L`IMMAGINAZIONE NEL BAMBINO

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L`IMMAGINAZIONE NEL BAMBINO
L'IMMAGINAZIONE NEL BAMBINO
Paul L. Harris
CAPITOLO 1 - BLEULER A WEIMAR
Al Congresso di Weimar del 1911 lo psichiatra svizzero Bleuler espose la sua tesi sull'esistenza di due
distinte modalità di pensiero:
- pensiero logico o realistico;
- pensiero autistico.
Il Concetto di Pensiero Autistico si basa su una modalità di pensiero dominata dalle libere
associazioni e dal pensiero basato sul desiderio. Egli concettualizzo che esso, diversamente da
quanto teorizzato da Freud, fosse successivo a quello realistico in quanto ciascun pensiero simbolico
implica la necessità di una buona conoscenza della realtà.
Questo concetto influenzò due autori, divenuti fondamentali per la psicologia dello sviluppo:
- Piaget: studiò il passaggio dal pensiero autistico infantile, basato sulla distorsione della realtà volta al
soddisfacimento del desiderio dei bambini, al pensiero razionale adulto, seguendo un'ottica di sviluppo
freudiana;
- Vygotskij: criticando la teoria di Piaget e aderendo al modello di Bleuler, questo autore propone una
concezione di linguaggio egocentrico come punto di partenza. Dal suo sviluppo, con l'utilizzo
crescente di forme di interiorizzazione, nascerebbe il pensiero.
Questo libro, partendo dall'analisi del Gioco di Finzione teorizzata da Piaget, seguirà l'ottica di Bleuler
cercando di dimostrare che la fase autistica (basata sul Lavoro di Immaginazione) è successiva a
quella di considerazione della realtà per alcuni motivi:
- il gioco di finzione non si osserva nei bambini molto piccoli, ma si sviluppa solo dal secondo anno;
- lo studio dei disturbi infantili fa notare come essi si basino su un'assenza di immaginazione;
- la considerazione di forme alternative di realtà è collegata ad una considerazione di oggettività del
mondo, permettendo di aumentarla nel corso di tutta la vita (quindi anche da adulti).
CAPITOLO 2 - IL GIOCO DI FINZIONE
Tra le manifestazioni più precoci ed evidenti dell'immaginazione infantile troviamo il Gioco di
Finzione. Studiato approfonditamente da Piaget nel suo libro "La Formazione del Simbolo nel
Bambino: imitazione, gioco e sogno, immagine e rappresentazione" (1962) ma considerato ancora
come una fase transitoria verso il senso di realtà, esso, che si sviluppa già a partire dai due anni,
possiede alcuni Tratti Distintivi:
1. Condizioni Stabilite per il Gioco: vari esperimenti hanno dimostrato che a due anni i bambini
sono in grado di comprendere le condizioni stabilite per quel gioco immaginario, utilizzando
adeguatamente il simbolismo, i limiti e la generatività che da esse ne derivano;
2. Potere Causale: l'entità o caratteristica immaginaria può essere inserita in una sequenza causale,
la quale rispetterà le regole valide per le entità reali rappresentate (ad es. un orsacchiotto messo in
un'immaginaria vasca da bagno, ovviamente uscirà bagnato da acqua immaginaria). A due anni i
bambini sono in grado di applicare le loro conoscenze causali reali per comprendere gli esiti di una
finta trasformazione;
3. Sospensione della Verità Oggettiva: i bambini di due anni sono in grado di attuare una
sospensione della realtà oggettiva, utilizzando i significati simbolici del mondo di fantasia per
comprendere e spiegare le azioni a cui assistono;
4. Concatenazione Causale di una Serie di Eventi: già a due anni i bambini riconoscono la
concatenazione causale degli eventi, anche quando essi riguardano oggetti o elementi di fantasia.
Sono quindi in grado di comprendere i passaggi di una storia costruita solo con un simbolismo
immaginario.
Il Modello Interpretativo Teorico qui proposto porta alla necessità di analizzare due elementi teorici
fondamentali:
- Finzione e Rappresentazione della Realtà: differentemente da quanto teorizzato da Piaget, secondo
cui la finzione era usata come rappresentazione di eventi reali, bisogna considerare il gioco di finzione
come tale, senza riferimenti alla realtà (questi vengono usati magari quando si racconta qualcosa) ma
comunque basati su una considerazione realistica delle proprietà degli oggetti;
- Finzione e Distorsione della Realtà: anche in questo caso diversamente dalle Teorie di Piaget,
secondo cui l'immaginazione doveva prevedere l'assenza di vincolo da parte della realtà, bisogna
considerare i giochi di realtà come espressione dell'immaginazione infantile anche se seguono le
regole di causalità proprie della realtà (anche se a volte riguardano eventi poco probabili). Esempio di
questo sono i romanzi che, esclusi quelli di fantasia, riportano storie potenzialmente plausibili (perché
rispettano possibilità reali) anche se immaginarie.
CAPITOLO 3 - IL GIOCO DI RUOLO
Il Gioco di Ruolo, il quale avviene generalmente insieme ai coetanei e che si sviluppa già dai due
anni, è un gioco di finzione in cui il bambino rappresenta temporaneamente la parte di qualcuno
diverso da sé, simulandone azioni e discorsi (senza necessariamente annunciare o assegnare
esplicitamente il ruolo). In questi casi il bambino fa una parte ricorrendo a:
- se stesso come interprete;
- un oggetto come ausilio;
- nessun tipo di ausilio.
