) il calcolo di statistiche descrittive come ad esempio la correlazione delle variabili considerate, i cui valori dovrebbero essere significativamente diversi prima e dopo le fasi di transizione di (ad esempio, Salvatore et al., 2010); (b) strategie di modellizzazione longitudinale quali le analisi delle sequenze (ad esempio, Gennaro et al., 2011; Salvatore et al., 2010), l’analisi fattoriale dinamica (Fisher et al., 2011) e, nuovamente, le analisi lineari e non lineari delle serie temporali (Ramseyer & Tschacher, 2011; Tschacher & Ramseyer, 2009); (c) ancora una volta le analisi basate sui ritratti delle fasi dello spazio (Ribeiro et al., 2011; Tomicic, 2011). Tutte queste strategie permettono di valutare in che modo l’organizzazione delle componenti del sistema studiato si modificano in seguito alla fase d’instabilità incontrata. Nel secondo caso, ulteriori strategie di modellizzazione longitudinale possono essere utilizzate, come ad esempio i fit polinomiali (Salvatore et al., 2010) e le analisi delle curve di crescita (ad esempio, Stiles et al., 2004; Tschacher & Ramseyer, 2009). Queste strategie permettono, al contrario, di valutare in che modo l’andamento della variabile collettiva al passare del tempo si modifica in seguito alle fasi d’instabilità precedentemente identificate. 4.2.5. 5° step: Identificare i parametri di controllo A questo punto, è necessario identificare i parametri di controllo (o agenti di cambiamento) della variabile collettiva selezionata. In quanto agenti di cambiamento, questi parametri di controllo possono essere considerati alla stregua di variabili indipendenti la cui modificazione influenza casualmente la variazione, non lineare e discontinua, della variabile collettiva. Anche in questo caso, ragionamento clinico e ricerca empirica possono essere utilizzati per identificare candidati di parametri di controllo. Successivamente, può essere opportuno condurre studi naturalistici di processo-esito (ad esempio, Tschacher et al., 2000; Tschacher & Ramseyer, 2009). Al fine di studiare le relazione causale tra il parametro di controllo (variabile indipendente) e la variabile collettiva (variabile dipendente), possono essere utilizzate analisi delle regressione lineare (ad esempio, Tschacher et al., 2000) e non lineare (ad esempio, Hufford et al., 2003). In questo modo può essere possibile stabilire in che modo un determinato parametro di controllo possa influenzare casualmente il comportamento della variabile collettiva selezionata. 4.2.6. 6° step: Manipolare il parametro di controllo per generare transizioni di fasi L’ultimo step della strategia qui presentata consiste nel manipolare sperimentalmente il parametro di controllo studiato nello step precedente, al fine di valutare se variazioni in quest’ultimo determinino effettivamente cambiamenti di natura non lineare e discontinua nella variabile collettiva selezionata. A tal fine, è possibile condurre studi di processo-esito che, utilizzano il disegno sperimentale tipico dei trial clinici randomizzati (Randomized Clinical Rrials; RCTs), permettano di: (a) manipolare il parametro di controllo selezionato (ad esempio, la somministrazione di uno specifico trattamento, e/o specifici interventi del terapeuta), (b) osservare al passare del tempo il comportamento della variabile collettiva (ad esempio, i livelli di metacognizione del paziente), e (c) valutare il rapporto esistente tra questi due set di varabili utilizzando strategie di analisi analoghe a quelle descritte nello step precedente. Superfluo osservare quanto difficile sia realizzare questo tipo di studi, nella misura in cui la manipolazione sperimentale di una variabile indipendente risulta un compito estremamente complesso e difficile da realizzare in contesti clinici. 