Prefazione Un libro per la salute pubblica

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Prefazione Un libro per la salute pubblica
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Titolo originale: Le monde selon Monsanto
Copyright © Éditions La Découverte, Paris, France 2008
traduzione Cristina Volpi
copertina Philippe Rouy
immagine di copertina Campo di colza (Photo Bank Yokohama/HoaQui/Eyedea)
I edizione eBook settembre 2010
ISBN edizione Pdf: 978 88 87307 79-5
© Arianna Editrice
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Copia dell’opera è stata depositata per la tutela del diritto d’autore, a
norma delle vigenti leggi.
Ai miei genitori agricoltori,
Joël e Jeannette,
che mi hanno donato il gusto
per le cose belle della terra,
e quindi della vita.
Indice
Ringraziamenti
Prefazione. Un libro per la salute pubblica di Nicolas Hulot
Introduzione. Il caso Monsanto
IX
XI
1
PARTE PRIMA
Uno dei grandi inquinanti della storia industriale
1. PCB: un crimine da colletti bianchi
2. Diossina: un inquinante al servizio del Pentagono
3. Diossina: manipolazioni e corruzione
4. Roundup: operazione intossicazione
5. Il caso dell’ormone della crescita bovina (parte prima):
l’influenza sulla FDA
6. Il caso dell’ormone della crescita bovina (parte seconda):
l’arte di mettere a tacere le voci discordanti
11
37
57
81
104
127
PARTE SECONDA
OGM: il grande complotto
7. L’invenzione degli OGM
8. Scienziati messi a tacere
9. 1995-1999: la Monsanto tesse la tela
155
181
211
10. La legge ferrea dei brevetti sugli organismi viventi
11. Grano transgenico: la battaglia persa della Monsanto
nell’America del Nord
239
269
PARTE TERZA
Gli OGM della Monsanto all’assalto del Sud
12. Messico: colpo basso alla biodiversità
13. In Argentina: la soia della fame
14. Paraguay, Brasile, Argentina: la «Repubblica unita della soia»
15. India: le sementi del suicidio
16. Come le multinazionali controllano gli alimenti del mondo
289
304
324
344
364
Conclusioni. Un colosso con i piedi d’argilla
Appendice. Un successo durevole
Note
Sigle e acronimi
377
391
405
439
Ringraziamenti
RINGRAZIO tutti quelli che mi hanno aiutata a scrivere questo libro, e in
particolare Bernard Vaillot e Agnès Ravoyard (Galaxie), i quali mi hanno
permesso di realizzare i primi tre film che hanno dato il via all’inchiesta
sulla Monsanto (Les pirates du vivant, Blé: chronique d’une mort annoncée? e Argentine: le soja de la faim), trasmessi da Arte grazie ad Annie-Claude Elkaim, Sylvie Jézéquel e Marco Nassivera; Christilla Huillard-Kann, grazie alla quale ho potuto girare il documentario Le Monde
selon Monsanto con Image et Compagnie; Pierre Merle, Pierrette Ominetti e Thierry Garrel di Arte, senza i quali il documentario non sarebbe
mai venuto alla luce: hanno sempre saputo manifestarmi il loro sostegno;
Françoise Boulègue, che ha montato i quattro documentari con pazienza
e convinzione; William Bourdon, per i suoi saggi consigli; François Gèze
di Éditions La Découverte; David Charrasse e le nostre tre figlie Fanny,
Coline e Solène, che mi hanno sempre incoraggiata, anche nei momenti
più difficili dell’inchiesta.
Ringrazio inoltre i numerosi testimoni che, accettando di rispondere
alle mie domande o aprendomi i loro archivi, hanno contribuito in modo
decisivo a fare chiarezza sulla storia della Monsanto.
IX
Prefazione
Un libro per la salute pubblica
L’OPERA di Marie-Monique Robin ha suscitato in me una serie di interrogativi, che sono poi diventati motivo di vera e propria angoscia, riassumibile in una sola domanda: com’è possibile? Come ha fatto la Monsanto,
azienda emblematica dell’agrochimica mondiale, a commettere errori
così gravi e a immettere sul mercato prodotti tanto nocivi per la salute
umana e per l’ambiente? Come ha fatto ad andare avanti come se niente
fosse, sempre più consapevole della propria influenza (e della propria
fortuna), con una storia punteggiata di eventi così drammatici? Com’è
riuscita a dissimulare tranquillamente i fatti e a tradire il mondo intero?
E come ha fatto a mantenere intatte le proprie attività nonostante le pesanti condanne giudiziarie che l’hanno colpita e i divieti posti su alcuni
suoi prodotti, dopo avere causato danni irreversibili?
Questo libro svela una realtà che fa male agli occhi e stringe il cuore,
quella di un’azienda arrogante che sfrutta con disinvoltura il dolore delle
vittime e la distruzione degli ecosistemi. Una pagina dopo l’altra, il mistero si svela. Si vede prosperare un’impresa la cui storia «costituisce un
modello di aberrazione in cui si è impantanata la società industriale». Si
stenta a crederci, ma la dimostrazione è chiara e fa capire da dove la
Monsanto tragga la propria potenza, come le sue menzogne abbiano avuto la meglio sulla verità e perché molti suoi prodotti, presentati come miracolosi, si siano spesso rivelati un incubo. Nel momento in cui l’azienda
nordamericana mostra un’ambizione ancora più «totalizzante» che in
XI
passato – imponendo gli organismi geneticamente modificati (OGM) ai
contadini e ai consumatori di tutto il mondo –, questo libro autorizza a
domandarsi, finché è ancora possibile, se possiamo permettere alla Monsanto di tenere in pugno (e in provetta) il futuro dell’umanità e di imporre un nuovo ordine agricolo mondiale.
Non sono solito credere alla teoria del complotto, e non penso che l’operato delle aziende sia sistematicamente machiavellico. Ammettiamo
pure che i benefici relativi al progresso scientifico implichino il disordine
come base dell’ordine. Ma qui non c’è nessun ordine! Nonostante l’immagine di benefattrice dell’umanità rivendicata dall’azienda e gli inevitabili imprevisti della ricerca scientifica, il bilancio è deprimente.
Facciamo due calcoli. Come ha potuto la Monsanto diventare uno dei
principali imperi industriali del mondo? Niente meno che con la produzione su larga scala di alcuni dei prodotti più pericolosi dell’era moderna: i PCB, o piraleni, liquidi refrigeranti e lubrificanti la cui nocività è
devastante per la salute umana e per la catena alimentare, e ormai banditi dopo la constatazione del loro potere contaminante; la diossina, di
cui bastano pochi grammi per avvelenare un’intera città e la cui produzione, che parte da un erbicida dell’azienda nordamericana (quello che
sarà alla base del tristemente famoso agente arancio, il defogliante irrorato sulle foreste e sui villaggi vietnamiti, grazie al quale la Monsanto otterrà con il Pentagono il contratto più redditizio della sua storia), sarà
vietata; gli ormoni della crescita bovina – primo banco di prova degli
OGM –, il cui obiettivo è far produrre all’animale ben oltre le proprie capacità naturali malgrado le conseguenze dimostrate sulla salute umana;
il diserbante Roundup, presentato in una serie di spot pubblicitari come
«biodegradabile e amico dell’ambiente», affermazioni smentite da analisi effettuate sia negli Stati Uniti, sia in Europa.
Come giornalisti abbiamo seri dubbi riguardo a certi metodi di questa
azienda, soprattutto su quelli autoritari adottati nei confronti degli agricoltori. Il libro di Marie-Monique Robin non solo li conferma, ma ne
mostra un lato nascosto difficile da contestare: sono infatti quelli di una
società che ha come unico motore il denaro – cosa non certo stupefacente – ma, dato ancora più inquietante, la cui attività si fonda sulla pretesa
XII
di agire solo di testa propria; un’impresa esperta nello scovare sotterfugi
e nel perseverare nei propri metodi con ogni mezzo, convinta di sapere
meglio di chiunque altro che cosa sia buono per l’umanità, appropriandosi così del Pianeta per farne un terreno di gioco e di profitto. Nella logica della Monsanto non è chiaro che cosa prevalga, se l’accecamento
commerciale, l’orgoglio scientifico o il puro e semplice cinismo.
L’inchiesta della Robin è molto accurata: i fatti sono innegabili, le testimonianze numerose e varie, i documenti vengono svelati e gli archivi
aperti. Il suo libro non è un pamphlet pieno di chiacchiere e fantasie. È
un tremendo spaccato della realtà. Infatti, per molti anni di commercializzazione dei prodotti, siano questi PCB, erbicidi alla diossina, ormoni
della crescita bovina o il Roundup, la Monsanto ha sempre saputo della
loro nocività. I documenti portati alla luce da questo libro non lasciano
dubbi. L’azienda ha l’abitudine di affermare pubblicamente il contrario
delle conoscenze di cui dispone al proprio interno. Ma adesso, grazie a
quest’opera, anche noi sappiamo ciò che la Monsanto ha sempre saputo!
Perché l’azienda sapeva delle conseguenze tossiche dei suoi prodotti.
Eppure ha taciuto. E l’hanno lasciata fare…
Ora la multinazionale torna alla carica e dice che le sementi OGM, di
cui è il principale produttore, hanno lo scopo di «aiutare i contadini del
mondo a produrre alimenti più sani, riducendo l’effetto dell’agricoltura
sull’ambiente». L’azienda afferma di essere cambiata e di non avere più
l’atteggiamento irresponsabile del passato. Noi non abbiamo la competenza scientifica per giudicare la tossicità di alcune molecole o i rischi
delle manipolazioni genetiche, ma sappiamo che la comunità scientifica
è fortemente divisa sugli effetti della transgenesi, e che il feedback sugli
OGM coltivati non ne dimostra né l’innocuità per la salute e l’ambiente,
né la capacità di intensificare la produzione alimentare per vincere la fame nel mondo. Il bilancio tracciato da Marie-Monique Robin riguardo a
Messico, Argentina, Paraguay, Stati Uniti, Canada e India è desolante.
