TODO MODO (Italia, 1976) Regia:Elio Petri

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TODO MODO (Italia, 1976) Regia:Elio Petri
La scheda filmica e didattica è a cura di Giancarlo Visitilli. Ogni diritto è riservato.
TODO MODO (Italia, 1976)
Regia: Elio Petri
Interpreti: Gian Maria Volonté, Marcello Mastroianni, Mariangela Melato, Renato Salvatori,
Ciccio Ingrassia, Michel Piccoli, Franco Citti
Genere: grottesco, drammatico, politico
Durata: 120’
Sinossi
La vicenda ha luogo in un albergo-eremo-prigione, nel quale capi politici, grandi industriali,
banchieri e dirigenti d’azienda, tutti appartenenti alle varie correnti politiche, ma per lo più
democristiane, si ritrovano per gli annuali ritiri spirituali (ispirati agli esercizi spirituali di
Sant’Ignazio di Loyola) di tre giorni, per espiare i reati di corruzione e altro che essi erano soliti
praticare. Questa volta la riunione avviene in concomitanza con un’epidemia, che miete numerose
vittime in Italia.
All'interno di questo luogo, chiamato “Zafer”, con tanto di catacombe, in realtà dovrebbe avvenire
una sorta di rinnovamento del partito, della propria struttura, dei propri vertici, dei propri interessi,
al fine di mantenere il potere nel Paese. Tra litigi continui e violenti, accuse reciproche e poca
pratica spirituale, si sviluppa una serie di apparentemente immotivati delitti, che eliminano, uno alla
volta, i personaggi di primo piano del partito. Tra i tantissimi personaggi, vi è il Presidente,
interpretato da Gian Maria Volontè, nei panni del capo politico conciliante, bonario, che mira ad
accontentare tutti, ma segretamente animato da un'infinita sete di potere e di dominio.
DENTRO IL FILM
I compro-messi
“Todo modo para buscar la voluntad divina” è la formula di S. Ignazio di Loyola, “Ogni mezzo per
realizzare la volontà divina”. Questo è il folle comandamento che il protagonista del film si darà,
per giustificare il massacro dei suoi compagni di partito, al fine di purificare la società dai loro
crimini e salvare il Paese dal disastro.
Todo modo è liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia, è l’ultimo del
connubio cinematografico (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970), La classe
operaia va in paradiso (1971), ma anche politico e ideologico, del regista Elio Petri e l’attore Gian
Maria Volontè, sodalizio che contribuì alla fortuna del cinema politico italiano degli anni Settanta.
Tra i grandi artisti che hanno lavorato per questo film, non proprio semplicissimo, sia per la
narrazione, sia per i suoi tanti significati, figurano: il direttore della fotografia*, autore di molti film
di Elio Petri, Luigi Kuveiller; il grandissimo compositore, Ennio Morricone, che ha composto per
tanti altri film di Petri e lo straordinario scenografo, premio Oscar, Dante Ferretti, capace di ricreare,
attraverso lo “Zafer” gli evidenti riferimenti ai conventi nei quali si riunivano (di recente è avvenuto
con alcuni esponenti dell’ex governo) le correnti democristiane, per mettere a punto le loro strategie
di lotta intestina.
Il periodo in cui il film uscì nelle sale, durante il governo di Aldo Moro, era il periodo in cui si
iniziò a parlare di “compromesso storico” tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista. Non sarà
un caso se, il personaggio del presidente è apertamente calcato sulla figura di Aldo Moro, che,
all'uscita del film, era a capo del governo da due anni: Eppure, mai nel film si fa direttamente il suo
nome. La fisicità, il modo di comportarsi ed il ruolo rivestito, però, non lasciano spazio a dubbi in
merito. Gian Maria Volontè, per quest'interpretazione, prese a studiare i comportamenti di Moro, i
suoi discorsi, la sua mimica facciale e corporale, l'inflessione della sua voce, la sua vena
conciliatrice.
Il film di Elio Petri è fortemente grottesco, “sadomasochista” (per utilizzare la stessa espressione
del regista, per commentare il suo film), specie in rapporto alla propria visione della DC e della
politica italiana in generale: fra esplicite dichiarazioni di corruzione, il malcostume, l'imperversare
degli interessi personali nella gestione della res publica italiana, fu molto criticato dalla classe
politica democristiana e snobbato dai comunisti. Petri affermò che “in pubblico i comunisti lo
criticavano ma in privato - gli confidavano – piaceva”. Questo film segnò il decadimento della
corrente del ‘cinema politico’ italiano e la fine del connubio Petri-Volontè.
