BRUNINI REDINI IRIS - Museo dell`Emigrazione della Gente di

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BRUNINI REDINI IRIS - Museo dell`Emigrazione della Gente di
MAZZONI ROMANO
INTERVISTA N. 14
L’intervistato
Luogo di nascita: Soliera, Comune di Fivizzano (MS)
Data di nascita: 1940
Nazionalità: italiana
Attuale residenza: Moncigoli, Comune di Fivizzano (MS)
L’intervista
Data: 1 novembre 2007
Luogo: Moncigoli
Intervistatore: Battaglia Stefano
Dati
Luogo d’emigrazione: Avellaneda, Argentina
Mestiere svolto: operaio edile, portavalori
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Trascrizione
Siamo partiti nel ’51, il 29 di giugno del ‘51 e siamo arrivati il 22 di luglio in Argentina…
eravamo mamma, mio fratello e mia sorella; mio babbo già era partito prima,
nell’ottobre del ’50… perché c’era la sorella di lui, dal ’33 che era là… andava mio zio a
fare queste giornate stagionali, la cosecha, si andava là per tre o quattro mesi a
raccogliere il mais, le patate, quello che c’era... e poi dopo l’ha portata via, l’ha fatta
andare laggiù con mio papà... mio padre ha avuto la chiamata della sorella quindi,
perché dopo la guerra qui c’era sempre paura della terza guerra mondiale e allora mio
babbo con cinque figli voleva trovarsi in un’altra forma… è andato là e dopo cinque o sei
mesi ci ha chiamato a noi e siamo andati via… lui è andato là, neanche con il mestiere che
aveva, è andato a lavorare come manovale. Mio babbo, quando eravamo a Soliera, era
mosaista, faceva mattonelle, però dopo la guerra ha dovuto aggiustarsi con qualsiasi
mestiere, faceva il boscaiolo, vendeva legna… e della sua famiglia c’era un altro fratello a
Cordova, noi invece eravamo a Lanùs, vicino ad Avellaneda e un altro fratello è andato
nel ‘49 in Inghilterra, poi ha portato la moglie e i figli li ha lasciati qua e poi una sorella,
la più piccola, è andata in Inghilterra e poi in Australia…
A quell’epoca c’era una pubblicità per andare all’estero molto grande ed è per quello che
sono andati all’estero molti, in così tanti... in Argentina era più facile dopo il ’50 e c’è
stata una grossa pubblicità dell’Argentina perché uno che arrivava là vedeva quello che
era la libertà… Buenos Aires faceva quattro milioni di abitanti negli anni ’50, adesso ne
fa tredici, però il discorso è che… io dico, Soliera era Soliera e io qui ho conosciuto
Fivizzano ed Aulla, qui ci si muoveva in bicicletta e invece là c’era già il bus davanti alla
porta, le botteghe lì accanto… era un po’ differente.
In nave sono stati ventidue giorni, tre giorni di mal di mare, e io ero col prete, ero
chierico, facevo la messa con il prete, si faceva in tutte le classi, prima, seconda e terza
classe. A noi il prete la colazione ce la faceva fare nella prima nel tavolino con biscotti,
burro e marmellate, non come nella terza... eravamo quattro della stessa età e questo
prete i primi giorni doveva occuparsi dei ragazzi e ha il dovere di fare la messa… io non
potevo nemmeno dormire nella cabina dove stavano loro, mamma e i miei fratelli, e
allora dovevo dormire dove dormivano gli uomini, giù sotto, sotto l’acqua, e allora mia
mamma mi ha mandato con il prete e andavo a fare la messa con le monache, il prete e
poi si andava a mangiare bene... e in Brasile ci ha fatto scendere e ci ha portato al Cristo
Redentor, ci insegnava lo spagnolo e le preghiere tutte nello spagnolo e io l’ho imparato
sulla nave.
Mio babbo voleva rimanere là, è partito con l’idea di restare perché c’era questa
promessa dell’Argentina che era la meglio parte del mondo e lui voleva prosperare, ha
prosperato, ha fatto una piccola fortuna, che non gli è servita a niente perché poi dopo
con il problema delle banche… da un venerdì al lunedì ti trovavi con quattro o cinque
volte in meno di soldi in tasca ed è successo non una volta ma diverse volte…
Arrivati là io sono andato subito a scuola perchè sono arrivato nell’anno scolare e subito
mi hanno messo nella San Vecente de Paul, che portava un sacco de ragazzi, era una
scuola incredibile, aveva questa congregazione e lì mi hanno messo come ascoltatore e
poi dopo, quando sono arrivato alla fine, già che da questi preti bisognava pagare, mia
babbo mi ha detto… ha deciso... con mia mamma di mandarmi alle scuole comunali.