In queste rappresentazioni i bambini sono inoltre capaci di dare voce alle emozioni, alle sensazioni e
ai bisogni adeguati del ruolo che hanno assunto. Questo significa che essi non si comportano come
dei "registi" ma si immergono totalmente nell'immaginazione, mettendo temporaneamente da parte la
realtà.
Come dimostrato dagli studi di Taylor (1998) è abbastanza frequente che i bambini creino anche un
Compagno Immaginario (che può essere interpretato dal bambino stesso, rappresentato da un
giocattolo o totalmente invisibile) che spesso rimane stabile per lunghi periodi di tempo.
Il Processo alla Base del Gioco Immaginario non si basa sull'apprendimento di script
(rappresentazioni mentali schematiche mutuate dalla realtà) ma sulla nazione di Simulazione
(Goldman, 1992) attraverso cui i bambini, partendo da un input immaginario, forniscono output
comportamentali e di scelta adeguati alla situazione fantasiosa. Secondo recenti teorie riguardanti lo
sviluppo cognitivo, i bambini farebbero uso di una serie di considerazioni dominio-specifiche, che
estenderebbero ai personaggi da loro interpretati. In quest'ottica il bambino necessita quindi di crearsi
delle metateorie per i propri personaggi, ed esse si basano sulle nozioni che egli ha (i bambini si
basano quindi sulle conoscenze che hanno di se stessi e le estendono agli altri).
Considerando le Differenze Individuali nel Gioco di Ruolo bisogna definire che sono stati individuati
indicatori che mettono in relazione questa tipologia di gioco con le abilità sociali e di comprensione
della falsa credenza. Per comprendere tale rapporto bisogna considerare due elementi:
- Fondamenti Teorici (Marjorie e Taylor, 1993): il dedicarsi al gioco di finzione permetterebbe ai
bambini di comprendere la natura rappresentazionale delle credenze e di giungere alla falsa
credenza. Tuttavia in questo ragionamento bisogna considerare due difficoltà:
- forse i bambini non compiono riflessioni sul processo di rappresentazione mentale;
- non è detto che il gioco di finzione aiuti lo sviluppo della falsa credenza.
Secondo un'ipotesi alternativa sarebbe invece la Simulazione messa in atto nel Gioco di Finzione ad
aiutare i bambini a sviluppare capacità di previsione delle azioni e dei pensieri altrui, e sarebbe questo
che permette uno sviluppo della mente. Va però fatto notare che fondamentale sarebbe quindi non
qualunque gioco di finzione, ma il Gioco di Ruolo;
- Prove Empiriche: vari studi hanno identificato un'associazione tra gioco di ruolo e falsa credenza in
quanto questo permetterebbe uno sviluppo, ottenuto tramite simulazione, di competenze "online"
(mettere in atto fisicamente un comportamento) e "offline" (formulare previsioni). E' stato poi uno
studio di Youngblade e Dunn (1995) a confermare come questo tipo di attività sia un precursore (e
non successiva) dello sviluppo della falsa credenza.
Considerando quindi ora la Natura e Origine delle Differenze Individuali nel Gioco di Ruolo
bisogna definire alcuni elementi fondamentali per il suo sviluppo:
- presenza di fratelli più grandi (fondamentale anche per la falsa credenza);
- differenze nell'opportunità e nell'incoraggiamento fornite ai bambini;
- elementi endogeni di base della personalità (si sviluppano già dalla prima infanzia. Questo è stato
rilevato sopratutto nei bambini affetti da autismo che, se non stimolati, non si dedicano a giochi di
ruolo o di finzione).
Vari studi hanno anche dimostrato come vi sia una Continuità tra Immaginazione Infantile e Adulta.
Questi elementi, desunti dalle capacità di Spostamento Soggettivo (mettersi nella posizione di un
personaggio) degli adulti che leggono o vedono una rappresentazione, sono principalmente:
- capacità di collocarsi in uno spazio immaginario;
- adottare il punto di vista del protagonista.
Diversamente a quanto affermato da Piaget sull'egocentrismo infantile, i bambini, e così anche gli
adulti, tendono ad a prendere il punto di vista altrui e, attraverso questa simulazione, migliorano la
comprensione degli stati mentali. Le prove empiriche effettuate si sono basate principalmente su
elementi linguistici, tra cui la propensione all'uso di verbi che aderissero al punto di vista del
protagonista e non del proprio (ad es. predilezione per il verbo "venne", che intende la concezione di
essere "al posto del protagonista", rispetto ad "andò").
CAPITOLO 4 - IMMAGINAZIONE ED EMOZIONI
Viste le reazioni emotive, talvolta anche molto intense, suscitate nei bambini da elementi immaginari
(ad es. paura dei mostri), bisogna considerare la Capacità Infantile di Distinguere tra Fantasia e
Realtà. Vi sono numerosi studi che hanno permesso di comprovare questa abilità nei bambini:
- Wellmann e Collaboratori (1989): viene comprovata la capacità dei bambini di distinguere tra
elementi comuni reali e immaginari rispetto alle possibilità fisiche che i primi hanno (ad es. "si può
accarezzare e vedere un cane reale o immaginario?");
- Harris e Collaboratori (1991): viene comprovata la capacità dei bambini di distinguere tra elementi
reali ed immaginari, anche nel momento in cui essi si rivelano emotivamente rilevanti (ad es. "lo
sperimentatore può vedere un fantasma che ti sta inseguendo?");
- Harris e Goy (1990): i bambini sanno distinguere tra fantasia e realtà anche negli elementi che
riguardano loro fantasie durature e tratti di personalità fantasiosi più rilevanti (ad es. bambini che
hanno un amico immaginario).