Il successivo rapimento e omicidio di Aldo Moro resero di fatto invisibile il film per molti anni. La
pellicola fu ritrovata bruciata presso gli archivi di Cinecittà, in seguito al sequestro dalle sale.
Sin dalla prima sequenza* del film, con il personaggio, intorno a cui ruoterà gran parte della storia,
che attraversa la Roma deserta e invasa dall’immondizia (segni premonitori di un’incipiente
epidemia), lo ‘spettacolo’ è agghiacciante. Emblematiche, le prime battute (“E’ arrivato qualcuno?”,
“Lei è il primo” “Vorrei essere l’ultimo”) fra l’uomo somigliante a Moro e il prete, che accoglie il
presidente in un luogo, davvero misterioso e strambo: in ciò le straordinarie sculture in gesso bianco
di Dante Ferretti contribuiscono a rendere l’ambiente quasi surreale (una su tutte: l’installazione del
Cristo che moltiplica i pani e i pesci, nella sala mensa è straniante), lugubre, asettico, opprimente.
Fra l’altro, il presidente è il primo a infrangere le regole della comunità, recandosi al centro insieme
alla moglie, con cui soddisfa la propria lussuria. Mezzo omosessuale e mezzo impotente, soprattutto
politicamente impotente, la sua perversione consisterà nel fatto di opporsi a qualsiasi cambiamento.
In quel luogo, volutamente sotterraneo, dietro ai riti religiosi e alla meditazione sui temi del Peccato
o dell'Inferno, si nascondono in realtà ricatti e giochi di potere, si professano dichiarazioni (“Ho il
cancro dove la tentazione è stata più forte” il presidente al prete), atti di accusa potenti (“Secondo te
che prete sono io: buono o cattivo?” “Come tutti gli altri” “Il trionfo della chiesa è dovuta ai preti
cattivi”). Nello stesso: scompare una persona; vengono rubate alcune ostie consacrate; un senatore è
ucciso a colpi d'arma da fuoco; uno dei sospettati viene ritrovato morto nei bagni. I cadaveri si
moltiplicano, mentre le indagini della polizia non portano a nulla. I partecipanti al ritiro spirituale si
accusano a vicenda dei vari delitti.
Sarà proprio il presidente a scamparla, a rifugiarsi nella cripta, per confidare al magistrato i propri
sospetti sul gesuita don Gaetano, direttore del centro, che si suicida nel suo appartamento privato
pieno di oggetti di valore.
Così, l’albergo si svuota, tra la confusione e l'inquietudine degli ospiti. Quando anche l'ultimo di
essi se n'è andato, il presidente scopre i cadaveri nudi di tutti i suoi amici distesi sull'erba. Allora
comprende tutto e, dopo aver fatto fermare il proprio autista, attende in ginocchio il colpo di pistola
che metterà fine anche ai suoi giorni.
Sant’Ignazio e De Sade. Petri e Rosi. I preveggenti.
La sceneggiatura* di Petri, insieme ad una recitazione che privilegia un carattere molto teatrale, ha
una scansione regolata dalle diverse posizioni fisiche e dalle varie meditazioni che segnano le
giornate degli esercizi spirituali. La struttura di mistero, nel senso drammatico del termine, si trova
già nell’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia. Ma, così come Sant'Ignazio, che suddivide i
propri esercizi spirituali in circoli rigidi, la stessa cosa è possibile riscontare in un altro scrittore e
pensatore a cui, evidentemente, si è ispirato Elio Petri, il Marchese De Sade, attraverso lo spettacolo
sarcastico e farsesco, il pamphlet di fantapolitica, il carattere espressionista, fomentato dalle
inquietanti scenografie* di Dante Ferretti, a cui si aggiunge la satira grottesca (il Pater noster
recitato sempre con enfasi), che trova espressione nell'interpretazione di Gian Maria Volonté. Todo
modo, allora, è “un film-summa”, in cui si esprime una vera e propria repulsione nei confronti di
una classe dirigente che ha portato l'Italia sull'orlo del baratro. Elio Petri mette in scena
l'autodistruzione, non solo della Democrazia Cristiana, in una sorta di cerimonia estrema in cui i
colpevoli si riuniscono per celebrare il proprio potere e il proprio annientamento, ma per esprimere
l’inizio della fine di un Paese, che da allora vive ancora in un universo claustrofobico, di cui
l’albergo sotterraneo è immagine reale, dove tutto spinge all’autoflagellazione, gli uomini di potere
ritornano creature miserabili, chiamate a espiare i loro peccati verso una religione di cui hanno
tradito gli insegnamenti. Alla fine, avviene un naturale processo, che suona come un’esecuzione.