Sappiamo anche che le semine del mais 810 della Monsanto, l’unico coltivato in Francia a scopo commerciale, sono state saggiamente sospese
dal governo nel gennaio 2008, dopo che un’autorità interna ha sollevato
interrogativi inquietanti sulla base di nuovi dati scientifici. Più in geneXIII
rale sappiamo, come qualunque cittadino del mondo con un briciolo di
buonsenso, che è necessario porre un freno quando la logica industriale
e commerciale supera i limiti delle precauzioni più elementari.
Oggi, mentre Francia ed Europa sono scosse da un vero e proprio dibattito scientifico, economico e sociale sulle conseguenze sanitarie e
ambientali degli OGM, oltre che sulla condizione contadina e sui test sugli esseri viventi, il libro della Robin arriva con un tempismo perfetto. È
infatti a pieno titolo un’opera per la salute pubblica, ed è come tale che
dovrebbe essere letta e considerata.
La crisi ecologica globale comporta una trasformazione ad ampio raggio nell’organizzazione economica e sociale delle comunità umane. Nello
specifico, interroga pesantemente l’agricoltura mondiale sulla sua capacità di fornire risorse alimentari sufficienti per i futuri nove miliardi di
abitanti della Terra. Certo è che l’innovazione scientifica e tecnologica
potrà avere una funzione dinamica. Ma non se sarà casuale o se cadrà
nelle mani di chiunque!
NICOLAS HULOT
XIV
Introduzione
Il caso Monsanto
«DOVREBBE fare un’inchiesta sulla Monsanto. Tutti vogliamo sapere chi è
veramente questa multinazionale americana che sta mettendo mano alle
sementi e quindi al cibo del mondo…» Yudhvir Singh e io siamo all’aeroporto di New Delhi, nel dicembre 2004. Singh è il portavoce della Bharatiya Kisan Union, un sindacato di contadini dell’India del Nord con venti
milioni di iscritti. Con lui ho trascorso due settimane a ispezionare il
Punjab e l’Haryana, due Stati simbolo della «rivoluzione verde» in cui si
produce la quasi totalità del grano indiano.
Un’inchiesta indispensabile
All’epoca stavo realizzando due documentari per il canale televisivo
franco-tedesco Arte. Sarebbero stati trasmessi all’interno del programma Thema, in una serata dedicata alla biodiversità intitolata «Main basse sur la nature» (Le mani sulla natura).1 Nel primo documentario, Les
pirates du vivant (I pirati del vivo),2 racconto come l’avvento delle tecniche di manipolazione genetica abbia provocato una vera e propria corsa ai geni, in cui i giganti della biotecnologia non esitano a impadronirsi
delle risorse naturali dei Paesi in via di sviluppo abusando del sistema
dei brevetti. È così che un agricoltore del Colorado, che si definisce un
«elettrone libero», ha ottenuto un brevetto per il fagiolo giallo, coltivato
1
in Messico dalla notte dei tempi: fingendo di esserne «l’inventore» americano, chiede i diritti a tutti i contadini messicani che desiderano esportare il proprio raccolto verso gli Stati Uniti. Anche un’azienda americana, la Monsanto, ha ottenuto un brevetto europeo su una varietà
indiana di grano usata per produrre il famoso chapati (pane indiano
senza lievito).
Nel secondo documentario, intitolato Blé: chronique d’une mort annoncée? (Grano: cronaca di una morte annunciata), traccio la storia della biodiversità e delle minacce che incombono su di essa attraverso la
grande saga del cereale dorato, dai primi esperimenti di coltivazione fatti dall’uomo diecimila anni fa, all’arrivo degli OGM, di cui il leader mondiale è la Monsanto. Nello stesso periodo stavo realizzando un terzo
filmato per Arte Reportage intitolato Argentine: le soja de la faim (Argentina: la soia della fame),3 che traccia un bilancio (disastroso) delle
colture transgeniche nel Paese della pampa. Si dà il caso che gli OGM in
questione, che ricoprono metà del territorio argentino coltivato, riguardino un tipo di soia chiamato Roundup Ready (letteralmente, «pronta
per il Roundup»), manipolata dalla Monsanto per resistere, appunto, alle
irrorazioni di Roundup, l’erbicida più venduto al mondo dagli anni Settanta e prodotto, anche questo, dalla Monsanto.
Per questi tre film, che presentano aspetti diversi della stessa problematica, cioè le conseguenze della biotecnologia sull’agricoltura mondiale e sulla produzione alimentare per l’uomo, ho girato il mondo per un
anno: Europa, Stati Uniti, Canada, Messico, Argentina, Brasile, Israele,
India… Ovunque sia presente lo spettro della Monsanto, che è vista come il Grande Fratello del nuovo ordine agricolo mondiale.
Per questo le parole di Yudhvir Singh, all’aeroporto di New Delhi,
hanno confermato la sensazione che dovevo interessarmi più da vicino
alla storia di questa multinazionale nordamericana nata nel 1901 a Saint
Louis, nel Missouri. Oggi l’azienda produce il 90 per cento degli OGM coltivati nel mondo, e dal 2005 è il primo produttore mondiale di sementi
per l’agricoltura.
Appena tornata dall’India mi sono precipitata al computer e ho digitato «Monsanto» in un motore di ricerca. Ho trovato più di sette milioni
2
di documenti che tracciavano il ritratto di un’azienda che, ben lungi dal
trovare pareri concordi, è considerata una delle più controverse dell’era
industriale. In realtà, aggiungendo a «Monsanto» la parola «pollution»,
«inquinamento» sia in inglese, sia in francese, ho ottenuto 343.000 occorrenze. Con «criminal», termine sia inglese, sia spagnolo, 165.000.
Con «corruption», «corruzione», i risultati sono stati 129.000; digitando
«Monsanto falsified scientific data» («dati scientifici manipolati dalla
Monsanto»), si arrivava a 115.000 documenti.
Ho navigato in Internet per settimane, consultando una quantità di
documenti declassificati, rapporti o articoli di giornale che mi hanno restituito, come tessere di un puzzle, l’immagine di un’azienda che suscita
molte polemiche, e che lei stessa bada bene di occultare sul proprio sito.
Infatti, aprendo l’home page di monsanto.com leggiamo che l’azienda si
presenta come «an agricultural company» («un’impresa agricola»),
che ha l’obiettivo di «aiutare i contadini del mondo […] a produrre alimenti più sani, […] riducendo l’effetto dell’agricoltura sull’ambiente».
Ma ciò che non viene detto è che prima di interessarsi all’agricoltura, la
Monsanto è stata una delle più grandi aziende chimiche del XX secolo,
specializzata in materie plastiche, polistirene e altre fibre sintetiche.
Nella pagina «Who We Are/Company History» del sito non c’è una parola sui prodotti estremamente tossici che hanno fatto la fortuna dell’azienda per decenni: i PCB (policlorobifenili), oli chimici usati come isolanti nei trasformatori elettrici per più di cinquant’anni e venduti con il
marchio Aroclor negli Stati Uniti e nel Regno Unito, Pyralène in Francia,
Clophen in Germania e Kanechlor in Giappone, e di cui la Monsanto ha
nascosto la nocività fino a quando sono stati banditi all’inizio degli anni
Ottanta; il 2,4,5-T (triclorofeniacetici), un potente erbicida contenente
diossina alla base dell’agente arancio, il defogliante usato dall’esercito
americano durante la guerra in Vietnam, e di cui la Monsanto ha sapientemente negato la tossicità presentando studi scientifici falsificati; il 2,4D (diclorofenossiacetici), l’altro componente dell’agente arancio; il DDT,
oggi vietato; l’aspartame, la cui innocuità non è mai stata dimostrata; gli
ormoni della crescita bovina (vietati in Europa a causa dei rischi che
comportano per la salute degli animali e degli uomini).
3
Tutti questi prodotti altamente controversi sono spariti dalla storia ufficiale dell’azienda di Saint Louis (tranne l’ormone della crescita bovina,
di cui parlerò nel corso del libro). Tuttavia, ispezionando i documenti interni della Monsanto si scopre un passato fumoso che continua a incombere sulla sua attività, costringendola a sborsare somme di denaro considerevoli per affrontare processi di cui infanga regolarmente i risultati.
Cento milioni di ettari di OGM
Queste scoperte mi hanno spinta a proporre ad Arte un nuovo documentario intitolato Le Monde selon Monsanto (Il mondo secondo la
Monsanto), la cui inchiesta è alla base di questo libro. L’idea era di narrare la storia della multinazionale e cercare di capire in quale misura il
suo passato potesse chiarirne le pratiche attuali e ciò che oggi dice di
essere. In effetti, con 17.500 dipendenti, un fatturato di 7,5 miliardi di
dollari nel 2007 (di cui un miliardo di utili) e sedi in quarantasei Paesi,
l’azienda di Saint Louis afferma di essersi convertita allo sviluppo sostenibile, che intende promuovere grazie alla commercializzazione di sementi transgeniche che riducono i limiti degli ecosistemi per il bene dell’umanità.
