2° Simposio di Cardiologia Umana e Veterinaria sull`Aldosterone
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2° Simposio di Cardiologia Umana e Veterinaria sull`Aldosterone
Rivista di Zootecnia e Veterinaria, vol. 45, n. 2, 2011 2° Simposio di Cardiologia Umana e Veterinaria sull’Aldosterone (Bordeaux, Francia, Ottobre 2011) C. Quintavalla DVM, PhD - Dipartimento di Salute Animale - Università degli studi di Parma E-mail: [email protected] RIASSUNTO Nei giorni 1 e 2 ottobre 2011 si è svolto a Bordeaux il 2° Simposio di Cardiologia Umana e Veterinaria sull’Aldosterone. L’incontro, che ha visto la partecipazione di oltre 70 specialisti di cardiologia e nefrologia umana e veterinaria, ha rappresentato il seguito naturale del precedente, simposio del 2009, ed ha affrontato il tema dell’aldosterone “breakthrough” un fenomeno osservato nella maggior parte dei pazienti umani e canini sottoposti a terapia cronica con ACE-inibitori o antagonisti dei recettori dell’angiotensina II. L’aldosterone “breakthrough” può determinare importanti conseguenze a livello cardiovascolare e renale: espansione del volume ematico per ritenzione di sodio con aggravamento dei sintomi congestizi, perdita di magnesio e potassio, disfunzione endoteliale e infiammazione vascolare con effetti di rimodellamento renale, vascolare e cardiaco, riduzione della velocità di filtrazione renale, proteinuria, fibrosi ed ipertrofia cardiaca e progressione dell’insufficienza cardiaca. I bloccanti dei recettori per i mineralcorticoidi (tra cui lo spironolattone), la cui efficacia terapeutica è comprovata in pazienti umani con insufficienza cardiaca e disfunzione sistolica e in cani con malattia valvolare mitralica moderata-grave, appaiono farmaci promettenti anche nella gestione dei pazienti con insufficienza cardiaca a stadio più precoce e dei pazienti con insufficienza renale cronica e/o proteinuria, anche in un contesto di sindrome cardio-renale, condizione in cui la disfunzione di un organo può determinare od aggravare la disfunzione dell’altro. Una sessione del simposio è stata dedicata al ruolo dei biomarcatori nella diagnosi e nella prognosi delle malattie cardiache, con particolare riferimento alle strategie “multimarker” per la stratificazione del rischio. SUMMARY The 2° Human and Veterinary Crosstalk Symposium on Aldosterone was held in Bordeaux the 1st and 2nd October 2011. More than 70 specialists in human and veterinary cardiology and nephrology attended the meeting, the logical follow-up of the first one held in 2009. The symposium focused on the topic of aldosterone “breakthrough”, a phenomenon observed in the most part of human and canine patients chronically treated with ACE-inhibitors or angiotensin receptor blockers. The aldosterone “breakthrough” is clinically relevant as chronic exposure to high concentrations of aldosterone results in expansion of extracellular volume, favours potassium and magnesium wasting, contributes to endothelial dysfunction and vascular inflammation with renal, vascular and cardiac remodelling, reduction of glomerular filtration rate, increasing proteinuria, cardiac fibrosis, hypertrophy and progression of heart failure. The efficacy of mineralcorticoid receptor blockers (MRBs) (spironolactone among these) is validated in patients with heart failure and systolic dysfunction as well as in dogs affected by moderate to severe heart failure due to mitral valve disease. MRBs appear as promising molecules in the treatment of human and canine patients at earlier stages of heart failure or suffering from chronic kidney disease and/or proteinuria, even in the context of cardiorenal syndromes, whereby dysfunction in one organ may induce dysfunction of the other. One session of the symposium addressed the practical use of biomarkers in the diagnosis and prognosis of heart disease, with particular reference to multi-marker strategies for patient risk stratification. KEYWORDS Aldosterone, Spironolactone, Heart failure, Chronic Kidney Disease, Biomarkers. INTRODUZIONE Le iniziative volte a promuovere il confronto e lo scambio di esperienze, idee ed opinioni tra medici