Francisco Goya

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Francisco Goya
Francisco
GOYA Y LUCIENTES
TUTTO IL MONDO E’MASCHERATA
“Il mondo è una mascherata. Il volto, l’abbigliamento, la voce, tu9o è menzogna. Ognuno vuole sembrare ciò che non è, tu= ingannano e nessuno conosce se stesso.”
Siamo nella seconda metà del ‘700: la Spagna è acclamata come vera e propria su-­‐
perpotenza europea, capace di sedersi accanto ai poten< della terra ma anche di comba?ere ad armi pari contro di loro, pronta a riba?ere sul campo di ba?aglia alle insolen-­‐
ze dell’Austria, dell’Inghilterra, della Francia. A Madrid arrivano Anton Raphael Mengs e GiambaHsta Tiepolo, i più celebri pi?ori del secolo, a tes<monianza del vivacis-­‐
simo clima culturale che si respirava nella Spagna illumini-­‐
s<ca e illuminata dal regno di Carlo III. Nel Se?ecento si Cordoba, Moschea
era instaurata la dinas<a dei Borbone, la quale fece notevoli sforzi per rinnovare le is<tuzioni statali. Agli inizi dell'O?ocento la Spagna poi verrà invasa dalle truppe napoleoniche. Questo evento porterà ad una vi?oriosa ma devastante guerra d'indipendenza che indebolirà fortemente la Spagna per creare le premesse per l'emancipazione delle colonie americane. In questo clima si forma la personalità di Francisco Goya (1746-­‐
1828), inizialmente avventuriero, rissoso vagabondo, donnaiolo, torero, poi festoso e mondano protagonista dell’Illuminismo se?ecentesco. Per poi ripie-­‐
gare verso un mondo personale guardato con gli occhi del sognatore e del vi-­‐
sionario e chiudersi in una in<ma, malinconica, tormentata e ribelle solitudine.
Fu uomo di Corte, deciso a ripercorrere le orme del “faro” Velazquez. Interpre-­‐
te di una società e di un mondo gaio ed elegante, ma anche preda della solitu-­‐
Goya, self-portrait
dine, della malaHa, della propria sordità e dei propri fantasmi. Ossessionato dall’incubo di una realtà senza suoni, soffrì per la sua patria, per la sua gente e per le ingius<zie, i soprusi e le miserie del mondo. Conobbe la mediocrità e la comba?è, in nome di una stre-­‐
nua fiducia nella libertà e nella autonomia di giudizio. Provò la abissale paura di non essere capito e di non riuscire a capire, il terrore di finire schiavo e di essere sopraffa?o dai mostri del proprio inconscio. Ma non smise mai di credere nella forza della ragione. Non smise mai di credere nell’uomo, anche se derise e maltra?ò l’umanità intera me?endone in evidenza gli aspeH più brutali, più infami e oscuri. Francisco
GOYA Y LUCIENTES
Derise i poten< e ferì gli ignoran<, si burlò amaramente del clero e dei bambini, sempre vis< come veicoli di una innocenza malata, bambole di porcellana con l’espressione di una malignità congenita nell’uomo. Goya ritrasse il lusso e la disperazione, il sacro ed il profano, la vita e la morte, il bru?o ed il bello...
Il suo è un dipingere con la libertà di poeta i mo? dell’anima. Non si lascia condizionare dagli schemi neoclassici, perfezionis< della sua epoca, anteponendo la descrizione interiore, il fa?o soggeHvo ai parametri da< dall'esterno. Diversi pi?ori avevano Goya, I duchi di Osuna, 1788
raffigurato anche una realtà inconscia, con i suoi <mori e le sue speranze, come Hieronymus Bosch (1450-­‐1516), ma si tra?ava di dar forma simbolica ad un sen<re colleHvo. Francisco Goya comincia da sé, si interroga, affonda nel suo inconscio per tro-­‐
vare delle risposte o almeno per liberare le domande e le esigenze dello spiri-­‐
to. Una realtà interiore negata o sconosciuta da chi non la vuole , non riesce, non può individuare.