Dal 1997, a forza di campagne pubblicitarie e di slogan come «Cibo,
salute e speranza», la Monsanto è riuscita a imporre i suoi OGM, in particolare soia, mais, cotone e colza, su territori vastissimi. Nel 2007 le colture transgeniche (di cui, ripeto, il 90 per cento presenta caratteristiche
genetiche brevettate dalla Monsanto) coprivano 100 milioni di ettari: più
della metà negli Stati Uniti (54,6 milioni), seguiti dall’Argentina (18 milioni), dal Brasile (11,5 milioni), dal Canada (6,1 milioni), dall’India (3,8
milioni), dalla Cina (3,5 milioni), dal Paraguay (2 milioni) e dal Sudafrica (1,4 milioni). Questa «esplosione di aree OGM»4 ha risparmiato l’Europa, tranne la Spagna e la Romania. Da notare che il 70 per cento degli
OGM coltivati nel mondo erano resistenti al Roundup, l’erbicida che la
Monsanto ha sempre definito «biodegradabile e amico dell’ambiente»
(cosa che le è costata, come vedremo, due condanne per falsa pubbli4
cità), e il 30 per cento sono stati manipolati per produrre una tossina insetticida chiamata Bt (Bacillus thuringiensis).
Naturalmente, all’inizio di questa lunga inchiesta ho contattato i dirigenti della multinazionale per chiedere loro delle interviste. La sede di
Saint Louis mi ha indirizzata da Yann Fichet, agronomo e direttore degli
affari istituzionali e industriali della filiale francese di Lione. Il 20 giugno 2006 Fichet e io ci siamo incontrati a Parigi, in un hotel vicino al Palazzo del Lussemburgo (sede del Senato francese), in cui mi ha confessato di trascorrere «molto tempo». Fichet mi ha ascoltata a lungo e si è
impegnato a inoltrare le mie richieste alla sede del Missouri. Ho aspettato tre mesi, mantenendo i contatti con lui, ma alla fine mi ha detto che la
mia proposta era stata rifiutata. Quando sono andata a Saint Louis per le
riprese del mio documentario, ho chiamato Christopher Horner, responsabile delle pubbliche relazioni della Monsanto, il quale mi ha confermato il rifiuto. Era il 9 ottobre 2006: «Apprezziamo la sua insistenza nel
chiedere un’intervista, ma ci siamo consultati internamente e la nostra
posizione non è cambiata. Non abbiamo motivo di partecipare al suo documentario…»
«Avete paura delle domande che potrei farvi?»
«No, no… Non si tratta di sapere se abbiamo o non abbiamo le risposte alle sue domande, ma della legittimità del prodotto finale, che sospettiamo non sarà affatto positivo per noi.»
Nonostante il rifiuto, non ho rinunciato a dare la parola alla Monsanto, procurandomi tutti i documenti cartacei e audiovisivi disponibili in
cui i suoi rappresentanti si esprimono, ma anche e soprattutto servendomi dei testi che l’azienda ha messo on-line e in cui giustifica i vantaggi
degli OGM per il mondo: «I contadini che hanno piantato colture nate
dalle biotecnologie hanno usato molti meno pesticidi e realizzato proventi significativi rispetto all’agricoltura convenzionale», si leggeva per
esempio nel 2005 su The Pledge Report, una sorta di carta etica che la
multinazionale pubblica regolarmente dal 2000 e in cui espone attività e
risultati.5
Essendo figlia di agricoltori e sensibile alle difficoltà del mondo agricolo (sono nata nel 1960 in una fattoria del Poitou-Charentes), mi rendo
5
conto di quale effetto possa avere un discorso del genere sui contadini
che ogni giorno, in Europa e nel mondo, lottano per la sopravvivenza. Del
resto, se ho scritto questo libro è innanzitutto per loro, per chi lavora la
terra, che nel momento in cui la globalizzazione impoverisce le campagne del Sud e del Nord non sanno più a che santo votarsi. Il genio di
Saint Louis avrebbe davvero salvato loro la vita? Ho voluto conoscere la
verità, perché la posta in gioco riguarda tutti noi: si tratta infatti di capire chi, un domani, produrrà il cibo dell’uomo.
«La Monsanto aiuta i piccoli contadini di tutto il mondo a essere più
produttivi e autosufficienti», continua The Pledge Report.6 E ancora: «La
buona notizia è che l’esperienza concreta mostra chiaramente che la
coesistenza di colture transgeniche, convenzionali e biologiche non solo
è possibile, ma avviene tranquillamente in tutto il mondo».7 Infine, una
frase ha attirato la mia attenzione in modo particolare, perché tocca uno
dei punti principali legati agli OGM, cioè la potenziale pericolosità per la
salute umana: «I consumatori di tutto il mondo sono la prova vivente di
quanto le colture biotecnologiche siano innocue. Nella stagione 20032004 hanno acquistato l’equivalente di ventotto miliardi di dollari in derrate transgeniche prodotte da agricoltori degli Stati Uniti».8 Cercando di
verificare questa bella affermazione, pensavo a tutti i consumatori che si
nutrono del lavoro degli agricoltori e che possono, tramite scelte precise,
influire sull’evoluzione delle pratiche agricole e, quindi, del mondo. A
patto, però, di essere informati. Quindi è anche per loro che ho scritto
questo libro.
Tutte queste affermazioni della Monsanto sono al centro della polemica che contrappone i difensori della biotecnologia a quelli che la rifiutano. Per i primi, l’azienda di Saint Louis ha realmente voltato pagina
dal suo passato chimicamente irresponsabile, per realizzare finalmente
prodotti capaci di risolvere i problemi della fame nel mondo e della contaminazione ambientale, seguendo i «valori» alla base della sua attività:
«Integrità, trasparenza, dialogo, condivisione e rispetto», come annuncia
ancora The Pledge Report.9 Per gli altri, invece, tutte queste promesse
sono solo fumo negli occhi per nascondere un vasto progetto egemonico
6
che minaccia la sicurezza alimentare del mondo, ma anche l’equilibrio
ecologico della Terra.
Ho voluto chiarirmi le idee, perciò ho seguito una doppia strada. Prima ho navigato in Internet per giorni e notti. Infatti, la maggior parte dei
documenti che citerò in questo libro sono disponibili sul web. Basta leggerli e metterli in relazione fra loro, cosa che vi invito a fare perché rimarrete colpiti: è tutto in quelle «carte», e nessuno può ragionevolmente
dire di non sapere, tantomeno i responsabili delle leggi che ci governano.
Tuttavia questo non basta. Così ho ripreso a viaggiare. Stati Uniti, Canada, Messico, Paraguay, India, Vietnam, Francia, Norvegia, Italia e Gran
Bretagna. In tutti questi Paesi ho confrontato le affermazioni della Monsanto con la realtà del territorio, incontrando decine di testimoni che
avevo precedentemente identificato in rete.
Sono molti, in effetti, quelli che in tutto il mondo hanno fatto squillare un campanello d’allarme, denunciando una manipolazione, una menzogna o una tragedia umana, spesso rischiando gravi ritorsioni personali
e professionali. Infatti – lo scoprirete sfogliando questo libro – non è facile contrapporre la realtà dei fatti a quella della Monsanto, che mira a
«mettere mano alle sementi e quindi al nutrimento del mondo intero»,
come mi diceva Yudhvir Singh nel 2004. Un obiettivo che nel 2008 l’azienda nordamericana sembrerebbe sul punto di raggiungere, a meno
che i contadini e i consumatori europei non decidano di opporsi, trascinando con sé il resto del mondo…
7
PARTE PRIMA
Uno dei grandi inquinanti
della storia industriale
1
PCB: un crimine
da colletti bianchi
«Non possiamo permetterci di perdere nemmeno un
dollaro.»
Pollution Letter, documento declassificato
della Monsanto, 16 febbraio 1970
ANNISTON, Alabama, 12 ottobre 2006. Con le mani che gli tremano, David
Baker inserisce la cassetta nel videoregistratore: «È qualcosa di indimenticabile», mormora dall’alto del suo metro e novanta, asciugandosi
furtivamente una lacrima. «Il giorno più importante della mia vita, quello in cui i membri della mia comunità hanno deciso di riconquistare la
dignità facendo chinare il capo a una delle più grandi multinazionali del
mondo…» Sullo schermo del televisore scorrono immagini girate il 14
agosto 2001 ad Anniston. Luce dorata di un tardo pomeriggio. Visibilmente agitato, il cineoperatore amatoriale non sa più dove puntare l’obiettivo: da ogni parte giungono gruppi di afroamericani che, con passo
deciso e silenzioso, invadono l’immenso complesso della Ventiduesima
Strada. «Erano cinquemila», dirà il giorno successivo l’Anniston Star. «È
stato il più grande raduno della storia della città.»
Davide contro Golia
«Perché è venuta qui?» chiede il giornalista improvvisato.
«Perché mio marito e mio figlio sono morti di tumore», spiega una
donna sulla cinquantina.
«E lei?»