Da questi studi emerge quindi che i bambini (ma anche gli adulti) attivano il Processo Cognitivo di
Appraisal (elaborazione cognitiva di uno stimolo basato sulle implicazioni per il benessere
dell'individuo) sia che si trovino a contatto con elementi reali, sia che lo stimolo sia immaginario.
Per verificare quest'ipotesi possiamo rifarci a diverse fonti di prove:
1. Processi Cognitivi: attraverso la valutazione dei tempi di reazione sono stati svolti numerosi studi
che hanno confermato l'adesione del soggetto alla risposta emotiva del personaggio del racconto
somministrato;
2. Processi Emotivi: sono stati usati due indicatori:
- Attivazione del Sistema Nervoso Autonomo: i soggetti provavano effettivamente gli stati emotivi
propri della situazione immaginaria, e presentavano elementi di attivazione e livello del sistema
nervoso. Rilevanti sono però gli elementi che rendono l'evento realistico e personalmente vissuto
come rischioso, ed livelli più alti di capacità immaginative e di gioco di ruolo;
- Riflessi Semplici: vi è una modificazione sostanziale dei riflessi, ad esempio di quello di trasalimento,
che confermerebbe l'adesione dell'adulto alla situazione emotiva immaginaria.
Va però fatto notare come esistano anche Processi di Controllo, intesi come meccanismi di
regolazione (Over-ride, in quanto permettono di interrompere un processo automatico per renderlo più
soggetto al controllo) che permettono un maggior o minor coinvolgimento emotivo nell'immaginazione.
Varie prove empiriche (Terwogt, Schene e Harris, 1986 studio sui bambini di 6 anni; Lazarus e
colleghi, 1964 studio sugli adulti), basate sulla somministrazione a tre gruppi di video o racconti
emotivamente carichi fornendo a ciascun gruppo istruzioni rispetto all'atteggiamento da tenere
(coinvolto, distaccato, di controllo), hanno rilevato le seguenti strategie:
- Coinvolgimento: ottenuto da bambini e adulti riducendo la distanza soggettiva tra se ed il
protagonista, quindi immaginando che gli eventi stiano accadendo a loro in prima persona;
- Distacco: inibizione del sistema di identificazione attraverso il ricorso a strategie cognitive relative al
tenere a mente l'irrealtà degli eventi.
Questi elementi porterebbero a teorizzare un'Ipotesi Evolutiva secondo cui il bambino piccolo,
benché cosciente della distinzione tra reale ed immaginario, tenderebbe inizialmente ad
immedesimarsi nella fantasia, ottenendo risposte emotive uguali come se l'evento fosse reale. Con il
crescere questa situazione non verrebbe meno, ma si apprenderebbero strategie che, a partire dai 6
anni su sollecitazione di altri e poi autonomamente, permetterebbero di attivare sistemi cognitivi
difensivi. La distinzione tra adulti e bambini si baserebbe quindi non sulla comprensione della
distinzione tra reale ed immaginario, ma sull'uso che si fa di questa conoscenza.
Questa teorizzazione conduce a due Implicazioni:
1. Paradosso delle Reazioni Emotive alle Opere dell'Immaginazione: utilizzando la Legge di
Realtà Apparente (Frijda, 1988) secondo cui "le emozioni sono suscitate da eventi valutati come reali,
e la loro intensità corrisponde al grado di realtà attribuito agli eventi stessi" si giunge ad un paradosso,
analizzato da Walters (1989), in quanto non dovremmo avere stati emotivi per elementi che sappiamo
già essere immaginari.
Questo paradosso può risolversi in tre modi:
- gli Elementi Immaginari e Artistici non Suscitano Emozioni Vere: questo è disconfermato dagli studi
precedentemente proposti;
- l'Arte e l'Immaginazione Presentano Alcuni Elementi di Apparente Realtà: benché questo sia vero, è
difficile da credere che i bambini riescano a compiere un processo cognitivo così complesso, creando
qualcosa di immaginario e fingendo poi che sia reale, al fine di suscitare delle emozioni;
- Riformulazione della Legge di Realtà Apparente: bisogna aggiungere che il nostro sistema possiede
un duplice livello di valutazione:
- cognitiva: valutazione delle possibili implicazioni di un evento;
- ontologica: valutazione di un evento come reale, immaginario o possibile.
Nel caso dell'immaginazione o di un film la nostra mente non attiva la valutazione ontologica,
rispondendo quindi all'evento come se fosse reale, che viene invece usata in caso di situazioni limite,
al fine di attenuare le reazioni emotive coinvolte;
2. Funzione del Coinvolgimento Emotivo: vi sono due ipotesi che forniscono spiegazioni al perché il
nostro sistema emotivo, che presente comunque abilità di controllo, non attivi automaticamente una
distinzione ontologica tra eventi reali ed immaginari:
- Ipotesi 1: vari studi compiuti da Damasio su soggetti con lesioni cerebrali frontali e da Lang su
pazienti psichiatrici antisociali, confrontati con i risultati su gruppi di controllo hanno permesso di
teorizzare che l'attivazione del sistema emotivo in situazioni immaginarie abbia la funzione di
pianificare la nostra vita compiendo scelte più adeguate. Per fare pieni e prendere decisioni bisogna
quindi non solo utilizzare il ragionamento razionale, ma anche simulare quella che è la sfera emotiva
che verrebbe attivata nell'ipotetica nuova situazione (antisociali e soggetti con lesioni frontali non
riescono a compiere questa simulazione e per questo le loro scelte sono si razionali, ma si rivelano
poi eccessivamente rischiose e inadeguate, in quanto emotivamente svuotate del loro significato);
- Ipotesi 2: l'attivazione del sistema emotivo sarebbe l'eredità della nostra specie che, con il linguaggio
(non necessariamente verbale, ma anche scritto), ha permesso di creare modelli mentali di
simulazione delle situazioni di altri, al fine di ottenere un coinvolgimento emotivamente carico anche
rispetto a ciò che non si è vissuto in prima persona. Questo consentirebbe quindi una modalità
relazionare più intima, basata su modelli di empatia, al "costo" però di rimanere più coinvolti anche in
situazioni immaginari (ad es. film, romanzi, bugie...) che sappiamo fin da subito essere irreali e a volte
realmente impossibili.