Non manca in Goya una lucida cri<ca alla realtà del suo tempo, l'il-­‐
luminis<ca ragione, anzi, vede ben oltre l'apparenza e ne dà tes<monianza. Questa sua auten<cità/originalità non gli impedirà di diventare un pi?ore ri-­‐
cercato dalle cor< in quanto un buon senso pra<co lo porterà a districarsi abilmente nelle difficol-­‐
Goya
Retrato de Fernando VII con manto real, 1814
tà. Cosa serve infaH la fama e la gloria quando tu?o viene divorato dalla morta gola del tempo?
Goya, Viejos comiendo sopa, 1819
Goya porta sulla tela la guerra della resistenza spagno-­‐
la alle armate napoleoniche, prima speranza di libertà in tu?a Europa, poi rivelatesi lo strumento di sopraffazione di un mitomane.
V o l t a i r e p a r a g o n e r à l'umanità a ba?eri in lo?a Goya, Questo è peggio
tra loro. Se non distrugge-­‐
Goya, Che altro si può fare
Francisco
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ranno il loro piane<no terrestre avranno il tempo per crescere. L’Europa sarà insanguinata da contese di sta< ed ideologie. Al posto della ragione l'imposizione della forza bruta. Goya assi-­‐
ste impotente al "sonno della ragione che produce mostri".
Ed allora vale la pena di riconoscere nell'uomo, in sé, ques< demoni per non esserne assogge?a<. In svariate opere Goya dà sfogo alle sue immagini oniriche, talvolta orride, di difficile interpretazione in quanto è facile proie?are in esse le proprie associazioni inconsce anziché risalire alle mo<vazioni originarie. Tra queste opere, qua?ro diverse serie di acquefor11: "I capricci", che me?ono a nudo il lato bes<ale e oscuro dell'uomo.
I "Disastri della guerra", ciclo di o?antadue acquefor< realiz-­‐
zate dal pi?ore tra il 1814 e 1820. Le incisioni-­‐ che ispirarono a Goya i due capolavori del Prado “Il 2 maggio 1808: la lo8a contro i mamelucchi” e “Le fucilazioni del 3 maggio1808”-­‐ si presentano come uno squarciante urlo muto. Il tra?o nervoso e graffiante dà vita a immagini “sporche”, che sembrano nate dire?amente dalla fuliggine della polvere da sparo o dalla terra bruciata del campo di ba?aglia. Quelle del maestro spagnolo sono classificabili come vere e proprie “istantanee dell’orrore”, antenate degli odierni reportage di guerra, nelle quali Goya mostra come il confli?o riesca a <rare fuori il peggio della natura umana, senza alcuna dis<nzione di parte tra invasori e invasi, tra vincitori e vin< (l’atroce serie delle “Mu<la-­‐
zioni”).
La tecnica dell'acquaforte era nota fin dai tempi an4chi e veniva impiegata per incidere decorazioni sulle armi. Alcuni dei primi ad u4lizzarla per le stampe d'arte sono sta4 Albrecht Dürer in Germania e il Parmigianino in Italia.