Realizzato nello stesso periodo di un altro film potentemente politico, Cadaveri eccellenti (1976) di
Francesco Rosi, a sua volta ispirato anch’esso a un romanzo di Sciascia, Todo modo partecipa allo
sforzo del cinema italiano nell'interrogarsi sul futuro politico di un paese in piena crisi. Se Rosi
immaginava l'assassinio di Enrico Berlinguer, Petri quello di Aldo Moro. Entrambi, però, Rosi e
Petri, furono profetici, perché, con straordinaria precisione, raccontarono prima la scomparsa della
Democrazia Cristiana e del Partito Comunista dalla scena politica italiana. Così si possono spiegare,
giustificandole, le telecamere messe in ogni angolo dell’albergo: che risulta essere una sorta di vero
e proprio Grande Fratello: scruta, conosce e controlla ogni comportamento di chi lì vi alloggia.
Compreso quello di chi, solitamente, sfugge anche ad ogni altro ‘obiettivo’: quello dei politici…
Petri, però, a differenza di Rosi, costruisce una sorta di profezia rovesciata: è il capo del partito,
Aldo Moro, che massacra i quadri politici della Democrazia Cristiana per evitare la rovina del paese,
per fermare la corruzione del potere politico. E’ come se la classe politica italiana si fosse sentita
minacciata dalla figura di Aldo Moro, dalle sua “aperture” ai comunisti, dalla sua posizione
parzialmente indipendente del partito e negli affari, dalle sue possibili mosse e, capovolgendo la
conclusione del film, avesse risposto ai progetti pericolosi di Moro liquidandolo.
Curiosità
 Petri ricorda che i primi due giorni delle riprese furono cestinati di comune accordo con
Gian Maria Volonté, perché la somiglianza tra Aldo Moro e l’attore “era imbarazzante,
prendeva alla bocca dello stomaco”;
 Secondo le intenzioni del produttore, Daniele Senatore, la colonna sonora del film doveva
essere affidata a Charles Mingus che, invitato a Roma con la sua band, nel giro di un paio di
giorni registrò le musiche da destinare al film sulla base di generiche indicazioni sulla trama
fornitegli dal produttore e, con l'occasione, tenne anche alcuni concerti. Abbastanza
contrariato per il fatto che Petri non aveva voluto mostrargli alcun fotogramma girato, il
musicista fu invitato dal produttore direttamente sul set, anche se Petri continuava ad essere
ostile al progetto. In quella occasione poté finalmente vedere alcune scene e registrare delle
improvvisazioni che avrebbero dovuto completare il commento musicale al film. La
decisione definitiva del regista di scartare le musiche composte da Mingus maturò quando,
in fase iniziale di montaggio, i brani furono sottoposti all'ascolto di Renzo Arbore, allora
compagno di Mariangela Melato. Petri a quel punto decise di interpellare Ennio Morricone
che, nel giro di pochi giorni, gli fornì una partitura;
Il regista
Elio Petri nasce a Roma il 29 gennaio 1929 da una famiglia di artigiani. Della sua infanzia dirà, in
un’intervista rilasciata a Dacia Maraini: “ero un bambino infelice, avevo paura della morte, ero
insicuro, solo. L’unica cosa che rimpiango sono certe giornate di sole in una Roma vuota e
silenziosa, accanto al corpo bassotto di mio padre”.
