1 IL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO DOPO L`ENNESIMO

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1 IL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO DOPO L`ENNESIMO
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Prot. n° 147/22
Circolare N° 11/MAGGIO 2014
MAGGIO 2014
A tutti i colleghi (*)
IL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO DOPO L’ENNESIMO RESTYLING
DEL GOVERNO RENZI.
Il Decreto Legge n° 34 del 20 marzo 2014, così come convertito, con
modificazioni, dalla Legge n° 78 del 16 maggio u.s. entrata in vigore il successivo
20 maggio, ha apportato consistenti modificazioni al contratto a tempo
determinato.
La disciplina de qua modifica il decreto legislativo 368/2001 che, dunque,
continua ad essere il testo normativo di riferimento in subiecta materia. Tuttavia,
gli aspetti intertemporali (il passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina) sono
contenuti nell’art. 2-bis della legge di conversione.
Con il nuovo impianto normativo, la legittima stipula del contratto di lavoro a
tempo determinato non è più subordinata alla (necessaria) sussistenza ed
indicazioni di ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo ex art. 1 c. 1 D. Lgs. n° 368/2001.
Si è parlato, a tale riguardo, tout court di contratto “acausale”. L’accezione è
chiaramente atecnica, non potendo sussistere contratti privi di causa, giusto il
disposto di cui all’art. 1325 c.c.
Il termine corretto, da un punto di vista (semantico) giuridico, potrebbe essere
“senza motivazioni”; ma, a ben guardare, anche questo sarebbe inopportuno.
La legge 78/2014, infatti, all’art. 1 comma 1, recita testualmente: “considerata
la perdurante crisi occupazionale e l’incertezza dell’attuale quadro
economico nel quale le imprese devono operare…”. E’ questa, dunque, la
motivazione della “acausalità” in senso atecnico. Il legislatore, come sovente
avviene nel contratto di lavoro subordinato, ci ha messo “lo zampino”.
Tratterebbesi, dunque, di un “contratto a motivazione ex lege” – finalizzato ad
una nuova e più flessibile occupazione, considerato il momento di incertezza
economica.
In ogni caso, una cosa è certa, al di là della semantica giuridica: viene
definitivamente e totalmente eliminato il c.d. “causalone” che, come noto,
era già stato parzialmente superato con l’introduzione nel nostro ordinamento
positivo, ad opera e per effetto dell’art. 1 co. 9 della L. 92/2012, del contratto a
termine a-causale utilizzabile per la durata massima di dodici mesi, proroga
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compresa – come da modifica apportata ex D.L. n° 76 del 28 giugno 2013 art. 7
co. 1.
Pertanto, attualmente, l’indicazione, all’interno del contratto individuale di lavoro,
delle ragioni poste a fondamento dell’apposizione del termine diviene, da obbligo,
mera opportunità utile sia ai fini del computo numerico per la verifica del
rispetto della neo-istituita “clausola di contingentamento” ex lege del 20% - di
cui, a breve, infra - sia ai fini meramente economici dell’applicabilità o meno del
contributo addizionale ASpI - ex art. 2 co. 28 L. n° 92/2012 – attualmente
fissato nella misura dell’1,40%.
La totale eliminazione del causalone ha il pregevole merito (almeno è quanto
auspichiamo) di comportare una considerevole riduzione dei (numerosi)
contenziosi giudiziali relativi all’accertamento della genuinità delle motivazioni
addotte in sede contrattuale individuale al fine di legittimare il ricorso al contratto
a tempo determinato.
L’art. 1 co. 2 del D. Lgs. n° 368/2001, così come ora novellato, prevede che
l’apposizione del termine deve risultare, direttamente o indirettamente,
da atto scritto pena la nullità della clausola a tempo determinato apposta
al contratto di lavoro. Dalla lettura di tale previsione sembra pacificamente
potersi ritenere che la “semplice” consegna al lavoratore di copia della
comunicazione telematica di assunzione (modello “UniLav”) costituisca corretta
ottemperanza al dettato normativo, integrata dalle indicazioni sul “diritto di
precedenza”, di cui a breve si dirà.