È una tecnica calcografica molto diffusa consistente nel corrodere una lastra di metallo (zinco di solito; rame per grandi 4rature, come nel passato) con un acido, per ricavarne immagini da trasporre su un supporto (carta normalmente) per mezzo di colori. La lastra di spessore necessario, disponibile in commercio, viene ripulita e smussata ai bordi con carta smeriglio, poi sgrassata nella parte lucida con ovaHa intrisa, per esempio, con bianco di Spagna (carbonato di calcio) sciolto in acqua. Cosparsa uniformemente con un coprente a protezione dall'acido (cera, asfalto, gomma, mas4ce...) viene affumicata con un mazzo di candele. Quindi si incide il disegno nel materiale proteLvo con una punta soLle (a mano libera o ripassando una bozza su carta decalcante chiara), per meHere a nudo il metallo in corrispondenza dei segni che appariranno sulla carta grazie all'inchiostro. S'immerge la lastra in acido (dopo averne cospar-­‐
so di coprente la faccia posteriore) iniziando la morsura, che può essere faHa a più riprese scoprendo man mano le par4 da incidere, per oHenere scavi diversamente profondi. L'acido incide il metallo solo dove non proteHo. Giudicata completa la lastra, la si lava con benzina od acquaragia, la si asciuga e la si 4ene come matrice del disegno da replicare. La stampa avviene al torchio calcografico su carteinumidite prima, cospargendo di inchiostro grasso con un tampone di pelle la lastra e scaldandola un poco per favorire la pene-­‐
trazione della 4nta nei solchi e la sua cessione alla carta, previa pulitura delle par4 che dovranno risultare bianche sul foglio stampato.
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Francisco
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La serie grafica 'Los Disparates', (h?p://youtu.be/kRfdvggx3OQ) è una delle opere più miste-­‐
riose che abbia realizzato Francisco Goya, ed è rimasta incompiuta. Composte tra il 1816 e il 1823, queste incisioni furono stampate nella prima <ratura solo nel 1864 per conto della Reale Accademia di Spagna e in seguito in altre o?o edizioni. Il <tolo 'Disparates' significa follie, fan-­‐
tasie. Il tema sociale, già ampiamente tra?ato da Goya nei Capricci, si svilup-­‐
pa in modo fantas<co in ques< fogli, e l'interpretazione della serie come for-­‐
temente legata alla cri<ca sociale è la più plausibile. Un'altra le?ura avvicina queste incisioni alle tradizioni carnevalesche, ma -­‐-­‐ considerando anche la forte presenza in esse di animali e mostri, simbolo delle passioni umane -­‐-­‐ l'allegoria poli<ca e sa<rica delle is<tuzioni resta l'interpretazione più plausibile. Infine ricordiamo la serie chiamata Tauromachia, realizzata tra il 1814 e il 1816 per illustrare, nell’eterna lo?a fra tori e toreri, una sorta di allego-­‐
ria della vicenda umana.
La sordità causata da una malaHa contra?a nel 1792 aveva acuito la sua capacità di osservazione, la percezione delle nega<vità che raffigura, senza risparmiare nessuno. Per questo nel 1815 Goya dovrà rispondere al tribunale della Santa Inquisizione sul contenuto di alcuni suoi dipin<. Ri-­‐
uscirà comunque a farsi assolvere.
Il clima sociale e poli<co della Spagna si faceva sempre più opprimente. Ferdinando finirà per instaurare un regime del terrore inseguendo i simpa<zzan< dei francesi. In questo contesto Goya vive il periodo più intro-­‐
verso e comba?uto della sua esistenza come dimostrano le pi9ure "nere" lasciate sul muri della sua casa ol-­‐
tre il Manzanarre. Ma non fu mai solo anche quando gli morì la moglie nel 1812: le amicizie , gli affeH e gli amori occasionali furono una costante della sua esistenza. Ritroverà pace e momen< di spensierata gaiezza a Bordeaux, in Francia, dove lo aspe?ava una giovane vedova che condivise con lui gli ul<mi anni. Morirà alla fine di un viaggio di ritorno a Madrid per incontrarsi con suo figlio. Francisco
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Il sonno della ragione genera mostri
1797, acquaforte, 21,6 x 15,2 cm
Madrid,
Biblioteca Nacional de España
Tra gli o?anta Capricci compos< nel 1797, dobbiamo ricordare questo fondamentale disegno. Raffigura probabil-­‐
mente lo stesso Goya che, mentre dorme con la testa abban-­‐
donata tra le braccia sul tavolo, viene assalito da una folla or-­‐
renda di uccellacci no?urni, gufi, cive?e. E’ rappresentato in questa tavola il cuore stesso della tema<ca dei Capricci, che si snoda a?orno al confli?o tra razionalità e irrazionalità. Un ammonimento per gli Sta<, per la Spagna stessa, che -­‐lascian-­‐
dosi sommergere dai vizi e dalla corruzione-­‐ rischiano di nau-­‐
fragare e di trascinare nella catastrofe tu?o ciò che di sano ancora esiste. Ma paradossalmente i “mostri pieni di vita” di Goya preludono non a una visionarietà fantas<ca e staccata dal vero, bensì pre-­‐
ludono al realismo. Il loro scopo primario è ancora quello di salvare la ragione: quasi tuH i soggeH dei Capricci hanno una didascalia, scri?e che la corredano, a so?olineare il significato nascosto della tavola.