umani e veterinari destano un sempre maggiore interesse potendo offrire nuovi spunti e stimoli allo studio e alla ricerca. In questa ottica e come seguito natuale del precedente simposio svoltosi nel 2009, Ceva Sante Animale ha organizzato (1 e 2 ottobre 2011, a Bordeaux) il II Simposio di Cardiologia Umana e Veterinaria, con la partecipazione di oltre 70 esperti 15 C. Quintavalla provenienti da 14 Paesi diversi. Tema centrale del simposio è stato l’aldosterone e il ruolo che giocano i suoi antagonisti recettoriali (in particolare lo spironolattone) nella clinica delle patologie cardiovascolari e dell’insufficienza reale cronica. Una sessione congressuale è stata dedicata all’argomento dei biomarcatori. Il simposio congiunto si è articolato in 4 sessioni animate e moderate da specialisti di cardiologia e nefrologia. ASPETTI CLINICI DELL’ALDOSTERONE E IL CONCETTO DI ALDOSTERONE “ESCAPE”: QUALE RUOLO PER I BLOCCANTI DEI RECETTORI DELL’ALDOSTERONE? Il sistema renina-angiotensina-aldosterone (SRAA) è costantemente attivato nei pazienti con insufficienza cardiaca. L’utilizzo degli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE-I) nei pazienti affetti da insufficienza cardiaca congestizia risale alla fine degli anni ’80 nell’uomo ed alla fine degli anni ’90 nel cane, ed è giustificato dai benefici in termini di qualità ed aspettative di vita comprovati da numerosi studi clinici. È tuttavia ampiamente accertato che in una elevata percentuale di pazienti umani in terapia cronica con ACE-I o con antagonisti dei recettori dell’angiotensina si assiste, dopo una iniziale diminuzione dei livelli di aldosterone, ad un ripristino dei livelli basali pre-terapia o addirittura al conseguimento di livelli superiori. Il fenomeno della persistente secrezione di aldosterone nonostante una significativa riduzione dell’attività plasmatica dell’ACE e la presunta rimozione di angiotensina II, il suo principale secretagogo, è comunemente noto come “aldosterone escape”, o meglio, come suggerito dai relatori Atkins (Professore di Medicina e Cardiologia Veterinaria, Università del Nord Carolina) e Struthers (Professore di Medicina Cardiovascolare, Ninewells Hospital di Dundee), aldosterone “breakthrough”. In effetti, il termine “escape” fa riferimento al fenomeno per cui i reni “sfuggono” l’effetto sodio-ritentivo mediato dall’aldosterone allo scopo di mantenere l’omeostasi dell’elettrolita e una pressione sistolica stabile ed evitando così grave espansione della volemia e il conseguente edema: il termine si riferisce quindi ad un evento fisiologico renale in risposta ad iperaldosteronismo. Il termine “breakthrough” risulta invece più descrittivo, in quanto indica direttamente il fenomeno per cui si viene a “creare una spaccatura” nei sistemi di soppressione del SRAA grazie all’attivazione di altri stimoli alla produzione di aldosterone. Il meccanismo preciso non è ad oggi noto, ma si ritiene multifattoriale con intervento di vie ed enzimi alternativi per la conversione di angiotensina I ad angiotensina II, come il sistema delle chimasi o la catepsina G. Anche il potassio è uno dei principali stimoli alla secrezione di aldosterone, e l’aumento del potassio in seguito a terapia con ACE-I può rappresentare un possibile meccanismo, anche se al momento non supportato da evidenze scientifiche. Altri fattori potenzialmenti coinvolti sono l’aumento della renina, le catecolamine, l’ormone adrenocorticotropo, la vasopressina, l’endotelina, la prolattina, la serotonina, nonché l’uso di diuretici e vasodilatatori e le diete iposodiche. Figura I - La Figura di destra dimostra schematicamente i modi possibili in cui possa o meno manifestarsi l’aldosterone “breakthrough”. Questo è derivato dalla metanalisi di Bomback e colleghi e dell’università della North Carolina State in un modello sperimentale di attivazione del SRAA. La risposta ideale a un ACE-i inibitore è la costante ed efficace soppressione dell’aldosterone (circa 50% dei casi nell’uomo; linea rossa tratteggiata). Nell’aldosterone “breakthrough” la soppressione del SRAA si interrompe dopo un certo periodo di tempo (linee blu e rosse) e c'è una