Durata
Il D.L. n° 34/2014, e la correlata legge di conversione n° 78/2014, intervengono
anche per quanto attiene la durata temporale massima del rapporto di lavoro a
termine che, da libera pattuizione fra le parti, salvo alcuni casi, diviene ora
limitata, per legge, entro il tetto di trentasei mesi comprensivi di eventuali
proroghe.
Tale limite non si applica ai dirigenti atteso che, la normativa di riferimento – art.
10 co. 4 del D. Lgs. n° 368/2001 – non è stata oggetto di modificazioni; pertanto,
per tale categoria apicale rimane invariato il tetto massimo dei cinque anni di
durata.
Proroghe
Il contratto potrà essere oggetto di proroga, a prescindere dal numero di
rinnovi effettuati, fino ad un massimo di cinque volte.
Le novità rispetto alla disciplina previgente sono molteplici.
In primis la proroga, che nel precedente regime normativo era unica ma, con
riferimento al singolo contratto, può ora essere effettuata fino a cinque volte
ma tenendo in considerazione non il singolo rapporto bensì tutti i
contratti stipulati, anche a seguito di rinnovi (naturalmente nel rispetto del
c.d. periodo di stop&go) nell’arco dei complessivi 36 mesi.
Quindi, se da un lato ci troviamo di fronte ad un’elevazione del numero di
proroghe che possono essere poste in essere, dall’altro lato è necessario
calcolarne il numero in riferimento a tutti i rapporti a termine, intercorsi fra le
parti, riferiti alle medesime attività lavorative. A tal fine, devono essere
computati anche i periodi di missione a seguito della stipula di un contratto di
somministrazione.
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Conformemente all'eliminazione dell’obbligo di individuare ed indicare le ragioni di
carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo al fine di legittimamente
avviare un contratto di lavoro, non ne è più richiesta (ovviamente) la
sussistenza anche per le eventuali proroghe. Ex adverso persiste la
necessità che le attività da espletare nel periodo di proroga siano le
stesse che hanno richiesto l'avvio del contratto.
Ergo, è necessario che il lavoratore – durante le proroga – svolga la stessa
mansione per la quale è stato assunto a tempo indeterminato.
Infine, per quanto riguarda le proroghe, è necessario precisare che – durante il
periodo di validità del decreto legge (21.03.2014-19.05.2014) – le proroghe
potevano essere in numero di 8. La legge di conversione ha esplicitamente fatto
salvi gli effetti prodotti ratione temporis.
Quindi, un contratto a termine, stipulato dal 21.03.2014, avrebbe potuto essere
legittimamente prorogato per ben otto volte (numero massimo) durante il periodo
21.03.2014 al 19.05.2014. Resta inteso che, per il futuro, avendo raggiunto il
numero massimo fissato dalla legge di conversione (id: 5) non potrà più essere
oggetto di proroga.
Rinnovi.
Nulla è variato per quanto attiene il regime dei rinnovi per i quali è sempre
necessario rispettare il periodo di stop&go pari a 10 o 20 giorni a seconda che la
durata del contratto sia inferiore o meno a sei mesi, ovvero il diverso termine di
cui alla contrattazione collettiva (di qualsiasi livello).
Allo stesso modo non ha subito innovazioni la possibilità di effettuare
un’ulteriore proroga, anche oltre i 36 mesi, mediante apposito accordo
da formalizzare presso le competenti DD.TT.LL.
Clausola di contingentamento
La “semplificazione” introdotta nella disciplina del lavoro a termine, attraverso
l’eliminazione del causalone, trova, però, un contraltare particolarmente
stringente (ed assolutamente non condivisibile).
E’ stata, infatti, introdotta una pesante limitazione percentuale del numero
dei contratti di lavoro a termine complessivamente stipulabili in
riferimento al singolo datore di lavoro.
Infatti, il testo del D. Lgs. n° 368/2001 post-modificazioni prevede ora, all’art. 1,
che il numero di contratti a tempo determinato avviabili da ciascun
soggetto datoriale non può eccedere il limite del 20% dei lavoratori a
tempo indeterminato occupati alla data del 1° gennaio dell’anno di
riferimento.
Per i datori di lavoro (fortunatamente in sede di conversione è stata modificata
l'equivoca dicitura contenuta nel D.L. n° 34/2014 che richiamava le sole
“imprese”) che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile
stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.