El quitasol (Il parasole)
1777, olio su tela, 152 x 104 cm, Madrid, Prado
Nel 1775 Goya e la moglie lasciano Saragozza per recarsi a Ma-­‐
drid. Qui, grazie all'interessamento del cognato Francisco Bayeu, Goya entra a lavorare presso la Real Fábrica de Tapices de Santa Bárbara. Come primo incarico gli è richiesto di realizzare insieme a Ramón Bayeu (fratello minore di Francisco) nove cartoni per gli arazzi2 des<na< alla tenuta di caccia El Par-­‐
do del re Carlo III. I cartoni hanno come tema la caccia, sport molto amato da re Carlo III e dai suoi predeces-­‐
sori, tanto che già Diego Velázquez aveva realizzato nel secolo precedente una grande tela su questo tema, raffigurante Filippo IV in una caccia al cinghiale.
L'arazzo è una forma di arte tessile che si pone a metà strada tra l'ar4gianato e la rappresentazione ar4s4ca. Tecnicamente è un tessuto a dominante di trama (poiché a lavoro finito l'ordito non si vede) realizzato a mano su un telaio e des4nato a rives4re le pare-­‐
4. Solitamente di ampio formato, rappresenta grandi disegni molto deHaglia4.
Il disegno preparatorio, o cartone, di un arazzo veniva realizzato da un piHore, anche di una certa fama: il risultato finale dipendeva dall'abilità dell'ar4giano incaricato dell'esecuzione. Il termine italiano "arazzo" deriva dal nome della ciHà francese di Arras, dove, nel Medioevo, venivano prodoL i migliori arazzi. 2
Francisco
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D o p o questa prima serie di cartoni a Goya fu com-­‐
missionata una serie di cartoni per decorare la sala da pranzo del principe del-­‐
le Asturie (futu-­‐
ro Carlo IV) an-­‐
cora presso El Pardo. Gli arazzi dovevano rappresentare scene campestri, soggeH popolari e di diver<mento. InfaH i cartoni raffigurano persone che danzano, lo?ano, bevono, fanno dei picnic, giocano a carte o con degli aquiloni. Il Parasole introduce le figure di majo 3 e maja e ci appare come uno dei cartoni più felici della serie. Eseguito per un arazzo des<nato a decorare un sopra porta, è originale per la composizione della scena, per l’a?eg-­‐
giamento malizioso della fanciulla e del cavaliere che sos<ene l’ombrellino. Fresco e brillante, straordinaria-­‐
mente luminoso il colore, come il sorriso della giovinezza. Il paesaggio che rappresenta le verdi colline madri-­‐
lene sembra quasi trasparente.