Sin da giovane si dedica alla militanza politica e alla critica cinematografica partecipando alle
attività della federazione giovanile del Partito Comunista. Inizia la sua carriera professionale come
giornalista a “L’Unità” (dove ricopre il ruolo di vice-critico cinematografico) terminando, negli
anni dell’invasione sovietica dell’Ungheria, con il giornale “Città Aperta”. Grazie all’incontro con
Giuseppe De Santis, nel 1951 esordisce nel mondo del cinema come sceneggiatore (non accreditato)
e aiuto regista per il film “Roma ore 11″ di cui realizza anche l’inchiesta preparatoria sul fatto di
cronaca che sarà pubblicato nel 1956 da “L’Avanti”. Negli anni successivi prosegue l’attività di
sceneggiatore e nel 1954 dirige il cortometraggio “Nasce un campione” seguito, nel 1957, da “I
sette contadini”. All’età di trentadue anni gira il suo primo lungometraggio, “L’assassino” (1961),
interpretato da Marcello Mastroianni, Micheline Presle e Salvo Randone che ricoprirà il ruolo di
protagonista nel successivo film di Petri, “I giorni contati” (1962), vincitore del Festival di Mar de
la Plata. Dopo “Il maestro di Vigevano (1963) e “Peccato nel pomeriggio” – episodio di “Alta
infedeltà” (1964) – realizza il film di fantascienza “La decima vittima (1965), tratto da un racconto
di Robert Sheckley. La pellicola successiva “A ciascuno il suo” (1967), ispirata al romanzo di
Leonardo Sciascia, segna l’inizio dello felice collaborazione con l’attore Gian Maria Volonté, con
lo sceneggiatore Ugo Pirro e con il direttore della fotografia Luigi Kuveiller. A “Un tranquillo posto
di campagna” (1968), ritratto di un artista alienato interpretato da Franco Nero insieme o Vanessa
Redgrave, seguiranno nel 1970 il film denuncia sul potere della polizia “Indagine su un cittadino al
di sopra di ogni sospetto” (premio Oscar come miglior film straniero e premio speciale della giuria
al Festival di Cannes) e, nel 1971, “La classe operaia va in paradiso” (Palma d’Oro al Festival di
Connes ex aequo con “Il caso Mattei” di Francesco Rosi), un’opera che, come scrive il regista al
produttore Dino De Laurentiis, “sta dalla parte degli operai, in tutti i sensi, quindi anche dal punto
di vista politico, soprattutto dal punto di visto umano”. Il lucido affresco della società italiana è
completato da “La proprietà non è più un furto” (1973), amara riflessione sul ruolo del denaro, e da
“Todo Modo” (1976), specchio del decadimento della Democrozia Cristiana, ritirato dalle sale dopo
un mese solo di programmazione. Con “Le mani sporche” (1978), versione per la Rai del dramma
omonimo di Jean-Paul Sartre, e “Buone notizie” (1979), prodotto dallo stesso regista con Giancarlo
Giannini, si chiude lo sua carriera cinematografica. Elio Petri muore a Roma il 10 novembre 1982
prima di riuscire a girare il film “Chi illumina la grande notte”.
Vediamo un po’…:
1) “Qual è il peccato personale dell’uomo di potere? Guardate le vostre mani. Il potere che
esse stringono le sta bruciando. Il peccato non esiste se non c’è il peccato ad esercitarlo”.
Chi pronuncia queste frasi? Con quale significato, secondo te?
2) “Non c’è redenzione senza il maltolto restituito”. Condividi questo pensiero? Perché?
3) “Non bisogna mai dimenticare che i poveri costituiscono la maggioranza dell’elettorato”
afferma il politico al prete. Che significato ha questa frase?
4) “Non bisogna vergognarsi di parlare dell’inferno. Inferno e punizione sono alla base del
cristianesimo. In questo momento storico voglio ricordare al mio gregge il pericolo che
corre: aver dimenticato l’inferno. Voi dovete raffigurarvi la lunghezza, la lunghezza, la
profondità dell’inferno. L’immensità delle fiamme. Il peccato degli uomini di potere è degno
dell’inferno più di ogni altro”. Esprimi un tuo giudizio, rispetto a questo giudizio da parte
del prete.
5) Perché, secondo te, il prete non assolve mai il politico penitente?
6) “Siamo i morti che seppelliscono i morti”: chi pronuncia questa frase e, secondo te, con
quale intento?
7) Qual è il senso del presidente che piange dinanzi al prete, affermando: “Cosa siamo noi
senza voi, voi senza noi?”, secondo te?
8) C’è, a tuo parere, una metafora, nel film, che sta ad indicare, alla fine una senso di
purificazione, di assoluzione per tutti?
9) Qual è il più grande atto d’accusa che, secondo te, compie il regista nel film?
10) Consiglieresti di vedere questo film: a chi e perché?
Se ti è piaciuto questo film…:
GUARDA
Il divo di Matteo Garrone;
Buongiorno notte di Marco Bellocchio;
La banda Baader Meinhof di U. Edel;
Io sono un autarchico di N. Moretti;
Anni di piombo di M. V. Trotta
LEGGI
“Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa
“Todo modo” di Leonardo Sciascia
“Il prigioniero” di Anna Braghetti e Paola Tavella
“Doveva morire” di Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato
“Lettere dalla prigionia” di Aldo Moro
ASCOLTA
“I cento passi” di Modena City Rambles
“Maledetti voi” di Luca Moro
“Nessuno” di Baustelle
“Aria” di Daniele Silvestri
“Padre nostro” di Il Teatro Degli Orrori
Cooperativa Sociale I bambini di Truffaut
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