5. Conclusioni Uno dei problemi principali delle discipline psicoterapeutiche è costituito dal fatto che i modelli d’indagine empirica tradizionali non sembrano in grado di rendere conto in modo adeguato della natura complessa e dinamica della pratica clinica. Questo, lungi dall’essere un problema di natura esclusivamente tecnico-metodologica, è al contrario un problema primariamente teorico, nella misura in cui le concrete strategie d’indagine empirica impiegate per studiare la psicoterapia sono strettamente dipendenti dal modo in cui, almeno implicitamente, concettualizziamo la psicoterapia stessa (Gelo, Gennaro e Salvatore, 2007; Salvatore, 2011) La teoria dei sistemi dinamici può rappresentare un quadro di riferimento sovraordinato e unitario in grado di porre rimedio, almeno in parte, a tale situazione. La teoria dei sistemi dinamici permette di modificare il modo in cui concettualizziamo la psicoterapia e i processi di cambiamento ma/e, al tempo stesso, di modificare anche il modo in cui possiamo studiare empiricamente tali processi. L’utilizzo di nuovi costrutti e metafore può infatti permettere, da una parte, di riformulare il modo in cui noi concepiamo determinati fenomeni e, dall’altra, di focalizzare la propria attenzione su questioni o aspetti dell’oggetto di studio precedentemente trascurati o non considerati come rilevanti. Tutto ciò conduce inevitabilmente a modificare i modelli d’indagine che utilizziamo per studiare questi fenomeni. Alla luce della teoria dei sistemi dinamici, la psicoterapia viene concepita come un sistema complesso aperto caratterizzato da una struttura gerarchica e dall’interazione reciproca delle sue componenti al passare del tempo. Il cambiamento del sistema psicoterapeutico (sia esso rappresentato dal paziente, dal terapeuta o dalla loro relazione) non è un processo lineare e continuo; al contrario, viene considerato con riferimento a quei processi dinamici che, da una parte, tendono a garantire al sistema una stabilità al passare del tempo e, dall’altra, possono permettergli – a determinate condizioni – di riorganizzarsi esibendo modificazioni non lineari e discontinue dopo che esso necessariamente andato in contro a periodi di turbolenza e disordine. Come conseguenza di questa diversa concettualizzazione della psicoterapia, si modifica anche il nostro modo di concepire l’indagine empirica in psicoterapia. Tempo, individualità e variabilità vengono visti sotto una nuova luce e assumono rinnovata importanza, con una serie di conseguenze in termini di disegni di ricerca e di analisi dei dati. Con riferimento ai primi, diventa fondamentale adottare disegni di ricerca longitudinali multidimensionali con un numero elevato di momenti di rilevazione, in modo da poter osservare e studiare il comportamento del sistema terapeutico con un adeguato grado di risoluzione e in riferimento ai singoli componenti del campione. Con riferimento all’analisi dei dati, diventa fondamentale utilizzare strategie d’analisi in grado di includere il tempo come variabile continua, di considerare il rapporto tra più variabili al passare del tempo (pattern temporali), e di rispettare la natura idiografica dei dati; inoltre, tali analisi devono essere in grado di considerare la variabilità non come errore – analogamente a quanto accade in molte procedure standard di analisi dei dati – bensì come una fonte d’informazione essenziale a descrivere le dinamiche di cambiamento di un sistema terapeutico. L’auspicio è che il presente lavoro possa rappresentare uno stimolo ad un cambiamento di 2° ordine nel modo in cui clinici e ricercatori concepiscono la psicoterapia e la sua indagine empirica. 6. Bibliografia Ashby, W. R. (1962). Principles of the self-organizing system. In H. Von Foerster & G. W. J. Zopf (Eds.), Principles of Self-Organization: Transactions of the University of Illinois Symposium (pp. 255–278). London: Pergamon Press. Bowlby, J. (1989). Una base sicura: Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Milano: Raffaello Cortina Editore. Casonato, M. (Ed.). (1995). Compendio di neuropsichiatria infantile e teoria dei sistemi. Bergamo: Moretti & Vitali Editori. Caspar, F. (1992). The appeal of connectionism for clinical psychology. Clinical Psychology Review, 12(7), 719–762. doi:10.1016/0272-7358(92)90022-Z Ceruti, M., & Lo Verso, G. (1998a). Sfida della complessità e psicoterapia. In M. Ceruti & G. Lo Verso (Eds.), Epistemologia e psicoterapia (pp. 1–29). 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