CAPITOLO 5 - RAGIONAMENTO, FINZIONE E DIALOGO
Gli studi condotti da Lurija (1934) sui popoli dell'Unione Sovietica sottoposti ad un radicale mutamento
socio-culturale, economico e di istruzione, dimostrarono, in accordo con le teorie proposte da
Vygotskij, due elementi principali:
- capacità di compiere inferenze in argomenti relativi alla propria esperienza sia in soggetti analfabeti
che in persone scolarizzate;
- capacità di compiere inferenze in ragionamenti logici presenti solo in soggetti scolarizzati, capacità
che essi sanno estendere anche a nuovi argomenti, partendo dalle teorie proposte dagli intervistatori.
Cole e collaboratori (1977, 1981) proseguirono poi questi studi in Liberia ed in Messico dimostrando,
diversamente da quanto sostenuto da Goody e Watt (1968) secondo cui l'esposizione al linguaggio
scritto aumenta le capacità di ragionamento logico, che le premesse per un sostanziale aumento delle
capacità logico-cognitive si basa su:
- livello di scolarità (bastano anche solo 2 o 3 anni);
- distacco da attività lavorative e sociali tradizionali.
Sylvia Scribner (1977) ha teorizzato la presenza di due Approcci al Ragionamento:
- Approccio Empirico: utilizzato da soggetti senza istruzione, non utilizza i dati forniti ma unicamente la
propria esperienza pratica;
- Approccio Analitico: utilizzato da soggetti con istruzione riescono a compiere ragionamenti logici
corretti partendo dalle informazioni fornite dal problema.
La scolarizzazione avrebbe quindi il ruolo di fornire al soggetto queste modalità analitiche, e questo
avverrebbe attraverso la somministrazione di problemi i quali sono equivalenti a sillogismi, in cui
bisogna far prevalere il ragionamento analitico, sospendendo momentaneamente le proprie
convinzioni empiriche (ad es. un bambino di fronte ad un problema di matematica non si deve
chiedere se i dati forniti siano realistici ma deve risolverlo in base alle informazioni fornite).
Harris propone invece una concezione dell'Approccio Analitico che lo considera già presente nei
bambini piccoli e che, attraverso l'istruzione, esso riesca ad affinarsi (e non a generarsi, come definito
da Scribner) e a divenire il modello cognitivo dominante.
Questa teoria è dimostrata da vari studi (Dias e Harris, 1988 su bambini inglesi di 4 e 6 anni; Dias,
1988 su bambini brasiliani privi di scolarizzazione) secondo cui utilizzando una logica propria del gioco
di finzione, i bambini usino già il ragionamento analitico per formulare le risposte. E' quindi dimostrato
che ogni incoraggiamento a rappresentarsi un modo immaginario spinga i bambini a mettere da parte
le proprie considerazioni empiriche in modo che non interferiscano con l'accettazione delle premesse
iniziali, usando cos' l'approccio analitico che verrà poi successivamente perfezionato con la
scolarizzazione. Il ruolo della scuola non è quindi quello di far emergere queste abilità, ma quello di
renderle stabili e generalizzabili nel tempo. Vari studi hanno dimostrato in questo senso l'abilità a
lungo termine dei bambini nel ragionamento analitico quando il ricorso alla fantasia era stato
espressamente suggerito dall'intervistatore.
La Connessione tra Segnali di Finzione e Approccio Analitico ha due spiegazioni principali:
1. Adozione di una Prospettiva Basata sulla Finzione: secondo questa spiegazione i bambini si
immergerebbero in un mondo fantastico, accantonando completamente ciò che sanno a livello
empirico della realtà. Questa spiegazione ha però tre limiti principali:
- Impatto a Lungo Termine: se il meccanismo fosse quello prima descritto l'impatto dei segnali di
finzione sarebbe solo a breve termine, quindi si riferirebbe ai consigli forniti per quella data prova, ma
gli esperimenti proposti hanno dimostrato come siano presenti effetti a lungo termine;
- Prove Relative a Dati Reali: i bambini propendono per un approccio analitico grazie a segnali di
finzione sia in prove con premesse non familiari, sia in prove con premesse totalmente inventate. In
questo senso non è possibile considerare la necessità di sospendere i dati di realtà per usare un
pensiero analitico;
- Connessione tra Istruzione e Segnali di Finzione: dato che entrambi questi elementi portano a
sviluppare e migliorare un approccio analitico, non si può però sostenere che l'istruzione si basi
sull'addestramento all'uso di una prospettiva basata sulla finzione.