Tu?a la scena è un pretesto per creare una composizione immersa nella luce. Ciò che sembra interessare Goya è il contrasto tra luce dire?a e luce riflessa, tra il volto in pieno sole dell’uomo e quello, nella luce rifles-­‐
sa dell’ombrello, della donna. I toni dei colori rivestono un ruolo fondamentale, quasi magico: il verde del-­‐
l’ombrello, il giallo-­‐ocra della giacca del cavaliere, il rosso del gilet e quello dell’acconciatura della dama, l’az-­‐
zurro del corpe?o e il giallo dilagante della gonna. Sul bianco della veste che copre la gonna risalta la macchia nera del cagnolino, mentre il colore luminoso del mantello è valorizzato dal collo di pelliccia. E’ una vera festa delle trasparenze dell’atmosfera, declinata secondo gli accostamen< dei tan< colori presen<.
I majos e le majas sono i giovani uomini e le giovani donne popolani spagnoli -­‐rappresenta4 sempre con folcloris4ci costumi-­‐ che, malgrado provengano dai ce4 più bassi della società, esprimono grande dignità ed eleganza.
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Lo sposalizio
1792, olio su tela, 267 x 293 Madrid, Museo del Prado
La grande tela fa parte del gruppo di cartoni per gli arazzi dello studio del re a San Lorenzo dell'Escorial, dove erano rappresentate scene agres< e giocose. In questa compo-­‐
sizione il paesaggio viene meno: lo spazio è definito da un'archite?ura schema<ca, dominata dal mo<vo classico dell'arco che qui diventa l'occasione per creare uno sfondo luminoso sul quale risaltano le figure centrali. L'unico elemento di profon-­‐
dità è cos<tuito dai gradini in primo piano. I personaggi allinea< sfilano da destra verso sinistra, dalla chiesa verso la casa degli sposi. L'allegria degli astan< non coinvolge la giovane sposa assorta nei suoi pensieri. Altri elemen< lasciano pensare che si traH di un matrimonio d'interesse: anzitu?o la bru?ezza palese dello sposo che appare preoccupato per l'espressione assente della moglie; quest'ul<ma, con l'aria di colei che ha compiuto il proprio dovere, guarda al futuro con tristezza. Di ciò sembrano accorgersi le donne che la osser-­‐
vano con imper<nente allegria. Dietro agli sposi avanza soddisfa?o e rubicondo il prete che li ha uni< in matrimonio, accompagnato da un padre felice per la sistemazione della figlia. All'epoca il tema dei matrimoni di convenienza è in voga anche nelle rappresentazioni teatrali e nelle opere le?erarie.
Rispe?o ai cartoni preceden< la figura umana acquista una nuova importanza nell'impaginazione generale: Goya coglie l'occasione della rappresentazione del gruppo per ritrarre una carrellata di <pi diversi. Anche il contenuto morale risulta più esplicito nel passaggio dall'infanzia sulla sinistra, a?raverso gli sposi, all'immagi-­‐
ne del vecchio che rifle?e sul valore della vita passata.
Francisco
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La famiglia di Carlo IV
1800, olio su tela, 280 x 336, Madrid, Museo del Prado
Goya aveva chiara-­‐
mente in mente per questo gruppo reale la composizione delle Meninas di Velázquez, che aveva copiato in un'incisione mol< an-­‐
n i p r i m a . C o m e Velázquez, si è messo a un cavalle?o ad un lato della tela. Le figure sono rag-­‐
gruppate quasi am-­‐
massate di fronte al muro e non vi è alcun tenta<vo di creare un'illusione di spazio. Gli occhi di Goya sono direH verso lo spe?atore come se stesse guardando tu?a la sce-­‐
na in uno specchio. La scena sembra dominata non tanto dal re Carlo IV, ma dalla figura centrale della Regina, Maria Luisa, famo-­‐
sa per la sua bru?ezza, accentuata dal suo costume ornato e dai ricchi gioielli. I ritraH commissiona< dai nobili gli consentono di guadagnare e nello stesso tempo di inquadrare la realtà psicologica dei personaggi. Loro cara?eris<ca sono i passatempi per sen<rsi importan<, avere tante cose per essere poi adula< dagli ipocri< invidiosi, cara?eris<ca di chi vive per apparire senza rendersi conto che l'illu-­‐
sione sfuma giorno dopo giorno.