«Per mia figlia», risponde un uomo indicando la bimba che tiene in
11
braccio. «Ha un tumore al cervello… Avevamo perso ogni speranza di
farla pagare cara alla Monsanto per tutto il male che ci ha fatto, ma se
Johnnie Cochran si occupa di noi, allora è diverso…»
Il nome di Johnnie Cochran è sulla bocca di tutti. Nel 1995 questo avvocato rampante di Los Angeles aveva tenuto con il fiato sospeso gli Stati
Uniti difendendo Orenthal James Simpson, l’ex campione di football americano riconvertito al cinema, accusato di avere assassinato la ex moglie e
il suo amante una sera del 1994. Dopo un processo fiume ipermediatico,
O.J. Simpson era stato rilasciato grazie al talento del suo avvocato (pronipote di uno schiavo nero), che aveva fatto di tutto per far apparire il proprio cliente come vittima di una manipolazione razzista da parte della polizia. Da allora e fino alla sua morte nel marzo 2005, Johnnie Cochran è
stato un eroe della comunità nera americana: «Un Dio», mi dice David
Baker. «Infatti sapevo che convincendolo a trasferirsi ad Anniston, di cui
ignorava l’esistenza, avevo già praticamente vinto la partita…»
«Johnniiiiiiie!» ha gridato la folla quando l’avvocato è salito sul palco,
elegante e impeccabile come sempre. E Johnnie ha parlato, in un silenzio religioso. Ha saputo trovare le parole per incantare quella piccola
città del Sud degli Stati Uniti, da tempo straziata dalla lotta per i diritti
civili. Ha evocato il ruolo storico di Rosa Parks, una ragazza dell’Alabama, nella lotta contro la segregazione razziale negli Stati Uniti.* Ha citato il vangelo secondo Matteo: «Ogni volta che avete fatto queste cose a
uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». Poi ha ricordato la storia di Davide e Golia, rendendo omaggio a David Baker,
l’uomo che aveva reso possibile l’improbabile incontro. «Guardando quest’assemblea vedo tanti Davide», si era infiammato Johnnie. «Non so se
vi rendete conto di quanto potere avete… Ogni cittadino ha il diritto di
vivere senza inquinamento, senza PCB, senza mercurio o piombo. È un
principio della Costituzione! L’ingiustizia commessa qui dalla Monsanto
* Il 1° dicembre 1955, Rosa Parks, una sarta nera di ventidue anni, rifiutò di cedere il
posto a un passeggero bianco su un autobus di Montgomery, in Alabama. Divenne così la
«madre del movimento per i diritti civili» accanto a Martin Luther King, che aveva lanciato
una campagna di boicottaggio degli autobus di quella società di trasporti.
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è una minaccia per la giustizia in qualunque altro luogo del mondo! La
vostra lotta è quindi un servizio che offrite al Paese, che non deve più essere governato dagli interessi privati dei giganti industriali!»
«Amen! Alleluia!» ha esultato la folla, applaudendo. Nei giorni successivi 18.233 abitanti di Anniston, fra cui 450 bambini affetti da infermità motrice cerebrale, hanno sfilato di fronte al piccolo ufficio della
Community Against Pollution (CAP), creata nel 1997 da David Baker per
denunciare la Monsanto. Andavano ad aggiungersi ad altri 3516 querelanti, già riuniti in una class action, una causa legale collettiva, depositata quattro anni prima. Dopo mezzo secolo trascorso a soffrire in silenzio, quasi tutta la popolazione nera della città sfidava uno dei più grandi
inquinatori del mondo, costringendolo ben presto a pagare il maggior indennizzo mai sborsato da un’azienda nella storia degli Stati Uniti: settecento milioni di dollari!
«È stata una lotta dura», commenta David Baker, ancora scosso dall’emozione. «Ma come potevamo immaginare che un’azienda si comportasse in maniera tanto criminale? Mio fratello Terry è morto a diciassette
anni di tumore al cervello e ai polmoni…1 È morto per avere mangiato la
verdura del nostro orto e il pesce che pescava in un corso d’acqua altamente contaminato! La Monsanto ha reso Anniston una città fantasma.»
Le origini della Monsanto
Tuttavia, Anniston aveva avuto il suo momento di gloria. Per molto
tempo soprannominata «città modello» o «capitale mondiale del sistema
fognario» per la qualità delle infrastrutture municipali, il piccolo borgo
sudista, ricco di ferro, è stato a lungo considerato una località leader della rivoluzione industriale. Nata ufficialmente nel 1879 in omaggio alla
moglie del proprietario di una ricca fonderia, «Annie’s Town» è definita
la «città magnifica dell’Alabama» nella Costituzione di Atlanta del 1882.
Governata da una minoranza di bianchi laboriosi in grado di reinvestire
in loco il proprio denaro, favorendo così la pace sociale, la cittadina attrae molti imprenditori, con grande dispiacere di Birmingham, la vicina
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capitale dello Stato. È così che nel 1917 la Southern Manganese Corporation decide di aprire uno stabilimento in cui produrre granate per l’artiglieria. Nel 1925 l’azienda viene ribattezzata Swann Chemical Company
e, quattro anni dopo, si lancia nella produzione di PCB, considerati all’unanimità «miracoli chimici», che presto faranno la fortuna della Monsanto e l’infelicità di Anniston.
I PCB sono derivati chimici clorati che rappresentano la grande avventura industriale della fine del XIX secolo. Perfezionando le tecniche
di raffinamento del petrolio greggio per estrarne la benzina necessaria
alla nascente industria automobilistica, i chimici identificano le qualità
del benzene, un idrocarburo che sarà ampiamente usato come solvente
per la sintesi chimica di farmaci, materie plastiche o coloranti. Nei laboratori chimici in via di sviluppo, gli apprendisti stregoni provano a mescolarlo con il cloro e ottengono un nuovo prodotto che si rivela termicamente stabile e resistente al fuoco. Nascono così i PCB, che per cinque
anni colonizzeranno il mondo: faranno da liquidi refrigeranti nei trasformatori elettrici e nelle apparecchiature idrauliche industriali, ma anche
da lubrificante in applicazioni varie per plastiche, vernici, inchiostri o
carta.
Nel 1935 la Swann Chemical Company viene acquistata da una società emergente con sede a Saint Louis, nel Missouri: la Monsanto Chemical Company. Creata nel 1901 da John Francis Queen, un chimico autodidatta che, anche lui, volle rendere omaggio alla moglie, Olga Méndez
Monsanto, la piccola società, nata grazie a un prestito personale di cinquemila dollari, all’inizio produce saccarina, il primo edulcorante sintetico che all’epoca vende esclusivamente a un’altra azienda emergente
della Georgia: la Coca-Cola. Presto arriva a rifornirla anche di vaniglia e
caffeina, prima di lanciarsi nella produzione dell’aspirina, di cui rimarrà
il principale fornitore degli Stati Uniti fino agli anni Ottanta. Nel 1918 la
Monsanto effettua il sua prima acquisizione, comprando un’azienda dell’Illinois che produce acido solforico.
La svolta verso i prodotti industriali di base la porta all’acquisto di
molte società chimiche negli Stati Uniti, ma anche in Australia, soprattutto dopo la quotazione alla Borsa di New York nel 1929, avvenuta un
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mese prima del grande crollo di Wall Street, al quale l’azienda di Saint
Louis sopravvive, ribattezzata appunto Monsanto Chemical Company.
Negli anni Quaranta diventa uno dei grandi produttori mondiali di caucciù, di materie plastiche e di fibre sintetiche come il polistirene, ma anche di fosfati, confermando allo stesso tempo il monopolio sul mercato
internazionale dei PCB, garantito da un brevetto che le permette di vendere licenze un po’ in tutto il mondo.
«È così che Anniston è divenuta la città più inquinata degli Stati Uniti», mi spiega David Baker mentre mi porta a fare un giro in auto nei dintorni. Prima in centro, in Nobles Street, che negli anni Sessanta era l’orgoglio dei suoi abitanti, con i molti negozi e i due cinema oggi chiusi. Poi
nella zona est, disseminata di villette in cui per tradizione vive la minoranza bianca. Infine oltre la ferrovia, nella zona occidentale, dove sono
confinati i poveri, per lo più neri, in piena area industriale. David è nato
qui, cinquantacinque anni fa.
Ci addentriamo in quella che David, giustamente, aveva chiamato
«città fantasma». «Tutte queste case sono abbandonate», commenta mostrandomi, ai lati della strada, baracche di legno decadenti e in rovina.
«La gente se n’è andata perché la terra e l’acqua sono altamente contaminati.» All’improvviso, alla fine di una stradina dissestata, una grande
via con un cartello: MONSANTO ROAD. Costeggia lo stabilimento in cui l’azienda ha prodotto i PCB fino al 1971. Il luogo è protetto da una cancellata e oggi appartiene a Solutia, una società «indipendente» con sede, anche questa, a Saint Louis, a cui la Monsanto ha ceduto la divisione
chimica nel 1997, tramite una serie di operazioni di cui l’azienda detiene
il segreto e volte a proteggerla dalla tormenta che presto le sue azioni irresponsabili ad Anniston avrebbero provocato.
«Non siamo stupiti», borbotta David Baker. «Solutia o Monsanto per
noi è lo stesso… Guardi! Ecco il canale di Snow Creek, in cui l’azienda ha
scaricato i rifiuti per più di quarant’anni. Partiva dallo stabilimento e attraversava la città, prima di riversarsi nei corsi d’acqua più lontani. Era
acqua inquinata. La Monsanto lo sapeva, ma non ha mai detto niente…»
Secondo un rapporto declassificato, redatto segretamente nel marzo
2005 dalla Environmental Protection Agency (EPA), che avrò spesso oc15
casione di citare nel corso del libro, dal 1929 al 1971 ad Anniston sono
state prodotte 308.000 tonnellate di PCB.2 Di queste, 27 tonnellate sono
state emesse nell’atmosfera, soprattutto durante il trasferimento dei
PCB incandescenti, 810 tonnellate sono state scaricate in canali come
quello di Snow Creek dopo le operazioni di pulizia dei macchinari, e
32.000 tonnellate di rifiuti contaminati sono stati depositati in una discarica a cielo aperto situata sul posto, cioè nel cuore della comunità nera
della città.
Cinquecentomila pagine di documenti segreti
Cominciamo a fare il giro della zona a piedi e subito incrociamo un
carro funebre, che suona il clacson e si ferma accanto a noi. «È il reverendo William», mi spiega David. «Dirige le pompe funebri di Anniston.
Ha preso il posto dello zio, che è morto da poco di un tumore rarissimo,
tipico della contaminazione da PCB.»