recrudescenza della concentrazione dell'aldosterone plasmatico o urinario. Questo è stato osservato in circa il 40-50% di pazienti umani dopo un anno di terapia con ACE-i. C’è un’evidenza nell’attivazione sperimentale del SRAA in cui l’escrezione di aldosterone in cani normali non è stata soppressa sei ore dopo il trattamento con ACE-i nei giorni 1, 5 e 10 (linea nera tratteggiata [a]) a causa di una riduzione importante dell’attività ACE. 16 Rivista di Zootecnia e Veterinaria, vol. 45, n. 2, 2011 Il momento di insorgenza del fenomeno dall’inizio della terapia, così come la percentuale di soggetti che lo manifestano, è variabile: secondo uno studio di meta-analisi, circa il 10% dei pazienti lo manifesta nei primi 6 mesi di terapia con ACE-I e il 40-50% dopo 12 mesi di terapia (Figura I). Non sembrano esserci differenze in relazione a dosaggio e tipo di bloccante del SRAA (ACE-I o antagonista dei recettori dell’angiotensina, o combinazione di entrambi). L’aldosterone “breakthrough” ha grande rilevanza clinica potendo determinare importanti conseguenze sia a livello cardiovascolare che renale: l’esposizione cronica a concentrazioni elevate di aldosterone comporta espansione del volume ematico per ritenzione di sodio (con aggravamento dei sintomi congestizi), favorisce la perdita di magnesio e potassio, inibisce la ricaptazione della noradrenalina favorendo aritmie cardiache e diminuendo la variabilità della frequenza cardiaca, contribuisce a disfunzione endoteliale e infiammazione vascolare con effetti di rimodellamento renale, vascolare e cardiaco, con diminuzione della filtrazione renale, proteinuria, fibrosi cardiaca ed ipertrofia ventricolare e progressione dell’insufficienza cardiaca. Diversi studi hanno dimostrato che i bloccanti dei recettori per i mineralcorticoidi (MRB) (spironolattone, eplerenone), associati alla terapia con ACE-I, esercitano effetti benefici nei pazienti con insufficienza cardiaca ed ipertensione sistemica, indipendentemente dai livelli di aldosteronemia e dal grado di insufficienza cardiaca. In particolare, lo studio RALES ha dimostrato una riduzione della mortalità del 30% in pazienti con insufficienza cardiaca cronica grave con disfunzione sistolica. In questo studio l’efficacia è stata messa in relazione con la riduzione della fibrosi cardiaca, in quanto i marker del pro-collagene risultavano inferiori nel gruppo trattato rispetto al placebo. Lo studio EPHESUS ha dimostrato una riduzione di mortalità del 17% in pazienti colpiti da infarto del miocardio con disfunzione sistolica e insufficienza cardiaca e trattati con eplerenone in associazione alla terapia standard. Barr e coll. hanno dimostrato gli effetti benefici dello spironolattone sull’attività simpatica e sulle aritmie ventricolari. Lo studio EMPHASIS-HF ha dimostrato l’efficacia dei bloccanti dei recettori per i mineralcorticoidi quando usati precocemente nel corso dell’insufficienza cardiaca (classe II NYHA), con riduzione di mortalità e ospedalizzazioni. Per queste evidenze, l’utilizzo degli MRB rappresenta attualmente un caposaldo della terapia dell’insufficienza cardiaca nell’uomo ed è previsto nelle specifiche linee guida. Diversi studi suggeriscono che il fenomeno si manifesta anche nel cane e nel gatto. L’attivazione del SRAA è ampiamente documentata anche nei pazienti di interesse veterinario affetti da insufficienza cardiaca. In particolare, la produzione di aldosterone può essere stimata attraverso la misurazione delle concentrazioni plasmatiche, soggette però a rapide fluttuazioni; in alternativa, una stima media può essere ottenuta dal calcolo del rapporto tra aldosterone e creatinina urinaria (UAC). Boswood (Professore di Cardiologia Veterinaria, Royal Veterinary College, Londra) ha ricordato i risultati preliminari di uno studio condotto su cani affetti da malattia valvolare mitralica (MVD) e cani sani ed ha dimostrato che la produzione di aldosterone misurato con l’UAC aumenta nel momento in cui si realizza il rimodellamento ventricolare. Inoltre, Boswood ha posto in luce una correlazione negativa tra livelli di aldosterone urinario e sopravvivenza in cani affetti