In questo dipinto sembra andare in scena l'ineHtudine, la vanagloria di ques< povereH che si trastullano di potere e di ricchezza. Dipinge l'ebe<smo dei loro vol< con un sorprendente realismo. Non c'era il rischio che potessero offendersi poiché Goya sapeva che non erano in grado di giudicarsi. Comunque li dipinge con abi< sfarzosi, scin<llan< come se concedesse diver<to a dei bambini i loro gioca?oli più ama<: questo avrebbero visto ad opera conclusa, non altro. Le ombre raccolgono le figure in un triste isolamento, quello stesso della loro effeHva miseria .
Francisco
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La maja desnuda
1800, olio su tela, 97 x 190 cm, Madrid, Museo del Prado
La maja vesFda
1803, olio su tela, 97 x 190 cm, Madrid, Museo del Prado
Accanto alla Venere allo specchio di Die-­‐
go Velazquez e alla Olympia di Edouard Manet, la Maja desnuda è uno dei più famosi nudi della storia dell’Arte, reso ancora più affascinante dalla presenza della modella, in un’altra tela gemella, completamente ves<ta. Alla trasparenza e allo splendore dell’incarnato della Ma-­‐
ja desnuda fanno riscontro la preziosità e la raffinatezza delle ves< della Maja ves?da. Osservate vicine, la due imma-­‐
gini appaiono come un’unica “maja”, una sola persona colta nel primo e nel-­‐
l’ul<mo momento di una ideale sedu-­‐
zione. La tradizione vuole che in casa dell’amante della regina, il primo mini-­‐
stro Manuel Godoy -­‐al quale i due qua-­‐
dri appartennero-­‐ essi non fossero di-­‐
spos< uno accanto all’altro, ma che quello della fanciulla ves<ta coprisse l’altro facendogli da schermo, per scomparire poi, improvvisamente, con lo sca?o di una molla. Entrambe le composizioni sono giocate sulla disposizione diagonale della figura e sulla trasparenza e luminosità dei colori in contrasto con i toni dello sfondo.
Ciò che maggiormente colpisce nella Maja desnuda è il cara?ere realis<co e sensuale che essa emana: la gio-­‐
vane maja, dalle proporzioni minute, si offre generosamente allo spe?atore; il suo sguardo dire?o non ha nulla di lascivo; il suo corpo è di un'orgogliosa naturalezza. Lontana dalle idealizzazioni dei proto<pi la “maja” mostra con semplicità la verità di tuH i de?agli anatomici. Nella Maja ves?da dell’orgogliosa naturalezza ostentata dal corpo della Maja desnuda resta traccia solo nel volto. La figura ves<ta infaH è carica di ambiguità: gli abi< sembrano avere come unico scopo quello di far risaltare un corpo provocante e sensuale. La fanciulla inoltre sceglie un <po di abbigliamento che non appar-­‐
<ene alla sua estrazione sociale, ma si traveste, lasciando allo spe?atore il compito dello svelamento.
Francisco
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Le fucilazioni del 3 maggio 1808
1814, olio su tela, 266 x 345, Madrid, Museo del Prado
Il 3 mag-­‐
gio 1808 è uno dei quadri storici più dramma<ci che mai siano sta< realizza<. Il sen<mento che emana l'opera è l'amore per la liber-­‐
tà e la patria; un sen<mento che di-­‐
viene storicamente una rivolta contro la crudeltà delle ese-­‐
cuzioni in massa del popolo ad opera dei solda< francesi. Goya quindi rappresenta la ribellione delle passioni popolari che vengono immortalate nei ges< di sofferenza dipin< dall'ar<sta. Lo straordinario modo di dipingere del maestro spagnolo si concre<zza nella ricerca dell’inquadratura, della composizione, della luce e dei colori gius< per trascinare lo spe?atore all’interno del quadro, abile come un regista cinematografico nel coinvolgerci nella trama del film. E la luce abbagliante della lanterna illumina la scena e rivela gli atroci par<colari, il sangue a grumi sulla sabbia, le bocche spalancate dei ribelli, la disperazione dei condanna<, l’atmosfera spe?rale che trasporta tu?o su un piano universale ed eterno: non sono solo un “pugno” di uomini ad essere fucilato, è l’intera umanità ad essere colpita, fucilata dal gesto meccanico di solda< senza volto inquadra< di spalle.