«Purtroppo non è l’unico», interviene il reverendo William. «Quest’anno ho seppellito almeno un centinaio di persone morte di cancro,
fra cui molti giovani dai venti ai quarant’anni…»
«È stato grazie a suo zio che ho scoperto il dramma che ci riguarda
tutti», continua David. «Per decenni abbiamo accettato la morte dei nostri cari come una fatalità inspiegabile…»
Quando Terry, il fratello diciassettenne di David, crolla davanti alla
porta di casa, lui è a New York, dove lavora come funzionario presso il
sindacato dei dipendenti municipali e territoriali. Dopo venticinque anni di fedele servizio, nel 1995 decide di «tornare a casa», dove l’esperienza di leader sindacale gli tornerà molto utile. Il caso vuole che venga assunto proprio dalla Monsanto, che all’epoca era in cerca di «tecnici
dell’ambiente», incaricati di decontaminare i dintorni dello stabilimento. «Era la metà degli anni Novanta», racconta David, «e non eravamo
ancora a conoscenza dei pericoli dell’inquinamento, ma l’azienda cominciava con discrezione a fare pulizia. È stato allora che ho sentito
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parlare per la prima volta dei PCB, e che ho cominciato a sospettare ci
fosse sotto qualcosa…»
Nello stesso momento Donald Stewart, un senatore americano che
praticava come avvocato ad Anniston, viene contattato da un abitante
nero della zona ovest, che gli chiede di recarsi alla chiesa battista di
Mars Hill, proprio di fronte all’azienda dei PCB. Il pastore, circondato
dai fedeli, lo informa che la Monsanto ha proposto alla comunità di acquistare il luogo di culto e molte abitazioni del quartiere. Anche l’avvocato capisce che c’è qualcosa di losco in quell’operazione, e accetta di
rappresentare la piccola comunità. «In realtà», commenta David, «l’azienda cercava di eliminare tutto ciò che aveva attorno, per evitare di dover pagare i danni agli abitanti, poiché sapeva che prima o poi la questione dell’inquinamento sarebbe esplosa.»
Così ad Anniston la gente comincia a farsi avanti. L’ex sindacalista di
New York organizza una prima riunione nei locali delle pompe funebri di
Tombstone William, lo zio del reverendo, a cui partecipano una cinquantina di persone. Fino a tarda notte si elencano le morti e le malattie che
straziano le famiglie, oltre ai problemi dei bambini, i numerosi aborti e
le difficoltà scolastiche dei ragazzi, a cui non si è ancora in grado di attribuire un nome medico. Dall’incontro nasce l’idea di creare un’associazione, la CAP di cui ho accennato prima, presieduta proprio da David
Baker.
Nel frattempo la questione della chiesa di Mars Hill si è evoluta: la
Monsanto ha proposto un accordo amichevole, mettendo sul piatto un
milione di dollari. Durante una riunione con la piccola comunità battista, l’avvocato Donald Stewart scopre che molti sono stati contattati dai
rappresentanti dell’azienda, i quali volevano acquistare le loro abitazioni
in cambio di un accordo per non andare in tribunale. L’avvocato intuisce
che c’è sotto qualcosa di veramente grosso e propone di intraprendere
un’azione giudiziaria collettiva. Il comitato di David Baker è incaricato
di reclutare i querelanti, dopo che Donald Stewart ha fissato un numero
massimo di tremilacinquecento persone.
Stewart è consapevole di avere avviato la causa della sua vita, nonostante rischi di essere lunga e costosa. Per fare fronte alle spese, decide
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di contattare lo studio newyorchese Kasowitz & Benson, noto per un’azione legale contro l’industria del tabacco. L’avventura durerà più di sette anni, con un investimento di quindici milioni di dollari e spese giuridiche che ammonteranno fino a cinquecentomila dollari al mese. La prima
fase consiste nell’organizzare prelievi di sangue e di tessuti organici dei
tremilacinquecento querelanti, per misurare i livelli di PCB. Questi esami, che possono essere realizzati solo da laboratori specializzati, costano
circa mille dollari ciascuno.
Mentre viene organizzato il processo, battezzato Abernathy vs. Monsanto, Donald Stewart fa di tutto per mettere mano su alcuni documenti
dell’azienda di Saint Louis che possono dimostrare come fosse al corrente della tossicità dei PCB. Sa che senza quei documenti è dura vincere,
perché l’azienda potrà sempre difendersi fingendo di non sapere, ma sa
anche che una multinazionale piena di scienziati funziona in modo molto burocratico, con una gerarchia che controlla tutto secondo una cultura del documento assai sofisticata: il minimo evento, ritiene Stewart, la
minima decisione lasciano immancabilmente tracce scritte. Quindi l’avvocato si immerge nelle deposizioni dei rappresentanti della Monsanto,
analizzandole con scrupolo. Gli capita fra le mani una perla preziosa: secondo un giurista dell’azienda, una «montagna di documenti» sarebbe
stata depositata nella biblioteca di uno studio di consulenza della Monsanto, a New York. Ciò significa che cinquecentomila pagine sono scomparse, come per magia, dagli uffici di Saint Louis…
Donald Stewart chiede di consultarle, ma si sente rispondere che i
documenti sono inaccessibili perché protetti da quella che negli Stati
Uniti si chiama work-product doctrine (letteralmente, «dottrina dei materiali prodotti»): questa specifica del diritto americano, istituita nel
1947, permette a un avvocato di mettere l’embargo su alcuni documenti
fino all’apertura del processo, per evitare di fornire informazioni alla
parte avversa. Al che Stewart si rivolge al giudice Joel Laird, del tribunale di Calhoun County, il quale istruisce la causa Abernathy vs. Monsanto
e ordina così all’azienda di Saint Louis di aprire i propri archivi interni.
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La Monsanto sapeva e non ha detto nulla
Da allora la «montagna di documenti» è accessibile su un sito dell’Environmental Working Group (EWG),3 un’organizzazione non governativa specializzata nella salvaguardia dell’ambiente e diretta da Ken
Cook, che nel luglio 2006 mi riceve nel suo ufficio di Washington. Prima
di incontrarlo mi sono letteralmente immersa, per notti intere, in quell’ammasso di note di servizio, documenti scambiati per posta e resoconti
redatti nel corso dei decenni dai rappresentanti dell’azienda di Saint
Louis con una meticolosità e una freddezza kafkiane.
A dire il vero, c’è ancora qualcosa che non mi torna e che non ha mai
smesso di tormentarmi per tutta l’inchiesta: come possono degli esseri
umani correre consapevolmente il rischio di avvelenare i loro clienti e
l’ambiente che li circonda, senza pensare che anche loro, e i propri figli,
saranno forse vittime di quella stessa negligenza (per usare un termine
moderato)? Non parlo né di etica, né di morale, concetti estranei alla logica capitalistica, ma semplicemente di istinto di sopravvivenza: i responsabili della Monsanto ne sono forse sprovvisti?
«Un’azienda come la Monsanto è un mondo a parte», mi spiega Ken
Cook, che confessa di essersi posto le stesse domande. «La ricerca del
profitto ha anestetizzato le sue menti, che hanno un unico obiettivo: fare
soldi.» Hanno anche pubblicato un documento che riassume questo modello di funzionamento. Si intitola Pollution Letter ed è datato 16 febbraio 1970. Questa nota interna, redatta da un certo N.Y. Johnson, che
lavorava nella sede di Saint Louis, si rivolge agli agenti commerciali dell’azienda per spiegare loro come rispondere ai clienti, allarmati dalle
prime informazioni pubbliche sulla potenziale pericolosità dei PCB:
«Trovate in allegato una serie di domande che potrebbero porvi i clienti
che riceveranno la lettera riguardante l’Aroclor e i PCB. Potete rispondere come indicato, ma solo oralmente, non per iscritto. Non possiamo
permetterci di perdere nemmeno un dollaro».
La cosa più vergognosa è che la Monsanto sapeva che i PCB rappresentavano un grave rischio per la salute dal 1937. Eppure ha fatto come
se niente fosse, fino a quando sono stati definitivamente vietati nel 1977,
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data della chiusura dello stabilimento di Sauget, nella periferia est di
Saint Louis, il secondo per la produzione di PCB della Monsanto.
Nel 1937 il dottor Emett Kelly, direttore del servizio medico dell’azienda, viene convocato a una riunione presso l’Università di Harvard, a
cui partecipano anche alcuni acquirenti di PCB come Halowax e General
Electric, nonché dei rappresentanti del dipartimento della Sanità. Nel
corso di quell’incontro, Cecil K. Drinker, scienziato della venerabile università, presenta i risultati di uno studio che ha condotto su richiesta
della Halowax: un anno prima tre operai di questa azienda erano morti
dopo essere stati esposti a vapori di PCB e molti altri avevano contratto
una malattia della pelle all’epoca sconosciuta, che lasciava cicatrici permanenti e che più tardi verrà chiamata «cloracne». Nel prossimo capitolo tornerò su questa patologia, indice di intossicazione da diossina, che
si manifesta con un’eruzione di pustole su tutto il corpo e che può durare
per anni, se non per sempre.
I dirigenti della Halowax, sconvolti, avevano chiesto a Cecil Drinker
di testare i PCB sui topi. I risultati, pubblicati sul Journal of Industrial
Hygiene and Toxicology, erano inequivocabili: le cavie presentavano
gravi lesioni al fegato. L’11 ottobre 1937 un resoconto interno della Monsanto contiene la seguente laconica constatazione: «Studi sperimentali
condotti su animali mostrano che un’esposizione prolungata ai vapori di
Aroclor provoca effetti tossici su tutto l’organismo. Un contatto fisico ripetuto con il liquido Aroclor può portare a eruzioni cutanee simili all’acne».