da MVD. Uno studio recente effettuato in doppio cieco su 212 cani ha permesso di dimostrare una riduzione di mortalità del 69% in cani affetti da MVD quando il trattamento con spironolattone era associato alla terapia con ACE-I e furosemide (e talvolta anche con digossina). Atkins ha presentato anche i risultati di uno studio preliminare che ha dimostrato come, in circa l’87% dei cani trattati con ACE-I, l’UAC è aumentato e che l’aldosterone “breakthrough” (definito come un UAC ≥ 100% di quella basale) si verifica in circa il 70% dei soggetti. La conclusione desumibile da questi studi è che l’aldosterone “breakthrough” si verifica con uguale frequenza nell’uomo e negli animali e che in una elevata percentuale di cani con insufficienza cardiaca per una più efficace soppressione del SRAA è probabilmente utile, se non necessario, l’introduzione di un bloccante dei recettori per i mineralcorticoidi, come lo spironolattone, in associazione alla terapia con ACE-I. STUDI CLINICI: A CHE PUNTO SIAMO DIECI ANNI DOPO LO STUDIO RALES? È accertato che nell’uomo i maggiori successi derivanti dall’utilizzo degli MRB si registrano nei pazienti con scompenso cardiaco. Lo studio RALES (1999) ha dimostrato una significativa riduzione di mortalità e del tasso di ospedalizzazione quando lo spironolattone viene associato alla terapia con ACE-I e diuretici in pazienti con scompenso cardiaco a stadio avanzato (classe III e IV NYHA). In tempi più recenti sono stati condotti studi clinici finalizzati a chiarire se l’utilizzo degli MRB possa essere utile anche in pazienti con forme meno avanzate di insufficienza cardiaca o in pazienti adeguatamente trattati con ACE-I e beta-bloccanti. Zannad (Professore di Terapia e Cardiologia, Academic Hospital, Nancy) ha presentato i risultati dello studio EMPHASIS condotto su pazienti in classe II/III NYHA con segni di disfunzione sistolica, anamnesi di recente ospedalizzazione per scompenso cardiaco o con elevati livelli di peptici natriuretici: nei pazienti trattati, l’eplerenone ha ridotto del 34% le morti per cause cardiache e il tasso di ospedalizzazione e del 22% la mortalità totale. Alla luce di questi risultati l’utilizzo di questi agenti appare ragionevole anche in pazienti con forme meno avanzate di insufficienza cardiaca. I meccanismi per cui il blocco dell’aldosterone esercita effetti benefici in corso di insufficienza cardiaca cronica sono molteplici: – aumento della frazione di eiezione e riduzione dei volumi telediastolici ventricolari, espressione di miglioramento della funzio- 17 C. Quintavalla ne sistolica ventricolare anche in pazienti già in terapia con ACEI o antagonisti dei recettori dell’angiotensina; – in studi sperimentali condotti sul ratto si è osservato un miglioramento della funzione diastolica in soggetti con funzione sistolica conservata e aumento della soglia di fibrillazione ventricolare per riduzione del contenuto miocardico di noradrenalina; – protezione nei confronti dello sviluppo della sindrome cardiorenale: il deterioramento della funzionalità renale in corso di insufficienza cardiaca aumenta mortalità e morbilità. In studi su ratti con insufficienza cardiaca l’associazione spironolattone e ACE-I si è dimostrata efficace nel promuovere la produzione di urina e ridurre l’escrezione urinaria di proteine. Appurati i risultati positivi derivanti dal blocco dell’aldosterone nei pazienti con insufficienza cardiaca, ci sono tuttavia alcuni aspetti che meritano attenzione e ulteriori studi: – la maggior parte degli studi clinici è stata condotta utilizzando spironolattone o eplerenone: i pochi studi che hanno posto a confronto l’efficacia dei due principi attivi hanno fornito risultati contrastanti; – il trattamento con MRB riduce gli effetti dell’attivazione dei recettori per i mineralcorticoidi ma aumenta i livelli circolanti di aldosterone e ciò aumenta potenzialmente gli effetti non recettoriali dei mineralcorticoidi: questo fenomeno pone l’attenzione su farmaci alternativi come gli inibitori dell’aldosterone sintetasi, per i quali sono auspicabili studi clinici; – il principale argomento di preoccupazione derivante