Pertanto, attualmente, il datore di lavoro per poter procedere ad un’assunzione a
termine dovrà determinare il numero di lavoratori dipendenti, con contratto di
lavoro a tempo indeterminato, in forza alla data del 1° gennaio.
Nella forza lavoro a tempo indeterminato sembrano potersi annoverare
tranquillamente gli apprendisti – essendo, giusto il disposto di cui all’art. 1 del
decreto delegato 167/2011, lavoratori a tempo indeterminato. Non sembrerebbe,
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infatti, operante la previsione di cui all’art. 7, comma 3, del 167/2011 in quanto
in essa si fa riferimento a “limiti numerici” (ergo: soglie numeriche oltre le quali si
applica una determinata disciplina). Il riferimento, in questo caso, è chiaramente
alla “stabilità reale” (art. 18 legge 300/70) e alla procedura innanzi alle DTL per i
licenziamenti per g.m.o. (art. 7 legge 604/66 – nel testo novellato dalla legge
92/2012). Nella formulazione della legge 78/2014 si fa riferimento al “numero di
lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1 gennaio dell’anno di assunzione”,
quindi si tratta di una “base imponibile” e non di una “soglia limite”.
Dopo aver effettuato tale operazione matematica dovrà essere verificato il
numero di lavoratori a termine già presenti nell’organico datoriale per verificare
se c’è ancora “capienza” al fine di poter procedere con l’avviamento al lavoro di
nuovi dipendenti a tempo determinato. Il “numero di riferimento”
determinato utilizzando la forza lavoro al 1° gennaio dovrebbe restare
invariato anche in caso di successiva diminuzione del numero di
lavoratori indeterminati.
La legge n° 78/2014 “lascia in vita” le eventuali difformi previsioni dei
CC.CC.NN.LL. (non quelli aziendali!!!) laddove prevedano percentuali di
riferimento inferiori o superiori a quella legale del 20%.
Esimenti per la non applicazione della “clausola di contingentamento”
Continuano a trovare applicazione le esclusioni previste dall’art. 10 c. 7 del
D. Lgs. n° 368/2001 e che si riferiscono ai contratti conclusi:
nella fase di avvio di nuove attività per i periodi definiti dai contratti
collettivi nazionali di lavoro;
per ragioni di carattere sostitutivo;
per ragioni collegate alla stagionalità ivi compreso lo svolgimento delle
attività indicate nell’allegato al DPR n° 1525/1963;
per la realizzazione di specifici programmi radiofonici e/televisivi;
con lavoratori di età superiore a 55 anni.
A tali fattispecie deve essere aggiunta quella ulteriore, introdotta dalla legge di
conversione, riferita ai contratti stipulati tra istituti pubblici di ricerca, ovvero enti
privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere, in via esclusiva, attività di
ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica o di coordinamento e
direzione della stessa.
In tal caso i contratti anche la durata soggiace ad un regime ad hoc potendo
avere validità pari a quella del progetto di ricerca al quale le attività si riferiscono.
Sanzione amministrativa
Nel caso in cui tale soglia percentuale non venga rispettata, sarà applicabile una
sanzione amministrativa pecuniaria a carico del datore di lavoro
determinata nella misura del 20% della retribuzione, per ciascun mese o
frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di
lavoro, se il numero di lavoratori assunti in violazione non è superiore a
uno o del 50% se il numero di contratti eccedenti è superiore a uno.
A prescindere dall’applicazione della neo-istituita sanzione amministrativa, è
ancora da verificare quello che può essere l’effetto dell’eventuale superamento
dei limiti percentuali sul contratto di lavoro.
In sostanza, ci si domanda se la “sanzione amministrativa” (sulla cui legittimità si
esprimono molte perplessità visto che non si comprende quale è il danno
sopportato dalla Pubblica Amministrazione) sia l’unica, ovvero possa – come
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avvenuto per effetto di un orientamento giurisprudenziale alquanto copioso –
anche ipotizzarsi una “conversione a tempo indeterminato” del contratto??
Una risposta a tale interrogativo potrà fornirla soltanto il legislatore, magari con
una norma di interpretazione autentica, ovvero il tempo, allorquando – cioè – si
sarà consolidato un certo orientamento giurisprudenziale.