Nel condannato che nella luce accecante spalanca le brac-­‐
cia vediamo un moderno Cristo laico che muore sempre in una ideale crocifissione. E’ un gesto di terrore, di sfida, di disperazione. Tu?e le viHme della violenza di ogni parte del mondo e di ogni tempo sono racchiuse e riassunte in questo dramma<co gesto.
Francisco
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Le pi8ure nere della Quinta del sordo
Nel 1819 con il restaurarsi del regime borbonico in Spagna, Goya desolato si trasferi-­‐
sce in periferia di Madrid sulle rive del Manzanarre. Qui dal 1820 al 1823 si dedica alle cosid-­‐
de?e Pi?ure nere, serie di tredici dipin< realizza< ad olio su muro all'interno della sua casa.
La "Quinta del sordo" era il modo con cui il pi?ore si rivolgeva alla propria abitazione che offriva ampio spazio ai suoi dipin< ormai dedica< alla raffigurazione dei suoi "fantasmi"; scene di stregoneria, esor-­‐
cismi a?raverso il simbolismo e la deformazione espressi-­‐
va prendono vita angosciante so?o le rapide pen-­‐
nellate informali e deforman< del pi?ore; preda della sua sordità dipingeva di no?e con la tavolozza rido?a a bianchi sporchi, neri e ocre con qualche traccia di gialli e ros-­‐
si, rendendo sempre più claustrofobica e an-­‐
gusta la sua casa (ai confini della follia). Come de?o, i dipin< della serie sono tuH cara?erizza< da toni scuri, temi macabri e vol< deforma< e spaventosi. Non erano sta< commis-­‐
siona< e non erano intesi per essere mostra< al pubblico. Quando Goya si trasferì in Francia, la casa passò al nipote Mariano e nel 1874 era in possesso del barone di Erlanger, il quale, a causa del loro dete-­‐
rioramento, li fece trasferire su tela con la supervisione del curatore del museo del Prado, Salvador Mar<nez Cubells, e nel 1878 li donò allo stato spagnolo.
Tra i dipin<, Un cane, originariamente nella stanza al primo piano della Quinta del Sordo.
La testa del cane occupa appena l'uno per cento del piano pi?orico. Il resto è colore privo di oggeH. Mai prima di allora un ar<-­‐
sta aveva esplorato il campo dell’angoscia visiva al solo fine di ritrarre la solitudine.
Francisco
GOYA Y LUCIENTES
Si può ricordare di questo ciclo "Saturno che divora i suoi figli", la cui mostruosità "infan<cida" è collo-­‐
cata al pian terreno. Dal punto di vi-­‐
sta pre?amente este<co ricorda la famosa fucilazione, ma da un punto di vista esecu<vo-­‐formale, che si staglia su uno sfondo nero pece, questo dipinto capitale apre la strada all'Espressionismo o?ocentesco per sintesi ed efficacia.
Saturno che divora i suoi figli è un dipinto realizza-­‐
to negli anni tra il 1819 e il 1823, conservato oggi nel museo del Prado a Madrid. Rappresenta un tema mito-­‐
logico: il dio Saturno, essendogli stato profe<zzato che uno dei suoi figli lo avrebbe soppiantato, era solito divo-­‐
rarli al momento stesso della loro nascita.