Diciassette anni dopo il problema della cloracne è oggetto di un rapporto interno così tecnico da far rabbrividire: «Sette operai di un’azienda che utilizza Aroclor hanno contratto la cloracne», afferma un dirigente della Monsanto. Ma senza far trasparire emozioni, continua e precisa:
«I test sulla qualità dell’aria avevano individuato quantità trascurabili di
PCB: apparentemente, un’esposizione debole ma continua non risulta
inoffensiva».
Il 14 febbraio 1963 il responsabile della produzione degli Hexagon
Laboratories, altro cliente della Monsanto, invia una lettera al dottor
Kelly a Saint Louis: «In seguito alla nostra conversazione telefonica, le
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confermo che i due operai della nostra azienda esposti a vapori di Aroclor 1248 in seguito alla rottura di un tubo, hanno manifestato i sintomi
di un’epatite, come lei aveva pronosticato, e pertanto hanno dovuto essere ricoverati. […] Ritengo che sulle istruzioni di utilizzo del prodotto
dovrebbe comparire una descrizione più rigorosa e chiara dei pericoli
che presenta».
Non solo l’azienda di Saint Louis non seguirà la raccomandazione del
cliente, ma opporrà persino resistenza quando, nel 1958, sarà approvata
una legge che mira a rafforzare le precauzioni per l’uso dei prodotti tossici: «È nostro desiderio rispettare la regolamentazione con il minimo
sforzo e senza dare informazioni troppo precise che potrebbero penalizzare la nostra posizione commerciale nel campo dei liquidi idraulici sintetici». Ecco qualcuno che ha il dono della chiarezza.
Talvolta, a fronte delle pressioni dei loro clienti, i responsabili della
Monsanto si perdono in circonvoluzioni ridicole, se pensiamo alla posta
in gioco. Nell’agosto 1960 un certo M. Facini, produttore di compressori
di Chicago, si preoccupa delle conseguenze ambientali dello smaltimento nei fiumi di rifiuti contenenti PCB, e la Monsanto risponde: «Se una
piccola quantità di queste sostanze viene rovesciata accidentalmente in
un corso d’acqua, non dovrebbero esserci effetti gravi», scrive un dirigente del dipartimento medico dell’azienda. «Invece, se venissero scaricate quantità maggiori, i danni sarebbero probabilmente ingenti…»
Nel corso degli anni, tuttavia, i toni cambiano, forse perché lo spettro
di un’azione legale intentata dai clienti incombe sempre di più sull’azienda di Saint Louis. Nel 1965 una comunicazione interna riporta una
conversazione telefonica tra un addetto della Monsanto e il responsabile
di una società elettrica che usa l’Aroclor 1248 come refrigerante per motori. A quanto pare, l’uomo avrebbe raccontato che getti bollenti di PCB
inondavano il suolo del suo stabilimento. Commento della Monsanto:
«Sono stato di una franchezza brutale dicendogli che doveva assolutamente impedirlo, prima di causare la morte di qualcuno per danni al fegato o ai reni…»
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Un «comportamento criminale»
A fronte di informazioni allarmanti, capita di sentire (rare) voci che
si oppongono all’inerzia dilagante, per esempio quella del dottor J.W.
Barrett, uno scienziato della Monsanto di Londra, che nel 1955 suggerisce di effettuare degli studi per valutare in modo rigoroso gli effetti tossici dell’Aroclor. Ma il dottor Kelly gli risponde bruscamente: «Non vedo
quale particolare vantaggio si possa trarre da ulteriori studi…» Due anni
dopo il responsabile del dipartimento medico commenta con la stessa
perentorietà i risultati di un esperimento condotto dalla Marina con il
Pydraul 150, un PCB usato come fluido idraulico nei sottomarini: «L’applicazione cutanea ha provocato la morte di tutti i conigli testati. La Marina ha deciso di non impiegare più il nostro prodotto a causa degli effetti tossici. Non siamo riusciti a impedirlo».
Leggendo questi documenti è sorprendente constatare come niente
sia in grado di scalfire la multinazionale e cambiarne l’atteggiamento.
Accumula coscienziosamente dati allarmanti che si affretta a rinchiudere in un cassetto, con lo sguardo puntato solo sulle vendite: «Più di mille
tonnellate all’anno», si rallegra l’autore di un documento del 1952.
Così, il 2 novembre 1966 arriva a Saint Louis il resoconto di un esperimento condotto, su richiesta della Monsanto, dal professor Denzel Ferguson, biologo dell’Università del Mississippi. La sua équipe ha liberato
venticinque pesci cresciuti in cattività nelle acque dello Snow Creek, in
cui vengono scaricati gli scarti di produzione e che, come abbiamo visto,
attraversa la città di Anniston. «Tutti hanno perso l’orientamento e sono
morti in tre minuti e mezzo sputando sangue», dichiara lo scienziato, secondo cui in certi punti l’acqua è così inquinata da «uccidere i pesci anche se diluita trecento volte». Emergono due raccomandazioni: «Non
gettate più rifiuti non trattati! Pulite lo Snow Creek!» Conclusione: «Lo
Snow Creek è una potenziale fonte di problemi legali. […] La Monsanto
deve misurare gli effetti biologici dei propri rifiuti per proteggersi da
eventuali accuse».
Alla fine dello stesso mese gli uffici di Bruxelles della Monsanto Europe ricevono un messaggio da un corrispondente di Stoccolma, che riassu22
me un incontro dedicato alle analisi di un ricercatore svedese, Sören Jensen. Pubblicato dal New Scientist,4 in Svezia il lavoro dello scienziato aveva provocato un certo clamore: analizzando il DDT nei campioni di sangue
umano, il dottor Jensen aveva casualmente scoperto una nuova sostanza
tossica che si è rivelata un PCB. Ironia della sorte, il DDT, un potente insetticida scoperto in Svizzera nel 1939, è un altro prodotto chimico clorato
ampiamente venduto dalla Monsanto, fino a quando è stato definitivamente bandito nei primi anni Settanta, soprattutto a causa degli effetti che
aveva sulla salute umana… Quindi il dottor Jensen scopre che i PCB hanno già largamente contaminato l’ambiente, pur non essendo prodotti in
territorio svedese: ne ha ritrovate quantità significative nei salmoni pescati sulle coste, e persino nei capelli della sua famiglia (nei due figli di
tre e sei anni, e soprattutto nella moglie e nel piccolo di cinque mesi, contaminato dal latte materno). Jensen giunge così alla conclusione che i
«PCB si accumulano nella catena alimentare e soprattutto negli organi e
nei tessuti degli animali, risultando tossici almeno quanto il DDT».
Eppure, la rotta della Monsanto non cambia: un anno dopo approva
un credito supplementare di 2,9 milioni di dollari per sviluppare una
gamma di prodotti Aroclor ad Anniston e a Sauget… «L’irresponsabilità
dell’azienda è allucinante», commenta Ken Cook. «Sebbene abbia tutti i
dati alla mano, non muove un dito. Ecco perché definisco criminale il
suo comportamento.» Di fatto, nello stabilimento di Anniston non viene
attuata nessuna misura specifica per proteggere gli operai: «Non sono
dotati di indumenti protettivi», afferma un documento del 1955. «Era così prima della guerra, ma adesso le cose sono cambiate.» L’unica raccomandazione espressa con chiarezza è di «non ingerire alcunché nel laboratorio dell’Aroclor».
L’azienda di Saint Louis accumula con discrezione i dati che le si ritorceranno contro vent’anni dopo: «Gli effetti dell’esposizione ai PCB sugli operai sono stati analizzati dal nostro dipartimento medico e da un
consulente indipendente dell’Eppley Institute dell’Università del Nebraska», spiega William Papageorge, soprannominato «lo zar dei PCB», in
quanto supervisore alla produzione della Monsanto per parecchi anni.
«È stato dimostrato che i nostri operai sono stati effettivamente infettati
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dai PCB.» Allo stesso modo, i tecnici dell’azienda confermano, con osservazioni di prima mano, che i prodotti tossici persistono nell’ambiente
per almeno trent’anni. In effetti, nel 1939 alcuni PCB erano stati sotterrati per testarne l’efficacia come antitermiti: «La presenza di Aroclor è
ancora visibile», osserva un «funzionario» nel 1969!
«La cosa peggiore», sospira Ken Cook, «è che la Monsanto non ha mai
avvertito gli abitanti di Anniston che l’acqua, il suolo e l’aria della zona
occidentale della città erano altamente contaminati. Quanto alle autorità governative e locali, non solo hanno chiuso gli occhi, ma hanno addirittura coadiuvato le manovre dell’azienda. È uno scandalo! Forse una
spiegazione di questo dramma è il razzismo dei dirigenti dell’epoca: dopotutto, erano solo un ammasso di neri…»
Complicità e manipolazione
Nella primavera del 1970, quando l’amministrazione di Washington
ha appena annunciato in pompa magna la creazione (per il luglio successivo) dell’EPA, in risposta alla «domanda crescente di acqua, aria e terreno puliti», come spiega oggi il sito dell’organizzazione, la Monsanto
prende il sopravvento: una comunicazione del 7 maggio, classificata come «confidenziale», descrive la visita di alcuni dirigenti dell’azienda a
Joe Crockett, direttore tecnico dell’Alabama Water Improvement Commission (AWIC), l’organismo pubblico incaricato dell’approvvigionamento d’acqua dello Stato. L’obiettivo era di «informare il rappresentante
dell’AWIC sulla situazione» e di «renderlo fiducioso [corsivo mio] del
fatto che la Monsanto si impegnerà a collaborare con le agenzie governative per definire gli effetti dei PCB sull’ambiente». Insomma, si trattava
di un’operazione di pubbliche relazioni, del resto ben riuscita, visto che
Joe Crockett ha raccomandato di «non portare quelle informazioni all’attenzione del pubblico». «Possiamo contare sulla collaborazione totale
dell’AWIC in totale segretezza», conclude la comunicazione.