dall’impiego degli MRB nei pazienti umani è il rischio di iper Kaliemia, più elevato nei soggetti con insufficienza renale, diabete mellito, ed elevati livelli sierici di potassio pre-trattamento e nei soggetti già sottoposti a trattamento con antiaritmici; – l’utilizzo di spironolattone nell’uomo può produrre ginecomastia e accresce il rischio di diabete mellito tipo II aumentando i livelli di emoglobina A1 e di cortisolo. Alla luce di queste considerazioni Zannad ha concluso che nell’uomo la maggiore riduzione delle percentuali di mortalità si ottiene associando ACE-I, beta-bloccanti e MRB. Tale associazione è particolarmente consigliata nei pazienti con frazione di eiezione bassa (disfunzione sistolica), sintomatici, normokaliemici e con filtrazione renale normale. Altra indicazione clinica comprovata è il trattamento dell’ipertensione sistemica. L’effetto degli MRB su mortalità e morbilità nei pazienti con insufficienza cardiaca ma con funzione cardiaca conservata non è stata ad oggi valutata in modo sistematico. Pitt (Professore Emerito, School of Medicine, University of Michigan) ha illustrato il protocollo del “TOPCAT trial”, studio clinico condotto su pazienti con frazione di eiezione preservata assegnati ad random a due diversi gruppi trattati con spironolattone o placebo. I risultati dello studio non sono ancora disponibili; tuttavia il razionale dell’uso degli MRB in questi pazienti risiede nei dati emersi da precedenti studi 18 preclinici e clinici di più piccole dimensioni che hanno dimostrato l’efficacia dello spironolattone nel prevenire la fibrosi miocardica, nel migliorare gli indici ecocardiografici di funzione diastolica e le riserve di antiossidanti, nel ridurre la produzione di citochine infiammatorie, nel migliorare la disponibilità di ossido nitrico e la funzione endoliale e nel ridurre il rimodellamento vascolare. Nell’uomo una sempre maggiore percentuale di pazienti anziani presenta insufficienza cardiaca con frazione di eiezione conservata. In questi soggetti gli MRB sembrano avere potenziali effetti benefici anche per la loro azione nei confronti di comorbidità spesso presenti in questi pazienti: ipertensione non controllata o resistente, che è significativamente ridotta dall’uso degli MRB; fibrillazione/ flutter atriale, la cui comparsa è ridotta grazie alla prevenzione di fibrosi e al rimodellamento atriale; nefropatia cronica (gli MRB contrastano proteinuria, fibrosi del mesangio, danno ai podociti); diabete mellito (l’aldosterone danneggia le cellule beta pancreatiche e determina insulino-resistenza); arteriosclerosi (evidenze sperimentali pongono in luce che gli MRB riducono l’estensione delle placche aterosclerotiche). Per quanto attiene alla medicina veterinaria, Borgarelli (Professore di Cardiologia, Kansas State University) ha illustrato il protocollo di uno studio multicentrico, in doppio cieco, con placebo, attualmente in corso in Italia e denominato DELAY. Lo studio è condotto su cani affetti da MVD pre-clinica avanzata (classe B2, secondo il consensus ACVIM). L’utilizzo di farmaci a questo stadio clinico della malattia mitralica è ampiamente dibattuto ed oggetto di controversie. L’idea di questo studio clinico è nata dal riscontro di livelli significativamente più elevati di aldosterone in cani affetti da malattia mitralica asintomatica rispetto a cani sani e quindi dalla considerazione che il fenomeno di aldosterone “breakthrough” possa essere molto precoce nel corso della MVD: lo studio si prefigge quindi di valutare gli effetti dell’associazione spironolattone e ACE-I su sintomi clinici e mortalità. BIOMARCATORI: COME USARLI NELLA PRATICA E COSA ASPETTARCI NEGLI ANNI FUTURI L’utilizzo di biomarcatori nei pazienti con malattia cardiovascolare è argomento di grande interesse sia in medicina umana che veterinaria in un’ottica di miglioramento delle cure al paziente. Negli ultimi anni sono stati resi disponibili numerosi biomarker che possono essere utilizzati per: – diagnosi di insufficienza cardiaca acuta o cronica, ma in taluni casi anche della causa specifica sottostante: rientrano in questo gruppo peptidi natriuretici, marker