Il dipinto di Saturno che divora i suoi figli era uno dei sei con cui Goya aveva decorato la sala da pranzo della casa. Come per gli altri dipin< della serie, il <tolo dell'opera fu dato da altri dopo la sua morte. Presenta pochi elemen<, vivifica< da un sapiente uso degli effeH di luce, che fanno risaltare il contrasto tra i co-­‐
lori scuri con cui è resa la figura del dio e il sangue rosso acceso del figlio dilaniato. Sono state offerte varie interpretazioni del significato del dipinto: il confli?o tra vec-­‐
chiaia e gioventù, il tempo come divoratore di ogni cosa, la Spagna che divorava i suoi figli migliori in guerre e rivoluzioni, o, più in generale, la condizione umana nei tempi moderni. Un'altra interpretazione iden<fica la figura di Saturno con quella di Ferdinan-­‐
do VII, che dopo la restaurazione e il ritorno sul trono di Spagna a?uò il ripris<no del-­‐
l'assolu<smo e la repressione di qualsiasi fermento d'ispirazione liberale.
Goya trasse forse ispirazione da un'opera del pi?ore Rubens (Saturno che divora suo figlio, del 1636), conservato anch'esso presso il Prado: si tra?a tu?avia di un dipinto maggiormente convenzionale e rappresenta il dio compiere l'a?o con maggiore fred-­‐
Pietro Paolo Rubens
Saturno divora un figlio, 1636
dezza e calcolo, mentre nell'opera di Goya viene mostrato come un uomo preso dalla follia, nell'opera di Rubens il corpo del figlio divorato è mostrato come quello di un bambino indifeso. Lo stesso Goya aveva prodo?o nel 1796-­‐1797 un disegno sul medesimo sogge?o, più vicino al modello di Rubens.
La la8aia di Bordeaux
Francisco
GOYA Y LUCIENTES
1827, olio su tela, 74 x 68, Madrid, Museo del Prado
All’età di o?antun anni, Goya ormai risiede stabilmente a Bordeaux, in esilio volonta-­‐
rio, lontano dalla sua amata terra, debilitato dalla malaHa e dalla vecchiaia. Ma dipinge ancora, e realizza con questo quadro uno dei più toccan< capolavori, forse l’ul<mo omag-­‐
gio del pi?ore alla giovinezza e alla bellezza femminile. Sembra un ritorno alla freschezza dei cartoni e alla loro atmosfera tenera e luminosa. Cer-­‐
to non c’è la spensieratezza festosa della gio-­‐
ventù, ma c’è una limpida vena di poesia che si esprime nel volto acerbo e nell’eleganza femminile dell’a?eggiamento. La stru?ura pi?orica è fa?a di pennellate pastose e lar-­‐
ghe, come carezze fa?e di colore. La lumino-­‐
sità nasce dall’impasto dei colori, dalle tonali-­‐
tà grigie-­‐azzurre e bianche che si sgranano l’una nell’altra, a contrasto con il colorito caldo e roseo del volto lievemente inclinato. Le vibrazioni della luce e la rapidità delle pennellate sembrano an<cipare le magiche atmosfere dell’Impres-­‐
sionismo. Il vecchio pi?ore sembra ancora capace di commuoversi e addolcirsi davan< alla giovinezza e alla bellezza femminile, anche se tu?o il dipinto sembra immerso in una cor<na di ghiaccio che sembra raggelare le forme e opacizzare l’immagine, come osservata a?raverso un velo di malinconia che riassume l’intera ope-­‐
ra e la sensibilità infinita del vecchio maestro.
Goya conclude la sua avventura ar<s<ca sorprendendoci ancora, senza rinunciare alla con<nua spe-­‐
rimentazione che ha fa?o della sua arte una realtà vivente, capace di porci delle domande sconcertan< e mi-­‐
steriose alle quali ancora oggi, da uomini moderni, non sappiamo dare compiuta risposta.

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