Il Ministero, invece, dovrebbe chiarire, per via amministrativa, la portata del
concetto di “retribuzione” di riferimento da utilizzare per il calcolo della sanzione
amministrativa ed il relativo computo, ad esempio, nel caso in cui i lavoratori
siano 2 ma entrambi part-time al 50%.
Diritto di precedenza
In ultimo è da evidenziare che la Legge n° 78/2014 “potenzia” anche il diritto di
precedenza che compete ai lavoratori occupati attraverso il contratto a termine.
Infatti la norma, nel confermare la previsione dell’articolo 5 comma 4-quater che
statuisce il diritto di precedenza per le assunzioni a tempo indeterminato in
favore del lavoratore occupato per almeno sei mesi, prevede ora che il periodo
di congedo per maternità – ex art. 16 co. 1 D. Lgs. n° 151/2001 –
concorre a determinare il periodo di attività lavorativa minimo
necessario al conseguimento del diritto di precedenza. Inoltre, in favore
delle medesime lavoratrici, viene esteso il diritto di precedenza relativamente alle
assunzioni a tempo determinato effettuate, nei successivi dodici mesi, con
riferimento alle mansioni dalle stesse già espletate in esecuzione di precedenti
rapporti a termine.
Il contratto individuale di lavoro dovrà espressamente richiamare il
diritto di precedenza in favore del lavoratore assunto con contratto di
lavoro a termine.
Diritto intertemporale
Le maggiori problematiche interpretative sorgono con riferimento alla decorrenza
del nuovo regime, considerato che gli effetti eventualmente prodotti dal DL sono
stati fatti salvi.
In nuce, la ns. interpretazione è:
Contratti stipulati ante 21.03.2014
Seguono le vecchie regole di cui alle modifiche Fornero-Letta. E, quindi:
1) causalone: con durata fino a quando sussistenti le ragioni (anche oltre i 36
mesi);
2) acausalità: ipotesi da contratti collettivi, anche aziendali, nel limite di 12
mesi compresa una sola proroga;
3) proroghe: una sola a condizione che la durata iniziale fosse inferiore a 36
mesi. In tal caso, contratto iniziale + proroga non superiore a 36 mesi.
Contratti stipulati dal 21.03.2014 al 19.05.2014
Regole di cui al DL 34/2014
1) no causalone;
2) SOLO acausalità (in senso atecnico) = durata massima 36 mesi;
3) proroghe: fino a 8, nel limite massimo di 36 mesi;
4) contingentamento: 20% dell’organico complessivo (concetto indefinito, vedi
n° 46/2014 di Dentro La Notizia), ovvero i diversi limiti da CCNL – salve le
ipotesi sub art. 10 comma 7;
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5) sanzione amministrativa in caso di superamento del contingentamento: non
si applica. Si può rientrare nel numero legale/contrattuale entro il
31.12.2014 ovvero diverso termine contrattuale (anche aziendale).
Contratti stipulati dal 20.05.2014
Regole di cui alla legge 78/2014.
1) no causalone;
2) SOLO acausalità (in senso atecnico) = durata massima 36 mesi;
3) proroghe: fino a 5, nel limite massimo di 36 mesi, indipendentemente dai
rinnovi;
4) contingentamento: 20% del numero complessivo dei lavoratori a tempo
indeterminato al 01.01. dell’anno di assunzione, ovvero i diversi limiti da
CCNL – salve le ipotesi sub art. 10 comma 7;
5) sanzione amministrativa in caso di superamento del contingentamento: si
applica
Ad maiora!!
Ordine Provinciale
Consulenti del Lavoro di Napoli
il Presidente
F.to Dott. Edmondo Duraccio
A.N.C.L. U.P. NAPOLI
il Presidente
F.to Rag. Maurizio Buonocore
A.N.C.L. U.P. di Napoli
Centro Studi “O. Baroncelli”
il Coordinatore
F.to Dott. Vincenzo Balzano
A.N.C.L. U. P. di Napoli
Centro Studi “O. Baroncelli”
Divisione LAVORO “NICOLA NOCERA”
il Responsabile
F.to Dott. Francesco Capaccio
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ED/FC/PA
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