2. Ipotesi Alternativa: l'utilizzo di segnali di finzione farebbe associare la specifica prova al gioco di
finzione, cosicché il bambino utilizzerebbe quello che è un elemento fondamentale di questo tipo di
gioco, cioè la considerazione delle premesse iniziali.
Uno specifico esperimento di Leevers e Harris (1999) ha dimostrato come i bambini tendessero
all'utilizzo del ragionamento analitico, anche a lungo termine, se sollecitati dai segnali di finzione o se
esortati ad utilizzare le premesse per risolvere il problema, mentre quelli che non ricevevano istruzioni
tendessero ad utilizzare erroneamente un ragionamento empirico.
Questa premessa permette di comprendere i tre elementi prima proposti:
- Impatto a Lungo Termine: i bambini comprenderebbero come la considerazione delle premesse sia
un elemento fondamentale per la soluzione di tali problemi, ed estenderebbero questa considerazione
a tutti i problemi proposti in questo modo;
- Prove Relative a Dati Reali o Immaginari: i bambini utilizzerebbero l'approccio analitico sia per dati
totalmente immaginari, sia per conoscenze reali che non hanno;
- Connessione tra Istruzione e Segnali di Finzione: ruolo dell'istruzione sarebbe quindi quello di
estendere le capacità di utilizzo delle premesse proprie del gioco di finzione anche ad elementi
didattici presentati in modo realistico ed autorevole
In Conclusione da questo capitolo sono emerse due asserzioni:
- le capacità di ragionamento analitico sono presenti fin da piccoli (anche a 2-3 anni);
- l'addestramento ha il ruolo di far comprendere a lungo termine ai bambini l'importanza di considerare
le premesse iniziali (siano esse fantastiche come nel gioco di finzione, o realistiche e autoritarie come
nel caso dei contesti scolastici).
CAPITOLO 6 - IL PENSIERO CONTROFATTUALE
In questo capitolo verrà considerato il Pensiero Controfattuale inteso come riflessione su quello che
sarebbe potuto accadere se gli antecedenti di una determinata situazione fossero stati diversi. È
attraverso questi che, secondo Harris, i bambini formulano giudizi di causalità sulla realtà.
Secondo il filosofo Hume (1740) un Nesso Causale si forma nella nostra mente attraverso
l'osservazione ripetuta del succedersi di due eventi, la quale ci permette di inferire un legame causale.
Secondo le critiche portate però da Mackie (1974) la causalità non si basa solo sull'osservazione
regolare, bensì anche sull'esame di ciò che immaginiamo sarebbe accaduto se le circostanze fossero
differenti. Attueremmo quindi un "esperimento" mentale di confronto tra un'esperienza reale ed una
immaginata, ed è tramite l'evidenza di cosa è successo in una situazione e cosa non è successo
nell'altra che desumeremmo la causalità. Questo implica che le cause che vengono desunte siano
differenti in base al tipo di situazione controfattuale che richiamiamo alla mente.
Vari studi empirici (Wells e Gavinski, 1989) hanno confermato questa spiegazione, notando che inoltre
se ai soggetti veniva chiesto precedentemente di pensare a modi alternativi in cui le cose sarebbero
potute andare, si tendeva a dare più rilevanza causale al ruolo del protagonista.
Questa concezione del pensiero controfattuale porta a due considerazioni:
- si può giungere a diverse considerazioni causali sugli eventi;
- si può sottovalutare alcuni elementi causali fondamentali.
Rispetto ai Giudizi Causali nei Bambini, sia Hume che Mackie teorizzavano che questa era una
capacità innata nei bambini, la quale quindi non dipendeva dall'uso del linguaggio o di un determinato
funzionamento cognitivo (per Macie anche gli animali condividono con gli umani quest'abilità).
Per comprendere se il giudizio causale sia una capacità innata o acquisita nel tempo bisogna
considerare tre elementi:
1. Pensare a Come le Cose Sarebbero Potute Andare Diversamente: non è questo il caso di
cercare nei bambini la capacità di un pensiero ipotetico (per altro già confermata dalla capacità di
attuare il gioco di finzione) ma comprendere se sono capaci di formulare ideazioni alternative a quelle
avvenute nella realtà.
Le prove empiriche, e tra esse varie registrazioni di linguaggio spontaneo di bambini alla ricerca della
parola "quasi" (utilizzata come indicatore di qualcosa che non è avvenuto ma avrebbe potuto essere),
hanno dimostrato come già tra i 2 ed i 3 anni i bambini siano in grado di valutare che un evento
osservato avrebbe potuto essere diverso (anche se per limiti lessicali e sintattici non usano ancora le
particelle ipotetiche "se-allora");
2. Pensare agli Antecedenti Controfattuali: due esperimenti di Harris e collaboratori (1996) hanno
confermato le capacità dei bambini di 3-4 anni di:
- comprendere che cambiando gli elementi causali gli effetti cambiano;
- comprendere che cambiano alcuni elementi causali gli effetti sono gli stessi.
L'esperimento si basava su una storia in cui cambiando un elemento l'esito era diverso, ed un’altra
storia in cui cambiano l'elemento causale l'effetto era comunque uguale. Questo serviva per valutare
la comprensione effettiva dei bambini della controfattualità degli elementi ipotetici.