dell’infiammazione (proteina C-reattiva), marker di rimodellamento e formazione di collagene (NT-procollagene tipo III, metalloproteinasi di matrice), marker di necrosi (troponina I); Rivista di Zootecnia e Veterinaria, vol. 45, n. 2, 2011 – valutazione dello stato emodinamico: rientrano in questo gruppo marker della funzionalità renale, epatica ed ancora i peptidi natriuretici; – prognosi e stratificazione del rischio in termini di mortalità e primo momento di insorgenza di insufficienza cardiaca: i livelli di alcuni biomarcatori sono strettamente correlati alla prognosi come i parametri renali, adrenomedullina, galectina-3, peptidi natriuretici; – guida al trattamento: scelta di un trattamento più o meno aggressivo sulla base dei livelli di peptidi natriuretici. Allo stato attuale gli studi condotti hanno fornito risultati contrastanti; – guida alla scelta del tipo di trattamento: ad esempio pazienti con livelli elevati di renina ed ipertesi avranno maggiore giovamento dall’utilizzo di un ACE-I piuttosto che di un diuretico; – monitoraggio della progressione della malattia in risposta al trattamento. Voors (Professore di Cardiologia, University Medical Center, Groningen) ritiene che il biomarcatore ideale debba essere specifico per malattia, avere un alto valore predittivo positivo e negativo, essere poco costoso e facile da utilizzare e prevede in futuro un approccio di tipo multimarker, soprattutto ai fini prognostici. L’importanza di una strategia multimarker nella stratificazione del rischio è condivisa anche da Oyama (Professore di Cardiologia, School of Veterinary Medicine, Università della Pennsylvania). È teorizzabile che la valutazione contemporanea di più marker, ognuno specifico per particolari caratteristiche di malattia cardiaca (ad esempio fibrosi, ischemia, stress parietale, rimodellamento della matrice extracellulare), possa offrire maggiori informazioni di un singolo marker. In medicina veterinaria la maggior parte degli studi ad oggi condotti sui biomarcatori sono stati finalizzati al loro utilizzo per diagnosticare la presenza o l’assenza di malattia cardiaca, ed in particolare della malattia valvolare mitralica. Da questo punto di vista, il NT-proBNP risulta essere attualmente il marker migliore per la valutazione dell’insufficienza cardiaca. Altri marcatori sono in corso di valutazione presso i laboratori di ricerca della Penn University: i candidati sono stati scelti sulla base delle conoscenze attuali di fisiopatologia del sovraccarico di volume che caratterizza la malattia mitralica, e sono espressione di fibrosi, ipertrofia, e crescita (rimodellamento) come galectina-3, osteopontina, ST-2, endoglina, pro-collagene tipo 3 oppure di attivazione neuro-ormonale, come cromogranina A. Dall’analisi dei dati preliminari di questi studi, Oyama ritiene che la galectina-3, prodotta dai macrofagi attivati e in grado di indurre proliferazione dei fibroblasti e fibrosi, possa migliorare la stratificazione del rischio quando combinata a BNP. I biomarcatori più promettenti per gli studi futuri sembrano essere quelli collegati ai processi di rimodellamento cardiaco. SINDROME CARDIO-RENALE: COSA C’È DIETRO? La quarta sessione del simposio ha affrontato un argomento frustante di comune riscontro sia per il medico umano che veterina- rio, ovvero l’interazione fisiopatologica tra cuore e reni. Questa fisiopatologia è alla base di una sindrome clinica denominata Sindrome CardioRenale (CRS). Sebbene questo tipo di interazione sia nota da tempo, lo studio e la ricerca in questo ambito sono recenti e in grande sviluppo. Ronco (Dipartimento di Nefrologia, Ospedale San Bortolo di Vicenza), ha illustrato la più recente definizione e classificazione delle “sindromi cardiorenali”, come emersa da un consensus dell’ADQI (Acute Dialysis Quality Iniziative). Le sindromi cardiorenali sono disordini del cuore e dei reni per cui la disfunzione acuta o cronica di uno dei due organi può indurre disfunzione acuta o cronica dell’altro. Le CRS sono state quindi suddivise in 5 sottotipi (Tabella 1) per consentire lo sviluppo di approcci più corretti e più mirati, in termini