Nello stesso momento la Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia federale incaricata della sicurezza degli alimenti e dei farmaci,
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effettuava un test sui pesci pescati alla confluenza dello Snow Creek e di
un altro corso d’acqua, il Choccolocco Creek: il tasso di PCB era in media
di 277 ppm,* mentre il livello tollerato per il consumo era solo di 5 ppm.
La FDA non ha attivato misure né per impedire la pesca nei corsi d’acqua incriminati, né contro la Monsanto, che ha avuto così l’occasione di
mettere alla prova la «collaborazione» con l’AWIC: «Attualmente scarichiamo nello Snow Creek circa sette chilogrammi di PCB al giorno (rispetto ai centotredici del 1969)», afferma un documento dell’agosto
1970, contrassegnato come «confidenziale, distruggere dopo la lettura».
«Joe Crockett cercherà di risolvere il problema con discrezione, senza
informarne il pubblico.» Quindi gli abitanti di Anniston hanno continuato a consumare i pesci pescati nei corsi d’acqua contaminati fino al 1993,
data del primo divieto di pesca emesso dalla FDA.
Ma il lassismo – o come diranno alcuni, il cinismo – della Monsanto
non si ferma qui. Come abbiamo visto, l’azienda scaricava una parte dei
rifiuti in una discarica in prossimità dello stabilimento che, con la pioggia, diffondeva sostanze pericolose negli orti circostanti, coltivati dagli
operai. Nel dicembre 1970 un abitante del quartiere, che faceva pascolare un maiale su un terreno incolto adiacente alla discarica, è stato avvicinato da un rappresentante della Monsanto, che gli ha proposto di vendergli l’animale. Secondo un documento interno all’azienda, l’animale è
stato abbattuto e analizzato: il suo grasso conteneva 19.000 ppm di
PCB…5 Ma ancora una volta nessuna informazione è trapelata fra gli
abitanti, che per molti anni hanno continuato a far pascolare i maiali su
quel terreno incolto.
In realtà, tutto spinge a pensare che l’unico interesse dell’azienda di
Saint Louis fossero i propri affari. Nell’agosto 1969, quando i PCB attirano
sempre di più l’attenzione dei media, la dirigenza Monsanto decide di
creare un comitato ad hoc incaricato di fare il punto della situazione.
Pubblica quindi un rapporto «confidenziale» che comincia con una serie
di obiettivi: «Tutelare le vendite e i profitti di Aroclor, oltre che l’immagi* Parte per milione, cioè lo 0,0001 per cento del peso. Unità di misura spesso usata dai
tossicologi per misurare il residuo di un prodotto tossico negli alimenti o nell’ambiente.
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ne dell’azienda». Segue una lunga lista di casi di contaminazione registrati nel Paese. Si scopre così che un ricercatore dell’Università della California ha individuato tassi elevati di PCB nei pesci, negli uccelli e nelle
uova della regione costiera;6 uno studio della FDA ha mostrato che i PCB
erano stati ritrovati nel latte proveniente da mandrie del Maryland e della Georgia; un altro esame condotto dal laboratorio dell’Agenzia per la pesca commerciale della Florida ha rilevato che i piccoli di gambero non
riuscivano a sopravvivere in un’acqua con 5 ppm di PCB. Leggendo il rapporto si capisce anche che i PCB sono ovunque: servono da lubrificanti
nelle turbine, nelle pompe o nei distributori di alimenti per bovini, nei silos di cereali, nelle piscine (soprattutto in Europa) e nella segnaletica autostradale, nella composizione degli oli per il trattamento dei metalli, nelle saldature, negli adesivi, nelle carte copiative senza carbone eccetera.
«A mano a mano che l’allarme per l’inquinamento ambientale cresce,
è quasi automatico che un certo numero di nostri clienti o di loro prodotti saranno messi sotto accusa. L’azienda rischia di essere considerata
moralmente, o addirittura legalmente, delittuosa se non informerà tutti i
suoi clienti delle possibili implicazioni», sottolinea il comitato. E conclude: «Di fronte a questa situazione di emergenza, che mette in pericolo
una linea di prodotti molto redditizi, è necessario usare mezzi finanziari
e umani per tutelarsi…»
In pratica, ciò che propone la Monsanto non è di ammettere la propria colpa, semplicemente ritirando la gamma Aroclor dal mercato, ma
di fare di tutto per continuare a venderla, grazie a un piano di battaglia
la cui prima mossa consiste nel finanziare uno studio tossicologico per
testare i PCB sui topi. Perciò l’azienda firma un contratto con gli Industrial Bio-Test Labs (IBT) di Northbrook, nell’Illinois, fra i cui dirigenti
figura il dottor Paul Wright, tossicologo della Monsanto reclutato per
l’occasione. Qualche mese più tardi giungono i primi esiti dello studio: «I
PCB mostrano un grado di tossicità ancora più elevato del previsto. […]
Esistono altri risultati provvisori, forse ancora più scoraggianti», commenta un rappresentante del dipartimento medico della Monsanto. Segue una lettera a Joseph Calandra, dirigente degli IBT: «Siamo delusi
per gli alti livelli di tossicità rilevati. Speriamo che il prossimo campione
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darà risultati meno sconfortanti». Nel luglio 1975 un rapporto preliminare viene indirizzato allo stesso dipartimento, il quale lo modifica proponendo di sostituire la conclusione «che possono portare a tumori benigni» con la frase «che sembrano non essere cancerogeni».
Il «rapporto», destinato a smorzare la polemica che continua a crescere nel corso degli anni Settanta, sarà pubblicato e relegato, dopo tre
anni, in un armadio della Monsanto: dopo un’inchiesta condotta congiuntamente dalla FDA e dall’EPA, i dirigenti degli IBT (fra cui Paul Wright, che nel frattempo aveva occupato il proprio posto a Saint Louis) sono stati condannati per «frode» al termine di un lungo processo. Avevano
evidentemente manipolato i risultati di alcuni studi per soddisfare i propri clienti. Stranamente, il processo non affronta nello specifico lo studio
dei PCB ma, più tardi, si scoprirà che l’82 per cento dei topi nutriti con
alimenti contenenti 10 ppm di Aroclor avevano sviluppato un tumore
(con 100 ppm la percentuale era del 100 per cento).
Nonostante gli sforzi, i dirigenti della Monsanto non hanno potuto
evitare «l’irreparabile»: il 31 ottobre 1977 la produzione dei PCB viene
definitivamente vietata negli Stati Uniti, ma non in Gran Bretagna, dove
la multinazionale possedeva una filiale a Newport, nel Galles, né in Francia, dove la Prodelec ferma la produzione solo nel 1987, né in Germania
(Bayer), né in Spagna. Il 29 settembre 1976 gli uffici di Saint Louis inviano un messaggio alla Monsanto Europe con un modello domanda-risposta, utile in caso di interviste. Si legge: «Se vi fanno domande sulla cancerogenicità dei PCB, fornite la seguente risposta, che attribuirete a
George Roush, direttore del dipartimento salute e ambiente della Monsanto: ‘Gli esami sanitari preliminari condotti sui nostri operai che lavorano con i PCB, oltre agli studi sul lungo termine realizzati sugli animali,
non ci permettono di ritenere che i PCB siano cancerogeni’».
Un veleno tossico quanto la diossina
«Tutti abbiamo PCB nell’organismo», mi dice il professor David Carpenter, direttore dell’Istituto per la salute e l’ambiente dell’Università di
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Albany, nello Stato di New York. Appartengono a una categoria di dodici
inquinanti chimici molto pericolosi chiamati «inquinanti organici persistenti», perché resistono alla degradazione biologica naturale accumulandosi nei tessuti degli organismi viventi attraverso la catena alimentare.
«I PCB hanno contaminato tutto il Pianeta, dall’Artico all’Antartico,
e un’esposizione regolare può portare a tumori, soprattutto a fegato, pancreas, intestino, seno, polmoni e cervello, a malattie cardiovascolari,
ipertensione, diabete, a una riduzione delle difese immunitarie, a disfunzioni della tiroide e degli ormoni sessuali, a problemi della riproduzione
oltre che a disturbi neurologici gravi, perché alcuni PCB appartengono
alla famiglia delle diossine…»
Il professor Carpenter mi spiega inoltre che i PCB sono molecole di
bifenili in cui uno o più dei dieci atomi di idrogeno sono sostituiti da atomi di cloro. Esistono quindi duecentonove combinazioni possibili e duecentonove PCB diversi – si parla di «congeneri» – la cui tossicità varia
secondo il grado di clorazione legata alla posizione e al numero di atomi
di cloro presenti nella molecola.
Mentre scrivo non posso fare a meno di sfogliare Le Nouvel Observateur del 23 agosto 2007, che, dopo Le Monde, Libération e Le Figaro, ha
parlato di quello che il Dauphiné Libéré ha chiamato «Cernobyl alla
francese»:7 «Il Rodano è inquinato sino alla foce», scrive il settimanale.