Quando sono andato alle scuole comunali m’han fatto fare l’esame da quinto a sesto,
perché là c’era già la sesta e in pochi mesi scrivere, parlare e studiare non era facile, un
po’ mi ha aiutato questa maestra che ci avevo… come ero italiano… e poi è finita lì perché
bisognava lavorare…
Nel primo lavoro facevamo randelle di ferro, con delle stampanti, avevo dodici anni e la
prima busta paga che ho preso lì… cento pesos, cento e un pesos, un biglietto di cento e
una moneta... e in quel tempo là mia mamma faceva le spese di una settimana, mangiare
dico, mangiare solo… per quello rendeva, perché guadagnavi quei soldi lì e spendevi
poco, poi è venuta la rovina… ma a quei tempi là mi diceva mia mamma: “questa
settimana mangiamo con quei cento pesos che hai preso te”. Mio babbo lavorava come
carpenteria in ferro nel viadotto che ha fatto Peron, dove attraversava il treno… e lì
faceva ore, lui guadagnava bene, mia sorella si è messa a cucire pantaloni, la più grande,
per una ditta grande… e poi ho cominciato a studiare alle scuole medie e non potevo
lavorare tutto il giorno, alla mattina dalle otto a mezzogiorno si faceva la teoria e poi
dopo la pratica e quando ho smesso le medie avrei avuto il lavoro in una fabbrica che la
scuola stessa ti diceva che venivi richiesto e invece mio babbo ha messo su una piccola
fabbrica di mattonelle e c’era più bisogno di un manovale che di andare a lavorare fuori
e sono rimasto con lui per diciannove anni, diciannove anni giusti, dal giorno che hanno
fatto la rivoluzione a Peron, il 26 di giugno del 1955 fino al primo di maggio del ’74.
Mio babbo ha fatto una buona, abbastanza fortuna, però un male investimento per il
momento giusto di cambiare di cavallo è stata la sua rovina e anche quando è morto ha
lasciato un po’ di cose, ma non servono a niente perché come valore economico non
hanno niente, ha lasciato due capannoni, un pezzo di terra in Cordova, una casa di due
piani, una casa piccola e siamo cinque fratelli… però il valore che c’era nel momento che
siamo andati dal notaio, si parlava di cinquecentomila dollari, era una fortuna non
indifferente, ma trascorso del tempo, con la svalutazione, è andata a centomila dollari…
allora anche se l’ha fatta la fortuna a cosa gli è servita, poi c’è qualcuno che ha fatto
fortuna, ma sono forse dieci su cento e gli altri novanta sono rimasti nella strada.
E poi ho lavorato come portavalori in una ditta di trasporti… si portava denaro in una
ditta grossa, grossissima… ci aveva cinquecento camion e lì il sistema del denaro, la non
sicurezza ci voleva di questi servizi, ci voleva chi portava il denaro di banca in banca, di
posta in posta, da fabbrica a fabbrica, da laboratorio a laboratorio… e si portavano le
buste paghe alle poste, alle ferrovie, alle fabbriche… e sono stato otto anni e poi mi sono
messo per conto mio nella muratura, perché già sapevo fare pavimenti, piastrellare e poi
ho chiuso… la situazione si faceva brutta e ho chiuso. Anch’io sono arrivato ad avere sei,
sette operai… ma ho voluto finire… succedeva che se facevi il preventivo e se non lo finivi
in un mese, proprio nel mese, nel momento... non ti rimaneva niente… ù
La maggior parte che lavoravano per mio padre a Lanùs erano calabresi, italiani che
venivano dal sud, ma laggiù non c’è discriminazione di zona… gli italiani sono tutti
italiani… che poi napoletani e calabresi, chi ha potuto mettersi in lavori municipali,
statali, ci s’è infilato… ce n’è tanti in posti così e là è importante… loro hanno delle chiavi
in mano…
Una domenica sono venuti a cercare a mio babbo, sarà stato l’85… io sono andato da mio
babbo e lui mi ha detto che lo erano venuti a cercare dalla Società Toscana di Avellaneda
e lui però era un po’ poco fiducioso di tutto e voleva sapere bene le cose prima di farsi
avanti… e aveva già settant’anni… mi dice lui di andare a vedere questa società e poi di
fargli sapere... e io vado a scoprire dov’è… ci passavo davanti tutte le mattine con il
camion, ma non avevo mai fatto caso che c’era la bandiera fuori. Allora vado una
domenica a vedere e siamo entrati e non ci han fatto uscire più! Lì abbiamo trovato tanti
altri che venivano di qua e che facevano tante cose, chi cantava, chi faceva da mangiare,
e poi c’era Sani, un pittore famoso in Argentina che faceva scuola di pittura nell’Unione
Benevolenza e faceva esposizioni in grandi alberghi…