In un altro esperimento (1996), sempre Harris e colleghi hanno valutato la capacità autonoma, e non
su richiesta, di usare il pensiero controfattuale nei bambini di 3-4 anni. I risultati, basati sulla domanda
del perché era avvenuto un determinato evento e su come si sarebbe potuto evitarlo, hanno
confermato che, sebbene i bambini non usino ancora il periodo ipotetico ma altre forme verbali (ad es.
aver bisogno di, volere, non, forma condizionale del verbo, volere...), essi siano in grado di capire
l'elemento causale e le ipotetiche soluzioni. Dal modo di spiegare l'evento e dagli usi verbali emerge
come i bambini considerino alcuni esiti come deviazioni da una procedura operativa standard;
3. Quando i Bambini Ricorrono al Pensiero Controfattuale: vari studi (German, 1999; Harris,
2000) hanno poi dimostrato come i bambini usino il giudizio controfattuale sia in situazione negative
che positive, ma che comunque in quest'ultime sia più difficile da valutare in quanto confermeranno
solo la scelta corretta già effettuata dal protagonista, senza citare quella che avrebbe portato esito
negativo. Inoltre hanno dimostrato di saper valutare le caratteristiche distintive causali che
determinano un esito (ad es. un panino grande sfama più di uno piccolo, ma un panino al pollo non
sfama di più di uno al formaggio. Quest'esempio è stato fatto per comprendere se i bambini
valutavano davvero le due alternative o sceglievano arbitrariamente tra le possibilità).
Infine, rispetto alle Implicazione del Pensiero Causale Infantile si nota come esso sia determinato
dalle crescenti abilità infantili di pensiero controfattuale e come i bambini tendano ad attribuire più
valore a determinati eventi in quanto sono visibilmente più causali di altri. In questo senso Bartsch e
Wellman (1995) hanno dimostrato come i bambini considerino prima i desideri delle persone (dai 30
mesi) rispetto alle loro credenze.
Da questo si desume come le analisi causali rischino di essere particolarmente "ottuse", in quanto
basate su antecedenti alternativi limitati alle cose osservate in passato, ed in questo modo non
considerino alcune costati che hanno comunque un potere causale (esempio di questo è l'ossigeno
che è comunque sempre elemento causale di un incendio ma che non viene mai citato, neanche dagli
adulti, tra gli elementi causali vista la sua costanza nell'aria).
CAPITOLO 7 - OBBLIGHI E VIOLAZIONI
In un suo studio Wason (1966), e successivamente Johnson-Laird e Legrenzi (1972), hanno
dimostrato la difficoltà riscontrate dagli adulti nel rilevare errori ad una regola condizionale basata sul
modello "se-allora".
Successivamente Cosmides e Cheng (1989, 1985) hanno determinato alcuni elementi che
aiuterebbero nella soluzione del compito:
- concretezza della regola;
- presenza di regole prescrittive.
In questo senso bisogna ricordare che una regole prescrittiva non viene messa necessariamente in
dubbio da controesempi, mentre una regola descrittiva viene compromessa da casi contrari.
Vi è però una distinzione teorica:
- Cheng e Holyoak (1985): nel mondo esistono un sacco di regole prescrittive ed è per l'esperienza
che si fa di queste che gli esseri umani siano più abili in questi compiti;
- Cosmides (1989): la soluzione di tali compiti si basa su un modulo cognitivo specializzato. Questo
modulo si sarebbe sviluppato evolutivamente per favorire i soggetti più abili a scoprire inganni in
contratti di negoziazione cooperativa (elementi base degli scambi interpersonali).
I Bambini hanno dimostrato una dotazione innata nel comprendere questo tipo di regole, in cui viene
compiuta un'azione desiderata a patto che sia soddisfatta una pre-condizione. Questo permette allora
di fare tre ipotesi:
- i bambini sono in grado di comprendere azioni che violano la regola (azione compiuta quindi ma
senza pre-condizione);
- comprensione della natura condizionale dell'obbligo (condizione soddisfatta solo se viene compiuta
l'azione);
- capacità di confronto tra ciò che è stato fatto e ciò che andava fatto (confronto fattuale/non-fattuale).
Uno studio di Harris e Nùnez (1996) ha dimostrato il possesso delle abilità prima citate nei bambini, e
come esse si basino sull'utilizzo, descritto nel capitolo precedente, del pensiero controfattuale.
Si è poi provato un nuovo esperimento rispetto alle Capacità di Ragionamento su Regole Deontiche
Nuove che quindi non abbiano due delle caratteristiche dell'esperimento precedente:
- comprensione di regole familiari o di uso quotidiano;
- regole che contenessero un elemento precauzionale (ad es. mettersi il grembiule per non sporcarsi).
I risultati hanno indicato una buona capacità del bambino di comprendere queste regole e le relative
violazioni, anche se in modo leggermente meno preciso che nei casi di regole familiari e logiche.
Anche nei bambini è stata riscontrata una minore comprensione delle regole descrittive, come per gli
adulti, ed inoltre, contrariamente a quanto sostenuto da Piaget, sembra che i bambini considerino
anche l'intenzionalità della violazione, tendendo a non colpevolizzare il soggetto per una violazione
accidentale o involontaria, ma usano quest'abilità in modo non sistematico (quindi non sempre se
richiesto) e tendono a non essere in grado di usarla se la violazione comporta a loro un danno
personale (o ai propri oggetti).
E' stato inoltre dimostrato che, già a 3-4 anni i bambini sono in grado di compiere accordi tra loro e di
comprendere quando uno dei due soggetti non ha rispettato i patti prestabiliti.