«Presenta tassi di PCB da cinque a dodici volte superiori alle norme sanitarie europee!* Analisi dopo analisi, le ordinanze della prefettura sono
arrivate una dietro l’altra: il divieto di consumo dei pesci, decretato prima a nord di Lione, poi esteso sino ai confini della Drôme e dell’Ardèche,
dal 7 agosto ha interessato anche i dipartimenti della Valchiusa, del Gard
e delle Bocche del Rodano. Potrebbe presto diffondersi alle acque della
Camargue, alimentate dal fiume, e persino influire sulla pesca costiera
nel Mediterraneo e su quella di crostacei marini…»
L’allarme è stato lanciato casualmente da un pescatore professionista
tradito dalla sua buona fede: «A fine 2004 abbiamo trovato degli uccelli
* Secondo Le Monde del 26 giugno 2007, «il pesce più contaminato conteneva una dose
quaranta volte superiore a quella quotidianamente accettabile».
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morti a nord di Lione», spiega a un mio collega giornalista. «Per tutta la
durata delle analisi, i servizi veterinari, per precauzione, hanno vietato il
consumo del pescato. Era solo un caso di botulismo strettamente aviario,
ma nessuno voleva più i miei pesci. Ho richiesto analisi complete per dimostrare che erano buoni, e invece… erano pieni di PCB!»
Da allora i servizi statali si affannano per determinare le origini dell’inquinamento, che interesserebbe centinaia di migliaia di tonnellate di
sedimenti del Rodano. Come abbiamo visto, in Francia la vendita e l’acquisto di PCB o di apparecchiature che ne contengano sono vietati dal
1987. Un decreto del 18 gennaio 2001 ha inserito nella legislazione francese una direttiva europea del 16 settembre 19968 (cinque anni dopo!) riguardante l’eliminazione dei PCB ancora esistenti, che dovranno sparire
definitivamente entro il 31 dicembre 2010. Un piano nazionale di decontaminazione e di eliminazione delle apparecchiature contenenti PCB è
stato messo in atto solo nel 2003. Secondo l’agenzia francese per l’ambiente e la gestione dell’energia (ADEME), al 30 giugno 2002 sarebbero
state rilevate in Francia 545.610 apparecchiature contenenti più di cinque litri di PCB (di cui 450.000 appartenenti a EDF, il gruppo energetico
francese), per un totale di 33.462 tonnellate di PCB da eliminare. Ma per
France Nature Environnement (FNE) si è ancora molto lontani dall’obiettivo, dato che la dichiarazione delle strumentazioni da trattare è volontaria. «Il nostro timore è di vedere inquinanti a base di PCB dispersi
nell’ambiente a causa di smaltimenti non sorvegliati di rifiuti, abbandonati in modo selvaggio o semplicemente smaltiti come ferro vecchio»,
scrive l’associazione in una lettera informativa del febbraio 2007.9
«Il problema», mi spiega il professor David Carpenter, «è che i PCB
sono molto difficili da distruggere. L’unico modo è bruciarli ad altissime
temperature dentro inceneritori capaci di trattare anche la diossina che
ne provoca la combustione.» In Francia le aziende omologate per condurre questa delicata operazione sono due: una si trova a Saint-Auban,
nelle Alpi dell’Alta Provenza, l’altra a Saint-Vulbas, nell’Ain, lungo il Rodano. Secondo le informazioni raccolte da Le Nouvel Observateur, fino
al 1988 quest’ultima era autorizzata a scaricare quotidianamente nel fiume tre chilogrammi di residui di PCB (oggi la quantità massima è di tre
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grammi al giorno). A questa possibile fonte di contaminazione si aggiungono probabilmente anche i rifiuti prodotti dalle numerose aziende che
usano il Pyralène nella zona del Rodano (nota come «corridoio chimico»), e che hanno scaricato i loro oli al PCB nel terreno, nelle falde freatiche e nei corsi d’acqua vicini. «Per decenni negli Stati Uniti e nel resto
del mondo le autorità pubbliche hanno accettato il silenzio della Monsanto sulla tossicità dei PCB», commenta il professor Carpenter. «Tutti
hanno chiuso gli occhi sugli effetti di questo veleno, pericoloso quanto la
diossina.»
Basta leggere il documento redatto dal dipartimento della Sanità e
dall’EPA, e inviato al Congresso americano nel 1996, per capire che in
realtà le «implicazioni sanitarie dell’esplosione di PCB» sono gravissime.10 In una trentina di pagine presenta ben centocinquantanove studi
scientifici condotti negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone, tutti con le
stesse conclusioni: le tre fonti principali di contaminazione umana da
PCB sono l’esposizione diretta sul posto di lavoro, vivere in prossimità di
un luogo inquinato e, soprattutto, la catena alimentare, in cui il pesce è
l’elemento più rischioso. Inoltre, tutti i ricercatori hanno constatato che
le madri contaminate trasmettevano i PCB attraverso il latte materno,
provocando danni neurologici irreparabili nei neonati, che venivano colpiti da quelli che i medici chiamano «disordini dell’attenzione» e avevano un QI decisamente inferiore alla media.
La tossicità devastante dei PCB ha potuto essere minuziosamente
studiata a causa di un incidente accaduto in Giappone nel 1968, quando
milletrecento persone della regione di Kyushu hanno consumato olio di
riso contaminato da PCB, in seguito a una fuga in un sistema di refrigerazione. Sono state colpite da una malattia inizialmente chiamata yusho
(cioè «malattia dermatologica proveniente dall’olio»), e caratterizzata
da eruzioni cutanee gravi, scolorimento di labbra e unghie e rigonfiamento delle articolazioni. Quando si è capito che l’origine della misteriosa malattia erano i PCB, alcuni ricercatori hanno avviato un follow-up
medico a lungo termine sulle vittime. I risultati mostrano che i bambini
nati da madri contaminate durante la gravidanza presentavano un tasso
di mortalità precoce e/o un ritardo mentale e comportamentale signifi30
cativi; inoltre, il tasso di tumori al fegato era quindici volte più elevato
nelle vittime che nella popolazione normale, mentre la speranza di vita
media si era considerevolmente ridotta. Infine, i PCB erano ancora individuabili nel sangue e nel sebo delle persone contaminate ventisei anni
dopo l’incidente.
Questi risultati sono stati confermati da uno studio condotto su duemila soggetti di Taiwan, contaminati nel 1979 nelle stesse condizioni dei
loro vicini giapponesi (incidente di Yu-Cheng).11 Questi due drammatici
eventi spiegano il timore delle autorità belghe quando, nel gennaio 1999,
è scoppiata la questione dei «polli alla diossina». Bisognava anche considerare la mescolanza accidentale dei PCB con gli oli di cottura, in seguito introdotti negli alimenti destinati a polli, maiali e bovini di allevamenti intensivi.
Della serie di studi presentati nel documento dell’EPA, ne ricorderò
altri due particolarmente drammatici. Uno riguarda duecentoquarantadue bambini nati da madri di origine amerinda o mogli di pescatori amatoriali che avevano regolarmente consumato pesce del Lago Michigan sei
anni prima o durante la gravidanza: tutti presentavano un calo di peso
alla nascita e un deficit persistente dell’apprendimento cognitivo. L’altro
documento riguarda gli inuit della baia di Hudson, anche loro particolarmente esposti: la contaminazione massima, in effetti, è stata registrata a
monte della catena alimentare, nei mammiferi marini come le foche, gli
orsi polari e le balene, di cui alcune specie, come le orche, sono minacciate di estinzione da PCB.12
La continua negazione dell’evidenza
«Non esistono prove convincenti che i PCB siano associati a effetti sanitari gravi sul lungo termine»,13 dichiarava John Hunter, presidente della Solutia, il 14 gennaio 2002 in una conferenza a cui aveva invitato azionisti e rappresentanti della stampa. Hunter cercava di alleviare l’effetto
di un articolo del Washington Post intitolato «La Monsanto nasconde decenni di inquinamento»14 e pubblicato il 2 gennaio 2002, giorno dell’aper31
tura del processo Abernathy vs. Monsanto. «Nonostante lo spessore del
dossier scientifico, i documenti interni e le testimonianze, gli industriali
di Saint Louis hanno continuato a negare la responsabilità dell’azienda
nel disastro ecologico e sanitario di Anniston», commenta il professor
Carpenter, convocato come esperto scientifico in occasione del processo.
«Non hanno mai mostrato la benché minima compassione per le vittime», mi conferma Ken Cook, «non una parola di scuse o un segno di dispiacere, ma una costante negazione dell’evidenza! La loro linea di difesa si può riassumere così: ‘Prima della fine degli anni Sessanta non
sapevamo che i PCB fossero pericolosi, ma appena l’abbiamo saputo abbiamo agito con tempestività per risolvere la questione con le agenzie
governative’.»
Sfogliando i documenti del processo si rimane sconvolti dall’arroganza
di alcuni rappresentanti dell’azienda, che non vuole riconoscere le proprie colpe. Ecco, per esempio, un estratto dell’udienza di William Papageorge nell’ambito dell’istruttoria del 31 marzo 1998 presso il tribunale di
Calhoun County: «La Monsanto ha forse informato gli abitanti di Anniston
che ogni giorno lo stabilimento rilasciava circa dodici chilogrammi di rifiuti provenienti dalla produzione di Aroclor?» lo interroga il giudice.
«Non c’era motivo di farlo, erano quantità insignificanti», risponde
William Papageorge.
«Quindi la risposta è no?»
«Esatto.»
«Qualcuno ha informato gli abitanti che la Monsanto usava lo Snow
Creek e il Choccolocco Creek per determinare gli effetti sull’acqua dei
PCB provenienti dall’azienda?»
«È come se chiedeste a un benzinaio di informare i vicini che la sua
stazione di servizio lascia tracce di olio e di benzina sul pavimento. Sarebbe del tutto controproducente…»
«La risposta è no?»
«Sì…»
«La Monsanto ha fornito agli abitanti di Anniston informazioni sui rischi per la salute legati ai PCB?»
«Perché avremmo dovuto farlo?»
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