di prevenzione e terapia, a questa condizione a seconda della natura dell’interazione. La sindrome cardiorenale tipo 2 (CRS2) è la condizione che più si avvicina alle situazioni che il medico veterinario può trovarsi ad affrontare nella pratica clinica: è infatti caratterizzata da anomalie croniche della funzione cardiaca che causano malattia renale cronica progressiva. Il deterioramento della funzionalità renale in un contesto di insufficienza cardiaca cronica riconosce come causa certa l’ipoperfusione renale protratta nel tempo con danni micro- e macrovascolari, anche mediati da anomalie neuroormonali (disfunzione del SRAA, aumentata attività del sistema nervoso simpatico, disfunzione endoteliale e dei sistemi ossidativi, effetti renali di vasopressina ed adenosina, riduzione di eritropoietina in alcuni pazienti), con aumento delle resistenze vascolari renali, infiammazione subclinica, processi aterosclerotici con tendenza a nefrosclerosi-fibrosi. Alla disfunzione renale può contribuire anche la congestione venosa renale, mentre altre componenti eziologiche sono in corso di valutazione. TABELLA 1 Sottotipi in cui è stata suddivisa la Sindrome cardiorenale (CRS). CRS tipo 1 (Sindrome cardiorenale acuta) Brusco peggioramento della funzione cardiaca (ad es. shock cardiogeno o scompenso acuto in corso di insufficienza cardiaca cronica) che comporta danno renale. CRS tipo 2 (Sindrome cardiorenale cronica) Alterazione cronica della funzione cardiaca (ad es. insufficienza cardiaca cronica) che causa malattia renale cronica progressiva. CRS tipo 3 (Sindrome renocardiaca acuta) Brusco peggioramento della funzione renale (ad es. insufficienza renale acuta o glomerulonefrite) che comporta problemi cardiaci acuti (ad es. aritmie, insufficienza cardiaca, edema polmonare). CRS tipo 4 (Sindrome renocardiaca cronica) Malattia renale cronica (ad es. glomerulopatia cronica) che contribuisce alla riduzione della funzionalità cardiaca, all’ipertrofia cardiaca e/o accresciuto rischio di eventi cardiovascolari avversi. CRS tipo 5 (Sindrome cardiorenale secondaria) Malattie sistemiche (ad es. diabete mellito, sepsi) che causano disfunzione cardiaca e renale. 19 C. Quintavalla Indipendentemente dalla eziologia, il peggioramento della funzionalità renale in corso di insufficienza cardiaca è associato ad un aumentato rischio di esiti avversi e ad ospedalizzazioni prolungate. La sindrome cardiorenale in medicina veterinaria è ad oggi poco esplorata: uno studio retrospettivo ha riportato iperazotemia nel 50% dei cani affetti da MVD a vari stadi di insufficienza cardiaca, con percentuali maggiori all’aumentare dell’età e della classe di insufficienza cardiaca. Un altro studio riporta iperazotemia nel 24,1% dei cani con cardiopatia. Uno studio prospettico ha rilevato un tasso di filtrazione glomerulare ridotto del 45% in cani in classe III-IV NYHA di insufficienza cardiaca rispetto a quelli in classe I-II. Stepien (Professore di Cardiologia, School of Veterinary Medicine, Università del Wisconsin) ha sottolineato che, nonostante i limitati studi disponibili in medicina veterinaria, le evidenze riportate supportano la presenza simultanea di disfunzione cardiaca e renale nei cani cardiopatici, in particolare con MVD. La disfunzione renale può essere già presente al momento della diagnosi di insufficienza cardiaca o svilupparsi nel tempo al progredire della malattia o in relazione alla terapia, soprattutto con furosemide ed alcuni vasodilatatori arteriosi (non ACE-I). Evitare il deterioramento della funzionalità renale nei pazienti umani e canini affetti da insufficienza cardiaca è cruciale per la qualità e le aspettative di vita del paziente. Considerati il ruolo del SRAA nel promuovere la disfunzione renale in corso di CRS, i comprovati effetti positivi derivanti dall’utilizzo di ACE-I e MRB in pazienti con insufficienza cardiaca, i benefici derivanti dall’uso degli ACE-I e degli antagonisti dei recettori per l’angiotensina nel ridurre la proteinuria in varie malattie renali, il fenomeno dell’aldosterone “breakthrough” ampiamente discusso e che può svilupparsi in seguito alle suddette terapie, nasce