Bisogna ora riassumere le Conclusioni ottenute dagli studi su bambini di 3 e 4 anni in Europa,
America e Asia:
- comprensione delle regole deontiche, anche se nuove e inusuali;
- comprensione della natura condizionale delle regole;
- comprensione della volontarietà o dell'accidentalità dell'azione;
- consapevolezza degli obblighi provenienti da adulti e coetanei.
Dagli studi analizzati, e dall'uso generalizzato che i bambini di 2-3 anni fanno dei termini "bisogna",
"dovresti" e "devi", si può considerare l'esistenza già a quest'età di un Concetto Ampio di Vincolo
(constraint) che andrebbe sviluppandosi e adattandosi alle varie situazioni con il passare degli anni e
con lo sviluppo di nuove relazioni ed esperienza.
Va infine considerato che il Concetto di Vincolo nei bambini si basa su due elementi:
- Concetto di Libero Agente: consapevolezza di poter eseguire o non eseguire una determinata
azione;
- Concetto di Finalizzazione: ciascun comportamento ha uno scopo e delle conseguenze reali.
I bambini, tramite il Pensiero Controfattuale, attuerebbero quindi delle simulazioni nella loro mente su
come le cose sono state fatte e come andavano fatto, comprendendo quindi l'errore compiuto, anche
quando questo non comporta necessariamente effetti negativi (non è detto che i bambini
comprendano sempre il fine degli obblighi ma tendono a considerarlo comunque un elemento
presente. Questo spiega anche la frequente domanda infantile "ma perché devo farlo?).
CAPITOLO 8 - OLTRE IL POSSIBILE
Nei precedenti capitoli sono state analizzate due Funzioni dell'Immaginazione:
- immersione in un mondo di fantasia;
- pensiero controfattuale.
In questo capitolo si affronterà la terza funzione, che è l'Esplorazione dell'Impossibile e del Magico,
la quale accompagna costantemente l'evoluzione cognitiva umana, permettendo di rappresentarsi
anche esiti impossibili a livello reale.
Analizzando i Primi Studi Riguardanti il Pensiero Magico, Huang (1930), contraddicendo le teorie
di Piaget secondo cui i bambini fino ad 8 anni non sono completamente capaci di distinguere tra
causalità normale e magica, e successivamente Mead (in uno studio compiuto sui bambini della
popolazione Manus) hanno dimostrato come generalmente i bambini già a 4 anni cerchino spiegazioni
provenienti dai domini psicologici, fisici e biologici ad eventi per loro ancora incomprensibili, non
facendo necessariamente ricorso a teorie magiche.
Va comunque ricordato, come sostenuto nei loro studi da Phelps e Woolley (1994), che alla magia è
riservata una nicchia mentale, e viene comunque usata per spiegare fenomeni:
- con evidenti violazioni dei normali principi causali;
- non è possibile trovare spiegazioni logiche tramite altri principi integrativi.
Si giunge quindi ad una conclusione, che può però apparire paradossale: con la crescita e la
maturazione i bambini tendono a divenire più "esperti" delle leggi causali e ad utilizzare sempre meno
spiegazioni magiche per gli eventi, ma più fanno esperienza degli elementi causali e più sono in grado
di immaginare elementi magici, che contraddicano queste leggi. Vi è quindi una diminuzione della
categoria "magia" nella realtà, a cui però si associa un suo aumento nel mondo della fantasia.
Vari studi successivi (Johnson e Harris, 1994; Rosengren e collaboratori, 1994) hanno poi permesso
di rilevare la comprensione da parte dei bambini piccoli di alcuni Vincoli Fondamentali:
- la materia non si crea dal nulla;
- gli oggetti inanimati non cambiano forma né identità;
- processi complessi come crescita ed invecchiamento sono irreversibili.
I bambini spiegherebbero quindi con la magia solo le Violazioni ai Normali Principi Causali.
Bisogna ora analizzare due contesti in cui la distinzione tra ciò che è possibile e ciò che potrebbe
eccezionalmente avvenire è particolarmente marcata:
1. Fiabe: in contrasto con le teorie di Bettelheim (1929), secondo cui le fiabe avrebbe il ruolo di
permettere il fronteggiamento di ansie e frustrazioni e si baserebbero, come il pensiero infantile
(utilizzando le teorie di Piaget), su una concezione pre-causale, Subbotsky (1994) ha dimostrato le
capacità dei bambini di 4 anni di distinguere tra eventi veri e fiabeschi. Il ruolo delle fiabe sarebbe
quindi non quello di aderire ad un modello pre-causale del pensiero infantile, ma di suscitare interesse
proprio per gli elementi emotivamente carichi ed inusuale, in quanto violano la causalità classica;
2. Credenze Religiose: i bambini comprendono già da piccoli gli elementi ontologicamente impossibili
insiti nelle credenze religiose, e sono quindi in grado di rappresentarsi Dio non come essere umano,
ma come essere in grado di violare i normali vincoli causali. Questo spingerebbe quindi i bambini ad
immaginare, anche sapendole non realistiche, tali violazioni.