E abbiamo trovato chi faceva questo, chi quell’altro e poi: “te chi sei? te chi non sei?“
abbiamo trovato uno solo di Soliera che adesso è a Padova e poi si diceva: “che fai te?” “
prima ero a Buenos Aires con la Valeria Bonilauri” perchè c’è stata un po’ di rivoluzione e
hanno voluto sviluppare più l'associazione di Avellaneda che quella di Buenos Aires,
hanno abbandono Buenos Aires e si sono mesi con Avellaneda… e io ho detto che ero
venuto perché erano venuti a cercare mio babbo… allora domenica sono andato con mio
babbo e mio babbo è venuto due o tre volte e poi non è più voluto venire per questo e per
quell’altro e siamo continuati noi ad andare. E noi abbiamo continuato perché era un
bell’ambiente, si faceva un po’ di cose, si mangiava insieme la domenica, si
chiacchierava, c’era entusiasmo di fare e io ho fatto tante cose in quella società, ho fatto
la cucina nuova, piastrellavo, mettevo i mobili con questo Venetti di Licciana, anche lui
c’era… uno tirava l’altro a far le cose, lui era idraulico e io facevo un po' di tutto. E alla
fine con Franco Ferroni abbiamo cominciato a chiedere un po’ di soldi perché volevamo
fare due aule per la scuola… per insegnare italiano, avevamo un bel salone, la cucina,
tutta la sanità di sopra e volevamo fare... allora è venuto qua a chiedere un po’ di soldi
alla Regione Toscana e la Regione Toscana sai quanto gli ha offerto? Il preventivo era di
centoventi milioni di pesos, in quel tempo sarà stato più o meno sessantamila dollari e
qui ci hanno offerto quindici milioni di lire che saranno stati… era un po’ una scemata…
come dire che se hai bisogno di centomila lire te ne do duecento… e le altre società
prosperavano, mandavano tanti di quei soldi, tanti di quei biglietti di passaggio che era
tremendo, e invece i toscani no, e loro sono un po’ duri di dare i soldi.
Il ruolo che avevo nell’associazione era lavorare… avevo anche una carica, non mi viene,
ma il terzo o quarto posto… ma io volevo più fare per realizzare qualcosa… non è che
volevo essere rappresentante del comitato, quando c’erano quelli della Regione Toscana
che venivano, io andavo, ascoltavo, ma non volevo comandare…
In quegli anni si è aiutato qualcuno... c’è stato il caso in quegli anni di italiani, toscani che
non avevano l’appoggio di famiglie in dei posti anche non troppo belli e allora Ferroni e
gli altri hanno cercato di ritrovarli e rintracciarli e c’era per loro una sovvenzione, che a
quegli anni credo che gli passava duecento o trecento dollari l’uno. Per quello faceva
forza Ugo Masoni... lui voleva che si faceva il mutuo soccorso, che ci fosse qualcosa per
questi o altrimenti cercargli parenti qui in Italia in grado di aiutarli o di tenerli come
ospiti… e poi si agevolavano i ragazzi con le relazioni con la Regione Toscana: viaggi che
venivano sempre sovvenzionati da qua… è sempre stata la Regione che ha mandato i
biglietti di passaggio di questi ragazzi, noi non potevamo sovvenzionare, ma facevamo i
collegamenti… quando c’era qualche comitiva dall’Italia passava prima dalla Unione
Benevolenza e poi passava da noi. L’Unione Benevolenza era la più completa che ci
poteva essere di tutto... c’era la scuola, la Dante Alighieri, è straordinaria e quella era
italiana, ma i dirigenti erano tutti toscani: Tani Ferruccio, Mario Antonioli e poi quando
c’erano le grandi riunioni tra società italiane ci radunavamo tutti lì…
Noi ad Avellaneda come soci eravamo centottantasette e si facevano un bel po’ di cose...
s’è fatta anche l’associazione dei giovani e c’era la Venetti Andrea, Viviana Mazzoni, la
Adriana Bonilauri, Laura Bocconi e loro erano molto attive rispetto alle relazioni con la
Regione e sempre si davano da fare insieme e facevano delle riunioni e poi andavano in
Uruguay. C’è sempre stato un po’ di “arrangiatevi” dai vecchi... e poi i giovani volevano
cambiare, volevano fare, ma c’era il freno dei vecchi… noi vecchi. Io ero dell’idea che
andavano lasciati fare e se volevano fare qualche spettacolo… e però c’era il timore
nostro che spaccassero qualcosa, che facessero dei danni, noi che avevamo fatto tutto
nuovo, c’era il professore di pittura nell’Unione Benevolenza, questo Sani che aveva
adornato tutto il salone e eravamo un po’ gelosi del lavoro che uno faceva, era come qua
in Italia, che vedo che i vecchi fino a che non hanno un piede nella fossa vogliono
comandare loro e là era uguale.