spontanea la domanda se un trattamento mirato al blocco dell’aldosterone e dei suoi recettori possa costituire una opzione terapeutica della malattia renale cronica. Recettori per i mineralcorticoidi sono notoriamente presenti nel tubulo contorto distale e nel dotto collettore, nel colon e nelle ghiandole sudoripare, bersagli classici dell’aldosterone per la regolazione del riassorbimento del sodio e dell’escrezione del potassio. In sede renale, tuttavia, recettori per i mineralcorticoidi sono espressi anche nelle cellule del mesangio, nei podociti e nei fibroblastri renali, ovvero in cellule e tessuti non coinvolti nel trasporto del sodio: ciò indica che l’aldosterone e l’attivazione dei recettori per i mineralcorticoidi possano avere altri, nuovi e ancora sconosciuti effetti. Inoltre, l’espessione dei recettori è modulata in corso di malattie come diabete mellito, malattia renale cronica con grave proteinuria, insufficienza cardiaca, ipertensione e infarto miocardico, per cui si ritiene che la loro attivazione possa essere implicata nella fisiopatologia di queste condizioni. In modelli sperimentali, nonché in studi clinici su un piccolo numero di pazienti umani con nefropatia diabetica o ipertensiva, insufficienza renale cronica e glomerulopa- 20 tie, l’utilizzo degli MRB (spironolattone o eplerenone) ha ridotto la proteinuria e rallentato i processi di glomerulosclerosi. È pertanto auspicabile l’allestimento di studi clinici su larga scala per meglio definire benefici e rischi (soprattutto iperkaliemia) derivanti dall’antagonismo dei recettori per i mineralcorticoidi in corso di malattie renali di diversa origine. CONCLUSIONI Il sistema renina-angiotensina-aldosterone è costantemente attivato in corso di insufficienza cardiaca e l’utilizzo degli ACE-I è inserito nelle linee guida di terapia dell’insufficienza cardiaca sia nell’uomo che negli animali. Diversi studi hanno evidenziato che, in corso di terapia cronica con ACE-I o con antagonisti dei recettori per l’angiotensina, una certa percentuale di soggetti trattati mostra una recrudescenza di secrezione di aldosterone che raggiunge livelli plasmatici di molto superiori a quelli basali pre-terapia. L’osservazione del fenomeno, noto come aldosterone “breakthrough”, ha dato il via ad una serie di studi clinici indirizzati a valutare l’utilità dei bloccanti dei recettori per i mineralcorticoidi (in particolare lo spironolattone) in terapia. Gli studi ad oggi condotti hanno dimostrato vantaggi in termini di riduzione della mortalità in pazienti umani con insufficienza cardiaca con disfunzione sistolica, e benefici in termini di qualità e aspettativa di vita in cani con insufficienza cardiaca conseguente a malattia valvolare mitralica moderata-grave. Tali effetti benefici sono da ricondurre a diminuzione dei processi infiammatori miocardiaci e vascolari, a riduzione della fibrosi e dell’ipertrofia, e ad una migliore disponibilità di ossido nitrico a livello di vasi periferici. L’utilizzo degli MRB è attualmente inserito nelle linee guida di terapia dell’insufficienza cardiaca nell’uomo e la maggior parte degli autori che hanno allestito le linee guida per il trattamento della malattia valvolare mitralica cronica nel cane, suggeriscono l’utilizzo dello spironolattone per il trattamento dei soggetti in stadio C di insufficienza cardiaca. Studi clinici sono in corso sia nell’uomo che nel cane per valutare eventuali benefici derivanti dall’impiego degli MRB in fasi più precoci, ovvero in pazienti umani con funzione sistolica preservata o in cani con malattia valvolare mitralica pre-clinica. Gli MRB sembrano offrire interessanti potenzialità anche nella terapia dei pazienti con insufficienza renale cronica, in particolare per il controllo della proteinuria e della glomerulosclerosi, e potrebbero offrire vantaggi in termini di rallentamento della progressione di insufficienza cardiaca e/o insufficienza renale in corso di sindrome cardio-renale. Gli Atti del simposio sono reperibili sul sito http://cardiosymposium2011. ceva.com/ e disponibili su richiesta presso la Redazione della Rivista di Zootecnica e Veterinaria.