Harris ha poi teorizzato la presenza di Effetti Pervasivi tra Realtà ed Immaginazione e li ha
analizzati in vari esperimenti (1994). Basati sul far immaginare a un bambino che in una delle due
scatole vuote vi fosse un essere vivente o un oggetto, questi esperimenti rilevavano le reazioni dei
bambini lasciati soli nella stanza insieme alle scatole e la loro successiva spiegazione dei
comportamenti adottati. Si sono creati principalmente due gruppi di bambini, in base ai profili di
risposte:
- Credulità: hanno più volte aperto la scatola per vedere se davvero non c'era nulla dentro. Hanno poi
spiegato il loro comportamento dicendo che non erano sicuri che la scatola fosse vuota (anche se
prima dicevano di si) e utilizzando spiegazioni magiche su come l'oggetto sarebbe finito nella scatola;
- Scetticismo: hanno guardato poche volte o mai nella scatola. Si sono dichiarati sempre sicuri che la
scatola fosse vuota in quanto, rispetto ai normali vincoli causali, nulla poteva esserci entrato senza
essere visto.
Il Processo degli Effetti Pervasivi si basa su tre fasi principali:
I - Immaginazione: sollecitata dallo sperimentatore;
II - Valutazione delle Probabilità: vista la maggiore disponibilità mentale dovuta all'immaginazione
precedente, il bambino può propendere verso la credulità o lo scetticismo;
III - Azione: conseguente e correlata al processo di valutazione.
Le Spiegazioni per la Propensione a Credulità vs. Scetticismo sono principalmente due:
- caratteristiche personali legate alle capacità immaginative e di coinvolgimento nella fantasia
(caratteristiche che rimangono stabili anche negli adulti);
- elementi situazionali che spingono verso una delle due posizioni.
Rispetto all'Analisi della Credulità Infantile da due studi di Subbotsky (1985, 1994) hanno
dimostrato come i bambini, invitati dallo sperimentatore, tendano a prendere in considerazione la
possibilità di elementi con proprietà magiche, propendendo per un atteggiamento più basato sulla
credulità, e che lo esaminino empiricamente per vederne il funzionamento.
In Conclusione elementi culturali (fiabe, religione...) tendono a spingere i bambini ad immaginare
elementi magici che superino i vincoli causali e questo a tratti li porta (come anche per gli adulti) a
pensare a tratti che essi siano possibili anche nella realtà.
CAPITOLO 9 - LINGUAGGIO E IMMAGINAZIONE
Per giungere alla connessione tra Linguaggio ed Immaginazione bisogna riassumere prima gli
Elementi dell'Immaginazione emersi fin ora:
- Gioco di Finzione come Trasformazioni Possibili di una Situazione e come Cambio di Identità e
Prospettiva;
- Attribuzione Caratteristiche Reali agli Elementi Immaginati;
- Attivazione Emotiva nelle Esperienze Immaginate;
- Capacità Infantile di Distinguere tra Immaginazione e Realtà, Regolando Conseguentemente lo Stato
Emotivo;
- Capacità di Inferire Conclusioni Appropriate da Premesse False o Non Familiari;
- Capacità di Pensiero Controfattuale;
- Capacità di Immaginare Violazioni ai Principi Causali.
Contrariamente alle Teorie di Freud e Piaget sulla Fase Autistica Infantile dell'Immaginazione, Harris
propone un Concetto di Immaginazione che si basa su:
- sintonia tra immaginazione e relazioni sociali;
- immaginazione non governata da desideri insoddisfatti;
- integrazione con l'analisi di realtà compiuta dal bambino.
Leslie (1987), cercando di comprendere il motivo che spinge i bambini all'immaginazione, ha
teorizzato che questo sia dovuto allo sviluppo e perfezionamento delle capacità di mentalizzazione.
Solo attraverso il gioco di finzione si riuscirebbe quindi a cogliere la natura mentalistica delle azioni.
Diversamente da questa teoria, spesso criticata in quanto non sembra supportata da ricerche
empiriche univoche, Harris si concentra sul Rapporto tra Immaginazione e Linguaggio e teorizza
che vi sia una sinergia tra quest'ultimo e il gioco di finzione, basata su quello che egli definisce
Modello Situazionale. Vi sarebbe quindi una concordanza nell'uso di tale modello sia negli adulti al
fine di elaborare un accordo coerente, sia nei bambini nel gioco di finzione. Le Fasi Principali sono:
- costruzione mentale di una rappresentazione dell'elemento immaginario;
- utilizzo di una prospettiva spazio-temporale in prima persona (Centro Deittico);
- creazione di nessi causali anche quando non esplicitati.
Il gioco di finzione avrebbe quindi il ruolo di giungere alla capacità di comprendere e produrre il
discorso narrativo. Il fatto che la comprensione del discorso si basi su una necessaria sospensione
della realtà, facendo ricorso ad un modello immaginativo di simulazione mentale, sarebbe dovuto dalla
necessità portata dai racconti di eventi passati o futuri di cui il bambino non ha fatto esperienza (e
quindi non può recuperare un modello dalla memoria a lungo termine) che sono comprensibili solo
creando un modello con una diversa collocazione spazio-temporale.
Questa teoria sarebbe comprovata dal fatto che a 2 anni linguaggio e gioco di finzione si sviluppano
contemporaneamente e, sin dall'inizio, il bambino è in grado di usarli in modo coordinato, ed inoltre
spiegherebbe anche le difficoltà evidenti in queste due aree sia nei primati che in bambini autistici.
Inoltre sarebbe quindi lo sviluppo del linguaggio e del gioco di finzione a consentire la comprensione
delle credenze e degli stati mentali altrui.
Queste capacità nel loro sviluppo consentono quindi al bambino, ma anche successivamente
all'adulto, la rappresentazione di elementi passati, presenti e futuri, permettendo una comprensione
degli eventi e delle relazioni basata sul pensiero controfattuale e, in alcuni casi, anche sul pensiero
dell'impossibile e del magico.